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#speciale disperazione
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Fammi essere forte, forte di sonno e di intelligenza e forte di ossa e di fibra; fammi imparare, attraverso questa disperazione, a distribuirmi: a sapere dove e a chi dare, a riempire i brevi momenti e le chiacchiere casuali di quell’infuso speciale di devozione e amore che sono le nostre epifanie. A non essere amara. Risparmiamelo il finale, quel finale acido citrico aspro che scorre nelle vene delle donne in gamba e sole. Non farmi disperare al punto da buttar via il mio onore per la mancanza di consolazione; non farmi nascondere nell’alcool e non permettere che mi laceri per degli sconosciuti; non farmi essere tanto debole da raccontare agli altri come sanguino dentro; come giorno dopo giorno gocciola, si addensa e si coagula.
Silvya Plath, Diari, Fammi Essere Forte
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Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria, col suo marchio speciale di speciale disperazione e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi per consegnare alla morte una goccia di splendore di umanità, di verità.
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piuomenopoesia · 1 year
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Alta sui naufragi Dai belvedere delle torri China e distante sugli elementi del disastro Dalle cose che accadono al di sopra delle parole Celebrative del nulla Lungo un facile vento Di sazietà di impunità
Sullo scandalo metallico Di armi in uso e in disuso A guidare la colonna Di dolore e di fumo Che lascia le infinite battaglie al calar della sera La maggioranza sta la maggioranza sta
Recitando un rosario Di ambizioni meschine Di millenarie paure Di inesauribili astuzie Coltivando tranquilla L'orribile varietà Delle proprie superbie La maggioranza sta
Come una malattia Come una sfortuna Come un'anestesia Come un'abitudine
Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria Col suo marchio speciale di speciale disperazione E tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi Per consegnare alla morte una goccia di splendore Di umanità di verità
Per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio E seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli Con improbabili nomi di cantanti di tango In un vasto programma di eternità
Ricorda Signore questi servi disobbedienti Alle leggi del branco Non dimenticare il loro volto Che dopo tanto sbandare È appena giusto che la fortuna li aiuti
Come una svista Come un'anomalia Come una distrazione Come un dovere
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crazy-so-na-sega · 10 months
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BRICS: Come e perchè dell’ennesimo inganno- parte 1
Anche se abbiamo già affrontato l’argomento in altri nostri articoli, questa volta vogliamo analizzare ancora più nel profondo l’ennesimo inganno rappresentato dai BRICS. Purtroppo, viviamo tempi molto bui, in cui la disperazione e la paura regnano sovrane, sicché, tanto i media mainstream, quanto i canali di pseudo controinformazione, pilotano a loro piacimento l’opinione pubblica, con grande soddisfazione dei potentati che dirigono l’orchestra. In questo modo, il fideismo, il tifo da stadio prendono il sopravvento e come è avvenuto nel passato, attraverso un consenso artificialmente creato, si finisce per avallare i piani del nemico. Qui non si parteggia nè per una parte nè per l’atra, bensì per i fatti concreti, per la verità, le uniche cose che possono liberare la popolazione mondiale dalle grandi menzogne funzionali alla rieducazione dei popoli secondo i dictat di chi muove il mondo. Con la speranza di riuscire a far sì che il messaggio arrivi il più lontano possibile, vi auguriamo una buona e piacevole lettura.
Come nascono realmente i BRICS?
Per capire come nasce questo “fenomeno” se così vogliamo chiamarlo, dobbiamo tornare al 1956, quando la famiglia Rockefeller fece stilare un documento (poi divenuto un vero e proprio saggio) intitolato Prospect for America: The Rockefeller Panel Reports. Questo testo era il prodotto di un vero e proprio studio in materia economico – finanziaria, iniziato nel 1954 e pubblicato dalla Brothers Fund con l’ausilio dello Special Studies Project. Esso delineava il progetto per il Nuovo Ordine Mondiale da raggiungersi attraverso una narrazione di facciata che promuovesse una multipolarità che de facto non c’è mai stata. Ed è per questo che è fondamentale partire da qui, poichè quanto scritto in quel testo rappresenta il punto esatto in cui ci troviamo oggi.
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Lo special Studies Project prese vita subito dopo la Seconda Guerra Mondiale e successivamente fu diretto da Henry Kissinger. I compiti assegnati a tale organo erano quelli di creare un piano d’azione per realizzare il governo mondiale all’interno dell’ambiente postbellico esistente, e implementare l’Agenda in modo tale da poter essere venduta alla popolazione mondiale, pompando sul fatto che essa era stata concepita per il bene dei popoli. Non è nostra intenzione riportare tutto il documento, ma alcune parti essenziali in modo da rendere bene l’idea al lettore. Ad esempio, a pagina 26 del testo si legge: “Il risultato auspicato è la pace in un mondo diviso in unità più piccole, ma organizzate, operanti e controllate da un unico vertice, in uno sforzo comune per permettere e favorire il progresso della vita economica, politica, culturale e spirituale. Tale comunità Consiste in istituzioni regionali sotto un organismo internazionale di crescente autorità, unite in modo da poter affrontare quei problemi che sempre più le singole nazioni non saranno in grado di risolvere da sole.”
Che cosa si deduce da questo passaggio? Rileggiamo: “Istituzioni regionali sotto un organismo internazionale di crescente autorità, unite in modo da poter affrontare quei problemi che sempre più le singole nazioni non saranno in grado di risolvere da sole.” Come ebbe modo di sottolineare il grande Gary Allen già nel 1969, ci stanno dicendo che creeranno intenzionalmente problemi sempre più difficili per costringere le nazioni ad aderire a quel “Superstato mondiale” di cui parlava proprio Allen, specie nel suo “Nessuno Osi chiamarla cospirazione” del 1972. 
Il documento poi, chiarisce quale sia questa organizzazione internazionale di crescente autorità: “Oltre a partecipare direttamente allo sviluppo di due gruppi regionali, gli Stati Uniti hanno partecipato pienamente e fin dall’inizio alle Nazioni Unite, l’organizzazione internazionale che oggi nutre la ragionevole speranza di poter assumere sempre più funzioni e ad assumersi responsabilità sempre più grandi. Sostenendo lo spirito e la lettera della Carta, gli Stati Uniti hanno dimostrato di rendere un servizio più che formale all’indispensabile ordine mondiale che, come abbiamo visto, è alla base del consenso americano. L’ONU è la prova della nostra convinzione che i problemi che hanno un impatto mondiale devono essere affrontati attraverso istituzioni globali nella loro portata. Le politiche per promuovere la vitalità della nostra economia sono solo l’inizio del nostro compito. Devono essere prese in concomitanza con misure che facciano dell’interdipendenza delle nazioni una fonte di reciproca forza. È impossibile per gli Stati Uniti trattare in modo creativo con 80 nazioni sovrane esclusivamente su base bilaterale. Gli accordi multinazionali più naturali sono spesso regionali. In molte parti del mondo, la geografia si combina con la storia comune per fornire la base per obiettivi comuni e fruttuosi sforzi cooperativi.”
