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#incisa nella mia pelle
em420sblog · 1 year
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@al3co12
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godisacutedemon2 · 8 months
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Ti sei eliminata da Instagram?
No, ho semplicemente cancellato l'app momentaneamente.
Questo è ciò che ho scritto come ultimo post:
Ho sempre vissuto la mia vita in funzione degli altri. Non ho mai fatto una scelta o preso una decisione che fosse per me e solo per me. Non mi sono mai, essenzialmente, voluta bene. Ho anche avuto il coraggio di allontanare tutte quelle persone a cui ho voluto far evitare la lunga discesa negli abissi profondi della mia mente e dei miei mille problemi. Ad oggi, però, mi rendo forse conto che è arrivato il momento di prendere le redini in mano e iniziare a condurre il MIO cavallo nella direzione giusta. Mi sono accorta che i social, sono solo uno stupido pretesto per fare parlare la gente in chiave negativa e ciò non va bene. Questo costante bisogno di fare vedere cosa stiamo facendo e se non lo facciamo, sappiamo comunque tutto ciò che stanno facendo le altre mille persone che seguiamo, senza magari neanche conoscerle. Abituati a seguire stereotipi finti e spesso inesistenti, mettendo da sempre in dubbio la nostra vita, le nostre scelte, la nostra carriera, il nostro aspetto. Ecco perché dico: basta. Mi prendo una pausa, da tutto e tutti. Ci rivedremo, forse, quando mi sentirò realizzata, quando sarò diventata capace di amare me stessa e quando sarò soddisfatta di ciò che sono e sto diventando. Ho sempre pensato che sparire un po' fa sempre bene, all'anima e al cuore. Mi han detto "ma se va via, la gente si dimenticherà di te". Così sia. Che io possa rimanere scalfita nella mente di chi ricorda, di chi ci tiene, di chi ama, di chi odia. Che io possa rimanere sempre nei pensieri di chi mi conosce e chi mi aspetterà tutta una vita. Ringrazio chi ha reso quest'estate indimenticabile, per sempre incisa sulla mia pelle, mi avete aiutato a capire che ci possono essere mille e più motivi per prendere la propria vita in mano e trasformarla in oro, senza gettarla via, senza pensare che sia giusto abbassare la testa di fronte a tutto e tutti. Detto ciò, spero davvero di riuscire a fare tutto ciò che voglio fare. L'unica cosa che vi chiedo di fare è avere un grande pensiero per me, un grande "in bocca al lupo", per questo nuovo inizio.❤️‍🩹
Ama, vivi, OSA.
Chi vuole potrà cercarmi su WhatsApp, chi deve avere il mio numero, lo ha. Chi ha piacere di conversare con me, ogni tanto può cercarmi su Telegram (teldinoemi).
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Ti amo che non dubito se ogni giorno mi innamoro di più dei tuoi begli occhi, di quella dolcezza che i tuoi baci lasciano sulle mie labbra e per non parlare delle tue morbide e tenere carezze che si diffondono su tutta la mia pelle. Porto sempre il tuo amore nel mio cuore come la scintilla nei miei occhi Avrò sempre il tuo amore presente perché la tua immagine è già incisa nella mia mente come il tuo nome è già tatuato nella mia anima. Ti amo ❤️
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ilmerlomaschio · 3 years
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rossoscarlatto.net
Tatuata
"Allora hai deciso..."
"Sì".
"E se poi ti stancassi ? Volessi levarlo ? Non ti piacesse più..."
"Non credo...e in ogni modo, lo sai, non do peso al mio corpo, non mi guardo allo specchio..., non m'importa cosa ne penserò domani o fra vent'anni, ho solo bisogno di un segno..."
"Un segno...?"
"Devo segnare questo tempo...ricordarlo..."
"Ricordarlo ? Puoi farlo comunque...perché sulla pelle ?"
"Definitivo..., questa fuga non è con la testa nel sacco, so che sto fuggendo e da cosa..."
"Tu hai troppi uomini..."
"In questo periodo ? Sì...sempre... quando sono così..."
"Tu li usi..."
"E loro usano me...normale...".
"Non sei innamorata, è vero...?"
"Ho bisogno di sogni, lunghissimi, interminabili..."
.................
Ore 16.35. Sono in anticipo.
"Ciao..."
"Ho appuntamento alle 17.00..., posso aspettare ?"
"Accomodati, lui è di là...nel frattempo puoi guardare i cataloghi, hai già un'idea ?"
"No. Nessuna."
Il divanetto è molto piccolo, e davanti una tendina trasparente, nera su un vetro. Dietro intravedo un'ombra. E un rumore, quasi un ronzio. Forte, insistente. Che cosa succede di là ? Nessuno parla...solo il ronzio.
Sfoglio le pagine piene di simboli scuri, linee, curve, punte, e piccoli totem, simbologie di mondi passati, qualche animale, e piume, ali. Che fare ? Che tipo di segno sul mio povero polso ? Un sole ? Questo piccolo pesce ? Questa spirale appuntita ?
"Hai bisogno d'aiuto ?"
Lei è vestita di nero, come me. Al naso, sopracciglia, e labbro inferiore anelli e altri piccolissimi oggetti.
"Fra poco tocca a te... è quasi pronto..."
Arriva. E' qui vicino. Mi guarda. Lo guardo.
Alto. Magro abbastanza. Le maniche corte della maglietta blu, larga, scoprono ogni forma incisa, e incredibile, sulle sue braccia. E colori. Anelli ad ogni suo dito. E il viso. Rugoso, ma giovane, con occhi chiari e una bocca grande, non ben delineata. Senza barba.
"Ciao...che cosa posso fare per te...?"
Huuummm, che cosa puoi fare per me ?...devo dirtelo subito... o dopo?
"Credo che un occhio...forse...ma molto stilizzato...una forma semplice, pulita...non troppo grande..."
"Ok, vieni..."
Si muove piano e sparge in giro un po' del suo profumo di muschio. La sala degli orrori ora è davanti ai miei occhi. Arrivandoci senza sapere cos'è può essere scambiata per lo studio di un dentista. Ma la musica ovunque, e forte, i disegni alle pareti, le sue foto nudo con esibizione d'ogni piccola e grande opera d'arte, mi fanno sentire finalmente a casa.
"Siediti qui...vicino a me..."
Mi accomodo, un po' timorosa sulla poltroncina vicino al tavolo, dove lui sta disegnando il mio occhio. Con la matita su una velina trasparente.
"Così... ti piace ?"
"Sì.....va bene..."
Si alza. Più in là la poltrona da esecuzione, il patibolo, quasi un lettino, di pelle imbottita rossa. Mi allungo, e lui prende il mio polso. Non parla, e da un cassetto tira fuori un rasoio. In un attimo graffia via i pochi peli sul mio braccio fino alla mano. Io tremo, sono già spaventata.
"Posso... scappare... se...?"
"Scappare ? e dove...stai tranquilla... ci penso io... non sentirai male... non troppo...sopporterai...vedrai..."
La decalcomania ora è sul mio polso, bella disegnata, e blu.
"Ecco...questa è la giusta posizione... potranno vederlo bene, tutti..."
Comincio a sudare, la ghigliottina è lì davanti a me, e sta iniziando il suo ronzio terribile.
L'ago. Mio dio. L'ago.
Punge. Punge e colora la mia pelle. E lui preme, e striscia per seguire il tratto del suo disegno, il mio occhio.
Non voglio scappare. Sono immobile e senza respiro.
Il mio braccio sulla sua gamba, e lui curvato a tenerlo fermo. E incidere.
"Ti fa male...?"
La sua voce adesso è bassa, e lenta. Tutta la pelle del mio capo freme.
So che la mia spina dorsale sta iniziando a gioire. La sento.
Il piacere che sale dai miei fianchi sino alla nuca, e poi scende sino all'interno delle mie cosce.
Ancora immobile.
Ma con la mente sono già ad accarezzare la lampo dei suoi pantaloni, e tutta la meraviglia che gli sta sotto.
"Ti fa male...?"
Sì. Mi fa male. Tu sai che mi stai facendo male. E anche come.
Conosci il tipo di dolore che procuri alle tue vittime.
E sono certa che la tua erezione è già cominciata.
Non mi chiedi se voglio sospendere per un attimo. No. Non lo fai.
E io non vorrei. Non devi fermarti, ora. Non più.
Che bello. E' bellissimo. Non potevo immaginarlo, sai ? Proprio non ne avevo sospetto.
Il segno che lasci sulla mia pelle vergine, è il tuo segno.
Il passaggio di te, su di me.
Molto più di una prima penetrazione. Altro tipo di verginità persa.
Quella di un angolo della mia testa, che ti lascia entrare dentro di me, e modificare il mio corpo.
Perché ho sempre sfuggito ogni mostra di body art ?
Stupida. Molto stupida. Ora capisco il piacere infinito.
E ne sto vivendo solo una piccola goccia.
E il senso di potere. Gigantesco. Voglio coprire il mio corpo di segni. Non smettere mai.
Aaaahhh... il tuo ago...come spinge... e striscia....e colora...
Ancora. Non fermarti. Non smettere mai. Fammi bruciare, ancora.
E incidi. Segnami. E segnami ancora...
"Ancora... un po' di grigio...qui...è troppo vuota...questa forma..."
Sì...ancora. Grigio...azzurro...rosso...verde....Tutti i colori che vuoi. Riempi i miei pori. Senti che vuoti ? Senti che voglia di essere pieni... di te... e dei tuoi colori...?
Perché non mi tagli, ora ? Potresti...sai ? Non scapperei. No.
Qualsiasi lama nelle tue mani.
Oltre ogni pene, oltre ogni lingua e ogni mano.
Potresti farmi scoppiare, sai ? E sono già molto vicina. E la schiena mi trema.
E le gambe sono spalancate sai? Senti come sono bagnata ?
Allagata. Per te.
Potresti tirare fuori il tuo pene mentre continua il ronzio ?
Oppure allungare la tua terza mano, quella con le dita sensibili, e infilarmele tutte, una per una, e riempirmi ? Le sento già tutte dentro di me. Vuoi farmi venire ? Così ?
E allora anche la tua lingua. Ti prego. Non risparmiarti. Dammi tutto di te.
Lo prenderei, sai ? Il tuo tutto, e anche di più...
Ma...non hai ancora finito ? Allora anche tu non vuoi smettere. Ti piace.
Allora... sei sadico... è per questo che il tuo pantalone è così gonfio, qui proprio davanti a me ? E io sono masochista ? non so... Ma che piacere sottile... e inciso sulla mia pelle...
"Ti rifaccio questa riga... perché..."
Perché ? Hai capito quanto mi piace ? Grazie. Sei buono. Continua allora. Forse riesci a farmi venire. Mi piacerebbe sai ? Cosa direbbero quelli di là, che stanno aspettando, se ad un tratto oltre al ronzio del tuo ago, sentissero anche l'urlo ? Il mio urlo, quello più forte, e lungo. Quello che stai costruendo sulla pelle del mio povero polso. Lo vuoi ? Vuoi sentire il mio urlo ? E poi che faresti ? Lasceresti ogni cosa...? Smetteresti... per allargare le mie gambe ancora di più ? E affonderesti dentro di me ? Lo vorresti ? O forse è già troppo il piacere che senti nella tua mente mentre mi incidi... incidi il tuo segno su di me ?
"Ti piace ?"
"Sì...è bellissimo...sei stato bravo"
"Posso fotografarti ?"
Puoi fare quello che vuoi, lo sai.
Sei il mio cavaliere, ora... il cavaliere degli aghi.
E asciugami ora. Non posso uscire da qui, tutta bagnata.
"Torna, per ogni eventuale... io sono sempre qui...".
Sono troppo bagnata. Aspetta. Non mandarmi via, adesso, solo perché c'è qualcuno che deve entrare ora, e al mio posto.
"Ciao, ti aspetto allora..."
Esco. Ma piano. E i sogni sono ancora con me.
Sta piovendo una pioggia discreta, e non ho ombrelli da aprire.
