Tumgik
#poi dicono che non è vero che il lavoro uccide
ross-nekochan · 9 months
Text
01 Settembre 2023
Sveglia alle 06:15
Mi vesto e preparo tutto. Sto per scendere. Do uno sguardo al cellulare aziendale. Tra le email del cazzo del giorno precedente ce n'è una delle 18:30 che fa:
LAVORO CANCELLATO
Cosa?!?! Come?!?! Quando?! Felicissima me ma allo stesso tempo mannaggia a me che non controllo mai quel cazzo di cellulare.
Ore 7:00 - torno a dormire
Ore 9:00 - saluti mattutini (perché non li scampi se non stai a fa ncazzo)
Ore 9:30 - torno a dormire e vado in coma fino alle 12:30
Colazione alle 13:00
(Tutto il resto è noia)
10 notes · View notes
paoloxl · 4 years
Photo
Tumblr media
(via Trieste 9 marzo 1985 - Pedro Greco "giustiziato" dalla Stato - Osservatorio Repressione)
Nel corso dell’operazione di polizia, viene ucciso,  benché disarmato e senza abbia opposto resistenza, il militante di autonomia operaia Pietro Maria Greco. Il Questore della città è Antonino Allegra, già capo dell’ufficio politico milanese al tempo del ‘suicidio’ di Giuseppe Pinelli.
– Pietro Maria Walter Greco nasce a Mileto Porto (RC) il 4 marzo 1947 – si trasferisce in Veneto alla fine degli anni sessanta – nel ’79 si trasferisce a Padova e si iscrive a statistica, dove si laurea – lavora come insegnante di matematica in una scuola media di Padova – viene inquisito e prosciolto per i Collettivi Politici Veneti nell’inchiesta contro l’autonomia veneta nella primavera ’80 – nel 1982 viene nuovamente inquisito – va in esilio a Parigi – viene ucciso dalla polizia a Trieste il 9 marzo 1985
[Pedro esce di casa, dall’appartamento al terzo piano; una volta giù decide di rientrare. Appostati all’esterno ci sono 4 sicari dello Stato italiano. Sono Nunzio Maurizio Romano, agente del Sisde (che ha il compito di riconoscerlo); Giuseppe Guidi, viceispettore della Digos; Maurizio Bensa e Mario Passanisi, agenti della Digos di Trieste. Il Romano, il Guidi e il Passanisi entrano nello stabile e si mettono in agguato nel sottoscala. Quando Pedro discende le scale il Romano gli si para davanti e spara due colpi calibro 38 a meno di mezzo metro di distanza che lo colpiscono ai polmoni. Immediato il fuoco incrociato degli altri due poliziotti killer che colpiscono Pedro con pallottole calibro 9 alla spalla e alla gamba. Nel piccolo atrio si conteranno successivamente i segni di almeno una dozzina di colpi. Pedro fa appello per l’ultima volta alla sua straordinaria forza di volontà, uscendo in strada e impedendo così che tutto si svolga senza testimoni. Esce, ferito mortalmente, parecchi passanti lo sentono gridare “mi vogliono ammazzare mi vogliono ammazzare”. Il Bensa, rimasto all’esterno dello stabile, appena vede Pedro gli spara, alle spalle. Pedro si accascia sanguinante dopo pochi metri. Il Passanisi lo ammanetta. Trasportato in ospedale con notevole ritardo, muore verso le 11.50] *non è tratta dal libro
Documenti prodotti da organizzazioni armate per la persone o per l’evento in cui ha incontrato la morte – Franco Fortini, “A Mino Martinazzoli”, in Lettere da Lontano, L’Espresso 16 novembre 1986 “L’assoluzione -tale è la sentenza di Trieste- di chi ha ucciso Greco non è sorprendente; né l’indifferenza dei partiti politici, da quelli che difendono “la vita” a quelli non contrari al terrorismo in uniforme (tornava in Francia, emigrato politico; agenti in borghese vanno a prelevarlo; fugge, sparano, lo ammazzano. “Sembrava avere un’arma” dicono. Era disarmato. Due condanne a 8 mesi, condizionale e non iscrizione). Quando leggo di sentenze come quelle non penso ai criteri dei giudici ( lei, ex ministro di giustizia ne sa più di me). Prima di tutto perché dei fatti so solo quel che se ne lesse. E poi perché ho paura e sto molto attento a non violare il Codice penale. (Quello della calunnia, non ho più l’età per temerlo). Purtroppo o fortunatamente è vero però che i responsabili dei quali mi interesso – e dunque non delle uccisioni né della sentenza ma del loro significato – non sono coloro che hanno sparato né coloro che 2ne hanno benedette le mani con un sorriso”, come tanti anni fa ebbi a scrivere per l’uccisione di Serantini; sono i politici e i loro portavoce ossia i giornalisti e gli operatori della comunicazione che quei significati conferiscono o lasciano conferire. Lei, caro Martinazzoli, è di buone letture. Mi permetta di rammentarle due versi di Baudelaire. Il “tu” invocato è Satana ma, per un cristiano, potrebbe essere il Sommo Bene: “Tu che al proscritto dai lo sguardo calmo e nobile / che intorno a un patibolo danna un popolo intero”. Non so se l’ucciso fosse colpevole alcunché; proscritto senza dubbia, se tornava da una sua emigrazione politica. Condannato a morte da alcuni specialisti fra dipendenti di due o tre ministri con i quali, fino a poco tempo fa, lei sedeva per il bene della Repubblica, Greco non era su un palco in attesa della lama o della corda. Non aveva “le regarde calm et haut”. Gridava: “mi vogliono ammazzare, aiuto!” Ma il popolo intero che la sua morte condanna e danna, quello sì, c’era. Mi basta scendere per la via per incontrarlo. E’ il nostro popolo, la gente che amiamo e stimiamo apparentemente inseparabile da quella che, forse insieme ai più, detesto, e , debbo pur dirlo, odio e vorrei veder ridotta non alla ragione (che è impossibile ormai) né al pentimento (che non è in mio potere) ma all’impotenza almeno. E’ il popolo che ascolta distratto o ignora cronache come quella di Trieste; e si danna così. Non credo alla giustizia della storia, che è di invendicati. Né che l’accumulo di sopraffazioni, latrocini, corruttele, oppressioni dei deboli e beffe della giustizia, debba finire, prima o poi, col muovere le pietre e la gente. Tutt’altro. Chi non guarda più i telegiornali, se proprio non si trova sulla traiettoria dei proiettili della Digos, avrà altre cose cui pensare invece della intenzionale o preterintenzionale trasformazione, grazie a quei piombi, di un giovanotto in un fantoccio da obitorio. Oggi, voglio dire, Nemesi sceglie vie invisibili, come nelle viscere del fall-out atomico. Il giusto ne è punito quanto il peccatore, a riprova che in ognuno dei due c’è una quota dell’altro. Lentamente, giorno dopo giorno, una impercettibile diminuzione dell’ossigeno morale annichilisce cellule, rabbercia circuiti vivari e precari. Come certe specie di anfibi adatti alle spelonche, che hanno ancora occhi ma senza uso o bisogno di vista, così intere generazioni possono convivere con una crescita di tossico storico negli alveoli. E’ quel che chiamiamo decadenza; di popolo o di continente: solo vera punizione attribuibile al Tribunale della Storia di cui parlò Hegel. Grazie a quest’ultimo, non dimentico che essa va di pari passo col suo contrario. Scopro, pieno di ammirazione, prove di vitalità, qualità, coraggio, severità di cui questa nazione è ricca e capace; e poi, quando tali forze positive siano, come oggi, offese e sprezzate, se ne cerchi allora al di là dei confini la amicizia vittoriosa… La “denuncia” di quella cosa che non oso neanche definire, dico la sentenza di Trieste, mi parrebbe stolta eloquenza senza seguito di azioni, foss’anche minime, com’è di scriverle questa lettera. Perché leri, caro Martinazzoli, ha poteri che io non ho. Mi creda, con ogni rispetto, suo Franco Fortini”.
(…) Cosa dire di un compagno per noi indispensabile? Pedro lo ricordiamo sempre accanto a noi  dalle lotte degli universitari, a partire dal ’68, alle lotte in mensa come lavoratore dell’Opera, a quelle dei precari della scuola. Per questo, per la sua internità alle istituzioni di movimento, a quelle stesse lotte che ci hanno unito e che tuttora ci uniscono, Pedro ha subito varie inquisizioni da parte di Kaloegero (inquisizioni suffragate solo dalle parole dei pentiti, puntualmente crollate). Ancora una volta in prima fila, al primo posto, pronto a pagare di persona, duramente, con ulteriori anni di latitanza, sospensione dal lavoro, riduzione del proprio reddito strappato con le unghie a questa società di merda, per creare migliore qualità della vita. Pedro, 38 anni, Pedro accanto ai giovani del centro sociale “Nuvola rossa”, accanto a quella che era la sua classe di appartenenza, quella degli sfruttati, dei senza-casa, dei senza reddito, di chi non si lascia sconfiggere, di chi continua comunque a lottare. Lo ricordiamo durante le lotte del censimento con noi proletari disoccupati, con noi per la solidarietà, per internità, perché Pedro era così. E così lo vogliamo vivere, nelle nostre lotte, non come un ricordo ma come una presenza sempre viva, in mezzo a noi, indispensabile fino in fondo, ricordando anche il suo sforzo estremo. Ci piace immaginarlo così: che corre fuori dall’atrio di quel condominio-tomba di via Giulia a denunciare con voce forte, ancora una volta, purtroppo l’ultima per lui, che lo Stato uccide ma che questa volta non sarà possibile mistificare, non sarà possibile creare la montatura, il “mostro” (…) Grazie compagno Pedro per quello che ci hai saputo dare, grazie compagno per la forza che ancora ci tiene vivi, incazzati e mai arresi, insieme a te e adesso anche per te. A pugno chiuso compagno nostro, col sangue agli occhi, tu ci mancherai molto perchè tu sei per noi tutti uno degli indispensabili”.
