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#Pippo Calò
gregor-samsung · 11 months
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“ Il metodo Falcone
«Nemico numero uno della mafia», l'etichetta gli resterà attaccata per sempre. Circondato da un alone leggendario di combattente senza macchia e senza paura, il giudice Giovanni Falcone, cinquantadue anni, ne ha trascorsi undici nell'ufficio bunker del Palazzo di Giustizia di Palermo a far la guerra a Cosa Nostra. Queste pagine ne costituiscono la testimonianza. Non si tratta né di un testamento né di un tentativo di tenere la lezione e ancor meno di atteggiarsi a eroe. «Non sono Robin Hood,» commenta in tono scherzoso «né un kamikaze e tantomeno un trappista. Sono semplicemente un servitore dello Stato in terra infidelium». Si tratta dunque piuttosto di un momento di riflessione, del tentativo di fare un bilancio nell'intervallo tra vecchi e nuovi incarichi: il 13 marzo 1991 il giudice Giovanni Falcone è stato nominato direttore degli Affari penali del ministero di Grazia e Giustizia a Roma.
Lontano da Palermo.
La partenza dal capoluogo siciliano, il distacco da una vita che si alternava tra auto blindate, dall'atmosfera soffocante del Palazzo di Giustizia, dalle lunghe notti a leggere e rileggere le deposizioni dei pentiti dietro le pesanti tende di una stanza superprotetta, dai tragitti tortuosi con la scorta delle auto della polizia a sirene spiegate sono forse stati una specie di sollievo. Ma Falcone non si fa illusioni, non dimentica il mancato attentato del 21 giugno 1989. cinquanta candelotti di tritolo nascosti tra gli scogli a venti metri dalla casa dove trascorre le vacanze: «È vero, non mi hanno ancora fatto fuori… ma il mio conto con Cosa Nostra resta aperto. Lo salderò solo con la mia morte, naturale o meno». Tommaso Buscetta, il superpentito della mafia, lo aveva messo in guardia fin dall'inizio delle sue confessioni: «Prima cercheranno di uccidere me, ma poi verrà il suo turno. Fino a quando ci riusciranno!».
Roma è soltanto in apparenza una sede più tranquilla di Palermo; ormai da tempo i grandi boss mafiosi l'hanno eletta a loro domicilio. La feroce «famiglia» palermitana di Santa Maria di Gesù vi ha installato antenne potenti. Senza contare la rete creata dal cosiddetto «cassiere» Pippo Calò, con il suo contorno di mafiosi, gangster e uomini politici. Le ragioni per le quali Falcone ha scelto Roma come nuova sede di lavoro sono diverse: nella capitale di Cosa Nostra non poteva più disporre dei mezzi necessari alle sue inchieste e il frazionamento delle istruttorie aveva paralizzato i giudici del pool anti-mafia. Era diventato il simbolo o l'alibi di una battaglia disorganizzata. Conscio di non essere più in grado di inventare nuove strategie, l'uomo del maxiprocesso, che aveva trascinato in tribunale i grandi capimafia, non poteva rassegnarsi a rimanere inerte. Ha scelto di andarsene. Le informazioni da lui raccolte possono essere utilizzate con profitto anche lontano da Palermo. Certo, non dovrà più svolgere personalmente le indagini, dovrà invece creare condizioni tali per cui le indagini future possano essere portate a termine più rapidamente e in modo più incisivo, dando vita a stabili strutture di coordinamento tra i diversi magistrati. Il clima nel capoluogo siciliano è cambiato: è spenta l'euforia degli anni 1984-87, finita la fioritura dei pentiti, lontano il tempo del pool antimafia, dei processi contro la Cupola istruiti magistralmente. In questa città impenetrabile e misteriosa, dove il bene e il male si esprimono in modo ugualmente eccessivo, si respira un senso di stanchezza, il desiderio di ritornare alla normalità. Mafiosi regolarmente condannati sono tornati in libertà per questioni procedurali, alcune facce fin troppo note ricompaiono nei ristoranti più alla moda. Le forze dell'ordine non hanno più lo smalto di un tempo. I pool di magistrati sono ormai svuotati di potere, il fronte ha smobilitato. Cosa Nostra dal canto suo ha rinunciato all'apparente immobilità. La pax mafiosa seguita alle pesanti condanne del maxiprocesso, da un lato, e al dominio dittatoriale dei «Corleonesi» sull'organizzazione, dall'altro, non è più salda come prima. Si moltiplicano i segnali di un progetto di rivincita delle «famiglie» palermitane per riconquistare l'egemonia perduta nel 1982 a favore della «famiglia» di Corleone, i cui capi, latitanti, si chiamano Salvatore Riina, Bernardo Provenzano e Luciano Leggio, quest'ultimo in carcere. La mafia sta attraversando una fase critica: deve riacquistare credibilità interna e rifarsi una immagine di facciata, in quanto entrambe gravemente compromesse. «Abbiamo poco tempo per sfruttare le conoscenze acquisite,» ripete instancabilmente Falcone «poco tempo per riprendere il lavoro di gruppo e riaffermare la nostra professionalità. Dopodiché, tutto sarà dimenticato, di nuovo scenderà la nebbia. Perché le informazioni invecchiano e i metodi di lotta devono essere continuamente aggiornati.». “
Giovanni Falcone in collaborazione con Marcelle Padovani, Cose Di Cosa Nostra, Collana Saggi italiani, Milano, Rizzoli. Prima edizione: 13 novembre 1991.