Cosa faccio ? Vado subito in auto ? O forse è meglio camminare un po'. Sì magari sulla riva del mare. E' sempre bello in inverno, e con la pioggia tutto sembra più morbido.
La piccola ferita che brucia sotto la fasciatura... non stavo sognando, ora c'è un tatuaggio sul mio povero polso. Povero ? Superbo, come dice il mio amante migliore, "superba giornata amica mia".
E sono bagnata, è vero. E non solo di pioggia. Bagnata di me.
E ho voglia. La reprimo ? Perché...?
Ricordo una volta, da ragazzina...l'amore sulla spiaggia, sotto una barca capovolta. Era sera come ora. E le luci lontane da noi, passavano appena da sotto, giusto per farci vedere le nostre mani che si toccavano. E le risate. "Ci avrà visto qualcuno...? ...e se ci fosse qualcuno qui fuori...?" Nessuna paura allora. Ma adesso ? Mi infilerei sotto una barca capovolta per darmi piacere ? No. E non ci sono più le barche dei pescatori su questa spiaggia. Ora è un porto di lusso. Ma le panchine, quelle sì, ci sono.
Vado più in là, dopo l'ultimo lampione. Quella panchina isolata proprio vicino allo scoglio.
Eccola. Perfetta.
E la pioggia mi aiuta. Questa mano destra, così libera, che mi cerca. Se la lascio entrare sotto lo slip, potrà aiutarmi ? Sì. Penso di sì. Di solito è il mio letto il posto migliore, e meglio sotto il piumone d'inverno. Posso allargare le gambe nude e sentirmi tutta. Riconoscere ogni pelo, e bagnarmi le dita di miele. Ma ora arrivo subito e soltanto alla mia clito. E' qui, proprio qui sotto, e già mi fa male. La scopro, la apro, nel punto più impazzito di tutto il mio corpo. Da lì è impossibile tornare indietro. Quando arrivo su quella punta di piccolo cazzo infuocato, la testa mi scoppia.
E allora, sì. Mi lascio scoppiare.
E' stata una bella giornata.
E qui la pioggia è diversa dal solito. Calda, caldissima tra le mie cosce.
Dedicato ad Alex Tatu, tatuante in Sanremo.
FalcoSirene
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Il sole bruciò il cielo come fosse carta, stropicciandolo e accartocciandolo su se stesso, consumandolo fino a ridurlo in brandelli anneriti. Le sue ceneri si addensarono in cumuli scuri formicolanti di stelle, dalla luce pallida e fredda. La luce delle cose morte, che si sono affievolite fino ad esaurirsi, come le scintille che riverberano dalle braci carbonizzate prima di spegnersi completamente.
Lei guardava la luna dal balcone della sua camera, premendo le scapole contro il muro al punto da scorticarsele. Ma non le importava. Così come non le importava dei suoi piedi scalzi intorpiditi dalle mattonelle gelate. L’oscurità dei suoi occhi pareva sfidare le tenebre di quella notte dal manto logoro, rattoppato con ricordi sbiaditi, profumi dimenticati, lacrime amare e ferite mai cicatrizzate.
La catenina d’argento che stringeva fra le mani le faceva risplendere le dita sottili. I brividi le mordevano la schiena e i polsi le tremavano, quando il suo pollice sfiorava il ciondolo, una piccola lastra incisa. Il suo ultimo regalo. Dio, quanto le mancava. La sua assenza le aveva scavato un buco all’altezza del petto, al quale ruotava attorno ogni giorno, e precipitava al suo interno ogni notte.
Quanto le mancava.
Lo conobbe in un giorno di pioggia. Il caffè dove lavorava era affollato, quel pomeriggio, e lei era totalmente assorbita nel prendere ordinazioni e servire i clienti per accorgersi di lui. E non seppe mai, dei suoi passi incerti e delle sue ginocchia sempre più molli, man mano le si avvicinava alle spalle. Non seppe mai della luce che le screziò le iridi verdi, quando la vide dalle vetrate del locale. Non vide l’istante esatto in cui lui si innamorò di lei. “Ciao... potrei ordinare?” La sua voce era avvolgente e densa come miele, e la sensazione di calore che le provocò le restò appiccicata alla pelle. Si voltò. Lei non credeva all’amore a prima vista, ma c’era qualcosa in lui, nella curva della sua mascella, nel modo in cui i suoi capelli scuri si arricciavano prima di ricadergli in morbide onde sulla fronte, che le asciugò la bocca, e le fece balbettare il cuore. “Certo, siediti dove preferisci e qualcuno verrà a servirti appena sarai pronto”, gli rispose, cercando di ricambiare il suo sorriso, ma le sue labbra divennero goffe e impacciate, e inciamparono e ruzzolarono prima di riuscire ad incurvarsi verso l’alto.
“Veramente... non voglio essere servito da qualcuno. Vorrei venissi te a prendere la mia ordinazione” malizia e qualcosa che non seppe decifrare gli modellarono il volto come fosse cera fusa.
“Perché?” la sua domanda era un sussurro. La timidezza le strinse con forza le sbarre della sua gabbia attorno al corpo. Lei, che aveva imparato a farsi piccola e ad abbassare lo sguardo mentre camminava. “Perché” rispose lui, sedendosi nel primo tavolo libero alla sua destra “così avrò una scusa per poterti parlare”. Le sue parole le scaldarono le guance e le infiammarono le ossa, le vene, il sangue. Cercò di respirare profondamente, ma le sembrava di avere la gola piena di bambagia. Come se si stesse risvegliando da un sogno, raddrizzò le spalle e alzò la testa. La voce ferma. “Non mi é permesso chiacchierare sul posto di lavoro”. Le sue labbra si dispiegarono nello stesso sorriso che la primavera rivolge alle piante per farle fiorite “allora aspetterò la fine del tuo turno.” Lei non vacillò “il mio turno copre tutto il pomeriggio, oggi” lo avvertì. “Allora, attenderò fino al tramonto”.
I minuti si trascinarono pigramente gli uni sugli altri, ma alla fine smise di piovere, il sole si sciolse all’orizzonte, allungando le ombre sempre più scure. I lampioni si accesero e le ordinazioni diminuirono. E anche il suo turno terminò. E lui, lui era ancora lì. L’aveva aspettata. E nel dimostrarle che sapeva attenderla e darle il tempo di rielaborare le sue emozioni, decise di uscire dal caffè assieme a lui. Camminarono cosi vicini da sfiorarsi i gomiti, le loro voci un sussurro. Divennero due ombre che si fusero con l’oscurità imminente della notte. La luna li spiò, e quando lei rivolse lo sguardo a quella falce bianca, le parve che persino il cielo stesse sorridendo.
Quella fu la prima di molte altre notti. Perché da quel giorno, lui non mancò mai di presentarsi al caffè poco prima che lei finisse il turno. “Non potrò mai essere troppo impegnato per non poterti vedere. Nella mia vita ci sarà sempre spazio per te. Sempre”.
Lei non voleva innamorarsi, davvero. Era terrorizzata da quanto si sentisse fragile e vulnerabile in sua compagnia, perché quel maremoto che lui le provocava e che le sconquassava lo stomaco, il petto, la testa, lei non era in grado di controllarlo, e ne era completamente in balia. Aveva paura. Paura di dipendere così tanto da qualcuno. Lei non voleva innamorarsi, davvero. Ma lui iniziò a farla ridere. E incominciarono a confidarsi i loro sogni. Lei gli rivelò le sue paure, e lui non la fece mai sentire debole, così come non la sminuì una sola volta, quando lei le confidò i suoi errori. E quando lui le mostrò i lati più scuri e tristi del suo carattere, del suo passato, al posto che fuggire, lei lo abbracciò con più forza, come se tutto quel tumulto di emozioni che provava per lui potessero sanare ogni sua ferita, ricucire ogni suo strappo. Lei non voleva innamorarsi. Ma lui la faceva sentire così capita, così compresa, come se ogni suo pensiero valesse la pena di essere ascoltato. La faceva sentire importante. Per lui, lei era importante. Lei non voleva innamorarsi. Ma l’amore di lui seppe sgretolare ogni sua barriera, ogni muro che si era alzata, sciogliendo le sue ansie e le sue paranoie come neve al sole. E alla fine, lei si lasciò travolgere da quei sentimenti dolci, impetuosi e sinceri.
Lui, che le insegnò a sussurrare alla luna e a cercare il suo nome nelle costellazioni. Che le svelò quanto fascino si cela nelle tenebre e nel silenzio della notte. Lui, che pareva essere un frammento di quella stessa notte di cui era tanto innamorato. Una stella cadente. La sua stella cadente. “É tornato a casa” si soleva ripetere i primi giorni, dopo la sua scomparsa. “É tornato a casa” si ripeteva ogni sera fissando la luna, e ogni parte di cielo le ricordava lui. E non si sentiva più sola. Lui. Che per il suo compleanno le regalò una bellissima catenina d’argento. La stessa che si stava rigirando fra le mani. Nel ciondolo, una piccola lastra anch’essa d’argento, erano state incise in un’elegante grafia le fasi della luna. Un debole sorriso le emerse dalle labbra, increspandole di nostalgia il volto. “Tu sei la luce per la quale le persone sono disposte a sopportare le tenebre. “
Si amarono per molto, molto tempo. Mesi. Anni. Ma innamorarsi di qualcosa che anche la morte può toccare, é pericoloso. Venne strappato dalla sua vita alla stessa velocità con cui si recidono le rose dai giardini. Ora, le loro polaroid sono sbiadite, e le felpe che continuava a custodire gelosamente nell’armadio avevano perso ogni traccia del suo profumo. E non poteva fare a meno che pensare che anche lui stava marcendo, stava putrefacendo, e che il tempo avrebbe continuato a consumarlo, logorandolo fino a quando non lo avrebbe ridotto in polveri sottili, e sarebbero scivolate via dalle sue dita come granelli di sabbia, e a quel punto lei avrebbe perso ogni parte, anche quelle più piccole, di lui. Per sempre.
Ma quella notte la luna brillò con maggior splendore, ricordandole che lui era una stella, e che era tornato a casa. E lo avrebbe ritrovato sempre, ogni volta che avesse alzato lo sguardo. Non avrebbe mai smesso di vegliare su lei. Mai.
Lei ora fissava la luna. E la luna fece risplendere qualcosa dentro la sua stanza. La scatolina della sua collanina. Il suo ultimo regalo. Riluceva come uno specchio d’acqua sulla sua scrivania. Entrò giusto il tempo per prenderla. Se la rigirò fra le mani. Aprì il coperchio. Nulla. “La luna mi sta parlando. Certo. Sono diventata completamente pazza. “ Se la rigirò ancora una volta fra le mani. Niente. Alzò la spugnetta che occupava la parte bassa del contenitore. Un pezzetto di carta ripiegato più volte su se stesso. Il cuore che iniziò a balbettarle in petto. Il corpo un fascio di nervi . Dispiegò la carta lentamente. C’era la sua grafia, e all’improvviso le parve di respirare il suo profumo e di percepire il calore che emanava la sua pelle. c’era scritto: “ Amore, promettimi che quando guarderai la luna, da questa sera e da quelle che varranno, ti ricorderai che, proprio come la luna, tu sarai sempre un intero, a dispetto della fase che stai attraversando.”
Guardò la luna. E qualcosa di duro e spigolo dentro al petto scoppiò in una miriade di coriandoli che le solleticarono l’anima. Non sapeva se il dolore della sua assenza avrebbe mai smesso di toglierle la fame, il sonno, il respiro. Non sapeva se sarebbe mai stata in grado di amare qualcun altro. Se avesse mai ritrovato la forza di sognare ancora. E il coraggio per realizzare i suoi progetti. Ma di certo, ora, sapeva da dove iniziare per tornare a vivere; avrebbe incominciato dall’amare se stessa.