-Claudio Latino, carcere Due Palazzi, 13 marzo 1985 “Parlare di Pedro, della sua vita, della sua figura di compagno a questo punto è struggente. Molti lo hanno conosciuto e ancora di più ne avranno sentito parlare. Senza retorica si può dire che pochi hanno la sua capacità di comunicare e socializzare, la sua carica e la sua determinazione, la sua intelligenza e la sua coerenza”.
1 note · View note
Photo
Tumblr media
L’INFINITO DAL BALCONE DI CASA
 La parola ha un corpo minuscolo e una forza impressionante.Cercherò in tutto questo di parlare dell'eterno divenire e del mondo, della grande fenice che nasce all'alba e muore ad ogni tramonto. Farà freddo quando la cenere immobile smetterà di gemere, ma non temere perché questa, quando meno te l'aspetti, s'aprirà e la vita sarà tornata a volare.
Il cielo sopra è una fumigazione rabbiosa, fatto di scarichi d' auto e fabbriche, la statale che tutto governa e uccide, le piante appena spuntate al ciglio della strada muoiono tra liquami che scivolano lungo le canalette di scolo. Questo terrario è sudore, è puzzo di piedi, è polverone sollevato dal taccheggiare delle segretarie, delle puttane, dei rappresentanti, è fiato di denti guasti, di stomachi ulcerati, di budella intasate, di sfinteri stitici, è fetore di ascelle deodorate, di sorche sfitte, di bischeri disoccupati che berciano intorno a costruzioni di cemento armato, che non sono più nostre. Mi raccontava una mia amica che nel 2010 in Portogallo, all'inizio della crisi per loro, una catena di supermercati aveva deciso di mettere in vendita tutta la propria merce al 50%. Il giorno in cui si aprirono le porte dei supermercati migliaia di persone che ci si riversarono dentro, calpestando uomini, donne e bambini, solo per mangiare a meno. Al supermercato vedo le vecchie mezzo piegate dentro i banchi freezer a prendere la merce che scade oggi, perché costa meno, così si va a fare la spesa ad agosto: in pelliccia. La Venere in pelliccia, è una sensazione sinuosa, che scivola come unto, scivola fino a terra senza scomparire mai. La fissavo quella presenza inquietante che s’ostinavano a chiamare cielo, e pensavo che nella nostra generazione c’era stata come la speranza che ci fosse qualcosa di vero negli angoli di casa, nei vicoli, sui muri sporchi di piscio. La pioggia caduta in abbondanza sull'asfalto non aveva generato altro se non umidità e muschio invernale. Da piccolo speravo d’ essere in un film, d'essere quello che d’improvviso gli capita un avventura sola e con quella s'è sistemato la vita, oppure speravo che venisse qualcuno a salvarmi, ma non c’era mai niente di veramente nuovo fuori dalla porta di casa. In fondo tutti noi abbiamo atteso che arrivasse un Messia, una forma risolutiva che ponesse fine, che facesse piazza pulita dei soliti problemi, gli unici dei trascendentali che invece restano. Ti prende per i pantaloni il piano, e te ne accorgi sempre e solo troppo tardi che ti è entrato nell'anima. “Petit et voulgarir plaisir”, è il dolce ritmo delle note che scende morbido giù giù nelle scanalature del palazzo, lo stile liberty, a basse altezze, con quella musica, che fa venir voglia di ballare. A protezione della porta d'ingresso due statue grandi e maestose che rappresentano due mezzibusti di donna, un po' barocche però, staccano rispetto le scanalature che dividono i quadrati e i rombi che intarsiano la facciata del palazzo. Nel salone principale, al livello della strada, la luce che permea dalla finestra, un pianista si sta esercitando al suo strumento, la luce concessa per  vedere le note è interrotta a tratti dalle macchine che passano veloci. La malinconia, e le riprese, le note sono come la vita. Gli piace sentire la melodia, godere della propria bravura, che va avanti,  non si ferma mai, non si sofferma una volta ad ascoltare lo stesso bellissimo giro di note, questo lo inebria, e suona invasato dalla sua stessa musica, tira avanti su quelle note, prima fortissimo, poi andante, moderato, aspetta che la sua rivelazione artistica gli si ripeta e va avanti, fino ad esaurire l’arte che ha in corpo per quel giorno, senza aver memorizzato nulla. Copre a tratti le urla che provengono dal piano di sopra: trova artisticamente valido il fatto che si senta un suono di note  tanto malinconico che sostengono una vocina tanto acuta e stridula, è un suono statico e denso, questo gesto gli ricorda tanti bei film pieni di significato. Urla lei, urla, urla tesoro, gli occhi vitrei, le mani rigide, fredde attaccate avidamente a quello scialle rosso che ti regalò per Natale, quella sera, quegli sguardi, tra la malizia ed il candore i tuoi occhi erano stelle, lumi nella notte piccoli ed intensi senza pari, e la città magnifica brillava solo per voi,  e suonava per voi il blues nei privé di ristoranti lussuosi, suonavano i quartetti d'archi solo per voi. Solo per te al vostro anniversario aveva portato un Guarnieri del Gesù e champagne al parco, solo per  te viveva  e lavorava notte e giorno,  solo per te,  belle  dame sans merci, solo  per te.   Un'altra donna è arrivata, un'altra donna che non aveva il tuo bel vestito color blu cobalto, portava una veste in seta nera, l'ha fatto volare una notte, via da te per sempre. Sopra ci sono altre due stanze, niente d'importante, vuoi sapere per caso dove vanno bighellonando un gruppo d'amici in vacanza ed una coppia sulla quarantina? I postriboli sono posti che non mancano a questo mondo e poi alla gente bisognerà pur lasciargli un minimo di privacy. Io un  quarto d'ora fa ero là sotto. C'ho preso l'autobus delle 18.10: devo tornare a vedere un posto che avevo visto da piccolo, tanto tempo fa. Dai sali, il biglietto è gratis. Si va in periferia, a raccontare  le storie di chi lotta tutti i giorni a lavoro per un settanta metri quadri, di chi ha come vicini spacciatori e delinquenti, o gente povera come lui, del proletariato, come la media ipocrisia pensa ma non cataloga. Io in realtà non devo andare in un posto devo raccontarti un posto, ma per farlo ho bisogno di narrarti un bordello di storie. Al primo piano la casa è abitata solo di notte, di giorno c'è solo il cinema privato degli occhi di una ragazza che riproducono in continuazione le immagini della notte, fatta dei bisogni degli altri. Una volta sono andato da lei, erano le due o tre del mattino, non ricordo, stavo ballando come un pazzo “Lust for life” in mezzo la strada, a torso nudo facendo piroette. Lei esce dal portone e mi fa segno d'avvicinarmi con la mano, m'avvicino e mi tolgo gli auricolari per sentire che vuole “ Se te la smetti ti do un bacio”, gli ho fatto di si con la testa e lei mi ha dato un bacio, poi è tornata dentro. Che triste serata. Al piano di sopra c'è una coppia che sta urlando: litigano perché non trovano il loro bambino che doveva tornare a casa già da due ore, si stanno massacrando come bestie seminude, stanche, con le occhiaie sotto agli occhi, i muscoli appena accennati che fremono dall'esasperazione, i corpi sfatti. Lei protesta verso l’altro in un’espressione atroce di vita quotidiana troppo amara da riuscire a buttare giù: picchiarsi è anche un’ottima valvola di sfogo. Il bambino sta sognando di poter inventare il testo del compito in classe d’italiano di domani, mentre che si riposa al tramonto dopo la partita di calcetto. Non ha il coraggio di tornare a casa: troppe botte, troppa violenza, è troppo reale. Anche il tramonto è reale, è bello ma gli adulti si sono scordati completamente che al mondo possono ancora esistere cose belle e vere. Da sotto si sentono le voci che provengono da casa sua, sono voci ovattate. Un po’ per i timpani rotti, un po’ perché sa che i genitori non sono felici ed hanno bisogno di sfogarsi con le urla, quello che poi dicono è inconsistente. E entrambi si sentono una merda quando si ritrovano a pensare sul serio a ciò che fanno, sperano che il figlio ce la faccia a non fare i loro stessi errori. Eppure fra vent’anni anche lui picchierà, la violenza gratuita è così piacevole, specie quando è ereditaria. Voglio dirti una cosa, a te, caro amico, sul tuo futuro: io sarò solo per sempre, la solitudine è il mio inferno! Tu non ammetti di condividere la tua sorte con altri, vuoi essere il capro espiatorio, l’unico e solo capro espiatorio? Io merito solo la solitudine e posso conquistarla solo ferendo tutti, e primi tra tutti quelli che amo, la mia prova incomincia solo ora. Che tu sia benedetto figlio dell'uomo, agnello di Dio diviso tra due coscienze, e sia benedetto l'uomo in quanto tale, finché puoi essere assolto da obblighi sociali. Correre felici, a piedi scalzi in mezzo ad uno spazio infinito, dove la vastità dell’ erba secca si congiunge con un cielo azzurro e senza nuvole. Correre,correre,correre fino a star male, sino a perdere le forze sdraiandosi a terra per riprendere fiato, una volta riposati, prendere la strada di casa, con il tramonto rosso sangue che si estingue alle spalle e illumina di colori sgargianti un' immenso spazio infinito, che ti aspetta il giorno dopo per una nuova corsa. Un giorno quel bambino non potrà più tornare ai suoi campi, sarà portato ad un lavoro che lo sfinirà fino al midollo osseo e quando sarà in grado d’amare pagherà il frutto del suo amore con l’emigrazione, perché qualche multinazionale gli toglierà la terra o qualche re povero venderà la terra dei suoi sudditi. Partirà su un battello senza sapere di tornare,affronterà un mare che si paga con la vita, ed una barca che non ce la fa più a portare così tanti passeggeri e non vede l’ora di buttarlo in mare, insieme a tanti altri. Vedrà il capitano della nave puntargli un mitra contro e poi un mitra che