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cmlibri · 2 years
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Ornella Sgroi #Maleficent #Ferracane Pippo Calò, Ester Pantano, «Leonora addio» di Paolo Taviani #Pirandello http://cmtempolibero.blogspot.com/2022/08/con-leonora-addio-di-paolo-taviani-ma.html #CMLibri #CMTempoLibero #Kinéma #LeonoraAddio #Taviani #PaoloTaviani #Tempio Giunone #Agrigento #TempioGiunoneAgrigento #TempioDiGiunoneAgrigento #OrnellaSgroi #EsterPantano #LuigiPirandello
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giancarlonicoli · 2 years
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9 giu 2022 20:00
“CONTORNO MI HA DETTO CHE CI SONO PERSONAGGI CHE NEL PASSATO NON SAREBBERO MAI STATI INSERITI IN COSA NOSTRA PERCHÉ TROPPO SANGUINARI O TROPPO FOLLI” – L’AUDIO RITROVATO DI GIOVANNI FALCONE È UNA SORTA DI PRESAGIO DI MORTE. UNA LEZIONE SULLA MAFIA CON QUALCHE STOCCATA AI COLLEGHI DEL NORD: “PENSANO DI VENIRE QUI A INSEGNARE A NOI COME SI FANNO LE INDAGINI E DIRCI COSA È LA MAFIA. HO AVUTO QUASI UNO SCONTRO CON I COLLEGHI DI MILANO CHE SI LAMENTAVANO PERCHÉ A PALERMO NON SI POTEVANO FARE PEDINAMENTI. GLI HO DETTO: A MILANO VOI FATE I PEDINAMENTI. QUI SI MUORE PER QUESTE COSE…”
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Serena Sartini per “il Giornale”
La voce ferma, decisa, con lunghe pause intervallate da tiri di sigaretta. E poi i nomi snocciolati uno dietro l'altro: Buscetta, Pippo Calò, il corto Riina. Giovanni Falcone traccia una fotografia di come si muoveva Cosa nostra a fine anni Ottanta, i suoi tentacoli, la sua attività in Sicilia. Ce l'ha con alcuni colleghi che pensano di conoscere la mafia meglio di lui, che cercano la Piovra fuori dalla Sicilia, uno dei tanti teoremi senza prove che hanno ostacolato la lotta a Cosa Nostra. E invece «epicentro della mafia - diceva nel 1989 in un audio esclusivo ritrovato dopo oltre 30 anni - è sempre la Sicilia e Palermo in particolare.
Non si può far parte e gestire Cosa nostra se non hai il controllo del territorio nei punti cardine altrimenti duri lo spazio di un mattino», ammoniva il magistrato, ucciso nella strage di Capaci il 23 maggio 1992 insieme alla moglie e ai tre uomini della scorta.
Una lunga lezione che Falcone tenne per descrivere la mafia e come si muoveva. Lui che la criminalità organizzata la combatteva giorno dopo giorno; lui che aveva cominciato a smantellarne i cardini. Lui che ripeteva che «l'organizzazione di Cosa nostra è qualcosa che investe tanto a reticolo tutto il territorio che basta che solo alcuni diano gli ordini, che tutto il resto diventa un fatto automatico».
È un Falcone appassionato ed emozionato allo stesso tempo, in cui emerge la sua umanità e il suo amore per quel lavoro, quello della ricerca della verità e della giustizia. Nel trentennale dalle stragi di Capaci e Via d'Amelio, in cui persero la vita lo stesso Falcone e poi Paolo Borsellino, riemerge un audio di straordinaria attualità, diffuso in un podcast dell'agenzia askanews dal titolo «Falcone: le parole inascoltate».
Nel colloquio con i «suoi» uomini, emergono tutta la professionalità, la fermezza e la capacità investigativa del magistrato. «Su spostamenti di consigli di amministrazione della mafia dalla Sicilia altrove togliamocelo dalla testa - diceva il magistrato, che nel 1989 era giudice istruttore a Palermo - Epicentro della mafia è sempre la Sicilia e Palermo in particolare».
Tracciava una «organizzazione a raggiera» che «produce certi risultati». Il linguaggio pacato ma allo stesso tempo deciso, con il suo accento marcatamente siciliano; lunghe pause quasi a scandire ogni singola parola. E poi le sue amate sigarette.
«Se non si comprende che questo tipo di organizzazione a raggiera produce certi risultati - ammoniva - questi risultati appaiono inspiegabili. Ecco perché mi sembra dissennato e folle, se in buona fede, peggio se in male fede, parlare di disorganizzazione delle famiglie». E proprio nel «momento in cui sta venendo fuori in tutta la sua pericolosità, la capacità di agire unitariamente di Cosa nostra, ancora continuiamo a parlare esattamente del contrario?».
Per il magistrato, simbolo della lotta alla mafia, lo spaccio di stupefacenti rappresentava solamente una minima attività di Cosa nostra. «C'è la necessità di rendersi conto che quando si parla ad esempio di traffico di stupefacenti come una delle più lucrose attività di Cosa nostra - denunciava - si è portati a ritenere che tutta Cosa nostra si occupi di traffico stupefacenti. Non è vero. Ci sono solo alcune fette importanti di membri di Cosa nostra che, collegati in diverso modo con personaggi non mafiosi o anche stranieri, gestiscono in tutto o in parte determinate linee del traffico di stupefacenti».
«Io mi ricordo che agli inizi, ora per fortuna non più - racconta - colleghi peraltro validissimi di altre parti d'Italia pensavano di venire qui ad insegnare a noi come si fanno le indagini e dirci cosa è la mafia.
Colleghi che pensavano che dal piccolo trafficante o dallo spacciatore, risalendo a ritroso la catena dei passaggi sicuramente sarebbero risaliti al laboratorio di eroina... Obiezioni che mi sento dire spesso anche nei salotti di Roma...basta seguire e ci si arriva. E invece più si va avanti nelle indagini e più ci si rende conto dell'estrema complessità».
Racconta Falcone di alcune vicende che lo hanno riguardato in prima persona. Come quando è andato a interrogare Tommaso Buscetta, il boss dei due mondi, dopo la sua deposizione al processo della pizza Connection. «Era in particolare stato di prostrazione psichica - racconta il magistrato - e io chiesi che cosa fosse successo. Rispose che dall'oggi al domani le persone che qualche mese prima del suo esame gli stavano accanto, non gli rivolsero più la parola».
Giovanni Falcone definisce poi Pippo Calò non il «cassiere di Cosa nostra» ma «il cassiere di se stesso». «Pippo Calò - racconta il magistrato - era importante a Roma per se stesso per i suoi importantissimi contatti con la delinquenza locale, la banda della Magliana in particolare». E cita anche il corto, ovvero Totò Riina. «Quando si parlava di un traffico di stupefacenti che doveva interessare la Sicilia, mi dissero che non si muove foglia senza che il corto non dia il suo benestare».
Ricorda, il magistrato, anche i suoi inizi. Le difficoltà, le sfide, gli scontri che lo avrebbero atteso. «Quando sono entrato in magistratura, il procuratore dell'epoca - il povero Scaglione - mi diceva: ma io non ho problemi se una indagine la voglio accelerare, la affido a quel magistrato. Se voglio che le indagini siano fatte in una certa maniera particolarmente incisiva la affido a quel sostituto».