-Alessia Alpi, scritta da me
(-volevoimparareavolare on Tumblr)
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xsavannahx987 · 3 years
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- Dove sei? - cap. 7
"Le ossa si rompono, gli organi cedono, la pelle si lacera. Possiamo ricucire la pelle e riparare il danno, alleviare il dolore. Ma quando la vita va in pezzi, quando noi andiamo in pezzi, non c’è una scienza, non ci sono regole scritte, possiamo solo camminare a tentoni." GREY'S ANATOMY
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Abbracciato al cuscino di un letto complice, Cullen era totalmente all'oscuro di ciò che stava avvenendo fuori dalle mura dell'appartamento in quel quartiere pittoresco. Una grossa perturbazione si era spinta dalle coste, del tutto imprevista, e aveva portato ulteriore neve in una città già in ginocchio a causa dei disagi creati da quella caduta i giorni precedenti. I mezzi spargisale erano in attività già da qualche ora per limitare gli incidenti stradali, mentre si susseguivano le telefonate al numero delle emergenze per segnalare alberi caduti sotto il peso della neve, persone ferite e interruzione della rete elettrica. Anche il quartiere dove Helena risiedeva subì i disagi del maltempo. Alcune tubature scoppiarono a causa delle forti gelate, creando veri e propri specchi d'acqua agli angoli delle strade che, in breve tempo, si trasformarono in lastre di ghiaccio spesse almeno un paio di dita. La corrente elettrica subì un'interruzione attorno alle 2 del mattino e l'impianto di riscaldamento andò in blocco. Cullen si ridestò a causa dei brividi di freddo, essendosi addormentato diverse ore prima totalmente nudo. Chiamò il nome di Helena diverse volte prima di rendersi conto che fosse notte e che con tutta probabilità, la cacciatrice stava facendo il suo lavoro. Il profumo della ragazza era ancora intenso sulla sua pelle, memore degli istanti di passione che li aveva visti protagonisti. Respirò a pieni polmoni quell'inebriante balsamo e si alzò in piedi, camminando nell'oscurità della stanza alla ricerca dei suoi vestiti.
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Si vestì in silenzio rischiarato da alcune candele tremolanti che aveva trovato in un cassetto della cucina. L'orologio al polso segnava le 3 e lui era intenzionato a raggiungere Helena nel piccolo borgo di Forgotten Hollow. Stava per uscire dall'appartamento quando un foglietto sul mobile all'ingresso attirò la sua attenzione. "Chiudi a chiave quando esci. Se non dovessimo trovarci a Forgotten Hollow passerò all'Organizzazione non appena finita la ronda, a meno che tu non voglia farti trovare come ti ho lasciato" e si chiudeva con una faccina sorridente. Cullen non potè fare a meno di sorridere di rimando. Si infilò il biglietto in tasca e afferrò le chiavi, chiudendosi la porta blindata alle spalle.
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Arrivò a Forgotten Hollow che la luna aveva iniziato a scendere dietro le alte montagne innevate. Il silenzio regnava sovrano per le vie della piazza centrale segno che ormai, probabilmente, tutti i vampiri si erano già ritirati per sfuggire alla luce del giorno. Camminò alla ricerca della cacciatrice, scrutando ogni angolo per scovare qualsiasi indizio lo conducesse da lei. Vagò a lungo senza incontrare anima viva, o morta e pensò di fare marcia indietro e dirigersi verso Tiamaranta's Fortress, sperando di trovare Helena una volta varcato il grande cancello di ferro. Un rumore di passi alle sue spalle però attirò la sua attenzione. Erano pesanti, per nulla aggraziati come quelli di una donna, e si facevano sempre più vicini e minacciosi. Il comandante afferrò istintivamente il paletto che teneva nascosto in una tasca interna del cappotto e si preparò a voltarsi. "Ma che onore! Deve essere la mia notte fortunata!" annunciò il vampiro quando fu a pochi passi da Cullen. "La cacciatrice e il comandante in una sola volta! Vorrà dire che mi divertirò un pò anche con te". In quelle parole il comandante recepì il tono di sfida, ma al contempo una velata minaccia all'incolumità di Helena. "Che cosa le hai fatto?" domandò di scatto voltandosi e fissando il vampiro con aria torva. Gli occhi rossi della creatura brillavano al ricordo di ciò che era avvenuto qualche ora prima, di come il branco aveva massacrato di botte l'inerme cacciatrice e di come la rossa avesse concluso il lavoro. "La cacciatrice ha ricevuto il trattamento che meritava" rispose il vampiro mettendo in mostra i canini in un sorriso beffardo.
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La rabbia di Cullen crebbe alla prospettiva che Helena potesse essere gravemente ferita da qualche parte e stesse solo aspettando il suo aiuto. Si scagliò contro il mostro con tutta la forza del suo corpo, resa ancor più grande dalla scarica adrenalinica innescata dalla furia. Non possedeva la forza della prescelta, ma aveva dalla sua anni di esperienza sul campo e l'addestramento ricevuto prima nell'esercito e poi dall'Organizzazione stessa che avevano affinato i suoi riflessi e temprato il suo spirito. Il primo pugno si infranse contro la pelle marmorea del vampiro che barcollò all'indietro prima di riprendere l'equilibrio e gettarsi di peso contro il comandante. Lottarono a lungo e la creatura tentò più volte di bloccare i movimenti di Cullen per azzannarlo al collo e ucciderlo con un morso, ma lui era veloce e riusciva a schivare i suoi affondi. "E' facile prendersela con una donna, non è vero? Non sei poi tanto forte contro un uomo della tua stazza!" lo schernì asciugandosi una goccia di sangue che gli usciva dal lato della bocca, dove un cazzotto era andato a segno. Indispettito da quella constatazione, il vampiro tentò un altro affondo, più violento e deciso a porre fine alla vita del suo avversario. Intanto il cielo iniziava a rischiararsi e le ombre della notte si accorciavano per far posto alla luce dirompente dei primi raggi del sole. Gli occhi rossi del mostro saettarono verso il cielo, conscio che il tempo a sua disposizione stava per scadere e avrebbe dovuto ritirarsi in fretta per non morire bruciato. Quella distrazione gli fu comunque fatale, perchè Cullen ne approfittò gettandolo a terra sotto il peso del suo corpo.
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Il paletto si sollevò sopra le loro teste, avviluppato nella mano del comandante, lo sguardo carico d'odio. "Dimmi dov'è! Dov'è la cacciatrice? Che cosa ne hai fatto?" domandò furente e pronto a trafiggergli il petto. Il vampiro rise di gusto senza proferire parola. "Dov'è?!" chiese ancora Cullen, ma il mostro si rifiutò ancora di fornirgli una risposta e continuò a ridere, conscio che il responso sarebbe morto con lui. E così fu. La punta del paletto di legno andò ad infrangersi tra le costole del vampiro che esplose in una nube polverosa.
"Devo trovarla" pensò Cullen rialzandosi in piedi. Vagò di nuovo tra le strade del borgo, sempre più luminose sotto quel cielo più chiaro ogni minuto che passava. Nessuna traccia di passi sulla neve, come se qualcuno avesse volutamente ripulire il terreno. Giunse al di sotto della alta collina, dove iniziava la strada che conduceva alla dimora del conte Straud, nel fitto bosco che la nascondeva agli occhi, sempre avvolta in una mistica nebbia che ne avviluppava i contorni rendendoli sfocati.
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E fu allora che la vide. Luccicava sotto un grande pino dalle fronde che toccavano quasi il terreno, il ciondolo che Helena portava sempre al collo. La catenina era spezzata, segno che qualcuno gliela aveva strappata e il cuore dorato era aperto, mostrando a tutti il suo contenuto. Il volto di una donna di circa 45 anni sorrideva sotto una chioma fluente, dello stesso colore dei capelli di Helena. Accanto c'era una dedica, incisa nel metallo "Buon 18esimo compleanno Helena. La tua mamma". Cullen strinse quel ciondolo contro il petto e sentì il cuore andargli in frantumi. Della cacciatrice non c'erano altre tracce.
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"Dove sei" sussurrò mentre il dolore iniziò a crescere dentro di sè al pensiero di averla persa per sempre. Si ridestò quando un barlume di speranza tornò a brillare nel suo animo. Forse Helena aveva già fatto ritorno a Tiamaranta's Fortress e non si era accorta di essersi persa la catenina durante la lotta. Probabilmente stava bene e le sue paure erano prive di fondamento e, magari, lo stava aspettando al caldo e al sicuro tra le mura del castello.
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Si alzò in piedi spinto da quella nuova speranza e corse verso Brindleton Bay mentre il sole faceva la sua comparsa scacciando via per qualche ora i vampiri dal mondo.
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laraduradigaia · 4 years
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VISUALIZZAZIONE CREATIVA: LA SIGNORA DELLE SELVE
Nell’antica Roma in questi giorni si celebravano i Nemoralia, la festa della Grande Dea Diana che si svolgeva principalmente nel suo magnifico Santuario sulle sponde dell'incantato lago di Nemi, vicino Roma. La festa era una delle più importanti del calendario e coinvolgeva tanto i romani tanto le popolazioni italiche che da essi vennero man mano inglobate rappresentando un momento di incontro nella comune devozione verso questa antica Dea.Diana è la Dea della Natura selvaggia, degli animali (e quindi anche della caccia), dei cani, della luce che filtra tra le fronde boschive e in seguito anche della Luna. Dalla sua festa hanno origine le ancora perpetuate tradizioni e festeggiamenti di ferragosto. Ricordiamo Diana e la festa, perché farlo è onorare le nostre radici, il nostro sangue e tornare ad una spiritualità incentrata sulla Natura. VISUALIZZAZIONE GUIDATA: LA SIGNORA DELLE SELVE (si consiglia di registrare la visualizzazione leggendola ad alta voce e poi riascoltarla per lasciarsi guidare dalla stessa propria voce)Mettiti in una posizione comoda e prendi tre profondi respiri. Chiudi gli occhi e continua a respirare lentamente e profondamente. Lasciati alle spalle tutte le preoccupazioni della vita quotidiana. Osserva lo schermo nero dietro le tue palpebre e visualizza il colore verde. Immergiti in questo colore, camminaci e nuotaci dentro... fino a che davanti a te non appare una porta fatta di legno grezzo, con una falce di Luna Crescente incisa sopra.Prendi un profondo respiro e apri la porta. Entra dentro e osserva lo scenario che si palesa davanti a te: sei in un bosco molto fitto e rigoglioso con alberi di diverso tipo. Ci sono querce, faggi, lecci, sugheri... Cammina tra gli alberi e osserva le foglie, la corteccia, la luce filtrare dalle chiome. Improvvisamente senti il rumore dell'Acqua e ti accorgi che ti stai avvicinando ad un torrente. Cammini e ti avvicini alla riva. L'acqua è limpida. La tocchi. Senti la sensazione di freschezza sulla pelle. Istintivamente ti togli i vestiti e fai il bagno nel torrente. Lascia che l'acqua fresca porti via ogni pesantezza e impurità del corpo, della mente e dello spirito.Lascia indietro i tuoi vestiti e, uscendo sull'altra sponda del torrente, prosegui nudo/a nel bosco. Senti i rami, i sassi e le foglie che incontri sotto le piante dei piedi, senti il vento accarezzare la tua pelle nuda e giocare con i tuoi capelli sciolti... C'è un rumore nel bosco, un fruscio che si avvicina. Ti fermi ad osservare. Un grande Cervo bianco si sta avvicinando nella vegetazione. Si avvicina sempre di più e tu osservi le grandi e lunghe corna, il suo manto splendente, le sue zampe eleganti e robuste.Il Cervo ti guarda dritto negli occhi e ti sembra di sentire una voce dire "Seguimi". Il grande animale comincia a correre velocissimo nella direzione in cui era venuto e così decidi di seguirlo anche tu. Corri veloce come il vento nel bosco inseguendo il Cervo, ti senti libero, curioso e gioioso. Quando perdi di vista il Cervo ti rendi conto che stai arrivando in una grande radura. Al centro della radura c'è una roccia piatta che risplende di uno strano bagliore. Ti avvicini... senti e sai di non essere solo. Chiudi gli occhi per sentire meglio ciò che avverti... e quando li riapri lei è davanti a te, sopra la roccia,in tutta la sua magnificenza: la Dea Diana. Osservala attentamente, come ti appare? Indossa qualcosa? Come sono acconciati i suoi capelli? Qual'è l'espressione sul suo volto?Con parole tue ringrazia la Dea per i suoi molteplici doni: la misteriosa bellezza dei boschi... le meravigliose creature che li abitano... i frutti selvatici che da sempre nutrono uomini e animali, la luce della Luna, l'acqua che sgorga dalle torrenti, le erbe medicamentose...Forse la Dea deciderà a sua volta di risponderti con i suoi saggi consigli, rimani per qualche momento in ascolto ricettivo...Diana ti sorride e prende una freccia d'argento dalla sua faretra:" Ti faccio dono della mia benedizione:Una freccia d'argento che non manca mai il bersaglioMira bene e, per mio volere, il vento ti sarà amico: raggiungerai ogni tuo obiettivo." Accetti il dono con immensa gratitudine e ti inchini alla Dea. Quando ti rialzi Diana è scomparsa. Ora è il momento di ripercorrere la strada all'indietro passo dopo passo: corri nel bosco verso il torrente con la freccia d'argento in mano, attraversalo, indossa di nuovo i tuoi vestiti, cammina tra gli alberi sino alla porta di legno con incisa la falce di Luna crescente..Aprila. Attraversala. Sei di nuovo nell'immenso mare di colore verde. Respira profondamente e riprendi contatto con il tuo corpo e con il qui ed ora. Apri e chiudi gli occhi, le mani, muovi i piedi.Bentornato, ricorda sempre che da ora la benedizione di Diana è con te.Immagine: Diana come rappresentazione della Notte, A. Mengs
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fenice-araba · 4 years
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Chat archiviata.