gli indica di buttarsi in acqua, si tufferà tra le onde lasciando sulla nave i pochi averi che aveva e annasperà sino a toccare esausto la riva opposta del mare. Approderà in un paese e vorrà chiamarlo casa, anche se di notte dorme inseme ad altri venti sventurati come lui in un piccolo appartamento con quattro stanze, avrà fame, ma sopravviverà mangiando solo di tanto in tanto, patirà l'arsura ed il freddo, ma non pregherà per morire: in fondo qui si è liberi. Questi sono uomini costretti a vivere come bestie feroci e fanno di tutto per sopravvivere, non hanno più dignità né onore, conoscono solo la fame e a quella rispondono. Dopo tanti anni e tante fatiche sono le undici e mezzo di sera, un marito guarda la moglie negli occhi, e il suo sguardo scende verso una gonna elasticizzata che cinge un pancione di otto mesi, sono al piano di sotto ma li sento di rado rientrare. Un revolver carico con la sicura sta sul comodino della camera da letto, un rumore di sirene si sente in lontananza, lui spegne la cicca di sigaretta, prende il cappotto ed apre la porta, la accosta piano per non far rumore. Voglio ricordarlo così: le spalle larghe, il cappotto di pelle che cinghie le scapole sporgenti, i jeans stirati a dovere, il passo svelto: un cane ricercato dalla notte, che lascia le tentazioni per la sua famiglia. Una volta mi ha raccontato una storia: un suo amico era qui in Italia da mesi, moglie e figli in Marocco e riusciva a lavorare solo saltuariamente, per due settimane , poi per tre mesi niente, poi l'estate tutta e di nuovo niente. Erano tre giorni che non mangiava e gli bussano alla porta. Apre il chiavistello e quello gli dice “ So' che sono tre giorni che non mangi, prendi queste e non avrai più fame”, dice offrendogli tre pastiglie di benzedrina. L'uomo che stava narrando la storia si copre il volto, non conclude, troppo commosso. I figli a casa, e la speranza sono un dramma per questi uomini, prima di giudicare con moralismi ed altro credo che almeno una volta sia doveroso, per rispetto, trovarsi in una situazione del genere per poter capire davvero cosa si prova. Io sto sul quel balcone di un condominio in un' anonima periferia, ai margini della città. La porta del terrazzo da su un pianerottolo, a destra c'è la porta per il balcone a sinistra c'è un monolocale, ora sfitto, prima c'abitava Enzo, ed ora non c'è più. Prima c’era, adesso non c’è più. È rimasto solo il suo corpo, senza anima, il tempo perso sta volando via col pulviscolo e lo sporco, la coca no, la coca resta lì, ferma, lapide commemorativa del corpo che ha conquistato. Enzo aveva 23 anni, e come tanti altri giovani, all’inizio ha iniziato a farsi per reggere i ritmi richiesti dall'ospedale, perché i medici anziani del reparto possono gestire come vogliono quei 50 studenti che devono imparare tutto da loro, e così li trattavano come bestie da macellare, li fanno andare in giro come pazzi  isterici dietro tutto, perché solo così ci si prepara a quell’inferno in terra che è il pronto soccorso: tagli da ricucire, gambe rotte, ferite da tamponamento, vecchi che hanno mangiato troppo e fanno un'indigestione letale e giovani che si fanno di chetamina per andare contromano con l’amico dietro senza casco e finiscono a schiantarsi contro un palo, tutto ciò non fa salire più l'adrenalina,dopo un certo punto. La soluzione di vite portate al macello in nuove forme d'amore. No, niente forme d'amore, niente amore per me e per te Enzo. Parlo delle mie disavventure, caro Enzo, ma di fronte alla tua porta è come stare di fronte alla mia lapide. Caffè, notti insonni e studi disperatissimi, forse arriverò un giorno a parlare di te in un salotto con distinti signori, e tu avresti fatto lo stesso se fossi morto io e sopravvissuto tu. Ci rivedremo un giorno, fratello mio.
9 notes · View notes
charlie4leto · 5 years
Text
I'm searching for a Remedy - Chapter 1
Premessa: scrivo questo racconto perché alcune volte ho semplicemente voglia di scrivere. Ci saranno una miriade di errori dati dalla battitura oppure da me stessa, ma spero comunque vi piaccia e che abbiate voglia di lasciarmi qualche commento, consiglio o altro.
Vi ricordo inoltre che a parte Antonia, gli altri personaggi non sono di mia proprietà, soprattutto i membri dei 30 seconds to mars *sigh*
La casa silenziosa. L’unico rumore è quello dell’acqua nella doccia nella quale c’è lei: Antonia. Ascolta il rumore dell'acqua guardando un punto fermo difronte a se ripensando alla sua vita. Quella di ieri, quella di oggi, quella di domani, ma pur sempre la sua. Ad oggi Antonia, sotto certi aspetti, si sente realizzata. Ha un lavoro come dj in svariate discoteche italiane, occasionalmente la contattano per indossare abiti, gioielli o scarpe di marca durante le sue serate, ha una famiglia che l'ama e qualche amico. Pochi, ma veri, pronti ad incoraggiarla nelle sue scelte. Ma c’è anche l’altro lato della medaglia, quello che la rende triste. Un matrimonio in bilico a causa di una relazione extraconiugale di suo marito con una donna più grande di dieci anni. In realtà non sa più se quello può ancora definirsi un matrimonio: da tre mesi ormai si sentono solo telefonicamente, non hanno altri contatti perché lei, giustamente, non vuole. Il tradimento, per lei, equivale a smettere di amare per chi lo commette, ma deve ammettere, almeno a sé stessa, che in parte è anche colpa sua. Il loro amore si è spento già da un po’ e avrebbero dovuto avere il coraggio di smettere prima di mettersi delle fedi al dito. Chiude gli occhi e stringe forte i denti, chiedendosi perché, nonostante lei sappia di non amare più quell’uomo, non trovi il coraggio di mettere fine a quella relazione. Facile. I cambiamenti la spaventano e divorziare ne sarebbe uno enorme. La paura di dover cambiare vita più di quanto non abbia già fatto, non essere legata più a nessuno, infondo hanno passato dieci lunghi anni insieme e visto che lei ne ha appena venticinque, è quasi tutta la vita. La paura di ricominciare. Lo squillo del cellulare interrompe i suoi pensieri. Scuote la testa e chiude il rubinetto della doccia strizzandosi bene i capelli per poi uscire e afferrare un asciugamano. Allunga una mano verso il mobiletto per prendere il cellulare e rispondere con la stessa voce di chi ha paura che dall’altro capo potrebbe esserci la voce del film The Ring o, peggio ancora, quella di suo marito «Pronto?!» «Antonia? Sono io, Antoine» sospira sentendo la voce del suo amico: Antoine Beks. Dj diventato noto, ai suoi occhi, solo perché nel duemila undici si era affiancato in un progetto con il batterista della sua band preferita, ovvero Shannon Leto. I due, lei e Antoine, si sono conosciuti da appena quattro mesi e vanno d’accordo come se si conoscessero da anni. «ehi, dimmi!» si passa una salvietta tra i capelli cominciando a tamponarli «Lena passa alle otto a casa tua. La serata sarà un po’ lunga, ma so che questo non ti spaventa» La voce divertita del suo amico la fa sorridere. Dovrebbe vederla adesso, con le occhiaie che ha sotto agli occhi e senza trucco. Non la penserebbe ancora così «nessun problema! Sai che fino a che ci sei tu in giro riesco ad andare ad oltranza» anche questo è vero. Riesce sempre a farla sentire protetta, quasi come un fratello maggiore. Sempre pronto a tenerla d’occhio, darle consigli e tenerle lontano gli uomini, secondo lui tanti, che le sbavavano dietro ogni sera. Protettivo, ma che comunque la sprona a dare un calcio nel culo a quel, a detta sua, pezzo di merda di marito che si ritrova e si viva la sua vita al massimo. Di sicuro, Antoine, è molto meglio del suo vero fratello: un classico uomo del sud Italia che, una volta morto il capofamiglia, vuole cominciare a comandare. L’unico della sua famiglia che non le parla perché si vergogna di avere una sorella divorziata e che, secondo lui, fa il mestiere di una puttana. «beh, se ti decidessi a cominciare a prendere gli aerei, potrei fare anche di più» Forse è meglio tenersi il fratello misogino e prepotente, soprattutto ogni volta che il suo amico prova a convincerla che volare non è male «Antoine? Ne abbiamo parlato un sacco di volte…per ora non voglio esportare la mia musica e quindi va bene se non volo» Aviofobia. Per farla breve, è la paura di volare e Antonia ne ha tanta, forse troppa «ma non puoi non volare mai in vita tua, stai sprecando una marea di occasioni!» Sbuffa alzando gli occhi al cielo «senti, io devo riposarmi un po’, devo mangiare, e poi devo farmi un restauro completo» gesticola «quindi, se non ti dispiace, adesso vado» Non è da lei risultare sgarbata. È una donna alla quale piace parlare, scherzare, ridere, ma appena la storia della sua paura per gli aerei viene tirata fuori, si ritrova ad essere acida. Non vuole parlarne e, soprattutto, non vuole che le venga rinfacciata la cosa «va bene, ma promettimi almeno di pensarci»
