Tumgik
#stetts
syncenclosur · 5 months
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Fuck it *Chibifies your favs* (I’m thinking about doing more of these 💔)
I read an IMdB trivia for The Conversation (1974) and didn’t know that Martin Stett is gay ⁉️💀😭
fellas is it gay to have a nicely decorated office ⁉️‼️
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satiwi1 · 5 months
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My star trek guys
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the-togepi-man · 9 months
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Sean and I are officially eating more healthy starting today
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falcemartello · 9 days
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5 maggio 1821, muore Napoleone Bonaparte.
Passato alla storia per essere stato grande un stratega, conquistare e legislatore, in realtà fu anche altro: il primo mitomane moderno a mettersi in testa di fare dell’Europa un mega stato unitario e poi invadere la Russia.
Poco più di un secolo dopo sarà emulato da un mediocre pittore austriaco, con più o meno le medesime conseguenze.
Stesso sogno imperiale, stessa bruciante sconfitta. Anzi decisamente peggiore.
Ebbene, difronte alla perentorietà della storia uno si aspetterebbe che i governanti successivi agiscano con un briciolo di senno, realismo e cautela in più.
Invece no. E nel 2024 ci ritroviamo con l’unione europea pronta a far nuovamente guerra alla Russia.
Per i più attenti l’esito è già scritto, ma non voglio rovinare il finale a tutti gli altri.
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Ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro,
stette la spoglia immemore
orba di tanto spiro,
così percossa, attonita
la terra al nunzio sta,
muta pensando all’ultima
ora dell’uom fatale;
né sa quando una simile
orma di piè mortale
la sua cruenta polvere
a calpestar verrà.
(...)
A. Manzoni
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sophie-blanceur · 4 months
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L'urgenza di lui la consumava,
lasciandola in balia solo dei suoi sensi.
Gli chiese di affondare dentro di lei,
senza pietà,
aveva bisogno di dolore in quel momento,
di sentirlo fondersi con ogni parte di sé.
Ma lui stette lì,
fermo,
beandosi del suo viso
trasfigurato dal desiderio
e iniziò a scivolare nel suo sesso
un centimetro per volta,
devastandola nell'anima
prima ancora che nel corpo.
Elisabetta Barbara De Sanctis
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racefortheironthrone · 5 months
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Been thinking a lot about the (Holy) Roman Empire lately and how weird it was. Is Switzerland just a Hanseatic League that stuck around?
Not quite.
The Old Swiss Confederacy was a federation of cantons - and both the  Waldstätte (rural cantons) and the Stette (urban cantons) were local governments, either as rural communes or city-states, rather than merchant guilds. While it's true that trade was a major motivation for the formation of the Confederation, self-defense was of equal if not primary importance.
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Initially, these cantons were direct vassals (reichsfrei) of the Holy Roman Empire, but the Hapsburgs sought to impose their claim on the region in the early 14th century. The peasant militias of the allied cantons beat the hell out of the Hapsburg knightly armies again and again, using their superior knowledge of the land to ambush the Hapsburgs and smash the cavalry with their halberdiers - the forerunners of the famous Swiss pikemen. The Confederacy also cleverly used the wildly unstable politics of the Holy Roman Empire to their advantage, backing the Bavarian House of Wittelsbach and the Bohemian House of Luxembourg in their struggles with the House of Hapsburg for control over the Imperial title.
In the following century, the Swiss successfully maintained their independence against the Burgundians - sometimes allying with the Hapsburgs against their hated Valois rivals. By the time that the Burgundian Wars were over, the Swiss pikemen had made their reputation and the cantons began to establish mercenary contracts with the Papal States, the Duchy of Savoy, and others, while conquering huge swathes of Milan until the Battle of Marignano forced the Confederacy to keep their territorial ambitions to the other side of the Alps.
Despite this setback, Switzerland was able to achieve de facto independence from the HRE through victory in the Swabian War, and de jure independence at the Peace of Westphalia.
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omarfor-orchestra · 9 days
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Ei
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Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro, così percossa, attonita la terra al nunzio sta, muta pensando all’ultima ora dell’uom fatale; nè sa quando una simile orma di piè mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà.
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gregor-samsung · 9 months
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“ La camera era in penombra, anche se ormai Bonaria non pativa più né luce né buio. Il corpo ridotto alle sue funzioni elementari era così minuto che il letto sembrava pronto a inghiottirselo tra le coperte. Andrìa stette un istante sulla soglia, guardò Maria in cerca di un cenno e poi si accostò al capezzale di Bonaria. La ragazza non fece niente per impedirglielo, neppure quando lo vide piegarsi sul cadavere vivo. Andrìa non si sedette accanto al letto, si inginocchiò sul tappeto per farsi più vicino, come a vederla meglio. Maria avvertì l'impulso di lasciarlo solo e uscire, ma lui se ne accorse. – Resta, disse, e a nessuno dei due parve strano che a dare il permesso fosse stato lui. Maria non replicò, e rimase in piedi accanto alla porta, mentre Andrìa in silenzio guardava il volto emaciato dell'accabadora di Soreni. Gli vide chinare le spalle fino a posare il capo sulla coperta senza però abbandonarvelo, come temesse di schiacciare il corpo fragile che c'era sotto, in un gesto di tenerezza che rivelò a Maria la parte di lui che credeva persa. Rimasero così per un tempo necessario e impreciso, lei in piedi a guardare, lui in ginocchio a respirare. Poi Andrìa si alzò, e sfiorò appena la mano inerte della vecchia in coma. Maria aprì la porta, ed entrambi uscirono senza scambiarsi una parola fino alla soglia di casa. – Grazie, disse Andrìa. – Di nulla... si sorprese a dire Maria, disarmata dal tono mite che lui aveva usato. Se vuoi venire, qualche volta. Lui scosse la testa. – No, non serve, mi bastava vederla così. Ma se invece tu hai bisogno di uscire, di prendere aria. si interruppe, con un imbarazzo che gli stava addosso come un guanto. ... insomma, sai dove sono. Lei gli sorrise, e quando tornò in casa si sentiva il cuore molto meno pesante. Per una misteriosa associazione di senso con la visita di Andrìa, il pensiero che da settimane la divorava come un verme aveva bucato la soglia della sua potenzialità, ed era divenuto decisione chiara. Entrando in camera trovò il cuscino in attesa sulla poltrona accanto al letto e lo prese, poi si avvicinò con la certezza che stavolta nessun senso di colpa l'avrebbe fermata. Forse fu il gesto di tenerezza che aveva visto compiere ad Andrìa a spingerla a chinare il capo verso il volto di Bonaria prima di agire, sfiorandole la guancia con le labbra con una levità che non sentiva di aver mai avuto da quando era tornata a casa. Ci sono cose che si sanno e basta, e le prove sono solo conferma; fu con l'ombra netta di una intuizione che Maria Listru seppe con certezza che sua madre Bonaria Urrai era morta. “
Michela Murgia, Accabadora, Einaudi (collana Super ET), 2014; pp. 160-161.
