Tumgik
#io penso subito alle cose importanti
wait ma giacomino al napoli = MEREDORI LIVES
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sonevermindd · 1 year
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N
Ei, come stai? Probabilmente è una domanda apparentemente scontata ma l’unico modo per parlarti e così, non avrò risposte da te, perché per quanto io mi sia impegnata a tenerti accanto a me, le cose non hanno funzionato. E tu ti starai chiedendo qual è la cosa che non ha funzionato? È vero non è mai iniziato niente di concreto, ma se sono qui a scrivere di te vuol dire che qualcosa dentro di me è nato. Ci siamo incontrati un giorno di primavera, mi ricordo ancora mio essere totalmente impacciata con le persone, mi ricordo quella sera dove non ho mai smesso di parlare con te e non perché c’era qualche tipo di malizia nei miei confronti, ma semplicemente perché parlare con te era come parlare con una persona che ha molto da raccontare, ha molto da raccontare perché a vissuto tanto forse troppo, e lo capito da primo momento che ci sia visti, che tu eri diverso. Non abbiamo mai avuto modo di conoscerci pienamente, anche perché la maggior parte delle conversazioni intrattenute erano apparentemente futili che parlavano di noi ma con un imbarazzo bestiale di quello che ci saremmo potuti dire a vicenda, mostrando una parte di noi che non eravamo soliti a mostrare, proprio perché siamo persone che più che parlare di se tendono ad ascoltare. Un pomeriggio seduti sulla solita terrazza che ha accompagnato la nostra estate, seduti su quelle sedie bianche di plastica che ricordano il clima estivo, mi ricordo di quegli sguardi mischiati con birre infinite parole non dette, non per paura ma semplicemente per il nostro cercare in tutti i modi di evadere da ciò che ci circondava, quegli sguardi che a ripensarci mi fanno ancora venire la pelle d’oca, perché in quegli sguardi racchiudo ancora ogni minimo momento che non c’è stato ma che speravo che ci fosse stato. Mi ricordo di quella sera come se fosse ieri, quando alluscio della porta di guardai quando in realtà intorno a te c’erano un'altra decina di persone, ma non so perché anzi lo venni a sapere successivamente, il perché tu coglievi l’attenzione più degli altri, il tuo essere te stesso, il tuo modo di guardarmi quando avevo quei pochi momenti di dolcezza rivolta al così detto “gatto di casa” e ti quanto il tuo sguardo fosse meravigliato che oltre ai mille scudi di freddezza e apatia ci fosse questo mio lato maledettamente vulnerabile. Mi hai raccontato di te o almeno ripeto ci hai provato, buttando giù liti di birra perché tu più degli altri sai quanto sia difficile esporsi in modo sano e del tutto cosciente, e capii che il tuo cercare di evadere non era divertimento nel momento il cui mi dissi “mi sono sentito dire dalle persone più importanti per me che ero pesante, e quindi ora faccio fatica a chiedere aiuto o parlare di ciò che sento” , e con quella frase ho capito quanto io ti possa essere stata vicina in quel momento per il modo in cui capii subito cosa tu stessi provando. Mi ricordo ancora più limpidamente ciò che provai quando andammo a prendere da bere al supermercato, io e te, e di quanto io fossi in imbarazzo e il mio fantasticare quanto sarebbe stato bello se quell’azione del tutto normale, fosse entrata in una “Nostra” quotidianità, e di quanto io mi sia illusa nel pensare addirittura alle cose più banali da fare ma che con te mi sembravano una cosa completamente meravigliosa e surreale, come guardare un film o iniziare una serie tv insieme, sarebbe stato bello no? Probabilmente l’unico ricordo che si avvicinerà a tale azione, saranno quei pochi attimi dove guardammo shamless dopo un after devastante, ma che a mal in cuore devo ammettere che dall’ultima volta io non riesco a vedere neanche un millesimo di secondo di quella seria su quella famiglia incasinata, non perché penso che sia una cattiva serie tv e lo sai bene, ma semplicemente mi ricorda noi su quel divano, fatti e del tutto esausti della nostra stessa esistenza, e di quanto io in quel momento avrei voluto solo abbracciarti e dirti che non eri così solo come pensavi e che per quanto tu ti rispecchiassi in frank, io ho sempre pensato che l’unica cosa che si avvicinava
a lui era il tuo cercare in tutti i modi di far capire alle persone che non sei così un disastro , senza pensare che in realtà è stato il mondo ad avertelo fatto pensare portandoti ad autodistruggerti di continuo. Se solo sapessi cos’ho visto in quegli occhi, in quella gamba sinistra che tremava continuamente, quando pensavi che gli altri non guardassero e di quanto io anche solo con uno sguardo riuscissi a percepire la pesantezza dei tuoi pensieri. Quella sera in quel tavolo al bar, dove con una tranquillità immane ti misi accanto a me e ci sfiorammo le scarpe lasciando che si toccassero fino a che l’imbarazzo era troppo elevato per poter continuare o del mio movimento brusco nel farti cadere la mista e del timore che provassi per la tua ipotetica reazione, che però non fu cos’ avventata come pensavo ma anzi continuammo a stuzzicarci di continuo. Ti ricordi di quando portasti il bicchiere di birra sotto al tavolo e lo riempisti con la mia birra che avevo portato da casa perché sapevi l’amore che provo per le birre, tanto che una volta me ne portasti una, una bella birra peroni, che conservavo in un ripiano dedicato agli alcolici, ma che a furia di aver pensato di buttarla o lanciarla, ho preso coraggio e lo riposa in un sacchetto fuori dalla mia vita perché insomma “occhio non vede, cuore non duole” giusto? Da quel giorno però bevo birra peroni, magari è per sentirti più vicino o semplicemente a furia di perla e diventata anche la mia preferita. La prima volta che mi hai accompagnato a casa e di quanto i miei occhi ti vedessero come la cosa più bella del mondo mentre ti accendevi quella sigaretta, perché io vedevo ben oltre ad un corpo, vedevo un anima ed una maledettissima camel blu che mi ricorda una canzone, che ora non ascolto più, come altre mille melodie, cercando di autoconvincermi che non ascoltando canzoni che mi ricordano te, il tuo pensiero scomparirà dalla mia testa improvvisamente. E si è proprio vero, merito di essere tratta meglio di come sono stata trattata, ma come lo spiego agli altri che quello che voglio supera di gran lunga quello che merito, che volevo semplicemente sedermi anche su un marciapiede a finirci una cassa di birra mentre parlavamo di come ci sentissimo, ridendo del fatto che le persone non ci avrebbero mai capiti ma che nel nostro caos ci saremmo sentiti in perfetta armonia. Però tutto scomparve quella sera, quando improvvisamente dopo giorni di silenzio dai nostri ultimi messaggi decisi di parlarti, e ricordo benissimo le parole che ti dissi “ma quindi?” e tu “non ci sto con la testa, scusami se ti ho ferita in qualche modo” e l’esordire rispondendo “ quindi è stato fatto tutto a caso, il chiedere di me, il mio numero, quelle conversazioni?” sperando in una tua smentita ma che in realtà fu un semplice “eh si”, e in quel esatto momento penso di poter semplicemente dire che l’unico granello di speranza di riprovare qualcosa scomparve insieme alla voglia di rimettermi in gioco, fu una serata disastrosa perché non eravamo “io e te” ma eravamo un “io” e “te”. Non ti sentivo più vicino dopo quelle parole, e continuerò a pensare di te che sei una bella persona anche se alterno momenti dove vorrei solo urlare quanto ti odio, per come tu mi abbia fatta sentire, ma anche se potessi non lo farei mai, perché per quanto il “chissà cosa potevamo essere” mi logora probabilmente “il siamo stati” mi rassicura, perché per quanto le persone intorno a me dicono che non posso guarire dalle cose mai iniziate io posso dire e urlerò sempre che ciò che non inizia concretamente non significa che non sia iniziato, perché il “noi” rimarrà bloccato in quegli sguardi, quelle risate fatte per il nostro essere completamente fuori dal mondo, hai nostri litigi di chi doveva scegliere la prossima canzone, al tuo criticare la mia felpa gialla troppo Larga per me ma che probabilmente sarebbe stata bene a te come dicevi tu ma che “Non si abbinava con l’outfit” o al tuo essere egocentrico nel tuo dire e pensare di essere il miglior rollatore o il tuo pensare di essere il miglior guidatore, il tuo modo tutto tuo nel ballare la techno, perché sinceramente non ti ho mai conosciuto realmente ripeto, ma posso assicurarti che lo avrei voluto e fatto
con tutte le forze, ma obbligare qualcuno non serve, ma posso dirti un un’ultima cosa che in pratica dirò a me stessa perché queste parole non ti arriveranno mai? Penso semplicemente che dietro al tuo dire di essere il migliore si nascondono le tue più grandi insicurezze, perché dai diciamoci la verità non pensi mai di essere abbastanza, ma non lo mostrerai mai perché o se no le persone peseranno di essere legittimate a darlo per verità e notare la tua vulnerabilità, ma posso assicurarti che le tue insicurezze ti rendevano la persona che ho pseudo conosciuto e mi piacevi così. E mentirei a me stessa se ti dicessi che ti ho dimenticato, perchè per quanto sto lottando ogni giorno per andare avanti e capire che si può andare avanti senza di te, la mia unica speranza si aggrappa all’immagine di una macchina del tempo che mi potrebbe riportare a quella sera d’estate, con io, te e la luna.
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Momenti di razionalità:
Solo ora che so la vera risposta a quelli che erano i miei dubbi mi rendo conto di quanto fossi attaccata e dipendente da te, sono cambiata con te e per te sotto alcuni aspetti.
Ad esempio prima di conoscerti ero una ragazza mattiniera, andavo a dormire come le "galline" prestissimo tipo per le 20:30 massimo alle 21:00 e mi svegliavo alle 6:00 o 6:30, con te invece ho conosciuto com'è essere notturni andare a dormire per mezzanotte, a volte l'una e anche più tardi e svegliarsi per forza di cose per le 8:30 o 9:00.
È stata un'esperienza nuova, anche per via dell'adrenalina di conversare con te di notte, però ha avuto suoi grandi svantaggi come l'essere perennemente stanca e sentirmi sgridare perché mi svegliavo tardi, non essere abbastanza produttiva di mattina e quindi penso che pian piano tornerò alle mie vecchie abitudini di orario.
Perché il punto è questo solo ora mi rendo conto di come ti ho messo al centro della mia vita e come cantava la Pausini in una sua vecchia canzone "Lettera":
"Di come quando non ci sei
Io mi perdo sempre un po'
E poi mi accorgo che non so
Più divertirmi senza te
Invece quando stai con me
Anche il grigio intorno a noi
Si colora della vita che gli dai"
Questo era il riassunto di come mi sentivo: bene solo nei momenti in cui stavamo insieme, uno schifo per tutto il resto del tempo, ero diventata dipendente da una tua foto, un tuo audio e i tuoi messaggi e la conchiglia che era il nostro simbolo e questo dipendere da te non ha fatto altro che alimentare il carattere insopportabile che ho di essere una piagnucolona, non trovavo più il senso della mia vita perché la stavo azzerando attaccata come una cozza a te.
Mi hai conosciuta in un momento in cui stavo allontanandomi da persone che per anni erano state importanti per me e mi hai compresa subito, mi hai tirato su di morale e detto "supportare non sopportare" ogni volta che mi scusavo di essere un peso da sopportare. Questo con il passare dei giorni è diventato un mantra nella mia testa che appena qualcosa non andava potevo rivolgermi a te senza sentirmi di sbagliare, ho esagerato e me ne rendo conto solo ora. Questo non significa che avrei dovuto tenermi dentro tutto ma non avrei dovuto rendere tragica ogni cazzata che mi succedeva e questo proprio perché da sola mi sentivo di non essere in grado di affrontare nulla, cercavo in te la forza che mi mancava per reagire e a volte tipo a seguito dei due lutti che ho subito in questi ultimi anni era davvero indispensabile per reagire, ma altre volte non serviva infatti neanche il tempo di leggere tu il mio messaggio triste che già mi ero ripresa da sola, rialzandomi da sola, facendomi forza da sola, la cosa che ho davvero sbagliato è immaginare che fossi tu a dirmi quelle frasi che mi dicevo quando ero sola per farmi forza ma in realtà sono sempre stata io a dirmele, sono sempre stata io a reagire, perché un messaggio "ti abbraccio", "ci sono io qui" ... non era mai stato il vero input di ripresa, avevo già reagito alzandomi da terra, guardandomi negli occhi davanti ad uno specchio e imponendomi di farcela ancora una volta a risollevarmi. Tu in quei momenti bui poche volte c'eri realmente in quel preciso istante ed è ovvio stando in una chat, quindi hai ragione a dire che il mio carattere ti ha fatto desistere ma quel carattere non è davvero il mio, non sono sempre stata così è stato un errore mio mettermi da parte e legarmi così tanto a te.
Tu:
- "È proprio questo il punto del tuo carattere che mi ha fatto desistere dal pensare di poter avere una relazione con te. Nemmeno tu riesci a gestire questi momenti: ti cala il buio davanti e non riesci a riconoscere più nulla. E stando a distanza come posso sapere di poterti aiutare a farti sentire meglio se non con dei messaggi? Però non posso preoccuparmi di raddrizzarti sempre se posso essere offline in quei momenti che studio o in quei momenti in cui tu ti senti giù e non riesco a esserci in tempo."
- "Dopotutto ci stiamo sentendo ogni giorno, non dimenticarti che sei una persona che ha la forza per scalare le rocche calascio e lanciarsi nella mischia perciò so che la vera te esiste e deve lottare con le sue forze per reagire a ciò che in cuor suo già sapeva, ti ho detto che hai bisogno di un supporto ma la tua mente ha bisogno di mettere al primo posto se stessi".
Purtroppo però questo è il mio modo di affezionarmi alle persone mi ci lego troppo, l'ho sempre fatto e ci ho sempre rimesso pezzi di me.
Ora il nuovo mantra sarà sempre preso da una canzone della Pausini perché per me la musica è davvero vita, nelle sue canzoni posso rileggere tutta la mia vita e a differenza di quella che divenne la colonna sonora per reagire a fine superiori cioè il testo di "Ascolta il tuo cuore", stavolta è tratto da "La geografia del mio cammino":
"E di chi sarà il coraggio allora se non sarà il mio
Se si spegne quella luce resto io"
"Oggi riconosco il suono della voce di chi sono
E mi fido di un passato carico d'ingenuità"
Ma soprattutto:
"Da me, torno da me, perché ho imparato
A farmi compagnia
Dentro di me, rinasco e frego la malinconia
Bella come non mi sono vista mai io mai
Fianco al fianco al mio destino
Scritto nelle linee della mano
L'uragano che mi gira intorno sono solo io
Vedo la speranza infondo a quell'oblio
Il difetto è l'esperienza che non ho ancora
Ma non me ne prendo cura, non ho più paura
Da me torno da me, perché ho imparato a farmi compagnia
Dentro di me, ripeto una bestemmia, una poesia
Bella come io non l'ho sentita mai, io mai
Occhi dritti all'orizzonte
sull'asfalto lascio le mie impronte
Cos'è la solitudine, cos'è
Ho voglia di deciderlo da me, da me
Torno da me, da me per non andarmene più via, torno da me"
Poi sempre accecata dall'innamoramento ho chiuso gli occhi su quei particolari che ci differenziano, e anche se so che non possiamo essere uguali su tutti i fronti, che poi sai che noia due persone identiche, ma fanno la differenza perché se fossimo stati insieme alcune cose che tu non sopporti avrebbero costretto me a snaturarmi.
Mi riferisco al fatto che tu ci stai bene nel silenzio che lo preferisci ai karaoke, alle canzoni e al chiasso di una festa o sagra, io invece adoro sentirmi avvolgere dalla musica e anche se sono timida di natura mi sento davvero a mio agio in una festa in mezzo alla gente magari in pista a tentare qualche ballo di gruppo, che tu non avresti mai fatto insieme a me neanche costringendoti, mentre io a differenza tua nel silenzio mi sento soffocare perché è nel silenzio che i pensieri diventano vortici e si accumulano e mi fanno crollare urlando nella testa.
Anche tu hai dei difetti perché la perfezione non esiste e ho sbagliato a pensare e dire "tu sei il ragazzo perfetto per me" perché non penso che mi sarei vista tutte le partite che ti vedi, mi piace vedere solo quelle della nostra squadra del cuore, le altre le trovo noiose o come quelle di freccette dopo un po' mi sarei stufata, per non parlare del fatto che io mai e poi mai rivedrei una puntata della Signora in giallo dopo i traumi che mi hanno segnato da piccola vedendola dalla nonna, sembrano sciocchezze ma questo avrebbe potuto snaturare te che per farmi felice avresti potuto saltare una puntata che in realtà volevi vedere.
Fisicamente non ho nulla da dire perché in te ci sono entrambi gli unici requisiti che mi sono imposta sotto l'aspetto fisico di trovare nel mio possibile fidanzato: occhi e capelli castani, per il resto a me dell'aspetto fisico non importa, a me importa solo di quello che un ragazzo ha in testa, della sua dolcezza e premura, della sua creatività che va a braccetto con la mia.
Tu invece hai anche standard diversi nella tua ragazza ideale che non coincidono con quello che sono e che sono legati all'aspetto fisico.
Anche per questo non sarebbe potuto funzionare tra noi e in caso contrario non sarebbe durata tanto.
Ma anche se non sono quel che cerchi, come amico o fidanzato nei nostri momenti di fantasia reciproca mi hai fatto capire quanto valgo, che devo amarmi e amare il mio corpo, accettarlo e non odiarmi guardandomi davanti ad uno specchio, non nasconderlo in tutti i modi, che posso indossare quel che voglio e fregarmene di quel che possano pensare gli altri. Questo è stato l'obiettivo che abbiamo raggiunto insieme durante il primo anno di conoscenza, ricordo che a capodanno mi avevi detto dopo che ti avevo raccontato la giornata, come la stavo passando e come mi ero vestita "sentirti dire che ti piacci è un grande traguardo di quest'anno"
Eppure questo è stato un comportamento da amici niente di più, due persone che vogliono il bene dell'altro, che insieme hanno superato i problemi del passato e che hanno rimediato alle convinzioni dovute alle parole degli altri che in passato avevano criticato.
Non è un comportamento da fidanzati, tra noi non poteva funzionare c'è stato solo un bacio e allora dov'è il problema in quel momento ero felice? Si questo è l'importante comunque tu mi vuoi bene, sempre meglio di ricevere il primo bacio da uno che invece mi sfruttava soltanto.
Anche nella fantasia e in quell'istante di realtà dov'è il problema se abbiamo fatto loving? Ero felice in quei momenti? Si, ho scoperto aspetti di me che non conoscevo e un lato di me passionale che mai avrei immaginato di avere... sono stati 3 anni di quella "lezione d'amore" da cui tutto ebbe inizio, semplicemente questo. Solo ora comprendo che questo era il vero significato di quella parola "amore di carità".
Ci saremmo ritrovati d'accordo solo durante una passeggiata in mezzo alla natura, in casa a giocare insieme o a inventare robe creative, a scherzare, vedere un film o un cartone animato insieme, ci saremmo sostenuti a vicenda e saremmo stati dei complici in tutto, ma alla fine questi sono gli ingredienti della nostra amicizia anche attuale, una storia d'amore non poteva funzionare avremmo finito per discutere ad esempio perché io sarei voluta uscire a sentire una commedia dialettale e tu non ci avresti capito nulla e di certo passare un'ora a tradurre ogni parola avrebbe reso tutto un peso.
