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#letteratura degli anni 2000
gregor-samsung · 6 months
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«Voglio sperare che tu abbia imparato a odiare. Altrimenti questa esperienza non sarà servita a niente. Ti ho rinchiuso qua dentro perché tu assaporassi l'odio e la voglia di praticarlo. Non ti ho umiliato tanto per fare. Non mi piace umiliare. Lo sono stato, e so cosa vuol dire. Le peggiori tragedie diventano possibili quando l'amor proprio viene deriso. Soprattutto quando ci si accorge che non si hanno i mezzi della propria dignità, che si è impotenti. Credo che la migliore scuola di odio si trovi in questo punto preciso. S'impara davvero a odiare nel momento in cui si prende coscienza della propria impotenza. È un momento tragico, il più atroce e abominevole di tutti.» Mi scuote rabbiosamente per le spalle. «Ho voluto che capissi perché abbiamo preso le armi, dottor Jaafari, perché dei bambini si gettano sui carri armati quasi fossero bomboniere, perché i nostri cimiteri traboccano, perché voglio morire con le armi in pugno... perché tua moglie è andata a farsi esplodere dentro un ristorante. Non c'è cataclisma peggiore dell'umiliazione. È una disgrazia incommensurabile, dottore. Ti toglie la voglia di vivere. Finché non hai reso l'anima a Dio, hai una sola idea per la testa: come morire degnamente dopo aver vissuto "disperato, cieco e nudo"?»
Yasmina Khadra (pseudonimo di Mohammed Moulessehoul), L'attentatrice (traduzione di Marco Bellini), Mondadori (collana Piccola Biblioteca Oscar), 2007; pp. 198-199.
[ Edizione originale: L'Attentat, Éditions Julliard, Paris, 2005 ]
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patemi-pk · 1 year
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Aspettando Pk
Post in italiano, mi spiace per i lettori internazionali, ma mi trovo più comodo a parlare nel mio idioma natio per questa piccola digressione.
Davide Cesarello
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Ho ordinato su Panini.it il nuovo volume di Pk, assieme ad altre cose, perciò avrò modo di leggerlo dopo la data di uscita. Intanto, mi fa piacere che per le matite sia stato scelto stavolta Davide Cesarello.
Potrà apparire forse strano, ma faccio moderatamente il tifo per Cesarello da tempi non sospetti. Allievo della defunta Accademia Disney, ha collaborato con Disney Italia dalla seconda metà degli anni 90, fino agli anni 00. In quegli anni disegnò un pugno di storie, in due delle quali si cimentò anche da autore completo. Ben presto, però la sua carriera prese una strada che definirei più corporate, ovvero da copertinista per varie serie, come Minni & co., Mega 2000, X-Mickey (di cui si occupò anche di parte del processo creativo alle spalle), i Gialli di Topolino e iniziative editoriali come i Classici della Letteratura (la serie edita in collaborazione col Corriere della Sera ebbe in Italia come copertinista principalmente Fabio Pochet, ma in altri Paesi continuò con copertine di Cesarello).
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In pratica si potrebbe dire che sviluppò una carriera simile a Marco Ghiglione, ma, parlando da lettore, nelle poche cose disegnate da lui, vedevo una maggiore capacità narrativa e recitativa, che superava la capacità di mettere in posa dei personaggi per un'illustrazione statica.
Una storia in particolare, mi permise di mettere a fuoco il suo talento: Topolino e il diamante rosa, che ritrovai su un Topolino di quelli venduti nelle buste delle edicole.
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La cosa che mi colpì maggiormente, fu, nello stile, la volontà di eludere dal manierismo un po' provinciale che spesso insidia varie storie italiane, per mettere in scena un Topolino molto reale e allo stesso tempo fedele alla lezione d'oltreoceano. Questa commistione fra look corporate e taglio rampante dei personaggi, più che a Ghiglione, finiva per farmelo accostare a Sciarrone o Barbucci. Insomma, mi sembrava arrivare da quella scuola (o meglio, come avrei scoperto dopo, da quell'Accademia).
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Guizzi così me li potevo immaginare animati dagli studi di Burbank. Non era un qualcosa che sembrava troppo alieno da un Runaway Brain. Tutto questo portava a crederci un po' di più in quello che si leggeva. E la trama, poi, non era neanche banale, ma aveva delle sequenze, inquadrature, tagli, che la facevano risaltare. Anche la scelta di alcune vignette monocromatiche dava un appeal moderno, simile a quello che Monteduro aveva inaugurato su Pk (sui colori, però, suppongo indicazioni dell'autore, data la valenza narrativa degli stessi, ma non ho elementi per identificare autori).
Se ciò sembra poco, questa storia segna anche il suo esordio sul settimanale, come rivela lo stesso autore nella sua scheda su Topolino.it:
Di saper disegnare lo dimostrai molto presto, all’asilo delle suore di Sesto S. Giovanni, dove i classici omini stilizzati prendevano forme e dinamismi unici per un bimbo di quell’età. L’asilo fu in effetti una buona palestra, si passava molto tempo a fare “scarabocchi” che tra l’altro conservo ancora gelosamente (oltre che a giocare a Zorro e D'Artagnan, gli eroi dell’epoca). Ad ogni modo, fu subito chiaro che il disegno sarebbe stato una componente molto importante nella mia vita e irrinunciabile. Seguirono poi gli anni delle elementari, tra cartoni animati giapponesi, che copiavo senza fermo immagine (ahimè all’epoca non ce l'avevamo) e caricature di compagni e maestre, naturalmente a loro insaputa, con una vena sempre umoristica. Crescendo diventai un divoratore di fumetti e col tempo mi appassionai soprattutto allo stile umoristico, imparando a riconoscere gli autori e l loro segno grafico. Da adolescente non ebbi troppi problemi a scegliere la mia strada. Passai diversi anni a studiare grafica e illustrazione, finendo poi all’Accademia di Belle Arti di Brera dove mi diplomai in scenografia. Fu proprio a Brera che venni a sapere della scuola Disney e così convinto da una amica, mi presentai con un book di disegnetti molto naif alla selezione per entrare ai corsi tenuti dal grande Giovan Battista Carpi. Passò un lungo periodo di prove infinite ma alla fine riuscii ad entrare all’Accademia Disney, un luogo di incontro e scambio culturale che mi rimarrà sempre nel cuore. La prima storia uscii nell’ottobre 98: "Topolino e il diamante rosa”, scritta e disegnata da me e in seguito ne uscirono altre, mentre collaboravo saltuariamente anche con il dipartimento Licensing della Disney per la creazione di prodotti per il consumer product. Dopo qualche anno da freelance mi venne offerto di entrare alla Walt Disney Company come senior artist, dove ebbi modo di conoscere tantissimi artisti provenienti da tutto il mondo e crescere artisticamente, ispirato dal loro talento e i loro insegnamenti. Nonostante fossi ormai lontano dalla testata di Topolino ebbi modo comunque di ispirare la redazione con alcune serie di grande successo: X-Mickey e le Storie della Baia. Il fumetto come mezzo per raccontare storie continuava ad avere un certo fascino su di me. Nel 2018 tornai a fare il freelance, riallacciando i rapporti con la rivista di Topolino.
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Nonostante il Diamante Rosa fu a lungo l'unico ricordo connesso a Cesarello, il suo nome mi rimase impresso, tanto da essere stupito, nel tempo, di non trovare più un così fulgido talento speso fra le pagine del topo. Fui perciò molto felice di rivederlo, prima di nuovo sulle cover e dopo sulle storie, a collaborare col settimanale, dopo una decennale assenza (ultradecennale, se poniamo l'attenzione sulle storie lunghe più di una tavola).
Menzione obbligatoria di congratulazioni con la direzione Bertani per il fiuto nel recuperare autori.
Il nuovo Cesarello appare certamente più maturo di come fosse negli anni 90. Mantiene una regia interessante e una buona capacità di far recitare i personaggi. Con le nuove storie di Top de Tops riesce egregiamente a sostituire Massimo De Vita, riuscendo a porsi in continuità con lui, pur avendo infuso una riconoscibilità ai personaggi mutuato, evidentemente, dagli anni nel licensing.
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Se in passato sembrava pendere verso l'animazione in determinate scelte e lo stile corporate, qui pare tornare ad adattarsi al mezzo fumetto, pur mantenendo quella particolare affinità per il dinamismo. Insomma, appare in evoluzione, capace di rinnovarsi e di applicarsi a studiare per adattarsi a ciò che gli viene chiesto, dandone un'interpretazione comunque personale.