[1ª Edizione originale: Einaudi (collana Supercoralli), 2009]
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victory-raven · 8 months
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5 PM ╱ Cimitero delle auto
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Il cielo accoglieva le prime sfumature di tramonto e Blaze sapeva che, ormai, mancava davvero poco al rientro. Era il momento più triste delle sue giornate tutte uguali, l’istante in cui era costretto a lasciarsi il mondo esterno alle spalle per far ritorno alla casa coloniale.
Come tutte le volte, Blaze aveva passato le ultime ore del pomeriggio al grande piazzale delle auto abbandonate, ormai colmo di vegetazione incolta. Lì erano state raccolte le autovetture approdate in città, di volta in volta, ed ormai prive di un padrone… e tra tutte c’era quella che era appartenuta a sua madre, l’auto con la quale Blaze era giunto in quel posto maledetto, in quella prigione dimenticata. Non badava più al tempo che passava, aveva smesso da tempo di contare i giorni, le settimane, i mesi… ma dovevano essere passati una decina d’anni, da che si era smarrito in quell’incubo atroce.
Blaze era uno degli abitanti più vecchi di quella cittadina, uno dei pochi che continuavano straordinariamente a sopravvivere alle notti che si susseguivano senza una tregua e probabilmente doveva essersi rassegnato a restare chiuso in quella realtà distorta. Probabilmente, Blaze non aveva più nemmeno memoria di come si vivesse, prima che iniziasse l’incubo. Per Blaze doveva essere sparito tutto, doveva forse non essere mai esistito null’altro all’infuori di quella cittadina tetra e colma di morte.
Per qualche momento se ne stette ancora disteso, di schiena, contro la carrozzeria dell’utilitaria rossa, reggendo con una mano un vecchio taccuino e tracciando quel che doveva essere un disegno con l’altra mano. Blaze disegnava continuamente, disegnava ciò che i suoi occhi coglievano intorno a sé perché l’idea di poter dimenticare qualcosa lo terrorizzava. Ripetutamente, Blaze disegnava il volto di sua madre e, comparandolo ai vecchi ritratti di lei, trovava sempre di averne dimenticato un tratto, un dettaglio che doveva essere stato importante e che, adesso, non lo era più.
Ma si fermò, batté le palpebre e disperse completamente la sua attenzione altrove, attirato d’un tratto dal rumore inconfondibile di copertoni che sfregavano velocemente l’asfalto. Blaze si alzò, scivolò giù dall’auto malmessa e volse lo sguardo nella direzione sonora, era davvero tanto tempo che la città non attirava nuove vittime… ma quel tempo, era evidentemente finito.
@sam-cherry
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la-novellista · 7 months
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Appuntamento a Villa Bellini
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Da poco giunta a Catania, ospite in un meraviglioso albergo di una via del centro, mi accingo a passare la sera in un locale per la cena. Scesa nella hall, l'uomo alla reception mi ferma consegnandomi un biglietto: " L'attendo domani mattina presso il gazebo della musica alla Villa..." Chiedo quindi, dopo aver letto, se fosse a conoscenza del mittente, ma il messaggio era stato semplicemente recapitato da un fattorino e quindi rispose che non poteva darmi alcuna informazione. La mattina dopo, dopo aver scelto una longuette ed una camicia con mezze maniche a palloncino, indossai un cappello con un bel fiocco ed uscii. Era una giornata soleggiata ma la passeggiata fu comunque piacevole, dopo aver chiesto indicazioni arrivai al luogo indicatomi.
Salii fino a raggiungere il gazebo. In piedi c'era un uomo giovane distinto dai capelli ed occhi chiari. Appena mi vide, mi accolse con un sorriso ed un delicato baciamano: " Madame... mi presento sono Vincenzo Bellini, musicista."
Lo guardai interdetta e capi' senza che dicessi niente:" Non la conosco, ma lei conosce me, forse" disse mentre annuivo con la testa" ma ieri tra le signore arrivate all'albergo lei mi ha colpita, era l'unica che teneva una brochure di musica tra le mani. Ecco che quindi mi sono permesso di chiederle un incontro. Vorrei invitarla stasera a teatro, sarà mia ospite, alla prima della mia ultima opera , Norma. Vuole?"
