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#il ritorno del re
andata-e-ritorno · 2 months
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Art by Ami Thompson
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uptonogoodart · 1 year
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“There, peeping among the cloud-wrack above a dark tor high up in the mountains, Sam saw a white star twinkle for a while. The beauty of it smote his heart, as he looked up out of the forsaken land, and hope returned to him. For like a shaft, clear and cold, the thought pierced him that in the end the Shadow was only a small and passing thing: there was light and high beauty for ever beyond its reach.”
(J.R.R. Tolkien - Return of the King)
I’m so glad to be back! Here’s my art from the @whetherornozine​, hope you enjoy 💜
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dominousworld · 1 year
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IL RITORNO DEL RE
IL RITORNO DEL RE
di Giuseppe Aiello Che Iddio affretti la manifestazione del Mahdi Atteso, dello Saoshyant del Fuoco eterno, il Kalki Avatara del Sanatana Dharma, l’Artù ”dormiente” in Avalon: il Figlio dell’Uomo [Perfetto] (al-insan al-Kamil). Colui che riaprirà le Porte del Tempio, che dirà ai suoi discepoli più intimi “spegnete la Lampada, il Mattino è sorto” (detto di Imam Ali al discepolo kumayl), e noi…
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crazy-so-na-sega · 30 days
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Puoi ignorare i simboli, MA i tuoi nemici no. I comunisti no... Dopo aver preso il potere, la prima cosa che fecero i comunisti fu INVERTIRE il significato di 3 simboli tradizionali.
Evola scrive che i movimenti rivoluzionari moderni prendono "i principi, le forme e i simboli tradizionali" delle società più sane del passato e danno loro una NUOVA svolta. Scava in 3 simboli:
• Il colore rosso
• La parola rivoluzione
• Il simbolo della stella pentagrammica
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sul ROSSO: Nell'antica Roma, l'Imperatore era vestito e tinto di rosso violaceo per "rappresentare Giove, il Re degli Dei". Nel cattolicesimo, i "Principi della Chiesa", i cardinali, indossano una veste rosso scarlatto. Tradizionalmente, il rosso è stato collegato alla gerarchia, all’ordine e al potere. Nell'antichità classica, il fuoco era collegato al colore rosso. Il "paradiso sopra il cielo" era composto da puro fuoco. Il rosso rappresentava autorità e gerarchia. Ma nel XX secolo fu cooptato dai marxisti e fatto rappresentare il contrario. : Uguaglianza, masse e democrazia.
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La parola Rivoluzione: “Rivoluzione nel senso primario non significa sovversione e rivolta, ma in realtà anche il contrario: ritorno a un punto di partenza e movimento ordinario attorno a un centro” In fisica questo è vero: la rivoluzione di un pianeta significa "gravitare attorno a un centro". Le rivoluzioni mantengono i pianeti in un'orbita stabile.
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Le società tradizionali immaginavano che la rivoluzione fosse un movimento che mantiene in armonia l'universo morale. Ma Evola nota che le rivoluzioni adesso significano: allontanarsi dai centri stabili - sommosse- distruzione della regolarità.
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Evola: La Rivoluzione moderna è come lo scardinamento di una porta, l'opposto del significato tradizionale del termine: le forze sociali e politiche si allentano dalla loro orbita naturale, declinano, non conoscono più alcun centro né alcun ordine.
Sul pentagramma:
Il pentagramma, una stella, rappresentava tradizionalmente il destino dell'uomo come microcosmo che conteneva il macrocosmo. Rappresentava l'uomo come "immagine del mondo e di Dio, dominatore di tutti gli elementi grazie alla sua dignità e alla sua destinazione soprannaturale.
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La stella rappresentava l'uomo come "spiritualmente integrato sovrano in modo soprannaturale". Ma i marxisti presero questo simbolo e ne cambiarono il significato. lo hanno reso terreno e "collettivizzato". E' stato messo sulle bandiere dell'URSS e della Cina comunista, diventando distruttivo di ogni valore più alto
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Questo degrado dei simboli è un segno dei tempi estremamente significativo ed eloquente. I simboli sono il linguaggio visivo universale. Questa trasformazione radicale del loro significato non è casuale. Sono stati intenzionalmente riorganizzati attraverso l'inversione, la sovversione e il degrado.
Jash Dholani
[Julius Evola (L'inversione dei simboli- 1928]
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captain-jale · 3 months
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Il ritorno del re
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smokingago · 5 months
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L'Etna in questi giorni
« Lontano, ad almeno quaranta miglia di distanza, videro il Monte Fato, la base immersa nella cenere e l'alto cono imponente avvolto dalle nubi. I suoi incendi si erano calmati, ed esso ne covava le ceneri ardenti, minaccioso e pericoloso come una belva addormentata. »
Il Signore degli Anelli, Il Ritorno del Re, La Terra d'Ombra
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miciagalattica · 2 months
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Aiace Oileo rapisce Cassandra', di Solomon Joseph Solomon, 1886
IL SILENZIO DI CASSANDRA
Ovvero il triste destino di chi pur conoscendo la verità non è ascoltato.