Quest’altro passaggio sancisce che a livello mondiale è l’ONU (aggiungiamo noi accompagnato dalle altre organizzazioni sovrannazionali come il CFR, Bilderberg, Commissione Trilaterale ecc) quell’autorità mondiale al vertice della piramide. E qualcuno ora penserà che abbiamo scoperto l’acqua calda, ma attenzione, c’è un particolare a cui non si fa mai menzione. Gli Stati Uniti hanno un voto su 193 all’Assemblea generale dell’ONU e 1 voto su 15 nel Consiglio di sicurezza; ergo, l’egemonia USA è sempre stata una facciata, in quanto l’asse portante del progetto dietro al Nuovo Ordine Mondiale non è mai stato in Occidente, ma ad Oriente, se così lo vogliamo chiamare. Con il proseguire dell’articolo vedremo anche il come e il perchè, ma è interessante evidenziare come il testo sottolinei, tra le tante cose, come gli USA si siano posti come ponte per trascinare la Cina nel Nuovo Ordine Mondiale: “Gli Stati Uniti sono sfidati a comportarsi in modo da colmare in ogni modo possibile la potenziale scissione tra Oriente e Occidente. È profondamente preoccupato che Oriente e Occidente non si separino per mancanza di comprensione o per incapacità di vedere chiaramente gli interessi di fondo che sono tenuti in comune dai due grandi settori del globo. Il modo in cui ordiniamo la nostra vita in casa è un fattore importante nel tessere l’ampia unità; così sono le nostre relazioni specifiche con i singoli paesi.”
Ora, come detto all’inizio, negli altri nostri articoli abbiamo evidenziato e comprovato come non ci siano fazioni, ma un potere unico che vede il mondo come una scacchiera, le cui pedine sono i leader politici, dittatori ecc di ogni singola nazione che vengono sistematicamente spostati in funzione degli obiettivi da raggiungere. Prima di arrivare a vedere quando nascono ufficialmente i BRICS, frutto di questo piano esposto da sempre alla luce del sole, vi è un ultimo estratto del documento su cui puntare il focus, il quale così recita: “Dalla fine della seconda guerra mondiale sono nate venti nuove nazioni. Senza dubbio ne emergeranno altre nel prossimo decennio. Mentre realizzano le loro aspirazioni, queste nazioni affrontano nuovi problemi. In un momento in cui le pressioni del periodo contemporaneo impongono una sempre maggiore interdipendenza, le nazioni di nuova indipendenza sono spinte o tentate di erigere economie autosufficienti, che tendono a restringere gli ampi mercati essenziali per l’industrializzazione. Un sistema di organizzazione dell’ordine internazionale è stato distrutto senza essere sostituito da un altro. Le forze divergenti del nazionalismo devono essere bilanciate da forze convergenti che cercano di realizzare una libera associazione di nazioni in modo che la cooperazione politica, sociale ed economica possa trascendere i confini nazionali e diventare unica, cioè globale.”
Dalla teoria alla pratica
L’ uomo che sulla base degli schemi appena esposti ha creato i BRICS si chiama Jim O’Neill. Per i più, questo nome risulta sconosciuto, ma è fondamentale capire di chi stiamo parlando per arrivare al nocciolo della questione. Sir Jim O ‘Neil ha conseguito due lauree BA e MA in economia presso la Sheffield University nel 1978 e un dottorato di ricerca presso l’Università del Surrey nel 1982. Ha ricevuto quattro lauree honoris causa: una dall’Institute of Education; due dalla University of London per la sua filantropia e per i suoi servizi al settore bancario e finanziario; Sheffield University in riconoscimento del suo contributo all’economia internazionale. Successivamente è stato il presidente della Goldman Sachs Asset Management dal 1995 fino all’aprile 2013. Ha presieduto la Cities Growth Commission nel Regno Unito fino a ottobre 2014 e attualmente è presidente onorario di economia presso l’Università di Manchester. È anche Visiting Research Fellow presso il Think tank Rothschildiano economico internazionale Bruegel, e nel comitato consultivo economico dell’IFC, il braccio di investimento della Banca mondiale. È uno degli amministratori e fondatori dell’ente di beneficenza per l’istruzione del Regno Unito Shine e fa parte del consiglio di “Teach for All” e di una serie di altri enti di beneficenza specializzati nell’istruzione.
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Nel settembre 2013 è diventato Direttore non esecutivo del Dipartimento dell’Istruzione. È stato anche Segretario commerciale al Tesoro Britannico. Il curriculum continua con la designazione ad  Agenda Contributor del WEF, ma questo è del tutto irrilevante a confronto del fatto che è stato il presidente del Royal Institute of International Affairs (Chatham House) dal 2019 al 2021. Quando si parla del RIIA bisogna tenere bene a mente il fatto che trattasi di una delle organizzazioni sovranazionali più potenti del mondo. Ne avevamo già parlato, tuttavia, in breve, nasce nel 1920 per mano dei banchieri Rothschild – Rockefeller, ma l’idea inizialmente venne partorita a Parigi il 30 maggio 1919, durante la Conferenza della “pace”, quando il plenipotenziario del presidente statunitense Woodrow Wilson (uomo dei banchieri) il colonnello Edward House (agente della famiglia dei banchieri Shiff), riunì all’Hotel Majestic di Parigi un gruppo di personaggi molto influenti nella politica, nell’economia e nell’ambito militare mondiale, legati fra l’altro alla massoneria. Tra i maggiori azionisti del RIIA troviamo: British Petroleum, Shell, Bank of England, Barclays, Lloyd Bank, JP Morgan Chase, Ford Motors, Rothschild & Co e molti altri. Cioè gli stessi nomi che incontriamo ovunque.
Tornando a noi, nel 2001, Jim O’Neill era il presidente della Goldman Sachs Asset. Quindi, dirigeva le strategie economiche e finanziarie della banca. Sotto la sua direzione, nel 2001, la Goldman Sachs pubblicò un documento intitolato “Building Better Global Economic BRICS” coniando così un nuovo acronimo come TERMINE DI INVESTIMENTO. 