Non sapevo cosa rispondere ero al settimo cielo: " Certo Signor Bellini ci sarò sicuramente"
"Bene l'attendero' all'ingresso. A questa sera"
Come promesso, Bellini era in abito scuro ad attendermi all' ingresso" Benvenuta" disse porgendomi il braccio. Appoggiai la mano e mi invitò ad entrare tra il mormorio delle signore e dei signori che mi guardavano come se si stessero chiedendo chi fosse la "straniera"al braccio del Maestro. Ci accomodammo nel palco centrale e prima che partisse l'aria di "Casta Diva" disse: "Alla fine vorrei il suo sincero giudizio. Ci conto". Si abbassarono le luci e sentii la sua mano sfiorare la mia, stette così tutto il tempo come se volesse percepire ciò che stessi provando. Finito mi accompagnò all'esterno del teatro: " Facciamo due passi così mi racconta...ma credo le sia piaciuta, l'ho sentito "
"Sì, Maestro, straordinaria, cosa devo aggiungere. L'opera mi ha tolto le parole ma mi ha lasciato tante emozioni..."
Si fermò, mi prese le mani e guardandomi negli occhi disse:" Trovi le parole per parlare di me, per ricordami ed ogni volta che ascoltera' Norma vorrei sentirla emozionare come stasera ovunque lei sarà. La musica può tante cose Signora come legare le persone."
Abbassai la testa per non far notare l' imbarazzo, lui sorrise e riprendemmo la passeggiata sotto il cielo di Catania illuminato dalla luna e profumato dal mare.
Dedicato a Bellini ed alla sua città.
Ph. Il gazebo della musica. Villa Bellini, Catania
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emozparole-blog · 10 months
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Chiamatemi pure "strana", perché sono una donna che pretende rispetto e sincerità. Chiamatemi pure "pazza", perché amo mettermi in gioco ogni volta, rischiando anche "pezzi" del mio cuore. Chiamatemi pure "fanciulla", perché nonostante i miei anni, non ho mai perso la voglia di stupirmi.
Chiamatemi pure "troppo sincera",si, fatelo pure, perché le maschere mi stanno troppo stette e se questo vuol dire andare avanti sapendo di dover remare "più degli altri", ben venga, perché per me non c'é niente di piu' bello che essere se stessi..
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sayitaliano · 2 years
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What do I think about when I can't fall asleep? I basically play with Italian words and letters and then come here to share with you (sorry). But maybe it can be of help for when you have to write (especially the first two words in this post) or... to remember different group of words? Idk, but here you have:
sete = thirst
sette = seven
stette = s/he stayed (passato remoto verb "stare", 3rd singular person)
setter = setter (the dog breed)
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sophie-blanceur · 9 months
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L'urgenza di lui la consumava,
lasciandola in balia solo dei suoi sensi.
Gli chiese di affondare dentro di lei,
senza pietà,
aveva bisogno di dolore in quel momento,
di sentirlo fondersi con ogni parte di sé.
Ma lui stette lì,
fermo,
beandosi del suo viso
trasfigurato dal desiderio
e iniziò a scivolare nel suo sesso
un centimetro per volta,
devastandola nell'anima
prima ancora che nel corpo.
Elisabetta Barbara De Sanctis
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Sfilò la mano da sotto la gonna, mi girò e mi braccò contro il muro accanto, rendendomi ancora inerme. Prima che potessi immagazzinare ossigeno nei polmoni, mi avvolse la gola con le dita umide dei miei umori e mi stette addosso; il suo peso parve triplicarsi. Gli occhi erano scuriti dalla collera, il volto contratto dalla frustrazione. Deglutii spaventata. Ero così incantata, e intimorita, che non riuscii a ribellarmi. Entrambi rimanemmo immobili, sospesi in quei secondi cadenzati, scanditi da un destino che attendeva, quanto noi, di vedere cosa sarebbe successo. Lui inclinò il capo per avvicinarsi a me e schiuse le labbra, distanti solo un soffio dalle mie. Il naso mi sfiorò una guancia fino a seguire la lenta traiettoria che lo avrebbe condotto all'angolo della bocca. Il suo fiato si mescolò al mio, lo catturò e me lo strappò via. Fu bravo a celare i suoi intenti lascivi, ma non così tanto come sperava. Riuscii a cogliere il bagliore della lussuria che infiammò le iridi. Seppur per un breve attimo, un fulgore accecante le attraversò come una stella cadente che sferza il cielo in una notte nebbiosa. Con un sospiro angosciato, appoggiò la fronte alla mia, i capelli neri mi solleticarono la pelle, e si permette contro di me lasciandomi percepire la fatale tentazione contro la quale stava lottando per non cedere. Avrei voluto toccarlo, lambire ogni linea del suo corpo prestante e provocargli la stessa frenesia che pervadeva me ogni volta che gli ero vicino.
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shambelle97 · 1 year
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Avvertenze: 
Contenuti espliciti
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 Loki aveva appena concluso di lisciarsi le pieghe della giacca.
Egli diede un'ultima occhiata nei confronti della chioma corvina, prima di uscire alla ricerca di varie provviste.
Il Vuoto era una dimensione alquanto insolita e particolare: una sorta di limbo privo dello spazio e del tempo.
Al suo interno venivano condotte persone senza una casa in cui vivere, una famiglia o amici su cui contare...persone come lui venivano definite "Varianti."
Ad occuparsene era nientemeno che la Time Variance Authority: un'organizzazione specializzata in crimini temporali.
Il fattore scatenante del suo Evento Nexus fu proprio quello di divenire Presidente degli Stati Uniti D'America.
Dopo aver trionfato contro i Vendicatori e assoggettato New York al proprio volere, il famigerato Dio dell'Inganno desiderò ascendere al potere governativo.
Una bramosia incessante e incontrollabile che bisognava soddisfare senza troppi indugi.
E poi c'era lei, uno dei più grandi punti interrogativi della sua esistenza.
Elena, quello era il suo nome: una semplice ragazza con il sogno di cantare sopra i più grandi palchi internazionali.
Thor aveva fallito, cancellandosi dal resto.
La giovane sarebbe riuscita a farlo ragionare?
A ricondurlo verso la retta via?