«Ieri ho avuto una lunga discussione, quasi uno scontro con i colleghi di Milano che si lamentavano perché a Palermo non si potevano fare pedinamenti, non si potevano scoprire cose. Dicevo: c'è una piccolissima differenza. A Milano voi fate i pedinamenti. Qui si muore per queste cose. Qui in certe zone gli ufficiali di polizia giudiziaria entrano per pedinare e poi si accorgono di essere pedinati».
Le pause, il respiro, ancora un tiro di sigaretta. E poi di nuovo: «Ho finito di parlare giorni addietro con Contorno e dice che la situazione è terribile e lui ha notizie attuali ad oggi, perché vi è soprattutto adesso una cooptazione di personaggi che nel passato mai e poi mai sarebbero stati inseriti in Cosa nostra perché ritenuti o troppo sanguinari o troppo folli o di principi non troppo ortodossi». Notizie di prima mano che, secondo il magistrato, la mafia aveva costantemente. «Non c'è un omicidio sbagliato, finora, in seno a Cosa nostra - disse quasi in tono profetico -. Quando si uccise Dalla Chiesa tutti dissero: è stato fatto un errore storico. Poi hanno ucciso Chinnici e Cassarà e di nuovo tutti hanno detto che fu un altro errore storico. E continuiamo a fare errori storici.
Hanno sempre indovinato, il momento opportuno, il momento giusto. Hanno colpito al momento giusto. E questo dimostra, a parte la ferocia, una assoluta conoscenza di notizie di prima mano». Un messaggio che, riletto dopo trent' anni, suona davvero come una profezia.
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08.06.2022 19:23NEL 1989 GIOVANNI FALCONE AVEVA CAPITO TUTTO SU COME SI DOVEVA RIFORMARE LA GIUSTIZIA - IN UNO...
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segretecose · 3 years
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Se io volessi approfondire (leggi: cominciare da 0 perché non c'ho mai capito nulla) un po' la questione stagione delle stragi, falcone e borsellino ecc., da dove dovrei cominciare?
intanto io ti consiglio di partire dal presupposto che non capirai mai tutto bene perché è letteralmente impossibile. detto questo direi che se sei proprio digiun* cominciare leggendo le pagine wikipedia non può far male, se non altro per familiarizzare con nomi, date ecc. poi alcuni spunti possono essere:
10 libri da leggere su Falcone e Borsellino (aggiornato al 2020)
Libri sulla mafia: i 10 titoli che tutti dovrebbero leggere
su youtube trovi diverso materiale, ad esempio: Atlantide - Dopo Capaci - Chi sono le ‘menti raffinatissime’ di cui parlò Giovanni Falcone?; Mafia : il Maxiprocesso di Palermo a Cosa Nostra; Maxiprocesso cosa nostra Buscetta vs Pippo Calò; Documentario su Tommaso Buscetta, il boss dei due mondi che svelò i segreti della mafia; Italian Leaks: I segreti più oscuri dell’Italia (parecchi episodi trattano di queste vicende) 
per ragioni più sentimentali che altro ti consiglio anche questo di Pif: Bunker Falcone e Borsellino - Caro Marziano 
su raiplay trovi molte cose interessanti cercando semplicemente Falcone/Borsellino
di film ti dico la verità io non ne ho visti tanti ma ti consiglio tantissimo Il traditore (2019, M. Bellocchio) e anche Il Divo (2008, P. Sorrentino) visto che se si parla di mafia Andreotti è impossibile non tirarlo in ballo ;) . so che hanno fatto anche diverse serie (es.: Il capo dei capi su Riina) però non avendole viste non so consigliarti
edit: aggiungo anche quello consigliato dagli altri anon:
“La mafia uccide solo d'estate di Pif, perché pur non essendo per niente pesante è un'ottima introduzione a quanto successo e come era la situazione a Palermo”
“Suggerisco anche episodi di La Storia Siamo noi su Falcone, Borsellino e il maxiprocesso. Alcuni sono disponibili sul sito di ufficiale, altri si trovano su youtube!”
“Consiglio anche di guardare le puntate dedicate alla mafia di Blu notte - Misteri italiani, in particolare quelle dedicate al pentitismo mafioso e agli uomini di stato morti per mano di mafia” 
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respektnloyalty9 · 3 years
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Vittorio Mangano - Palermo City - Porta Nuova - Mafia Siciliana
Was a member of the Sicilian Mafia or Cosa Nostra. He was well known as the stable keeper at the villa of Silvio Berlusconi in Arcore in the 1970s and as such Mangano is known as "lo stalliere di Arcore" (the stable keeper of Arcore). Berlusconi later became Prime Minister of Italy
From 1973 to 1975 Mangano was hired as stable keeper at the Villa San Martino owned by Silvio Berlusconi in Arcore, a small town near Milan. Mangano's real job is alleged to have been to deter kidnappers from targeting the tycoon's children. It was Berlusconi's right-hand man Marcello Dell'Utri who advised to take Mangano for the job. Mangano took care of the Villa's security and sometimes took Berlusconi's children to school.
During the Maxi Trial in the mid-1980s the Mafia turncoats (pentiti), Tommaso Buscetta and Salvatore Contorno, said Mangano was a "uomo d'onore" (man of honour) of Cosa Nostra and a member of the Porta Nuova family that was headed by Pippo Calò. Buscetta himself was a member of this family.
ESPAÑOL
Fue miembro de la mafia siciliana o Cosa Nostra. Era bien conocido como el guardián del establo en la villa de Silvio Berlusconi en Arcore en la década de 1970 y, como tal, Mangano es conocido como "lo stalliere di Arcore" (el guardián del establo de Arcore). Berlusconi más tarde se convirtió en primer ministro de Italia.
De 1973 a 1975, Mangano fue contratado como cuidador de establos en la Villa San Martino propiedad de Silvio Berlusconi en Arcore, una pequeña ciudad cerca de Milán. Se alega que el verdadero trabajo de Mangano fue disuadir a los secuestradores de atacar a los hijos del magnate. Fue la mano derecha de Berlusconi, Marcello Dell'Utri, quien aconsejó contratar a Mangano para el puesto. Mangano se ocupaba de la seguridad de la Villa y, en ocasiones, llevaba a los niños de Berlusconi a la escuela. Durante el Maxi Trial a mediados de la década de 1980, los traidores de la mafia (pentiti), Tommaso Buscetta y Salvatore Contorno, dijeron que Mangano era un "uomo d'onore" (hombre de honor) de la Cosa Nostra y miembro de la familia Porta Nuova que era encabezada por Pippo Calò. El propio Buscetta era miembro de esta familia.