Quando sei uscita dalla mia vita ho smesso di entrare nelle nostre chat, nonostante non sia mai stata in grado di cancellarle rinunciando a tutti quei ricordi. Ho smesso di ascoltare la tua voce, di guardare il tuo viso, ogni videochiamata su skype faceva scorrere sempre più in basso la tua chat a dimostrazione di quanto ci stessimo perdendo ogni giorno di più. Ho creduto in ciò che stavamo faticosamente costruendo, in noi, in quello che avevamo condiviso. D’un tratto, poi, senza riuscire a realizzare nemmeno cosa stesse accadendo, tutto è scomparso. Mi sono rimaste centinaia e centinaia di conversazioni, 39 messaggi importanti, decine di foto sparse, un libro, un quaderno a cui ho aggiunto la fine, una maglia e qualche altra cosa che ho chiuso in un cassetto. Sono partita, tornata, mi sono dedicata anima e corpo a tutto il possibile pur di non far cadere nemmeno un pensiero su di te. È così difficile smettere di pensare, forse ancor di più che smettere di amare. Sono riuscita, oggi, a spostare sul computer ogni foto raccolta nella cartella “Tu.” senza riuscire ad aprirle. Non sono capace di accettare ma sono capace di lasciare andare. Sono ormai brava a nascondermi dietro le quinte, l’ho fatto così tante volte. L’altra sera ho riletto tutto di quella chat archiviata, tutto, e ogni parola era un colpo al cuore, ogni frase un pugno allo stomaco. Quante parole, quante, e quanto amore tra quelle righe. Non avrei dovuto rileggere cosa siamo state, ma ogni giorno è un nuovo giorno ed ogni mattina mi sveglio con la consapevolezza che non ero abbastanza. Avrei voluto avessimo una chance, avrei voluto che le parole di quei messaggi risuonassero ancora nell’aria e nella tua testa. Non ho mai voluto convincerti e questo lo sai bene, studiando giurisprudenza potrei parlare ore ed ore usando le migliori tecniche per “vendermi” al meglio e riportarti a me. Ma ciò che ho sempre voluto sapessi è che starmi accanto significa essere legate in libertà. Dopo aver archiviato la tua chat e aver eliminato ogni nostra foto da questo telefono io ci sto provando, ci provo a vivere al meglio cercando in ogni momento la forza per farlo. Ma comunque il mio cuore continua ad urlare che tu eri e resti la donna della mia vita e questo non posso cambiarlo. Convivo con la consapevolezza che hai scelto di lasciare la mia mano e di proseguire da sola. Ma tu resti incisa dentro di me, sulla pelle e nell’anima. Mi resti addosso pur non ricordando più il tuo odore. Mi continui a scorrere nelle vene come un veleno di cui sei l’antidoto, ecco perchè sono fottuta. Ma sto bene. Va bene così. Spero che tutto questo abbia un senso, la tua felicità.
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pezzi-rotti · 5 years
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La vita...
Fa cagare !
Distrugge ,
Consuma ,
Brucia sulla pelle ,
Lascia cicatrici che non posso svanire .
E il dolore....
Quello lacera ,
Lacera dentro ,
E lo senti ,
Fin dentro le ossa .
Notti insonne ...
Per cosa?
Per quelle fottute voci che ti dicono quanto cazzo sei sbagliata?
Lo so già !
Ho la parola "sbagliata" stampata in fronte .
Incisa ,
Come se fosse arma da fuoco .
La porto
Con rabbia ,
Paura,
Rancore ,
Ma sapessero le persone quanto dolore provo.
Ma a chi importa in fondo?
Non importa neanche a me di me stessa.
Come potrebbe importare agli altri ?
Sono un fottuto casino .
Fatto a pezzi ,
Che cerco di ritrovare
Nella penombra della mia anima corrotta.
E i restanti pezzi?
Quelli ho paura di toccarli,
Non ho il coraggio di guardarmi dentro un istante.
Mi fa paura !
E quelle lacrime ....
Quante ne ho versate ?
Per?
Nulla !
Nessuno!
Rimarrò morta!
Perché se non mi salvero da sola ...
Nessuno lo potrà mai fare.
@pezzi-rotti
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pausa. silenzio che rompe i bordi, che distrugge i limiti, spezzato dal suono dei nostri baci, lievi, suadenti. pausa. silenzio. io sussurro sulle tue labbra le paure di una vita, ti disegno il mio amore sulla pelle un po’ ferita. poi ti stringo per tutte le notti in cui non l’ho potuto fare, sconfinata in un letto lontano dal tuo, nel dolore della distanza, breve ma appare - ai miei occhi - troppa.
pausa. silenzio. il sole ci accarezza i capelli, il viso e gli occhi, i tuoi splendono e io li memorizzo nella mia mente, perché così voglio ricordarti, in una giornata di primavera calma e sincera, senza pressioni, rumori, orari non rispettati, treni non presi.
voglio averti così
anzi
voglio averti in tutti i modi, in tutte le stagioni, in tutti i 12 mesi dell’anno, di questi e dei prossimi, con la tua risata bianca, cristallina, vera, genuina. trascende il concetto di perfezione, sul tuo volto,
sei poesia non scritta
ma incisa da sempre
per sempre tua, M
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tuaccendiedioscrivo · 5 years
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In questi anni della mia vita ci sono state tante cose che mi hanno permesso di essere felice e altre che mi hanno permesso di essere triste  e cosi sono cresciuta. Ricordo ancora il mio primo grande dolore, 13 ottobre 2013 come dimenticare questa data, mi sono sentita annientata, quel giorno un pezzo del mio cuore è volato via con te. Penso sempre a mia nonna, in qualsiasi momento della mia vita, la ritrovo in ogni cosa bella che faccio, ad oggi vorrei tanto poter ricevere un suo abbraccio, vorrei sapere cosa pensa di me, vorrei sapere se condivide le mie scelte e se quello che sto facendo è giusto. Se ripenso a tutto quel dolore che abbiamo vissuto nel 2013 non riesco a credere che ancora ad oggi ognuno nelle nostre piccole imperfezioni continuiamo a tenerci la mano ogni giorno della nostra vita. Ripenso al 2014, al mio eterno disagio, alla mia volontà di cambiare ma non riuscirci, ripenso al mio sentirmi inutile, non apprezzata, non all’altezza, ripenso a tutti i no, a tutte le offese che mi sono entrate in nelle orecchie che si sono fissate lì dentro la testa e che mi hanno permesso di cambiare, ma non per le persone ma per ME STESSA. Ripenso al 2015, al mio anno preferito, la mia rivoluzione, nel 2015 sono rinata un’altra volta. Ho vinto una battaglia che combattevo da tempo, ho acquistato sicurezza, sono diventata tutto quello che desideravo e qualcuno mi ha rubato il cuore cosi all’improvviso. Ripenso alla mia famiglia, alla felicità di essere tutti insieme in quel giorno tanto speciale.. Ripenso al 2016, alla mia non voglia di studiare, alla mia vita che sembrava così bella solo perché mi sentivo amata, accettata e per la prima volta nella mia vita bella. Ripenso a quel 6 agosto 2016, alla tua partenza, al dolore che mi ha lacerato il cuore un’altra volta come quel maledetto 13 ottobre 2013, ripenso al mio addio per te, ripenso al tuo ultimo messaggio, ripenso alle ultime parole che mi hai detto, al tuo non essere all’altezza quando invece tu sei sempre stato ALTEZZA DI TUTTO.  Ripenso all’ansia di quel esame, ripenso ai libri che mi hanno salvato la vita, ai miei libri che sono stati la mia dimora, ripenso alla nuova me, che nel dolore in quel 2016 è rinata un’altra volta. Ripenso al 2017, al mio addio per te, ma che addio non è mai. Ripenso un’altra volta ai miei libri, alle poesie di Pablo Neruda, ripenso a me, al mio nuovo cambiamento, alla mia voglia di imparare, migliorare e recuperare. Ripenso al  10 dicembre, al tuo ritorno, alla tua nuova partenza, ripenso a me, al muro che mi ero costruita e che si è distrutto mesi dopo un’altra volta perché quando si ama una persona la distanza non esiste. Ripenso a mia zia, al suo ritorno dopo 4 anni, al suo abbraccio, ripenso alla mia famiglia che comunque vada amo alla follia.  Ripenso ai miei successi scolatici, ripenso un’altra volta ai miei libri, ripenso a mia nonna che mi manca con tutta la mia vita, ripenso a me, al mio cambiamento, ripenso al tuo ritorno, alla tua sigaretta, al tuo sguardo, al mio cuore che batte, alle canzoni che ti ho dedicato, ripenso a te che sei l’unica forza che ho, ripenso alla tua partenza, ripenso a quel giorno che ti ho visto andare per l’ultima volta e che non sei più ritornato per quasi un anno e mezzo. Ripenso alla tua nuova vita, ripenso alla mia vita senza di te. Ripenso al 2018 che ho amato, alle mie nuove amicizie, ripenso un’altra volta ai miei libri, ripenso alla mia febbre per capodanno, ripenso ad Alessia, Silvia, Helena, Francesca, Carmen, Erica, Simona e Sara loro che hanno reso il mio 2018 bellissimo. Ripenso a Gemma e Giorgio, grazie a loro ho conosciuto ragazze fantastiche. Ripenso al mio sogno, ripenso a Firenze, l’emozione di essere lì, l’emozione di poter ammirare tutta quella bellezza con la tristezza però di non essere con le persone con chi avrei voluto essere. Ripenso all’odio che avevo in quel periodo verso il diritto del lavoro e l’amore che provavo per la letteratura italiana e francese. Ripenso ai miei 18 anni, senza mia nonna, ripenso un’altra volta a mia nonna. Ripenso a quel giorno ai templi, ripenso a quelli che oggi sono delle vecchie amicizie ma che un po’ mi mancano. Ripenso al 2019, che nel bene e nel male sta arrivando al termine, ripenso al primo ultimo giorno di scuola, ripenso la prima visita al tribunale, ripenso ai miei libri, ripenso alla mia scelta, poi penso a  Giovanni Falcone e spero di diventare come lui, ripenso poi ai miei libri, ripenso un’altra volta a Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, ripenso al loro amore che ormai è diventato eterno, ripenso alla strage del 23 maggio 1992 a Capaci e mi chiedo come l’essere umano possa essere così vigliacco da uccidere un suo fratello solo per corruzione, penso ai 57 giorni di Paolo Borsellino, penso alla sua famiglia, Agnese, Lucia, Manfredi, Fiammetta e mi chiedo come una famiglia possa accettare tutto questo? Penso alla strage del 19 luglio 1992 via D’Amelio, penso allo Stato che non ha fatto nulla e ho rabbia, rabbia perché NON SI PUO’ MORIRE COSI. Penso a Rocco Dicillo, Antonino Montinaro, Vito Schifano, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddi Cosina, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli, penso a tutti i servitori dello Stato che non avuto paura di morire. Ripenso a Falcone e Borsellino, grazie perché grazie alla vostra storia, al vostro lavoro, al vostro impegno so in quale parte voglio stare. Grazie perché anche se già sono 27 anni che non ci siete più, le vostre idee continuano ancora a camminare nelle gambe di tutti noi siciliani onesti. Ripenso ai miei vecchi sogni e mi rendo conto di quanto sono cresciuta. Ripenso a mio padre, al suo essere cosi riservato, al suo essere dolce e ma anche severo, ripenso al suo lavoro che occupa gran parte delle sue giornate, ripenso ai suoi sacrifici, ripenso a tutti i suoi si e mi rendo conto di essere fortunata di averlo come padre. Grazie perché mi hai insegnato ad essere onesta e guadagnarmi tutto con il mio proprio sudore. Ripenso a mia madre che da quando sono nata non ha fatto altro che prendersi cura di me, che mi ha sempre detto di si a tutto, che mi ha protetta, sostenuta e elogiata, alla persona che ogni volta che qualcosa va storto si abbatta ma poi si riprende come una forza della natura, ripenso a mia madre e alle sue lacrime per la mancanza dei suoi genitori che ogni volta mi spezzano il cuore perché mi sento impotente senza poter far nulla. Vorrei tanto renderti felice e orgogliosa di me, comunque vada la mia vita, mammina mia sappi che sei la persona che più amo e che non smetterò mai di ringraziare. Ripenso a mia sorella, al suo voler proteggere la sua piccola sorellina che ormai è crescita, ripenso alla nostra complicità, ripenso ai nostri litigi che riempiono le nostre giornate, ma sei l’unica persona che mi capisce e comprende. Amo il tuo essere diversa perché al giorno d’oggi i valori che tu hai non li possiede nessuno e se ogni tanto ti dico che io la tua vita non la vorrei mai vivere, non è una cosa negativa , ma è solo che io ho fatto scelte diverse.  