Non risponde. Riaggancia semplicemente lanciando il suo cellulare sul mobile dove era riposto prima e s’infila, finalmente, l’accappatoio, stringendosi da sola, come chi sente il bisogno di consolarsi. Consolarsi da colpe non sue. Non che Antoine la incolpi di farsela sotto, ma il suo impuntarsi e provare a convincerla, la fa sentire quasi sbagliata. Dirigendosi in camera da letto, attiva la sua playlist preferita: 30 seconds to mars. La musica è la sua cura e, non a caso, ha scelto un lavoro che la riguardasse. Sfilandosi l’accappatoio, comincia a guardare il suo riflesso nello specchio lungo della sua camera da letto. Molti chili sono andati via a causa dello stress dovuto alla separazione e al suo lavoro, ma questo non le dispiace. Passare in meno di sei mesi da una quarantasei ad una quaranta, senza dieta o allenamento fisico, non è un vero e proprio dispiacere. Ogni volta che sua madre la vede, dice sempre la stessa cosa: ‘per fortuna ti sono rimasti tette e culo ’. Ed ha ragione. La sua quarta di seno è ancora lì, bella alta e fiera, ed il culo a mandolino, sporgente al punto giusto, fa girare parecchie persone, maschi o femmine che siano. Infine, non meno importante, l’inchiostro che adesso adorna la sua pelle. Sette bellissimi tatuaggi che dicono tanto: la parola hawaiana ohana dietro l’orecchio destro, simbolo dell’amore verso la sua famiglia e condiviso proprio con sua madre, suo fratello e le sue sorelle. Due triad ai lati esterni dei polsi e la frase to buy the truth and sell a lie/the last mistake before you die, scritta su due righe al lato del seno sinistro, simbolo dell’amore verso la sua band. Uno sciame di farfalle che si libera da una piuma che parte dal suo fianco destro e arriva al centro della schiena, simbolo di una quasi libertà. Una fenice sul collo del piede, simbolo di rinascita e anche per il modo in cui è solita chiamarla sua madre. E infine, un acchiappasogni sulla mano destra, che parte dal dorso della mano e finisce sull’interno del polso, simbolo di una persona che vuole essere più serena e, attraverso esso, catturare i suoi peggiori incubi. Si siede sul letto, incurante di essere ancora nuda e bagnata rilassandosi e, raggiunta dalla sua cagnolina, un meticcio nero di media taglia che è come una figlia per lei, si lascia cullare dalle note di Attack addormentandosi.
Qualche ora più tardi, Antonia esce dal portone della casa che ha preso in affitto dopo poco la sua separazione, indossando dei semplici pantaloni aderenti in pelle sintetica nera, una canotta bianca semi trasparente e un paio di stivaletti con tacco. Le serate di inizio settembre non sono ancora fredde, ma ha comunque portato con se una giacca «buonasera signor Giulio!» sorride ad un signore sui settanta che ha conosciuto facendo la spesa nello stesso supermercato «buonasera signorina Antonia!» le sorride tenendo le mani dietro la schiena mentre porta a spasso il cane «ciao anche a te, Corinne!» la ragazza si china ad accarezzare il cane, che comincia subito a fare le feste «al mondo ci vorrebbero più persone amanti degli animali come te» l'uomo strizza l'occhio e sorride «non so come fanno» alza lo sguardo sorridendo di rimando. I cani le sono sempre piaciuti, forse anche più delle persone «animalista e anche molto bella» Antonia si rimette dritta facendo un sorriso di circostanza. I complimenti non le piacciono, la imbarazzano parecchio, soprattutto quando non sa cosa rispondere «sempre la solita ritardataria!» una donna bionda urla dalla sua Audi s3 nera «muoviti, altrimenti Antoine ci uccide» Antonia si congeda dalla conversazione con l'anziano, ricordandosi di ringraziare Lena il prima possibile che l'ha, inconsciamente, salvata da un momento di imbarazzo «non sono io in ritardo, ma tu» punta la bionda mentre allaccia la cintura «io sono giù da almeno quindici minuti» Lena sorride ingranando la marcia «molto carina la tua conquista! Solo che è un tantino anzianotto» cerca di trattenere le risate Antonia sta al gioco «lo sai, mi piacciono gli uomini maturi» «tesoro, devi imparare le differenze tra maturo e in decomposizione» Le due si scatenano in una sonora risata che va avanti per circa dieci minuti. Antonia ha conosciuto Lena tramite Antoine. In principio la bionda ha visto l’altra come una rivale, visto il rapporto confidenziale tra i due dj, fino a che non ha capito che non c’era nessun interesse romantico nei confronti del suo ragazzo e viceversa, ma solo un’amicizia e un rapporto professionale «allora, cara Antonia, novità?» Lena mette su un po’ di musica «se mi stai chiedendo se ho divorziato, preso la patente o cominciato a volare, beh, la risposta è no» «credo che se avessi fatto una delle 3 cose che hai elencato, il mio ragazzo avrebbe fatto un comunicato stampa» «ma per chi l’hai preso? Farebbe un comunicato solo se cominciassi a scopare a destra e a manca» Lena le lancia un’occhiata fingendosi offesa dalla calunnia che è appena stata lanciata al suo ragazzo «si, hai ragione» sbotta cambiando impercettibilmente espressione «e lo stilista? Quello strano…Armando» Antonia scuote la testa «Alessandro. Alessandro Michele!» la corregge «non credo che accetterò comunque. Fare la modella o testimonial o qualsiasi altra cosa riguarda il campo della moda, non fa per me» sospira mordendosi il labbro «non mi piace stare sotto i riflettori» La bionda annuisce guardando la strada, sapendo bene come è fatta la donna che ha accanto. Sa delle sue insicurezze e del fatto che non riesce a combatterle e a piacersi, eppure è molto carina «pensaci bene, non capita tutti i giorni un’offerta del genere»
Le due donne arrivano in discoteca pochi minuti più tardi, trovando i soliti buttafuori all’entrata che stanno lasciando entrare le varie persone. Si avvicinano ad un uomo corpulento e muscoloso con la carnagione scura e Antonia non può fare a meno di far notare all’amica quanto somigli al famigerato Mike Tyson, tanto che l’altra comincia a ridere non riuscendo a parlare «sono Antonia, lavoro con Beks e la pazza qui è la sua ragazza» indica la bionda che sembra avere i postumi di una sbornia, nonostante sia sicura che non abbia ancora cominciato a bere. L’uomo, leggermente confuso dall’ilarità della bionda, le scorta fino alla porta sul retro sapendo che il dj aspettava la sua collaboratrice e le lascia entrare. Sono appena le 10 quando entrano nella saletta che riservano al dj di turno che deve esibirsi. Ad accoglierle una ragazza alta, mora e ben poco vestita che le indirizza verso Antonine, impegnato a conversare come al solito «finalmente! Credevo che Roma vi avesse risucchiato!» si avvicina a Lena baciandola calorosamente, per poi staccarsi e abbracciare Antonia «il pensiero di farmi una gita al Colosseo c’era, ma era chiuso» la rossa si finge affranta «cosa farò adesso?» continua la sua scenetta, fino ad afferrare una bottiglia del suo champagne preferito e riempirsi un bicchiere «se hai finito di fare la stronza, potremmo cominciare a parlare di cose serie» il dj sbatte gli occhi come un tipico cucciolo che chiede attenzioni «oh…no no no! Non cominciare con la storia di volare ed esportare la mia musica, perché stasera la risposta è no!» il tono deciso non serve poi a molto, visto il sorrisino che spunta sulle labbra del dj «quindi, la risposta potrebbe cambiare domani?» La donna si passa una mano sul volto «Antoine!» lui la ignora completamente «già vedo il tuo nome affiancato al mio per le strade di Londra, Mosca, Parigi» sogna di poter finalmente aiutarla a crearsi una carriera «notti passate nelle migliori discoteche dell’Europa, poi spostarci anche più lontano, verso il Canada» Antonia lo guarda sconcertata. L’uomo sogna ad occhi aperti sulla sua vita, come se avesse già deciso. La paura che lui possa prenderla, impacchettarla e spedirla in giro per il mondo è quasi più grande di quella di mettersi con il culo su un sedile volante «non ho detto di si, ma se dovesse succedere, almeno un posto dove non mi gelo il culo c’è?» «l’hai sentita Lena?» abbraccia la sua ragazza guardando un punto indefinito sulla parete «vuole andare in posti caldi, come Los Angeles, Barcellona, Dubai» Antonia lo fissa chiedendosi cosa si sia fatto prima che loro arrivassero lì e si gioca le palle che non ha che anche la ragazza del dj, stia pensando lo stesso, vista la sua espressione sconcertata «quando hai finito il tuo viaggio mentale, potremmo parlare di ciò che dobbiamo fare stasera?» Antoine viene riportato bruscamente alla realtà dalla sua amica «Antonia…» «no no no…so già che stai per tirare fuori le statistiche di morti per incidenti stradali e al numero elevato messe a confronto con quelle di morti per i voli» il dj sgrana gli occhi sapendo di essere stato colto in fragrante «facciamo così! Stasera e domani lavoriamo e, se non mi istighi ad ucciderti fino alla prossima settimana, ne parliamo seriamente, contento?» L’uomo soppesa le parole della sua amica, spendo bene che rischia, come minimo, l’evirazione se non la smette e decide di lasciarla in pace, almeno fino alla prossima settimana «adesso…» si avvicina all’amica cingendole le spalle con un braccio e avvicinandosi al suo orecchio «…c’è qualcuno che voglio farti conoscere» Niente! Antoine la smette con una cosa e subito comincia con un’altra. Perché Antonia sa che adesso che l’ha messo a tacere sul fattore volo, devo cominciare con l’altro suo chiodo fisso: convincerla a darla a destra e manca. Antoine le tiene un braccio intorno al collo e con l’altra mano attira la sua fidanzata «non credi che dovresti prima chiedere?» domanda la rossa, ricevendo una faccia confusa come risposta «no, dico, io di manage a trois non sono esperta e non credo che Lena approvi» «quanto sei imbecille!» I tre camminano fino ad un divanetto, dove c’è seduto un uomo con due belle ragazze ai suoi lati. Solo in quel momento, quando Antonia lo vede, capisce di che amico stava parlando Antoine «ragazze, ve lo lascio più tardi!» il dj afferra l’uomo per un braccio facendolo alzare «questa è l’amica di cui ti parlavo» si volta verso la rossa che gli sembra quasi pietrificata e non può fare a meno di sorridere «Antonia, lui è Shannon Leto, mio ex partner di lavoro» Antonia deglutisce e guarda il batterista che, dopo essersi sfilato gli occhiali, allunga una mano verso di lei per presentarsi «finalmente ti conosco» I loro sguardi si incrociano, le loro mani si stringono. Antonia non sa cosa dire.