La giovane sacerdotessa  Cassandra è figlia di Priamo e di Ecuba. Ella non è solo una delle tante figlie di Priamo, é una giovane bella come Afrodite d’oro – così la descrive Omero –, é la sacerdotessa di Apollo. In quanto tale, ha il dono della chiaroveggenza, é in grado di poter vedere ciò che è stato, che è e che sarà. Eppure, avendo respinto le attenzioni del dio da adolescente, è condannata a non essere creduta, a non godere del dono della persuasione. Ogni sua veritiera profezia non verrà mai ascoltata: questa la terribile vendetta del dio alla mortale che gli ha opposto resistenza e non gli si è voluta concedere. Ma la sua forza sta nel continuare a esprimere profezie, anche terribili, senza mai arrendersi
Dopo una lunga guerra tra la coalizione greca e Troia, che dopo 10 anni venne conquistata dai greci, che le diedero fuoco, massacrandone i cittadini. I membri della famiglia reale si rinchiusero nei templi troiani, ma tutto ciò valse a poco. Priamo morì sull'altare del santuario ucciso da Neottolemo(il figlio di Achille, detto anche Pirro) mentre Cassandra, rifugiatasi nel tempio di Atena, fu trovata da Aiace di Locride e violentata sul posto. Trascinata via dall'altare, si aggrappò alla statua della dea, il Palladio, che Aiace, empio e miscredente, fece cadere dal piedistallo. A causa del suo comportamento furono puniti quasi tutti i principi greci, che non ebbero felice ritorno a casa: Aiace trovò addirittura la morte in mare per volere di Atena e Poseidone. Cassandra umiliata, stuprata, sconfitta, diventerà il bottino di guerra del re dei re, Agamennone e fu portata a Micene (la sua città) come schiava e concubina.  Agamennone si innamorò della profetessa e la sposò, aumentando l'odio e la gelosia della moglie Clitennestra . Giunta in città, profetizzò ad Agamennone  la sua rovina e quella della sua famiglia , ma quest'ultimo non volle credere alle sue parole. Cassandra non si piega né desiste, pur sapendo che le sue parole cadranno nel vuoto. Cassandra non vide solo il futuro di Agamennone ma anche il suo tragico destino, aveva già previsto ogni cosa: la vasca da bagno, l’arma, il sangue, le tenebre.
Da quel momento decise di restare muta ( da qui il silenzio di Cassandra). Si verificò l’ennesima profezia, la più nefasta per Lei. Cassandra cadde insieme ad Agamennone sotto i colpi della scure di Clitennestra.
(Clitennestra odiava a morte  il marito per via del sacrificio di Ifigenia (loro figlia) che fu sacrificata agli dei prima della partenza per Troia.
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nymphaforesta · 1 month
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Ooooh queste sono le domande che voglio vedere sulla home! Io ho il cofanetto oro blue ray della trilogia in versione estesa, di solito li riguardo a Natale quando siamo a casa io e mio fratello! (Il ritorno del re in versione estesa è un capolavoro, hanno tagliato scene fondamentali nella versione cinema)
ein vorrei che le persone mi facessero delle domande normali 🥲 quindi grazie!! io devo ancora vedere la versione estesa sul blue ray ma appena ho meno spese me le compro dato che ora il mio ragazzo ha la playstation per lavoro e ne approfitto!! film perfetti
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO PRIMO - di Gianpiero Menniti 
L'UOMO GRECO E L'UOMO CRISTIANO 
La tragedia di Sofocle narra del figlio che in apparenza infrange due tabù: uccide il padre e giace con la madre.  Ma Edipo non è colpevole: l'origine della vicenda è nel misfatto di Laio, il re che teme il pronunciamento dell'oracolo e decide di assassinare il figlio.  Il padre è l'assassino.  Edipo è la vittima.  Laio è dunque colui che non accetta la metafora della morte come passaggio del testimone al figlio.  Non accetta la decadenza del corpo.  Non accetta di trasmettere la sua eredità, l'Io che si scioglie nella figura del figlio. Non accetta la condizione che la natura impone per se stessa, per le sue finalità di vita senza scopo.  La vita che necessariamente è morte.  Così, Laio si ribella, infrange l'ordine e apre le porte al caos.  Edipo è la vittima. Inconsapevole, rifiuta il nuovo ordine imposto dagli eventi, non segue la regola dell'equilibrio, nella scia dell'ignota ma presente e angosciosa eredità paterna. Nella sua sfrontata ricerca di verità si condensa la tragedia indicibile, struggente, insanabile.  Egli è il figlio che si affaccia al mondo attratto dal suo disvelamento, dalla fiducia nella conoscenza.  Anche lui senza misura.  Anche lui epigono del caos.  La tradizione cristiana ripensa il ruolo del padre, ma non entro "l'aretè", necessità di natura e accoglimento del destino di mortale.  L'uomo cristiano coltiva la speranza della salvezza dalla morte e sposta l'asse della verità dall'ordine di natura all'ordine divino.  Il Dio non è caos ma è padre.  Il Dio non è solo onnipotenza ma è divenuto amore.  E Amore vince sulla Natura fino a sovvertirne il corso, fino a superarne la muta indifferenza attraverso il Verbo che è coscienza e ricerca.  Ecco che il padre accetta la sentenza di morte del figlio: 
«Il più giovane disse al padre: "Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta."» (Luca, 15,12). 