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Così facendo, stando anche a quanto affermato da Ron Caldwell (economista scomparso nel 2016)  la Goldman Sachs diede vita ad un nuovo sistema di spostamento di capitali per intensificare la sua presenza e quella dei suoi investitori all’interno del cosiddetto blocco orientale. Al momento della pubblicazione, i BRICS comprendevano quattro paesi: Brasile, Russia, India e Cina, le cui rispettive banche centrali erano già governate dalla Banca dei regolamenti internazionali (Rothschild) e che tutt’ora le controlla, come le altre 159. Nel 2003, O’Neill stilò un nuovo documento per la Goldman Sachs intitolato “Dreaming with BRICS: The Path to 2050” in cui la banca prevedeva che le economie combinate dei BRICS sarebbero state in costante crescita, grazie anche ai nuovi spostamenti di capitale dell’alta finanza.
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Il 20 settembre 2006, Russia, India, Cina e Brasile, tennero a New York la prima riunione ministeriale dei BRICS. Curioso come nessuno abbia mai focalizzato l’attenzione su questo “piccolo dettaglio”, dal momento che La Grande Mela è il baluardo dei banchieri insieme a Londra e Basilea, come nessuno sottolineò l’estrema attenzione e riguardo che la Federal Reserve (di New York, la più importante delle 12 filiali) e di quanto quanto questa fosse entusiasta dell’evento.
Chiunque abbia un minimo di conoscenza in materia di economia e finanza (nonché di storia) sa perfettamente che nessuno muove un muscolo senza che la Federal Reserve dia il suo consenso, e questo, per chi avesse piacere, può trovarne traccia qui sul nostro blog nell’articolo intitolato “La Federal Reserve, ieri oggi e domani”. 
Attenzione, nel 2015, quando il compito della Goldman Sachs fu esaurito, chiuse il suo fondo all’interno del “BRICS” (ma potenziò la sua presenza all’interno delle nazioni dei suoi paesi con investimenti e altre operazioni finanziarie). O’Neill, specie, durante i tre anni come presidente del RIIA ha incentivato e spinto continui flussi di capitali verso i BRICS da parte dei grandi banchieri internazionali ai vertici delle banche centrali, private e dei fondi di investimento. Ciò è ben comprovato anche dagli azionariati delle più grandi corporations dei paesi BRICS, in mano all’alta finanza angloamericana. A questo proposito si vuole stilare una lista degli azionariati di alcune delle più grandi corporations di alcuni dei paesi BRICS, prendendo in esame i più importanti, ossia Cina e Russia.
CINA [ continua parte 2]
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susieporta · 8 months
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Fammi essere forte
Fammi essere forte,
forte di sonno e di intelligenza
e forte di ossa e fibra;
fammi imparare,
attraverso questa disperazione,
a distribuirmi:
a sapere dove e a chi dare
a riempire i brevi momenti
e le chiacchiere casuali
di quell’infuso speciale
di devozione e amore
che sono le nostre epifanie.
A non essere amara.
Risparmiamelo il finale,
quel finale acido citrico aspro
che scorre nelle vene
delle donne in gamba
e sole.
Non farmi disperare
al punto da buttar via il mio onore
per la mancanza di consolazione;
non farmi nascondere nell’alcool
e non permettere che mi laceri per degli sconosciuti;
non farmi essere tanto debole
da raccontare agli altri come sanguino dentro;
come giorno dopo giorno gocciola, si addensa e si coagula.
Sylvia Plath
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levysoft · 10 months
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Nei primi anni della Seconda guerra mondiale, i cani sovietici anticarro rappresentarono una grossa minaccia per l’avanzata tedesca. Legati a sistemi esplosivi, venivano usati per distruggere gli armamenti nemici. Una tattica atroce, che potrebbe oggi indignare gli attivisti per i diritti degli animali. Ma non bisogna dimenticare il contesto in cui questa pratica veniva applicata: erano infatti anni di disperazione, con il nemico quasi alle porte del Cremlino. Le mitragliatrici sui carri armati tedeschi erano posizionate troppo in alto per poter colpire i “cani suicidi” e, grazie alla copertura della fanteria sovietica, i nazisti non riuscivano a uscire con facilità dai propri carri armati per fermare a colpi di fucile i pericolosi animali in avvicinamento. Talvolta le truppe nemiche si affidavano all’utilizzo di un lanciafiamme.
Le origini dei “cani suicidi”
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Archivio di Ninel Ustinova/russiainphoto.ru
L’Unione Sovietica iniziò a utilizzare i cani anticarro ben prima dell’invasione nazista del 1941: iniziarono infatti ad addestrare questi animali già negli anni Trenta, prima dello scoppio della Grande guerra patriottica. I cani venivano addestrati a gattonare sotto i carri armati nemici mentre trasportavano esplosivi legati al corpo, solitamente 12 kg di TNT. Venivano poi tenuti a digiuno per vari giorni in modo da provocare una fame tale da spingerli alla ricerca di cibo, solitamente sistemato in fase di addestramento sotto i carri armati. Così gli animali si abituavano a strisciare sotto i cingolati. Veniva inoltre insegnato loro a muoversi in maniera da evitare il fuoco nemico e a non temere l’artiglieria pesante. I primi cani anticarro furono introdotti nell’Armata Rossa nel 1939. Parteciparono ai primi combattimenti due anni dopo.
La prima disastrosa battaglia
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I cani anticarro del primo battaglione speciale (212 cani e 199 addestratori) furono utilizzati per la prima volta in un combattimento nei pressi di Mosca. Il primo attacco dei soldati a quattro zampe si rivelò un totale disastro, perché gli animali non erano coperti dalla fanteria sovietica e i tedeschi riuscirono a eliminarli con facilità.  Inoltre gli addestratori commisero un grave errore: ammaestrarono i cani utilizzando carri armati sovietici, che, a differenza di quelli tedeschi, erano alimentati a gasolio, anziché a benzina. Una differenza di odori che confuse terribilmente i cani sul campo di battaglia.
I combattimenti
Anche se il Primo battiglione fu spazzato via, l’Urss continuò a utilizzare i cani anticarro per combattere i tedeschi. Vennero cambiate le tattiche e l’addestramento. Alla fine del 1941, oltre 1.000 cani combattevano sul fronte e l’anno successivo il numero superò le 2.000 unità. Il 21 luglio 1942 i cani suicidi contribuirono a ottenere la vittoria durante una grande battaglia che si svolse vicino a Taganrog, sul Mar di Azov. Durante l’assedio di Leningrado, un gruppo di cani fece esplodere i carri armati e le fortificazioni nemiche, riuscendo a farsi strada intorno al filo spinato e identificando le posizioni del nemico. Riuscirono a far saltare in aria diversi bunker e un deposito munizioni.
Il contributo alla vittoria
Verso la metà del 1943, la situazione era alquanto diversa. L’Armata Rossa iniziò a ricevere un cospicuo rifornimento di armi anticarro, insufficienti all’inizio della guerra. Fu così che i cani anticarro vennero “mandati in pensione”.  In totale questi soldati a quattro zampe riuscirono a distruggere 304 carri armati nemici, contribuendo a spostare l’ago della bilancia verso la vittoria dell’Unione Sovietica e la sconfitta del nazismo. Con la fine dei combattimenti, i cani restanti vennero riqualificati e addestrati per missioni di rilevamento mine. Molti di loro sopravvissero ben oltre la fine della guerra.
