“ Una sera, nel ristorante dell’albergo dove alloggiavano le nazionali svizzera e canadese, Erika è uscita sul balcone per fumare una sigaretta e lo ha studiato a lungo attraverso la finestra. Non partecipava alla conversazione ma sembrava a suo agio, beveva la birra a piccoli sorsi e sorrideva a tutti. Uno che era seduto vicino a Jai si è alzato; Erika ha buttato via la sigaretta a metà ed è corsa a sedersi al suo posto. Si è presentata, Jai la conosceva già. Lui le ha chiesto se stava stretta sulla panca (no, stava bene, grazie) e se voleva una birra (la voleva). Quando è tornato con la birra ha voluto sapere se era davvero importante farsi seguire da una come lei, da uno psicologo: semplice curiosità, tanto lui non se lo poteva permettere. Allora Erika ha pensato una cosa che lí per lí ha tenuto per sé, che gli ha detto solo piú tardi, quando, conoscendolo meglio, si sarebbe rivelata verissima: ha pensato che Jai non aveva nessun bisogno di psicologi.
Oddio, se non si è matti non si fa la libera, poco ma sicuro; ma la follia di Jai cominciava al cancelletto di partenza e terminava sul traguardo. Passato il minuto e mezzo della gara era un ragazzo sereno, anzi piú che sereno, luminoso: emanava, secondo Erika, una luce che rendeva tutto limpido intorno a lui, e rasserenava chi ne era illuminato. Gli altri, gli europei e gli americani del circo bianco, erano ragazzoni grossi come armadi, dalla parlata elementare e sboccata, che prima della gara si caricavano ascoltando heavy metal dalle cuffiette. Jai parlava a voce bassa, viaggiava con una piccola biblioteca di romanzi in inglese, faceva domande semplici e rispondeva con parole semplici e vere, e spesso anche belle, sorprendenti. Già quella prima sera, mi ha detto Erika, Jai l’aveva messa subito a suo agio, lei che, unica donna in un mondo di maschi, era abituata a tenersi sulle difensive. Gli altri hanno cominciato a prenderli in giro: ma perché con tanti bei ragazzi svizzeri Erika si occupava esclusivamente dell’indiano? E a loro cosa mancava? Il cervello, ha risposto Erika. Stasera, ha detto, finalmente ne aveva trovato uno che non le parlava solo di scioline e macchine sportive. “
Guido Barbujani, Soggetti smarriti. Storie di incontri e spaesamenti, Einaudi (collana Super ET Opera Viva), febbraio 2022¹; pp. 116-117.
Le regole dell'attrazione parlano chiaro, per avere una prima impressione di un altro individuo ci vogliono solamente sette secondi.
Sette secondi in cui si scrive un destino tra due persone, con infinite variabili di possibilità.
Sette stupidi rintocchi per rimanere incagliati in un paio d'occhi che ti faranno naufragare.
Sette battiti d'ala in cui ti accorgi se può essere odio o passione, se diventerà innocenza o perversione, se si trasformerà in indifferenza o sconcerto.
Non ricordo la tua faccia - La pazienza dell'acqua (on Wattpad) https://www.wattpad.com/1428953934-non-ricordo-la-tua-faccia-la-pazienza-dell%27acqua?utm_source=web&utm_medium=tumblr&utm_content=share_reading&wp_uname=ChiccaTiaKiki ObiIta; Obito x Itachi IC, Canon Compliant, Canon typical behavior Dal testo: Cos'è che ti tiene sveglio la notte, Obito? Non è l'incessante ticchettio della pioggia di questo maledetto posto. [...] No, non sono le magagne del passato a farti sobbalzare nel cuore delle tue notti tormentate. [...] È un dito che spinge e gratta dentro il tuo stomaco. Un'immagine che resta indefinita dietro gli occhi di Rin e sotto le lacrime di Kakashi. Non affiora mai in superficie, non la decifri, ma sai che è lì. [...] Nonostante tu ti sia straziato le dita con le schegge del suo cuore, hai voltato la testa dall'altra parte pur di non ammettere che non sei l'unico a esserti forgiato nel dolore. Non hai l'esclusiva di niente, Obito. Molto più di quello che pensi vi accomuna. Una volta qualcuno non ha detto che a governare la vita non sono gli eventi, ma piuttosto la reazione di chi li subisce?