Nel mondo ebraico l'eredità chiesta prima della scomparsa del genitore equivaleva ad un delitto, rappresentava il desiderio di sopprimere il padre stesso.  Ed era punibile con la sentenza capitale.  Ma il padre divide l'eredità e lascia andare il figlio: riconosce che il desiderio della sua morte è nel figlio anelito di libertà, estrema pulsione di conoscenza, inclinazione naturale alla vita che divora la vita.  Non si vendica, non si lascia cadere nell'impulso contrastante e sceglie la speranza, confida nella salvezza.  E nel ritorno.  Quando la speranza si avvera e l'ordine naturale dei sentimenti ancestrali è sovvertito, vinto, sconfitto, il padre cancella il passato (il passato è peccato, il presente è redenzione, il futuro è salvezza) e riabbraccia il figlio ritrovato.  La Natura rimane in agguato: l'altro figlio osserva e recrimina e rimprovera: 
«Egli si adirò e non volle entrare; allora suo padre uscì e lo pregava di entrare. Ma egli rispose al padre: "Ecco, da tanti anni ti servo e non ho mai trasgredito un tuo comando; a me però non hai mai dato neppure un capretto per far festa con i miei amici; ma quando è venuto questo tuo figlio che ha sperperato i tuoi beni con le prostitute, tu hai ammazzato per lui il vitello ingrassato" » (Luca, 15, 28, 29, 30). 
Ma è qui che la parabola evangelica tocca il suo culmine, spesso misconosciuto: 
«Il padre gli disse: "Figliolo, tu sei sempre con me e ogni cosa mia è tua; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato."» (Luca, 15, 31, 32). 
Il padre, sublimazione dell'Amore, salva anche lui, anche l'altro figlio incapace fino a quel momento di comprendere l'ordine di Dio, il figlio rimasto entro l'ordine di Natura che reclama la vendetta.  Ma lo salva davvero?  Rembrandt lo pone nella scena, a destra, solenne e torvo di rancore. In severo contrasto con l'espressione di disperata compassione che sorge nell'abbraccio tra il padre e il figlio ritrovato.  Chagall lo esclude, ponendolo di spalle e accostandogli una figura ferina di risentimento, in basso a destra.  Mentre lascia al centro del mondo che accorre l'atto d'amore del padre, approdo finale ed ascesa nel superamento dell'impeto.
- Rembrandt Harmenszoon van Rijn (1606 - 1669): "Ritorno del figliol prodigo", 1661/1669, Ermitage, San Pietroburgo
- Marc Chagall (1887 - 1985): "Il ritorno del figliol prodigo", 1975, Museo nazionale messaggio biblico Marc Chagall, Nizza
- In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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andata-e-ritorno · 9 months
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Aragorn and Faramir
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30/11/2023 • I
Una citazione da Una trilogia palestinese al giorno
Si è legata l'esplosivo alla vita e si è fatta esplodere. Non si tratta di morte, non si tratta di suicidio.
È il modo in cui Gaza dichiara che merita di vivere.
Da quattro anni, la carne di Gaza schizza schegge di granate in ogni direzione.
Non si tratta di magia, non si tratta di prodigio.
È l'arma con cui Gaza difende il diritto a restare e snerva il nemico.
Da quattro anni, il nemico esulta per aver coronato i propri sogni, sedotto dal flirtare con il tempo, eccetto a Gaza. Perché Gaza è lontana dai suoi cari e attaccata ai suoi nemici, perché Gaza è un'isola. Ogni volta che esplode, e non smette mai di farlo, sfregia il volto del nemico, spezza i suoi sogni e ne interrompe l'idillio con il tempo. Perché il tempo a Gaza è un'altra cosa, perché il tempo a Gaza non è un elemento neutrale. Non spinge la gente alla fredda contemplazione, ma piuttosto a esplodere e a cozzare contro la realtà. Il tempo laggiù non porta i bambini dall'infanzia immediatamente alla vecchiaia, ma li rende uomini al primo incontro con il nemico. Il tempo a Gaza non è relax, ma un assalto di calura cocente. Perché i valori a Gaza sono diversi, completamente diversi. L'unico valore di chi vive sotto occupazione è il grado di resistenza all'occupante. Questa è l'unica competizione in corso laggiù. E Gaza è dedita all'esercizio di questo insigne e crudele valore che non ha imparato dai libri o dai corsi accelerati per corrispondenza, né dalle fanfa re spiegate della propaganda o dalle canzoni patriottiche. L'ha imparato soltanto dall'esperienza e dal duro lavoro che non è svolto in funzione della pubblicità e del ritorno d'immagine.
Mahmoud Darwish
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diceriadelluntore · 4 months
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A Caval Donato...
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Questa è una storia famosa, probabilmente tra le più famose di tutti i tempi, che mi è venuta voglia di raccontare perchè è rinvenuta alla memoria per una di quelle connessioni magiche (che è una spiegazione molto più bella, romantica e "sensata" della semplice casualità) tra le persone.
La domanda è: quanto siamo disposti a ritenerci ingenui?