E poi la distanza c'è anche se poca ma c'è e limitarci a vivere una storia in chat non sarebbe stato lo stesso di una vera relazione, incontraci solo per poche ore una volta all'anno non sarebbe potuto bastare per tenere viva la voglia di essere più che amici. Quante volte ti ho detto questa distanza che ci divide mi fa davvero male ed era quello che temevi anche tu fin dall'inizio.
Se l'avessimo voluta eliminare uno dei due si sarebbe dovuto sacrificare abbandonando la propria città e allontanandosi dalla propria famiglia.
Ora è diverso in amicizia possiamo essere distanti senza soffrire. Certo un abbraccio dal vivo è sempre meglio che virtuale ma niente ci impedirà di vederci in futuro come amici se lo vorremo.
È giusto così, che torno a rimettere me al primo posto e che noi continuiamo ad essere semplici amici veri che si vogliono bene.
Sto meglio così anzi stiamo meglio così.
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Alle persone più importanti della mia vita, io ho associato una canzone. Non sempre gliel’ho detto, non sempre gliel’ho dedicata davvero. Alle volte è solo un ritornello che avevo in testa in un momento condiviso. Il mio migliore amico, ad esempio, per me è Those nights degli Skillet; mio fratello True love di P!nk. Beh ecco, tu non lo sai, ma per te io ho fatto una playlist intera. Ho ritrovato te, noi in troppe canzoni. Non me ne sono neppure accorta, l’ho fatta inconsciamente; senza cercarle, senza sforzarmi. Dapprima erano solamente due (Superclassico e Ferma a guardare), che ho ascoltato a ripetizione per settimane; poi se ne sono aggiunte altre, nuove, che volevo sentire subito dopo quelle. Così, in un battito di ciglia, si è creata una vera e propria raccolta.  E sai, non sono canzoni inglesi, nonostante io ami i testi stranieri, ne cerchi il significato quando mi sfugge e poi le impari a memoria per saperle cantare correttamente. Sono tutte canzoni italiane; di nuovo, è stato probabilmente il mio subconscio ad agire per me, pensando che avresti colto la bellezza e i riferimenti di quei testi solo se li avessi compresi. E visto che tanto non avrò mai modo di dedicartele, ascoltarle con te sottolineando una frase particolare o cantarle assieme, ho deciso che raccoglierò qui le strofe più belle. Ma anche quelle che sono un pugno nello stomaco ogni volta.
Superclassico, Ernia “Ora che fai? Mi hai fregato, così non si era mai sentito. Io dentro la mia testa non ti ho mai invitata. Vorrei scappare che sei bella incasinata... Ma poi ti metti sopra me e mi metti giù di forza, Sembra che balli ad occhi chiusi, sì, sotto alla pioggia. Poi stai zitta improvvisamente... Ti chiedo, «Che ti prende?» Tu mi rispondi, «Niente» Dio, che fastidio.”
Ferma a guardare, Ernia ft. Pinguini Tattici Nucleari “Poi lo facevamo forte, in piedi sulle porte Dici: «Non ti fermare» Però io guardo le altre E so che d'altra parte Non lo puoi perdonare. Sotto il tuo portone tu m'hai chiesto se ci sto A salire ed era solo il primo appuntamento. Nello stesso punto dopo mesi io ti do Dispiaceri e tu mi stai mandando via dicendo «Non mi fare mai più del male. Ora non voglio più parlare Perché non so restare Ferma a guardare Te che scendi giù dalle scale e te ne vai»”
Pastello bianco, Pinguini Tattici Nucleari “Ti chiedo come stai e non me lo dirai, Io con la Coca-Cola, tu con la tisana thai Perché un addio suona troppo serio E allora ti dirò bye bye. Seduti dentro un bar poi si litigherà Per ogni cosa, pure per il conto da pagare. Lo sai mi mancherà, na-na-na-na.”
Ridere, Pinguini Tattici Nucleari “E non ho voglia di cambiarmi, Uscire a socializzare... Questa stasera voglio essere una nave in fondo al mare. Sei stata come Tiger: Non mi mancava niente E poi dentro m'hai distrutto Perché mi sono accorto che mi mancava tutto. Però tu fammi una promessa Che un giorno quando sarai persa Ripenserai ogni tanto a cosa siamo stati noi.”
Nonono, Pinguini Tattici Nucleari “E spettinata resti qua Perché la più grande libertà È quella che ti tiene in catene. I pugni in faccia che mi dai Li conservo nell'anima Accanto a tutti i "ti voglio bene". Ieri mi sono svegliato (no, no, no) Erano circa le tre. Quando il telefono non ha squillato, Io l'ho capito che eri te. Hai detto: «Impara a vivere da solo» (No, no, no) Ma solo ci sapevo stare. La mia solitudine era un mondo magico Che io ti volevo mostrare.”
L’odore del sesso, Ligabue “Si fa presto a cantare che il tempo sistema le cose, Si fa un po' meno presto a convincersi che sia così. Io non so se è proprio amore Faccio ancora confusione. So che sei la più brava a non andarsene via. Forse ti ricordi... ero roba tua. Non va più via L'odore del sesso, che hai addosso. Si attacca qui All'amore che posso, che io posso... E ci siamo mischiati la pelle, le anime e le ossa Ed appena finito ognuno ha ripreso le sue. Tu che dentro sei perfetta Mentre io mi vado stretto. Tu che sei la più brava a rimanere, Maria, Forse ti ricordi, sono roba tua.”
Andrà tutto bene, 883 “Io e te chi l'avrebbe mai detto. Io che avevo giurato che non avrei fatto Mai più il mio errore di prendere e via Buttarmi subito a capofitto In un'altra storia impazzire per la gloria, Io no. Mi spiace ho già dato E l'ho pagato. Però sta di fatto che adesso son seduto con te In un'auto a dirti all'orecchio che Andrà tutto bene non può succedere Niente di male mai a due come noi.”
Ad occhi chiusi, Marco Mengoni “Da quando ci sei tu Non sento neanche i piccoli dolori. Ed oggi non penso più A quanto ho camminato per trovarti. Resto solo adesso, mentre sorridi e te ne vai Quanta forza che mi hai dato non lo sai e spiegarlo non è facile. Anche se non puoi tu sorridimi; Sono pochi, sai, i miracoli Riconoscerei le tue mani in un istante. Ti vedo ad occhi chiusi e sai perché Fra miliardi di persone ad occhi chiusi hai scelto me.” Sai che, Marco Mengoni “Eravamo davvero felici con poco, Non aveva importanza né come né il luogo. Senza fare i giganti E giurarsi per sempre... Ma in un modo o in un altro Sperarlo nel mentre.” Sembro matto, Max Pezzali “Il tempo si ferma quando siamo assieme Perché è con te che io mi sento bene. Voglio quei pomeriggi sul divano In cui mi stringevi e respiravi piano. Ho perso te e la mia armatura di vibranio. Sembro strano... Sembro matto, matto. Come un tornado hai scompigliato tutto, Mentre dormivo lì tranquillo a letto Hai fatto il botto, dopo l'impatto.” La paura che, Tiziano Ferro “La lacerante distanza Tra fiducia e illudersi È una porta aperta E una che non sa chiudersi. E sbaglierà le parole Ma ti dirà ciò che vuole. C'è differenza tra amare Ed ogni sua dipendenza. "Ti chiamo se posso" O "Non riesco a stare senza". Soffrendo di un amore raro Che più lo vivo e meno imparo. Ricorderò la paura che Che bagnava i miei occhi Ma dimenticarti non era possibile e Ricorderai la paura che Ho sperato provassi, provandola io Che tutto veloce nasca e veloce finisca.”
Vivendo adesso, Francesco Renga “A te che cerchi di capire E che provi a respirare aria nuova. E non sai bene dove sei. E non ti importa anche se in fondo lo sai che ti manca qualcosa. Amami ora come mai, Tanto non lo dirai. È un segreto tra di noi. Tu ed io in questa stanza d'albergo A dirci che stiamo solo vivendo adesso.”
Duemila volte, Marco Mengoni “Vorrei provare a disegnare la tua faccia Ma è come togliere una spada da una roccia. Vorrei provare ad abitare nei tuoi occhi Per poi sognare finchè siamo stanchi. Vorrei trovare l'alba dentro questo letto, Quando torniamo alle sei, mi guardi e mi dici che Vuoi un'altra sigaretta, una vita perfetta Che vuoi la mia maglietta. Che vuoi la mia maglietta. Ho bisogno di perderti, per venirti a cercare Altre duemila volte, Anche se ora sei distante. Ho bisogno di perdonarti, per poterti toccare Anche una sola notte.”
Ma stasera, Marco Mengoni “Senza di te nei locali la notte io non mi diverto. A casa c'è sempre un sacco di gente ma sembra un deserto. Tu ci hai provato a cercarmi persino negli occhi di un altro, Ma resti qui con me.”
Dove si vola, Marco Mengoni “Cosa mi aspetto da te? Cosa ti aspetti da me? Cosa sarà ora di noi? Cosa faremo domani? Potremmo andarcene via, dimenticarci Oppure giocarci il cuore, rischiare. Fammi respirare ancora, Portami dove si vola, Dove non si cade mai. Lasciami lo spazio e il tempo E cerca di capirmi dentro. Dimmi ogni momento che ci sei. Che ci sei, che ci sei.”
Venere e Marte, Marco Mengoni “Certe storie brilleranno sempre ed altre le dimenticherai. Ci sono cose che una volta che le hai perse poi non tornano mai. E se già ti dico porta le tue cose da me Non dirmi è troppo presto perché Io ti prometto che staremo insieme, senza cadere, E ogni mio giorno ti appartiene. Ti prometto che inganneremo anche gli anni Come polvere di stelle filanti. E sarà scritto in ogni testo Che niente può cambiare tutto questo. Incancellabile... ogni volta che mi guardi. Posso farti mille promesse o ingoiarle come compresse E mandare giù queste parole senza neanche sentirne il sapore. Questo mondo da soli non è un granché; sì ma neanche in due. Però con te è un po' meno buio anche quando il cielo è coperto di nuvole. E aspettavi smettesse di piovere, ma sei rimasta tutto il giorno, Io speravo piovesse più forte perché è bello riaverti qui intorno. Certe storie diventano polvere, non ti resta nemmeno un ricordo. Altre invece nonostante il tempo ti restano addosso.”
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theangeloflucifer · 3 years
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46.
Ho ritrovato questo testo tra le note. Risale a giugno di quest’anno, e penso sia più che sufficiente per mostrarti come stavo davvero.
“CI pensi mai, a come sarebbero andate le cose, se una sola delle nostre scelte sarebbe stata diversa?
Ci pensi mai cosa sarebbe successo, se invece di stare in silenzio avessi parlato, se invece di crederti avessi dubitato, e avrei disobbedito? Ci pensi mai?
Io si, di continuo.
Ma indietro non si torna, gli eventi non si cambiano, i fatti nemmeno, e le parole dette non ritornano di nuovo all’origine.
Se mi guardo intorno, mi rendo conto che mi rimane tutto e niente.  Ho una casa, la salute di affrontare tutto,  una famiglia, un grumo di sogni, la mia laurea..il mio obiettivo più grande, il mio sport, il mio sfogo. Non mi manca poi così tanto penso. Eppure sento che a volte non è così.
Mi manca ciò che non ho mai avuto, le cose a cui non mi sono mai dedicata, le esperienze che non ho mai fatto, le stronzate nelle quali non mi sono mai lanciata. Mi manca ciò che non c’è stato, chi non ho avuto il coraggio di essere. Che cos’è quest’assurda mancanza, che sento di dover colmare?
Ho 22 anni, e non ho mai vissuto a pieno. Non ho mai imparato a guidare, a cucinare, a  ballare, nuotare, a trascorrere le serate con gli amici, a  ridere di cuore senza preoccupazioni. Non ho mai avuto il piacere di trovarmi in  compagnia di un gruppo di persone, quelli che sono davvero tuoi amici, quelli dei quali puoi fidarti, puoi farci di tutto insieme, e quelli che ti vedono in ogni tua sfumatura, ogni circostanza. Non sono mai stata parte di un gruppo. Non mi è mai capitato di sentire quel senso di appartenenza, legame, con persone con cui si cresce insieme, e invece tutto questo mi sarebbe piaciuto. Mi sarebbe piaciuto avere 5,6,7 persone, a cui tenevo così tanto da considerare la mia seconda famiglia. Mi sarebbe piaciuto riunirci, ridere insieme, sostenerci, coinvolgerli nei miei casini, farli assistere alle mie gare, supportarci a vicenda, fare tutto ciò che si fa in adolescenza.
Non ho mai vissuto con leggerezza, spensieratezza, senza alcun timore, libera. Non mi sono mai sentita libera.
Non mi sono mai sentita libera di coltivare le mie amicizie, di uscire e sentirmi spensierata per qualche ora, senza  dover dare spiegazioni. Mi sarebbe piaciuto  mettermi in testa un obiettivo e portarlo avanti, senza ostacoli, senza vincoli.  Mi sarebbe piaciuto vivere tutto questo, e invece non ne ho avuto modo, o forse coraggio.  Non mi sono mai sentita libera di dire NO, di disobedire, di oppormi, di ribellarmi.
Non mi sono mai sentita libera di dire a gran voce “SONO UNA DONNA CHE HA SUBITO VIOLENZE, E NON MI VERGOGNO DI DIRLO, PERCHè NON è COLPA MIA”
…e forse è proprio questo l’unica cosa che resta, che mi lega al tuo pensiero, alla tua persona.
Di questo puzzle degli orrori, fatto di anni in cui mi hai trasformato in una persona con molti più dubbi, pensieri, complessi, e poca autostima. Sono diventata una persona senza coraggio.
Non ho avuto il coraggio di parlare, di denunciare, di chiedere aiuto. Mi sono chiusa in me stessa, ho lasciato che tu mi staccassi a poco a poco dal mondo circostante, e lo limitassi ad un piccolo cerchio dove c’eravamo solo io e te.
E io te l’ho permesso, e questo non me lo perdono.
Se c’è una cosa che sto imparando, è che allontanarsi è semplice, tagliare i ponti,  i legami, ma riconquistare no. E’ lento e faticoso.
E’ ciò che ho fatto; ho tagliato le mie amicizie, ho sbattuto loro una porta in faccia, ho voltato le spalle e sono andata via. E ora, ora che vorrei tanto avere l’opportunità di vivere tutto ciò che non ho vissuto, come lo spiego a loro?
Come si fa a dire “ I****, scusami se sono sparita, se mi sono fatta manipolare, demoralizzare, schiavizzare da uno che ha preso il pieno controllo su di me. Scusami se sono andata via e non ti ho più cercata, ti ho ignorata e ho evitato ogni contatto che hai cercato di creare. Sono mesi che penso a questo, a come potrei venirne fuori, e  non ci riesco.”
Come si fa a chiedere perdono, e accoglienza,  a coloro che non ti hanno sbattuta fuori. Sono andata via io,  e sebbene l’azione sia stata mia, il tutto è legato alla tua presenza, a quella vita follo che per anni mi hai fatto passare per normale, a quella quotidianità nociva che respiravo. Hai influito negativamente sul periodo più  bello, leggero della mia vita; la mia adolescenza.
Ora non sono più un’adolescente, sono ormai una giovane donna, e tutto ciò che sono, le mie insicurezze, i miei dubbi, li hai causati tu.
Siamo stati insieme per molti anni, abbiamo condiviso centinaia di giorni io e te, decine di eventi importanti, piccoli e grandi traguardi, situazioni, attimi, e ora sento che ad ogni passo che compivamo insieme, tu portavi via un pezzetto di me. Sento che a poco a poco mi sono lasciata trasformare in un qualcosa che non sono.  Non sono solo la ragazzina timida e silenziosa,  a cui non piace bere,  ballare, cantare a squarciagola, ma preferisce il silenzio, lo studio e la solitudine.
Non penso che sono solo questo; penso che potrei essere molto altro. Che infondo sono molto altro, ma si sa, sono le esperienze che vivi a formare la tua persona. Ti conosco da 6 anni, hai fatto parte della mia vita per 5 lunghi anni, e considerato che ne ho solo 21, sono circa un quarto della mia esistenza. Un quarto della mia vita con te, 5 anni in cui hai agito, mi hai mancata di rispetto, mi hai fatto perdere il contatto con la realtà, e mi hai portata ad una visione distorta del mondo; un mondo dove dover coprire i lividi era normale, dove non avere mai pace, sentirsi dire cose  orribili e ritrovarsi con le mani alla gola, era normale. Dare poca importanza alla propria donna, al suo compleanno, ad ogni suo traguardo, renderla nervosa, insicura, spaventata, era normale. Un mondo in cui io ero quella pazza, isterica e che non capiva nulla. Un mondo malato, che non corrisponde alla verità.
Sono stata in questo mondo per così tanto tempo, che ora che do uno sguardo su quello reale, mi sembra assurdo tutto ciò che c’è stato, mi sembra surreale.  Ora ho la certezza che non è normale. Se sei fidanzato, e la tua ragazza ti chiede di non riaccompagnare un’altra donna a casa, tu non lo fai. Se ami presti attenzioni, e considerazione, in ogni modo possibile; gesti,  complimenti, presenza, parole delicate, fiori regali. Ti occupi delle occasioni importanti  e li rendi speciali. Guardi la tua donna e la fai sentire bella, importante e unica, invece di renderla insicura, di esprimere le tue opinioni forti sui capelli, sulle gambe, sul peso…su tutto.  Non le impedisci di sognare, non le strappi via le ali. Non fai niente di tutto questo.
Tutto ciò non è normale, ed io non ho avuto la prontezza di reagire prima.
Solo quando ti ho mandato via, sono riuscita a dire che il mio sogno è andare In SVIZZERA, andare al politecnico di Zurigo, dedicarmi alla ricerca per nuovi materiali, e sognare, sognare in grande. Solo senza te io riesco a sognare forte, senza freni, senza limiti.
Tu sei stato il mio vincolo più grande, il mio peso che in ha impedita di viaggiare leggera, di correre libera lungo la strada  che volevo. Avresti dovuto essere il mio supporto e invece sei stato tutt’altro. Sei stato quello che ha scaricato fin da subito i suoi pensieri, preoccupazioni e frustrazioni su di me, e mi ha lasciato lividi e cicatrici, e quelli più duri da mandar via, sono quelli che non si vedono, quelli che ancora non sono guariti del tutto.
Non c’è più amore, affetto, considerazione, ammirazione, verso te. Non c’è più nulla di positivo. Tutto ciò che di buono pensavo ci fosse è stato spazzato via da un’ondata di lucidità, di consapevolezza. Ora sono consapevole che non andava  bene tutto quello.
Più passano i giorni, più mi sento leggera, ora che ho detto addio a te, che sei stato il mio violentatore, fisico, e mentale. Più passano i giorni più mi sento lontana dalla tua presenza negativa, più imparo ad amarmi, più so che ho fatto la scelta giusta. Eppure, col passare del tempo mi rendo conto di quanto tu mi abbia tolto, quante opportunità non ho colto,  a causa della tua presenza, del tuo parere.
Ecco l’unico pensiero che ancora mi lega a te; questo pensiero assurdo, e questa voglia di voler riprendere in mano la mia vita, la mia quotidianità, la mia tranquillità.
Ci vorrà del tempo, per ricostruire tutto, per ricominciare a sentirsi padroni della propria vita, per ricominciare a svegliarsi sereni con la tranquillità che non ho da tanto tempo, la tranquillità di sapere che tutto è al proprio posto.  Ci vorrà del tempo, e sarà faticoso, e doloroso a tratti. Sarà così, ma alla fine, quando tutto sarà di nuovo normale, io e te non avremmo più nulla che ci lega. Non avrò più necessità di pensare a te, di tormentarmi. Resterai solo questo; il primo grande amore della mia vita, la persona da cui ho subito violenza, che mi ha distrutta.  La tua presenza sarà limitata a un grumo di pessimi ricordi, ormai più numerosi di quelli positivi. Un grumo di ricordi e foto accantonate in una cartella di un pc, che ormai non guardo più. Sarai solo questo.