Ora ha ricevuto il pesante incarico di occuparsi di Pk, in un periodo in cui alla serie vengono affidate matite inedite. Sono molto curioso della prova che potrà dare in questo contesto.
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carmenvicinanza · 1 month
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Christa Wolf
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Il passato non è morto; non è nemmeno passato. Ce ne stacchiamo e agiamo come se ci fosse estraneo.
Christa Wolf è la più nota scrittrice contemporanea di lingua tedesca. Autrice di romanzi, racconti e saggi, la sua critica della società e della politica, unita all’impegno per le questioni di genere e di identità, l’hanno resa un fondamentale riferimento culturale.
Tra le sue opere più celebri si annoverano Cassandra e Medea.Voci, in cui reinventa due famose figure della mitologia classica dal punto di vista femminista.
Sempre alla ricerca di nuove forme espressive per esplorare le complessità della storia e della società, il suo stile è caratterizzato da una profonda introspezione psicologica dei personaggi e una scrupolosa attenzione ai dettagli storici e culturali che mescola la narrazione con la riflessione filosofica e politica.
È stata una voce dissidente all’interno del regime comunista dell’Est a cui non sono state risparmiate aspre critiche per le sue idee in difesa della libertà di pensiero e espressione. 
Nata col nome di Christa Ihlenfeld a Landsberg/Warthe (oggi Gorzów Wielkopolski, Polonia) il 18 marzo 1929, ha vissuto gran parte della sua vita nella Germania dell’Est.
È cresciuta sotto l’avvento del nazismo e vissuto l’odissea dei profughi provenienti dalla parte orientale del Terzo Reich di fronte all’avanzata dell’esercito sovietico.
Si è laureata in  germanistica all’Università di Jena.
Nel 1951 ha sposato lo scrittore Gerhard Wolf, da cui ha preso il cognome e iniziato a lavorare come critica letteraria per la rivista dell’unione degli scrittori della DDR credendo con fermezza nella missione politica della letteratura.
L’esperienza di lavoro presso una fabbrica di vagoni ferroviari ha dato origine alla stesura del romanzo sulla divisione della Germania che l’ha posta al centro dell’attenzione della critica internazionale, Il cielo diviso, per il quale, nel 1963 ha ricevuto il premio Heinrich Mann.
Coinvolta nel dibattito politico e nella difesa dei diritti umani, ha fatto parte del Partito Socialista Unificato di Germania da quando era ventenne e sostenuto la politica di apertura e riforma durante gli ultimi anni della Germania Est.
Dopo la riunificazione, le sue opere hanno dato luogo a molte controversie. La critica della Germania occidentale le rinfacciava di non aver mai criticato l’autoritarismo del regime socialista tacciandola di “moralismo”.
Nel 2002 è apparso il testo Un giorno all’anno. 1960-2000 che raccoglie le pagine di diario scritte ogni 27 settembre in quell’arco temporale da cui emergono i conflitti interiori e l’analisi lucida della società tedesca fino all’unificazione ed oltre.
L’ultimo libro Con uno sguardo diverso (2005), raccoglie otto racconti che spaziano dalla sperimentazione letteraria alla forma diaristica (vengono presentate le pagine del 27 settembre 2001) fino alla toccante scomposizione della sua vita coniugale.
È morta il 1º dicembre 2011 a Berlino.
Uno degli aspetti più interessanti della sua scrittura è la sua capacità di mettere in discussione la narrazione tradizionale della storia, offrendo una prospettiva diversa e più critica sugli eventi del passato. Spesso i suoi romanzi esplorano il ruolo della memoria nella costruzione dell’identità individuale e collettiva, ponendo domande importanti sulla verità storica e sulla responsabilità nei confronti del passato.
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cinquecolonnemagazine · 8 months
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Quando ha avuto inizio l'era contemporanea?
Quando ha avuto inizio l'era contemporanea? Con la sua complessità e rapidità di cambiamento, l'era contemporanea è un momento unico nella storia dell'umanità. Definita dalla convergenza di tecnologia, politica, cultura e società, sfida le nostre percezioni tradizionali e ci spinge a esplorare il significato stesso di ciò che è "contemporaneo". L'inizio dell'era contemporanea Definire l'era contemporanea non è un compito semplice. Mentre alcuni storici la situano dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ad oggi, altri considerano l'inizio degli anni 2000 come un punto di demarcazione. In ogni caso, l'epoca contemporanea è caratterizzata da una serie di fenomeni globali che ne influenzano la struttura, dalla crescita esponenziale della tecnologia digitale alla crescente consapevolezza delle sfide ambientali. Una delle caratteristiche predominanti dell'era contemporanea è la rivoluzione tecnologica. L'avvento di internet e la digitalizzazione hanno cambiato radicalmente il modo in cui viviamo, comunichiamo, lavoriamo e intratteniamo. La connettività istantanea ha unito il mondo in un unico spazio virtuale, rendendo la tecnologia non solo uno strumento, ma un contesto fondamentale delle nostre vite. Quali cambiamenti sociali e politici L'era contemporanea è stata segnata da profondi cambiamenti sociali e politici. Le rivendicazioni per i diritti civili, la diversità di genere, l'uguaglianza e l'inclusione sono diventate parte centrale del dibattito pubblico. Anche il panorama politico è stato caratterizzato da sconvolgimenti, con movimenti populisti che emergono in varie parti del mondo e con un cambiamento nel concetto stesso di leadership politica. La cultura contemporanea è un intreccio di influenze globali e locali. L'arte, la musica, il cinema e la letteratura riflettono le complesse sfumature dell'epoca. Alcune espressioni culturali si radicano nelle tradizioni, mentre altre sfidano i confini e si aprono a nuove forme di espressione, spingendo i limiti della creatività umana. Dibattiti e sfide chiave L'era contemporanea non è priva di dibattiti e sfide. L'accelerazione tecnologica ha portato benefici senza precedenti, ma ha anche sollevato preoccupazioni sulla privacy, la sicurezza dei dati e l'automazione dei posti di lavoro. Inoltre, le sfide ambientali, tra cui il cambiamento climatico, stanno spingendo la società a riconsiderare il nostro rapporto con il pianeta. L'identità dell'era contemporanea è ancora in fase di definizione. Mentre le epoche passate spesso possono essere caratterizzate da tratti distintivi, l'epoca attuale è caratterizzata da una pluralità di voci, opinioni e sfaccettature. L'interconnessione globale ha portato a una frammentazione dell'identità contemporanea, che a volte può sembrare difficile da catturare in un'unica immagine. L'era contemporanea è un labirinto affascinante e complesso, dove tecnologia, cultura, politica e società si intrecciano in modi inaspettati. È un periodo in cui il passato, il presente e il futuro si sovrappongono, rendendo difficile tracciare confini netti. Navigare in questa epoca richiede flessibilità, adattamento e un costante impegno nell'esaminare le sfide e le opportunità che ci circondano. Mentre il mondo evolve, ciò che definisce l'era contemporanea continuerà a rivelarsi attraverso le dinamiche in continua evoluzione della nostra società globale. In copertina foto di Niek Verlaan da Pixabay Read the full article
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handmadenostalgia · 10 months
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La prima estate di Lana Del Rey
Di Elisa Carini e Vincenzo Grasso
Quasi come in una funzione religiosa ortodossa, Lana Del Rey volge le spalle al pubblico. Consumata la prima metà del concerto, si ferma per qualche minuto nell’atmosfera febbrile del parco di Bussoladomani a Lido di Camaiore. È il 2 luglio 2023, e siamo all’ultima data del Festival La Prima Estate.
Sul display proiettato in fondo al palco inizia un monologo, quello che accompagna il video musicale di uno dei suoi singoli più celebri, Ride. La sua voce registrata recita: 
Ero nell’inverno della mia vita, e gli uomini che ho incontrato sulla mia strada sono stati la mia unica estate… 
Una dopo l’altra, sotto forma di fotogrammi, le mille estati di Lana prendono vita: Lana prima della fama, quando ancora si faceva chiamare Lizzy Grant e aveva i capelli biondo platino; Lana in Video Games, il fenomeno YouTube del 2011 in cui tutto cambia con un videoclip homemade e un ritornello supportato da quel timbro fumoso impossibile da replicare. Citando quanto detto da lei al «Daily Mail» nel 2011: “Se avessi saputo che così tante persone lo avrebbero guardato, avrei fatto scelte decisamente differenti”. 
Eppure, forse sono state proprio quelle scelte – la webcam a bassa risoluzione puntata sul volto, le labbra protese a canotto – a segnare la traiettoria di un’artista destinata a divenire un cult del panorama musicale contemporaneo.