Si erano conosciuti più o meno due anni prima, ritrovandosi ad Asgard per puro caso assieme alla sua famiglia.
Ebbe modo di palesarsi dinnanzi alla ragazza, sfoggiandone la fiera e oscura bellezza.
Entrambi furono protagonisti di una sanguinosa battaglia, conclusasi con la loro vittoria.
Ma una scommessa ideata da quest'ultimo, innescò un pesante disguido tra i due.
Per molto tempo decisero di rimanere separati.
Inoltre Lingua D'Argento dovette dedicarsi ad una minuziosa vendetta nei confronti del padre e del fratello.
Fu proprio durante la fine delle elezioni che accadde ciò...si era presentata da lui, chiedendogli di rinunciare alla carica.
La squadrò con meticolosa attenzione: indossava un elegante tubino nero, mostrando una piccola scollatura dei suoi generosi seni.
I piedi erano calzati da un tacco dieci del medesimo colore.
Il grazioso viso della fanciulla era contornato da un trucco leggero.
Ridacchiò sardonico, sfoderando un ghigno crudele.
Elena accigliò lo sguardo di rimando.
“Non mi aspettavo di ricevere visite. Allora: quale buon vento ti porta qui?”
Chiese il neo presidente, protendo le braccia.
“Sei dotato di una notevole perspicacia, non c'è alcun bisogno che te lo riveli personalmente.”
Replicò asciutta la giovane.
L'altro assunse un'aria impassibile.
 Non aveva tutti i torti: Loki era in grado di intuire le intenzioni degli altri ancor prima che aprissero bocca.
“Pensi davvero che io rinunci a questa poltrona per mano tua? Mi credi sul serio un inetto?”
Incalzò costui, avvicinandosi verso il sedile in pelle marrone.
Si sedette sopra di esso, poggiando le mani sulla scrivania.
“Assolutamente no: ma questa follia deve cessare di esistere.”
Ordinò tagliente, serrando la mascella.
Dalla borsa estrasse una pistola, puntandola nella sua direzione.
Conosceva bene il corretto funzionamento di quell'arma...l'Agente Romanoff ebbe modo di istruirla a livelli eccelsi.
Loki alzò le mani in segno di resa.
Tuttavia non si limitò soltanto ad obbedire: umiliarla sarebbe stato divertente.
“Quella è superflua! Ti servirà a ben poco.”
Le fece notare in una nota canzonatoria.
L'ultima volta tentò di sparargli al petto, venendo immobilizzata dall'avversario.
Ancora poteva rammentarne la gelida sensazione della lama sul proprio collo.
“Può darsi: però non amo affatto mollare la presa...lo sai meglio di me, Dio degli Inganni.”
Puntualizzò la giovane donna, continuando a tenere l'arma puntata nei confronti dell'Ase.
L'Ingannatore stette per pronunciare qualcosa, ma vennero interrotti da un insolito spettacolo...un portale luminescente dai riflessi arancio osò manifestarsi dinnanzi ai loro occhi.
Dal cosiddetto varco, uscirono due uomini e una donna.
Essi erano muniti di uno strano bastone.
Coloro che osarono catturarli, potevano definirsi dei cacciatori che lavoravano per la TVA.
La realtà in cui vivevano venne smantellata di colpo.
L'azione avvenne tramite una Carica Di Reset: un dispositivo in grado di cancellare le varie timeline.
Entrambi furono costretti a seguirli, finendo sotto processo.
Avevano violato le ingenti norme della Sacra Linea Temporale.
Le ultime parole di Ravonna Renslayer furono abbastanza chiare.
Erano appena stati dichiarati colpevoli.
Li falciarono senza troppi ripensamenti, venendo spediti all'interno del Vuoto.
Col passare dei giorni e dei mesi, scoprirono dell'esistenza di altre varianti dello stesso Loki.
Nessuno di loro possedeva lo stesso identico aspetto.
Però le caratteristiche comportamentali lasciavano intuire ciò.
Decise di formare un nuovo esercito, proclamandosi come loro leader.
Dovettero rifugiarsi all'interno di uno degli edifici semidistrutti.
Una feroce bestia di fumo chiamata Alioth li avrebbe trasformati come proprio pasto.
A detta del "Vanaglorioso", altri Loki erano stati falciati diversi anni or sono.
Colui che regnava all'interno del limbo era nientemeno che uno sciocco ragazzino, ma che sapeva già il fatto suo.
Avrebbe mirato a governare il Vuoto, spodestando dal trono la versione più fanciullesca e infantile di sé.
Si diresse nella stanza riservata ad Elena, dormendo profondamente.
La osservò a lungo: i capelli sparsi sul cuscino, le labbra morbide e piene semiaperte...una visione eterea così seducente da fargli nascere un fuoco da dentro.
Non aveva mai smesso di bramarla: adorava sentirla sotto di sé, mentre invocava e gemeva il suo nome.
L'aveva accolta all'interno di calde coperte in pelliccia nelle sue sfarzose camere ad Asgard.
Divenne la sua amante soltanto per una sera.
In realtà la conosceva ancor prima che mettesse piede nel Regno Dorato.
Fu spettatore ad un suo saggio di pianoforte a Parigi.
All'epoca rimase folgorato dalla sua bravura e la sua bellezza.
A tal punto da donarle vari mazzi di rose nere in anonimato.
Loki amava girovagare per Midgard, nonostante disprezzasse gli umani.
Si imbatté in lei per un puro e semplice caso del destino.
Si avvicinò ad ella, stampandole le proprie.
Fu lesto a lambirne il contorno.
La punta della lingua solleticò il labbro inferiore della ragazza, ridestandola dal sonno.
Stuzzicarla era il suo passatempo preferito.
Non avrebbe mai rinunciato ad irritarla solo per capriccio.
Si guadagnò un sonoro schiaffo, lasciando intendere che odiasse essere trattata come la sua puttana di turno.