La persona che non mi hai mai amata e rispettata, quella che io non  ho mai avuto il coraggio di denunciare, e che ho sbattuto fuori dalla mia vita, per sempre!”
Già, penso che non debba aggiungere altro.
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gloriabourne · 3 years
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Non hai capito il nocciolo della questione. Certo che può allearsi, ma quello di fedez è lo stesso comportamento dei cosiddetti White Saviours, che con la scusa di appoggiare il movimento Black Lives Matter finiscono per scavalcare le stesse persone nere e a far sì che siano i bianchi, ancora una volta, sempre un passo avanti a loro, a far parlare di sé. 'Alleato' vuol dire un passo indietro, o al massimo, 'accanto' alle persone direttamente coinvolte. Non vuol dire diventare idolo delle folle.
Ovvio che abbia il diritto di dire quello che vuole, nei giusti contesti, ma dall'esprimere le sue - giustissime - opinioni, a diventare improvvisamente martire e paladino di una causa che non lo tocca neanche direttamente, non è rispettoso nei confronti di chi queste battaglie le porta avanti da anni, e che ha subito davvero censura, e ha rischiato, e ha sofferto. Lui non è nessuna di queste cose. E non mi sento affatto rappresentata da lui, io come tantissimi altri, capisci che voglio dire?
Maturazione, dici? Tutte frasi fatte, le sue, dette palesemente per convenienza, o per moda. Sai chi sono le persone veramente coraggiose? Quelle che oggi come in tempi non sospetti prima di potersi baciare o stringere la mano con il proprio partner dello stesso sesso devono guardarsi intorno dieci volte, perché corrono il rischio reale di essere aggrediti. Non uno che si sente un illuminato per il semplice fatto d'aver ribadito delle assolute ovvietà (tipo far giocare un bimbo con una bambola).
E che concezione hai tu dei leoni da tastiera? Credevo che fossero quelli che insultassero chiunque a vanvera indistintamente, non chi osa sbattere in faccia l'altro lato dei fatti, che la massa non riesce a distinguere perché ha i prosciutti sugli occhi. Risultato? ecco, proprio quello a cui ambiva fedez: lui al centro dell'attenzione, martire poverello, e io - persona gay, invisibile - liquidata così e definita una semplice leone da tastiera. Bravissimi tutti, complimenti!
Quando dici 'volete rompere i coglioni e basta', sappi che stai offendendo i tuoi compagni della community LGBT, di cui tu stessa hai ammesso di far parte. Sarà che sei una newcomer ma, boh, dalle mie parti le persone LGBT si sostengono a vicenda, non vengono definiti rompicoglioni, sai? Cosa credi, che io sia veramente l'unica scema a vedere il marcio nel caso Fedez, o forse che c'è un motivo più che valido se siamo in tantissimi (e per fortuna direi)? 😂
Ma poi vorrei capire: la mia faccia non la vedrai mica mai, quindi se negli ask che ti arrivano c'è scritto che il mittente è Anonimo anziché pincopallino93, ti cambia veramente qualcosa? O ne fai una mezza scusa per rendere meno valide le mie ragioni? Il tuo blog è impostato per ricevere domande in anonimo, quindi perché non dovrei usufruirne? Ti sto parlando sì animatamente, ma pur sempre civilmente, a differenza dei leoni da tastiera senza cervello a cui ti riferisci.
Concludo ponendomi una legittima domanda che rivolgo anche a te se vorrai darci la tua opinione: quindi la morale della favola è che, siccome io sono e sarò per sempre povera e invisibile, in futuro dovrò persino ringraziare Fedez per essersi esposto per far approvare il DDL Zan? ... Oddio che cieca sono stata, ma grazie fedez, paladino della giustizia sociale, che hai dato voce a me a cui non verrà mai dato diritto di parlare perché non sono una influencer. Ti sono debitore a vita 😂😂😂
----------------------------------------------------------Hai scritto un sacco di cose quindi andrò per punti per evitare di dimenticare qualcosa.
1) Nessuno dice che bisogna fare diventare Fedez l'idolo delle folle. Idolatrare una persona è sbagliato in qualsiasi caso, per quanto mi riguarda. Ma questo non è un problema di Fedez, è un problema di chi lo pone su un piedistallo. A me non risulta di averlo farlo.
Ho semplicemente detto di essere d'accordo con lui e di aver apprezzato molto il suo intervento, cosa di cui secondo me l'Italia aveva bisogno perché lui, in quanto influencer, ha sicuramente più probabilità di farsi ascoltare. Questo non significa farlo diventare un idolo, ma anche se fosse sicuramente il problema non sarebbe di Fedez ma di chi lo idolatra, quindi esattamente perché te la prendi con lui quando invece dovresti prendertela con chi lo tratta come un dio sceso in terra?
Poi che non ti senti rappresentata da lui va benissimo, ma da qua a dire che non ha il diritto di dire certe cose (perché questo hai detto negli ask precedenti) c'è un po' di differenza.
2) Maturazione, sì. Non si tratta di frasi fatte. Poi se tu vuoi credere che siano cose dette per moda, problemi tuoi. Capisci che però c'è un problema di fondo nel tuo modo di ragionare?
Se tu pensi che Fedez - in questo caso - abbia detto determinate cose per moda e non perché le pensa davvero stai in un certo senso sminuendo dei diritti che in teoria per te dovrebbero essere importanti, se addirittura arrivi a pensare che la gente ne parli per moda e non perché ci crede sul serio.
E, tra le altre cose, perché mi fai la morale sull'essere coraggiosi? Non ho mai detto che Fedez è stato coraggioso a fare quell'intervento. Ho semplicemente detto che lui, a differenza di una persona comune, poteva permettersi di farlo perché prima di tutto sarebbe stato ascoltato molto di più e soprattutto perché se qualcuno lo trascina in tribunale può permettersi di pagare le spese legali. Non ho mai parlato di coraggio, ho parlato semplicemente del potersi permettere di fare un discorso del genere in diretta nazionale.
3) La mia concezione dei leoni da tastiera è più o meno quella che hai detto tu: persone che, attraverso uno schermo, insultano gli altri sentendosi grandi e potenti solo perché hanno uno schermo che li protegge. E tu esattamente cosa hai fatto prima? Hai definito Fedez rivoltante, Chiara Ferragni un'ochetta (se non erro)... Questo non è insultare? Senza motivo poi, perché bastava dire che non ti era piaciuto il suo intervento e spiegare perché senza cadere nella banalità di insultare le persone solo perché non ti piacciono.
E non giocarti la carta del vittimismo con la frase: "lui al centro dell'attenzione e io liquidata e definita leone da tastiera", perché obiettivamente è la verità. Ovvio che lui sta al centro dell'attenzione, stiamo parlando di un influencer! E tu non è che sei invisibile perché sei gay, ma lo sei perché sei una persona comune! E sì, ti ho definita leone da tastiera perché è ciò che penso delle persone che insultano senza motivo gli altri.
Anche perché hai ammesso che il problema non era tanto il discorso di Fedez quanto il fatto che fosse stato idolatrato dalla massa... E hai ragione su questo, ma allora prenditela con la massa!
4) Non ti azzardare a dire che non posso dire alla gente di non rompere i coglioni perché devo sostenere la comunità. Io le persone della comunità LGBT+ le sostengo, lo facevo anche prima di rendermi conto di farne parte, ma sostenere non significa lasciar passare tutto.
Se un determinato atteggiamento mi rompe le palle e mi fa perdere le staffe, a me non frega nulla che si tratti di una persona gay, bi, pan, etero, o qualsiasi altro orientamento, non frega nulla che faccia parte della comunità o meno. Sostenere le persone della comunità non vuole giustificare ogni cosa perché si tratta comunque di esseri umani e come tali sbagliano e come tali possono dire e fare cose con cui non mi trovo d'accordo, come quelle dette da te. E se non sono d'accordo lo dico, anche con modi bruschi perché è il mio carattere. Non è che solo perché siamo parte della stessa comunità allora devo stare zitta e farmi andare bene tutto perché devo sostenerti.
E il fatto che io sia una newcomer non cambia le cose. Però grazie per aver rimarcato il fatto che io in questa situazione ci sia dentro da meno tempo di te, da sola non ci sarei mai arrivata!
5) Premetto che il mio blog non è impostato per ricevere domande in anonimo. È impostato per ricevere domande, punto. Purtroppo se tolgo l'opzione impedisco l'arrivo di qualsiasi domanda, non solo le anonime.
Detto ciò, non sono le domande in anonimo in sé a turbarmi. Sono le domande in anonimo fatte in un certo modo. E ti spiego subito il perché.
Se una persona mi parla scattando come un cane a cui hanno pestato la coda, io scatto a mia volta. Sono fatta così, non dico di essere fatta bene, ma è il mio carattere. Il punto è che io, rispondendo con il mio nickname (e non solo, perché chi mi segue qui tende a seguirmi anche su altri social in cui ci metto la faccia quindi tutti sanno chi sono) mi espongo, mentre l'altra persona - in questo caso tu - resta nascosta dietro l'anonimo, che funge da scudo.
In pratica in una discussione, tu ne esci pulita perché ti sei nascosta dietro l'anonimo, mentre io sono quella brutta e cattiva che risponde male. Non che mi freghi qualcosa del passare per brutta e cattiva, ma non vedo perché sta figura me la devo fare solo io quando siamo in due.
6) Non ho mai detto che dovremo ringraziare Fedez nel caso in cui il ddl Zan venga approvato. Ho semplicemente detto che Fedez si esposto in merito a questa questione e che, per quel che ne so, è stato l'unico personaggio famoso a esporsi così tanto. O meglio, in tanti a modo loro si sono esposti, ma lui lo ha fatto più di altri per quello che ho potuto vedere.
Questo non significa doverlo ringraziare, significa semplicemente riconoscere che ha portato sotto i riflettori una questione che altrimenti forse in pochi conoscerebbero.
Molti ddl o proposte di legge arrivano agli occhi delle persone comuni tramite i social o tramite "propaganda" da parte di influencer o personaggi famosi. Può essere vista come una cosa giusta o sbagliata, non mi interessa e non sono qua per parlare di questo, ma è quello che succede. Ed è un dato di fatto che molte persone si siano informate sul ddl Zan perché Fedez ne ha parlato. E qua si torna al punto di partenza: Fedez ha una voce più "grossa" di quella che posso avere io o di quella che puoi avere tu, per il semplice fatto che è un personaggio pubblico seguito da tantissime persone.
Quindi nessuno dice che in futuro bisognerà ringraziarlo, ma riconosciamo che almeno in parte è stato lui a portare l'attenzione - soprattutto delle persone che non sono toccate direttamente dal ddl Zan - su questo argomento.
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giancarlonicoli · 3 years
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19 apr 2021 18:10
"LA MAGISTRATURA? UN POTERE AUTOREFERENZIALE PIÙ INTERESSATO ALLA POLITICA INTERNA CHE A QUELLA NAZIONALE" - L'AVVOCATO FRANCO COPPI PRENDE A LEGNATE LE TOGHE: "VEDO TROPPA ANARCHIA NEI TRIBUNALI, OGNI GIUDICE FA QUEL CHE GLI PARE E I PROCESSI SFOCIANO IN SENTENZE IMPREVEDIBILI. AVREI PAURA A ESSERE GIUDICATO DA QUESTA MAGISTRATURA - NON È AMMISSIBILE CHE SI DIVENTI MAGISTRATI, ACQUISTANDO DIRITTO DI VITA E DI MORTE SUGLI ITALIANI, DOPO DUE O TRE COMPITINI DI LEGGE. IL PROCESSO AD ANDREOTTI? NON SI SAREBBE DOVUTO TENERE. QUELLO A BERLUSCONI L'HO VINTO SUI FATTI. LE CENE DI ARCORE? CI SAREI ANDATO, E MI SAREI PURE DIVERTITO"
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Pietro Senaldi per "Libero quotidiano"
«La carriera non può basarsi solo sull' anzianità: il lavoro e le sentenze devono avere un peso negli avanzamenti, sennò anche ad alti livelli ti trovi davanti certa gente...» «Non bastano due o tre esami di diritto per decidere della sorte degli altri per tutta la vita. Vanno testate la morale e l'equilibrio di chi è chiamato a giudicare i cittadini»
«La verità è che la politica ignora i problemi della giustizia, che si abbattono soprattutto sui cittadini comuni, e che ai magistrati interessa più la loro politica interna, correntizia, piuttosto che quella del Palazzo. E la prova è che tutti parlano dei mali dell'amministrazione dei tribunali, però sono discorsi che sento da più di cinquant'anni senza che sia mai stata trovata una soluzione. Anzi, ho l'impressione che, più se ne parla, meno si fa e più i mali della giustizia si aggravano. Prenda la lunghezza dei processi: sembravano eterni già negli anni Settanta, oggi durano ancora di più La ragione di tutto questo? Sciatteria, è la prima parola che mi viene in mente».
C'è un uomo solo che può parlare delle relazioni tra magistratura e politica senza essere accusato di imparzialità, perché ha difeso da pesantissime accuse dei pm i due leader più longevi della storia della Repubblica, Andreotti e Berlusconi, e li ha fatti assolvere, ma non ha mai ceduto alle lusinghe del Parlamento, che pure lo ha corteggiato. La sua toga è immacolata, il suo nome è Franco Coppi.
L'avvocato più famoso d'Italia è disincantato, la passione per il diritto è la stessa di un ragazzino, malgrado gli 82 anni, la disamina è amorevolmente spietata, la diagnosi lascia poche speranze perché non si intravede volontà di ravvedimento operoso. «Riforme ne sono state fatte negli anni», per una volta il tono è quello della requisitoria e non dell'arringa, «ma stando ai risultati sono state quasi tutte inutili, non ho visto miglioramenti».
Franco Coppi, 82 anni, avvocato, giurista e accademico italiano Devo dedurne che la giustizia italiana è irriformabile?
«Nulla lo è, a patto che ci sia la volontà. Riformare davvero richiede il coraggio delle proprie decisioni e la disponibilità a esporsi a critiche anche feroci. Se pensi a quanti voti perdi se separi pm e giudici o se togli l'abuso d' ufficio, non vai da nessuna parte.
Devi fare quel che ritieni giusto, senza curarti delle conseguenze».
I politici dicono che riformare la giustizia è impossibile perché i giudici non vogliono
«Io penso invece che temano di perdere il consenso se toccano la magistratura».
Ma la magistratura non ha perso credibilità negli ultimi anni?
«Comunque meno della politica».
I politici dicono di temere la reazione dei pm, pronti a indagarli se smantellano il suo potere
«Io non credo che ci sia una guerra della magistratura contro la politica tout court. Non creiamo falsi problemi: la magistratura ha un potere enorme ma quello del legislatore è ancora più grande. Se il Parlamento avesse la forza di cambiare la legge, alla fine Procure e Tribunali sarebbero costretti ad assoggettarsi».
Secondo lei quindi è stata la politica a cavalcare la magistratura più che la magistratura a tenere sotto scacco la politica?
«Questa è un'analisi che contiene della verità: certo alcune parti politiche hanno speculato sulle disavventure giudiziarie degli avversari. Sgradevole che quasi sempre sia avvenuto prima della sentenza definitiva, che spesso è stata di assoluzione, come nei processi che ho seguito per Andreotti e Berlusconi. Però, se intendo il senso provocatorio della sua domanda, il fatto che una giustizia così screditata sia in un certo senso funzionale agli interessi della politica è una tesi suggestiva e non infondata».
Ma se la politica non è ferma per timore della reazione della magistratura, perché allora la subisce?
«Sudditanza psicologica? O piuttosto anche una forma strana di indifferenza rispetto ai problemi. Il Parlamento oggi sembra avere dimenticato il motto latino "Iustitia fondamentum regni": con istruzione e sanità, il funzionamento dei tribunali è il cardine di un Paese civile. Noi invece abbiamo messo anche la giustizia in lockdown, ma i danni sono irreparabili».
È così difficile apportare queste modifiche?
«Basterebbero 24 ore. Però temo che uno dei grandi problemi sia il deficit di competenza. La politica in realtà non sa dove mettere le mani per migliorare il diritto. Non ha gli uomini, dovrebbe appaltare la riforma della giustizia a una commissione di una dozzina di giuristi».
I giudici insorgerebbero subito
«Se le proposte fossero concrete e ragionevoli, non potrebbero opporvisi. E anche se lo facessero, chi se ne importa?».
Ritiene che le toghe siano troppo politicizzate?
«Di magistrati ne ho conosciuti tanti. Sono una piccola parte quelli condizionati dalla politica».
Captatio benevolentiae?
«Guardi, ho visto molti più giudici influenzati dall'opinione pubblica, dai giornali o dalle mode che dalla politica. C'è chi mi ha confessato, prima dell' udienza, di essersi fatto un'opinione guardando i talkshow».
Le intercettazioni di Palamara però hanno rivelato che Salvini è a processo perché ritenuto un avversario politico e non un sequestratore di immigrati
«Sarebbe una cosa spregevole».
Cosa pensa di quello che sta venendo fuori sulla magistratura?
«Non tutto è una novità, di certe cose si parlava da tempo. La cosa più sgradevole è il sistema di nomine, tutte raccomandazioni, dispute, calcoli: se fosse davvero così, sarebbe sconcertante».
Che quadro ne emerge della magistratura?
«Un potere autoreferenziale concentrato su se stesso, più interessato alla politica interna che a quella nazionale».
Vede segnali di pentimento nella casta in toga?
«Vedo imbarazzo nei molti magistrati onesti. È auspicabile che l' intera categoria si senta ferita».
Cambierà qualcosa?
«Per cambiare serve volontà. Quel che vedo non mi fa essere ottimista».
Bisognerebbe abolire l'Associazione Nazionale Magistrati?
«L' abolizione del parlamentino delle toghe è un problema che non mi sono mai posto. La sua esistenza mi lascia indifferente: se c'è, è naturale che si divida in correnti, ma i problemi veri della magistratura sono altri».
Quali, secondo lei?
«Vedo troppa anarchia nei tribunali, ogni giudice fa quel che gli pare e i processi hanno spesso sviluppi cervellotici, sfociano in sentenze imprevedibili. Avrei paura a essere giudicato da questa magistratura».
Colpa del Consiglio Superiore della Magistratura?
«Il Csm non può intervenire sui processi ma sui comportamenti deontologici dei giudici. È il capo degli uffici, il Procuratore o il Presidente del Tribunale che deve far lavorare i suoi sottoposti e mettere un argine a decisioni e comportamenti stravaganti. Solo che, appena lo fa, si parla di attentato all' indipendenza del giudice. Invece secondo me è indispensabile un capo che riprenda e metta ordine».
La sua ex collaboratrice, Giulia Bongiorno, ha detto che nell' esame di magistratura bisognerebbe inserire un test psicologico. Lei sarebbe d' accordo?
«Sono d' accordo che servirebbero mezzi di selezione più rigorosi. Non è ammissibile che si diventi magistrati, acquistando diritto di vita e di morte sugli italiani, dopo due o tre compitini di legge. Ci vorrebbero esami più articolati attraverso i quali saggiare anche la preparazione morale e spirituale e l' equilibrio psicologico e politico del candidato».
Ipotizza anche verifiche nel corso della carriera?