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goodbearblind · 2 years
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"Fammi essere forte, forte di sonno e di intelligenza e forte di ossa e di fibra;
fammi imparare, attraverso questa disperazione, a distribuirmi:
a sapere dove e a chi dare,
a riempire i brevi momenti e le chiacchiere casuali di quell’infuso speciale
di devozione e amore che sono le nostre epifanie.
A non essere amara. Risparmiamelo il finale,
quel finale acido citrico aspro che scorre nelle vene delle donne in gamba e sole.
Non farmi disperare al punto da buttar via il mio onore per la mancanza di consolazione;
non farmi nascondere nell’alcool e non permettere che mi laceri per degli sconosciuti;
non farmi essere tanto debole da raccontare agli altri come sanguino dentro;
come giorno dopo giorno gocciola, si addensa e si coagula."
(Sylvia Plath – Diari)
#sylviaplath
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soleberlandieri · 1 year
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Le nostre parole mai dette - Un pianto di disperazione (on Wattpad) https://www.wattpad.com/1144699011-le-nostre-parole-mai-dette-un-pianto-di?utm_source=web&utm_medium=tumblr&utm_content=share_reading&wp_uname=Querty_Kraken&wp_originator=T2p1dWV5HcUZsnv65UWbY7PM9WeRaUYmkoZYpv9TxAqGGTMts90C0%2BOYAGQ%2FU8nhxhuoN0heQaGsFRO0vqLiM3GMzmsF7KNTq7CsB%2F6ez7XhYxrm5wcl8H9f2%2F%2FBP%2FIq Piccola raccolta di OS Missing Moments a tema KisaIta che avevo creato per una challenge, mi è comunque venuta abbastanza gradevole per cui ho deciso di "tenermela". Tre momenti del loro legame speciale. Rating: Giallo, per tutti.
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decadence-brain · 2 years
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8 aprile 2022 Kramatorsk
Una scena d'amore è il culmine di un'incontro fra due persone. Anche nel caso di un colpo di fulmine non nasce dal nulla, ma si sviluppa attraverso sguardi, contatti più o meno volontari, parole tronche, rivelazioni momentanee e attimi di imbarazzo. Ma non so se chiamarlo amore, colpo di fulmine o se era disperazione, frustrazione, paura. Quella che stavamo vivendo era un'esperienza estremamente pesante, la guerra non è una cosa che puoi decidere di non pensare quando le giornate passano tra sirene e boati, quando vivi barricato in cantine, sotterranei, vivi come un topo e come un topo ti senti in trappola e il fiato si fa corto ad ogni rumore e passi il tempo cercando il modo migliore per rimanere in vita. Lei era in un angolo dello scantinato seduta in terra abbracciava le sue ginocchia e tremava non so se di freddo o di paura, io dovevo fare un giro d'ispezione fuori dal rifugio approssimativo in cui ci trovavamo, mi avvicinai lei alzò il viso e mi piantò in faccia due occhioni azzurri pieni di lacrime, mi tolsi la giacca a vento e la appoggiai sulle sue spalle. Fuori controllai che tutti i ragazzi fossero in posizione, si sentivano i colpi di artiglieria ed i bombardamenti non lontanissimi da dove ci trovavamo.
Eravamo partiti il 6 aprile alle 9 e 15 minuti dalla periferia nord di Mariupol, arrivammo a Kramators'k alle 22 e 30 da subito ci rendemmo conto che avremmo presto dovuto di nuovo spostarci e portare via più persone possibili, la situazione non era come a Mariupol dove mancava luce e acqua, per bere si svuotavano i termosifoni dall'acqua che facevamo bollire (io non so se avete mai sentito l'odore dell'acqua dei termosifoni...) quello che non mancava era la vodka quella c'era in abbondanza, come anche patate e fagioli. Portammo via da quell'incubo quante più persone riuscimmo un viaggio che avrebbe dovuto durare quattro ore durò invece tredici ore e venti minuti, posti di blocco a non finire, tre pullman pieni di persone e noi diciotto divisi, tre autisti e cinque soldati armati per mezzo, sembrava non arrivassimo mai.
Rientrai dal giro di ispezione e mi sdraiai su un materasso per riposare un poco, fino ad allora avevo dormito pochissimo, mi addormentai. Mi svegliai di li a poco e notai che di fianco a me era seduta la ragazza con la mia giacca a vento, la guardai lei mi accarezzò il viso e mi baciò, le nostre labbra si sfiorarono a lungo poi timidamente si incontrarono le nostre lingue, stavamo piangendo entrambi suppongo pensasse anche lei che forse non ne saremmo usciti vivi. Mi alzai la presi per mano e ci allontanammo dalle altre persone, salimmo fino al primo piano del fabbricato, sinceramente non pensai al pericolo anche perchè se avessero bombardato quel posto non si sarebbe salvato nessuno, entrammo in un alloggio, una volta dentro guardammo se arrivava acqua, ci spogliammo e cominciammo a lavarci a vicenda, ricordo che aveva una pelle chiarissima, un bel corpo, capelli medi biondo cenere e occhi azzurri, penso avesse tra i 25 e i 30 anni. Ricominciammo a baciarci con più impeto di prima, la presi in braccio e la portai sul letto, fu tutto di una dolcezza infinita, forse dovuto alla paura, alla sofferenza, non lo so so che fu speciale come non avevo mai provato. IL tempo passava ma non eravamo sazi, come per i baci anche il rapporto sessuale si fece più brusco, quasi arrabbiato, tutta la rabbia, la paura, il dolore era li fra i nostri corpi sudati, era notte fonda quando ci addormentammo.
Mi svegliai che era mattino avanzato, uno dei ragazzi era salito a chiamarmi, lei non c'era più sul comodino aveva lasciato un biglietto con un cuore e una catenina con la medaglia di un angelo. Corsi di sotto per vedere se era li ma uno dei miei disse che insieme ad altre persone si era recata alla stazione ferroviaria. Si udì un boato enorme, le sirene, corremmo tutti fuori arrivò un auto con dei soldati ucraini il nostro interprete disse che avevano bombardato la stazione, andammo tutti per prestare soccorso io cercai di raccogliere come potevo quello che era rimasto di quella ragazza bionda, ero fuori di me non sapevo nemmeno cosa stavo facendo ma non potevo lasciarla così in mezzo a tutte quelle macerie, una signora anziana mi si avvicinò e continuava a dirmi "Oksana, Oksana, Oksana" l'interprete mi spiegò che era il nome della ragazza, io e i ragazzi la seppellimmo come potemmo nel cimitero di Kramatorsk, chiesi all'interprete di contattare qualcuno che mettese un qualcosa con il nome della ragazza.