Se avete un account su Efp e volete lasciare un commento alla mia FanFiction, potete trovarla nel mio Profilo
1 note · View note
gcorvetti · 2 years
Text
Poteva capitare 4
Continua la storiella infinita, anche se oggi è domenica e non ho ancora ricevuto la mail di ritorno della tipa della dogana, ma in compenso oggi ho speso 4 ore del mio tempo per leggermi quello che mi aveva mandato, cioè le leggi che regolano il controllo dei pacchi che arrivano dall'estero. C'è scritto palesemente che non si possono importare droghe o nel mio caso semi per la coltivazione e la vendita di sostanze illegali, e qua il mio bel discorsetto sul mio uso dei semi potrebbe essere valido. Poi ho notato che c'è scritto in una sessione superiore, la 49, che io dovrei essere presente quando aprono il pacco, nel senso che loro individuano un pacco sospetto tramite macchinari elettronici o cani e prima di aprirlo dovrebbero contattarmi e poi in mia presenza aprirlo, chiederò anche questo. Poi per scrupolo mi sono andato a leggere varie informative nel sito del ministero della salute, c'è scritto che se si coltiva o possiede dell'erba tale sostanza deve avere per legge, anche della EU, lo 0.2% di thc, è una presa per il culo, perché il cbd che si compra anche qua nei negozietti adibiti a tale proposito ha lo 0.2% di thc e non ricordo quanto di cbd. Fatto sta che ho perso più di un'ora a cercare un modulo per la richiesta di erba medica, non esiste, non c'è, intanto a quanto pare si può fare richiesta, certo ci saranno tante restrizioni e di sicuro anche se ottengo un permesso o mi danno pillole, che io non prendo quindi rifiuto anche il permesse se fosse così, o mi dicono che l'erba che produco non deve avere più dello 0.2%, che a sto punto è meglio comprare il cbd ed evitarmi mesi di attesa. In tutto questo c'è scritto anche che l'uso di sostanze psicotrope a permesso può incidere sugl'incassi delle mafie e anche questo è stato un punto della mia storiella, che poi è anche vero che io odio la mafia. Ho appena controllato e la percentuale di thc dei semi che avevo preso è 18.5% in una e 12% nell'altra, diciamo che è fuori legge già solo a leggerlo :D hahahahah
Fatto sta che di sicuro a sto punto riceverò una visita della pula, come detto non ho niente, non sono riuscito a prendere niente oltretutto e se vengono mi trova 4 semi precisi, a quel punto gli potrei dire che sono semi che ho trovato in una storia che presi anni fa e che li conservavo per capire se è possibile farli crescere, me li sequestrano pure quelli di sicuro.
Tornando alla legge sulle droghe, c'è scritto per definizione che una droga è tale quando crea dipendenza fisica e psicologica o reca danno fisico a più di 12 persone.....l'alcol allora è una droga e dovrebbe essere illegale, anche il tabacco, senza contare le sostanze che si trovano nel cibo e che il nostro corpo non espelle ma assimila e che portano tumori e morte. In questo paese, l'Estonia, si può bere e uccidersi lentamente bevendo come spugne ma non ci si può curare con l'erba, si ovvio è segnata nel tabellino delle droghe, ma per me non è una droga perché non da dipendenza ne fisica ne psicologica e soprattutto non uccide, come l'alcol e il tabacco. Premerò su sta cosa e credimi farò casino, scriverò alla comunità europea se è necessario, se non posso farmi una pianta, una, per curare il mio problema alla prostata allora voglio che l'alcol venga bandito perché così non si ha una democrazia ma una dittatura. Per concludere sappiamo bene che la lobby dell'alcol è forte, paga allo stato una grossa fetta di tasse e da lavoro a centinaia di persone, ma anche causa morte, una regolamentazione in tema di legalizzazione dell'erba darebbe lavoro ad altrettante persone e garantirebbe allora stato ulteriori entrate, senza contare che toglierebbe una grossa fetta di denaro che entra alle associazioni a delinquere; ma questo non solo qua ma in tutto il mondo. Se tutti smettessero di bere e usare farmaci, come ho fatto io, il mondo cambierebbe radicalmente, visto che a tutti fanno gola i soldi (maledetti pezzi di carta) l'interesse si sposterebbe su altre sostanze che aiuterebbero le lobby a guadagnare lo stesso. Altro dato che mi viene in mente è che il consumo di erba riduce l'uso dell'alcol, avevo letto un interessante ricerca sull'argomento, ma questo sempre negli stati uniti perché adesso che da anni l'erba in alcuni stati è legale o comunque depenalizzata fortemente e le persone fanno affari, che non vuol dire che vendano solo l'erba ma anche prodotti derivati dalla canapa indiana, ci sono i numeri per le statistiche.
To be continued......
0 notes
giancarlonicoli · 3 years
Link
9 dic 2020 17:08
“SCANZI MI CHIAMA FASHO? NON ME LO PUÒ DIRE UNO CHE HA AVUTO LA MARCHETTA DI CONTE SUL SUO LIBRO E QUELLA DI DI MAIO SUL SUO SPETTACOLO” – VITA, OPERE E MISSIONI DI FEDERICO PALMAROLI, IN ARTE OSHO: “VOLEVO SOLO CAZZAGGIARE. IL MIO TALENTO NASCE DA UN AMORE PER I LUOGHI COMUNI. DA RAGAZZINO AVEVO UN LIBRETTO IN CUI SEGNAVO LE FRASI DI CIRCOSTANZA DEGLI ADULTI. E POI HO PRESO MOLTI AUTOBUS” – “CON FILIPPO SENSI ERA NATO UN AMORE. OGNI TANTO MI MANDAVA PURE LE FOTO DI GENTILONI, CHE HA UNA MIMICA MERAVIGLIOSA” – IL LIBRO “VEDI DE FA POCO ‘O SPIRITOSO”
-
1  – PER PARLARE COME OSHO HO PRESO MOLTI AUTOBUS
Giulia Villoresi per “il Venerdì di Repubblica”
Siamo all'Osho Beach Resort di Varkala, un albergo sulla costa sud-occidentale dell'India dedicato al guru Osho Rajneesh. In giornata è atteso un gruppo di italiani, e la direzione ha pensato di accoglierlo con un benvenuto in lingua: è una gigantografia del Maestro - la lunga barba bianca, lo sguardo intenso rivolto all'osservatore - che recita: "Ciò che non ti uccide te rompe li cojoni".
È successo davvero, e infatti più tardi gli albergatori scopriranno che, sì, la frase è effettivamente in italiano (o quasi), ma la massima non è di Osho. No: per risalire alla fonte bisogna volgersi ad altre latitudini. Italia, Roma, quartiere Pinciano, dove nel 2015 un quarantasettenne di nome Federico Palmaroli crea per gioco una pagina Facebook intitolata Le più belle frasi di Osho.