L'uomo non mostrò alcuna reazione: tale atteggiamento non le piacque.
Si limitò a massaggiare la parte dolente, avvicinando il volto eburneo a quello della prigioniera.
“Verrai severamente punita per questo.”
Mormorò minaccioso all'orecchio sinistro, legandola alla testiera del letto...quest'ultima iniziò a tremare come una foglia.
Bendò la sua vista, strappandole di dosso l'unica veste che indossava.
Il freddo la pervase fin dentro le viscere.
Loki era estremamente crudele e ambizioso.
Non si sarebbe mai preso cura di lei, tutt'altro.
L'avrebbe trattata come uno straccio vecchio di cui disfarsene.
Evocò un pugnale dal manico intarsiato, sfiorando la pelle nuda della donna.
La gelida sensazione si azzardò a provocarle una scarica di brividi ardenti.
Il corpo della bellissima midgardiana, bramava qualcosa di più completo.
Continuò a sfiorarne la pelle rosea, finché non decise di riporlo sopra il comodino.
Desiderava prolungare quel piacevole supplizio in altri modi conosciuti.
Si umettò le perfide labbra, posandole sul morbido collo di lei.
Fu ingordo e passionale.
Abbassò una coppa del reggiseno, giocherellando col capezzolo.
Notò quanto fosse già turgido.
Lo baciò, lo leccò e infine lo morse.
Elena non poté far a meno di gridare.
Trattenersi era impossibile.
“Invocami, piccola sconsiderata!”
Ringhiò furibondo.
Costei eseguì quanto detto.
Le urla voluttuose della giovane, bearono le orecchie della divinità.
Desiderava scoparla più a fondo, ma dovette attenersi al piano.
La punizione si basava sul negarle il piacere.
Le rimosse la benda, rivelandone le iridi scure.
Erano rosse e gonfie a causa delle lacrime versate.
Tale scenario gli smosse il cuore, eppure non osò chiederle scusa...era orgoglioso fin dentro le ossa.
Uno dei suoi incantesimi le permise di avere indosso nuovi abiti.
Che si trattasse di un'implicita maniera per farsi perdonare?
L'avvolse con una calda coperta di lana, evitando di liberarla.
Avrebbe deciso di eseguire l'azione al suo ritorno.
Rincasò diverse ore dopo: le provviste raccolte non erano granché, ma quanto bastassero per sfamarli.
Aprì l'uscio della porta, dirigendosi al capezzale della ragazzina.
Era in preda ai morsi della fame.
Le slegò i polsi, ricorrendo ad uno dei suoi pugnali.
Erano solcati da vistosi segni violacei.
Li guarì col magico tocco del Seiðr, sfiorandone delicatamente la pelle.
Mugolò appena per via del dolore, rasserenandosi in pochi secondi.
“Il pranzo è servito, mia cara.”
Esordì canzonatorio, porgendole un piatto con sopra del cibo.
Ella rifiutò disgustata.
“Non ho fame, grazie.”
Mentì, cercando di allontanarlo: tuttavia captò al volo la menzogna.
“Non azzardarti a mentire, sciocca umana...è così palese che sei affamata.”
Rispose perentorio senza demordere.
Le porse nuovamente il piatto, riuscendo nell'impresa.
Nonostante disponesse di un notevole caratterino, non era immune alle sue manipolazioni e i suoi raggiri.
Non le avrebbe mai arrecato del male pur ricorrendo a dei metodi poco ortodossi.
Però era accaduto: lo si poteva notare, leggendole lo sguardo colmo di sofferenza e terrore.
“Mi temi?”
Chiese d'un tratto, cacciando un sorrisetto furbo.
Elena deglutì, provando a negare l'evidenza.
Avvicinò il proprio viso, accarezzandole una guancia con estrema lentezza.
Una piccola lacrima gli bagnò il dorso del pollice.
Gliel'asciugò, lanciandole un'occhiata intensa.
Si soffermò sulle labbra a forma di cuore, indugiando a lungo.
Non c'era alcun dubbio, la desiderava.
“Hai paura di me?”
Continuò a chiedere, sperando di non risultare un povero sciocco.
“No...non ti temo.”
Affermò, mascherando la bugia pronunciata.
Il Fabbro di Menzogne se ne accorse in fretta.
Non gli avrebbe mai dato nessuna soddisfazione.
Aveva imparato a conoscerlo.
Godeva delle sofferenze altrui: al solo pensiero ne gioiva.
Scosse il capo infastidito, abbandonandola di nuovo.
Avvertiva il bisogno di schiarirsi le idee.
“Che ne facciamo della ragazza, signore? Ce ne sbarazziamo?”
Udendo la domanda, il Dio delle Malefatte conferì un chiaro e preciso ordine.
“Nessuno di voi oserà torcerle un capello, è chiaro? Assicuratevi piuttosto di cacciare via quell'insulso ragazzino con ogni mezzo necessario...quel trono dev'essere mio.”
La variante obbedì senza esitare.
Chiunque intralciasse i suoi folli piani, avrebbe perito in modo atroce.
Ovviamente tornarono tutti a mani vuote: localizzarne l'esatta posizione si sarebbe rivelato un arduo procedimento.
Avrebbe potuto ucciderli, proseguendo con le ricerche in solitudine.
Preferì dar loro un'ultima chance.
“Agiremo entro domani: non possono più sfuggirci d'ora in avanti.”
Chiosò con aria di trionfo.
Grazie alle informazioni fornitegli dal Loki Vanaglorioso, scoprì che fosse in compagnia di una versione anziana.
Tornò da Elena nelle ore successive: la vide rannicchiata al muro e a testa bassa.
Piangeva silenziosamente, nascondendo il volto.
Bastò poco per intuirlo.
Il Vuoto era una dimensione cosmica priva di ogni logica.