E poi ancora, in una road coast to coast all’interno del suo catalogo discografico, continua la rappresentazione delle sue trasformazioni. In tutto questo ci chiediamo che cosa spinga un’artista del genere a scegliere come location dell’unica data italiana Lido di Camaiore, annunciata appena sei giorni prima. 
Si tratta forse di quell’estetica della sottrazione che Lana ha portato avanti per tutta la sua carriera. Il terrore di stare al centro della scena, forse persino la consapevolezza dell’incapacità di sostenere le aspettative che vengono poste alle artiste donne nella musica pop. E quindi via dai social media affinché la musica “possa parlare da sola”, nessuna strategia promozionale se non quella della sua stessa fanbase. 
Ci sono 17.000 persone, sebbene la località non sia di certo facilmente raggiungibile. 
Quando il monologo si conclude e Lana riprende a fronteggiare il nostro sguardo, ci chiediamo quale sarà la sua prossima mossa, quando quella stessa Lana che adesso stiamo osservando diverrà, anche lei, parte di quel carosello celebrativo.
Malinconia fatta a mano
Occhiali da sole rossi a forma di cuore, fiori bianchi tra chiome di capelli scuri, mullet e baffi, magliette con la scritta cherry coke e peyote, cowboy boots, shorts di jeans, vestitini eterei.
Le telecamere riprendono una folla emozionata, impaziente.
Dopo un pomeriggio assolato, finalmente spira una brezza marina.
Riflesso nei maxischermi, un ragazzo alza un cartello con la scritta “MOMMY?”, sorride.
Attraverso un repertorio estremamente vasto, curato nell’arco di un decennio, Lana ha creato un universo narrativo complesso, inequivocabile, e per i primi anni 2000 assolutamente innovativo.
Tra le sue citazioni troviamo alcuni dei capisaldi della letteratura e della musica statunitense: Walt Whitman, Allen Ginsberg, Tennessee Williams, Sylvia Plath, T.S. Eliot, Bruce Springsteen, Elvis Presley, Joni Mitchell, senza contare cover di canzoni come Blue Velvet, Summer Wine, Don't Let Me Be Misunderstood e Chelsea Hotel n°2. Lana ha ripreso un’estetica passata – quella degli Stati Uniti a partire dagli anni ’50 – rendendola sua e raccontandola con la grazia propria della poesia.
Pensiamo a Lolita, il romanzo di Nabokov che, come lei stessa, è stato spesso frainteso perché accusato di romanticizzazione. È pressoché impossibile pensare a Lana Del Rey senza che al contempo vengano in mente certi riferimenti letterari, o altre immagini iconiche come Marilyn che canta Happy Birthday a JFK, Jackie O’ e il suo completo rosa di Chanel. E allo stesso tempo la California di inizio anni ’70, a “jazz singers” e “cult leaders” (Charles Manson and the family), alla vita “on the road” a cavallo di Harley Davidson con la guancia posata sul gilet in pelle di uomini molto più anziani, a motel semivuoti in mezzo al deserto e gas stations abbandonate.
Impossibile non pensare ai suoi riferimenti religiosi, a Tropico, cortometraggio realizzato dall’artista nel 2016, al velo azzurro sui suoi lunghi capelli scuri e le mani giunte in preghiera. Quello di Lana è un mondo fatto delle sue passioni, di estetiche che le parlano, di una “malinconia fatta a mano”. Le citazioni e i riferimenti non sono mai fini a se stessi, ma funzionali a creare atmosfere, evocare sensazioni. Lana racconta storie, a volte anche le sue, con estrema sincerità e vulnerabilità, un coraggio forse inconsapevole che potremmo definire autentico: non può fare altrimenti, e nemmeno vuole.
Lana ha costruito un mondo, e nutrito quello di altri. Pensiamo a un romanzo come Le Ragazze, di Emma Cline, e a una canzone come Freak, ad artiste che si ispirano a lei, che già ne raccolgono l’eredità. Le stesse Laila Al Habash e Maria Antonietta – che hanno aperto il concerto e sono state meravigliose, che raccontano storie e costruiscono mondi – hanno ribadito l’importanza di un’artista come lei nel panorama contemporaneo. È impossibile pensare a Lana senza pensare all’epoca di Tumblr, quand’era ancora diffuso tra i più giovani e pieno di sue foto: Lana davanti a una bandiera americana con i capelli color miele che strizza l’occhio alla fotocamera, Lana nella sua giacca rossa Ferrari. Impossibile non pensare alle ore trascorse a ricondividere foto e video che la ritraevano, a cercare di ricreare la sua estetica. 
È impossibile non ripensare a come la si è scoperta, Lana.
C’è ancora luce, ma per poco. Guardiamo i maxischermi. Un cartello recita: “YOU DID MORE FOR ME THAN MY THERAPIST”. La ragazza con cui abbiamo fatto amicizia sorride, le chiediamo se ricorda la prima volta che ha ascoltato Lana. Racconta che era l’estate del 2012, che si trovava in vacanza nella casa di campagna della nonna. “Non c’era niente da fare” dice, “Io e mio cugino passavamo le giornate seduti sul prato a parlare, a disegnare e ad ascoltare Born To Die, me l’ha fatta scoprire lui”. Sorride: “Avevamo sedici anni, io ascoltavo Summertime Sadness piangendo tutte le sere perché il mio fidanzato si era trasferito. Vivevamo su Tumblr”. Beve un sorso della sua birra: “Sono passati dieci anni e heaven is a place on earth with you ogni tanto ce lo scriviamo ancora”.
Una camera di motel tutta per sé
Per tutta la durata del concerto, Lana è accompagnata dalla band, un corpo di ballerine e dalle sue tre coriste. Durante l’esecuzione dei suoi brani più celebri – Young and Beautiful, Ride, Born to Die, Blue Jeans, Summertime Sadness e Video Games – la folla sovrasta la sua voce.
Nelle canzoni meno conosciute dal grande pubblico, come quelle più recenti estratte dall’ultima fatica discografica – Did you know that there’s a tunnel under Ocean Boulevard –, la folla si acquieta e la performance vocale viene fuori decisa e matura. Sembrano ormai lontani i tempi in cui Lana veniva aspramente criticata per imprecisioni tecniche frutto di un’ansia che appariva ingestibile.
Durante gli esordi, i media americani ed europei l’hanno ritratta come frutto di un’operazione frankensteiniana tra le spoglie delle dive del cinema e le torch singers degli anni ’40.
In un’intervista a «The Guardian» del 2014, la cantante, spesso accusata di una sorta di ingratitudine nei confronti della vita dovuta alla caratteristica tristezza che forgia ancora adesso la sua musica, confessa: “Speravo di essere già morta”. 
Lo stesso anno, in occasione della pubblicazione della sua opera più controversa, Ultraviolence, verrà fatta a pezzi dalla critica per aver “reso glamour” l’abuso domestico. 
Realtà o finzione? In questo caso la ricerca di una risposta è meno interessante della stessa domanda. Lana, infatti, si è spesso mossa nello spettro liminale dell’autofiction e solo di recente ha cominciato a consegnarsi alla pratica dell’autobiografismo spietato. 
Nella prima metà del concerto, Lana intona The Grants, singolo estratto dall’ultimo album in cui racconta la paura di perdere i propri familiari. Si tratta di un elogio alla memoria affettiva: cita la nascita di sua nipote, le ultime parole della nonna – insomma, ciò che intende portare via con sé quando arriverà anche il suo momento. 
Quando intona una versione intimistica della title track di Ocean Boulevard, la questione si rovescia e si trasforma in un invito al suo pubblico: “Don’t forget me”. 
Migliaia di braccia sollevano i cellulari con le torce accese. 
Difficile dimenticare un’artista che ha cambiato irrimediabilmente il corso della musica pop narcotizzandolo, prima del suo arrivo dominato dai ritmi ossessivi ed edulcorati dei primi anni 2000. Parafrasando dunque un passo della sua stessa canzone, anche oggi, qui su un palco davanti a migliaia di persone, c’è una ragazza rinchiusa nella camera di un motel che canticchia. Se hai trovato l’ingresso a questo mondo nascosto, non abbandonarlo.