Più tardi dopo aver deciso un piano di evacuazione che sarebbe iniziato il giorno successivo mi si avvicinò l'interprete con alcune persone che mi spiegarono che la medaglia che mi aveva lasciato Oksana era San Michele arcangelo che è il protettore dell'Ucraina, mi spiegarono anche che la ragazza aveva perso tutti a Mariupol. Passai i giorni a seguire con l'immagine dei suoi occhi stampata nei miei e anche ora che ho in mano la medaglia di San Michele continuo a pensare che avrei dovuto salvarla e non mi do pace.
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francobollito · 1 month
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Perché parlare del coraggio? Perché di coraggio, presto o tardi, occorre dotarsi. C'è chi crede che sia una dotazione dalla nascita, chi al contrario un'attrezzatura speciale da organizzare pezzo per pezzo nel corso della vita. C'è chi lo confonde con la spavalderia, la faccia tosta un po' bulletta che ti fa affrontare la vita a testa bassa (o alta, a seconda dello stile), chi invece è consapevole di essere davanti a un puzzle fatto di tanti pezzi. Un coraggio-mosaico che, in quanto tale, risulta composto da decine e decine di tessere una diversa dall'altra. Le tessere sembra che abbiano tutte denominazioni e provenienze diverse. Qualcuna la riconosciamo subito, hanno nomi altisonanti: Sensibilità, Passione, Giustizia, Etica, Amore, tutte nobili, luccicanti nella loro livrea da prima serata. Altre sono meno lucenti, sono Paura, Disperazione, Disgrazia, Sopravvivenza e numerose altre sorelle, per nulla minori, che si somigliano per qualche sfumatura, come spesso accade in famiglia. Possiamo citarne giusto alcune, per non far torto a quelle più rappresentative e dominanti: Gratitudine, Solidarietà, Responsabilità.
Ecco, si può diventare coraggiosi in rappresentanza di molte di esse o di alcune. Si può attingere al Coraggio anche provando una Paura maledetta, o maledettamente sconfinata, eppure provarci. Chiamare a sé il coraggio nonostante il terrore si impossessi di noi, quasi stringendoci alla gola. Non respiriamo dalla paura, eppure procediamo armandoci di coraggio. Quante volte si pensa che il coraggio sia appannaggio degli impavidi, di coloro che sfidano la sorte ad occhi spalancati e narici aperte. Non è così, o almeno, non è solo così. Molte volte il coraggio proviene proprio dai pavidi, dai timidi, dai personaggi che abitano il sottobosco silente e operoso della quotidianità. Il coraggio molto spesso arriva dalla Necessità, dal Bisogno, da quel tremore che si aggrappa su per le gambe e si impossessa delle nostre viscere, e poi oltre, arrampicandosi fino a bloccare il respiro. E' allora che il Coraggio ti abbraccia, come un amico inatteso. E tu ti senti capace di cose inimmaginabili, di sfide che fino a poco tempo prima, avresti battezzato come "insormontabili".
E' questo il tempo del Coraggio? Ecco, questa è una domanda che sgorga imperiosa, una di quelle domande che sgomitano per arrivare prime. E' questo il tempo del Coraggio? Si. E' sempre il tempo del coraggio: il coraggio delle grandi e delle piccole cose. Il coraggio della scelta, il coraggio dello stare in prima linea, il coraggio di fare un passo indietro, il coraggio di aspettare, sostare, ritardare, il coraggio di fare e quello di non fare, di astenersi. Quante cose scorrono davanti ai nostri occhi, cose che richiedono quotidiano coraggio. Il coraggio della cura, il coraggio dell'affrontare la morte, propria o dei nostri cari, il coraggio di sopportare innumerevoli piccole grandi morti quotidiane. Ed è allora che il Coraggio raggruppa le sue sorelle, e queste prendono posto, fanno azioni, ci spingono al fare, all'esprimere, al combattere, giorno dopo giorno, ma anche allo stare assolutamente fermi.
Le strane forme del Coraggio. Le mille declinazioni di una parola che sembra assoluta, sciolta da tutto...e invece è fortemente imparentata con posture, inclinazioni, idee molto spesso ossimoriche.
Penso anche al coraggio nell'amore, quel salto quantico che, presto o tardi ti tocca, e tu non ti butti, a un passo dal bordo del precipizio ti blocchi, ostaggio di calcoli improbabili, misurando tempo, latitudine, coordinate geometriche che non fanno altro che dirti "non puoi riuscire, non è conveniente, guarda che la caduta è pressoché inevitabile". Meglio non rischiare. Allora scegli di stare fermo, perché non puoi sapere come andrà a finire. Meglio proteggersi e mettere in tasca il coraggio che, nel frattempo, se n'è già andato, avvilito, malconcio e deluso.
Sì, deluso da te, modello di geometra dei sentimenti. Per non pagare il prezzo del coraggio, preferisci pagare il prezzo dell'ignavia e di una vita incolore ma confortevole nella sua prevedibilità. Il coraggio, al contrario, ha bisogno di saltare nel buio, senza neanche il paracadute, saltare nell'Ignoto.
Bisogna perdersi nella foresta, parafrasando un bellissimo pensiero di Giorgio Caproni ("La mia ultima proposta è questa: se volete trovarvi perdetevi nella foresta"). E ancora arriva la poesia ad orientarci rispetto alla parola "Coraggio". Questa volta è Wislawa Szymborska che scrive "Conosciamo noi stessi solo fin dove siamo stati messi alla prova. Ve lo dico dal mio cuore sconosciuto". Il Coraggio pare che serva soltanto a questo, alla fine: metterci alla prova per regalarci la grande abbacinante opportunità di conoscere noi stessi. E' un bel prezzo da pagare. Me lo dico per farmi coraggio.