Non sapeva con certezza per quanto tempo fosse stato via.
Lontano da lei.
“Ti converrebbe alzarti: sei in una posizione alquanto scomoda.”
Mormorò, assumendo un tono più mite dall'ultima volta che le aveva parlato.
“Perché continui a tormentarmi in questo modo? Che cosa vuoi?”
Ribatté con la voce rotta dal pianto e rimanendo col capo chino.
Il Signore della Menzogna ignorò la domanda, inginocchiandosi verso quest'ultima.
La ragazza si guadagnò una stretta possessiva e nostalgica da parte sua.
Mai si era dato così tanto da fare per un'umana.
In genere detestava essere melenso con le donne, ma quella ragazzina era un balsamo per le proprie ferite.
Gli veniva automatico assumere determinati comportamenti.
Secondo il Dio, i sentimenti lo distoglievano dalle principali aspirazioni.
Inconsapevolmente ne era divenuto schiavo.
La prese tra le braccia, deponendola sul letto: notò quanto fosse ancora più fragile e delicata.
“Non voglio recarti del male.”
Precisò, togliendosi l'elmetto e sdraiarsi accanto alla fanciulla.
“Ma è già successo, Loki: non si può tornare indietro...e lo sai anche tu.”
Mormorò flebile con la voce venata di delusione.
Aveva persino perso quell'animo combattivo che la contraddistingueva.
“Vieni qui.”
Le rivolse attraverso un invito.
La circondò in un disperato abbraccio, affondando il bel volto candido sulle ciocche castane.
Il loro rapporto poteva considerarsi ambiguo.
Le intenzioni di Loki non erano mai chiare.
Di sicuro non poteva trattarsi di amore, o perlomeno era ciò che ripromettevano spesso.
Posò le labbra beffarde sulle sue, stabilendo un piacevole contatto.
Un brivido lo percorse lungo la schiena.
Gli era mancato assaporare quella bocca paradisiaca.
Era capace di condurlo al Valhalla senza il bisogno di morire.
Fremette al tocco stregato di Lingua D'Argento: le mani di quello scaltro bugiardo riuscivano a captarne i punti giusti.
Mani avide di possederla e plasmarla, fino a renderla una proprietà esclusiva.
Scese con la lingua, percorrendo ogni centimetro del collo.
Gliel'offrì senz'alcun remore.
Cattivi pensieri, invasero la mente di Elena.
Venne colta da un blocco improvviso.
Pensieri che riguardavano l'Ingannatore.
“Lasciati andare: non temere nulla.”
Le sussurrò calmo, mordicchiando sensuale il lobo dell'orecchio.
Non poteva negare di avere un simile effetto su di lei.
Un devastante potere in grado di trascinarla nei sentieri più oscuri.
Le slacciò il corsetto del vestito, elargendola di baci.
Le loro lingue intrapresero una frenetica danza.
Dopodiché iniziò a spogliarla, lasciandola in intimo.
La trovò incantevole nella sua semplicità.
“Sei splendida.”
Commentò languido, pentendosi delle orride azioni nei suoi riguardi.
Lasciarla andare, significava rinunciare all'idromele più buono di Asgard per un vino scadente.
Se non si fosse gettato dal Bifrost qualche anno addietro sarebbe tornato da lei, chiedendole perdono.
Non poteva ritenersi degno di averla, eppure stava accadendo.
Era solo una semplice umana.
Un prefisso destinato a vacillare col tempo.
Ne era follemente attratto e lo sapeva.
Una catena che non avrebbe più spezzato neanche se l'avesse voluto.
Elena credette che quell'elogio in realtà fosse dettato dalla foga del momento.
L'infido Dio dell'Inganno non aveva a cuore niente e nessuno.
“Smettila di adularmi: sai bene che non è così.”
Loki scosse il capo, baciandole la fronte.
Come poteva pensare una cosa del genere?
“Ti sbagli: tu sei mia, lo sei sempre stata...e lo sarai in eterno.”
Dichiarò con fermezza, guardandola dritta negli occhi.
Lo sguardo verde e penetrante del moro la mise in soggezione.
Era reale quella confessione? Davvero le stava a cuore?
Gli lanciò un'occhiata incerta, titubando all'idea che potesse amarla.
“No, Loki: a te importa soltanto di governare, tramare, ingannare!”
Incalzò, scandendo per bene l'ultima parola.
Il Dio degli Inganni non avrebbe mai avuto tempo necessario da dedicarle.
Troppo impegnato ad escogitare nuove trame, vendette e sotterfugi per raggiungere i propri obbiettivi.
“Sei compresa in cima alla lista dei miei gloriosi propositi...cerca di rammentarlo.”
Soffiò, riprendendo a baciarla come non mai prima d'ora.
Consumarono l'amore, rotolandosi tra le lenzuola.
Si era ritrovata sopra di lui, chinandosi a baciargli il torace.
Ancheggiò sul suo bacino, gemendo e gridando come una forsennata.
Il Dio chiuse gli occhi, gustandosi il piacere che gli stava procurando.
Nessuna donna era mai riuscito a farlo sentire così appagato e felice.
Gemette arrochito per colpa del desiderio: come aveva fatto a privarsi di una creatura tanto deliziosa?
Emise un mugolio di estremo godimento.
I baci scambiati con la sua preziosa donna furono avidi e golosi.
La lingua astuta del principe cominciò ad accarezzarle il palato.
Come se i cancelli di un paradiso ebbero modo di spalancarsi.  
Gli morse il labbro inferiore con veemenza, procurandogli del dolore.
Le piacque vederlo soffrire.
Quel gesto insolente le costò caro: lo sguardo smeraldino del Dio, divenne ancora più lucido e famelico.
Ben presto si sarebbe vendicato a dovere.