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lamilanomagazine · 1 year
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La Feltrinelli di Milano con i suoi appuntamenti di maggio: protagonista l’iniziativa “100 CLASSICI DI NUOVA GENERAZIONE”
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La Feltrinelli di Milano con i suoi appuntamenti di maggio: protagonista l’iniziativa “100 CLASSICI DI NUOVA GENERAZIONE”.   Proseguono gli appuntamenti nelle librerie Feltrinelli della città con un nutrito calendario di appuntamenti: protagonista l’iniziativa “100 CLASSICI DI NUOVA GENERAZIONE”. Non una semplice proposta di letture, ma un percorso di esplorazione che ha origine da una domanda: “Quali saranno i classici del nostro domani?” A rispondere i librai laFeltrinelli che hanno selezionato 100 titoli italiani e stranieri, pubblicati dal 2000 ad oggi, con l’intento di instillare una riflessione e un confronto attorno al concetto di “classico” e a quei libri che hanno segnato le nostre vite. Continua il dibattito attorno ai libri che ci hanno segnato la vita con la prosecuzione del palinsensto di Bookclub già avviati ad aprile. In piazza Piemonte il 16 maggio alle 18:30 il secondo appuntamento, con la conduzione della libraia laFeltrinelli Enrica Antonini: la lettura e discussione di La vera storia del pirata Long John Silver (Iperborea), testo scelto durante il precedente incontro. Proseguono anche quelli realizzati  in collaborazione con My English School, che si svolgeranno il 10 maggio su Normal People di Sally Rooney (piazza Duomo) e l’11 maggio su Educated di Tara Westover (corso Buenos Aires). Tra gli autori di questo mese, uno spazio ai fumetti, con inizio mercoledì 10 alle ore 18:30 in p.zza Piemonte Terry Moore presenta Serial (Bao Publishing), un grande ritorno del Maestro statunitense con un volume autoconclusivo in cui la protagonista è Zoe, la bambina posseduta dall’entità demoniaca Rachel Rising (evento libero e gratuito con prenotazione su lafeltrinelli.it/eventi). Si prosegue mercoledì 17 alle ore 18:30 in p.zza Piemonte presso lo Spazio Comics&Games con Lou Lubie che presenta E alla fine muoiono (Bao Publishing): un graphic novel che analizza come i contesti storici abbiano influenzato fiabe e favole (evento libero e gratuito con prenotazione su lafeltrinelli.it/eventi).  Teresa Radice e Stefano Turconi invece sono protagonisti martedì 30 alle 17:30 in p.zza Piemonte con Il contastorie (Bao Publishing), fumetto ambientato in Brasile negli anni ‘60 in cui i protagonisti sono due fratelli: il minore scopre presto che il più grande non è l’eroe che pensava ma è un contrabbandiere (evento libero e gratuito con prenotazione su lafeltrinelli.it/eventi). Rimane protagonista la musica con Gazzelle che venerdì 19 alle ore 18:30 in p.zza Piemonte presenta DENTRO, il nuovo album che racchiude i momenti che hanno segnato la sua vita e che vede la partecipazione di amici e colleghi d’eccezione. Giovedì 25 invece alle ore 18:30 in p.zza Duomo, Remo Anzovino presenta Don’t forget to fly , una moderna suite piano solo in 12 movimenti. Infine la musicista Patrizia Laquidara giovedì 18 alle ore 18:30 presenta Ti ho vista ieri (Neri Pozza), racconto della sua infanzia con uno stile narrativo tra la letteratura e il canto. L'evento inoltre segnala anche la ripresa degli eventi nei dehors ne laFeltrinelli Red di Gae Aulenti. Non mancano ovviamente gli appuntamenti con gli autori, autrici e le uscite più significative: venerdì 12 alle ore 18:30 in p.zza Piemonte una serata con Gad Lerner, Michele Serra e Carlo Verdelli per ricordare l’eccellente penna di Curzio Maltese, autore del romanzo Azzurro (Feltrinelli Editore). Lunedì 15 alle 18:30 in p.zza Piemonte sarà la volta di Stefano Nazzi, giornalista e autore del podcast rivelazione Indagini, che presenta Il volto del male (Mondadori) insieme a Francesco Costa. Il saggio raccoglie le vicende di dieci omicidi e di come gli avvenimenti del loro passato hanno condizionato le loro azioni. Venerdì 19 alle 18:30 in c.so Buenos Aires invece Tahereh Mafi incontra i lettori e firma le copie di This woven kingdom. Le trame del regno (Fanucci), il primo capitolo di un’epica e romantica serie fantasy ispirata alla mitologia persiana. Infine Chiara Cecilia Santamaria aka @macheddavero, autrice dell’omonimo blog, presenta mercoledì 24 alle 18:30 in c.so Buenos Aires Le cinque rive (Gribaudo), romanzo Fantasy ambientato nelle terre di Penthral, terra di guerre e conflitti (evento libero e gratuito con prenotazione su lafeltrinelli.it/eventi).... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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personal-reporter · 1 year
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maddalenafragnito · 1 year
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OROSCOPO  Convocazione
Oroscopo è una convocazione agli stati generali della danza e delle arti dal vivo, un tentativo di creare una comunità temporanea che avvisti e articoli nuovi modi di immaginare il futuro.
Dopo la scorsa edizione ospitata nel contesto di AtelierSi, quest’anno OROSCOPO si terrà a Teatri di Vita nei giorni 28 e 29 Novembre. Due giorni di riflessioni, ascolto, pensiero, racconto su dove siamo (dove forse pensiamo di essere), un momento di speculazione immaginativa su quello che ci attende (o che non ci attende più), un affidamento a quello che non possiamo prevedere, un tentativo di risignificare la parola contemplazione. Di seguito trovi il programma degli eventi:
28 Novembre
Lo spazio sarà aperto e attraversabile dalle 11.00, ti invitiamo ad arrivare con il tempo che desideri, noi saremo lì ad accoglierti. Immaginiamo questo momento come uno spazio in cui ci ritroviamo, ci riabituiamo a stare insieme.
14.00 - 16.00: assemblea. Questo è un momento in cui daremo la possibilità alle questioni che vogliono emergere di farlo, organizzandoci in un formato assembleare
16.00 - 18.00: Onomaturgia Futuribile | Neologismi comunitari con Noura Tafeche. Un laboratorio ludico-sperimentale per usare il linguaggio come un portale immaginativo collettivo
29 Novembre
11.00 - 13.00: assemblea. Proponiamo di ripercorrere e riprendere le questioni che saranno emerse nel corso della prima giornata.
13.00 - 14.30: pausa
14.30 - 16.30: interventi Come nelle precedenti edizioni, abbiamo invitato tre ospiti a parlarci di quello che intendono/pensano/vedono/immaginano/sentono attorno al tema del futuro. L3 ospiti di questa edizione sono:
Ginevra Bompiani, Scrittrice e saggista italiana, è nata a Milano e vive a Roma. E’ stata docente di lingua e letteratura inglese all’università di Siena, ha pubblicato saggi e opere di narrativa fra i quali: Le specie del sonno (f.m.r.), 1975; Lo spazio narrante (saggio, La Tartaruga, 1978) L’incantato, (Garzanti, 1987); L’attesa (saggio, Feltrinelli 1988, Et al. edizioni 2011, Luca Sossella 2021), L’età dell’argento, 2001; Ritratto di Sarah Malcolm, (Neri Pozza 2005); La stazione termale (Sellerio 2012), Mela zeta (nottetempo 2016), L’altra metà di Dio (Feltrinelli, 2019), La penultima illusione (Feltrinelli, 2022). Con Roberta Einaudi ha fondato nel 2002 le edizioni nottetempo.
Maddalena Fragnito è artista e ricercatrice. Coautrice dei volumi Rebelling with Care (WeMake, 2019) ed Ecologie della cura: Prospettive transfemministe (Orthotes, 2021). Collabora con i gruppi di ricerca Pirate Care (2019) e Institute of Radical Imagination (2021).
Wu Ming 1 è un nome d'arte. L'autore che lo adotta vive da a Bologna molti anni ma resta ferrarese del Delta. È uno dei fondatori di Wu Ming (in cinese «Senza nome»), gruppo di scrittori attivo da 1/4 di secolo. Nel 1999 col nome «Luther Blissett» i futuri Wu Ming pubblicarono il romanzo Q (Einaudi). A partire dal 2000, col nuovo nome hanno firmato romanzi (il più recente è Ufo 78), racconti, saggi, sceneggiature. Ogni membro di Wu Ming ha per nome d'arte quello della band con l'aggiunta di un numero cardinale, e scrive anche opere soliste. Le ultime di WM1 sono La macchina del vento (Einaudi, 2019) e La Q di Qomplotto (Alegre, 2021). Altre informazioni su Giap, www.wumingfoundation.com/giap.