(Simona Garbarino, "Sul Coraggio")
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lamilanomagazine · 2 months
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Verona: al Teatro Camploy incontro/spettacolo contro le dipendenze
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Verona: al Teatro Camploy incontro/spettacolo contro le dipendenze Sensibilizzare i giovani e le loro famiglie sul fenomeno delle 'dipendenze'. A questo punta l'incontro/spettacolo 'Dalle tenebre delle dipendenze... alla Luce!', in programma martedì 9 aprile, al Teatro Camploy con inizio alle 20.30, promosso dal Circolo NOI Veronetta in coorganizzazione con la Circoscrizione 1^. L'ingresso è gratuito e senza obbligo di prenotazione. Un appuntamento speciale con la "Comunità Cenacolo" di Madre Elvira, per una serata di testimonianze e di confronto sui pericoli delle dipendenze - droga, alcool, sesso, ludopatia, ecc... - e su come poter rinascere ritrovando la 'voglia di vivere'. Informazioni sul sito www.comunitacenacolo.it. Durante questo incontro verrà presentato dai ragazzi e dalle ragazze della Comunità il 'Balletto delle Maschere' che ben rappresenta il passaggio dalle 'tenebre delle dipendenze alla Luce'. L'evento è stato presentato questa mattina dal consigliere circoscrizionale Andrea Avanzi della Circoscrizione 1^ insieme al presidente del Circolo NOI Veronetta Andrea Frigo. "Un'opportunità – spiega Andrea Avanzi – offerta alla cittadinanza per riflettere su temi difficili, che fanno però parte della realtà di una comunità che, insieme, deve provare ad affrontare e superare, supportando i più giovani, le tante problematiche connesse alle dipendenze". "Si tratta di situazioni difficili e complesse, giunte anche nei cortili parrocchiali con la presenza di un numero sempre crescente di ragazzi in cerca di un luogo tranquillo e appartato per poter assumere sostanze stupefacenti di vario genere – dichiara Andrea Frigo –. Lo spettacolo di per sè è molto semplice e diretto. Sul palco i ragazzi e le ragazze saranno mascherati e ognuno di loro aiuterà l'altro a liberarsi della maschera che rappresenta tutte le negatività, gli egoismi, le dipendenze, l'odio, e la violenza". Il circolo "NOI Veronetta" nasce nel 2018 come risposta alla necessità di avere un soggetto trasversale alla nascente Unità Pastorale delle cinque Parrocchie di Veronetta che ne curasse le attività civiche, di utilità sociale e solidaristiche sempre ispirate ai valori del Vangelo. In questi sei anni il "NOI Veronetta" ha visto l'adesione di quasi 600 soci, la maggior parte ragazzi e adolescenti, impegnati in attività di vario genere. Comunità Cenacolo. Il 16 luglio 1983, giorno in cui la Chiesa fa memoria della Madonna del Carmine, in una casa diroccata e abbandonata messa a disposizione dal Comune sulla collina di Saluzzo (CN), una cittadina in provincia di Cuneo (Piemonte), suor Elvira Petrozzi, conosciuta oggi come Madre Elvira, dà inizio alla Comunità Cenacolo. È una risposta della tenerezza di Dio all'urlo disperazione di tanti giovani smarriti, ingannati e delusi, che cercano la gioia di vivere e il vero senso dell'esistenza nelle false luci del mondo. Nasce un luogo di accoglienza, di amore e di servizio alla vita che negli anni è divenuto fonte di speranza e di risurrezione per tante persone perse nel mondo delle tenebre, tristi, emarginate, disperate, drogate. La Comunità desidera non solo essere un luogo di recupero e di assistenza sociale, ma una "scuola di vita", una "grande famiglia" dove la persona accolta possa sentirsi "a casa" e ritrovare così la propria dignità, la guarigione delle ferite, la pace nel cuore, la gioia di vivere e il desiderio di amare.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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pancakesemuffinblu · 3 months
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★Un dolce sogno per entrambi
(bozza introduzione: l'idea è sostanzialmente che incontriamo Dream e Nightmare nei sogni)
Questa è una storia di infatuazione,amore e ossessività.
Un qualcosa che non si può definire amore, perché è ben lontano da esso ma è sinuosa,invitate e passionale quanto una bella taccheggiatrice o un bel gigolo in un quartiere a luci rosse.
La passione,la lussuria non è altro che ossessione per non dire che lo stesso signore amore non lascia spazio al immagizione quando si parla d'ossesione.
Ma tu ci pensi? Tutto questo putiferio di passione e possesione sginzaliglato da una speciale scelta,per essere più precisi la vostra mie cari individui!
Una scelta che vi risucchierà in una spirale di disperazione incubi e sogni,che per dire di essere surreali non sono affatto lontani da voi.
★A sweet dream for both of us
(Intro draft: the idea is that we meet Dream and Nightmare in dreams)
This is a story of infatuation, love and obsession.
Something that cannot be defined as love, because it is far from it but it is sinuous, inviting and passionate as a pretty or handsome prostitute in a red light district.
Passion, lust is nothing more than obsession, not to mention that the same sir love leaves no room for imagination when it comes to obsession.
But do you think about it? All this uproar of passion and possession unleashed by a special choice, to be more precise yours, my dearest individuals!
A choice that will suck you into a spiral of desperation, nightmares and dreams, which to say they are surreal are not far from you at all.
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luigifurone · 4 months
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10. (La strega)
“Vattene via. Vattene.”
 Non era un paese. Erano otto case messe in fila, ai lati della strada che le attraversava, sei da una parte e due dall’altra, in cima all’altura che a quel grumo di tane aveva consegnato il nome. Otto le case, ancora meno gli abitanti, due, lui e il vecchio. Quest’ultimo, a dirla tutta, non abitava neppure lì, ma poco distante, in un capanno diventato oramai il suo eremitaggio. Era un vecchio selvatico, il più selvatico di tutti, di quelli che uno alla volta avevano lasciato quelle case misere, gelate da un inverno che pareva non finire mai. Lui invece, giovane ancora, non era propriamente un selvatico, sennonché la compagnia degli uomini gli risultava indifferente. Poche case, meno ancora le persone, molte di più, infinite di più, erano invece le voci.
L’inverno del 1785 era stato molto rigido, un figlio degli Anderson era morto, e ciò, negli anni successivi, fu visto come l’evento che aveva segnato l’inizio del maleficio. Non era nemmeno ricca, quella campagna. La fertilità avrebbe forse mitigato la superstizione, chissà. La sofferenza, invece, soffiava sul fuoco della paura, e la paura su quello della disperazione, cosicché una alla volta, le famiglie se n’erano andate altrove, in cerca di una qualche benedizione. Il vecchio era selvatico come una capra, e parte della sua rustichezza consisteva nel considerare come voci sciocche quelle che parlavano di lei, della strega. Di Camden, di quel giovane, si sapeva solo che, sorpreso a cavallo da una tempesta, s’era riparato una notte in quel posto e al risveglio l’aveva trovato di una qualche speciale attrattiva, tanto da comprare la casa al centro del paese. Si seppe che aveva delle rendite e ai campi che aveva comprato lì intorno cercava di strappare qualcosa, come fosse una sfida all’Onnipotente. Qualcuno aveva giurato, prima di lasciare il paese, d’aver visto più d’una volta la strega infilarsi, volando, dentro la casa di Camden. Quest’ultimo negava ogni cosa. “Sciocchezze”.