Quelle gemme brillanti e sagaci la sottoposero ad un'occhiata parecchio intensa.
Le guance si tinsero di un bel rosso vermiglio.
Lambire quelle gote così brucianti e rosse fu come gustare due mele mature...un'esperienza mistica destinata a ripetersi.
La palese timidezza della giovane terrestre lo condusse ad un profondo stato di estasi.
“Sei un privilegio di cui solo io posso disporre.”
Ansimò l'ex principe cadetto, assaporando quella bocca di velluto.
Una dolce minaccia a cui non avrebbe mai potuto sottrarsi.
Annuì con la testa, docile e remissiva: notò quanto fosse ammaliante.
Un timbro roco e profondo, nato apposta per sedurre.
Si soffermò sulle curve dolci dei suoi seni.
Erano sodi e rotondi.
Li strinse con forza, strappandole un gemito furioso.
Ribaltò le posizioni, gettandola con poca grazia sul materasso.
Adesso era lui a condurre il gioco.
Le lanciò uno sguardo carico di malizia: si leccò le labbra, immaginando scenari di pura lussuria.
Al tocco di Loki, la ragazza si sciolse come neve al sole.
Le massaggiò un seno, suggendone il capezzolo.
Successivamente vorticò la propria lingua attorno all'areola destra.
Baciò ogni centimetro di pelle senza fermarsi.
Non poteva farne a meno.
Scese fino a baciarle l'interno coscia.
Elena spalanco le iridi, intuendone le vere intenzioni.
Stuzzicò la femminilità di lei con baci passionali e roventi.
Fu lesto a lambire la carne umida, assaporandone il dolce nettare.
Lo pregò affinché continuasse con quella piacevole tortura.
Gemiti e sospiri si infransero per l'intera stanza.
Risalì, scrutandone i graziosi lineamenti.
Voleva imprimersi ogni dettaglio nella propria mente e nel cuore.
“Non rinuncerò a te...non più.”
La avvertì, riservandole un dolce bacio sopra lo zigomo.
Elena si commosse in pochi istanti.
Poteva leggerne la sincerità in quei meravigliosi specchi d'acqua.
Era consapevole che si sarebbe preso cura di lei.
Strofinò la propria virilità sulla sua invitante apertura.
Un gioco malizioso e perverso, scaturito dal dispetto.
“Implorami di scoparti: so quanto lo desideri.”
Bisbigliò peccaminoso e con una certa imperiosità.
Raramente si esprimeva in termini così poco raffinati.
“Sono tua, Signore del Caos: prendimi.”
Supplicò vogliosa e agonizzante: Loki sorrise compiaciuto.
Lo accolse dentro di sé, cingendo le gambe attorno alla sua vita.
I loro corpi aderirono alla perfezione.
Appositamente per fondersi in un'unica essenza.
Dopo averle permesso di abituarsi a quella gradevole intrusione, iniziò a spingere lento e cadenzato.
L'eccitazione crebbe per entrambi a dismisura.
Oramai erano divenuti un tutt'uno.
Rimase aggrappata al Dio, graffiandogli le spalle.
Costui affondò sempre più deciso e veloce.
“Pregami, piccola: invoca il mio nome.”
Le intimò, continuando coi suoi selvaggi e violenti affondi.
Sembrava quasi una supplica.
“Loki...ohhhh, Looooki!!!”
Gridò a pieni polmoni il nome di colui che aveva compreso di amare.
Beandosi delle sue urla, Loki eseguì altrettanto.
Vennero in simultanea, crollando sfiniti l'uno sopra l'altra.
Un orgasmo travolgente mai sperimentato prima di allora.
Accarezzò le ciocche nere dell'uomo, arrotolandosele al dito.
Non negò affatto di apprezzarle.
In risposta, il Dio del Caos le stampò le proprie labbra.
Labbra beffarde, ironiche e velenose....però così allettanti e tentatrici per essere gustate.
Si girò dall'altro lato del letto, venendo invasa da pensieri di vario genere.
“Voltati.”
La richiamò, accarezzando la schiena nuda.
Elena preferì non voltarsi, temendo di essere cacciata dal suo giaciglio.
Osò baciargliela, sperando in cuor suo di trarne una risposta.
Che avesse commesso un errore senza rendersene conto?
“C'è qualcosa che ti turba, piccola umana?”
Le bisbigliò all'orecchio, cercando di comprendere il motivo del suo strano atteggiamento.
“Ho sbagliato: non sarei mai dovuta venire a letto con te.”
Rimase sconvolto, udendo quell'affermazione.
Cosa la spinse a pentirsene?
“Ti ricordo che hai compiuto una scelta...perché?”
Inquisì, assumendo un'aria stranita.
“Perché tu mi ingannerai, lo stai già facendo.”
Fu un'accusa infondata quella della giovane.
Essa era dettata dal timore dell'abbandono.
“Elena, ascolta: non hai giaciuto assieme a me soltanto per scaldare il mio letto. Per secoli ho frequentato i distinti sessi pur di trarne piacere, ma la mia scelta ricade solo su una persona.”
Confidò, prendendole una mano.
Gliela baciò, dimostrando di desiderare un legame più profondo.
La ragazza colse il gesto, fraintendendo ogni cosa.
Divorò la carne rosea della bocca con tutta l'anima che possedeva in corpo.
Era l'unica maniera per decretare la pace con lei.
“Sono io ad aver commesso un terribile errore: non avrei mai dovuto lasciarti andare.”
Confessò, circondandola con le braccia.
La strinse forte, temendo che gli sarebbe sfuggita di nuovo.
Continuarono ad amarsi, a cercarsi, a coccolarsi...dormirono abbracciati e con i cuori colmi di gioia.
Si erano dichiarati eterno amore, nonostante gli antichi dissapori.
O perlomeno era stata la stessa Elena a confessare ciò che provava nei confronti di Loki.