La risposta è in parte suggerita dalla foto che ho scovato, una miniatura del Cavallo di Troia che fu usato nel film Troy (del 2004 diretto da Wolfgang Petersen, con un cast stellare) che riprende, molto liberamente, le vicende della Guerra di Troia.
Il Mito del Cavallo di Troia è l'emblema del più grande stratagemma del Mito, o è una pagina di assoluta ingenuità? Per chi non la ricorda, la storia è riassumibile così: al decimo anno di assedio della città di Troia, i Greci capitanati da Agamennone, che muove guerra alla città dopo il ratto di sua moglie Elena da parte di Paride, figlio del Re troiano Priamo, sfiniti da un conflitto che si trascina senza soluzione, costruiscono un enorme cavallo di legno. Lo fabbrica Epeo, ispirato dalla dea Atena, che lo consiglia su come farlo. L'idea è di nascondere guerrieri all'interno del gigantesco cavallo. Quanti? Le fonti sono discordanti, e per "convenzione" se ne contano 40, capitanati da Odisseo, il più astuto dei guerrieri achei. Diffondono la voce che stanchi sono in ritiro e che quel cavallo è un'offerta propiziatoria agli dei per un sicuro ritorno in patria. I Troiani viste le navi allontanarsi, aprono le porte della città e sulla spiaggia trovano questo gigantesco cavallo. Che farne? Alcuni vogliono bruciarlo, altri buttarlo da una rupe, altri sondano con le lance la pancia, per capire cosa ci sia all'interno. Però la maggior parte, tra cui il Re Priamo, vuole portarlo all'interno delle possenti mura, e consacrarlo a Re Poseidone, a cui l'animale è sacro. Sembra fatta, ma Laocoonte, il sacerdote, tuona la famosa frase riportata da Virgilio nell'Eneide: Timeo Danaos et dona ferentes (Ho paura dei Danai, (i Greci) e dei doni che portano). Viene portato a discuterne un prigioniero greco, Sinone, catturato pochi giorni prima, pieno di lividi: si era presentato come compagno di Palamede, nemico di Odisseo, che lo prese in odio, e fece si che l'indovino Calcante lo indicasse come capro espiatorio sacrificale per il ritorno in patria degli eroi Achei. In realtà, fu mandato come spia da Odisseo, e quei lividi furono fatti apposta dalle percosse degli altri eroi per far apparire realistica la sua versione. Con arte finissima, Sinone diviene fonte di informazioni per i Troiani, che gli chiedono: a che serve il cavallo? Sinone risponde: fu costruito come offerta ad Atena, dopo che Diomede con Odisseo rubò il Palladio, la più bella statua dedicata alla dea. Fu costruito così grande per impedire che i Troiani lo facessero bottino di guerra per introdurlo nelle proprie mura.
Si è ancora indecisi su che fare, quando un prodigio avvenne: Laocoonte, mentre sacrificava un toro, fu aggredito da giganteschi serpenti provenienti dal mare, che uccisero lui e i suoi due figli (in foto, la Statua del Laocoonte conservata ai Musei Vaticani).
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Convinti che fosse la vendetta degli Dei per aver scagliato la lancia contro il Cavallo, i Troiani montano delle ruote e lo spingono dentro le mura della città. Non servono a nulla i richiami di Cassandra che questo porterà alla rovina di Troia: ma la sacerdotessa, che pure ebbe da Apollo il dono della profezia, fu dallo stesso condannata a non essere mai creduta, poichè non si concesse al suo amore. Il resto è noto: giunta la notte, i guerrieri greci escono dal cavallo, aprono le porte della città e segnalano alle navi, che erano appostate nella vicina isola di Tenedo che le porte sono aperte. In un assedio apocalittico, la città è saccheggiata tra battaglie, stupri, gesta incredibili.
Ma davvero i Troiani furono così ingenui? La domanda è nata come lo stesso mito, tanto che sin dai tempi antichi molti hanno cercato di andare oltre il "simbolismo" e dare spiegazioni pratiche: tra le più famose ipotesi, Pausania (nel suo leggendario Periegesi della Grecia) suppone che il cavallo fosse in realtà una macchina da guerra, simile all'ariete, che fu decisiva nell'abbattimento delle mura di Troia. E simili spiegazioni le danno Plinio il Vecchio (Naturalis Historia VII, 202), Servio Danilino (Servus Auctus) e altri commentari all'Eneide. Già perchè a dispetto di quello che si può pensare, nei due capolavori omerici non se ne parla affatto: l'Iliade finisce con la morte di Ettore, pochi mesi prima dell'episodio del Cavallo, l'Odissea si svolge dopo la guerra e l'episodio è solo accennato in qualche passaggio. Tutto quello che sappiamo sul Mito è frutto delle rielaborazioni di autori posteriori a Omero, sebbene è unanimemente riconosciuto dagli studiosi che il Mito del cavallo fosse ampiamente conosciuto già ai tempi del cieco cantore (il cosiddetto Ciclo Troiano è la raccolta di poemi epici greci che trattavano la storia della Guerra di Troia e il suo seguito. I poemi in questione sono i Cypria, l'Etiopide, la Piccola Iliade, l'Iliou persis (La caduta di Ilio), i Nostoi (I ritorni) e la Telegonia). Virgilio ne riporta una dettagliata descrizione quando lo fa raccontare dal troiano Enea, che si salvò come è noto dall'assedio, per poi andare a fondare la stirpe che fonderà Roma.