Della sorte della strega e degli altri due figuranti su quell’oscuro palcoscenico, del resto, pareva non importasse a nessuno. Camden incontrava il vecchio a caccia, qualche volta si scambiavano della selvaggina, o qualche notizia sulle volpi, e cose simili. Certo, prima o poi, la loro quiete sarebbe stata interrotta. Le case abbandonate guardavano pericolanti la strada, alla contea quella situazione non poteva andar bene. Senza contare che alle orecchie della Legge tutte le chiacchiere sulla strega non potevano non essere arrivate. Per adesso, però, la Legge ed i suoi uomini preferivano le gioie della taverna. Camden ed il vecchio in fondo erano vivi, la strega chissà, il pudding aspettava.
Come ogni sera, Camden consumava una cena semplice, leggeva qualcosa, poi andava a dormire. Non si addormentava subito. A volte si rigirava nel letto tutta la notte. A volte non dormiva per nulla. Non aveva preoccupazioni particolari, se non una sola. Sapeva che ogni tanto, quando chiudeva gli occhi, altri due occhi si aprivano a guardarlo. Erano occhi di giada, striati di rame, che erano lì a fissarlo, quando riapriva i suoi. Ma magari, solo un attimo dopo, non c’erano più. Erano gli occhi della strega.
 “Vattene via. Vattene. Lo so che sei lì.”
Non è dato di sapere quale forza possano avere i malefici, e neppure quanta forza dovesse avere Camden, per sopportare le apparizioni che lo avevano aspettato disordinatamente, senza un qualsivoglia ordine, un giorno sì, poi uno no, poi un altro giorno ancora sì, per poi svanire per un mese, due mesi interi. E poi riprendere. Non è dato neppure sapere se fosse la forza della strega ad incantarlo così, tenendolo legato col suo segreto potere, o fosse invece la forza di lui, che volesse confrontarsi con quell’essere, e vincerlo. Malìe, in ogni caso.
“Vattene via. Vattene”.
 La strega non rispondeva. Camden ne distingueva gli occhi nel buio della stanza, il resto lo intravedeva, come se lei fosse seduta su qualche scranno invisibile, nell’angolo alto della stanza, di fronte a lui. Ne distingueva appena le forme, ma era una strega molto furba. Quando cercava di avvicinarla, fosse pure con un rapido scatto, non riusciva mai a sorprenderla, lei spariva. A volte non la vedeva più per giorni, a volte invece, quando si rimetteva a letto, riappariva appollaiata in un altro angolo della stanza. L’unica cosa che era riuscito a strapparle era qualche risata, qualche risatina che sottolineava i buffi slanci, il buffo broncio di lui. Pareva, sì, si sarebbe potuto dire che il giovane Camden divertisse la strega. Contrariamente a quello che ci si sarebbe potuto aspettare, non era una risata sgradevole, o paurosa, quella della strega. Era, al contrario, una risata che gli arrivava leggera e frizzante come un’aria di Marzo.
Forse era per quello che non se n’era andato. Non era nel suo carattere lasciare una partita difficile, fosse alle carte, ai dadi, fossero i campi che contestava alla carestia o quella stessa casa che i suoi compaesani, quando ancora c’erano, additavano spaventati. Non era nel suo carattere. E in aggiunta, quando l’argento di quella risata s’era infilato sotto la sua pelle, filtrando sempre più addentro, anche le radici che aveva messo in quella casa s’erano fissate, sempre più a fondo. Ma, fosse per qualche eco religiosa che si faceva sempre più stanca, fosse per il suo orgoglio, cercava di mandarla via. Finché, una sera, successe.
 Aveva già avuto le sue scaramucce, per quella sera, con la strega. Era sopraffatto da giorni e giorni di veglia, e s’arrese. Chiuse gli occhi, come un naufrago che senza più forze ceda rassegnato all’abisso, e s’addormentò. Poi, senza volerlo, di scattò, si svegliò. Quando aprì gli occhi, il viso della strega era lì, accanto al suo, in piena luce, una luce innaturale. La strega lo guardava dormire. Nell’attimo che la scoprì, la strega lo guardava con una dolcezza infinita, come lo stesse cullando, come se, con gli occhi, accarezzasse ogni particolare del suo volto. Fu un attimo, per l’appunto. Vistasi scoperta, la strega sparì. Per Camden fu un trionfo. Un trionfo di cui sorrise, ma che non godette per come l’aveva immaginato. Perché il volto che aveva visto, con quegli occhi che già conosceva, era sceso dentro di lui come bevesse fuoco.
 Per una settimana intera la strega non lo fece dormire. Non compariva più, ma faceva sentire la sua presenza. Il letto si sollevava lentamente, senza che lui ci facesse caso, per poi ripiombare a terra in un lampo, con suo grande spavento. Il pavimento scricchiolava, fiammelle s’accendevano a stuzzicare le sue palpebre chiuse, le coperte volavano giù dal letto. E una notte finì così come era cominciata.  Sembrò che anche la strega si fosse stancata. In realtà, quando a notte inoltrata Camden aprì casualmente gli occhi, se la vide sempre lì di fronte, in alto, ma non più oscura. Era luminosa, e visibilmente arrabbiata. Quel volto, che nel ventre di Camden non aveva mai smesso di pulsare, ora ce l’aveva di fronte, imbronciato, ma come se la notte fosse diventata giorno.
 “Vattene. Vattene via”, le disse. “Sei tu che mi vuoi qui”, rispose una voce graziosa. “Io?”, fece Camden. Pretendeva di essere stupito, ma, in realtà, s’accorse che il suo stupore non era rivolto alle parole della strega. Era rivolto a sé stesso. Già. Sentì, irresistibilmente, che la strega aveva ragione. Nessuno parlò più quella sera. Rimasero a guardarsi, e nella giada di quegli occhi egli vide il proprio desiderio che era cresciuto, dalla prima volta che li aveva visti fino a quell’istante, un ruscello che s’era fatto fiume, un fiume che ora straripava senza più alcuna direzione, alcun ritegno, riempiendo la sua anima sopraffatta. Si alzò, e la strega stavolta non scomparve, anzi, mentre lui, lentamente, le si avvicinava, come se fosse sempre accovacciata sul suo trono invisibile, scese fino a trovarsi di fronte a lui. Camden provò a toccarle i capelli. Gli occhi di lei fiammeggiarono, ma lui provò a non fermarsi. E stavolta ad arrendersi fu la strega.