Nel primo meme il Maestro ci guardava attraverso le fronde di un alberello sentenziando: "I pomodori non sanno più de niente". Oggi quella pagina ha oltre un milione di follower e Palmaroli, altresì detto "quello di Osho", è il vignettista web più seguito in Italia. Ora non usa più le foto del Maestro, ma solo scatti di attualità politica.
L'idea però è sempre quella: far parlare Giuseppe Conte, il Papa e Greta Thunberg come la Sora Cecioni. Rizzoli ha raccolto le migliori vignette degli ultimi tempi e ne ha fatto un libro - Vedi de fa poco 'o spiritoso - appena arrivato in libreria. Vi si celebrano snodi memorabili quali la visita di Mattarella alla Casa Bianca (con Trump che insiste: "Scusa ma fermateve a magnà qui no?"), l'esplosione dell'allarme Covid (e Di Maio pensieroso in Parlamento: "Sarebbe da accannà tutto e aprisse un chiosco de Amuchina nel Lodigiano"), la confusione dell'Oms sulla pandemia (con il direttore Tedros Adhanom che rassicura: "Tante vorte po' esse pure 'n po' de stress").
Palmaroli, come è arrivato fin qui?
"Ah, boh. Io volevo solo cazzeggiare".
Allora riformulo: come nasce questo talento per il cazzeggio?
"Da un amore per i luoghi comuni. Da ragazzino avevo un libretto in cui segnavo le frasi di circostanza degli adulti. Quelle che si dicono al telefono per riempire i momenti di vuoto, tipo: 'Mah, speriamo bene'. E poi ho preso molti autobus".
Lo sa che Flaubert da bambino teneva un libretto così? Poi ha fatto il Dizionario dei luoghi comuni.
"Non l'ho letto".
Prende di mira le frasi da conversazione chic.
"Quindi l'opposto delle mie. Che poi sono pure in romano".
Però funzionano anche fuori da Roma, vero?
"Vado particolarmente forte in Umbria, Toscana, Marche, Abruzzo. Pure in Emilia. E poi, non so perché, in Puglia. In Campania ho difficoltà a sfondare: lì hanno un'altra tradizione comica dialettale. Il romano è più semplice. Anche se qualche purista mi critica perché non uso la lingua del Belli. Ma a me quello non interessa".
Cosa le interessa?
"La quotidianità del parlato. E poi pescare nella memoria storica della gente. Anche se certi riferimenti magari non arrivano a tutti".
Tipo?
"Tipo quando ho beccato una foto di Gentiloni all'autogrill con una mano in tasca e gli ho fatto dire Me so 'nculato i Ringo".
Il tocco di classe sono i Ringo.
"Pure secondo me. Ma magari non per tutte le generazioni".
È vero che Paolo Gentiloni l'ha invitata a Palazzo Chigi?
"Mi ha invitato Filippo Sensi, il suo portavoce. Con lui era proprio nato un amore. Ogni tanto mi mandava pure le foto di Gentiloni".
Che all'epoca era il suo bersaglio fisso. Perché?
"Perché ha una mimica meravigliosa. E perché a Palazzo Chigi, quando era premier, c'era un fotografo bravissimo, Tiberio Barchielli, che un paio di anni fa purtroppo è morto".
Quindi il processo creativo parte dalla foto?
"Di solito scorro le immagini del giorno e aspetto che arrivi la battuta. Se non arriva, lascio perdere".
Le è capitato di autocensurarsi?
"Gli unici limiti che mi pongo sono morte e malattia. Ma non basta".
Cioè?
"Che ne so, faccio una vignetta in cui Greta dice N'è tanto er caldo, è l'umidità che t'ammazza, e sotto partono gli insulti di quelli che la detestano, e poi i commenti indignati perché l'ho presa in giro...".
E le polemiche quando si è saputo che Osho non vota a sinistra?
"Mamma mia, è successo un casino. Una cosa che piace alla sinistra la fa uno di destra: shock".
Quanto di destra?
"Non sono né razzista, né omofobo. E il populismo mi disturba. Se po' fa'? Riconosco che le cose migliori della satira sono tradizionalmente di sinistra. Prenderla così male, però...".
Altra polemica: il Vernacoliere, storico mensile di satira, rischia di chiudere, e sul Foglio è uscita un'intervista al direttore Mario Cardinali, che se la prende un po' con Osho.
"Il web uccide la carta stampata: si sa. Però Cardinali dice che le mie sono 'battutinè e che comunque se l'è inventate lui. Un atteggiamento non bello. Evidentemente le battutine vanno più delle battutone".
E i meme sono le nuove vignette.
"Però funzionano bene anche sui giornali. Io li faccio per Il Tempo".
Quindi è memista a tempo pieno?
"Ho anche un lavoro vero".
Quale?
"Diciamo che mi occupo di marketing per una società".
Diciamo?
"Preferisco tenere Osho separato da Federico Palmaroli".
Ma le fotografie di Osho, perché non le usa più?
"Per carità. M'hanno pure fatto scrivere da uno studio legale con sede a Londra".
Lo sa che ogni tanto si sente dire "come dice Osho..."
"Lo so. In genere sono espressioni che la gente non si rendeva conto di usare. Tipo lui che guarda nello specchietto della Rolls e dice: Cazzo te soni".
Le manca?
"Molto. Ma le sue foto prima o poi sarebbero finite. Mentre la politica italiana è una miniera inesauribile".
2 – OSHO CONTRO SCANZI: "IO DI PARTE? È LUI CHE HA LE MARCHETTE DA CONTE"
Cristina de Palma per www.thefreak.it
Con i nuovi divieti dovuti al lockdown, incontrare Federico Palmaroli, in arte Osho, non è stato facile. Durante la settimana lui esce dall’ufficio dopo le 18h quando i bar sono chiusi e quindi il famoso “incontriamoci per un aperitivo” è stato sostituito da “prendiamoci un caffè”.
Finalmente un sabato mattina, parecchio ventoso, riusciamo a fissare un appuntamento a Ponte Milvio, Roma nord. Arriva a piedi, con occhiali da sole e mascherina che si toglie appena seduto al tavolino del bar: “non sono di quelli ipocondriaci e poi siamo all’aperto ed a un metro di distanza”.
Gli occhiali invece rimarranno fissi sul suo volto per tutto il tempo dell’intervista, colpa del sole che ha scandito il ritmo del nostro incontro.
47 anni, ben portati, è lui l’ideatore della pagina “Le più belle frasi di Osho” che oggi ha raggiunto più di 1milione di follower su Facebook e oltre 400mila seguici su Twitter. Pubblica su Il Tempo e da due anni collabora con Bruno Vespa a Porta a Porta.
Un successo nato sul web nel 2015, ed esploso nel 2016 con il primo libro best seller omonimo.
Da poco, ha cambiato il bersaglio del suo sarcasmo tranchant passando dal santone Osho ai politici odierni.
Il 1 dicembre scorso è uscita la sua ultima fatica “Vedi de fa poco ‘o spiritoso – il meglio (e il peggio) di un anno italiano”, edito da Rizzoli, che racconta la politica ai tempi del coronavirus.
Si definisce vignettista, anche se sui generis. Stima, ricambiato, Makkox e non ama essere etichettato “come quello di destra”.  Cosa che gli è valsa un’accesa litigata sui social con Andrea Scanzi. Ma cominciano dall’inizio…
Come definiresti le tue “figure”? Sono vignette, meme, fumetti?
Le chiamerei vignette perché meme è un termine troppo moderno. Anzi, possiamo definirle anche fotoromanzi. Quando ero giovane io, c’era “Grand hotel” dove trovavi le scenette fotografate e ai protagonisti facevi dire di tutto.  È quello il meccanismo. Ma è più facile chiamarla vignetta alla fine.
Come nasce una tua vignetta?
Alcuni personaggi vanno da sé, tipo il Papa, Lo puoi far parlare romanesco e già così è divertente, a prescindere dalla battuta. Metà del lavoro è fatto. Sui nuovi politici invece, che sono meno autorevoli, devi concentrarti molto sulla battuta più che sulla foto.
La mia chiave è affrontare un grande tema riportandolo alla quotidianità. Guardo le gallerie di foto e da lì parte l’ispirazione. O non parte. Dipende.
Hai un ricordo curioso legato a Osho?
Quando ero soltanto Osho, un giorno mi mandarono una foto di un resort di meditazione indiano dedicato al santone in cui era stata posizionata, all’ingresso, una mia vignetta. Credevano forse che fosse la traduzione in italiano di una sua vera frase e magari pensavano di fare cosa gradita a qualche loro ospite italiano. Era quella in cui il mio Osho diceva “Ciò che non ti uccide ti rompe li cojoni”.
In passato, la tua “vittima” preferita era Paolo Gentiloni, oggi invece quale politico ti ispira di più?
La satira si fa su chi governa, ma un governo nato da un inciucio e sulla contraddizione non è sempre il simbolo perfetto per fare comicità. I politici storici, navigati, come Gentiloni appunto, erano delle figure che tu abbassavi con la satira, ma rimanevano personaggi alti, riconoscibili e riconosciuti.
Quando sono arrivati i cinque stelle è stato tutto più difficile perché erano volti non noti. E usare loro foto non era evidente. Non era come Mattarella.  Diciamo che con loro lavoro più sulla battuta che sulla situazione. Ora poi trovare uno spunto è complicato perché le notizie sono poche e sempre le stesse.
Ci sono dei politici che si sono arrabbiati per una tua vignetta?