Tra le più recenti sfide al dibattito, quella del professore Tiboni, archeologo navale, che in vari articoli ipotizza che "il cavallo" fosse in realtà "una nave", chiamata così per una polena a forma di testa equina che campeggiava sulla prua: evidenti prove iconografiche smentiscono tale idea, la più famosa è il vaso pythos conservato al Museo di Mykonos
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risalente al VII secolo a.C., che mostra i guerrieri all'interno di un cavallo gigantesco, portato con le ruote all'interno della città.
Ma ribadisco la domanda: fu solo ingenuità? Dietro lo stratagemma ci furono interventi di divinità, giochi di potere, la stanchezza della guerra. Ma se ancora può rimanere il sorriso sulla scelta troiana, ricordo un particolare interessante, totalmente moderno: i virus informatici che, con uno stratagemma, si insinuano nei nostri dispositivi, sono chiamati Trojan non per caso, e molti di loro giocano sull'intervento di chi li legge o vede (aprire un link, inviare una email e così via...): quante volte dopo aver fatto per emozione, per mancanza di attenzione, per fretta qualcosa, a mente fredda ragionandoci ci siamo dati degli ingenui? Siamo proprio sicuri che in ognuno di noi non scorra un po' di quel sangue Troiano?
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ragazza-whintigale · 1 year
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𝒞𝒶𝓅𝒾𝓉𝑜𝓁𝒾 𝒾𝓃 𝑒𝓁𝒶𝒷𝑜𝓇𝒶𝓏𝒾𝑜𝓃𝑒...
Ecco a voi la lista di tutti i capitoli in elaborazione. Non so esattamente quando arriveranno o quando li pubblicherò ma in tanto saprete quello che ho in cantiere per voi
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𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝙲𝚊𝚜𝚜𝚒𝚜 𝙿𝚎𝚍𝚊𝚕𝚒𝚊𝚗 𝚡 𝚛𝚎𝚊𝚍𝚎𝚛 𝚙𝚝.𝟸
ᴿᴵᶜᴴᴵᴱˁᵀᴬ
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𝚂𝚒𝚗𝚘𝚜𝚜𝚒 Due anni dopo il ritorno Cassis Pedelian, stai organizzando le tue nozze con lui, con tuo grande dispiacere. Tuttavia la presenza a te familiare metterà i bastoni tra le ruote agli intenti di Cassis di legarti a se.
𝑸𝒖𝒊 𝒍𝒂 𝒑𝒂𝒓𝒕𝒆 𝟏
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𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝙰𝚛𝚝𝚑𝚞𝚛 𝙿𝚎𝚗𝚍𝚛𝚊𝚐𝚘𝚗 𝚡 𝚛𝚎𝚊𝚍𝚎𝚛
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𝚂𝚒𝚗𝚘𝚜𝚜𝚒 Dopo 16 anni di lontananza da Camelot vieni costretta a tornare, inconsapevole di quanto si cambiato il tuo piû caro amico.
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𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝙰𝚚𝚞𝚊𝚖𝚊𝚛𝚒𝚗𝚎 𝙷𝚘𝚜𝚑𝚒𝚗𝚘 𝚡 𝚛𝚎𝚊𝚍𝚎𝚛
𝚂𝚒𝚗𝚘𝚜𝚜𝚒 Alla ricerca dell’assassino di sua madre, Aqua si ritrova davanti alla figlia di una cara amica di Ai. L’unica persona che potrebbe conoscere uno dei segreti di Ai è morta e rimani solo tu con un grande segreto per lui.
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𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝙹𝚎𝚛𝚎𝚖𝚢 𝙰𝚐𝚛𝚒𝚌𝚑𝚎 𝚡 𝚛𝚎𝚊𝚍𝚎𝚛
ᴿᴵᶜᴴᴵᴱˁᵀᴬ
𝚂𝚒𝚗𝚘𝚜𝚜𝚒 Sei una cameriera al servizio degli Agriche, con l’unico intento di sopravvivere a questo inferno. Il tuo piano di usare come scudo il tuo giovane maestro viene dato alle fiamme dallo stesso Jeremy,  infatuato  dell’unica persone che gli si stata accanto.
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𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝙲𝚊𝚜𝚜𝚒𝚜 𝙿𝚎𝚍𝚎𝚕𝚒𝚊𝚗 𝚡 𝚛𝚎𝚊𝚍𝚎𝚛 - 𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝚁𝚘𝚡𝚊𝚗𝚗𝚊 𝙰𝚐𝚛𝚒𝚌𝚑𝚎 𝚡 𝚛𝚎𝚊𝚍𝚎𝚛 - 𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝙹𝚎𝚛𝚎𝚖𝚢 𝙰𝚐𝚛𝚒𝚌𝚑𝚎 𝚡 𝚛𝚎𝚊𝚍𝚎𝚛 - 𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝙳𝚒𝚘𝚗 𝙰𝚐𝚛𝚒𝚌𝚑𝚎 𝚡 𝚛𝚎𝚊𝚍𝚎𝚛 -
ᴿᴵᶜᴴᴵᴱˁᵀᴬ
𝚂𝚒𝚗𝚘𝚜𝚜𝚒 Uno strano scherzo del fato. Un filo rosso collegato al tuo mignolo ti collega alla tua anima gemella. Sei cosi entusiasta di essere l’unica a poterlo vedere, tanto che perdi di vista il fatto che la persona  dall'altro parte del filo non sia molto innocua. 