Il giorno seguente notò di essersi svegliata senza l'uomo che amava.
Non c'era più traccia della magnetica e affascinante presenza del Dio dell'Inganno.
Dovette ricredersi sul suo cosiddetto abbandono.
Si era premunito di lasciarle dei vestiti nuovi e alcuni monili di pregiata fattura.
Lesse il bigliettino, costituito da un'accurata ed elegante calligrafia.
Promise che sarebbe tornato.
Ma non aveva idea di cosa stesse tramando nell'ombra.
Mirare al governo del Vuoto era uno dei progetti più ambiti.
Una cupidigia totalmente irrefrenabile.
La soddisfazione non gli apparteneva: la sua smisurata sete di potere era impossibile da placare.
Tumblr media
I pensieri riguardanti la ragazza si insinuarono in lui come il più dolce dei veleni.
Così potente da scorrergli nelle vene.
Era in grado di sciogliere quel ghiaccio, situato nel suo gelido e perfido sangue.
Scosse il capo, tentando di cacciarli dalla mente.
Ne avrebbero causato l'assoluta distrazione.
Adorava osservarla mentre le dormiva accanto: l'avrebbe protetta a qualsiasi costo.
Si era accorto troppo tardi di esserne innamorato.
Poteva considerarsi la sua debolezza personale.
Una droga di cui era divenuto dipendente.
Non pronunciò mai le fatidiche parole: l'eccessivo orgoglio non gliel'avrebbe consentito.
Ardeva all'idea di sollevarle ancora quelle dannate vesti...privarsene lo considerava un sacrilegio.
Perlustrò ogni angolo della zona con meticolosa circospezione.
Il nascondiglio del piccolo Loki doveva essere nelle vicinanze.
La Dea Bendata fu stranamente dalla sua parte.
Qualcuno stava per uscire dal tombino, servendogliela su un piatto d'argento.
Quest'ultimo si rivelò essere un'altra variante di sé stesso, proprio identica a lui.
Inclinò la testa da un lato, come per squadrarlo meglio.
Di sicuro era stato falciato da pochi attimi.
“Beh, salve! Quale di noi, sei?”
Proferì minaccioso.
Alla vista di quelle varianti particolarmente ostili, Loki non poté far a meno di pensare in negativo.
Gli sembrava di vivere all'interno di un incubo.
Assaltarono l'ubicazione di Kid Loki, non curandosi delle fatali conseguenze.
Era giunto il momento di reclamare ciò che gli spettasse di diritto.
                                                  𝗙𝗶𝗻𝗲
One Shot:
~ Fire And Mischief ~
Name Chapter:
~ Attrazione Fatale ~
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libriaco · 1 year
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Un racconto di Natale
« Davanti a te, Giovanni. Spara! Spaaaraaa!! »
Giovanni sentì il bisbigliare acuto e angosciato di Oreste; l’amico, invisibile nella notte della trincea, non era troppo lontano da lui.
Oreste era quasi un suo compaesano, i due vivevano in paesetti vicini, a pochi chilometri di distanza, ma si erano conosciuti lì, nel fango della guerra; avevano apprezzato l’uno il carattere dell’altro e la fiducia reciproca aveva cementato rapidamente la coppia, così che quando di notte c’era da fare un turno di sentinella, se c’era l’uno, si offriva di andarci anche l’altro: sapevano entrambi che, insieme, sarebbe stato più probabile essere ancora vivi, all'alba.
Grande, grosso, muscoloso e glabro, Giovanni; basso, piccolo, il corpo magro e nervoso, un filo di peli tra il naso e il labbro superiore, Oreste, di qualche anno più vecchio del camerata.
Giovanni non perse tempo a pensare; la notte era buia, non vedeva nulla, ma sparò, subito, dritto davanti a sé. Stette in ascolto, sentì un tonfo sordo, come di un cinghiale che cade, nella macchie della loro Maremma. Poi più nulla, nessun allarme durante tutta la notte; il nemico rimase tranquillo e così anche le trincee italiane.
Appena cominciò ad albeggiare i due, che solo allora riuscirono a vedersi in faccia, si fecero un cenno con la testa: volevano scoprire cosa fosse successo nella notte. Sporsero contemporaneamente e appena appena l’elmetto dalla trincea (non volevano certo che un cecchino li prendesse di mira!) e dettero un’occhiata veloce alla terra di nessuno davanti a loro.
Lì in mezzo, a pochi metri dalla loro trincea, c’era un omone, un colosso ungherese, morto sdraiato nel fango; due bombe a mano pronte per essere lanciate, altre che gli gonfiavano il tascapane a tracolla: il soldato aveva tentato, come qualche volta succedeva da entrambe le parti, un’azione isolata per prendere, da solo, la trincea nemica; non gli era andata bene.
Questa storia Oreste la raccontò cinquanta anni dopo, alla fine di un lungo pranzo di Natale; usò poche parole, semplici e secche, senza dilungarsi nei particolari, per ricordare un commilitone, un amico di tanti anni prima, “il Carli”, che probabilmente quella notte aveva salvato la vita di tanti fanti chiusi nella trincea e che, alla fine della guerra, non sarebbe stato tra i fortunati che tornarono a casa.
Nonno raccontava raramente gli anni della Grande Guerra, evidentemente non gli piaceva ricordare, e non indugiava nei particolari né si inventava storie di eroi che potessero attirare l’attenzione degli ascoltatori; io, bimbetto, sentivo le sue parole senza rendermi conto che parlava di sangue e di sofferenze, di vita e di morte: quel giorno mi colpì solo l’immagine del gigante ungherese carico di bombe e non pensai certamente che la mia stessa esistenza fosse legata ai fatti di quella lontana notte di trincea. Forse invece la morale del racconto del nonno era proprio questa: tu adesso sei qui solo perché quella notte Giovanni sparò.
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