16.30 - 17.00: chiusura
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londranotizie24 · 2 years
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L’estate prima di domani: il libro di Bernabei presentato all’Iic di Londra
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L’estate prima di domani: il libro di Bernabei presentato all’Iic di Londra Di Simone Platania L’estate prima di domani: il libro di Bernabei presentato all’Iic di Londra il 21 ottobre. Alfio Bernabei, Paola Dionisotti e molti altri ospiti per la presentazione di L’estate prima di domani Continuano le presentazioni di libri e opere italiane presso l'Iic e questo venerdì gli ospiti sono invitati ad un nuovo evento dedicato alla letteratura italiana. L’estate prima di domani: questo il titolo del libro di Alfio Bernabei presentato all’Iic di Londra. L’ultima fatica dello scrittore e giornalista italiano è infatti la protagonista della presentazione presso l’Istituto Italiano di Cultura a Londra; durante la serata, ospitata presso Belgrave Square il 21 ottobre, l’opera verrà presentata attraverso una talk tra Bernabei e l'autrice Angela Thirlwell, moderata da Helen Pankhurst. L’evento è introdotto da Katia Pizzi. L'attrice Paola Dionisotti leggerà alcuni estratti del libro. L’ingresso è gratuito e prenotabile qui.  L’estate prima di domani, il libro Il libro di Alfio Bernabei L'estate prima di domani (Castelvecchi Editore) è un romanzo storico ambientato nel 1922.  Racconta la storia di un gruppo di anarchici, comunisti e repubblicani che si incontrarono in un caffè italiano in Galles. Intenti a sabotare una nave con un equipaggio formato interamente da fascisti, tentano di cogliere l’opportunità di mettere in imbarazzo Mussolini e il fascismo sul piano internazionale. Le conseguenze, tragiche, vedono coinvolti nell'escalation sindacati britannici, ministeri, Downing Street, rendendo le pagine del libro a tinte Noir e d’avventura. Gli ospiti della presentazione Durante la presentazione, l'autore discuterà i temi del suo libro con Angela Thirlwell. Moderata dall'attivista Helen Pankhurst, nipote di Sylvia Pankhurst, la serata vede infine Paola Dionisotti leggere ed interpretare alcuni estratti dell’opera.  Alfio Bernabei è un giornalista e scrittore italiano. Ha lavorato per la BBC e per Channel 4 e i suoi articoli sono apparsi su diversi giornali italiani e britannici, tra cui "L'Espresso", "Panorama", "History Today", "Searchlight". Tra il 1985 e il 2000 è stato corrispondente da Londra per "l'Unità". Ha trattato il tema dell'internamento degli italiani nel Regno Unito e la tragedia dell'Arandora Star nel suo libro "Esiliati ed emigranti italiani nel Regno Unito 1920-1940" (Mursia, 1997). È autore di opere teatrali, rappresentate sia in Italia che all'estero, in particolare a Londra e a Edimburgo. Angela Thirlwell ha studiato Inglese al St. Anne's College di Oxford. Ha insegnato per molti anni Inglese e Studi Teatrali alla Facoltà di Formazione Continua del Birkbeck College, Università di Londra. È autrice di numerosi libri, tra cui William and Lucy: The Other Rossettis (Yale), Into the Frame: The Four Loves of Ford Madox Brown (Chatto) e Rosalind: L'eroina immortale di Shakespeare (Oberon). Ora sta lavorando a una storia di verità e fantasia sui Pettoello, una famiglia italiana antifascista che fuggì da Torino nel 1922. Helen Pankhurst è un'attivista per i diritti delle donne, studiosa e scrittrice. Attualmente è consulente senior di CARE International, (Cooperative for Assistance and Relief Everywhere), un'importante agenzia umanitaria internazionale che fornisce aiuti di emergenza e progetti di sviluppo internazionale a lungo termine. È pronipote di Emmeline Pankhurst e nipote di Sylvia Pankhurst, entrambe leader del movimento delle suffragette.  Paola Dionisotti è un'attrice italo-britannica attiva sul palcoscenico e nella televisione britannica dal 1975. Tra i suoi ruoli, Lady Patricia Broughall in Forever Green, Zia Nicholls in Harbour Lights, Lady Waynwood in Game of Thrones. Sul palcoscenico, è nota per i suoi ruoli shakespeariani, tra cui quello della locandiera Mistress Quickly nell'acclamata produzione RSC del 2014 di Enrico IV.   ... @ItalyinLDN Continua a leggere su Read the full article
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In Biblioteca puoi scoprire autori e opere che non conoscevi o di cui avevi sentito parlare ma che ancora non avevi avuto modo di leggere. Ed è per questo che abbiamo deciso di dedicare un angolo alla scoperta di questi "tesori nascosti". Oggi l'autore prescelto è Elizabeth Strout e l'opera "Olive Kitteridge". In un angolo del continente nordamericano c’è Crosby, nel Maine: un luogo senza importanza che, tuttavia, grazie alla sottile lama dello sguardo della Strout, diviene lo specchio di un mondo più ampio. Perché in questo piccolo villaggio affacciato sull'Oceano Atlantico c’è una donna che regge i fili delle storie e delle vite di tutti i suoi concittadini. È Olive Kitteridge, un’insegnante in pensione che, con implacabile intelligenza critica, osserva i segni del tempo moltiplicarsi intorno a lei, tanto che poco o nulla le sfugge dell’animo di chi le sta accanto: un vecchio studente che ha smarrito il desiderio di vivere; Christopher, il figlio, tirannizzato dalla sua sensibilità spietata; un marito, Henry, che nella sua stessa fedeltà al matrimonio scopre una benedizione e una croce. E, ancora, le due sorelle Julie e Winnie: la prima, abbandonata sull'altare ma non rassegnata a una vita di rinuncia, sul punto di fuggire ricorderà le parole illuminanti della sua ex insegnante: «Non abbiate paura della vostra fame. Se ne avrete paura, sarete soltanto degli sciocchi qualsiasi». Con dolore, e con disarmante onestà, in Olive Kitteridge si accampano i vari accenti e declinazioni della condizione umana – e i conflitti necessari per fronteggiarli entrambi. E il fragile, sottile miracolo di un’altissima pagina di storia della letteratura, regalataci da una delle protagoniste della narrativa americana contemporanea, vincitrice, grazie a questo “romanzo in racconti”, del Premio Pulitzer 2009. Olive Kitteridge è una signora alta e corpulenta dai capelli grigi, l’aria impenitente, schietta e leggiadra, conosciuta per le proprie opinioni taglienti suddivise tra tempeste di rabbia e risate profonde. Da sempre ha mal sopportato le chiacchiere, pur continuando a vivere in un luogo di chiacchiere, una donna che non si è mai mostrata umanamente cordiale ed educata, a cui non piace stare sola ma ancora meno in mezzo alla gente. Olive attraversa le strade, entra nelle case, osserva, si interroga, dialoga, spesso mantenendo un cauto riserbo, scruta e conosce gli intimi segreti di tutti, conserva e custodisce gelosamente i propri. La sua storia si specchia nella storia di Crosby e dei propri abitanti a cui da sempre appartiene, ne è stata l’insegnante, la incontrano per strada, nei caffè, nei luoghi di culto, spesso chiedendosi come abbia fatto il marito Henri a sopportarla per tutti questi anni. Una cittadina, un angolo di mondo che ha assorbito innumerevoli presenze, c’è chi inevitabilmente ritorna alla ricerca di un’ origine remota, della dolcezza e della comodità di un tempo, chi invece partirà cercando di spezzare il cordone ombelicale della memoria. Un romanzo intenso con una scrittura lineare che alterna e subisce gli umori della protagonista, costruito su tanti piccoli momenti ed istantanee del presente e della memoria che sanno scendere nel profondo. Paesaggi mutevoli, dialoghi intensi, silenzi protratti, attese, partenze, ritorni, la vita quotidiana ed il mostrarsi delle storie possiedono una certa delicatezza d’insieme, armonia narrativa e vivida presenza. Elizabeth Strout (1956) vive a New York con il marito e la figlia, ed è originaria del Maine. Ha insegnato letteratura e scrittura al Manhattan Community College per dieci anni e scrittura alla New School. Suoi racconti sono apparsi in numerose riviste, tra le quali il «New Yorker». Con "Amy e Isabelle" (2000), acclamato da pubblico e critica, e vero e proprio caso editoriale, il suo primo romanzo, è stata finalista al PEN/Faulkner Prize e all'Orange Prize, e ha vinto il Los Angeles Times Art Seidenbaum Award per l'opera prima e il Chicago Tribune Heartland Prize. Con "Olive Kitteridge" (2009) ha vinto il Premio Pulitzer.