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pollicinor · 6 years
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«Teresi disse che stava facendo due palazzi a Palermo, Berlusconi rispose che lui stava costruendo una città intera e che amministrativamente non c’è molta differenza: ci ha fatto una specie di lezione economica. Poi sono andati nel discorso di garanzia, che “Milano oggi è preoccupante perché succedono un sacco di rapimenti”... Io sapevo che Luciano Leggio, quando era ancora libero, diceva che voleva portarsi tutti i soldi del Nord a Corleone... Stefano Bontate aveva la parola, perché era il capomandamento, io c’ero solo per l’intimità con lui. Berlusconi ha spiegato che aveva dei bambini e non stava tranquillo, per cui avrebbe voluto una garanzia, e qua gli dice: “Marcello mi ha detto che lei è una persona che mi può garantire questo e altro”. Allora Stefano Bontate fa il modesto, ma poi lo rassicura: “Può stare tranquillo, deve dormire tranquillo, perché lei avrà vicino delle persone che qualsiasi cosa chiede avrà fatto. Poi lei ha Marcello qua vicino, per qualsiasi cosa si rivolge a Marcello...”. E poi aggiunge: “Le mando qualcuno”.» Di Carlo chiarisce la frase del boss spiegando che per garantire una piena protezione mafiosa a Berlusconi «ci voleva qualcuno di Cosa nostra», perché Dell’Utri non era affiliato come uomo d’onore. E aggiunge che, appena Bontate ha pronunciato quelle parole, «Cinà e Dell’Utri si sono guardati». Una volta usciti dagli uffici di Berlusconi, prosegue il pentito, «Cinà ha detto a Bontate e Teresi: “Ma qui c’è già Vittorio Mangano, che è amico anche di Dell’Utri”». Di Carlo ricorda che «Stefano non ci teneva particolarmente, però Mangano era della famiglia di Porta nuova con a capo Pippo Calò, quindi era nel mandamento di Bontate. Per cui Bontate ha detto: “Ah, lasciateci Vittorio”».
Dall’articolo "Silvio Berlusconi e la mafia: vent'anni di soldi in nero (ma nessuno ne parla)" di Paolo Biondani
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lematerieprime · 3 years
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#relaxtime con Le Materie Prime: Le Materie Prime - Cecità Ho preso tanti soldi dallo stato li ho investiti in buoni del tesoro nel costato tutti i risparmi si se mi vedi sulla bici non denunciarmi ai nemici guarda che io tocco la strada con il piede come mi ha insegnato nonna ada Cecità nè quel sentimento che esce dal caffè e investe anche te Nel buio io mi oriento molto bene so trovare la mia faccia e sotto a destra il pene ecco qui la mia cecità dopo tutto ascolto tutto e faccio sfiff ah Poi non vedo i pali mentre passo per la mia città poi non vedo i semafori che si colorano di quel colore che è della speranza attraverso cerco una rosticceria, sento un buon odore invece è una panetteria cecità pane a volontà se volevo il salame il salame non è qua cecità Cecità e invalidità pali sulla testa Voglio andare al cimitero ed invece sono ad una festa dell'unità cecità che odor di salamelle Ho cercato le e ho trovato due barelle La mia cecità si è trasformata nella mia invalidità cerco la luce mentre penso al duce e quando l'accendo il buio non se ne va Venditore che mi mostri stoffe colorate, non sforzarti sono cieco ti prendo a pedate Sono orbo non darmi carciofi per finocchi porca troia non ci vedo da entrambi gli occhi Non ci vedo sono cieco del grano la spiga , ma se tocco una donna io trovo la figa Mi hanno insegnato che cosa è il quadrato il cerchio ed il pentagono il dodecaedro ed anche l'esagono Sono cieco e te lo confesso caro pippo calò l'unica forma che amo la figa Fb: https://www.facebook.com/LeMateriePrime Yt: https://www.youtube.com/user/LeMateriePrime Se ti piace questa canzone, fanne una anche tu! #lematerieprime
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topprezzi · 5 years
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saveriopaletta1971 · 5 years
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Vota Ripartono le indagini su uno dei delitti più misteriosi della storia repubblicana. A quarant’anni dalla morte tragica del direttore di Op, una giornalista d’assalto scopre documenti dimenticati e l’ex avvocato di Pippo Calò rimescola le carte con un libro destinato a far discutere Ci sono misteri destinati a restare tali, a dispetto degli sforzi […]
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paoloxl · 7 years
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Come è noto il portale web della Camera dei deputati contiene una scheda per ciascuno degli eletti in quel ramo del Parlamento a partire dalla prima legislatura della Repubblica italiana. Tra queste, dopo aver letto una sua intervista rilasciata a un quotidiano nazionale all’indomani del pasticcio sui vitalizi, sono andato a leggere la scheda di Massimo Abbatangelo, napoletano, classe 1942, deputato del Movimento Sociale Italiano-Destra Nazionale dal 1979 al 1994. Nel 1987, nonostante una richiesta di rinvio a giudizio per la strage di Natale sul treno Napoli-Milano, il suo partito decise di ricandidarlo. L’iter giudiziario dell’onorevole Abbatangelo – la cui posizione fu stralciata fin da subito dal processo principale in cui erano imputati, tra gli altri, due boss mafiosi: il siciliano Pippo Calò (poi condannato quale mandante) e il napoletano Giuseppe Misso (Missi all’anagrafe) – si concluse nel 1994 con un’assoluzione piena per il reato di strage (“per non aver commesso il fatto”; in primo grado era stato condannato all’ergastolo) e una condanna a 6 anni per detenzione di armi ed esplosivo. Non proprio un fiore all’occhiello per chi siede in Parlamento. Detto questo, secondo una sentenza definitiva pronunciata in nome del popolo italiano, Abbatangelo non è tra i responsabili della strage che il 23 dicembre 1984 fece 16 vittime e 267 feriti, nello stesso luogo in cui dieci anni prima “ignoti” neofascisti toscani, supportati dalla loggia P2 (cfr. Atti Commissione d’inchiesta P2), avevano messo una bomba sul treno Italicus. Naturalmente il giudizio dei cittadini sul comportamento dei loro rappresentanti