Ti voglio bene e grazie per essere mia sorella, non ti cambierei per nulla al mondo. Ripenso ancora una volta a mia nonna, alla donna che mi ha cresciuta, alla donna che mi ha amato, alla donna che io ho amato, alla ragione della mia vita che mi manca più di ogni cosa. Ripenso ai suoi abbracci, ai suoi baci, al suo modo di essere, alla sua gentilezza, al suo essere buona sempre con tutti, al suo amore. Ripenso al suo passato, alle sue sofferenze che avrei voluto passarle io e non lei, ma io non sarei stata all’altezza. Nonna sono così fiera di te. Sarai incisa per sempre nel mio cuore come sulla mia pelle Abuela. Ripenso a mio nonno, il padre di mia madre, che non ho conosciuto perché è andato via troppo presto, ma che ho conosciuto grazie ai racconti di mia mamma e dei miei zii, sappi che sono fiera di te, sono orgogliosa di come ti guadagnavi il pane.  Sono fiera di somigliarti, me lo dicono tutti. Sai Nonno, da sempre mi sono sentita un po’ vuota perché mi sei sempre mancato. La vita con me è stata ingiusta perché anch’io mi meritavo di conoscere un GRAN UOMO COME TE. Ripenso alla mia famiglia, ai miei zii, ai miei cugini che amo follemente. Ripenso a mio nonno, il padre di mio padre, che ad oggi non c’è più, ripenso a quell’unico abbraccio che mi ha dato in quel giorno così brutto, ripenso ai pranzi e alle cene di capodanno, ripenso alle giocate a carte, ripenso a tutto quello che hai passato e mi dispiace così tanto e a volte vorrei solo piangere perché un uomo non può soffrire così prima di morire. Ho passato solo poco tempo con te a causa della distanza, mi manchi..   Ripenso alle mie amiche che mi sono sempre state accanto in ogni momento della mia vita, ai giorni passati con loro, alla fortuna di avere delle amiche come loro che in questi anni mi hanno permesso di essere sempre felice e di avere una spalla dove potermi appoggiare per sempre. Grazie senza di voi la mia vita non sarebbe la stessa.  Ripenso a te, che mi hai cambiato la vita al meglio, a te che non sei qua vicino a me ma che ti ho sempre nel cuore. Ripenso a tutte le persone che ho incontrato in questa mia vita. Grazie perché ognuno di voi mi ha permesso di cambiare. Un grazie va a i miei professori che nella mia vita sono stati dei pilastri, perché mi hanno insegnato ad avere sete di sapere e che hanno contribuito alla mia formazione, senza di loro ad oggi non sarei la stessa. Un grazie va alle miei compagne che in questa mia nuova avventura non ci saranno e che mi mancheranno tantissimo. Un grazie va a me, per la mia costanza, per la mia voglia di conoscere, scoprire  e rivendicare. Che la mia vita possa contribuire a smuovere le coscienze delle persone. Un grazie va a Dio che mi permette ogni giorno di svegliarmi, di vivere, apprendere, studiare, avere una famiglia che mi ama come io amo loro. Mi auguro che un giorno il mondo possa ritrovare l’umanità e vivere pacificamente senza più crudeltà, sofferenza, corruzione ma soprattutto senza più INVIDIA. Amate, amate voi stessi e amate gli altri, amate la diversità, amate e sostenete chi fa la differenza, chi si batte per un ideale, chi vuole migliorare la società, siate curiosi, DOCUMENTATEVI, combattete l’ignoranza e ragionate con la vostra testa, ma ricordatevi che siamo tutti uguali.
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em420sblog · 1 year
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19/02/2023. CHIARO DI LUNA
Proverò a pensarti mentre mi sorridi
la capacità che hai di rasserenare
mi hai insegnato cose che non ho imparato
per il gusto di reimparare.
ogni giorno mentre guardo te che vivi
e mi meraviglio di come sai stare
“vero” dentro un tempo tutto artificiale
“nudo” tra le maschere di carnevale
luce dei miei occhi, il sangue nelle arterie
non c’è niente al mondo che mi deconcentri
non c’è cosa bella dove tu non centri.
Dicono “finiscila con questa storia di essere romantica fino alla noia“
certo hanno ragione, è gente intelligente
ma di avere ragione non mi frega niente
voglio aver torto mentre tu mi baci
respirare l’aria dalle tue narici
come quella volta che abbiamo scoperto
che davanti annoi c’era uno spazio aperto.
che insieme si può andare lontanissimo
guardami negli occhi come fossimo complici
di un piano rivoluzionario
un amore straordinario.
e non esiste paesaggio più bello della tua schiena
quella strada che porta fino alla tua bocca
non esiste esperienza più mistica terrena
di ballare abbracciata con te al chiaro di luna.
Emozioni forti come il primo giorno
che fanno sparire le cose che ho intorno
cercherò il tuo sguardo nei posti affollati
la tua libertà oltre i fili spinati
non potrai capire mai cosa scateni
quando apri la finestra del tuo petto
quel comandamento scritto sui cuscini.
Gli innamorati restano sempre i ragazzini
non lo so dove vanno a finire le ore
quando ci scorrono addosso e se ne vanno via.
il tempo lava le ferite che non può guarire
l’amore è senza rete e senza anestesia .
c’è un calendario sul muro di camera mia
per ogni mese una foto futura di te
che sei l’anima mia
non c’è un secondo da perdere.
e impazzisco baciando la pelle della tua schiena
quella strada che porta fino alla tua bocca
non esiste esperienza più mistica e terrena
di ballare abbracciata con te al chiaro di luna
@al3co12
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eleanordahlia · 4 years
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   ‌     🥀 ᴄᴀᴍɪʟʟᴇ ᴀɴᴅ ᴇʟᴇᴀɴᴏʀ    ‌     ⤿ 𝑤𝑜𝑜𝑑𝑠 - 𝑙𝑎𝑡𝑒 𝑛𝑖𝑔𝘩𝑡 ; 𝟤𝟣.𝟢𝟦.𝟤    ‌     «Il risentimento non si può contenere per sempre.»    ‌     🍃 #𝑟𝑎𝑣𝑒𝑛𝑓𝑖𝑟𝑒𝑒𝑣𝑒𝑛𝑡 ; #𝑟𝑎𝑣𝑒𝑛𝑓𝑖𝑟𝑒𝑐𝑜𝑛𝑓𝑖𝑛𝑒 ; #𝑚𝑖𝑛𝑖𝑟𝑜𝑙𝑒🍃
«E come dovremmo andare avanti? Ci hanno fatto questo. Eppure tu sembri tranquilla. Dimmi il tuo segreto.»
Era tarda notte e Camille desiderosa di aria fresca si era ritrovata senza che potesse controllare il suo corpo nel bosco. Era come se una parte di lei fosse attratta da quel luogo, in un primo momento aveva pensato che il suo subconscio la stesse guidando da Trisha, la sua cara amica che nell'ultimo mese aveva sofferto più di tutti, ed ora, finalmente libera Camille non vedeva l'ora di riabbracciarla, stringerla a se e poter tornare alla normalità. Ma nulla sarebbe stato normale, nulla. In lei tutto era cambiato con il ricordare di quel mese tragico dove l'avevano aperta, tagliuzzata, incisa come un topo da laboratorio, questo erano diventati lei e tanti altri. Un singhiozzo la risvegliò da quel pensiero e guardò la bionda che aveva incontrato nel bosco, come se anche lei fosse stata chiamata dalla natura. Sapeva e percepiva che le due fossero uguali, era quel presentimento che sentiva anche in compagnia di Trisha, Ivar ed Isabel, erano come se tutto loro fossero una cosa sola e probabilmente era vero, uniti dallo stesso destino, dalle stesse torture.
«Hai ricordato anche tu vero?»
Eleanor Dahlia H. Janssen
Le immagini che avevano scosso il corpo della Janssen non erano esattamente nuove ai di lei occhi, soprattutto perché tutto sembrava un fil già visto. V'era un'unica eccezione che turbava nel profondo l'animo di Eleanor, ed era il fatto che questa volta fosse lei la protagonista indiscussa di quegli incubi. V'era però un posto che, con l'andare del tempo, sembrava aver acquisito sempre più importanza ai di lei occhi, ed era il bosco. Quella quiete e quell'oscurità facevano ormai parte di Eleanor e, che lo volesse o meno, ne sentiva l'attrazione scuoterla nel profondo. Solo quando si rese conto di non essere sola, l'attenzione di Eleanor divenne più acuta, voltandosi in direzione di quella giovane che aveva un'aria tremendamente famigliare. Impiegò qualche secondo prima di collegare tutti i tasselli di quel puzzle. « Prima accetti l'inaccettabile, prima riprendi in mano la tua vita. » Era una dura realtà quella che mostrava l'esperimento, ma la sintonia che sentiva nei confronti della bionda spingeva la newyorchese ad essere quanto più sincera. « E' duro, è una realtà che non avrei mai pensato di dover affrontare... E ciò che ho visto probabilmente mi tormenterà ogni giorno della mia vita, ma il risentimento dove ci dovrebbe portare? »
Camille Josephine Kebbel
«Mi dispiace ma non la penso come te.» Come poteva accettare tutto ciò che le era successo? I cambiamenti che aveva dovuto affrontare nell'ultimo anno? Non avrebbe mai accettato tutto ciò che le era successo, stava iniziando a conviverci quello sicuramente, doveva pur andare avanti in qualche modo, doveva vivere. Però, dopo ciò che aveva ricordato, le torture e tanto altro, Camille era nuovamente sprofondata un un pessimo stato d'animo, aveva difficoltà ad affrontare le sue giornate. Spacciava quei malesseri per mal di testa ma ogni volta che riviveva quei momenti ella si ritrovava con la mente ed il corpo lì, come se fosse spettatrice dei suoi stessi ricordi. «Il risentimento non ci porterà da nessuna parte. Dobbiamo solo vivere con quello che ci offre la vita. Ma dimmi, cosa abbiamo fatto di male per meritarci tale tormento? Tale sofferenza?» Camille rischiava di crollare nuovamente, si sentiva emotivamente debole. Non le sarebbe passata facilmente e sicuramente non sarebbe stato facile affrontare le giornate come se nulla fosse, era ovviamente traumatizzata e probabilmente lo sarebbe stata a vita. «Cerco di pensare alle cose belle sai? Mi aiuta momentaneamente, solo in quel momento mi sento quasi bene, eppure, sono futili momenti che scappano, vanno via.»