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gregor-samsung · 5 years
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Essere contro un partito era concepibile solo se lo si era dalle posizioni di un altro partito. Se uno era contro l’Unità Cattolica allora doveva essere comunista, o viceversa. In quel modo tutto era legittimo e identificabile. Ma Macno ha detto che la scelta che aveva un elettore era simile a quella di una donna che si trovasse davanti sette possibili mariti, ognuno carico di difetti detestabili, e fosse invitata a scegliere quello che le fa meno orrore. I comunisti allora hanno cominciato a dire che Macno era un fascista, i fascisti a dire che era comunista, i partiti di centro che era un qualunquista. Il fatto era che nessuno sapeva bene 'da che lato' attaccarlo. Macno sfuggiva totalmente alla loro logica. Era come se venisse dalla Luna.
Andrea De Carlo, Macno, Einaudi (collana “Tascabili”), 2000; pp. 62-63.
[1ª pubblicazione Bompiani, 1984] 
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carmenvicinanza · 1 year
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Hélène Cixous
https://www.unadonnalgiorno.it/helene-cixous/
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La letteratura attraversa il tempo, trasporta nel paese dotato strutturalmente d’eternità, è un mondo che rianima, un mondo di resurrezioni, un universo che fruisce di una libertà inalienabile. Attraversa le guerre, i massacri, le estinzioni, resta, resiste. La letteratura è una scuola, una cultura, accultura ed è acculturata. Gli esseri umani ne hanno bisogno. È il rifugio più democratico, è fragile ma immortale e sempre giovane.
Hélène Cixous è tra le autrici femministe più famose della Francia.
Accademica, scrittrice, drammaturga e critica letteraria, pensatrice dalla grande versatilità, ha pubblicato oltre settanta opere. Si è occupata di vari generi: teatro, teoria letteraria e femminista, critica d’arte, autobiografia e narrativa poetica.
Il suo saggio Le Rire de la Méduse, l’ha resa una delle prime pensatrici del femminismo post-strutturale e tra le maggiori rappresentanti.
Nata a Orano, in Algeria, il 5 giugno 1937 da madre tedesca e padre algerino, entrambi ebrei. Ha cominciato a scrivere da bambina, dopo la morte del padre, a soli dieci anni avvertendo subito l’esigenza di partire da sé, dal suo vissuto iscritto nella storia. Sostenitrice dell’indipendenza algerina, la famiglia venne costretta a lasciare il paese.
In Francia ha svolto un dottorato in lettere culminato con la tesi L’exil de Joyce ou l’art du remplacement (1968), considerata un’opera fondamentale sullo scrittore irlandese.
È stata assistente all’Università di Bordeaux e alla Sorbona, è stata nominata maître de conférence all’Università di Paris Nanterre nel 1967.
Nel 1968, in seguito alle rivolte studentesche, ha contribuito a fondare l’Università di Paris VIII-Vincennes, “creata per fungere da alternativa al tradizionale ambiente accademico francese“.
Nel 1974 vi ha creato il primo Centro Universitario per gli Studi sulle Donne d’Europa.
Insegna all’Università di Parigi VIII e alla European Graduate School di Saas-Fee, in Svizzera.
Ha condiviso numerose attività politiche e intellettuali col filosofo Jacques Derrida, come il Centro Nazionale delle Lettere (oggi Centro Nazionale del libro), il Parlamento Internazionale degli Scrittori, il Comitato Anti-apartheid e numerosi seminari al Collegio Internazionale di Filosofia.
Il suo esordio come narratrice è avvenuto nel 1967 con la raccolta di racconti Prénom de Dieu a cui è seguito il romanzo Dedans, del 1969, che ha vinto il Premio Médicis.
Negli anni Settanta, si è occupata del rapporto tra scrittura e corpo, linguaggio e sessualità, invitando le donne a ‘scrivere’ il proprio corpo. Nella convinzione che la sessualità sia direttamente legata al modo in cui si comunica nella società, la sua feconda produzione narrativa affronta temi ricorrenti come l’origine, l’identità, la femminilità, i rapporti tra donne.
Anche nella scrittura teatrale ha portato la voce del corpo e la storia delle donne, riletto e rovesciato interpretazioni analitiche e miti.
Ha fatto parte, con Foucault e Deleuze, del Gip (Groupe d’Information sur les Prisons) un movimento d’azione che aveva come finalità la presa di parola delle detenute e dei detenuti e la mobilitazione di intellettuali implicati nel sistema carcerario.
Ha scritto diversi testi teatrali per il Théâtre du Soleil. Con Ariane Mnouchkine, la sua fondatrice, ha girato tutta la Francia tentando di inscenare pièces all’esterno delle prigioni, malgrado i blocchi ripetuti della polizia.
Ha ricevuto numerose lauree Honoris Causa in prestigiose Università degli Stati Uniti e Regno Unito.
Nel 2000, è stata costituita una collezione delle sue opere e manoscritti presso la Bibliothèque Nationale de France.
Dal 1974, un sabato al mese, tiene un celebre Seminario alla Maison Heinrich Heine. I suoi interventi sono stati recentemente pubblicati da Gallimard in un’opera dal titolo Lettres de fuite.
In termini filosofici appartengo a due specie che hanno esperienza della prigionia attraverso i millenni: in quanto ebrea e donna. Si tratta della tessitura della mia esistenza e la letteratura è stata ed è la chiave per uscire da questi stati di internamento.
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Rocco Cataldi, poeta dialettale parabitano
di Paolo Vincenti
“Parabbita è chiantata su n’artura / e se standicchia janca cu lle vie / te menzu monte finu a lla npianura / tra fiche, ficalindie e tra l’ulie /”. Quando questi versi furono pubblicati, il loro autore, Rocco Cataldi, non era ancora diventato il poeta dialettale parabitano da tutti riconosciuto e apprezzato.
Questi versi, infatti, dedicati alla città di Parabita, facevano parte della prima raccolta di Cataldi, Rrobba Noscia, pubblicata nel 1949 con l’editrice Bruzia di Castrovillari, con Prefazione di Francesco Russo.  A quel tempo, la poesia dialettale era considerata poco più che un passatempo per improvvisati poeti popolari o peggio popolareschi, nonostante la letteratura salentina avesse già espresso nomi importanti della poesia vernacolare, fra fine Ottocento e inizio Novecento.
Dopo questa prima raccolta di poesie, ne sarebbero venute altre, molto importanti, a corollario di una carriera letteraria che seguì di pari passo la vita e di una vita che entrava  con onestà e sincerità nelle poesie. “E quandu  ‘u cielu e l’arria se sculura, / se sente lu rintoccu t’’a campana / te la Matonna Santa t’’a Cutura /e la burrasca prestu se ‘lluntana / E a mmenzu a ccinca tice l’Ave Maria / nci suntu jeu cu la famija mia/”. Rocco Cataldi era nato a Parabita il 9 gennaio 1927.
Maestro elementare a Matino, Lecce, Racale e Parabita, dove era diventato una vera istituzione, nel 1985 era stato insignito dal Presidente della Repubblica dell’onorificenza di “Cavaliere al merito della Repubblica”.  Dopo Robba noscia, pubblicò  Storria t’à Madonna t’à Cutura (Paiano Galatina, 1950), poi ripubblicata dall’Adovos di Parabita, nel 1987, con Prefazione di Padre Giuseppe Perrotta. Nel 1956, diede alle stampe Riflessi opachi (Gastaldi Milano) e, dopo una lunga pausa, Lu Ggiudizziu  ‘niversale (Adovos Parabita, 1975), con Prefazione di Aldo D’Antico. Uno dei temi ricorrenti nella sua poetica era il mondo degli umili, quella civiltà contadina alla quale si sentiva profondamente radicato e dalla quale mai volle staccarsi, rivendicandone orgogliosamente l’appartenenza in tutti i suoi scritti. Una civiltà contadina che era, però, al suo crepuscolo e questo determinava in Cataldi un senso di profonda amarezza. Il filo che lo teneva legato a quel mondo in dissoluzione era quello della memoria, del ricordo del buon tempo antico, un tempo fatto di semplicità di gesti e di parole, un tempo in cui bisognava certo tirare la cinghia per andare avanti, ma in cui vi era una genuinità di sentimenti ed una bontà di intenti che, con l’avanzare dei nuovi tempi,  Cataldi temeva fossero irrimediabilmente compromessi. Di qui, l’amaro sfogo contro le brutture e la tristezza dei tempi.