non può e non deve basarsi unicamente sulla fedina penale. Non mantenere una promessa elettorale, per esempio, è un comportamento penalmente irrilevante ma politicamente e civilmente censurabile. A maggior ragione detenere del tritolo non è esattamente quello che gli elettori vorrebbero leggere sul curriculum di un candidato. O almeno si spera. Nell’intervista pubblicata il 7 luglio scopriamo invece che, non pago di aver beneficiato della “restituzione per intervenuta riabilitazione e la decorrenza retroattiva degli importi da restituire”, l’ex onorevole Abbatangelo non ha perso l’ambizione di dare il proprio contributo disinteressato al compimento del destino della Nazione: «Sono convinto che Giorgio Almirante mi chiederebbe di tornare in veste di padre nobile (sic!) per riunire la nostra comunità troppo parcellizzata da vicende personali. A tal proposito inviterò tutti i miei amici ad una convention della destra a Roma a settembre». A parte l’inglesismo, che Mussolini e Almirante forse non avrebbero gradito, sembrerebbe un modo per dire ai Salvini e alle Meloni: ragazzini fatevi da parte che queste son cose da uomini. Questo per quanto riguarda l’intervistato. Nel riepilogare il cursus honorum di Abbatangelo, condannato anche per aver incendiato una sede del Pci nel 1970, l’intervistatore – per necessità di sintesi? – non ha ricordato ai lettori il contesto in cui maturò la condanna per detenzione di esplosivo. Sfogliando gli atti del processo per la strage del 904 si può leggere che, pur non essendoci prove che l’esplosivo utilizzato nella strage fosse quello, i magistrati accertarono però che Abbatangelo consegnò effettivamente dell’esplosivo a Misso, allora boss del quartiere Sanità e titolare di due soprannomi: Peppe ‘o nasone e, specie dopo la plastica al naso, ‘O fascista. Ieri mattina, nonostante la consapevolezza dell’assoluzione di Abbatangelo per quella strage, appena letta l’intervista mi è venuto spontaneo pensare ai familiari delle vittime del Rapido 904. Riguardo la vicenda della riabilitazione remunerata (5.600 euro al mese), non credo ci sia nulla da aggiungere al commento di Rosaria Manzo, presidente dell’associazione che li riunisce: «Come familiari delle vittime siamo sconcertati da questo mudus operandi. Com’è possibile che un superstite o un familiare di una vittima del terrorismo o della criminalità organizzata per ottenere i benefici di legge debba affrontare visite mediche e indagini familiari fino al terzo grado di parentela, mentre un ex parlamentare che ha avuto una condanna personale passata in giudicato ha diritto al vitalizio con il recupero di tutti gli anni arretrati? Questo è uno dei casi in cui la legge non è uguale per tutti». La nascita della cosiddetta seconda Repubblica aveva illuso molti italiani che questo genere di personaggi fossero destinati, quanto meno, ad un oblio permanente. Poi, come fecero notare i pluriergastolani in una mitica intervista di Gian Antonio Stella (Corriere della Sera, 12 giugno 1994), scoprimmo che Berlusconi era riuscito a portare al governo una serie di camerati che, da giovani, non disdegnavano la compagnia: «“Ma guarda Teodoro… E Gianfranco… E Francesco…”. Ogni volta che comincia un telegiornale, in un paio di celle di Rebibbia due bocche si spalancano con divertito stupore. Perché a loro, Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, marito e moglie, condannati a diversi ergastoli per diversi omicidi politici commessi durante la loro forsennata avventura contro tutto e tutti tra le file dei Nuclei armati rivoluzionari, la novità fa ancora un certo effetto. Quelli che adesso sono là, al governo, a trattare di presidenze bicamerali e consigli d’amministrazione, sono proprio i ragazzi con cui sono cresciuti, tra volantini, sprangate, manifestazioni, lutti, passioni, alla federazione romana del Fronte della Gioventù di via Sommacampagna. “Vedere Storace andare a discutere alla Rai è fantastico – sorride Fioravanti. Capirà, lo conosciamo da una vita». Altri tempi? http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07/10/vitalizio-a-massimo-abbatangelo-il-missino-che-teneva-il-tritolo/3719233/ documentazione r_campania
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giancarlonicoli · 3 years
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5 dic 2020 19:10
"TE POTREI FA' MASSACRA' MA SEI UN UOMO" – IL CRONISTA EMILIO RADICE RACCONTA DI QUANDO IL BOSS DELLA BANDA DELLA MAGLIANA AVEVA PROVATO A COMPRARLO: “MI OFFRÌ UNA VENTINA DI MILIONI E UNA MERCEDES. PROVAI UN TRASALIMENTO, COME UNO SPAVENTO, E GLI RISPOSI INGENUAMENTE…” – TUTTI I SEGRETI CHE SI PORTERÀ NELLA TOMBA
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1 – FACCIA A FACCIA COL BOSS "TE POTREI FA' MASSACRA' MA SEI UN UOMO"
Emilio Radice per “la Repubblica – Roma”
Una cosa che mi ha sempre fatto rabbia, a proposito di Enrico Nicoletti, è avergli dovuto dare ragione. Ero seduto davanti a lui una sera di tanto tempo fa, nel suo salone di automobili Eurocar sulla Casilina. Lui sulle prime non era stato molto gentile.
Sorpreso dal fatto che fossi andato a trovarlo nella sua " tana" mi aveva indicato i suoi figlioli, due colossi palestrati, e mi aveva detto: « Bel coraggio che c'hai a venire qui, te potrei fa' massacra' » . Poi però aveva aggiunto: « Però se un omo » e mi aveva fatto accomodare nell'ufficio, io e lui a tu per tu.
Parlavamo del caso Tor Vergata, già esploso sui giornali, e lui mi fece: «Ma perché voi giornalisti volete faticare? Tanto poi ci sarà un bell'accordo politico e di questa storia non si parlerà più. Smettila di scrivere no? » .
E per convincermi mi offrì una ventina di milioni e una Mercedes. Provai un trasalimento, come uno spavento, perché ebbi la sensazione fisica di avere davanti qualcosa che poteva farmi male. Non avevo sbagliato, Nicoletti era al centro di un affare enorme e sporco, altrimenti non avrebbe tentato di comprarmi. E gli risposi ingenuamente: « Io un prezzo ce l'ho: dimmi chi per costruire l'università di Tor Vergata ha preso i soldi e di te non mi importerà più nulla » .