No, ho avuto solo uno scontro con Di Maio ma abbiamo chiarito subito. Era per la vignetta sulla sua ragazza. Ma si è risolto tutto velocemente. Di Maio pensava che la foto l’avessimo scattata noi de Il Tempo, quandoinvece era stata pubblicata da una rivista pattinata. Lo scatto non è stato gradito per niente.
C’è una vignetta della quale ti sei pentito?
Pentito no, ma a volte ho fatto vignette su dei personaggi che risultavano antipatici ai più e non mi sono piaciuti i commenti sotto la loro foto. Come è successo con Maria Elena Boschi.
Raramente ma è capitato, ho cancellato la vignetta incriminata. L’ho fatto con la foto di Greta Thunberg, ad esempio. Faccio satira ma non la faccio in modo offensivo, ma poi vedi i commenti cattivi delle persone e questo non l’accetto.
Si può fare satira su tutto?
Io personalmente non scherzo sui morti o sulla salute. Per il resto sì, anche dal punto di visto religioso.
Io mi rifaccio alle comicità anni ‘80 e ‘90. In quegli anni si poteva fare e dire di tutto, tanti film storici si sono basati su battute che ogni sarebbero irripetibili o giudicati socialmente scorretti. Penso alle battute contenute ad esempio nei film di Natale. Oggi invece è tutto censurato e secondo me è assurdo.
Ad esempio, le vignette di Charlie Hedbo su Amatrice come le hai giudicate? (Erano vignette sul terremoto in cui si mostravano alcune vittime insanguinate con la scritta “penne al pomodoro” e “penne gratinate”, o schiacciate sotto le macerie delle loro case con la scritta “lasagne”, ndr)
Sono vignette estreme. Io non farei mai una battuta del genere perché di mezzo c’è stato un terremoto con tante vittime. Ma soprattutto se decidi di fare una battuta del genere perché la consideri “la battuta del secolo”, te la rischi. A me le loro vignette non mi fanno proprio ridere. Per me Charlie Hebdo non fa satira.
Non è un mistero che in passato hai votato MSI, e da allora sei stato etichettato come “vignettista fascista”. Recente è il tuo scontro via social con Andrea Scanzi che ti ha ribattezzato “fasho”, affermando che la satira non deve essere di parte. Sei d’accordo?
Scanzi non si può permettere di dire chi è di parte. Io rivendico di aver votato MSI e non lo rinnego. Per questo motivo spesso vengo ghettizzato. Anzi sono riuscito ad andare oltre, per fortuna. Credo di aver dimostrato che non sono tutto ad appannaggio della politica. Ho le mie idee, ma faccio satira su tutti.  Avrei molti più fan se fossi veramente schierato con una corrente politica, ma ripeto io faccio vignette su tutti, indistintamente. Cerco di essere super partes. Mentre Scanzi si è targettizzato M5S, e viene ad accusare me di essere schierato? Lui dice che la satira non può essere di parte? Ma perché il giornalismo sì invece? Chi decide cosa è di parte? Non me lo può dire uno che ha avuto la marchetta del Presidente del Consiglio Conte sul suo libro e la marchetta di Di Maio sul suo spettacolo. E comunque non è più quel personaggio amato come prima. Ho sentito un sacco di gente, anche di destra, che mi ha detto che lo seguiva ma poi ha cominciato a fare solamente il gioco dei cinque stelle e si targettizzato. Lui ha voluto colpirmi, non c’è una spiegazione razionale.
Sei di destra, eppure hai dichiarato di aver votato Virginia Raggi alle precedenti elezioni romane…
Sì, l’ho votata al ballottaggio. Rappresentava una ventata di aria fresca, era contro il sistema. Mi ricordava la destra sociale, ma poi il m5s si è rivelato un partito che ha iniziato a fare accordi per sopravvivere. Fa parte del gioco politico indubbiamente, ma sono rimasto un po’ deluso dai loro inciuci con il PD. E onestamente non so per chi voterò a Roma il prossimo marzo.
Non è neanche detto che voterò. Speriamo solamente che le nuove elezioni romane mi diano spunti nuovi e gustosi per le mie vignette.
Il 1° dicembre è uscito il tuo nuovo libro “Vedi de fa poco ‘o spiritoso – il meglio (e il peggio) di un anno italiano”.
È una raccolta di vignette dalla caduta del governo giallo verde fino ad oggi, quindi da luglio 2019 fino ad ottobre 2020, inclusa ovviamente la pandemia.
Tante cose di satira si sono ovviamente concentrate sul Covid. Era impossibile non parlarne. Speriamo solo di non farlo più nel prossimo anno e di ricominciare le battaglie politiche di una volta.
Parlando di Covid, tu come vedi questa guerra mediatica tra virologi?
È quasi una corsa a dire la cosa più sensazionale, ma è una corsa tra di loro. A volte si smentiscono non solo tra di loro, ma anche tra loro stessi. Stanno diventando dei personaggi televisivi e quindi cerco proprio di non guardarli in tv. Questa situazione attuale mi angoscia tantissimo. Non sono ipocondriaco ma viene detto tutto e il contrario di tutto.
C’è un virologo che secondo te si presta maggiormente come figura da prendere in giro?
Non ho ancora mai fatto una vignetta su un virologo, forse solo qualche battura testuale. Credo che l’immagine dello scienziato lo associo talmente tanto al disagio che stiamo vivendo, che mi passa pure la fantasia di utilizzarla per scopi satirici.
Tu faresti il vaccino?
Sì, assolutamente sì. Io mi metto in fila come se dovessi comprare un Iphone. Lo vorrei fare subito perché ho voglia di partire, di viaggiare, di tornare alla vita di prima.
Quindi appena mi diranno che è possibile farlo, lo farò anche se mi dovessi trasformare in un topo il giorno dopo (e ride, ndr).
La tua pagina “la più belle frasi di Osho” ha raggiunto oltre 1 milione di followers. Una bella cifra, te l’aspettavi?
Quando ho iniziato nel 2015, aggiornavo l’app e c’erano migliaia di like ogni giorno. Era come un counter che non si fermava mai. Ovviamente la cosa si è stabilizzata, perché Osho era un personaggio neutro. Ora mettendo delle figure politiche al centro delle battute, a qualcuno va bene, ad altri no. E ne ho risentito in termine di followers. Conta poi che è tutto molto più impegnativo per me perché non ho un team, faccio tutto da solo. La difficoltà è che devi sempre far ridere, anche quando il tuo umore è pessimo e sei depresso.
Come ti vedi tra 10 anni?
Tra 10 anni non lo so, intanto posso dirti che sto lavorando ad una serie tv ispirata a Osho, il santone che mi ha portato fortuna. È un progetto della Stand by me, la casa di produzione di Simona Ercolani. Ci sarà da ridere ma anche da riflettere.
E se vi chiedete chi ha pagato il caffè, vi lascio indovinare ma sappiate solamente che Osho è un vero signore.
0 notes
Photo
Tumblr media
In Terminator 2 Schwarzenegger si incide il braccio per svelare che è un robot, no? Da piccolo pensavo che foste tutti come lui e io l’unico essere umano su questo pianeta. Ora mi sta tornando questo dubbio. E ce l’avete con me. Perché non mi lasciate proseguire sto viaggio? Da qualche giorno tutto sembra essere onirico. Sembra che abbia sognato di lasciare il lavoro per fare un viaggio stupendo in posti fantastici, ma poi arriva un male che minaccia l’umanità e buonanotte ai suonatori. Ma che cazzo! Ma proprio adesso? Ora sono relegato nel mio appartamento, che ho intriso di candeggina. Odiavo quando Carmela la usava a casa per pulire i pavimenti. Ora anch’io sono impazzito e continuo a passarla ovunque. Sono sempre stato per “ciò che non uccide fortifica”, ma questa è la rivincita degli ipocondriaci e dei maniaci della pulizia. E alla fine saremo tutti così, ossessivo compulsivi. Ci faremo anche i cocktail con l’ammoniaca. E regaleremo l’amuchina a Natale. Per ora non mi sono mai annoiato. Troppi articoli più o meno scientifici sul coronavirus da leggere. Troppe strategie di fuga da elaborare studiando la mappa e l’orientamento dei venti. A proposito, le frontiere le stanno per chiudere. Io non ho fretta di andare via da qui. A patto che questo posto non diventi un lazzaretto come l’italia. E questo non me lo garantisce nessuno. Mi sento bene. Sto anche prendendo un integratore di vitamine. Dedico all’angoscia e alla disperazione un’ora al giorno. Di solito a metà mattinata o nel pomeriggio dopo pranzo. Poi vengo su internet e mi tranquillizzo perché dicono che “andrà tutto bene”. Lo diceva anche Bob Marley. E io chi sono per contraddirvi? C’era quel vecchio che nella pubblicità diceva che l’ottimismo è il profumo della vita. Da tempo ormai non lo si sente più. Sarà una vittima del virus? Comunque qui da me è la candeggina il profumo della vita. Nel tempo libero, poco a dire il vero, mi pulisco le mani. Il problema è che spesso cado in una specie di loop perché dopo che pulisco con la candeggina mi lavo le mani col sapone, ma tendo a lavare anche la saponetta con la candeggina e il flacone della candeggina col sapone. Aiutami. (presso Santiago, Chile) https://www.instagram.com/p/B91gWjbAryy/?igshid=x9vcavqo17cu
0 notes
Text
Tumblr media
Oggi parlerò apertamente della serie quindi se non volete spoiler ricordate la regola numero uno: Fuggite schiocchi, che la recensione è oscura e piena di spoiler!