La scelta del dialetto come mezzo espressivo aveva proprio questa valenza, quasi di una battaglia civile in difesa di quei principi di cui la sua storia è sempre maestra. Dice bene Aldo D’Antico, che difende questa scelta di Cataldi rifiutando l’etichetta, che per un certo tempo gli fu appiccicata addosso, di poeta nostalgico, ripiegato su se stesso;  invece, come afferma nella Prefazione al libro  Lu Ggiudizziu  ‘niversale : “scrivere in dialetto non significa soltanto usare la sintassi popolare, ma assumere, quale categoria di ricerca e di espressione, l’anima del popolo, la sua saggezza antica, la sua astuzia proverbiale, la sua inarrestabile dinamica storica, sociale e politica […] Il dialetto, frutto di un’elaborazione linguistica secolare e paziente. .. è uno dei pochi mezzi ‘puri’ rimasti al poeta per esprimere la sua disapprovazione, la sua contestazione, la sua inquietudine [… ] Il linguaggio dialettale ha il potere di scarnificare il contenuto poetico, di renderlo essenziale, di ridurlo a parola; opera cioè una costruzione semantica fondamentale: riconduce il suono a significato culturale, ridando alla parola in sé tutto il suo potenziale espressivo.
E’ in questa visione che il dialetto diventa strumento di rivoluzione linguistica, perché avvicina il lettore al libro, ritenuto elemento di discriminazione fra la cultura ufficiale, quella degli intellettuali, e la cultura popolare, quella degli altri.” Quella di Cataldi, secondo Antonio Errico, è “poesia costruita sulle macerie di miti e deità che come ogni mito ed ogni deità esistono finchè esiste l’uomo che ci crede” (Introduzione a Arretu ‘lla nuveja nc’è lu sule). Nel 1977, venne pubblicato Pale te ficalindie dalla Editrice Salentina di Galatina, con Prefazione di Donato Valli. Nel 1982, è la volta di  Li sonni te li pòviri (Congedo Editore), con Prefazione di Luciano Graziuso, e nel 1988, venne pubblicato dal “Laboratorio” di Aldo D’antico A rretu ‘lla nuveja nc’è llu sule, con Introduzione di Antonio Errico. A proposito della poesia dialettale di Rocco Cataldi, Donato Valli, nel numero della rivista “NuovAlba”  dell’aprile 2005, tracciando un profilo dell’amico perduto, precisa il posto in cui si colloca Cataldi nel panorama della poesia dialettale in generale. Spiega Valli: “nell’ambito di quella che Croce chiamava poesia dialettale ‘riflessa’, esistono almeno due livelli: uno è quello della poesia dialettale dotta (è il caso del poeta di Ceglie Messapico, Pietro Gatti e del poeta magliese Nicola De Donno), l’altro è quello dei poeti che rimangono legati, nella lingua e nei contenuti, alla matrice originaria di una popolarità sentimentale ed espressiva (ed è il caso di Cataldi)”.
Nel 1989, fu pubblicato A passu t’ommu (Congedo), introdotto e commentato da Gino Pisanò. Nel 1996 poi, uscì Culacchi, con Prefazione di Gino Pisanò, e il ricavato della vendita di questo libro, dedicato “Ai buoni perché si mantengano tali; agli altri perché lo diventino”, stampato in numero limitato di copie, il poeta volle che fosse devoluto a favore dell’erigendo monumento a Padre Pio, a Parabita, realizzato grazie soprattutto alla forte religiosità dello stesso Cataldi. L’ultimo libro, del 2000, è Parole terra terra (Congedo editore), con Prefazione di Donato Valli e note esegetiche di Gino Pisanò. A questo, bisogna aggiungere tutte le poesie scritte su cartoncini, per i suoi allievi, nelle più svariate occasioni dell’anno scolastico, come il Natale, la Pasqua, la festa della mamma, la festa del papà, sempre amorevolmente illustrate da Mario Cala e che ancora oggi si trovano in molte case dei parabitani che sono stati allievi del Maestro Rocco. “Rocco Cataldi- Mario Cala” era diventato, negli anni, quasi un marchio di fabbrica: “la penna e il pennello”, come lo stesso Cala afferma in un commosso ricordo dell’amico sulla rivista “NuovAlba”(aprile 2005). E proprio quel materiale eterogeneo che egli aveva prodotto negli anni del suo insegnamento scolastico andò a comporre l’ultimo libro, pubblicato postumo, cioè  Mirando al cuore (Adovos Parabita, 2005),  con commento di Mario Bracci, Prefazione di Mario Cala e Presentazione di Aldo D’Antico. Questo libro, che può essere considerato il testamento morale di Cataldi, è una raccolta di componimenti d’occasione (45, per l’esattezza), cioè poesie scritte dall’autore in più di quarant’anni. Il poeta aveva deciso di raccogliere insieme tutto questo materiale e pubblicarlo, dedicando l’opera all’amico Raffaele Ravenna che, insieme a lui, aveva collaborato alla realizzazione del monumento a Padre Pio da Pietralcina, in Parabita. Sua intenzione era quella di donare tutti i diritti editoriali all’Associazione dei Donatori di Sangue, della quale faceva parte e alla quale, se negli ultimi anni non aveva più potuto contribuire con la donazione per problemi di salute, non faceva mai mancare la propria adesione convinta, con dimostrazioni di grande affetto e sensibilità, come ricorda, in una breve nota introduttiva del libro, Massimo Crusi, Presidente dell’Adovos Parabita. Quasi tutte le poesie presenti in Mirando al cuore nascono da un felice sodalizio: quello di Cataldi con Mario Bracci, che in questo libro cura il commento alle poesie.
La collaborazione Cataldi -Bracci era cominciata sul giornalino scolastico “Il Pierino”, nato nel 1971 e continuato fino al 1995, come ricorda Mario Cala nella sua nota introduttiva. Il maestro Mario Bracci preparava il giornalino ciclostilato, che usciva una volta l’anno, appunto in occasione del Natale, salvo che vi fossero altre circostanze importanti che meritassero un’altra uscita. Cataldi scriveva le poesie e poi si rivolgeva a Mario Cala per preparare qualche disegnino che corredasse i componimenti poetici. Rocco Cataldi morì nel 2004, dopo una carriera lunga e fortunata all’insegna di quei valori, radicati nella società contadina, a cui, come detto, egli apparteneva. Nel 2010 è stata ripubblicata dal Laboratorio Editore la prima raccolta di Cataldi, Rrobba noscia, nella sua versione originale, con una nuova prefazione di Aldo D’Antico. Possiamo quindi rileggere “ A lli furesi”, “Basta ca è fiuru” “’A furtuna”, “’A verità” “La ‘ngurdizia” “Lu faticante e lu camasciu” “Lu scarparu”, e tanti altri testi suggestivi, costruiti su una sintassi semplice ed emozionale.  A distanza di tanti anni si scopre quanto queste liriche siano attuali e dense di significato. Ciò perché Rocco Cataldi  è ormai diventato un “classico”, ossia un punto di riferimento nella produzione letteraria  salentina del secondo Novecento.
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artcademy · 3 years
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Occidentalismo: come gli artisti orientali vedono noi e la nostra storia dell'arte
I grandi viaggi e le colonizzazioni degli esploratori occidentali hanno aperto alla strada a quello che chiamiamo orientalismo o esotismo.
Nato dai commerci e dagli scambi, soprattutto di spezie e stoffe preziose, l’orientalismo rappresenta sia un anello importante nelle relazioni tra Paesi sia un’occasione di mescolanze e variazioni negli stili della cultura, soprattutto per quanto riguarda realtà evolute come Cina e Giappone.
La raccolta di novelle Le Mille e una Notte, scritte in arabo e poi tradotte in francese, determina una vera e propria ebbrezza estetica in età napoleonica e successivamente vittoriana.
Per l’Occidente, l’Oriente è altro, oggetto di discriminazione, quando non di persecuzione vera e propria; è espressione delle differenze culturali, con alti e bassi nella natura politica, sociologica e individuale. Basti pensare a Il Mercante di Venezia di Shakespeare, di “vago” sapore antisemita.
Letteratura, arti figurative, costume e decorazione di ambienti, alimenti, tutto ne fa parte portandosi dietro un fascino che solo successivamente verrà integrato con nuovi approfondimenti.
Tuttavia è interessante ricoprire la ricostruzione di luoghi e costumi nelle pellicole americane dei più famosi colossal (un esempio è Cleopatra di Joseph L. Mankiewicz). Nell’arte il fenomeno è ampiamente sviluppato e descritto ad esempio nel “rovinismo” (ovvero i ruderi Italiani e orientali delle prime scoperte archeologiche), la passione per il paesaggio con ponti e templi o la visione dell’Oriente in un artista come Delacroix.