«Queste dovrebbero farle i capi dei giudici. In realtà credo che bisognerebbe dare più importanza alla produzione di un giudice per valutarne gli avanzamenti di carriera. Oggi si procede solo per anzianità, ma questo ti porta in processi importanti, magari in Cassazione, a trovarti davanti a giudici che mai avresti immaginato a certi livelli. Dovrebbero contare anche i processi vinti o persi e le sentenze impugnate o cassate. Come in tutti i lavori, il risultato deve avere un peso nella carriera. Trovo molte diversità nei livelli di preparazione di una toga rispetto a un'altra».
Si dice che i giudici non pagano mai per i loro errori
«Lavorare sotto il timore di uno sbaglio che può costare caro toglie serenità e distacco».
Però lei se sbaglia, paga
«Io non ho mai desiderato fare il giudice perché mi angoscerebbe l'idea di decidere sulla sorte di un uomo. Pensi che ci sono certi processi, dove non sono riuscito a far assolvere imputati che ritenevo innocenti, per i quali ancora non dormo la notte a distanza di anni».
Che qualità dovrebbero essere indispensabili per un giudice?
«A parte la preparazione tecnica, che non sempre riscontro, un giudice deve avere equilibrio e umanità, per ricostruire i fatti e valutarli. Deve essere dotato di un alto valore morale e sociale, perché diventa interprete della realtà che sta vivendo».
Si ha l'impressione che certe sentenze vogliano cambiare la società anziché seguirne l'evoluzione
«Talvolta nelle motivazioni dei verdetti c'è la volontà di impartire qualche lezioncina. Però quando parlo di valore morale non voglio dire intento moralizzatore, che è una cosa dalla quale il giudice dovrebbe sempre rifuggire».
Le mutazioni della società hanno portato anche a una proliferazione delle fattispecie di reato
«Alcuni nuovi reati sono inevitabili, come quello che punisce le comunicazioni sociali che manipolano il mercato. Altri sono gratuiti».
Tipo il femminicidio o i reati della legge Zan?
«Talvolta introdurre un nuovo reato serve al legislatore per levarsi il pensiero. C'è un problema sociale? Creo un reato e sparo una condanna, così ho la coscienza a posto e mi mostro sensibile. La realtà è che bisognerebbe depenalizzare, non creare nuovi reati; oggi abbiamo liti di condominio che finiscono in Cassazione».
Com'è cambiata la giustizia da che ha iniziato lei?
«Essendo anziano non vorrei passare per un laudator temporis acti, ma non posso evitare di constatare un degrado generale, nella magistratura quanto nell'avvocatura. Ricordo che un tempo, quando andavo ad ascoltare i grandi per imparare, c'erano livelli di discussione giuridica ben più alti. Oggi, a causa anche del carico di lavoro eccessivo, i tribunali sono diventati delle fabbriche del diritto, le sentenze vengono scritte in fretta. Ma sono nostalgico anche per quanto riguarda la cifra stilistica: girando per le aule mi sembra che manchino l'eleganza e il decoro di un tempo».
È stato più facile far assolvere Andreotti o Berlusconi?
«Quello di Andreotti è un processo che non si sarebbe dovuto tenere».
E quello di Berlusconi, l'ha vinto in punta di diritto?
«No, l'ho vinto sui fatti: quelli contestati non configuravano un reato».
Però si era messa male
«Per vincere non ho dovuto scalare le montagne, molto lavoro era stato fatto dai miei predecessori, io ho dovuto solo convincere i giudici che la qualificazione giuridica dei fatti portava necessariamente all' assoluzione».
Fortuna che quella volta non si è imbattuto in un giudice moralista?
«Non sono un mondano, la sera preferisco stare a casa con mia moglie e le mie figlie, abitiamo tutti vicini. Però alle cene di Arcore ci sarei andato, e mi sarei pure divertito».
Perché ha chiamato il suo cane Ghedini?
«Perché me l' ha regalato proprio Niccolò. Io sono un grande cinofilo. Il cane si chiama Rocki, io gli ho dato un cognome, ma è un gesto d' affetto verso chi me l' ha donato. Mi ha fatto un regalo che mi ha commosso e del quale gli sarò sempre grato».
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laprofumiera · 3 years
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martedì, 28 marzo 2017
lettera xxx
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Ciao papavero,
forse questa lettera ti farà girare un po' la testa, quindi mettiti comoda, prendi fiato e stai tranquilla....:)
Scelgo di scriverti, per dirti queste cose per 2 motivi:
- il primo è che così è più facile....!
- il secondo è che non voglio che ci siano equivoci o fraintendimenti di nessun tipo.
Penso con assoluta decisione e convinzione quello che sto per scriverti. Non ci saranno ripensamenti.
Devo aver pensato a lungo, soprattutto inconsciamente, a quello che ci siamo detto sabato, in particolare sul concetto di "scegliere te" e sul significato che ha per te.
Così, poco fa, senza neppure ci pensassi ho deciso un paio di cose.
Purtroppo per qualcosa ci vorrà del tempo per poterla realizzare, ma la decisione è già presa.
Potrei dilungarmi sui motivi di queste decisioni, ma non mi pare importantissimo e comunque premo parlarne più avanti se vorrai. Te li accenno brevemente.
Da molto tempo desidero "scaricarmi" di alcuni pesi, voglio "esorcizzare" alcune cose e voglio un "segno" a testimonianza di tutto questo.
Ecco cosa ho deciso:
IO SCELGO TE, voglio te, per fare la mia prima esperienza di schiavo dopo decenni. Ne ho bisogno, lo desidero e tu sarai la mia Padrona. Sarà un'esperienza dura, impietosa, dolorosa e indimenticabile, assolutamente priva di piacere sessuale, se non casuale, per me.
Scelgo te per essere ripetutamente sodomizzato durante questa esperienza, tu farai in modo da trarne anche tutto il piacere possibile e non solo "mentale".
IO SCELGO TE, per decidere quale tatuaggio e piercing farmi. Voglio un segno permanente di questo momento, un segno da dedicare a te.
Entrambe queste cose sono importanti per me e voglio che sia tu a portarmi (guidarmi?) a farle.
Il terzo fine settimana che avrò di licenza è il momento che ho scelto (un mese e mezzo? due? bah...) quindi hai tutto il tempo per prepararti e , se serve, attrezzarti. :)
Questo non cambia il nostro rapporto (non dal mio punto di vista almeno) io sono e resto il suo padrone, tu sei e resti la mia amata schiava.
Non è neppure il preludio di una rivoluzione, consideralo, come in effetti è, un'estensione del tuo ruolo. A cose fatte ne riparleremo.
Ho scelto di farti leggere questa lettera prima che ci vedessimo, così se vuoi potremo parlarne subito altrimenti lo faremo la settimana prossima quando l'avrai "digerita".:-)
Ti amo schiava.
A.
P.S. Perché ho scelto il terzo fine settimana di licenza ( o meglio la terza volta che me ne daranno una)?
- è semplice, a parte farti preparare, in tutti i sensi, a quello che farai ( mia auguro con gioia).
- Il primo mi "accoglierai" e ti impalerò come sogno di fare da molti mesi, mi sto già organizzando.
- Il secondo sarà un anticipo dei 15 giorni che desidero farti fare e magari questo ti sarà anche da "guida" per la svolta necessaria.
Il terzo sarà il momento giusto e chiusi in casa per (almeno....) due giorni avrai tutto il tempo per farmi esplorare questo nuovo universo.
P.P.S. Adesso, alle 3 d i notte, dopo aver scritto 3 volte (!!!) questa lettera proverò a dormire.....
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steffydragun · 4 years
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Volevo dirti alcune cose che dopo stamattina ho capito.
Io me lo ricordo ancora quel giorno quando mi hai sorriso tra la gente e tutt'intorno s'è spento per un po'.
Io me lo ricordo il primo nostro sorriso, il nostro primo bacio, il nostro primo abbraccio, il nostro primo discorso.
Io mi ricordo tutto ciò che riguarda te, ogni minimo particolare è impresso nella mia mente.
Ogni cosa che ti riguarda non se ne andrà mai via da me.
Ho capito che ti ho saputo perdere ma non dimenticare.
Ho capito che ancora mi fai troppo effetto anche se cerco di negarlo e che ogni volta che parliamo per me è come se nulla fosse mai cambiato.
Tante sono le cose che vorrei dirti e che forse sai già. Le sai perché mi conosci, forse come nessuno, e sai chi sono, ciò che mi da fastidio, e ciò che amo .
Dai momenti come quelli di stamattina vorrei non finissero mai per quanto sono belli.
Tu non hai idea di quanto io sia stata male per te.
Non hai idea dei pianti, delle paranoie e delle giornate no che ho dovuto affrontare da quando non siamo più io e te.
Non hai idea del vuoto al cuore che mi prendeva ogni volta che ti vedevo, ogni volta che eri con lei o con i tuoi amici.
Tu non hai minimamente idea di quanto io ho continuato ad amarti nonostante tutto.
So che sembra assurdo amare a 15, 16 o 17 anni ma fidati, io so che ti ho amato per davvero.
Sei stato il primo ragazzo a cui ho detto “ti amo” e anche nelle relazioni dopo non sono più riuscita a dirlo. Penso che nella vita si ami veramente poche volte una persona: tu sei una di quelle, non dimenticarlo mai.
Hai presente quella canzone che fa: Come è strano incontrarti di sera in mezzo alla gente e salutarci come due vecchi amici, «Hei ciao come stai?» quando un giorno di notte mi hai detto «Non ti lascerò mai.»?
Ecco ho pensato subito a te, ho pensato a stamattina e ho pensato all’ansia che avevo di vederti come se fosse stato il nostro primo appuntamento.
Dopo stamattina ho capito che certi rapporti non si possono chiudere, certi rapporti non si possono dimenticare e certe ferite, per quanto noi possiamo provarci, non si chiuderanno mai.
Ho capito che l’amore per te non è mai svanito e mai svanirà.
Ho capito che tu sei sempre la persona giusta per me ma che stare insieme è difficile.
Sai mi sono mancati tantissimo i tuoi abbracci, la tua tenerezza, ma la cosa che più di tutte mi è mancata è stato quel senso di protezione che soltanto con te ho provato, con nessun altro è stato così.
Con te mi sento protetta, come se fossi dentro una bolla, come se nulla potesse ferirmi o toccarmi.
È una sensazione stranissima che non so neanche spiegarti bene, pensa cosa riesci a farmi provare.
Ho notato tutto stamattina, ho notato che avevi la maglietta che ti ho regalato a Natale e che al braccio hai ancora quel braccialetto che avevamo comprato insieme.
È assurdo il fatto che io sia completamente persa di te ma che allo stesso tempo io sappia che certe cose prima o poi devono finire.
Te lo sto dicendo con le lacrime agli occhi e il pensiero di te lontano da me è qualcosa che mi fa prendere davvero male.
La prima volta che ti ho visto non avrei mai immaginato che tu diventassi così importante.
Non lo avrei mai immaginato ma quel giorno non potevo fare cosa migliore di conoscerti.
Sei riuscito ad aggiustare tutto ciò che non andava in me, sei riuscito a farmi sentire perfetta, sei riuscito a curare ogni mia cicatrice, sei riuscito a farmi sognare, sei riuscito a farmi credere all’amore, sei riuscito ad abbattere un po’ la corazza che mi costruisco per non farmi ferire degli altri, ma soprattutto, sei riuscito a farmi capire che certe persone sono fatte per stare insieme ma non sempre le situazioni o la vita lo permettono.
Mi sembra stupido parlare così a 17 anni perché io tornerò ad amare qualcuno con tutta me stessa e anche tu lo farai ma quello che siamo stati non si cancella.
Sai, quando i miei figli mi chiederanno del mio primo amore io parlerò di te.
Parlerò di quel ragazzo che non si fa mettere i piedi in testa, quel ragazzo dall’aria dura che mi ha fatto amare di più me stessa e mi ha fatto provare cose che nessuno sarebbe stato in grado di farmi provare meglio.
Parlerò di te perché tu sarai sempre il mio primo amore e mai nessuno sarà come te.
In questo messaggio vorrei chiederti per l’ennesima volta di darmi del tempo.
Vorrei chiederti di pensare a stamattina , alle risate, ai nostri baci sulla guancia, al nostro amore che so che c’è e non è mai svanito.
Voglio che tu mi dia tempo per pensare a tutto, per pensare a quello che eravamo e a ciò che potremmo essere.
È che quando ti ho rivisto, mi è sembrato che nulla tra di noi fosse svanito, eppure non posso, non possiamo. Ritorneremo, lo so, lo sai, ma adesso, non siamo pronti.
Non siamo pronti perché siamo ancora troppo incasinati e io voglio provarci ad andare avanti.
Voglio tornare con te quando sarò pronto ad amare veramente con tutta me stessa una persona e mi dedicherò completamente a lei.
Voglio farti vedere una me ancora più presente.
Tu hai avuto il tuo tempo per pensare e un’occasione per dimenticarmi, ora voglio provarci anch’io.
Ora voglio provare pure io ad andare avanti e se non ce la farò vuol dire che io e te eravamo veramente qualcosa di unico che nessuno potrà mai sostituire.
Penso che non ci sia altro da aggiungere ma io sono sempre qua, sono sempre qua per te, sono sempre io, sono sempre la tua piccola.
Non hai idea quanto mi ha fatto star bene vederti stamattina ma è meglio che ognuno vada per la sua strada e sicuramente, pure tu lo sai, ci rincontreremo quando saremo più pronti e meno incasinati.
Lo so che sembra stupido e forse non dovrei dirlo ma io ancora ti amo, lo sento proprio.
Questa volta dobbiamo provare a far chiudere davvero
la cicatrice e so che mi farà male vederti con lei o con un’altra, so anche quanto ti incazzerai quando mi vedrai con tipo che non sei tu, ma per favore proviamoci.
Per una volta proviamo ad usare la testa invece che il cuore, visto che lo abbiamo sempre usato forse un po’ troppo.
Sicuramente non sono stata la tua prima volta come avresti voluto tu e al 99% tu non sarai la mia prima volta come avrei voluto io, ne abbiamo parlato anche stamattina.
Nonostante ciò penso che le prime volte non siano davvero quelle importanti, penso che le cose veramente importanti siano quelle fatte con la persona giusta e la persona giusta non deve essere per forza la prima ma può essere la seconda, la terza o l’ultima.
Mi sei mancato così tanto e vederti ha colmato il vuoto che avevo ma per una volta voglio provare ad andare avanti.
Scusami tanto, possiamo comunque vederci e provare ad essere amici anche se sarà difficile.
Ci sarò sempre per te e spero che anche tu ci sia per me.
Io non posso dimenticarli due anni della mia vita e non posso neanche dimenticare l’anno in cui non siamo stati insieme.
Non posso e non voglio dimenticare nulla che ti riguarda.
Sei la chiave del mio cuore e so che è sdolcinata come cosa e da me non te lo aspetteresti mai.
Ti amo ancora e probabilmente non smetterò mai.
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veronica-nardi · 4 years
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Memories of the Alhambra Commento
"Questa non mi ispira più di tanto, guardala pure senza di me."
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Ecco cosa ho detto a @dilebe06 qualche giorno fa quando mi ha presentato una lista di possibili drama da vedere insieme. Data un'occhiata alla trama di Memories of the Alhambra, ho deciso per qualche strano motivo che non ne ero attratta, quindi l'ho scartata.
NON L'AVESSI MAI FATTO.
Questo drama mi ha ricordato che a volte l'apparenza inganna, e che se una serie non mi ispira di primo acchito, non è detto che sia davvero brutta. Al contrario, se una serie all'inizio mi attrae, non sta scritto da nessuna parte che poi mi piaccia davvero (vedi My Country).
Quando quell'anima pia di @dilebe06 mi ha detto che questa serie la stava prendendo parecchio e che le stava piacendo molto, elogiandomi in particolar modo il protagonista, mi sono sentita stuzzicata e incuriosita, ho cominciato a guardarla e... boom, me la sono maratonata e ho raggiunto la mia compagna velocemente.
Memories of the Alhambra è una serie che si mangia, si divora con grande velocità grazie all'incredibile scorrevolezza con cui è raccontata la trama, ricca di suspence, misteri e colpi di scena.
E questo è, a mio parere, il grande punto di forza di questa serie: è tremendamente avvincente.
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Tutte le volte che finivo una puntata cliccavo subito sulla successiva perché "oh mio Dio devo sapere cosa succede", e se ogni episodio dura un'ora, a me sono sempre sembrati cinque minuti.
La seconda cosa che mi è piaciuta un sacco di questo drama è stato il protagonista. Il signor Yoo non è stato il classico protagonista buono, gentile e generoso, non è stato il classico bravo ragazzo o il classico eroe. Fin dalla prima puntata ci viene presentato come un bastardo che pur di raggiungere il suo obiettivo non si fa scrupoli ad ingannare una ragazza innocente. Io i personaggi così li AMO.
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Devo anche dire che non disprezzo il fatto che non sia diventato un santo a fine serie, e che abbia sempre mantenuto una certa dose di bastardaggine, ma ho gradito il cambiamento che lo porta a prendersi cura degli altri e a preoccuparsi per qualcuno che non sia solo se stesso.
Molto carina la storia d'amore tra lui e la signorina Jung, una relazione che sopratutto nella seconda metà della storia si basa molto sulla fiducia. Jung Hee-joo è molto importante per Yoo Jin-woo: lei è l'unica a credergli quando tutti lo credono pazzo, ed è anche una persona che sta al suo fianco e si preoccupa per lui in modo sincero e genuino, senza secondi fini e senza chiedere nulla in cambio. Da cinico e disilluso, grazie all'amore di lei e alle sue cure, Yoo Jin-woo riscopre la bellezza dell'amare di nuovo.
In particolare mi è piaciuto tantissimo il bacio sotto la pioggia (cliché dei cliché delle storie d'amore, ma stica**i, è stato bello), ma devo ammettere che la scena mi ha fatta preoccupare perché non ho potuto fare a meno di pensare al quiz di @dilebe06 che faremo a fine anno, e già mi trovo in difficoltà se penso alla categoria del Miglior Bacio.
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Comunque, vorrei un attimo fermarmi per sottolineare quanto siano BELLISSIMI i due protagonisti di questa serie, fisicamente parlando. Ho visto lui in Secret Garden (ruolo da dimenticare) e lei in You are beautiful, e cavolo, sono invecchiati davvero bene. Probabilmente finiranno tra gli attori più belli dell'anno.
Detto ciò, un'altra cosa che mi è piaciuta molto e che ho trovato molto figa, è stata la questione del gioco. Ma qui lo sottolineo: questa è stata anche la parte che mi ha fatto fare parecchie pippe mentali, ed è la parte di trama che presenta delle forzature e cose non spiegate benissimo.
A fine serie, ho avuto le risposte alle domande più importanti, ma non tutto è chiarito. La cosa buona è che le forzature vengono spazzate via piuttosto bene dalla trama avvincente, e l'avvertimento finale su come la tecnologia sia entrata nelle nostre vite a livelli surreali, regna sovrano.
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All'inizio, vedendo il protagonista giocare, ho pensato che questo gioco fosse molto figo e quanto mi sarebbe piaciuto cimentarmi anch'io, ma alla fine la serie ci fa chiaramente vedere come questo nuovo gioco super tecnologico crei non pochi problemi. Ma ammetto che il signor Cha e la musica della chitarra che segnava il suo arrivo (cosa che mi ha ricordato molto il suono inquietante dei tamburi di Jumanji), mi avevano già fatto passare la voglia di giocare a questo gioco.
Ho poi trovato molto interessanti le dinamiche tra il protagonista e gli altri personaggi: Cha e suo padre, e le due mogli. Tra questi quattro personaggi, nessuno fa una bella figura, e in realtà è una cosa interessante: mi piace il fatto come nessuno di loro sia un santo, e per esempio è perfettamente inutile che il professor Cha vada a fare la predica all'antipatica e infantile Ko Yoo-ra, quando lui stesso è freddo, falso e ipocrita.