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𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝚁𝚊𝚔𝚒𝚎𝚕 𝙴𝚍𝚎𝚛𝚟𝚎𝚗𝚗𝚎 𝚡 𝚛𝚎𝚊𝚍𝚎𝚛 ( 𝙼𝚒𝚗𝚘𝚛𝚎 𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝙿𝚕𝚊𝚝𝚘𝚗𝚒𝚌𝚘 𝙼𝚊𝚛𝚒𝚊𝚗𝚗𝚎 𝙴𝚍𝚎𝚛𝚟𝚎𝚗𝚗𝚎 )
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𝚂𝚒𝚗𝚘𝚜𝚜𝚒 Tornata indietro nel tempo a prima che conoscessi Rakial, vuoi fare di tutto per evitare il vostro incontro. Inconsapevole dei Piani di Marianne e dell'infatuazione di Rakial per te. Non era così che era andata la prima volta.
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𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝙼𝚘𝚛𝚝𝚎 𝚡 𝚛𝚎𝚊𝚍𝚎𝚛 𝚡 𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝚃𝚘𝚍 𝚡 𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝙶𝚘𝚎𝚝𝚑𝚎
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𝚂𝚒𝚗𝚘𝚜𝚜𝚒 Uno strano comportamento e senso di estraneità ti colpisce, insieme ai comportamenti insoliti dei tre mietitori. Tutto sembra avere qualcosa che non va. Ma che cosa?
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𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝙷𝚊𝚍𝚎𝚜/𝙰𝚕𝚘𝚗𝚎 𝚡 𝚛𝚎𝚊𝚍𝚎𝚛
ᴿᴵᶜᴴᴵᴱˁᵀᴬ
𝚂𝚒𝚗𝚘𝚜𝚜𝚒 ???
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𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝙰𝚗𝚊𝚜𝚝𝚊𝚜𝚒𝚞𝚜 𝙳𝚎 𝙰𝚕𝚐𝚎𝚛 𝙾𝚋𝚎𝚕𝚒𝚊 𝚡 𝚛𝚎𝚊𝚍𝚎𝚛 𝚙𝚝. 𝟸
ᴿᴵᶜᴴᴵᴱˁᵀᴬ
𝚂𝚒𝚗𝚘𝚜𝚜𝚒 ???
𝑸𝒖𝒊 𝒍𝒂 𝒑𝒂𝒓𝒕𝒆 𝟏
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𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝙹𝚞𝚍𝚎 𝙳𝚞𝚊𝚛𝚝𝚎 𝚡 𝚛𝚎𝚊𝚍𝚎𝚛 𝚡 𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝙲𝚊𝚛𝚍𝚊𝚗 𝙶𝚛𝚎𝚎𝚗𝚋𝚛𝚒𝚊𝚛
𝚂𝚒𝚗𝚘𝚜𝚜𝚒: Gira voce, all’alta corte, che l’Alto Re e l’Alta Regina abbiano un amante condiviso. Il mistero sulla sua identità assilla il popolo nel mentre c’e chi cerca di mantenerlo ancora segreto.
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𝚈𝚊𝚗𝚍𝚎𝚛𝚎 𝙿𝚊𝚞𝚕 𝙰𝚝𝚛𝚎𝚒𝚍𝚎𝚜 𝚡 𝚛𝚎𝚊𝚍𝚎𝚛
Pubblicato
𝚂𝚒𝚗𝚘𝚜𝚜𝚒: In una notte come tanto Lady (nome), va a far visiti suo futuro marito nelle sue stanze, nella speranza che potesse risparmiare la vita del suo ex-amante.
𝙿𝚞𝚋𝚋𝚕𝚒𝚌𝚊𝚣𝚒𝚘𝚗𝚎↬ 01/05/2023
𝚃𝚎𝚛𝚖𝚒𝚗𝚊𝚝𝚊↬ ???
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swingtoscano · 4 months
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Vorrei che tu venissi da me una sera d’inverno e, stretti insieme dietro i vetri, guardando la solitudine delle strade buie e gelate, ricordassimo gli inverni delle favole, dove si visse insieme senza saperlo. Per gli stessi sentieri fatati passammo infatti tu ed io, con passi timidi, insieme andammo attraverso le foreste piene di lupi, e i medesimi genii ci spiavano dai ciuffi di muschio sospesi alle torri, tra svolazzare di corvi. Insieme, senza saperlo, di là forse guardammo entrambi verso la vita misteriosa, che ci aspettava. Ivi palpitarono in noi, per la prima volta pazzi e teneri desideri. “Ti ricordi?” ci diremo l’un l’altro, stringendoci dolcemente, nella calda stanza, e tu mi sorriderai fiduciosa mentre fuori daran tetro suono le lamiere scosse dal vento. Ma tu – ora mi ricordo – non conosci le favole antiche dei re senza nome, degli orchi e dei giardini stregati. Mai passasti, rapita, sotto gli alberi magici che parlano con voce umana, né battesti mai alla porta del castello deserto, né camminasti nella notte verso il lume lontano lontano, né ti addormentasti sotto le stelle d’Oriente, cullata da piroga sacra. Dietro i vetri, nella sera d’inverno, probabilmente noi rimarremo muti, io perdendomi nelle favole morte, tu in altre cure a me ignote. Io chiederei “Ti ricordi?”, ma tu non ricorderesti.