Lui si fece una risata. Non mi feci corrompere ma poi, giorno dopo giorno, vidi avverarsi la sua profezia: ci fu l'intesa politica, le informazioni cessarono di arrivare, tutto si chiuse. Si chiuse anche l'inchiesta penale, in quello che allora era più che mai il Porto delle Nebbie, il Palazzo di Giustizia di Roma. E dovetti sopportare persino lo sberleffo di un insolito invito: mi chiamarono infatti i fratelli Ugo e Lando Dell'Amico che allora pubblicavano un foglio di " informazioni riservate", Repubblica, e avevano sede in una palazzina in zona Fontana di Trevi che si diceva essere sede dei " servizi".
Strani tipi di giornalisti i Dell'Amico, che però mi misero sotto il naso uno dei loro fogliacci che titolava a luglio « Scoppierà in autunno lo scandalo dell'affare Tor Vergata.... » , ed era ottobre, e lo scandalo avevo contribuito a farlo scoppiare io, il Comune traballava, il sindaco Ugo Vetere mi telefonava ogni mattina e.... avevo la netta sensazione di essere una pedina di un gioco molto più grande di me. Enrico Nicoletti ora è morto.
Non gli ho mai voluto male anche se ho avuto spesso la sensazione che avrebbe potuto farmene, se avesse voluto. Ma non lo ha voluto. In fondo ci rispettavamo. Quando suonavo a casa sua, in via di Valle Alessandra, la moglie, Gabriella Cinti, gli urlava: « Enricoooo, c'è qui il cronista! » poi facendomi entrare mi diceva: « Tanto ormai l'ho capita: pane al pane, vino al vino » .
Il problema era poi dopo, lui, il boss (ma guai a chiamarlo boss). Ti faceva accomodare sul divano, sotto immagini di papi e di santi. E poi era tutto un parlare e non parlare, o tutto un dire ma proibirti poi di scrivere qualcosa (" Io non ti ho detto nulla"). Poi un avvertirti scivoloso: « Sai, c'è un amico che ti conosce, non sei napoletano tu? Ah no, lo è tuo padre » .
E poi tutto un offrirti favori: un medico fidato, un prestito sicuro, un investimento geniale. No, no, no, bisognava stare sempre a dire di no, perché un sì sarebbe stato la fine. « Almeno una bottiglia di champagne, dai, accettala. La porti in redazione per berla con gli altri giornalisti alla mia salute » . No, no. Ecco chi era Nicoletti. Dirgli di sì una volta sarebbe stato un obbligo a dirgli sì per sempre. Questo era il suo sistema. Questo il pericolo. E questo il cappio che si è stretto al collo di Roma in mille e mille affari.
2 - I SEGRETI DI NICOLETTI CHE CUSTODÌ IL TESORO DEI BOSS DELLA MAGLIANA
Massimo Lugli per “la Repubblica”
Il corpo pesante, l'accento romano marcato quasi di proposito, lo sguardo ironico e quell'aria di non prendere mai nessuno sul serio, perfino una certa bonomia, lo facevano assomigliare a Ugo Fabrizi. In vita lo hanno chiamato "Il Secco" o "la Banca", in morte molti lo rimpiangeranno e altri tireranno un sospiro di sollievo perché, di sicuro, si è portato nella tomba parecchi segreti.
Misteri mai risolti, intrallazzi ancora da svelare che potrebbero rovinare, a distanza di anni, più di una solida reputazione. Enrico Nicoletti, morto a 84 anni, è e rimane un simbolo della stagione più rampante, più sanguinosa e più oscura della malavita romana.
Il suo nome resterà associato in sempiterno alla Banda della Magliana ma in realtà "il Secco" ha sempre fatto di testa sua, si è mosso da indipendente per tutta la vita e ha legato i suoi interessi a quelli dei "Bravi ragazzi" soltanto quando e come gli è convenuto. In sostanza erano "Renatino", "Marcellone", "L'accattone", "Er Camaleonte" e compagnia ad avere bisogno di lui, molto più di quanto Nicoletti ne avesse di loro e non a caso, se non dalle condanne, uscì indenne dalla faida interna che decimò la gang, in un'implosione selvaggia di omicidi, ritorsioni, spiate, regolamenti di conti calibro 9 per 21. Neanche un graffio, nemmeno una minaccia.
Non male per uno che, probabilmente, non aveva mai impugnato una pistola in vita sua se non la "Beretta" d'ordinanza dei lontani tempi in cui indossava la divisa dei Carabinieri. La potenza di Nicoletti nasce molto prima degli anni 80, quando una paranza di rapinatori decise di fare il grande salto al grido di "Pijamose Roma".
E come tutte le fortune imprenditoriali all'ombra del Campidoglio cresce e si rafforza di pari passo coi rapporti con la politica. Potere, a Roma, voleva dire Andreotti e soprattutto il suo braccio destro più alla mano: Giuseppe Ciarrapico. Amicizia consolidata e ampiamente descritta in centinaia di faldoni giudiziari. Sono gli anni delle gru, dell'edilizia economica e popolare, delle grandi opere. Una miniera d'oro. Costruttore ben agganciato, si butta a pesce sul business dei terreni dove sorgerà l'Università di Tor Vergata.
Un giovane cronista di "Paese Sera", Emilio Radice, scopre l'impiccio, ne scrive, scatena un vespaio e "La Banca" reagisce secondo il suo stile: lo invita a casa sua e gli offre "cinque gettoni da cinque pippi" (milioni) se la pianta di rompere le scatole. Gli va male ma c'è da giurare che ha funzionato in tante altre occasioni: il libretto degli assegni è più micidiale di una semiautomatica, come si scoprirà con la faccenda del "Mondo di Mezzo".
Dal mattone, "La Banca" si lancia in altre attività redditizie: usura, autosaloni, riciclaggio, investimenti in borsa. Tutta la malavita e gran parte di quella zona grigia che a Roma si definisce "Bru bru" lo sa. «Se porti un melone a Nicoletti alla fine dell'anno te ne ridà dieci». Tantissimi fiutano il guadagno e bussano alla porta della sua villa.