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Tra parentesi, per il momento, il professor Cha si guadagna il premio di Personaggio più odiato in questo 2020. Non mi è piaciuto fin dalla prima volta che l'ho visto, è un uomo e un padre di mer*a, freddo, insensibile, egoista, disposto a ripudiare il proprio figlio, ad abbandonare e a colpire alle spalle Yoo Jin-woo per salvarsi la faccia, l'orgoglio, l'immagine e i profitti dell'azienda.
Mi è piaciuto molto come si è chiusa la storyline del professor Cha e di Ko Yoo-ra. Il karma torna sempre.
Tra i personaggi secondari, ho tre note particolari: la sorella adolescente di Hee-joo, una ragazzina molto alla mano che ho adorato per essere la Capitain Shipper della coppia protagonista, Seo Jung-hoon, il segretario di Yoo Jin-woo, personaggio più leale della serie che mi ha spezzato il cuore, e Jung Se-joo, un giovane ragazzo dalla mente geniale capace di creare un gioco mostruoso, un personaggio che mi ha fatto tenerezza per l'incubo che si ritrova a vivere (e qui c'è il parallelo con il protagonista, visto che entrambi finiscono nello stesso inferno).
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Menzione speciale per le suggestive scenografie (le ho davvero amate), la stupenda fotografia e i buoni effetti speciali.
Inoltre, Memories of the Alhambra è stata una serie un po' "diversa" dal solito, un ottimo mixer tra oriente e occidente, capace di raccontare una storia tra Spagna e Corea in modo eccellente.
Consigliata? Sì. Ottima serie da maratonarsi in un weekend e se si cerca una storia bella avvincente.
Voto: 8.5
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larrystylynson28 · 4 years
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Adore you (capitolo 1)
Il suono insistente e fastidioso della sveglia si fa strada tra i cuscini, fino a raggiungere il suo obbiettivo. Schiudo gli occhi e mi metto a sedere sul letto. Odio la scuola, no l'ho mai sopportata. Un pò a causa della mia negazione per lo studio, un po' per il cibo, un po' per i professori e un po' per le sedie ultra scomode su cui sono costretto a stare per cinque ore. Ma soprattutto odio la scuola per quello stronzo di Louis Tomlinson e dei suoi amici. Da quando ho messo piede in quella scuola, tre anni fa, non hanno fatto altro che causarmi problemi. Fortunatamente questo è l'ultimo anno che dovrò sopportarlo, poi se ne andrà al college e non lo rivedrò mai più. Sospiro, mi alzo dal letto ed apro le finestre. La luce del sole invade la stanza, illuminandola e riscaldandola. Vado in bagno e prima di entrare nella doccia mi guardo allo specchio: ho le occhiaie e i miei capelli sono fuori controllo. Alcune ciocche ricce mi cadono sulla fronte, ma non ci faccio caso, e dopo essermele scostate dalla fronte entro in doccia. L'acqua calda mi rilassa immediatamente e mi fornisce calma e tranquillità, elementi importanti per superare una giornata dentro quella scuola. Gli unici amici che sono riuscito a farmi in tre anni sono Liam e Niall. Loro sono fantastici. Sono i classici ragazzi che tutti vorrebbero come amici e che le madri vorrebbero per le proprie figlie. Sono educati, gentili, simpatici e sempre molto protettivi. A volte mi chiedo come farei senza di loro. Con questi pensieri esco dalla doccia e mi avvolgo un asciugamano intorno alla vita. Prendo il telefono e chiamo mamma, che al secondo squillo risponde con voce felice e squillante.
<Tesoro finalmente mi hai chiamata! Ero così in pensiero....non ti sei fatto sentire per tre giorni>
<Hai ragione, scusami. Sono stato impegnato e non ho trovato il momento di chiamare. Come sta Gemma?> chiedo cambiando argomento.
<Sta benissimo! Lei e Jake stanno organizzando tutti i preparativi per il matrimonio e sono così felici> sento che si sta per commuovere, quindi la saluto e dopo avermi detto tre volte di fila che gli manco si decide ad attaccare.
Ultimamente non l'ho chiamata molto e mi sento veramente in colpa. Ricordo che qualche settimana fa, quando ho annunciato che sarei andato a vivere da solo per seguire meglio le lezioni e non arrivare sempre tardi, mamma é scoppiata a piangere e non la smetteva più. Per mia fortuna Gemma é riuscita a calmarla e a farle capire che era la cosa migliore se non voleva che perdessi l'anno. Dopo aver indossato un paio di boxer neri, tiro fuori dall'armadio una t-shirt grigia e dei jeans neri attillati. Prima di uscire tento di sistemare invano i capelli. "Dovrei tagliarli" penso tra me e me, mentre chiudo a chiave la porta di casa. Essendo Settembre ancora fa molto caldo e molte ragazze sullo scuolabus indossano pantaloncini e mini gonne. Noto che una ragazza mi fissa e quando mi giro per guardarla distoglie lo sguardo imbarazzata. Quando arriviamo davanti scuola, o meglio inferno, mi catapulto da Liam e Niall, che sono appoggiati al muretto davanti all'entrata.
<Ciao ragazzi che fate?> chiedo avvicinandomi.
<Niall mi stava raccontando della ragazza con cui é uscito ieri>
<Non dovevi uscirci domani?> chiedo confuso.
<Si. Ieri lei é riuscita a staccare prima dal lavoro e siamo andati a cena insieme. É stato bello! É una ragazza molto intelligente e molto simpatica. Sono sicuro che se la conosceste ci diventereste amici>
Annuisco per circa venti minuti mentre Niall continua a raccontarci del suo, testuali parole "incredibile, magico, speciale e perfetto" appuntamento. Quando finisce di raccontare ha un sorriso idiota sulle labbra e Liam scoppia a ridere. Non avevo mai visto Niall così preso da una ragazza e sono felice che lei lo renda così spensierato. Il suono della campanella ci distrae, ma prima di riuscire ad entrare una voce profonda e fin troppo familiare ci blocca. Ci voltiamo e subito i mio occhi entrano i contato con quelli blu di Louis. La sua bocca si apre in un sorriso perfido e pian piano avanza verso di me. Sento una leggera stretta alla stomaco e non capisco per quale motivo. Forse ho solo paura che possa picchiarmi o deridermi davanti a tutta la scuola. Abbasso lo sguardo e inizio a percepire le mani sudate.
<Come va frocietto? Hai succhiato molto durante l'estate?> dice ridendo.
I suoi amici ridono sonoramente in coro con lui, fatte eccezione per il ragazzo dai capelli neri, gli occhi dorati e la pelle ambrata. Lui resta in silenzio e guarda, apparentemente privo di emozioni, Louis. Non so perché pensi che io sia gay, insomma mi piacciono le ragazze. Credo. No, anzi ne sono sicuro. In passato ho avuto alcune ragazze e anche se con nessuna di loro é successo qualcosa di eclatante qualche bacio ce lo siamo scambiato. Inizio ad avvertire il peso degli occhi di Louis ne miei e distolgo lo sguardo mordendomi il labbro inferiore. Se possibile il suo sorriso perfido si allarga ancora di più. Si ferma a pochi centimetri da me e ridendo dice <oggi sei fortunato. Non ho voglia di farti niente, solo...evita di guardarmi in modo innamorato per i corridoi, oppure penseranno che anche io sia un finocchio> e se ne va con i suoi amici. Resto immobile qualche secondo, a fare dei respiri profondi e a calmarmi un pò. La strana sensazione alla bocca dello stomaco se n'é andata, così come il groppo in gola. Odio l'effetto che mi fa tutte le volte. Quando mi guarda con quegli occhi blu cielo non riesco più a parlare.È come se le parole mi morissero in gola.
<Harry dobbiamo entrare. Alla professoressa di matematica non piace attendere> dice Niall interrompendo i miei pensieri.
Annuisco e li seguo dentro l'edificio che odio di più al mondo. Raggiungiamo l'aula di matematica e la professoressa ci guarda storto mentre prendiamo posto. Liam e Niall si sono seduti insieme davanti a me. Io invece mi siedo accanto una ragazza con i capelli neri e gi occhi marroni. Noto che é arrossita e subito la riconosco: é la ragazza che mi fissava sullo scuolabus. Sembra molto tesa e spero che non sia a causa mia. Non mi piace fare questo effetto alle persone, specialmente se non le conosco. Le rivolgo un sorriso cordiale e lei arrossisce ancora di più. La professoressa si schiarisce la voce e tutti le prestiamo attenzione.
<Prima di cominciare con la lezione, vorrei informavi che al nostro corso si é aggiunta una ragazza, che sono sicura si voglia presentare>
La ragazza accanto a me si agita sulla sedia. Guarda in tutte le direzioni e fa un respiro profondo prima di alzarsi e presentarsi <sono Kendall Jenner e mi sono trasferita qui qualche giorno fa. Non c'é molto da sapere su di me> esita un momento e poi con garbo si risiede. Sembra una ragazza molto timida ed educata, niente a che vedere con le ragazze che ci sono qui a scuola.
<Bene Kendall, sono sicura che ti farei molti amici, partendo dal signor Styles. Ora é meglio se non mi perdo in chicchere e inizio la lezione> dice in un sospiro.
La lezione sembra non finire più e quando finalmente suono la campanella l'aula si vuota in pochi secondi. Kendall raccimola tutte le sue cose e fa per uscire, ma la chiamo per fermarla. É una ragazza molta timida, e non conosce nessuno. Con Eleanor e le sue amiche non durerà a lungo. Mi rivolge un sorriso timido e quando i nostri occhi si incontrano abbassa lo sguardo. Sorrido e le faccio cenno di seguirmi.
<Come mai ti sei trasferita a Londra?> chiedo spezzando il silenzio.
<Mio padre ha accettato il trasferimento che gli hanno offerto a lavoro, e siamo passati da New York a Londra con due settimane di preavviso>
<Ti piace qui?>
Scuote la testa, ma quando si ricorda di aver detto a un londinese che Londra non le piace si scusa e arrossisce. È molto carina nei modi di fare e la trovo una cosa molto intrigante. Le ragazze con cui sono uscito in passato erano molto sfacciate e questa cosa mi metteva molto in soggezione. Mentre penso a quanto sia gentile mi ricordo di non essermi ancora presentato.
<Comunque io sono Harry. Harry Styles>
Allungo la mano con un sorriso e lei la stringe ricambiandolo. L'accompagno all'armadietto, poco distante dal mio, e aspetto mentre prende i libri per la lezione successiva. Man mano che ci parlo noto che si rilassa, fin quando non é completamente tranquilla. Scopro che frequentiamo gli stessi corsi perciò andiamo insieme verso l'aula di letteratura e ci sediamo vicini. Le ore corrono ed io e Kendall parliamo ogni volta che ne abbiamo l'occasione. A pranzo si é seduta con me e i ragazzi e subito ci ha fatto amicizia. Fortunatamente Louis non mi ha calcolato, tralasciando qualche occhiataccia, e Eleanor non sembra essere infastidita dalla presenza di Kendall. Al termine delle lezioni suo padre la viene a prendere, e quando rimango solo con gli altri loro mi scompigliano i capelli e mi danno delle pacche sulle spalle.
<É carina Harry. Hai fatto bene a mettere gli occhi su di lei> constata Liam con un sorriso.
Niall non si esprime più di tanto, si limita a dire che é molto gentile e simpatica, e subito dopo chiama la sua ragazza. Credo che si stia innamorando e sono molto contento per lui. Faccio per parlare a Liam, ma quando vedo che fissa una ragazza in lontananza chiudo la bocca. La ragazza in questione é molto carina: ha dei capelli molto lunghi color nocciola, gli occhi azzurri ed é leggermente più bassa di lui. La ragazza vien verso di noi e si ferma davanti a Liam, ignorando totalmente me e Niall.
<Ciao. Andiamo?>
Liam annuisce e prima di andarsene ci guarda. Io e Niall restiamo scioccati a fissare la scena. Non ne avevo idea che Liam stesse uscendo con una ragazza. Stamattina e pochi minuti fa, quando abbiamo parlato di ragazze non ci ha detto niente.
<Ne sapevi qualcosa?> chiedo confuso.
<Assolutamente no. Comunque ora devo andare. Ci vediamo domani>
Ci salutiamo e poi sparisce in mezzo alla folla. Mi avvicino alla fermata dello scuolabus e quando vedo Louis seduto ad aspettarlo sono quasi tentato di camminare quattro isolati a piedi. Faccio un respiro profondo, cercando tutto il coraggio possibile. Torna sempre con i suoi amici o con la sua macchina, perché oggi deve prendere lo scuolabus? Quando mi vede sento subito il peso del suo sguardo su di me, e non posso fare a meno di guardarlo. Sento che il cuore batte all'impazzata e il respiro si fa irregolare. Odio l'effetto che mi fa. Si sposta una ciocca di capelli castani dalla fronte e poi si alza. Spero che chiami un taxi o che qualcuno lo sia venuto a prendere, invece viene verso di me. Inizio a torturarmi le unghie e mordo il labbro inferiore.
<Styles sei diventato etero? Stamattina ti ho visto con la ragazza nuova. Non pensavo fosse il tuo tipo. Pensavo che il tuo tipo fosse un ragazzo>
Senza rifletterci rispondo, con il tono di voce più sicuro di quanto non lo sia in realtà <pensavi male. Forse sei così fissato con il fatto che io si gay perché in verità è a te che piacciono i ragazzi>
Non faccio in tempo a finire di parlare. In pochi secondi mi ritrovo con un labbro spaccato e il sangue che esce dal naso. Intorno a noi si é riunito un gruppo di persone che guardano impauriti Louis. A lui non sembra importare molto, dato che continua a fissarmi in cagnesco. <Oggi avevo deciso di lasciarti in pace, ma a quanto pare te le cerchi. Forse ti piace essere picchiato> dice con disprezzo. Se ne va senza aggiungere altro. Immediatamente il gruppo che prima si era creato intorno a noi si dissolve e sale sullo scuolabus. Faccio cenno all'autista di aspettare a partire e fortunatamente lo fa, beccandosi qualche imprecazione dai ragazzi seduti nei sedili posteriori.
Quando arrivo a casa metto il ghiaccio sul naso e accendo la tv. Faccio zapping, ma nessun programma mi interessa particolarmente. Prendo il telefono e cerco Kendall su Instagram, che rintraccio al primo tentativo. Le scrivo un messaggio, e la sua risposta non tarda ad arrivare. Continuiamo a scriverci per il resto del pomeriggio e ci organizziamo per uscire l'indomani. Guardo l'orologio appeso alla parete e spalanco gli occhi per la sorpresa: è ora di cena. Mi alzo e vado in cucina, apro il frigo e impreco ad alta voce. Il frigorifero è vuoto ed io sto morendo di fame. A pranzo ho mangiato il riso e non ho toccato cibo per tutto il pomeriggio. Decido di ordinare una pizza e per ingannare l'attesa riordino il salone. Quando finalmente arriva la pizza sono veramente affamato, perciò la finisco molto in fretta. La sera corre velocemente e verso le undici vado a dormire. Mentre tento di addormentarmi la mia testa viene invasa da due occhi blu. Per quale motivo sto pensando a quello stronzo di Tomlinson? Non fa altro che deridermi e prendermi a pugni, eppure non riesco a fare a meno di pensarlo. Sono tre anni che mi tortura però é come se lo facesse per un secondo fine e non perché gli sto antipatico. Vorrei entrare nella sua testa e scoprire cosa pensa. La cosa più frustante di questa situazione é che non so per quale motivo mi interessi tanto sapere cosa gli passi per la testa. "Forse perché ti piace" aggiunge la vocina nella mia testa. Scaccio quel pensiero, chiedendomi se non sia veramente così. In pochi minuti cado tra le braccia di Morfeo.
Sento la sua mano toccarmi i fianchi, poi la pancia e poi spostarsi in mezzo alle mie gambe. Tento di respingerlo ma é inutile. É più grande e più forte di me. Mentre mi sfila con violenza la tuta mi bacia. Con tutte le mie forze provo a impedirgli l'accesso alla mia bocca, ma quando mi da un pizzico sul fianco faccio un verso di dolore, e schiudo le labbra tanto basta per lasciarlo impadronirsi della mia bocca. Sfila i miei boxer e tenendomi fermi i polsi inizia a baciarmi il collo, scendendo sempre di più. <No, lasciami! Per favore aiuto!>
Apro gli occhi di scatto e qualche istante dopo capisco che era solo un'incubo. Sono completamente sudato e alcuni ricci ribelli sono appiccicati alla fronte. Tiro un sospiro di sollievo e affondo la testa nel cuscino. Era qualche giorno che non avevo più incubi e pensavo che stessero passando, ma a quanto pare non é così. Mi alzo e vado a farmi una doccia che dura più del necessario. Indosso una tuta ed esco di casa. Lo scuolabus passa tra più di mezz'ora, quindi decido di prendere l'autobus. Odio dormire male e se c'é una cosa che odio ancora di più sono i miei stupidi incubi. Arrivo a scuola circa un'ora prima e mi dirigo in caffetteria. Prendo un caffè doppio e lo bevo per i corridoi isolati e silenziosi. Camminando verso l'armadietto non incontro nessuno, e quando il telefono mi vibra in tasca lo tiro fuori. Sul display appare il nome di Liam, ma prima che possa rispondere vado addosso ad una persona, e tutto il caffè si deposita sulla mia maglietta. Impreco sottovoce e quando alzo gli occhi mi manca il respiro. Davanti a me c'é Louis, con un sorriso divertito e gli occhi che vegano su tutto il mio corpo. Sento le guance andarmi a fuoco e il respiro diventare più irregolare. Faccio per alzarmi e lui mi coglie totalmente alla sprovvista: mi afferra la mano e con forza mi tira in piedi. Per un momento rischio di inciampargli addosso però riesco a mantenere l'equilibrio e prendo le distanze. Louis continua ad avvicinarsi ed io continuo ad indietreggiare, finché non finisco con le spalle appoggiate agli armadietti. Lui si fa sempre più vicino, fino ad arrivare a pochi centimetri dal mio viso. Sento le guance andarmi in fiamme, le gambe molli e una stretta allo stomaco. Il cuore batte all'impazzata, talmente forte che sono sicuro se ne sia accorto. Sulla sue labbra rosse e sottili spunta un sorriso, privo di divertimento o cattiveria. Solamente un sorriso.
<Ricciolino...cosa ci fai a scuola così presto?> chiede in un sussurro.
<N-non l-lo so. M-mi sono svegliato p-presto e ho preso l'autobus> mento. Ho la voce incrinata e credo sia molto stridula. Ho fatto una fatica immensa per rispondergli. É come se mi si fosse chiusa la gola.
<Mmm, capisco> alza la mano e con delicatezza insolita sposta un riccio che mi ricade sulla fronte. Da un momento all'altro potrebbe venire qualcuno, vederci così vicini e pensare male. Vorrei spostarlo, anzi no, non vorrei farlo, però vorrei quantomeno riprendere a respirare. I suoi occhi non mollano nemmeno un'istante i miei ed io mi mordo il labbro.
<Mi dispiace per la tua maglietta. Se vuoi te ne presto una io> dice allontanandosi da me.