Fu una notte di stelle e meraviglie. Si potrebbe pensare che Camden fosse sotto l’effetto di qualche filtro magico, chissà. O che forse, per qualche mistero non ancora bene indagato, fosse stato Camden a richiamare la strega in questo mondo. Sia come sia, quella notte entrambi si sollevarono molto in alto. Ognuno portava l’altro a conoscenza di qualche nascondiglio riposto nella carne, e ogni segreta pareva aprisse la porta per una nuova felice conoscenza. Non sapevano più se si fossero incontrati solo quella sera, o si fossero ritrovati dopo aver vagato insonni per anni e anni. Quando al mattino Camden si svegliò, però, era solo. Della strega non rimaneva nulla, neppure un profumo tra le lenzuola.
 Passarono lunghi giorni. Camden non dormiva più, consumandosi nei pensieri, nell’incertezza, persino chiedendosi se tutta quella solitudine non avesse davvero minato la sua mente, nonché la sua anima. I giorni si fecero mesi. Non osava accennare la cosa neppure al vecchio, sebbene pensasse che quell’uomo refrattario ad ogni mollezza poteva essere l’unico a farlo rinsavire. C’era una cosa, però, che lo faceva soffrire più di ogni altra.
Così, quando una sera, al limite della speranza, nell’oscurità riapparvero gli occhi di giada “Resta”, le disse, “resta. Ti prego”.
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serereads · 4 months
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05/02/2024
Ho deciso di utilizzare Tumblr con più frequenza, abbandonando altre piattaforme troppo frenetiche e basate unicamente sui trend del momento (più che sul contenuto).
Le immagini sopra riportate mostrano la mia disperazione dinanzi allo studio di una materia che pare infinita sin dall'inizio. Detesto i professori che forniscono un quantitativo di materiale assurdo per materie già ampie e totalmente teoriche. Il problema in questione si chiama "Economia e Gestione delle Imprese" e comprende:
27 pacchetti di slides
Il manuale
La parte speciale (altro manuale)
Avrei volentieri fatto a meno delle slides, ma da quelle poche lezioni che ho seguito ho capito che "nelle slides ci sono cose che sul libro non si trovano e sul libro ci sono cose che sulle slides non si trovano". Tradotto: devo leggere tutto per avere 30.
Dunque mi sono lanciata in questa impresa che spero terminerà a giugno✔. I pacchetti letti attualmente sono 3/27. Amici, rido per non piangere.
Giuro che un giorno creerò una raccolta dei miei appunti e permetterò il download gratuito. Io vi penso 😂♥️
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agrpress-blog · 4 months
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Debutterà in prima assoluta venerdì 2 febbraio 2024 alle ore 20.00 all’Altrove Teatro Studio - via Giorgio Scalia, 53 - lo spettacolo di Federico Malvaldi Tre giorni, regia di F. Malvaldi ed interpretato da Daniele Paoloni, Francesca Astrei, Veronica Rivolta e Renato Civello. In prima assoluta all’Altrove Teatro Studio, da venerdì 2 a domenica 4 febbraio 2024 Tre giorni, spettacolo scritto e diretto da Federico Malvaldi. Tre giorni. E dopo? Dopo si vedrà. Rob, un ragazzo di ventotto anni malato di cancro alla spina dorsale, non può sapere come andrà a finire. L’intervento ha un 50% di possibilità di riuscire ed il rimanente 50% di… Tre giorni per fare i conti con se stessi e con tutti i fantasmi del passato, per accettare che tutto potrebbe finire entrando in quella maledetta sala operatoria. Tre giorni per dire l’ultimo ti voglio bene a una madre rimasta sola, o per ricordare le bravate di gioventù insieme al proprio migliore amico. Tre giorni di paure e di incubi, ma anche di sorrisi e momentanee speranze. Perché proprio a me? Perché la vita è così: si diverte a fregarti. Ma a volte capita che in mezzo alle fregature accada qualcosa di bello. Una parola, uno sguardo, un gesto: Emanuela. Tre giorni per innamorarsi. E dopo questi tre giorni chissà, si vedrà. Divertente, grottesco, a tratti commovente e vero come la vita. Tre giorni affronta la paura di morire con ironia e irriverenza, sbattendoci in faccia tutto il cinismo della vita, così brava a prenderci in giro. Cosa proverò? Si chiede Rob. Non proverai nulla, risponde Emy, senza però saperlo davvero. Perché nessuno sa veramente cosa accadrà dopo. Semplicemente, a un certo punto, tutto si spegne. Il cuore smette di battere, il cervello si ferma, gli organi non lavorano più e la nostra coscienza sprofonda in un sonno senza sogni. Tre giorni racconta l’attesa. Quella di una stanza d’ospedale: un luogo senza tempo che ha confini spazio-temporali a sé stanti, contaminati da un realismo magico che mescola tra loro ironia, cinismo, paura e disperazione. L’attesa altera lo scorrere del tempo, lo deforma fino a dilatarlo o a restringerlo. Un secondo diventa un giorno, un giorno diventa una vita. Non è più il tempo esteriore - scandito solo dalle visite dei parenti e dai pasti improponibili dell’ospedale - a scorrere, ma il tempo interiore. Un tempo che non ha regole, confini e che per ognuno di noi è mutabile e differente. Tre giorni, in fondo, non parla che di amore e di morte. Della possibilità di provare speranza grazie a uno sguardo che sa di futuro. Ma sperare significa anche affrontare le nostre paure più oscure. Così restiamo lì, vulnerabili e indifesi, ma con la consapevolezza che non si muore mai domani, si muore sempre oggi e allora, oggi, dobbiamo anche vivere. Tre giorni di Federico Malvaldi - regia: F. Malvaldi; co-ideazione scenica: Veronica Rivolta; aiuto regia: Rossella E. Scarlato; interpreti: Daniele Paoloni, Francesca Astrei, V. Rivolta, Renato Civello; suono: Leonardo Raspolli; costumi: Marta Montanelli; illustrazioni e grafica: Bernardo Anichini -, testo finalista al CENDIC Segesta, al bando di drammaturgia del Teatro Stabile di Catania ed al premio PaT - Passi Teatrali per la drammaturgia italiana contemporanea; Menzione speciale al bando di nuova drammaturgia Prosit! istituito da Altrove Teatro, vincitore del Premio “Pubblicazione” Silvano Ambrogi e del Premio SIAD Calcante, rimarrà in scena all’Altrove Teatro Studio fino a domenica 4 febbraio 2024 (orario: venerdì 2 e sabato 3, ore 20.00; domenica, ore 17.00)
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enricaleone91 · 5 months
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Parte bene la Rai del 2024
Ascolti - Parte bene la Rai del 2024
Nel suo settantesimo anno di vita la Rai, zoppicante e fallace dell’ultimo periodo, sembra, apparentemente, aver cambiato direzione con alcuni titoli che hanno accolto il favore del pubblico. Si comincia con il boom della serata speciale dedicata alla Lotteria Italia il 6 gennaio, che sia stata la forza della disperazione unita alla speranza di vincere o la bravura della conduzione poco…
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