Poi tornano. Scrupoloso come un ragioniere, "il Secco" rispetta gli impegni e le scadenze: l'interesse del 10 per cento è sicuro, basta non fare troppe domande. Lungimirante, prudente, astuto, Nicoletti si lega alle persone giuste: i Casalesi di Antonio Iovine e Vincenzo Zagaria, i siciliani di Pippo Calò, emissario romano di Cosa Nostra, Alessio Monselles, ex rapinatore, faccendiere dai mille volti e, ovviamente, quei ragazzi turbolenti che si facevano strada a raffiche di mitra, sequestri di persona e relazioni pericolose. Affiancato dai figli Toni e Massimo, fa qualche scivolone da imbecille solo quando denuncia un reddito di 450 mila lire su un patrimonio stimato di 69 miliardi (di lire).
Entra ed esce di galera, colleziona scarcerazioni, sconti di pena, nuove denunce, incriminazioni, arresti domiciliari per motivi di salute ma resta fedele alla regola aurea: buttarsi a Santa Nega. Mai un'ammissione, mai un cedimento. «Io boss? Ma de che?» «La Majana? E' un quartiere, no? Ahquellili conoscevo così, come tanti altri», fino allo sberleffo sul libro di De Cataldo. «Er Secco? E chi sarebbe? Io? Guarda che panza che c'ho». Vecchio, stanco, malato, potrebbe mettersi in pensione e affidare il timone agli eredi, che dimostrano la stessa stoffa del padre, ma non ci pensa nemmeno: l'ultimo arresto è di nove anni fa, una storia di usura e truffa sulle case messe in vendita alle aste giudiziarie. Ai funerali di certo, ci saranno parecchie persone e parecchi poliziotti in "abito simulato". E c'è da giurare che non sarà una pacchianata come quelli dei Casamonica.
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luciamosca14 · 5 years
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Anticipazioni per "Maxi. Il grande processo alla mafia" con Paolo Mieli del 7 agosto in prima serata su RAI STORIA: Faccia a Faccia
Anticipazioni per “Maxi. Il grande processo alla mafia” con Paolo Mieli del 7 agosto in prima serata su RAI STORIA: Faccia a Faccia
Anticipazioni per “Maxi. Il grande processo alla mafia” con Paolo Mieli del 7 agosto alle 21.10 su RAI STORIA: Faccia a Faccia
  È il 10 aprile 1986, quando i due boss Pippo Calò e Tommaso Buscetta si trovano faccia a faccia ad accusarsi reciprocamente dei delitti più efferati: è il momento più caldo dell’intero Maxiprocesso alla Mafia.
Pippo Calò accusa l’ex amico di essere inaffidabile,…
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respektnloyalty9 · 3 years
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Giuseppe "Pippo" Calò - Palermo City - Porta Nuova - Mafia Siciliana
Is an Italian mobster and member of the Sicilian Mafia in Porta Nuova. He was referred to as the "cassiere di Cosa Nostra" (Mafia's Cashier) because he was heavily involved in the financial side of organized crime, primarily money laundering. He was arrested in 1985 and charged with ordering the murder of Roberto Calvi – nicknamed "Il banchiere di Dio" (God's banker) – of the Banco Ambrosiano in 1982, but was acquitted in 2007 due to "insufficient evidence" in a surprise verdict. After Calò was sentenced to 23 years' imprisonment as part of the 1986/87 Maxi Trial, he was sentenced to life imprisonment in 1989 for organising the 1984 Train 904 bombing. He was given several further life sentences between 1995 and 2002.
Born and raised in Palermo, the capital of Sicily, he was inducted into the Porta Nuova Mafia family at the age of 23 after carrying out a murder to avenge his father. By 1969, he was the boss of Porta Nuova, and amongst his men was the future informant (pentito) Tommaso Buscetta. Calò was on the Sicilian Mafia Commission, a group of the most powerful Mafia bosses in Sicily who regularly met, supposedly to iron out differences and solve disputes.
In the beginning of the 1970s, Calò moved to Rome. Under the guise of an antiques dealer and under the false identity of Mario Agliarolo he invested in real estate and laundered large proceeds of crime for many Mafia families. He was able to establish close links with common criminals of the Banda della Magliana, neo-fascist groups and members of the Italian intelligence agencies. According to reports, in the mid-1970s Calò strengthened relations with historical bosses of the Neapolitan Camorra, such as Lorenzo Nuvoletta and Vincenzo Lubrano.
During the early 1980s, he supported Salvatore Riina and the Corleonesi during the Second Mafia War that decimated the rival Mafia families.
ESPAÑOL
Nacido y criado en Palermo, fue incluido en la familia de Porta Nuova a la edad de veintitrés años después de llevar a cabo un asesinato para vengar a su padre. En 1969 era el jefe de la familia de Porta Nuova, y entre sus hombres se encontraba el futuro pentito Tommaso Buscetta. Calò formaba parte de la Comisión, grupo de los jefes mafiosos más poderosos de Sicilia, que habitualmente se reunían, supuestamente, para limar diferencias y resolver las controversias.
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italianaradio · 5 years
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RIACE IN FESTIVAL Oggi i libri di Lupis e Mazzotta. In serata si proietta il film di Bellocchio
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RIACE IN FESTIVAL Oggi i libri di Lupis e Mazzotta. In serata si proietta il film di Bellocchio
RIACE IN FESTIVAL Oggi i libri di Lupis e Mazzotta. In serata si proietta il film di Bellocchio
R. & P. Comunicato stampa Programma del 2 agosto, secondo giorno dell’ edizione 2019 del Riace in Festival.
PROGRAMMA:
Alle ore ore 10 presso l’ Auditorium “Angelo Frammartino” di Caulonia Marina: “L’importanza di fare comunità” con Oreste Torri – Coop Valle dei Cavalieri, Succiso (Reggio Emilia) Il paese cooperativa dove ogni giorno si cambia lavoro; Franco Roppo Valente – Associazione La Piazza (Cleto, Calabria); Sardex – Il circuito commerciale di Comunità (Sardegna); Massimo Veneziani – Giornalista Rai; Domenico Lucano – Associazione Città Futura (Riace, Calabria) Coordina Gianluca Carmosino – Comune Info
Alle ore 17.30 presso Mediateca di Riace Superiore Proiezione documentario “Inshallah Europa” di Massimo Veneziani e Federico Annibale – durata 35’
A seguire
Presentazione libro “I cannibali di Mao. La nuova Cina alla conquista del mondo” di Marco Lupis (ed. Rubettino) Dialoga con l’autore Annarosa Macrì – Giornalista Rai
Alle ore 21 presso l’Anfiteatro “Cosimo Taverniti” Presentazione libro “Muori cornuto. Giuseppe Zangara l’uomo che tentò di uccidere il presidente Roosvelt” di Peppino Mazzotta e Arcangelo Badolati Coordina Enzo Infantino
A seguire
Proiezione film “Il Traditore” di Marco Bellocchio Incontro con due dei protagonisti del film, Fabrizio Ferracane e Alessio Praticò. Conduce Maria Teresa D’Agostino.