Annuisco e lui si distacca immediatamente. Finalmente sento l'aria tornare a scorrere nei polmoni. Non posso credere che Louis Tomlinson si stia comportando amichevolmente con me. Lo seguo restando in silenzio. In bagno lui mi porge una maglietta, che prendo e sostituisco con quella sporca. Per tutto il tempo, mentre indossavo la maglietta, ho percepito il suo sguardo attento su di me. É stato sia imbarazzante che eccitante. Non so perché mi piaccia tanto avere i suoi occhi su di me, e non mi interessa scoprirlo. Forse é vero, un pò mi piace. Ma qual é il problema? Molte persone sono attratte da persone dello stesso e del sesso opposto. Forse mi piace sia Louis che Kendall, e mi va bene così.
<Ehy ricciolino mi hai sentito?> chiede, interrompendo i miei pensieri.
Scuoto la testa e lui sbuffa. <La maglietta puoi anche tenerla, non devi ridarmela>
Annuisco e sorrido. Lui ricambia il sorriso e senza aggiungere altro esce dal bagno e mi lascia da solo, con mille pensieri e domande che mi frullano per la testa.
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moon-cold · 4 years
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Volevo avvertirti che non troverai nulla da amare in me. Se disgraziatamente dovessi innamorarti di me, ti innamorerai di mille paranoie e ancora più paure, del disordine in camera, delle collezioni di tazze e burro cacao, dei libri sparsi nella libreria, della cioccolata nei pomeriggi d'inverno, della granita alla menta, dell'acqua calda con lo zucchero prima di dormire e dei maglioni. Ti innamorerai dei pianti improvvisi, degli occhi lucidi e delle lacrime silenziose, delle parole che non ti dirò per paura di ferirti e di quelle che dirò per difendermi anche se sarò consapevole di ferirti. Ti innamorerai di una ragazza che prende il tè classico, che si innervosisce quando tiene i capelli sciolti, che guarda sempre le mostre in programma pensando che non deve proprio perdersele e che invece perde per mille ragioni non valide. Ti innamorerai di una che a volte se ne sta in silenzio, che risponderà “niente” al tuo “che hai?” e “no” al tuo “qualcosa non va?” e che farà fatica a raccontarti i pensieri tristi, di una che si imbarazza a dire le cose importanti, di una che se viene ferita si chiude subito a riccio, e non torna mai com'era prima. Ti innamorerai di una che all'apparenza sembra un angelo e che quando si arrabbia non fa scenate, ma che con due parole ti impedisce di ribattere; di una con cui farai fatica a discutere, perché avrà sempre un po’ paura a dirti che hai sbagliato tu. Ti innamorerai dei messaggi a tarda notte e delle felpe sempre in borsa, dei cerchietti in estate e delle camicette, di una che si annoia a fare shopping ma che potrebbe stare ore in libreria, di una che anche se è gelosa non ti impedirà di vedere altre persone, di innamorarti di altre persone, di una ragazza che sa che al mondo ce ne sono milioni migliori di lei e che non si stupirebbe se un giorno tu le dicessi “mi sono innamorato di un'altra”, di una che al massimo, piangendo, ti direbbe “sì, e fai pure bene, spero sarete felici insieme”.Ti innamorerai di una che non ha mai sognato la fiaba e che davanti alle smancerie storce un po’ il naso, di una che odia stare al centro dell'attenzione e che quando cammina per mano con te si sente felice ma fuori contesto. Ti innamorerai di una che non ha paura di stare da sola, di una che sa sempre come cavarsela, e se questo significa piangere un po’ di notte va bene lo stesso, perché tanto l'importante è riprovare a sorridere il mattino successivo. Ti innamorerai di una che non vuole le tue cure, non perché non le piacciano, ma perché non sa gestirle, che al tuo “ci penso io a te” inizierà a scalciare e a mandarti via perché non sa come si fa a lasciare spazio a un'altra persona. Ti innamorerai di una che alle storie d'amore nei libri non ci crede neanche un po’ ma che si commuove a leggerle, di una che si sentirà forte e sicura di sé fino a quando non la stringerai. Ti innamorerai di una ragazza che si sentirà vulnerabile nei tuoi abbracci, che non sempre includerà te nei suoi sogni, che a volte sarà distante e che non saprai come raggiungere.Ti innamorerai di una ragazza che ti amerà ma che non sempre saprà dirtelo, di una che ti allontana quando le fai del male per poi venirti a riprendere perché sì, sa stare senza di te ma non vuole stare senza di te. Davvero ti innamorerai di una ragazza che non avrà nulla di speciale per cui essere amata. Ma devi anche sapere che ti innamorerai di una ragazza che forse non saprà dirti “ti amo” ma che ti amerà così tanto da far crollare le sue paure e le sue incertezze per te, di una che non sa come si faccia a farsi amare ma che forse, per te, sarebbe disposta a imparare a permetterlo.
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unrelletable · 5 years
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Come ogni altro scrittore, sono considerato un essere umano particolarmente sensibile - e a ragione: la sensibilità è una caratteristica inalienabile di chi fa un lavoro creativo. Scrivo anche per il cinema, insieme a registi e altri sceneggiatori, e una delle qualità principali che bisogna avere in questo lavoro è la facilità a stare insieme agli altri, a starci bene. L’animale che mi porto dentro vive con una persona che fa spesso simpatia, che è allegra, che sa stare in gruppo, sa chiacchierare durante una cena, è comprensiva, è curiosa, sa entrare subito in intimità, perché vuole sapere quali sono i nodi e i pensieri importanti degli altri. L’animale vive dentro una persona che ha molti amici, che la notte non riesce ad addormentarsi se si è scordato di richiamare qualcuno, che sa ascoltare i problemi e cercare una soluzione, che ha cercato di aiutare, per quanto possibile, le persone di talento, sentendolo un compito. C’è però un lato del mio carattere che è nascosto, e che conoscono solo le persone più intime dopo tanto tempo che le frequento (e non tutte). Ma non è nascosto per volontà - non sono io che lo nascondo; è che, evidentemente, viene fuori soltanto alla lunga e in circostanze molto intime o, appunto, di stress consumato in privato; e quindi lo vedono i familiari, gli amici più stretti, le persone con cui lavoro ogni giorno per anni. L’animale che mi porto dentro e che molti non conoscono è uno che vuole continuamente fare a botte, che ai semafori si incazza se qualcuno gli suona il clacson, o gli taglia la strada, ma si incazza nel senso che insulta, ha voglia di litigare, dà cazzotti contro i finestrini e dice: scendi che t’ammazzo. È violento, sbatte il telefono in faccia, urla a due centimetri dalle persone, è arrogante, vuole che le cose vadano come dice lui, che le persone gli chiedano scusa, stinge le mandibole, digrigna i denti, chiude i pugni, per dire: ora t’ammazzo, anche se sa che non bisogna farlo, e neanche dirlo. Questo animale mi fa essere cupo, nervoso; una persona che gli altri giudicano simpatica è anche la stessa persona che, per giorni, può non dire una parola, sta zitto e se qualcuno gli chiede: cos’hai?, lo manda a fanculo. Ma poiché questa cosa, per pudore e per abitudine, si esprime soltanto nell’intimità, è invisibile a molti (fino a quando non succede qualcosa); e ogni volta che qualcuno vi assiste per la prima volta - o la subisce - ne è molto stupito, perché non se l’aspettava. (Nessuno, tranne quell’arbitro, sa che in quella partita in cui sono stato così bravo, la prima cosa che ho fatto è stata sputare in faccia all’avversario. Quindi tutti ricordano solo la concentrazione, la freddezza nei canestri decisivi, l’incoraggiamento ai compagni, la grinta agonistica; ma non sanno che tutto questo era stato preceduto da un gesto sconsiderato, e che quello che ho fatto dopo avrei potuto non farlo - avrei dovuto non farlo, perché dovevano espellermi dopo un minuto). Questa specie di tempesta sta dentro la mia persona che invece ha costruito la sua vita sulla base del saper stare al mondo, ma in realtà non sa stare al mondo o ci sa stare in maniera burrascosa e se la tengo sotto, compressa, non è per assecondarla, ma perché vorrei averla uccisa come speravo da ragazzo. Per tutta la vita ho provato ad uccidere l’animale, ho pensato di averlo finalmente ucciso, e poi mi sono reso conto che veniva fuori da tutte le parti. E poiché ho cercato, se non di ammazzarlo, di chiuderlo a chiave per sempre dentro di me, quando emerge non viene semplicemente fuori, ma esplode. Dall’espressione contorta della mia faccia, dal suono della mia voce esplode un’irascibilità, un’incazzatura, un’incapacità di discutere senza usare toni violenti, senza mettermi ad urlare, che è incontrollabile, impossibile da fermare. Se qualcuno mi fa un torto, non perdono. Se qualcuno fa un errore, lo paga, eppure non c’è niente in me che faccia pensare alla spietatezza; e invece sono così. Molte persone sul lavoro si trovano all’improvviso di fronte alla brutalità, se so ho ragione la brutalità diventa spietata, netta, spiego con precisione i torti ricevuti e anche se mi chiedono scusa insisto, e dico: non si può fare così, non si può agire così e quindi le conseguenze saranno queste. Non arretro di un millimetro anche se so di ferire le persone che si sono accorte di aver sbagliato e mi chiedono scusa; le umilio ancora di più. Tutto questo succede con maggiore nettezza non quando ho ragione, ma quando ho torto. Quando ho fatto qualcosa di sbagliato, la mia reazione è ancora più violenta: con l’incazzatura, con l’arroganza, voglio combattere la ragione degli altri, voglio sconfiggere le persone che mi stanno dicendo qualcosa che non mi piace, col fatto che sono più forte di loro, spesso anche dialetticamente, ma soprattutto perché urlo, vicinissimo, le minaccio, alzo la mano e dico ti ammazzo e poi mi giro dall’altra parte e do un calcio alla sedia e la faccio volare. Tutto ciò fa in modo che le mie ragioni vengano imposte grazie al timore della mia reazione. I miei figli mi considerano affidabile, comprensivo e perfino un ottimo padre, ma sono proprio loro ad aver subito alcuni episodi di violenza. Devo dire che qualche volta, quando era bambina, ho anche picchiato mia figlia, e mi ricordo una volta, che lei non dimentica più perché non era piccolissima, per un’incazzatura l’ho trascinata in camera sua per i capelli. Ma non è la violenza fisica il tratto caratteristico dell’animale, perché la violenza fisica col tempo ho imparato a trattenerla, so che non posso usarla, ma non usarla mi fa tirare fuori una violenza psicologica, verbale e gestuale,e una rabbia repressa che finisce per rivolgersi ad altro per sfogarsi; quindi non verso le persone, ma verso oggetti, mobili, pareti. Le mie case sono segnate da calci alle porte, cazzotti contro i mobili, muri sfregiati dalle cose che ho tirato; ho buttato a terra librerie intere, ho lanciato piatti e telefoni contro le pareti. A un certo punto divento una belva che fa paura, faccio paura a mia moglie, ai miei figli (...). E poiché ancora conservo un barlume di consapevolezza, pur minacciando di ammazzare, mi accanisco su qualcosa di inanimato: Nella mia vita ho rotto televisori, specchi, piatti, telefoni, ho strappato vestiti, ho dato calci o pugni contro pareti o letti o mobili. Non tanto mio figlio, perché essendo piccolo la violenza l’ha subita parzialmente, ma mia figlia l’ha subita tantissimo per tutta la vita. L’ha subita mia moglie. Anche alcuni amici a cui sono legato da anni hanno subito questa violenza e sanno che discutere con me porta uno spavento perché voglio avere ragione e se non ho ragione mi incazzo, sono violento, minaccioso. Una volta, eravamo per strada, mia moglie era incinta e litigavamo e io ho cominciato ad urlare e lei voleva andare via per l’imbarazzo (però lei vuole sempre andare via, comunque, anche nei giorni di serenità), la trattenevo per un braccio e a quel punto ha chiesto aiuto a dei passanti - non perché le avessi fatto male, anche se dicevo aspetta, parliamo, fammi finire, e la tiravo; ma perché aveva paura di me. Tante volta mia moglie e mia figlia si alleano perché hanno paura di me. Tanta paura. La vedo nei loro occhi, mi fa tenerezza, ma fa tenerezza solo a una parte di me, quella che loro sperano ritornerà presto a prevalere. Ma intanto l’animale non riesce a fermarsi, non riesce a non aggredire quella paura, a fare ancora più paura. Hanno paura di me come le donne hanno paura degli uomini che le picchiano senza fermarsi. Hanno paura di me con le proporzioni di chi non ha subito una violenza fisica, ma è sempre sul punto di riceverla. E fanno bene: perché la mia incapacità di controllo, l’idea di far paura, mi dà un’euforia di cui poi mi pento, mi vergogno, ma che sul momento mi fa diventare potente, mi sembra di poter schiacciare gli altri, le loro ragioni e le loro forze e distruggere qualsiasi cosa. E soprattutto sento che la loro paura le rende debolissime e io mi sento fortissimo e capace di ottenere tutto ciò che voglio, di far andare le cose come voglio che vadano. Ecco, quella paura che vedo negli occhi degli altri, senza che io ci pensi perché in quel momento non penso a niente, mi dà un senso di euforia spaventoso ma che però costituisce la parte più intima di me, proprio perché l’animale è ficcato dentro e non esce mai e cerco di tenerlo a bada, e quando esce esplode, e chi lo vede si spaventa.; e si spaventa di più perché sta dentro un uomo che non ha le caratteristiche esteriori dell’animale. Infatti una delle ragioni per cui fa paura è che quando scompare, sembra non possa riapparire più. In seguito il mio modo di stare al mondo fa dimenticare l’animale, e ogni volta si può avere la speranza che sia morto, sia stato abbandonato per sempre. E invece ritorna. Sempre. E quindi, alla fine, l’unica maniera per averci a che fare, per me, è conviverci.
Francesco Piccolo, “L’animale che mi porto dentro”
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rememberandfightoff · 5 years
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Troppo tardi
Sarà ma da quando ti ho conosciuto ho sempre pensato che ci fosse di più della semplice amicizia,si eri più piccolo,ma forse era la tua mentalità e la tua maturità ad affascinarmi.Fin da subito ho sentito l'esigenza di parlarti di tutto,mi hai sempre capito e stare accanto a te,a fumare una sigaretta,a giocare a carte o semplicemente stare in silenzio,mi ha sempre dato una pace interiore.Siamo stati in bilico così,fino alla sera in cui per sbaglio mentre ci salutavamo le nostre labbra si sono sfiorate,l'abbiamo presa sul ridere ovviamente,può succedere mi sono detta,ma lì tutto ha cominciato a incrinarsi.Il giorno in cui mi hai scritto ti giuro mi hai sorpresa,di solito ero io a scriverti all'inizio dell'estate per sapere quando ci saremo potuti rivedere,e nonostante mancava una settimana hai voluto vedermi subito.Ricordo ancora quei momenti,la sigaretta che ci siamo fumati fuori dalla metro,quando abbiamo chiacchierato in autobus,la spesa che abbiamo fatto insieme.Siamo andati a casa tua,abbiamo parlato,mi hai mostrato la tua stanza,abbiamo scelto un film,abbiamo cominciato a preparare il pranzo e poi ci siamo accomodati sul divano.Sapevamo entrambi che sarebbe cambiato tutto,sapevamo che mentre ci stringevamo le mani qualcosa si stava per spezzare,non ce ne siamo curati per niente,non abbiamo pensato a come sarebbe andata a finire nemmeno quando ci siamo accoccolati con io appoggiata sul tuo busto e tu che mi baciavi i capelli.Il tuo fiato vicino alle mie labbra quando hai provato a baciarmi la prima volta lo sento ancora quando ti penso,ricordo come alla seconda volta ci siamo lasciati andare a quel bacio appassionato.Ma avevamo detto di finirla lì,ero troppo incasinata,non volevo trascinarti in qualcosa in cui non meritavi di entrarci,eri più piccolo di me,e se la cosa sarebbe andata oltre non avrei voluto vederti rinunciare a cose che ancora ti aspettavano per viverle.Abbiamo spento la tv,abbiamo preso la metro e poi ognuno per la sua strada,ci eravamo accordati che tra noi continuava ad andare tutto nel verso giusto.E poi è iniziato l'imbarazzo da parte mia iniziale,poi abbiamo ripreso a scherzare,a parlare e a giocare a carte,e quel giorno abbiamo fatto dei passi indietro.Ed eccoci a fare il bagno insieme dove alla fine ci siamo baciati nuovamente,ancora mi ricordo la tua pelle bagnata e salata,e di come mi sono sentita così immersa nei tuoi occhi quel giorno mentre ci guardavamo abbracciati.Qualche volta ripenso ai tuoi occhi verdi sai e di come ti sono stata tanto vicino per ammirarli.Dopo tutti quegli sguardi nascosti,le battutine e le risate i miei casini sono tornati a bussare alla porta.Ci siamo allontanati poco a poco,senza la possibilità di impedirlo.Forse il nostro momento è arrivato tardi,forse era inevitabile dal primo momento che sarebbe sbocciato qualcosa,forse non abbiamo mai avuto il coraggio di seguire il filo invisibile che ci univa.Un anno dopo quella frana nel nostro rapporto ci siamo ritrovati a scambiarci qualche chiacchiera,ci salutavamo quando le nostre strade si incrociavano.E mi mancavi,anzi continui a mancarmi,perchè infondo a te mi sono sempre sentita legata in modo particolare.La settimana scorsa ho preso coraggio e ti ho scritto per farti gli auguri,abbiamo parlato di cose importanti,mi hai detto dei tuoi progetti,mi hai chiesto di come stava mia figlia,di come andava la mia vita e infine mentre parlavamo della mia situazione tu mi hai detto dei problemi dei tuoi,come io anni fa avevo fatto lo stesso con te.Ti giuro che lì ho sentito che forse le nostre strade riusciranno a rincontrasi nuovamente,forse è solo una mia illusione,ma spero in me stessa che un giorno ci ritroveremo lì ad ammirare il mare fumando una sigaretta,a parlare e a giocare a carte.Perché ti giuro che la tua mancanza e quello che facevamo si sente,e fa male,fa male perché noi eravamo diversi nel nostro modo,ma uniti da qualcosa che non potevamo controllare,mi piace pensarla così,come se ci fosse il destino a tenerci sempre così vicini e così lontani.
-rememberandfightoff
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Capitolo IV
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Quando sono a casa di qualcuno che non conosco finisco sempre per studiare l’arredamento invece di cercare di forzare conversazioni faticose con la gente che respira la mia stessa aria.
Trovandomi nell’appartamento di Vincenzo, un ragazzo meridionale che conosco giusto di nome, il mio forte interesse nel dipinto di un gatto siamese particolarmente strabico è giustificato.
E’ la prima volta che vedo Sami in difficoltà nel farsi notare, ma nel complesso riesce a non far trasparire il suo desiderio di sfamare la voce egocentrica dentro il suo cervello: sta sfoderando un sorriso molto plastificato, ha un modo timido di bere il Martini che tiene tra le mani. Seduto al mio fianco sul divanetto rosso del salotto, cerca di introdursi nelle battute che gli altri ragazzi stanno recitando in questo teatrino meccanico, artificiale e, detto senza troppi peli sulla lingua, molto triste. Sami sta battendo il piede sul pavimento ininterrottamente, come se avesse un tic, e guarda il resto dei giovani di Zaricci con una frenesia che collegherei a un eroinomane in crisi di astinenza.
Vuole parlare con loro. E, probabilmente, vuole essere loro.
Vincenzo non mi toglie gli occhi di dosso, ma il gatto brutto e bidimensionale che mi ritrovo difronte è la perfetta via di fuga per non incrociare lo sguardo del proprietario dell’appartamento.
Non sono così scocciato. Alla fine sto bevendo gratis, non è neanche ora di pranzo e Sami sembra meravigliato da questa compagnia che, in realtà, penso stia solo insistendo nell’intimorirci sbattendoci violentemente in faccia quanto sia privilegiata rispetto a noi, la coppietta di falliti dal piccolo, inutile paesino.