Eleanor Dahlia H. Janssen
Chiuse gli occhi per un momento e non appena lo fece, vide quelle interminabili torture come se le stesse vivendo ancora sulla propria pelle. Sentiva i tagli, i bisturi incidere la propria carne, le urla, il dolore tutto in modo così amplificato che le sembrava di poter prendere fuoco da un momento all'altro, eppure cosa avrebbe dovuto fare? Riaprì gli occhi, lasciando che intravedesse i suoi occhi di un color giallo brillante, per farle capire che non solo comprendeva le sue parole, ma che anche lei si trovava nella stessa situazione. Gli occhi si attivavano quando volevano sfruttare i propri poteri, ma anche quando loro stessi vivevano una situazione di disagio. L'aveva imparato a proprie spese, ma l'aveva imparato. « Esattamente, sono futili. Non tratta di sapere se lo meritavamo o meno, è successo. E le cose non posso cambiare. Ogni volta che chiudo gli occhi vedo le stesse torture ancora e ancora, le mie stesse urla che mi tengono sveglia la notte... Eppure... » Avrebbe dovuto continuare, avrebbe dovuto dire di più ma come poteva farlo senza apparire masochista? Inspirò sonoramente, cercando di trovare quelle stesse parole che lei stessa si ripeteva ogniqualvolta si ritrovava ad affrontare quelle visioni che non erano altro che ricordi. « E se tutto il dolore fosse stato necessario? »
Camille Josephine Kebbel
Sentendo le parole della giovane Camille si sentì meno sola, sapeva che non stava vivendo tutto ciò solo lei ma bensì che molti altri uguali a lei, stessero ricordando pian piano ciò che era stato fatto loro e ciò che avevano visto. Camille guardò la bionda con uno sguardo ferito e triste, capiva perfettamente il suo stato d'animo. «Necessario per cosa esattamente?» Non capiva il discorso della giovane, eppure, guardando i suoi occhi cambiar colore ella aveva intuito cosa fosse la giovane, era una dooddrear, aveva conosciuto altri come lei. I dooddrear si 'nutrivano' del dolore altrui forse per la giovane sentire tali sofferenze non era poi un gran problema considerando che viveva per il dolore. Camille però non si lasciò sfuggire tali pensieri, non voleva di certo pensare che così fosse eppure obiettivamente non poté fare a meno di domandarsi ciò. «Non penso sia necessario a nulla. E' necessario forse a renderci la vita impossibile, perché la mia ormai da un anno è impossibile. Pensavo che tutto stesse andando per il meglio e poi quei ragazzi vengono arrestati, due mie amiche vengono imprigionate e attualmente non so nulla di loro. Poi ecco che inizio a ricordare parte di ciò che è successo un anno addietro. No, tale dolore non è necessario non per me almeno.» Mormorò risentita, Camille aveva anche alzato di un tono la voce, tenersi tutto dentro non la stava aiutando, anzi, aveva iniziato ad essere sempre più irascibile.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Le parole della giovane erano chiare, nonostante le avesse pronunciate con un tono colmo di un risentimento che traspariva da ogni dove. Sentiva la rabbia, la collera bruciare ad ogni parola ed Eleanor non poteva dire di non condividerla. Tempo prima probabilmente avrebbe parlato come Camille, avrebbe perfino urlato, lanciato cose ma ora sembrava che tutta la sua vita fosse stata stravolta ed ora osservasse il tutto da un'altra angolazione. Rimase in silenzio per qualche momento, lasciò che Camille in qualche modo si calmasse anche se dubitava che ciò accadesse. I frammenti di quei momenti erano intrisi di urla, di dolore, di una sofferenza che mai avrebbe potuto immaginare, ma allo stesso tempo era anche ciò di cui si nutriva. Il contatto fisico era fuori discussione, nemmeno una stretta di mano ma in quel momento un qualcosa dentro la Janssen la spingeva a compiere quel gesto così dannatamente umano. « E' davvero peggiorata così drasticamente la tua vita? Rifletti... I giovani che sono stati catturati si sono trovati al momento sbagliato nel luogo sbagliato, o forse no, e credimi quando ti dico che mi dispiace. Ma noi che cosa avremmo potuto fare? Abbiamo dovuto tenere un profilo basso e chissà per quanto dovremo tenerlo, ma se tutto questo fosse necessario per qualcosa di più grande di noi? Non lo so... » Sembravano parole dette alla rinfusa quelle pronunciate da Eleanor, ma lo sapeva anche lei che qualcosa in tutta quella situazione non quadrava. Non erano sbagliate le parole di Camille, nemmeno il suo ragionamento ma non poteva dire che la sua vita non fosse migliorata. « Cosa avresti intenzione di fare, dunque? Torniamo di nuovo al punto di partenza... Accettare e andare avanti, o dannarsi e impazzire. »
Camille Josephine Kebbel
«La tua vita non è peggiorata?» Era sempre più chiaro che le due la vedessero in modo diverso, a Cami non dispiaceva ovviamente, voleva capire anche la visione della bionda riguardo tutto ciò che era successo, non tutti erano uguali ed era normale che anche loro, pur uniti dallo stesso destino potessero pensarla e vederla in modo totalmente diverso, fortunatamente non erano tutti uguali al mondo. Su una cosa però aveva ragione, non avrebbero potuto far molto dopo che i loro 'compagni' fossero stati presi, si sarebbero fatti scoprire e probabilmente si sarebbero fatti imprigionare, avevano tutti mantenuto un basso profilo, Camille era rimasta a casa di Jasmine, Ivar cercava di tirare dritto senza eccedere in attacchi di ira, però allo stesso tempo alla veggente dispiaceva non aver fatto nulla per salvare quei ragazzi. «Non posso fare nulla, devo solo convivere con il vuoto che provo dentro. Sono cambiata e non potrò tornare di certo alla mia vecchia vita, devo solo farmene una ragione ed affrontare i giorni uno dopo l'altro.» Che conversazione profonda da fare a quelle ore della notte, non era facile per una come lei essere così saggia, non lo era praticamente mai, anzi, Camille era fin troppo bambina alcune volte nonostante prendesse il tutto in modo serio spesso accadeva il contrario. «Dobbiamo solo andare avanti per la nostra strada e cercare di non impazzire. Ci posso provare anzi ci proverò ma ci sono giorni dove è impossibile anche avere speranza.» Disse riferendosi a quando ella aveva quei strani flashback, erano reali? Non lo erano? Dentro la Kebbel vi era solo una gran confusione.
Eleanor Dahlia H. Janssen
Le immagini di tortura che avevano tenuto sveglia per settimane la Janssen erano senz'altro simili a quelle che stava affrontando Camille, ma in qualche modo, che lo volessero o meno, tutti loro sembravano essere connessi. Si sentivano legati in un piano che probabilmente nessuno di loro conosceva, ma qualcosa di più profondo sembrava smuoversi ogni volta che si trovavano assieme. Scosse appena il capo, ma il sorriso che comparve sulle di lei labbra era quello di una persona soddisfatta, che sembrava aver vinto. « Allora, come volevasi dimostrare, mi stai dando ragione. » Commentò la newyorchese che, nonostante la lunga conversazione che s'era creata tra loro, aveva sempre sostenuto il fatto che nulla avrebbero potuto fare, se non accettare e andare avanti. Era possibile che fosse un discorso complesso, eppure sentiva di aver ragione e prima l'avesse compreso Camille, prima avrebbe potuto riprendere la sua vita per quanto possibile. « Ci saranno giorni bui, altri in cui sarà perfino possibile sorridere, ma con il risentimento non si va da nessuna parte. » Sentenziò così la fine di quell'incontro che s'era dimostrato più profondo di quanto non avesse mai fatto, ma soprattutto fornì a Eleanor l'ennesimo punto di vista su quella realtà che ormai faceva parte di loro e che lo sarebbe stato per tanto, tantissimo tempo.
❪ 𝑭𝒊𝒏𝒆 𝑹𝒐𝒍𝒆. ❫
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Racconti| La macchia blu. Una falsa storia vera (cap. I)
di Alessio Palumbo
La storia che vado a raccontare è vera e falsa allo stesso tempo,
come del resto lo sono tante.
Quanto vi sia di reale e quanto sia frutto della fantasia,
chi avrà la pazienza di seguirne la trama
lo scoprirà solo alla fine, carte alla mano.
Per il momento posso solo dire che i fatti si svolsero ad Aradeo
tra il luglio e l’agosto di quasi due secoli e mezzo fa.
Come suol dirsi, correva l’anno 1780
Capitolo I
Oltre le mura la prima luce del giorno rischiarava le campagne più lontane; le stelle erano sparite già da un po’, mentre la luna sembrava volersi attardare ancora. Il caldo era soffocante, l’aria ferma, umida, vischiosa.
Il vecchio servitore, con i gomiti poggiati al parapetto, volse lo sguardo alla propria destra, verso le case dei Vasquez D’Acugna: le finestre erano spalancate, ma dentro era ancora buio.
“I signori dormono” mormorò
“Cosa hai detto?” chiese don Celestino Giuri, cantore della chiesa di San Nicola, appuntando l’ultimo bottone
“Niente papa Celestino. È tardi, stamattina siete più lento del solito”
“Che fretta hai. Tanto anche stamattina la messa la dirò solo per me, per te e qualche vedova insonne”
“Se vi sentisse l’arciprete”
  Il vecchio cantore rise leggermente e diede due colpi sulla schiena ingobbita del servitore.
“Andiamo” disse “sono pronto”.
In quel momento delle urla squarciarono il silenzio che ancora avvolgeva il quartiere. Un litigio, poi altre urla prolungate.
“Che succede?” chiese don Celestino al vecchio che nel frattempo era tornato alla finestra
“Non vedo nulla”
“Scendiamo, presto” ordinò il sacerdote “Fammi strada con il lume”
“Ma…” provò ad obiettare il vecchio
“Sbrigati”
Scesero lungo la scala ripida con la velocità che l’età consentiva loro.
“Piano papa, piano”
“Ti ho detto di correre”
Sull’uscio svoltarono a destra e, al lume della lampada ad olio, dopo una decina di passi presero la strada a sinistra, verso la piazza. Percorsero pochi metri e furono nel vicinato dei Mauri. Addossato alla porta della bottega da ciabattino che era stata di Giacomo Francone, videro un corpo riverso.
Don Celestino strappò la fiamma di mano al servitore e si avvicinò all’uomo. Alle sue spalle sentiva le prime voci delle donne richiamate dalle urla.
Il cantore si inginocchiò. L’uomo respirava a fatica. Con la debole luce della lampada vide la smorfia di dolore sul viso dell’uomo. La camicia aperta era imbrattata dal sangue che veniva fuori copioso da uno squarcio sotto il cuore che l’uomo cercava inutilmente di tamponare con le mani.