Vorrei con te passeggiare, un giorno di primavera, col cielo di color grigio e ancora qualche vecchia foglia dell’anno prima trascinata per le strade dal vento, nei quartieri della periferia; e che fosse domenica. In tali contrade sorgono spesso pensieri malinconici e grandi; e in date ore vaga la poesia, congiungendo i cuori di quelli che si vogliono bene. Nascono inoltre speranze che non si sanno dire, favorite dagli orizzonti sterminati dietro le case, dai treni fuggenti, dalle nuvole del settentrione. Ci terremo semplicemente per mano e andremo con passo leggero, dicendo cose insensate, stupide e care. Fino a che si accenderanno i lampioni e dai casamenti squallidi usciranno le storie sinistre della città, le avventure, i vagheggiati romanzi. E allora noi taceremo sempre tenendoci per mano, poiché le anime si parleranno senza parola. Ma tu – adesso mi ricordo – mai mi dicesti cose insensate, stupide e care. Né puoi quindi amare quelle domeniche che dico, né l’anima tua sa parlare alla mia in silenzio, né riconosci all’ora giusta l’incantesimo delle città, né le speranze che scendono dal settentrione. Tu preferisci le luci, la folla, gli uomini che ti guardano, le vie dove dicono si possa incontrare la fortuna. Tu sei diversa da me e se venissi quel giorno a passeggiare, ti lamenteresti d’essere stanca; solo questo e nient’altro.
Vorrei anche andare con te d’estate in una valle solitaria, continuamente ridendo per le cose più semplici, ad esplorare i segreti dei boschi, delle strade bianche, di certe case abbandonate. Fermarci sul ponte di legno a guardare l’acqua che passa, ascoltare nei pali del telegrafo quella lunga storia senza fine che viene da un capo del mondo e chissà dove andrà mai. E strappare i fiori dai prati e qui, distesi sull’erba, nel silenzio del sole, contemplare gli abissi del cielo e le bianche nuvolette che passano e le cime delle montagne. Tu diresti “Che bello!” Niente altro diresti perché noi saremmo felici; avendo il nostro corpo perduto il peso degli anni, le anime divenute fresche, come se fossero nate allora.
Ma tu – ora che ci penso – tu ti guarderesti intorno senza capire, ho paura, e ti fermeresti preoccupata ad esaminare una calza, mi chiederesti un’altra sigaretta, impaziente di fare ritorno. E non diresti “Che bello!”, ma altre povere cose che a me non importano. Perché purtroppo sei fatta così. E non saremmo neppure per un istante felici.
Vorrei pure – lasciami dire – vorrei con te sottobraccio attraversare le grandi vie della città in un tramonto di novembre, quando il cielo è di puro cristallo. Quando i fantasmi della vita corrono sopra le cupole e sfiorano la gente nera, in fondo alla fossa delle strade, già colme di inquietudini. Quando memorie di età beate e nuovi presagi passano sopra la terra, lasciando dietro di se una specie di musica. Con la candida superbia dei bambini guarderemo le facce degli altri, migliaia e migliaia, che a fiumi ci trascorrono accanto. Noi manderemo senza saperlo luce di gioia e tutti saran costretti a guardarci, non per invidia e malanimo; bensì sorridendo un poco, con sentimento di bontà, per via della sera che guarisce le debolezze dell’uomo. Ma tu – lo capisco bene – invece di guardare il cielo di cristallo e gli aerei colonnati battuti dall’estremo sole, vorrai fermarti a guardare le vetrine, gli ori, le ricchezze, le sete, quelle cose meschine. E non ti accorgerai quindi dei fantasmi, né dei presentimenti che passano, né ti sentirai, come me, chiamata a sorte orgogliosa. Né udresti quella specie di musica, né capiresti perché la gente ci guardi con occhi buoni. Tu penseresti al tuo povero domani e inutilmente sopra di te le statue d’oro sulle guglie alzeranno le spade agli ultimi raggi. Ed io sarei solo. E’ inutile. Forse tutte queste sono sciocchezze, e tu migliore di me, non presumendo tanto dalla vita. Forse hai ragione tu e sarebbe stupido tentare. Ma almeno, questo sì almeno, vorrei rivederti. Sia quel che sia, noi staremo insieme in qualche modo, e troveremo la gioia. Non importa se di giorno o di notte, d’estate o d’autunno, in un paese sconosciuto, in una casa disadorna, in una squallida locanda. Mi basterà averti vicina. Io non starò qui ad ascoltare – ti prometto – gli scricchiolii misteriosi del tetto, né guarderò le nubi, né darò retta alle musiche o al vento. Rinuncerò a queste cose inutili, che pure io amo. Avrò pazienza se non capirai ciò che ti dico, se parlerai di fatti a me strani, se ti lamenterai dei vestiti vecchi e dei soldi. Non ci saranno la cosiddetta poesia, le comuni speranze, le mestizie così amiche all’amore. Ma io ti avrò vicina. E riusciremo, vedrai, a essere abbastanza felici, con molta semplicità, uomo e donna solamente, come suole accadere in ogni parte del mondo.