Fabrizio Ferracane: Attore siciliano, fresco vincitore del Nastro d’Argento come miglior attore non protagonista proprio per la sua interpretazione di Pippo Calò nel film di Marco Bellocchio. Già candidato ai David di Donatello 2015 come miglior attore protagonista per il film “Anime nere” di Francesco Munzi.
Alessio Praticò: Attore reggino, già protagonista della serie tv Sky girata in Calabria “Il miracolo” di Nicolò Ammaniti e Francesco Munzi. Interprete del film “Lo spietato” di Renato De Maria, con Riccardo Scamarcio.
TUTTI GLI EVENTI SONO AD INGRESSO GRATUITO.
R. & P. Comunicato stampa Programma del 2 agosto, secondo giorno dell’ edizione 2019 del Riace in Festival. PROGRAMMA: Alle ore ore 10 presso l’ Auditorium “Angelo Frammartino” di Caulonia Marina: “L’importanza di fare comunità” con Oreste Torri – Coop Valle dei Cavalieri, Succiso (Reggio Emilia) Il paese cooperativa dove ogni giorno si cambia lavoro;
Gianluca Albanese
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tmnotizie · 7 years
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SAN BENEDETTO – Allenamenti a porte chiuse per la Samb. Stefano Sanderra questa mattina ha fatto chiudere i cancelli del Riviera per evitare intrusioni da parte di osservatori del Lecce. Anche domani, nella classica seduta di rifinitura dovrebbe essere adottata la stessa politica. Il tecnico rossoblù intanto sta valutando attentamente le condizioni di Mori che contro la formazione salentina potrebbe riprendersi la maglia da titolare, affiancando Radi al centro della difesa. Out Grillo.
Lo staff medico tenterà il miracolo per recuperare in extremis Vincenzo Aridità. L’ estremo difensore rossoblù si è sottoposto anche ad ecografia che ha escluso qualsiasi frattutra al dito del piede sinistro. Dovrebbe trattarsi di una lussazione. Comunque, in preallarme resta sempre Pegorin.
Intanto continua la corsa al biglietto da parte dei tifosi della Samb. Alle ore 19 erano stati acquisdtati dai supporters rossoblù 5.560 tagliandi mentre a Lecce 542. Domani i botteghini del Riviera saranno aperti (orario continuato) dalle 10 alle 19. Domenica 21 maggio, invece, dalle 11.30 alle 19.15, al termine del primo tempo.
I precedenti. Samb e Lecce tornano ad affrontarsi dopo circa 20 anni. L’ultimo confronto al Riviera tra le due formazione, infatti, risale al campionato di serie B ’87-’88 con i rossoblù che si imposero per 1-0 grazie ad una conclusione velenosa di Pippo Galassi che non diede scampo all’ ex Simone Braglia. Complessivamente sono sedici i precedenti tra le due squadre, dieci in serie B e sei in C. 9 vittorie della Samb, 5 pareggi e 2 successi salentini il computo totale.
La prima gara si disputò il 15 marzo 1953 (campionato di serie C 1952-1953) con la Samb che si impose per 2-0. Il Lecce riuscì a strappare il pari nella stagione successiva (1-1 il punteggio), mentre nella stagione 1954-1955 la formazione rivierasca vinse per 2-1. L’anno dopo la Samb approdò in serie B e le strade dei due club si divisero, per poi ritrovarsi, sempre in serie C, ma nel torneo 1963-1964. Larga vittoria dei rossoblù per 4-0. A segno andarono Piero Pucci, Olivieri (due), e Nicchi. La formazione rivierasca calò il bis  nel campionato successivo, vincendo per 2-0 grazie alle reti di Bruno Piccioni e Iannarilli. L’ultimo precedente in serie C è della stagione 1965-1966 con l’incontro che finì per 1-1 con i gol, entrmbi su calcio di rigore di Frigeri e Russo.
In serie B si inizia nella stagione 1976-1977 con la Samb che travolse il Lecce per 4-1 grazie ad una tripletta di Francesco Chimenti ed il gol di Berta. La rete della bandiera dei salentini portò la firma di Montenegro. Nuovo successo rossoblù nel campionato successivo. Questa volta finì 2-0 grazie alle marcature del bomber Chimenti e di Nicola Traini. Primo risultato ad occhiali tra le due squadre nel torneo ’78-’79 (0-0 il punteggio), mentre l’anno dopo fu Marco Romiti a regalare il successo ai rossoblù.
Doppio pareggio nei tornei 1981-1982 (1-1 a segno Cinquetti su rigore e Rossinelli) e 1982-1983 (0-0). Il Lecce sbancò il Ballarin in due partite consecutive. La prima imponendosi per 2-1 (Fiorini su rigore, Orlandi e autorete di Attrice nella stagione 1983-1984) e per 3-1 (Di Chiara, Cipriani, Borgonovo ed Enzo)  nell’ ultima stagione giocata nel vecchio e glorioso stadio.
Al Riviera delle Palme si contano due vittorie della Samb. La prima per 2-1 nel campionato cadetto 1986-1987 (Ferrari, autorete Petrangeli, Turrini) e poi l’anno successiVo per 1-0 con gol di Pippo Galassi.
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laspiait · 8 years
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Mafia: sigilli a 'Cosa nostra Spa', confiscati oltre 100 mln ll'imprenditore edile palermitano Francesco Pecora
Mafia: sigilli a ‘Cosa nostra Spa’, confiscati oltre 100 mln ll’imprenditore edile palermitano Francesco Pecora
Maxi confisca a Palermo. La Direzione investigativa antimafia del capoluogo siciliano ha sottratto definitivamente beni per oltre 100 milioni di euro all’imprenditore edile palermitano Francesco Pecora, morto a 77 anni, il 3 maggio 2011, e ai suoi eredi. Confiscati 168 immobili (appartamenti, ville, magazzini e terreni), tre societa’ di capitale e tre societa’ di persone, rapporti bancari.
Il…
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