“Non ti conosco” gli disse come prima cosa il prelato
“Sono Alfonso Castriota, di San Pietro in Galatina” rispose a voce bassa
“Chi è stato” incalzò
“Miche… Michele.. Le..Letia” provò a scandire, ma la voce era flebile e il respiro si strozzò in gola, soffocato da un fiotto di sangue che espulse violentemente tossendo addosso al sacerdote. Don Celestino non si scompose. Troppi ne aveva visti di malati e di morti per avere disgusto degli umori umani.
“Di Galatina anche lui?” chiese, poiché quel nome non gli ricordava nessuno
Castriota si limitò a scuotere la testa. Aprì e chiuse la bocca, ma non riuscì ad emettere alcun suono. Il prete capì che la fine era vicina.
“Ti penti dei tuoi peccati?” chiese
L’uomo fece cenno di sì col capo, poi una sorta di ruggito sembrò levarsi dal suo interno, scuotendo tutto il corpo. Cercò di trattenerlo, stringendo i denti che spiccarono con il loro candore tra la barba nera e poi tacque. Alle proprie spalle il cantore sentì rumoreggiare. Segnò l’uomo sulla fronte, poi alzò la destra al cielo e lo benedisse. Le donne si segnarono e tacquero.
Nell’abbassare la mano notò sul collo uno strano segno. La luce del sole ora cominciava a rischiarare la strada. Ruotò quindi il viso di Alfonso Castriota per vedere meglio e sul collo, proprio dove terminava la barba e cominciava la pelle nuda, notò una grossa macchia di un blu intenso. Un blu brillante e acceso, come quello di una pietra preziosa o di un tessuto.
“Vado a chiamare l’arciprete e a prendere gli oli santi” disse al vecchio servitore sollevandosi “Tu aspetta qui e non farlo toccare da nessuno”.
Si fece largo tra le donne.
“Papa Celestino, chi è?”
“Papa Celestino, che ha detto? Non è di Aradeo?”
Le ignorò e si diresse verso la piazza. Altra gente accorreva in direzione opposta alla sua. Nonostante una certa dolenza nei muscoli, dovuta allo strapazzo della corsa e alla concitazione del momento, cercò di accelerare il passo. Attraversò lo spiazzo, costeggiò la cappella del Crocifisso senza neppure segnarsi, quindi tra i bassi caseggiati che delimitavano le sporche vie del paese giunse ai piedi dei tre scalini che introducevano alla chiesa di San Nicola.
“Devo decidermi ad usare un bastone” pensò.
Colmò il piccolo dislivello e, spinto il portone di legno oramai consunto dall’umidità, fu nel tempio.
  Nell’unica navata, i raggi del sole nascente si intrecciavano sul pavimento chiazzandolo di luce. In piedi, quasi addossate alla balaustra, quattro donne attendevano l’inizio della messa.
“Papa Celestino, oggi non celebrate?” chiese una di queste, avvedendosi di lui che procedeva spedito lungo gli altari di sinistra. Il cantore non rispose ed imboccò la porta della sagrestia.
Nell’antro umido, dalle pareti chiazzate da enormi macchie verdastre che sembravano trasudare acqua, puntò sicuro ad una piccola cassa di legno rivestita. La scoperchiò e prese una chiave.
“Sia lodato Gesù Cristo”
La voce alle sue spalle lo colse di sorpresa. Lasciò cadere di scatto il coperchio che chiuse rumorosamente la cassetta.
“Proprio voi cercavo” rispose riprendendosi “Ho preso la chiave degli oli santi”
La voce che lo aveva salutato venne fuori dalla penombra. L’arciprete Matteo Rocca, di pochi anni più giovane, gli si avvicinò lentamente. La vecchiaia era stata inclemente con lui. Debole di gambe, ingobbito prima del tempo e pressochè cieco, don Matteo Rocca gli andò incontro e, data la sordità incipiente, ripetè:
“Sia lodato Gesù Cristo”
“Oggi e sempre sia lodato” rispose don Celestino, alzando la voce “Sono venuto a prendere gli oli santi dall’altare”
“Chi sta morendo?”
“Un certo Alfonso Castriota. L’ho trovato poco fa dalle parti dei Mauri, coperto di sangue”
“ Oh signore mio Dio” esclamò l’arciprete segnandosi “Dobbiamo avvisare l’autorità”
“Prima dovremmo portargli il conforto dei sacramenti” obiettò il cantore
“Si, si. Allora portatelo voi, io vado ad avvisare il governatore. Questa è una faccenda degli Olivetani. Si, si” continuò don Matteo seguendo il filo di un discorso che si dipanava rapido nella sua mente e che escludeva qualsiasi interlocutore, men che meno don Celestino che ne fu rinfrancato “È di competenza della camera baronale. Le cause criminali sono loro, anche se… Forse dovrei dirlo al sindaco prima. Ma poi se il governatore viene a sapere che prima di lui ho avvisato il sindaco…No, no. Prima il Governatore, prima gli Olivetani. Anzi, per sicurezza… Biagio!” urlò, con voce vigorosa e per questo inadatta alle sue membra fragili “Biagio”.
Un giovane si presentò di corsa proprio mentre don Celestino scostava la tenda della sagrestia per andare a prelevare gli oli custoditi sull’altare.
“Biagio, vai a chiamare don Ippazio Greco. Digli di venire a celebrare messa. Poi recati dal sindaco e avvisalo da parte mia che hanno ammazzato un uomo ai Mauri”
“Si papa” fece il giovane senza porre altre domande e corse via.
Don Celestino intanto aprì la piccola custodia foderata di tessuto bianco posta sull’altare, prese le ampolle degli oli e li depose sulla mensa. Chiuse con cura la teca mentre le donne osservavano curiose i suoi movimenti.
“Papa, chi sta morendo?” bisbigliò la donna di prima che aveva riconosciuto le ampolle
“Castriota” rispose don Celestino a voce ugualmente bassa, quasi quella notizia non fosse adatta al luogo sacro
“Castriota? Non è di qua. Non ci sono Castriota ad Aradeo” sentenzio una delle quattro, piccola e tozza come una donnola
“Di Galatina”
“Ah” fecero le altre
“Ma la messa la celebrate?”
“Io no, ma chiedete all’arciprete” rispose riprendendo la propria strada. Attraversò la corta navata e uscì sul sagrato. Prese la stretta via che portava alla piazza e sboccatovi non potè non notare che il sole era ora alto sopra le mura del paese.
“Sarà un’altra giornata afosa” pensò attraversando la piazza per poi reimmettersi nella via dei Mauri “Meglio sbrigarsi e rientrare a casa quanto prima”.
Le voci della gente accorsa a curiosare lo distolsero dai pensieri. Attraversato lo spesso muro di folla, si ritrovò ai piedi del cadavere che ora, alla luce piena del sole, mostrava il volto con incisa un’espressione di dolore. Il viso era giovane, la barba e i capelli nerissimi. Il sangue imbrattava completamente la camicia e la parte alta dei pantaloni. Si inginocchiò evitando di pestare la chiazza nera, sfumata di rosso lungo i margini, che si era formata attorno al corpo. Aprì le ampolle degli oli santi, segnò il cadavere e iniziò a sciorinare le solite litanie. Gli astanti si segnarono e mugugnarono qualche prece. Quando il cantore si sollevò, aiutato dal servitore, tutti si segnarono nuovamente.
In piedi osservò attentamente la vittima e rivide quella chiazza. Netta, grumosa, all’attaccatura della testa sul collo
“Che strano” mormorò.
Intanto, dalle sue spalle, oltre la folla, venne un sordo rumore di zoccoli e poi un ordine, lanciato seccamente: “Largo”
Due gendarmi ed il governatore fecero la loro comparsa svettando dall’alto delle cavalcature. Evidentemente qualcuno li aveva avvisati. Di lì a pochi minuti spuntò a piedi, affaticata, la trista sagoma dell’arciprete.
“Il governatore”, “Papa Rocca”, “I Gendarmi” riportavano quelli più vicini alla scena a chi stava loro dietro.
Il Governatore smontò da cavallo, attese il vecchio arciprete e insieme andarono verso don Celestino.
“Lo avete trovato voi?” chiese senza salutare e rivolgendosi al cantore
“Si, stamattina”
“Sapete chi sia?” domandò il rappresentante dei baroni
“Dovrebbe essere Alfonso Castriota di San Pietro in Galatina”
“Come vi dicevo” intervenne ossequioso don Matteo Rocca. Il governatore fece conto di non aver sentito
“Sapete altro?”
“Dovrebbe essere stato un certo Michele Lezia o qualcosa del genere. Purtroppo quando sono arrivato era quasi spirato e non era chiaro quel che diceva”
“Lo conoscete?”
“Michele Letia?”
“E chi altro sennò?” ribatté nervoso
“No” rispose pacatamente don Celestino
“E voi?” chiese, rivolgendosi all’altro prelato
“No eccellenza”
“Chi di voi conosce Michele Lezia?” urlò allora il governatore alla folla
Il nome passò di bocca in bocca, ma nessuno si fece avanti.
“Nessuno lo conosce? Va bene” commentò indispettito.
“Voi caricate il corpo e portatelo nella cappella di San Trifone a palazzo” ordinò ai due gendarmi che erano rimasti in sella.
Con gesto agile rimontò sul destriero e strattonando con forza le briglie lo spinse a ruotare. Colpiti i fianchi dell’animale andò via per la strada dalla quale era venuto.
“Andiamo” disse don Celestino al servitore e, facendosi largo tra la folla che ora osservava le manovre dei soldati, tornò verso casa.
Giunto ai piedi della scala che neanche un’ora prima aveva disceso con furia, congedò il paggio.
“Salgo a riposare un poco. Torna stasera”
“Vengo a portarle da mangiare tra qualche ora”
“No, no. Desinerò stasera. Ora voglio solo riposare” rispose. Afferrato il passamano di legno scuro che fiancheggiava la ripida scala, salì lentamente fino al secondo piano.
Il servitore, rimasto per strada, vide la finestra della camera da letto chiudersi lentamente e le tende di color verde oliva stendersi sulle lastre di vetro. Volse lo sguardo verso le case dei D’Acugna: donna Giovanna Vasquez d’Acugna, dal mignano del palazzo, osservava con aria annoiata il via vai di persone lungo la via.
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1860 – XIV. Questa morte che ci accompagna dal mattino alla sera, insonne, sorda, come un vecchio rimorso o un vizio assurdo.
Dopo aver fatto visita a Hugh Bredford ci ritirammo nella nostra casa, preparai la cena visto che Mary ci aveva lasciato. Era da molto tempo che non cucinavo per conto mio ma questo non fu un problema, mi ricordavo perfettamente i piatti essenziali, li avevo imparati quando mi ancora vivevo solo con mia madre, anche se all'epoca ero poco più che una bambina. La cena era uscita semplice ma saporita. Poco dopo la cena, qualcuno suonò al campanello, andai a vedere di chi si trattasse, erano due persone: la prima era il chierichetto di Padre Samuel mentre il secondo era il barista che lavorava da Rose. Il primo voleva parlare con il sacerdote mentre il secondo mi consegnò una lettera da consegnare al dottor Mason. Il ragazzetto disse a Padre Mckenzie che il suo trasferimento nella canonica di Hell-gate era completata e che poteva andare finalmente a vivere lì per svolgere le sue nuove funzioni sacerdotali mentre il messaggio per Quentin, non era altro che una lettera da parte di Rose - la matresse - che era piuttosto arrabbiata per il fatto che non si fosse presentato all'appuntamento con lei. Per cui, gli aveva fornito un nuovo appuntamento per il mattino successivo a mezzogiorno.  Il tempo passò ancora, dopo aver chiacchierato e sistemato Padre Mckenzie e Warren nelle loro rispettive "dimore", siamo andati a dormire. Io e Quentin passammo la notte a fare dei brevi turni di controllo per loro due, ogni due ore lasciavamo i nostri letti caldi per essere certi che nessuno di loro avesse lasciato la cantina o la soffitta. La mattina giunse rapidamente, senza intralci, senza problemi. Mason ed io ci alzammo più o meno alla medesima ora. Mi sono dedicata alla mia toilette e poi sono scesa ai piani inferiori per preparare la colazione per tutti. Durante il nostro primo passo, sentimmo il rumore indistinto di una carrozza che si arrestò proprio di fronte a casa nostra, difficilmente sarebbe stato Bredford così presto, anche se per un momento lo pensai. Era Scotland Yard e la porticina si aprì rivelando il volto familiare dell'ispettore Vincent. Era solo. Ci guardammo incuriositi e un pò preoccupati ma andai ad aprire la porta. Lo fece accomodare. L'ispettore mi apparve piuttosto triste e chiese di poter parlare in separata sede con il religioso.
