Bisogna sempre prevedere una via di fuga in caso di emergenza... Forse. Buon mercoledì carusi !! U fujmentu è savvamentu !!
GS
0 notes
Non ho fatto altro che rimandare questo giorno, ma domani devo andarmene; non ho che quattro cose nella stanza di Francesca, perché qui non c’è più un posto mio. Lascio questi muri che ho abitato grossolanamente, pateticamente, per tre anni, e, come è naturale, e come si dice, tiro le somme, mi riconnetto al momento in cui ho messo piede per la prima volta in via San Vitale e Bologna mi sembrava un presepe, un diorama, non una città; forse non è stata mai una città, ma un’entità viva, senziente, osservatrice. Occhi, vetri, braccia e strade, muri e ossa, le piazze e i mercati che si affacciano sui i capelli umidi di sudore dentro a letto, da sola o sempre con qualcuno di diverso, quindi sempre da sola. Come ogni volta, vorrei aver vissuto di più e sofferto di meno; c’è così tanto che ancora non ho visto, per colpa della letargia, del logorio interiore, della claustrofobia psichica, di tutte le cose visibili e invisibili che dalla mia testa hanno risuonato fuori coprendo ogni altro suono, ogni parola di conforto, ogni volto amico, ogni nostalgia abbandonata per la fame di fuga. Eppure c’è sempre qualcosa o qualcuno che mi riacchiappa, una lacrima di commozione delle mie coinquiline che non vorrebbero mai me ne andassi. E alla fine cos’altro importa? Le cose grandi finiscono sono quelle piccole che durano. Che mi resta di tre anni di vita? Di una città? Di una casa? Una scatola piena di oggetti inutili, qualche lacrima, e basta
57 notes
·
View notes
Fatico sempre molto a formulare la frase “ho avuto una vita complicata”. Mi pare di appropriarmi di un diritto che non mi riguarda, quello di calzare gli eventi con la propria sensibilità, unica e irripetibile, senza necessariamente calibrarla su quella degli altri. “C’è chi sta peggio, c’è chi sta meglio”. Mi obbligo alla comparazione e, se non lo faccio, mi sento arrogante.
Alla fine, però, il rischio diventa quello di svuotare di significato la mia esperienza, di cui, esattamente come nel caso di quanti mi circondano, sono l’unica misura. C’è chi sta peggio, c’è chi sta meglio, ma ci sono anche io.
Quindi prendo un bel respiro e dico: ho avuto una vita complicata. Non vorrei aggiungere altro, nessuna spiegazione, nessun dettaglio, nessun correttivo. Complicata.
E, lungo il percorso che mi ha condotto dove sono - nel territorio fertile della maturità, in cui nulla accade senza sforzo, ma tutto porta con sé una lezione - mi ha fatto compagnia quella che ho chiamato per lunghi anni “la lucina”. La immaginavo come una fiammella che, nella difficoltà, ha sempre riscaldato un luogo preciso alla bocca dello stomaco: un punto luminoso in mezzo al buio, conforto remoto, ma inestinguibile.
Sono sempre stato grato di custodire un mezzo simile, capace di suggerirmi la sopravvivenza in forma di radiazione di fondo. Sono sempre stato grato, quasi non mi appartenesse. Mi sono sentito speciale.
Ho temuto, nell’ultimo anno, che la lucina si fosse spenta. Faticavo a vederla, a sentirne il tepore. Ho scoperto, invece, che non l’avevo compresa. La lucina, infatti, era una via di fuga, più che uno strumento magico. Correvo verso di lei per non abitare il presente, collocando me stesso in un luogo-non-luogo, in cui non ci si confronta realmente con il dolore.
Nell’ultimo anno ho smesso di scappare. Ecco cosa è successo. Ho deciso di stare nel buio, invece che rifugiarmi in un bagliore lontano. E ho cominciato a sentire, a sentire tanto, a far espandere le pareti del cuore fino a farle diventare sottili sottili. Ho sentito tutta la tensione, ho percepito la bocca dello stomaco stringersi fino a strozzare quel piccolo fascio luminoso, che somiglia ora al proiettore di un vecchio cinema, più che al chiarore del giorno. E, alla fine, ho capito che posso sopravvivere e che il contrario del buio non è sempre la luce. A volte, il contrario del buio è la capacità di stare nel buio.
Quindi, caro me, ho avuto una vita complicata, per il mio unico sentire, di cui mi do il pieno diritto. Allo stesso tempo, però, ho smesso di essere speciale; per sentirmi umano, finalmente.
72 notes
·
View notes
Contrastare l'ignoranza diffusa dagli Eshperti Eco Mainstream - in realtà reazionari passatisti decrescisti - con esempi.
Le città s'allagano sempre più frequentemente non tanto perché piove (non di più ma tutto assieme - cosa vera) ma soprattutto perché esse sono sempre più estese, quindi c'é sempre più terreno impermeabilizzato che amplifica la velocità e i danni dell'acqua.
Aggiungi la fuga dai campi quindi l'assenza di manutenzione di pendii canali e torrenti a monte (anche per via della diffusione sul territorio di assessori verde ignoranza che la manutenzione non s'ha da fare, così risparmiano per costruir piste ciclabili ... ASFALTATE), e l'equazione tutta emiliana del rischio è completa, SENZA BISOGNO DI FARNETICARE DI CAMBIAMENTI CLIMATICI.
In Svezia alcune città han deciso di usare i parchi pubblici, dal suolo non asfaltato non cementificato molto permeabile, come eventuali "sfoghi" in caso di precipitazioni intense. Ne stanno ABBASSANDO il livello del terreno di un metro, un metro e mezzo allo scopo. Non serve altro, poi ci penserà la fisica.
Non è difficile: basta non aver in giro assessori (che si credono) tanto Eco ma è solo l'eco che rimbomba nelle loro teste vuote, neh Sala?
53 notes
·
View notes
Esiste sempre una via di fuga
O un posto in cui rifugiarsi
41 notes
·
View notes
La beffa del passato è il suo potere
su ogni via di fuga del presente:
morto e sepolto manda i suoi fantasmi
a perturbare il sonno; tutto cambia,
abbiamo un corpo che non è lo stesso
coinvolto negli amplessi disperati
del nostro Amore e tuttavia rimane
memoria di qualcosa d’insoluto,
che non avremo e non abbiamo avuto.
18 notes
·
View notes
tutti cerchiamo una via di fuga da qualcosa
31 notes
·
View notes
L'arte è l'unica via di fuga da quello che noi chiamiamo reale, che in effetti è solo alienazione.
14 notes
·
View notes