Ma tu – adesso ci penso – sei troppo lontana, centinaia e centinaia di chilometri difficili a valicare. Tu sei dentro a una vita che ignoro, e gli altri uomini ti sono accanto, a cui probabilmente sorridi, come a me nei tempi passati. Ed è bastato poco tempo perché ti dimenticassi di me. Probabilmente non riesci più a ricordare il mio nome. Io sono ormai uscito da te, confuso tra le innumerevoli ombre. Eppure non so pensare che a te, e mi piace dirti queste cose.
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gregor-samsung · 1 year
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L’invenzione della nostalgia
Nòstos àlgos, nostalgia. Nòstos in greco significa qualcosa come «ritornare a casa», «fare ritorno»; àlgos è «dolore». Sono entrambe parole greche ma, per quanto Odisseo sia stato il malato di nostalgia per eccellenza, il suo popolo non aveva nessuna parola adatta a definirla. I greci ebbero tempo e intelligenza per elaborare i sintomi del mal d’amore, quando Saffo ne soffrì sull’isola di Lesbo, ma non si dedicarono mai all’analisi dello struggimento del ritorno. A elencarne i sintomi per la prima volta, scrivendo la sua tesi nel tentativo di laurearsi in medicina, fu uno studente alsaziano dell’università di Basilea. Era già il 1688, si chiamava Johannes Hofer, e voleva analizzare con metodo scientifico la malattia che colpiva i mercenari svizzeri del Re Sole: esiliati in Francia per combattere, si consumavano nel ricordo dei cantoni elvetici fino a morirne. Per definire questo malessere, Hofer ideò il neologismo, e la sua Dissertazione medica sulla nostalgia garantì al giovane alsaziano il titolo di dottore e un posto nella storia della medicina. Il mondo attendeva quella parola da un bel po’ di tempo, e quando finalmente venne coniata diede un nome a sentimenti antichissimi, filtrando in ogni ambito della cultura umana. Può sembrare strano che per «inventare» la nostalgia sia servita l’analisi medica di un popolo nordico come quello svizzero. Eppure per molti anni la sofferenza che uccideva i mercenari fuori dai campi di battaglia rimase una loro malattia professionale. Colpiva gli elvetici in particolare, che sono stati a lungo i mercenari europei per eccellenza, e venivano descritti come disciplinati e feroci, fedelissimi finché veniva pagato il soldo, molto meno quando lo stipendio ritardava. Questi soldati sono un doloroso esempio di uomini che vivevano senza avere niente: avevano imparato a combattere difendendo i cantoni dagli invasori ed erano emigrati come mercenari perché il loro era un paese povero, in cui l’unica possibilità di guadagnare qualcosa era rischiare la vita in giro per l’Europa, uccidendo uomini verso i quali non provavano alcun odio, al soldo di nazioni per le quali non nutrivano alcun sentimento di fedeltà. In Svizzera erano poveri, padroni soltanto di una terra difficile da coltivare, e in guerra avevano ancora meno: né caserme, perché erano della nazione che li aveva ingaggiati; né la terra su cui combattevano, perché il campo di battaglia era soltanto un vantaggio o uno svantaggio, nulla da difendere o conquistare per sé; né avevano un vero nemico, perché quello combattuto in guerra era solo un estraneo. Le uniformi, le armi, gli stendardi? Le pagava il cliente. Niente di ciò che viveva, combatteva o difendeva era del mercenario; l’unica cosa che gli apparteneva era il ricordo della patria: come sorprendersi che ne siano morti a centinaia di nostalgia?
Salvatore La Porta, Less is more. Sull’arte di non avere niente, Il Saggiatore (collana La Cultura, n° 1134), 2018¹. [Libro elettronico]
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quandolarte · 3 months
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Un serpente a sonagli diede un morso ad una pecora. Il serpente più letale. La faccia della
pecora si gonfiò e la ferì terribilmente!
Ma il vecchio serpente a sonagli non conosceva il tipo di sangue che scorre nelle pecore.
L’antidoto è prodotto con sangue di pecora.
La pecora si gonfiò per circa 2 giorni ma il sangue dell’Agnello vinse sul veleno del serpente!
La pecora continuò a mangiare, a bere e ad arrampicarsi, perché sapeva di stare bene.
Spesso i serpenti di questa vita si allungano e ci mordono. Ci iniettano il loro veleno ma non
riescono a vincere, ogni serpente muore del suo stesso veleno e la cattiveria, la malvagità, l'odio viaggiano sempre con il biglietto di ritorno in tasca
Ogni cosa a suo tempo, ogni re nel suo trono, ogni pagliaccio nel suo circo 🤡
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