Io quella mattina mi sarei recata al giornale per consegnare i due annunci da pubblicare sul giornale, quello per la cameriera e il mio personale per la mia cameriera. Dopo di che, andai da Grace con la carrozza. Il negozio questa mattina era aperto con mio sommo sollievo, avevo davvero bisogno di parlare con lei da sola, senza uomini di mezzo che fossero amici o fratelli. Lei era bella come sempre, sorridente e di buon umore, vestita in maniera elegante ma con qualcosa di eccentrico tra i capelli o perso negli accessori del suo corpo. I primi commenti furono relativi alle solite chiacchiere di presentazione e circostanza, poi scesi maggiormente nello specifico senza perdere troppo tempo. Le dissi che era la seconda volta che mi lasciava senza parole, che mai mi sarei aspettata che fosse la sorella di Lord Bredford. Lei mi disse che aveva apprezzato il mio silenzio alla presentazione e io le dissi che con me i suoi segreti erano al sicuro. Mi raccontò che suo fratello non voleva che lei lavorasse ma che lei era abituata a fare di testa sua. Mi chiese se io vivessi con il resto del gruppo, e il mio rapporto soprattutto con Quentin. Le dissi che ero praticamente una sua ospite, che lui si prendeva cura di me, che era una sorta di tutore legale benchè non lo fosse davvero. Chissà perchè tutti mi domandano sempre se siamo fidanzati. Forse perché abitiamo sotto lo stesso tetto e da molti potrebbe essere ritenuto sconveniente. Ma se per questo non ho mai capito come mai Quentin non si sia mai fidanzato, ha l'età giusta, sta bene economicamente e potrebbe benissimo trovare un buon partito. Del resto, non l'ho mai visto davvero interessato a nessuna donna, ma solo ai suoi esperimenti. Comunque, Grace mi fece notare che il Dottor Mason aveva mostrato parecchio astio nei confronti del fratello e io cercai di puntare il tutto sull'antica diatriba tra nobiltà e borghesia. Scoprì che erano due gemelli e che si volevano molto bene, erano molto protettivi l'uno verso l'alto. Le parlai di Julian, il mio Julian. Quindi, che anche se non avevo più un fratello, potevo capire benissimo il legame che gli univa. Mi chiese anche se mi era mai apparso ma io scossi la testa. Di tutti i morti incontrati nella mia vita, forse quello di mio fratellino, sarebbe stato l'unico di cui mi sarebbe importato ma potrebbe essere in pace, in paradiso, per cui andava bene così. Poi dopo questo piccolo incipit, le raccontai il vero motivo per cui mi trovato lì, ovvero le informazioni relative ai Meyers e ai March. Non sapevo se Bredford sapesse delle mie doti, e lei mi disse di no, che se io non volevo avrebbe mantenuto il silenzio; così dopo averci pensato bene le dissi che mi fidavo di suo fratello e che quindi poteva parlarne con lui, a patto che non lo sapesse nessun altro.
Raccontai con calma i dettagli relativi alla casa dei Meyers, a ciò che era successo le due volte che mi ero recata a casa loro. Non lasciai nulla al caso. Ogni informazione poteva essere utile per tutti noi. Ma perchè a loro interessava quel caso? Io nel frattempo mi ero fatta una mia opinione personale a riguardo. Io avevo parlato con Ellen, la ragazza del bordello e l'avevo messa in guardia da Gustav March. Le avevo detto di parlarne a Rose e Rose doveva averne parlato con Lord Bredford, e in nome della loro amicizia, lui si sta occupando di questo caso. Sono supposizioni ma, mi sembra abbastanza fattibile. Tornando a noi, Grace mi disse che era chiaro che lei avesse un dono, delle capacità di cui suo fratello era a conoscenza, e con queste capacità si era introdotta in quella casa per controllare. Era successo prima dell'omicidio dei due bambini. Mi raccontò anche che però non era riuscita ad entrare nella cantina, che qualcosa glielo impediva. Aggiunse anche che percepiva qualcosa di nuovo provenire dalla cantina e che se quelle anime si erano manifestate a me, forse era perchè io potevo davvero fare delle cose per loro. Dovevo tornare lì e Grace mi avrebbe aiutato, avrebbe fatto in modo che nessuno fosse in grado di disturbarci. Nessun essere vivente. Avevo tempo tutto il giorno e così mi convinsi. Mi diede qualcosa, una sorta di amuleto a forma quadrata, con all'interno una pietra che cambiava colore dal rosso al viola. C'era incisa la lettera che poi contraddistingueva il suo marchio, una G. La legai ad una cordicella e la nascosi sotto il corpetto. Con quella mi sarei dovuta recare in un certo indirizzo, avrei dovuto bussare tre volte a quella porta e avrei dovuto mostrare il gioiello senza dire nulla ma solo nel caso in cui le fosse successo qualcosa. Ovvio che quelle parole mi fecero preoccuparono. Grace è una delle poche amiche che ho, forse l'unica visto che Mary è andata via. Dopo questo, e la promessa di andare entro la fine della giornata dai Meyers, mi confidai per quanto riguardava Padre Mckenzie, raccontai tutto, della creatura  che albergava in lui, del fatto che aveva cominciato a reclamare delle anime. Mi disse che avrebbe provato a trovare una soluzione, anche se era difficile. Accennai anche al libro di Salomone, che lo stavamo cercando e che avrebbe fatto qualche ricerca per conto mio. Questa fu l'ultima cosa che le confidai, poi pagai le cinque sterline e me ne andai, diretta a casa.
Una volta arrivata a casa, nessuno era presente, preparai il pranzo. Quentin, Warren e Padre Mckenzie arrivano verso l'una, chi prima chi dopo. Cominciammo a parlare. Padre Samuel ci disse che l'ispettore gli aveva confidato che Bishop era stato liberato ma che non si sapeva da chi. Avrebbero dovuto pagare venti sterline per accedere a quella documentazione. Poi si era recato anche da Rose Palmer, la cugina di Mason, ma lei non si ricordava né di avere avuto una sorella e dell'esorcismo da lui condotto. In compenso, la visita di Quentin e Warren al postribolo non aveva fornito nulla di interessante. Rose era una donna incredibilmente attenta al suo aspetto ma lo faceva tramite l'uso della cipria e degli unguenti. Niente che abbia a che fare con il sangue, in pieno stile Bathory. Ci fu un piccolo diverbio durante questo pranzo, volarono parole sconveniente e blasfeme da parte di Warren e Padre Mckenzie perse la pazienza, gli lanciò il piatto addosso. Per poco Warren non perse il controllo, vidi benissimo il taglio sul suo volto e vidi la sua pelle rimarginarsi completamente. Io guardavo Quentin, entrambi eravamo interdetti. Dopo che gli animi tornarono quieti, raccontai loro che dovevamo andare dai Meyers quest'oggi e che nessuno ci avrebbe interrotto. Dovetti tacere sul come e su chi mi aveva detto di farlo ma avevo promesso a Grace di non dire nulla e io avrei protetto i suoi segreti. Si fidarono di me. Così ci preparammo per andare dai Meyers, era pomeriggio. Padre Mckenzie scassinò la porta e noi entrammo in casa. Non sembrava esserci nessuno, non percepivo le presenze, era quieto, silenzioso. In cantina che dovevamo andare. Prendemmo due candele e poi ci addentrammo verso la parte inferiore della casa, la scala si perdeva nell'oscurità. Giunta fino a destinazione mi guardai intorno, poi un'ombra colpì la mia attenzione, qualcosa penzolava appeso al soffitto della cantina, una figura che conoscevamo tutti quanti. Era Edwyn Meyers. Rimasi immobile a fissarla. Si era impiccata. Improvvisamente mosse il capo verso di me, mi fissava, come mi fissavano tutti i morti ogni volta che mettevo piede fuori da casa. Avevo paura e con un pò di coraggio non abbassai lo sguardo e non scappai. La presenza dei morti era riaffiorata. Mi stava indicando qualcosa ai suoi piedi, abbassai lo sguardo e vidi un foglio. Lo presi e prima lo lessi mentalmente e poi lo lessi anche agli altri. La lettera era stata scritta proprio da Edwyn e diceva:
"Spero che a trovarle siate voi o meglio TU. Ho fatto una cosa tremenda ma sono stata costretta da lui. Il Maestro. Ero attratta da lui ma lui mi ha usato per i suoi scopi. Non posso più vivere con questo fardello. Sta per arrivare e mi impedirà di lasciare questa vita terrena. Bisogna proteggere Patience. Trovatela e portatela al sicuro. Lui ne è ossessionato. Bruciate il mio corpo. Non lasciatene alcuna traccia. 
Edwyn Brown."
Tenni io la lettera e improvvisamente sentì una mano sulla spalla, lei era lì, non era riuscita ad andarsene. Sospirai piano, ero terribilmente agitata. Sentimmo dei passi verso la porta della cantina, poi dei colpi alla maniglia, un altro corpo forte e poi più nulla. Che ci fosse qualcuno? Ma era impossibile, Grace mi aveva garantito che nessuno ci avrebbe disturbato, nessuno di vivo almeno. Avrei dovuto capirlo. Quella mano era ancora sulla mia spalla, io poggiai la mia mano su quella fantasma e intangibile di Edwyn. Mi disse all'orecchio "Perdonami". E io le risposi: "Di cosa?". Sospirai ancora mentre lei mi diceva "Di tutto". Scossi il capo, non aveva nulla di cui farsi perdonare, contro certe cose è difficile combattere "Non hai nulla per cui farti perdonare". Io ero sincera, per cui, dopo le mie ultime parole fu come se avesse trovato la pace. I bambini mi strinsero le mani e poi scomparvero tutti e tre. Ai miei piedi apparve un numero disegnato sulla terra. Era un cinque. Il numero delle anime rimaste. Mi commossi, non avevo mai potuto davvero fare qualcosa di buono nella mia vita, ma in quel momento, mi sentì felice per loro, nonostante la tragedia. Adesso, dovevo dedicarmi agli altri cinque, ero intenzionata a salvare anche loro. Salimmo finalmente, dovevamo capire chi aveva bussato alla porta ma non ci stava nessuno. Una volta uscita dalla porta, la lettera prese a bruciare. Dovetti rientrare in cantina per farla smettere di bruciare. Ci dividemmo, in cantina ci doveva essere qualcosa. Per forza. Io rimasi lì con Warren mentre Quentin e Padre Mckenzie si recarono al piano superiore. Presi a cercare per tutta la cantina, spostando gli oggetti, poi non so come... tutto si fece nero.
Al mio risveglio ero fuori dalla cantina, con il trio che mi fissava e la lettera che ormai era bruciata del tutto. La nostra unica prova di colpevolezza era andata perduta.
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La causa
Sferro i pugni contro al muro per i troppi silenzi ricevuti nella mia vita. Ogni colpo è un urlo d'aiuto mai sentita; Una delusione incisa sulla pelle; Le mille volte che mi accontentavo di guardare le stelle. Nessuna parola, nessuna consolazione, solo vuoto dentro il mio cuore. L'anima esplode ed io rimango inerme. Mi chiede: "Tutta questa rabbia da dov'è che esce?" Di motivi si potrebbero scrivere due fogli interi, ti basta sapere che il mio aiuto viene ricambiato ricevendo solo calci nel culo. Già, da dov'è che esce? Mi ripete. Ho sopportato abbastanza, ci ho messo pazienza e forza di volontà per non schiantarmi ogni volta contro un auto ad alta velocità.
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