Non ho la minima idea di come un ragazzo di Cordello come Sami possa aver fatto amicizia con i ricconi di Zaricci, né come è possibile che abbia accettato di portarmi da uno di loro senza neanche darmi la possibilità di rifiutare senza sembrare un maleducato cronico. Sa benissimo quanto ci tenessi a questa gita fuori porta, spero per lui che non intenda sbronzarsi pesantemente ed eviti di includere questo gruppo di persone nella mia giornata speciale.
“Tra quanto ce ne andiamo?” gli chiedo, picchiettandogli sul braccio dopo aver appoggiato la mia bottiglia di birra sul parquet.
“Che fretta hai?” mi chiede a sua volta, ridendo. Sembra quasi infastidito dal mio rivolgergli parola.
“Probabilmente il tuo amichetto si sta annoiando.”
Subito dopo aver mormorato quella verità a mezza bocca, Vincenzo si alza, probabilmente ignorando il fatto che stavo cercando di rendere la situazione il meno imbarazzante possibile. La voce di Vincenzo rimbomba nella mia testa, è un suono incredibilmente caldo e oscuro allo stesso tempo.
“Come biasimarlo…” aggiunge, accendendosi la sigaretta che pendeva spenta tra le sue labbra da troppo tempo. La fiamma dell’accendino sembra aver incenerito parte dei suoi baffi, pronunciati da due labbra gigantesche e marroncine.
Sami mi guarda con gli occhi fuori dalle orbite, come se dalle pupille potesse uscire dell’acido pronto a sfigurarmi.
La stanza si ammutolisce, mentre un’orda di sbirciate segue i movimenti armonici di Vincenzo verso il suo zaino nero, ai piedi di un appendiabiti bianco.
“Bene, amico mio” dice, guardandomi con una Red Bull vuota in mano: “è il momento di farti conoscere la Sacra Lattina.”
Lo guardo storto, mentre tutti, compreso Sami, si esaltano urlanti come un branco di scimmie.
“E’ obbligo e verità, in pratica. Solo che la persona che capita al primo giro viene sottoposta alle domande di tutti gli altri partecipanti, una dopo l’altra.”
“E se volessi scegliere obbligo?” chiedo, ridendo. Vincenzo sorride.
Più parla, più attira la mia attenzione. Più vedo quanto la gente si aggrappi alle sue gambe per ammirarlo meglio, più sento il desiderio di piacergli. E’ il Gesù di Nazareth del ventunesimo secolo, e se prima era lui a guardarmi ininterrottamente, ora sono io a ritrovarmi interessato a capire di più cosa sia così singolare nella sua persona.
“Beh, tu vuoi andartene, no?” mi risponde, con una calma quasi inquietante. Si butta di nuovo sulla poltrona sotto il ritratto del gatto siamese.
“Vince, non era ser-” cerca di intervenire Sami.
“Se rispondi onestamente a tutte le domande, quindi, ti lasciamo andare.”
Il modo in cui ha interrotto il mio ragazzo mi infastidisce, così come il suo modo mafioso di gestire questa situazione. Parte di me è ancora intrigata, ma dall’altra mi sento come se stessi avendo a che fare coi bulletti dodicenni del parchetto abbandonato dietro casa mia.
“Ma se fate solo a me le domande che senso ha usare la lattina?”
Vincenzo rimane in silenzio, corrucciando le folte sopracciglia che decorano il suo faccione ossuto.
“Sei mio ospite, voglio solo conoscerti meglio. Diciamo che la lattina è… una tradizione, ecco.”
Assumo una smorfia un po’ saccente, proprio perché sto avendo molte conferme di essere circondato da un gruppo di persone neon: appariscenti come poche altre cose al mondo, ma non funzionali come un classico lampione.
“Di che segno sei?” mi chiede un ragazzo biondo, alla sinistra di Sami. Ha dei ricci simili ai serpenti di Medusa, la faccia ricoperta di terra e fondotinta e le mani intente a nascondersi nelle maniche del maglione bordeaux extra-large che indossa. Mi osserva con stupore, come se fosse un bambino che sta sbavando davanti alla vetrina di una pasticceria.
“Pesci” rispondo, un po’ confuso. Guardo Vincenzo annuire, mentre alcuni dei ragazzi attorno a me reagiscono come se avessi detto di essere a capo di un partito nazista.
“Sai che si dice dei Pesci, vero?” mi chiede uno, avvicinandosi col busto verso la mia direzione.
“Vale come la sua domanda per ‘sto gioco?”
Vincenzo ride, prima di negare con la testa e lasciando cadere il mozzicone della sua stizza nel cocktail mezzo pieno che tiene tra le mani.
“I Pesci sono doppia faccia.”
“Non pen-“
“Hai mai fatto una cosa a tre?”
“No.”
“E ti interessa?”
“… no.”
Comincio a tamburellare le mie dita sulla mia coscia, cercando di far capire a Sami che sono in imbarazzo. Lui continua a ridere, intrattenuto dalle domande come se fossero le più originali, consone e importanti che si possano fare a una persona che hai appena conosciuto.
“Ti consideri più bello di Sami?”
Guardo questo altro ragazzo con un po’ di pena, perché vedo dalla sua espressione che sta solo aspettando un qualcosa che possa creare dramma per intrattenerlo nei prossimi dieci minuti.
“No, penso sia oggettivamente più bello di me.”
Sento qualcuno bisbigliare un “almeno è onesto”, ma in parte sono contento di non aver afferrato da che parte del salotto arrivasse.
Vincenzo alza una mano per interrompere una delle ultime domande rimaste, e dal suo trono si immerge nella mia psiche con un’occhiata che vince nel voler sembrare penetrante.
“Cosa vorresti di più al mondo in questo periodo?”
Apro la bocca, ma esce aria. Non li conosco neanche, non mi interessa parlare dei miei drammi.
“Una sigaretta. E vedere l’università di Zaricci.”
Vincenzo fischia, forse un po’ deluso dalla mia risposta.
“Possiamo andarci adesso, in realtà.”
Rimango stizzito, perché io voglio liberarmi di loro da quando li ho intravisti nel centro città qualche ora fa.
“Ultima domanda” aggiunge Vincenzo.
“Tu me l’hai già chiesta, non vale.”
Sami mi zittisce con un rumore fastidiosissimo. Sta vivendo un teen drama davanti ai suoi occhi, e non aspettava altro: paradossalmente, vedere altri ragazzi intenti a studiarmi e fare domande mi rende più interessante ai suoi occhi di qualsiasi conversazione possa mai aver avuto in intimità con me. Mi rende deluso e triste, ma comprendo come Sami veda l’intera situazione come un abbonamento Netflix gratuito in 4D.
“Ti piacciamo?”
Rimango un po’ a bocca aperta, perché è abbastanza palese che Vincenzo stia godendo nel mettermi in difficoltà. Mi ha spinto sotto ai riflettori per umiliarmi.
“Non sento un feeling, e sono venuto a Zaricci per passare un po’ di tempo con Sami. Da soli.”
Alcune persone cominciando a ridere sotto i baffi.
“Sami?” lo chiama il ragazzo riccio, inclinando la testa come un gatto confuso. Non orrendo come quello siamese, ma comunque non stupendo.
E lui lo fa, di nuovo. La faccia del finto tonto, dell’Alice nel Paese della Meraviglie che non si rende conto di dove sia e di come ci sia arrivata.
“Ma amore, ti avevo detto che avremmo salutato i miei amici.”
Ride nervosamente, mentre io abbasso lo sguardo.
Non mi ha mai chiamato amore.
Sono arrabbiato, ma non permetterei mai al mio ragazzo di fare una figura così misera. Soprattutto se circondato da persone che vogliono solo una dinamica simile tra noi due per passare il pomeriggio a sputtanarci quando usciremo da questo appartamento.
Non so bene cosa dire, ma faccio finta di essermi appena ricordato che Sami mi ha avvisato tempo fa della loro presenza e che mi era sfuggito di mente.
Come potevo aspettarmi prima della Sacra Lattina, la mia onestà è friabile come un pezzo di pane secco.
Sicuramente Sami mi deve delle scuse, e delle spiegazioni.
“Se vuoi del feeling, devi bere di più. Solitamente funziona” mi dice la Morgana bionda con il maglione XXL. La gente esplode in un tipo di risata che affibbierei a un gruppo di mogli cinquantenni di paese intente a spettegolare sul loro vicinato.
“Preferirei andarmene, detto sinceramente.”
“La pianti?” mi risponde Sami, visibilmente contrariato. Si alza ed esce dal salotto, diretto chissà dove.
Io alzo gli occhi e mi allontano dal divanetto per raggiungere l’ingresso.
Vincenzo mi afferra per il braccio con la morsa di una trappola per orsi, al che mi giro e lo fisso negli occhi.
“Per il treno” mi dice, sventolandomi davanti un cinquanta euro. Ha questo ghigno malvagio, come se sapesse tutto di me.
Sono fumante peggio di un battello a vapore, e sono così arrabbiato, schifato e umiliato in questo momento che alzo le mani in aria indietreggiando. Tilto il capo a destra e a sinistra prima di uscire dalla porta senza degnare nessuno di uno sguardo.
Corro fuori dal condominio, tirando fuori dalla tasca tabacco, cartine e filtri.
Comincio a rollarmi una stizza, respirando a fatica e con il cuore che sta scavalcando la mia gola minuto dopo minuto.
Ispiro ed espiro senza un minimo di ritmo, e a ogni tiro ributto il mio muscolo rosso nella cassa toracica.
Mi incammino verso il centro di Zaricci, con il mio zaino in spalla che si fa sempre più pesante man mano che mi avvicino a destinazione.
Raggiungo la via principale sgomitando per andare controcorrente, con un sacco di persone che mi guardano male. Sono tutti pieni di borse della spesa, hanno in mano gelati e sigarette, indossano vestitini firmati e occhiali da sole come se fossero in piena estate.
Seguo i segnali stradali per arrivare al campus universitario, seguendo una lunga scalinata in pietra, inglobata nel magnifico verde di una cinquantina di querce.
I pochi raggi di sole che penetrano attraverso gli spazi tra le foglie mi fanno sentire come se avessi delle pistole laser puntate sugli occhi, ma è piacevole.
Il cellulare vibra da diversi minuti, ma lo sto ignorando. Raggiungo l’entrata dell’Università.
E’ piena di alberi e panchine in legno.
Mi avvicino alla Fontana di Umberto Tirolini, che sta al centro del campus. La scultura del famoso pittore originario di Zaricci mi osserva, con un pennello in una mano e una pistola nell’altra. Da entrambi, un piscio d’acqua precipita nella porzione più bassa della fontana.
Pur sapendo la tristissima storia di Tirolini, mi intrattengo leggendo l’etichetta in oro alla base della scultura.
Non ho mai capito perché tutti lo idolatrano al punto di farcelo studiare a scuola.
Il suo capolavoro 'Radici' è letteralmente il macello che ha creato sparandosi in testa davanti alla sua tela, tipo negli anni venti. Linee di rosso che strisciano verso il fondo della tela, e alcuni capelli appiccicati ad esse.
Nessuno sembra mai essersi domandato se fosse effettivamente apprezzabile il gesto disperato di un uomo che aveva appena raggiunto la ribalta desiderare di morire così presto. In nome dell’arte, poi.
Ho come l’impressione che la demografia di Zaricci sia composta da tantissimi pseudo-Tirolini. Persone che vogliono diventare leggende, al punto di far qualsiasi cosa per ottenere la luce della ribalta.
Per un giovane sempliciotto di Cordello come me, però, sarebbe una vittoria anche solo poter camminare per le vie di questa sede con dei libri in mano e lo stress degli esami.
Mi siedo alla base della fontana, rollandomi un’altra stizza.
Osservo gli studenti attorno a me, ormai annoiati dall’architettura che li circonda perché abituati troppo bene al privilegio di studiare in un’università simile.
Anche io farei di tutto per le cose che voglio.
Probabilmente lo faremmo tutti.
E, forse, siamo tutti degli Umberto Tirolini.
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Sondaggio: 20 Maggio 2019, 1:31 PM
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sciatu · 6 years
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L’INGORDO MANIACO - UN PASTICCINO AL GIORNO
Alessandra, la ragazza del mio amico Marcellino e la mia zita virtuale Provvidenza erano diventate molto amiche. Marcellino in verità all’inizio, conoscendo la predilezione di Enza per le donne, non ne era contento perché pensava che avesse secondi fini, invece alla fine anche lui si è dovuto ricredere. Qualche settimana dopo i funerali del povero zio Epifanio, Alessandra convinse Provvidenza ad andare al suo centro estetico e la trasformò completamente. I capelli dritti e neri come fili di spaghetti al nero di seppia diventarono biondi e corti, tipo Sharone Stone in Basic Istint, gli occhialoni scomparvero sostituiti da lenti a contatto ed il trucco buttato li alla meno peggio diventò sofisticato e fascinoso. Quando la metamorfosi finì Provvidenza mi mando subito una foto; io le inviai un messaggio dicendo che ero a Catania ma che avrei voluto vederla al più presto per apprezzare il suo cambiamento. Mi rispose che aveva da fare e che avrebbe chiamato lei, segno chiarissimo che stava andando a sedurre qualche sua nuova fiamma.
La cosa, invece di ingelosirmi o farmi arrabbiare, fu da me apprezzata nel senso che in verità non volevo vederla. Ero preda di una tempesta interna che scuoteva e frustava il mio ego e quindi volevo stare da solo a pensare. Dentro di me un diavoletto mi diceva che alla fine Provvidenza mi usava anzi, abusava di me in ogni momento, senza per questo rendermi la persona più importante della sua vita dicendomi un semplice “ti amo”. Pensavo che fosse naturale e doveroso per lei riconoscere il suo amore per me visto l’overdose di sesso che mi chiedeva regolarmente. A me forse neanche interessava il senso delle due parole che volevo, “ti amo”, o che lei me le dicesse con occhi languidi e un suono di violini di sottofondo. Io volevo che me le dicesse e basta, perché mi sembrava di averle meritate e perché, in fondo, nessuna delle mie donne me le aveva mai dette. Neanche Giovanna, che io sapevo mi amava totalmente, neanche lei era riuscita a dirmele. Ora, giudica tu:  io e Provvidenza stavamo insieme, ma non si capiva per quale motivo, vivevamo di sesso e di un affetto che non diventava mai amore, ma che come tutti i rapporti superficiali che durano troppo sarebbe diventato alla fine solo un’ottusa abitudine, un noioso e fastidioso obbligo per apparire ziti di fronte la gente e fare sesso nei luoghi e nei modi più strani. Io non volevo fare sesso, volevo fare l’amore una volta tanto e davo a questa differenza, che ai più appare sottile ed inutile, un’importanza enorme. Fare sesso infatti era per me quello che avevamo fatto in macchina, a casa della zia Crocifissa e dello zio Epifanio. Ma l’amore, non l’avevamo mai fatto, non avevamo mai aggiunto al sesso qualcosa che andava oltre e permetteva di costruire, in modo solido e costante, un rapporto diverso, intenso, appagante e totale. Ero incazzato. Quel maledetto diavolo che mi ero ritrovato dentro di me, diceva che solo il sesso, anche se fatto con Provvidenza, non mi doveva bastare più. Diceva che serviva una conferma, una sicurezza, chiamala pure una medaglia sul petto che mi facesse vedere in modo concreto che per lei non ero solo uno dei tanti con cui sfogare le sue violente e dolcissime voglie. Mi sentivo preso in giro da quella sua abilità di sfuggirmi sempre quando la chiudevo in un angolo aspettando quella confessione che non arrivava mai. Restavo cosi sospeso nel nulla senza mai sapere se dentro di lei ero equiparato ad un vibratore di carne o a qualcuno che nella propria vita si incontra una volta e resta per sempre. E’ vero, avrei potuto fare un voto di castità e lasciarla soffrire nelle fiamme delle sue voglie. Ma lei, mi piaceva. Questa era la fregatura. Mi piaceva quando visitavamo i parenti come mi teneva la mano, mi piacevano i suoi vestiti castigati su quel suo corpo di lava fusa, mi piaceva come teneva il piatto di dolci sulle ginocchia mentre parlavamo con loro, mi piaceva il suo sorriso, l’odore della sua pelle, i suoi occhi grandi e nerissimi, la sua voce, il modo come apprezzava quel sesso che facevamo, come lo cercava e lo esaltava, mi piaceva il gusto della sua lingua e di ogni cosa di lei che avevo baciato, leccato, accarezzato, sollecitato, desiderato e gustato. Era questo desiderio, questo dominante bisogno di lei che aveva fatto nascere quel diavolo che dentro di me ora faceva l’avvocato e che con inutile precisione pesava l’avuto e il dato, proprio questo desiderio di lei era ormai più grande di tutto quello che mi aveva donato o che si era presa e questa differenza mi avvelenava dando forza al mio diavolo. Crocifisso a questo mio bisogno, la condannavo e l’odiavo perché colpevole di essere il legno e i chiodi della mia croce ed il paradiso che meritavo perché su quella croce stavo morendo. Mi dissi che quasi quasi era meglio se lei avesse trovato finalmente quella donna che cercava, quell’amore adatto alla sua anima, qualcuna che finalmente la sopportasse ed accettasse così da porre fine a questa ridicola storia che ora mi incominciava a pesare diventando odiosa.