La moda e la musica ovviamente non sono esenti da suggestioni e citazioni: dalla Marcia turca di Mozart, ai pantaloni “alla turca” di Paul Poiret.
Più complesso è parlare del fenomeno opposto: l’Orientalismo, saggio di Edward Said, cerca di approfondire il rapporto tra Europa e Oriente. L’impero dei segni di Roland Barthes, parla del suo viaggio in Giappone.
Grazie a una mostra dell’artista cinese Chen Zhen all'Hangar Bicocca di Milano, possiamo avere uno spunto per capire la relazione tra Occidente e Oriente. La relazione storica tra natura e cultura, mondo contemporaneo, consumo di massa, fanno parte della sensibilità di questo artista che ha dimostrato a convergenza tra i due mondi. Le sue opere trasmettono un’atmosfera “trans intercontinentale”, tra passato e recenti esperienze, tra Oriente e Occidente; come Cristal Landscape of Inner Body del 2000, undici organi umani di cristallo, che sembrano simboleggiare la morte.
Molti anni prima, nel secondo dopoguerra, un gruppo di artisti giapponesi era stato individuato dal critico Michel Tapié. Era il Gruppo Gutai, che conduceva una ricerca a trecentosessanta gradi, coincidendo molto spesso con quella degli artisti europei.
Altri artisti importanti sono: Hidetoshi Nagasawa, che scoprì l’Occidente grazie a un epico viaggio in bicicletta; Shirin Fakhim, artista iraniana che crea bambole a grandezza naturale con evidenti influenze occidentali; Ai Weiwei, artista, designer e architetto che opera a New York. Questi alcuni esempi, di un nomadismo culturale che incontra, nelle arti visive, un intreccio di sensibilità concettuale, oscillante tra Pop e spiritualità.
tratto da Finestre sull'Arte
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davidibenzion · 4 years
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Discendenti delle tribù perdute
Pakhtuns/Pashtun dell'Afghanistan e del Pakistan
Tra i pashtun c'è la tradizione di discendere dalle tribù perdute in esilio di Israele.  Questa tradizione è stata citata nella letteratura occidentale del XIX secolo ed è stata anche incorporata nella letteratura delle \"tribù perdute\" popolare all'epoca (in particolare Le tribù perdute di George Moore del 1861). Recentemente (2000), l'interesse per l'argomento è stato risvegliato dall'antropologa di Gerusalemme Shalva Weil, citata dalla stampa popolare, secondo la quale \"i Talebani possono discendere dagli ebrei\". Le tradizioni che circondano i pashtun, essendo remoti discendenti delle \"tribù perdute di Israele\", vanno distinte dalla storica comunità ebraica dell'Afghanistan orientale o del Pakistan nordoccidentale, fiorita dal VII secolo circa all'inizio del XX, ma essenzialmente scomparsa a causa dell'emigrazione in Israele a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso. Molti membri dei Talebani provengono dalle tribù pashtun e non necessariamente rinunciano alla loro presunta discendenza \"israelita\". I pashtun in Afghanistan sono discendenti delle tribù Ruben, Ephraim, Gan e Asher.
Ebrei curdi
Alcune tradizioni degli ebrei curdi sostengono che gli israeliti della tribù di Beniamino arrivarono per la prima volta nell'area del Kurdistan moderno dopo la conquista assira del Regno di Israele nel corso dell'VIII secolo a.C.; successivamente furono trasferiti nella capitale assira.  Durante il primo secolo a.C., la casa reale assira di Adiabene- che, secondo lo storico ebreo Flavio Giuseppe, era etnicamente assira e la cui capitale era Erbil (aramaico: Arbala; curdo: Hewlêr) - fu convertita all'ebraismo. Re Monobazes, la sua regina Elena, suo figlio e il suo successore Izates sono registrati come i primi proseliti.
Ebrei del Kashmir
La teoria della discendenza del Kashmir dalle tribù perdute di Israele è stata suggerita per la prima volta da Al-Biruni, il famoso studioso persiano musulmano dell'XI secolo. Secondo Al Biruni, \"In passato gli abitanti del Kashmir permettevano l'ingresso nel loro Paese a uno o due stranieri, in particolare agli ebrei, ma attualmente non permettono l'ingresso a nessun indù che non conoscono personalmente, tanto meno ad altre persone\". François Bernier, un medico francese del XVII secolo e Sir Francis Younghusband, che ha esplorato questa regione nell'Ottocento, ha commentato la fisionomia simile tra il Kashmir e gli ebrei, con \"pelle chiara, nasi sporgenti\" e forme simili della testa. Baikunth Nath Sharga sostiene che, nonostante le somiglianze etimologiche tra i cognomi kashmiri e quelli ebraici, i pandit del Kashmir sono di origine indo-ariana, mentre gli ebrei sono di origine semitica.
Bene Israele
Dopo aver appreso dell'ebraismo normativo nel XIX secolo, un gruppo di ebrei dell'India, chiamati Bene Israel, migrarono spesso dai villaggi di Konkan alle città vicine, tra cui Mumbai, Pune, Ahmedabad e Karachi.  Basandosi sulla tradizione delle Bene Israel, dopo secoli di viaggi attraverso l'Asia occidentale da Israele, i loro antenati migrarono in India e si assimilarono lentamente nella comunità circostante, pur mantenendo particolari tradizioni ebraiche.  David Rahabi, un ebreo indiano, trovò le Bene Israel nel XVIII secolo e prese nota delle loro usanze ebraiche.  Alcuni storici notano che gli antenati delle Bene Israel appartenevano a una delle tribù perdute di Israele; tuttavia, le autorità ebraiche non hanno riconosciuto ufficialmente le Bene Israel come una delle tribù perdute.  Nel 1964 il Rabbinato israeliano ha stabilito che le Bene Israel sono \"ebrei completi sotto ogni aspetto\".
Ebrei Bnei
Dalla fine del XX secolo, alcune tribù degli stati indiani del nord-est di Mizoram e Manipur affermano di essere israeliti perduti e studiano anche l'ebraico e il giudaismo.    Il rabbino capo di Israele ha stabilito nel 2005 che i Bnei Menashe sono stati riconosciuti come parte di una tribù perduta, permettendo l'aliyah dopo la conversione formale.
Beta Israele
I Beta Israel (\"Casa di Israele\") sono ebrei etiopi, chiamati anche \"Falashas\" in passato.  Alcuni membri del Beta Israele, così come diversi studiosi ebrei, credono di discendere dalla perduta Tribù di Dan, in contrapposizione alla tradizionale storia della loro discendenza dalla Regina di Saba.
Hanno la tradizione di essere legati a Gerusalemme. I primi studi sul DNA hanno dimostrato che discendono dall'Etiopia, ma nel XXI secolo nuovi studi hanno dimostrato la loro possibile discendenza da alcuni ebrei vissuti nel IV o V secolo, forse in Sudan. Nel 1973 il rabbino Ovadia Yosef, allora rabbino capo sefardita, sulla base dei conti Radbaz e di altri conti, dichiarò che il Beta Israele era ebreo e che doveva essere portato in Israele; due anni dopo questa opinione fu confermata da una serie di altre autorità, tra cui il rabbino capo ashkenazista Shlomo Goren.
Tribù Sefwi in Ghana
La tribù Sefwi in Ghana ha una storia che segue alcune pratiche giudaiche, tra cui l'osservazione del Sabbath, la circoncisione dei bambini quando compiono otto giorni (brit milah), un rito di virilità per i ragazzi quando compiono 13 anni, l'osservazione delle leggi sulla purezza familiare (taharat mishpacha o niddah). Nel 1977 un membro della tribù, Aaron Ahotre Toakyirafa, ebbe la visione di essere ebreo e discendente da una tribù perduta di Israele. Alcuni studiosi ritengono che queste usanze ebraiche furono probabilmente portate in Ghana da ebrei che furono espulsi dalla Spagna nel 1492 e emigrarono a sud del Marocco. La comunità divenne nota come la \"Casa di Israele\".
lgbo ebrei
Gli ebrei Igbo nigeriani reclamano variamente discendenza dalle tribù di Efraim, Neftali, Menasse, Levi, Zebulun e Gad. La teoria, tuttavia, non regge al controllo storico. Gli storici hanno esaminato la letteratura storica sull'Africa occidentale dall'era coloniale e hanno chiarito diverse funzioni che tali teorie servivano agli scrittori che le proponevano.
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