Tornando da Catania quando entrai in negozio dove lavoro con mio padre sentii un profumo noto: il profumo dolce alla cannella che usava Provvidenza. Chiesi a mio padre se fosse venuto qualcuno a cercarmi, ma lui rispose che non era venuto nessuno e la cosa mi sembrò strana. Andai nel retrobottega, nel piccolo studio dove teniamo i documenti per la contabilità per conservare le fatture della merce comprata a Catania e li sentii il suo profumo ancora più forte, come se chi lo indossava si fosse fermato a lungo in quel posto. Quando mio padre si allontanò, io aprii la piccola cassaforte dentro cui vi è il registratore delle telecamere di sicurezza che abbiamo in negozio, nello studio e nel magazzino. Da quando vendiamo anche cellulari e prodotti relativi, i tentativi di furto sono stati molti per cui mi ero montato un sistema sofisticato con la registrazione anche del sonoro. Misi tutto in una chiavetta e con calma a casa, nel dopocena guardai tutto sul tablet. All’inizio non la riconobbi. Vidi solo questa cavallona bionda che entrava andando dritta da mio padre, allunga la mano e sorridendo si presenta “buonasera, sono Provvidenza Patanè, la fidanzata di Alfio” La telecamera non mostrò la sorpresa di mio padre ma sicuramente doveva essere stata grande quanto la mia. “buonasera, Alfiucciu nun c’è, iu a Catania pi pigghiari cosi” “Lo so, sono venuta apposta, volevo parlare con lei da sola” Mio padre mise il cartello Torno Subito e l’accompagno nello studiolo dove la telecamera è piazzata dietro la scrivania cosi che sedendosi la vedevo come se fosse di fronte a me. “mi dica signorina succidiu cocca cosa? Alfiu le mancoi di rispettu?” “No, si figuri, Alfio non farebbe mai niente contro di me. Volevo conoscerla e dirle delle cose che penso importanti per me ed Alfio” Mio padre si appoggiò allo schienale della poltrona come a lasciarla libera di dire. “Oggi mi sono fatta un nuovo taglio di capelli. Alessandra, una mia amica che mi ha fatto questo nuovo taglio mi ha fatto notare che quello vecchio e gli occhialoni che portavo era quasi un modo per nascondermi mentre invece questo nuovo look deve far vedere chi sono. Mi sono detta che era vero e che tra i tanti a cui mi nascondevo c’era anche e forse soprattutto, lei. Per questo sono venuta subito a farmi vedere per come ora sono, perché devo dirle cose non facili a dirsi, ma gliele voglio dire perché Alfio è molto attaccato a lei, con lei parla e si consiglia, ed io – disse quasi abbassando gli occhi – ho bisogno di lui più di quanto lui stesso sappia”
“Sono solo un padre Provvidenza, non aver paura di me – fece mio padre sorridendo e vedendo il suo nervosismo - uno di quei padri vecchi ed antichi, che pensano che la felicità dei figli è più importante della propria vita. Di te mi hanno detto tante cose. Sai, la gente non ci pensa due volte a buttare fango su tutti e su di te sembra che sia molto facile. Ma devi sapere che a me, quello che dicono gli altri, non interessa perché so una cosa: mio figlio ha avuto tante donne, ma guarda qua - girò lo schermo del computer e le fece vedere lo screensaver dove c’eravamo io e lei che mangiavamo una enorme fetta di torta – vedi, ogni sua ragazza a casa nostra forse aveva un nome, ma non ha mai avuto un volto; Alfio nascondeva tutto come se si vergognasse. Con te invece riempirebbe la casa di tue fotografie. Così sul suo telefonino, sul suo comodino, sul suo tablet e computer ci sei solo tu. Io sono contento che sei venuta, vuol dire che vuoi essere onesta. Dimmi quello che devi dire e dillo senza paura, sono vecchio e rimbambito, ma il mio cuore capisce ancora molto bene”
Provvidenza sorrise rinfrancata.  Si sfregava le mani segno che era nervosa ed incominciò a parlare guardando mio padre dritto negli occhi. “Io ho perso mia madre da bambina, mi hanno cresciute le mie zie. Da piccola mi piaceva stare con le bambine e quando facevo pallanuoto nella squadra femminile mi sentivo turbata a vedere il corpo delle mie compagne. Quando avevo quindici anni ero diventata amica di una di loro. Per lei era un’amicizia normale ma io per lei sentivo qualcosa di più e a quindici anni, dopo gli allenamenti, sotto la doccia, ho provato a baciarla.  – si guardò le mani e riprese – mi hanno cacciato dalla squadra e da allora nessuno mi ha invitato alle feste di compleanno, mi hanno tenuto sempre da parte. Tutto quello che hanno avuto le altre ragazze io non l’ho avuto. Ero timida, complessata, senza amici se non i miei cugini, con perenni sensi di colpa, e la continua sensazione che fossi sbagliata, nel corpo, nella testa e nel cuore. Tutti a casa o a scuola, stavano li a controllarmi a vedere cosa facevo, dove andavo, chi conoscevo. Non mangiavo più anche se sono golosissima e per me voleva dire cancellarmi, levarmi di mezzo perché non ero all’altezza della Provvidenza che gli altri volevano. Le zie mi hanno mandato da decine di psicologi e mi hanno fatto prendere montagne di camomille: neanche loro sapevano cosa fare. Mia zia Crocifissa ad esempio mi voleva portare a Lourdes per guarirmi da quella che chiamava la mia malattia anche se non sapeva quale fosse. Per reazione a tutto questo sono cresciuta arrabbiata con tutto il mondo, perdevo la pazienza per niente e litigavo con tutti. Quando avevo quasi diciotto anni sono scappata da casa con un’amica e siamo andate a Barcellona. Per qualche mese siamo vissute randagie e poi lei è tornata a casa perché non ce la faceva più. Io forse ero più disperata e sono rimasta li, ho sofferto molto e sono stata male. Sono finita in ospedale pelle e ossa, anoressica e disgustata da tutto il mondo. Lì ho conosciuto una signora, Consuelo, che è diventata mia amica. Mi ha fatto mangiare di nuovo e quando sono stata meglio mi ha portata a casa sua. Sono stata più di un anno con lei, crescendo, maturando e capendo dentro di me quello che ero e…. amandola. Era il mio primo vero amore. Intenso, forte, totale, assoluto, come ogni primo amore. Anche lei mi amava, diceva che ero la sua ultima vita e con me aveva una pazienza infinita. Una volta mi arrabbiai ed incominciai ad urlare, lei si iniziò a prendere a schiaffi e quando le chiesi perché rispose che era cosi che la trattavo quando urlavo, questo per dirle che lei sapeva farmi capire dove sbagliavo senza mai accusarmi o rimproverarmi. In aggiunta mi spiegava quello che provavo per le donne perché anche lei ci era passata e da qualcosa di sporco e sbagliato che mi dicevano che era, divenne qualcosa di naturale, di normale e questo mi portò ad accettarmi. Questa fu la cosa più importante che lei mi donò, perché nel momento in cui ti capisci e ti accetti, la tua anima, il tuo cuore, il tuo corpo, sono allineati con la tua personalità e non hai più paura o vergogna: diventi come libera. Lei aprì e distese al sole quella Provvidenza che era accartocciata, appallottolata come un foglio di carta da buttare via e nascosta in un angolo dentro di me, facendole capire che il mondo non era contro di lei, che non era sbagliata e che comunque vi erano regole che bisognava seguire, che non erano state fatte per punirci; lei riusciva a spegnere tutto l’odio e la paura che avevo per la vita, semplicemente e naturalmente, con ironia e passione e la sostituiva con un motivo, per essere felice, per vivere completamente quella vita che prima odiavo. Provvidenza prese un fazzoletto e si soffio il naso “Quando l’incontrai lei non era in ospedale per caso. Un giorno chiamò mia zia Immacolata dicendole di venirmi a prendere perché doveva tornare in ospedale. Parlò molto con mia zia e mi convinse ad andare temporaneamente con lei. Io non volevo ma mi disse che lei non sarebbe stata bene e non mi voleva accanto mentre soffriva. Chi ci ama, mi ripete mille volte, non vuole farci del male anche solo indirettamente, mostrandoci il suo stesso dolore perché quando si ama si vuole donare solo ricordi belli ed è questo che lei mi ha lasciato, solo ricordi sereni e felici: il suo sorriso, i suoi occhi quando ridevano, il suo abbraccio. Mia zia mi portò a casa, e da allora nessuno a casa parlò di chi amavo e di chi ero. Anche per zia Crocifissa quello che sono è giusto perché così devo essere. Si sono messe tutto intorno a me proteggendomi, aiutandomi, facendomi incominciare a rivivere perché avevano capito che soffrivo e come ogni famiglia tutti mi sono venuti in aiuto. Parlando con Consuelo mia zia aveva capito che la mia vita non era e non poteva essere quella che avevano avuto lei e le sue sorelle.”
Provvidenza si fermo e restò in silenzio come se d’improvviso si trovasse sull’orlo di un baratro. “Consuelo venne a mancare qualche mese dopo e mio padre e mia zia Immacolata mi accompagnarono a vederla per l’ultima volta. Non ho mai sofferto come in quei giorni, mi sembra di essere morta mille volte e che non avrei mai potuto più sorridere nella mia vita. Poi tornai a stare con mio padre, andai all’università, mi laureai come le avevo promesso. Mio padre, che dopo tanto tempo torno a cercare di essere padre, mi prese nel suo studio di notaio e un giorno fatto il concorso prenderò il suo posto.”
“Però tutto quello che ho avuto e sofferto mi è rimasto dentro. Non riesco ad avere rapporti normali con chi vorrei amare, specialmente con le donne. Il psicologo dice che in loro cerco Consuelo e che quando non la trovo, o loro non si comportano come lei, io divento violenta, torno ad odiare e dimentico tutto quello che Consuelo mi ha insegnato. A questo punto le mie compagne non sanno più come prendermi o calmarmi come faceva lei. Io, la scomparsa di Consuelo, non l’ho ancora accettata, come non ho accettato di esserle sopravvissuta. Basta niente a farmi precipitare nel dolore di quei giorni. – si fermò ad osservare il fazzoletto senza vederlo – Io non so più dire “ti amo” a qualcuno, è una parola che mi suona falsa pensando a Consuelo , perché lei mi ha amato più di se stessa preferendo morire da sola piuttosto che farmi morire con lei, perché questo io le avevo promesso di fare se lei se ne fosse andata e fu questo il vero motivo per cui chiamò la zia: lei lo sapeva che dove sarebbe andata lei, sarei andata anch’io perché amare vuol dire solo questo: non lasciarsi mai, in qualsiasi direzione si vada.”
Restò in silenzio per qualche secondo osservando il fazzoletto stropicciato. “Queste cose non le ho mai dette ad Alfio. Non ne ho il coraggio, le dico a lei perché voglio che capisca cosa ho dentro di me. Dopo che ho incominciato a lavorare, visto i miei fallimenti con le mie compagne, la psicologa mi ha consigliato di frequentare gli uomini, pensando che il rapporto sarebbe stato alla pari, o che non mi sarei arrabbiata con loro come con le donne a cui rimproveravo di essere vive e non saper amarmi mentre chi mi sapeva amare è morta. Avrei almeno calmato le mie ansie, sfogandomi con chi non mi avrebbe ricordato Consuelo.  Non è stato proprio cosi. Io quando amo lo faccio intensamente e totalmente perché cosi era con Consuelo, perché rivoglio quanto lei mi dava, perché voglio cancellare tutto il dolore che ho dentro perché lei non c’è, e non a tutti va bene questa forza disperata che metto nel mio amore, non capiscono, indipendentemente dal fatto che siano uomini o donne. Per loro l’amore è un modo per essere felici, per me è un modo per far rivivere chi ho amato, per dimenticare la sua morte e sopravvivere senza di lei. Con Alfio no, con lui è diverso, lui mi fa provare quello che Consuelo mi dava, ha la stessa dolcezza, disponibilità, la stessa generosità. Per me è più di uno zito: alle volte è la mia vita stessa perché spegne saziandolo tutto il vuoto che sento, il furore ed il ricordo di quell’ amore che avevo e anche solo per un minuto ritrovo quello che mi dava Consuelo. Per questo ho sempre bisogno di lui perché sento che è come Consuelo, ma non posso fare con lui quello che fanno tutte le zite: una casa, dei figli, un futuro legati insieme. Non è nella mia natura, soffrirei e farei soffrire. È questo che volevo dirle, ed ogni giorno l’urgenza di dirlo aumenta perché aumenta il mio legame con Alfio e il suo bisogno di legarsi a me: io non posso essere quella fidanzata che tutti desiderano per il proprio figlio e neanche una moglie come mia madre o la mamma di Alfio, ma ho bisogno di lui.  Non sarò mai quella ragazza normale che si desidera per un figlio, non posso esserlo, non ci riuscirei mai! Questo volevo dirle, non pretenda da me più di quanto possa dare, non mi metta contro Alfio perché non sono quella che vorrebbe io sia, non mi faccia soffrire ancora.”
Ci fu qualche secondo di silenzio mentre Provvidenza si soffiava il naso. “tu non devi pensare quello che voglio io – inizio mio padre passandole un fazzoletto – quello che voglio io vale per me! Tu devi pensare a te e ad Alfio. Anche lui, con l’amore, ha avuto problemi ma io gli ho sempre detto: la vita è una, quello che è stato è ormai finito, non si va avanti guardando all’indietro! Io non so parlati di queste cose d’amore, per me è stato semplice e naturale amare mia moglie e ora capisco che ho avuto una grande fortuna. Voi giovani avete tante complicazioni che ai miei tempi non si vedevano, forse c’erano, ma nessuno ne parlava. – mio padre si giro a prendere la foto di mia madre che teneva accanto alla scrivania e la passò a Provvidenza - Ho conosciuto mia moglie a vent’anni e l’ho sposata subito. Ci siamo voluti bene perché lei era una donna meravigliosa ma non ci dicevamo mai ti amo, noi non ne avevamo bisogno, come forse non ne avete bisogno voi. Lei buttava tutto sul ridere e prendeva seriamente solo le cose che meritavano di essere considerate tali. Sapeva quando era il momento di lasciar perdere, di perdonare e soprattutto sapeva farci capire a me e ad Alfio, ogni giorno il suo amore, senza frasi importanti. Ogni mattina dava a me e Alfio un dolcetto, dicendoci che quello era il suo amore e quando durante la giornata io mi arrabbiavo per qualcosa bastava che vedevo quella piccola pasta o pezzettino di torrone per dimenticare tutto. Vedi, in amore sono ignorante forse perché sono stato troppo fortunato e non mai avuto bisogni di pesarlo, misurarlo e neanche considerarlo. Quando è mancata ho capito che l’amore non è le parole che ci eravamo detti. Adesso, mi mancano quei cinque minuti, cinque piccolissimi minuti in cui io trovavo l’amore di mia moglie dentro il mio cuore solo osservando un dolcetto. Ho capito che questo è veramente importante, saper dire “ti amo” con gesti, pensieri, presenze, con cose fatte o vissute insieme durante la giornata. Io sono vecchio e mi piacerebbe un matrimonio all’antica con invitati, vestiti eleganti e poi avere cinque, dieci nipoti. Ma tutto questo se tu soffrissi per farmi contento non avrebbe senso: non si può, non si deve costruire la propria felicità sul dolore di qualcuno. Voi due poi siete speciali, ma avete una cosa in comune: amate senza risparmiarvi, senza chiedere e dando tutto. Per questo non pensare cosa voglio io perché quello che vi unisce non deve essere quello che pensano gli altri, non deve essere fatto di cose, di obblighi o doveri che gli altri ci impongono perché così fanno tutti o tutti pensano che bisogna fare cosi. La vita, di quello che vogliono gli altri, non ne tiene mai conto e prima o poi lo tritura insieme a voi se seguite le loro parole inutili!” Papà si avvicinò e prese le mani di provvidenza tra le sue “sono contento che sei venuta a dirmi tutto questo, perché vuol dire che ad Alfio vuoi bene veramente e a me basta sapere questo. Del resto non preoccuparti: comi veni si cunta ! L’importante è che sappiate essere sinceri tra di voi, che sappiate perdonarvi gli errori che fate e trovarvi vicini quando avete bisogno l’uno dell’altro” Poi fece una cosa che da mio padre non mi sarei aspettato perché per un vecchio siciliano come lui è un segno importante e di profondo affetto e rispetto, prese le mani di Provvidenza e lentamente gliele baciò, una dopo l’altra. “Non pensare a questo vecchio, pensa a te e ad Alfio. Nessuno si preoccupa di un albero che non può dare frutto, ora siete voi che dovete darli e per farlo avete bisogno di camminare insieme nella stessa direzione come dicevi tu. Mio figlio a volte ha la testa che fischia, anche lui ha bisogno di qualcuno che gli stia vicino, per cui anche tu devi avere pazienza con lui. Questo solo ti posso e ti voglio chiedere, più  un favore che un comando” Provvidenza lo abbraccio Restarono li in silenzio per quasi un minuto. Poi lui la accompagno alla porta e resto a salutarla mentre andava, entro in negozio e di nuovo si soffiò il naso cosa che faceva solo quando andava al cimitero dalla mamma.
Guardai tutta la notte il filmato passo passo ricordando che cosa avevamo fatto e quello che Provvidenza mi aveva detto nei mesi passati. Pensai a quello che volevo, sentirmi dire, un “Ti amo” che non aveva avuto nessun senso perché quello che legava Provvidenza a me era per lei più grande di questa parola. Verso le cinque del mattino uscii, facendo in modo di non farmi sentire da mio padre. Camminai per strada finendo al porto e da li andai verso la fiera. Volevo muovermi, pensare, cancellare quel diavolo che il giorno prima avevo dentro e che ora si stava lentamente sciogliendo come un gelato finito sul marciapiede. La notte era silenziosa ed umida e per strada, malgrado fossimo a metà ottobre, non faceva freddo. Pensai che non l’avrei avuta mai completamente, ma anche questo non aveva importanza: quello che ci univa, era quello che eravamo l’uno per l’altra e non era semplice come l’amore. Ora volevo solo esserle vicino, e tenermi quanto poteva darmi  ed anche se non poteva darmi tutto, io non lei avrei chiesto più nulla, perché il nostro era quel tipo di rapporto che non aveva un limite, un inizio o una fine. Mio padre aveva ragione: non servivano le parole, le partecipazioni o i figli. Dovevamo solo confermarci il nostro essere una sola cosa, il nostro unico modo di stare insieme, ogni giorno, in cinque piccolissimi minuti. Nulla di più, tutto il resto non contava e domani come veni si cunta. Era questo che voleva dire mio padre, dovevamo abbandonarci a quanto eravamo, lasciare che quanto sentivamo ci guidasse, ci nutrisse e proteggesse, sarebbe stato lui il nostro dio tutelare riempiendo di senso tutti i nostri giorni. Mi sedetti su una panchina alla fiera e vedevo nella notte i traghetti entrare ed uscire dal porto, diventare nel buio una costellazione ordinata di luci che si muovevano riflesse sull’acqua scura. Solo qualche pescatore era sulla banchina dei traghetti e lanciava le lenze che con la luce fosforescente messa sulla cima, descrivevano delle lunghe traiettorie sembrando stelle cadenti. Non avevo mai capito nulla. Ne di Provvidenza ne di me e forse di nessuna delle mie troppe donne, sempre preso a pensare alle creme, ai dolci e a farmi comandare dall’inquilino di sotto o dalle voglie di questa e di quella. Forse avevo sbagliato tutto anche con Giovanna, ormai era troppo tardi per pensarci. L’alba arrivò d’improvviso, senza che me ne rendessi conto. Mi alzai lentamente ed entrai nella prima pasticceria che vidi aperta vicino ai traghetti per poter prendere qualcosa di caldo. Poi incominciai a camminare verso l’ufficio di Provvidenza vicino al tribunale Quando lei arrivò le andai in contro e lei mi guardò sorpresa vedendomi con la barba e gli occhi stanchi e rossi. “Non resistevo alla voglia di vederti - le confessai – sei bellissima, stai veramente bene cosi!!” Sorrise felice, mi chiese se prendevamo un caffè insieme ma le risposi che dovevo correre ad aprire il negozio. Le diedi un pacchettino che avevo preso in pasticceria per lei. “è un piccolo pasticcino. Mia madre me lo dava sempre quando uscivo di casa per dirmi che mi voleva bene” Sorrise e a me sembrò che la notte finisse solo in quel momento, con quel sorriso. Forse mi voleva dire che sapeva cosa voleva dire quel pasticcino, ma restò zitta, godendosi il valore di quello che rappresentava. Ci guardammo negli occhi come a volerci dire quanto non potevamo, o non volevamo, o non sapevamo e solo quello sguardo era una promessa, un giuramento, un donarsi ed accettarsi. Non avevamo più bisogno di parole, di domande e di risposte, saremmo vissuti di questo non aver bisogno di parlarci per saperci, come mio padre con mia madre, saremmo rimasti con le anime legate insieme fino a che non saremmo stati tanto felici da non aver più bisogno di questo nostro silenzio complice ed unico. Alla fine la baciai e corsi ad aprire il negozio. Lei salì ad aprire l’ufficio, mise lo spolverino nel suo armadio, levò l’antifurto alla cassaforte, prese l’agenda degli appuntamenti e andò alla sua scrivania. Aprì il pacchettino e vide il pasticcino con la glassa che brillava sotto la luce dei faretti. Lo guardò con gli occhi raggianti di felicità e per un po’ fu tentata di mangiarlo. Poi richiuse la scatola ed entrò nello studio del padre lasciandolo sulla sua enorme scrivania in mogano di fronte alla foto di sua madre a cui suo padre ogni mattina puliva il vetro con il suo fazzoletto, per cinque piccolissimi minuti. Io ho una mia teoria sui pasticcini: se ne offri uno a qualcuno, lui ne offrirà un altro a qualche altra persona. È come una catena di Sant’ Antonio, ma d’amore.
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