Trama: Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage e Iron Fist uniscono le forze per combattere un nemico comune che minaccia l'intera città di New York. Inizio subito con ciò che, a parer mio, era migliorabile: La trama è bella, scorre senza problemi, il punto è che il numero delle puntate (Non più 13 come quelle sui singoli supereroi ma 8) non è sufficiente a regalare una serie che sfiori anche in parte il livello di Daredevil. Otto puntate sono poche perché i personaggi sono tanti e non è che possiamo schiaffarli insieme nella prima puntata e: 'Hey belli la Mano sta facendo una cagnara assurda unitevi e combattete!' … ma anche no! Quindi, visto che le prime quattro puntate sono un'introduzione non solo a ciò che accadrà ma ai personaggi stessi dopo mancano solo quattro puntate per distruggere la mano e salvare New York. Possibile? Si, ma non regala i fuochi d'artificio! Partendo però dal fatto che io non mi aspettavo i fuochi d'artificio stile finale di stagione di Daredevil (che m'è piaciuta tanto si nota vero?), la serie l'ho trovata ben fatta e piacevole. La sigla non l'ho mai saltata, neanche una volta, è stupenda e nonostante il tema principale sia quello di Daredevil sono riusciti ad unire i quattro eroi, ognuno con il colore dominante della propria serie, in modo sublime. Otto episodi li ho guardati in due giorni, mi sono fatta quattro risate perché insieme sono simpaticissimi e le scene dei combattimenti sono belle. Come dicevo i primi tre/quattro episodi possono risultare forse un po' lenti, ma dobbiamo dargli il tempo di ripresentare in parte i personaggi ed i loro amici, mostrarci la loro vita. Vengono anche introdotti nuovi membri della Mano: Alexandra, Murakami, Sowande ed i due già conosciuti Madame Gao e Bakuto. L'intento della mano è catturare Iron Fist ed usarlo per aprire un portale ed estrarre 'La sostanza'  della vita per poi ucciderlo. Alexandra, il leader della Mano, decide di usare l'unica scorta di 'Sostanza' rimasta per creare l'arma che secondo lei avrebbe portato la mano alla vittoria: Black Sky, che altro non è che Elektra Natchios. Il primo incontro tra i Defenders avviene separatamente, ed anche se insieme sono bellissimi divisi in coppie mi fanno morire, Matt incontra Jessica e Luke incontra Danny. Claire rimane il collante tra i quattro sempre e comunque. Ho apprezzato il fatto che, vada come vada, tutti e quattro i personaggi non siano stati stravolti dalle circostanze. Nel senso: odio quando in una serie il carattere di un personaggio viene sputtanato perché serve. Viva la coerenza, e qua ci sta! Jessica, Matt, Luke e Danny li ritroviamo esattamente come nelle serie a loro dedicate. Perché, tranne forse Danny, i loro caratteri sono gli stessi così come i principi morali ed il modus operandi. Hanno fatto un buon lavoro sui personaggi se non per il fatto che … vabbé ma ve lo dico mo che parlo di ogni personaggio va.
Personaggi
Luke Cage: non mi è mai stato molto simpatico Luke ma in queste otto puntate e sopratutto in compagnia di Danny l'ho apprezzato molto più rispetto a quando cicciava fuori in Jessica Jones e pensavo: 'oddio che palle è tornato!'. Ogni volta che Danny dice di essere l'immortale Iron Fist e lui alza gli occhi al cielo … morivo dalle risate! Mi è piaciuto quando cerca di salvare in tutti i modi quel ragazzo ed ho trovato toccante quando si presenta alla porta della madre di questo e poi arriva quella brutta notizia. Luke cerca sempre di fare la cosa giusta per chi non può farla da solo, vuole essere il difensore dei deboli e degli oppressi non perché vuole fare l'eroe ma perché lui è proprio un gigante buono. Risollevare il quartiere di Harlem e donargli la tranquillità è il suo scopo. La sua relazione con Claire per me era nuova (LO AMMETTO NON L'HO VISTA LA SERIE LUKE CAGE LINCIATEMI PURE!) ma sinceramente lo preferisco con lei che con Jessica, anche se non credo potrà durare. Povera Claire! Comunque, Luke è migliorato a parer mio e sono curiosa di vedere cosa combinerà dopo tutto questo disastro con la mano. E spero proprio di rivederlo presto con Danny perché loro due insieme sono una bella accoppiata.
Danny Rand/Iron Fist: Con Iron Fist eravamo rimasti alla morte di Bakuto (Se hahahahah questi so duri a morì!) la riappacificazione di Danny e Ward e la relazione di Danny e Colleen (Quanto so dolciosi insieme quei due). Ora troviamo un Danny devastato dai sensi di colpa per aver abbandonato K'un-L'un, un ragazzo che vuole difendere New York ma che non la vede ancora come casa e che cerca ancora la propria famiglia. Anche se è il più acerbo dei quattro a Danny non puoi non volergli bene. Lui è come il novellino del gruppo, sempre sorpreso dalle capacità dei suoi amici, sempre pronto a sacrificarsi per gli altri, talvolta anche troppo. Non accetta molte volte un no come risposta; non ci sta, giustamente, quando gli propongono di rimanersene in disparte e nascondersi perché la Mano vuole lui. Prende subito a cuore i suoi compagni e quando si esalta nella scena del ristorante all'idea di formare una squadra l'ho amato ancora di più. Danny è uno dei miei preferiti e lo rimarrà sempre. Quando alla fine dell'ultima puntata prende il posto di Matt per proteggere la Sua città e si sente finalmente a casa, parte di qualcosa … bello Danny cuccioletto. Per quelli che dicono che ha rovinato la serie … Boh, perché? Ma che ve aspettavate che andavano tutti d'amore e d'accordo subito? Vabbé.
Jessica Jones: La mia amata Jessica che subito, sin dal primo episodio mi ha ricordato quanto mi fosse mancata. L'unica donna del gruppo, e si vede, che nonostante tutto ciò che succede a New York l'idea di far parte di una banda di supereroi non le gusta affatto. Dal finale di stagione di Jessica Jones possiamo notare qualche cambiamento: Jessica e Trish si sono riavvicinate, molto più di prima, e Malcolm ora è il nuovo aiutante di Jessica ( anche se non per scelta sua!). Nonostante ciò rimane l'investigatrice privata scorbutica, alcolizzata, che vuole apparire menefreghista ma non lo è. Il suo personaggio è quello che preferisco perché ha quel po' di menefreghismo umano che quando si presenta la catastrofe le fa pensare per un attimo: ma perché devo farlo? Unirmi a questi tre per salvare la città. Ma alla fine dopo un bell'esame di coscienza fa la cosa giusta. Poi ha certe battute e certe entrate in scena epiche! Per lei son di parte quindi la promuovo a pieni voti e dopo l'uscita delle foto dal set di Jessica Jones 2 regà io sto a duemila non ce la faccio ad aspettà! Aiuto!
Matt Murdock/Daredevil: Il nostro bel diavolo di Hell's Kitchen sembra aver appeso la maschera al chiodo dopo che nel finale della seconda stagione ha confessato a quel sercio di Karen la propria identità da supereroe. Intanto: Matt, tesoro, ma chi te l'ha fatto fa di confessare a Miss Minchia che sei Daredevil? Quella sta fuori come un balconcino fiorito. Aripigliate! Comunque, ricomponiamoci. Allora … Matt ora a rinunciato alla sua vita da supereroe per dedicarsi a quella che è la sua professione, l'avvocato, ed aiutare i bisognosi di Hell's Kitchen che non possono permetterselo; senza Foggy che se ne sta bello bello a lavorare per Hogarth. Rimane l'eroe tormentato che conosciamo bene, perché senza la sua seconda vita Matt si sente vuoto. Quando alle orecchie gli arrivano le richieste di aiuto e lui cerca di ignorarle la cosa lo uccide, perché quel senso inarrestabile di giustizia non può spegnersi in nessun modo. Anche se quando ha qualche ripensamento nella scena del ristorante sull'unirsi alla squadra dei Defenders glie le avrei date due sberle … fortuna ci ha pensato Jessica! Il ritorno di Elektra come Black Sky è un altro colpo al cuore per il povero Matty. Insomma, vedere l'amore della tua vita, dopo che ti è morta tra le braccia, tornare incazzata nera per distruggere te e i tuoi nuovi amici mentre combatte per la Mano … beh, a tutti gli sarebbero rodute le corna su! Ed anche i suoi continui tentativi di salvarla e farla ritornare se stessa io li ho apprezzati. Matt è umano, quella è la donna che ama e voglio vedé chi non avrebbe tentato a tutti i costi come lui. Vabbè alla fine che ve lo dico a fa, mi è ripartita la ship violenta Matt x Elektra e quando glie è crollato addosso quel palazzo le madonne che son volate erano tante. Meno male che è vivo e vegeto, mi si era mangiata l'ansia!
La Mano: Cercate di capirmi se li metto tutti insieme ma ho già scritto tre pagine poi me linciate! Allora, finalmente conosciamo tutti i volti che sono dietro questa pericolosa setta, le cinque dita che compongono la mano. Parto dalla mia adorata Madame Gao che anche se sembra un'adorabile vecchietta col bastone se te da una cinquina ti fa fare qualche buon metro in volo; è quella che per il comodo suo e per salvarsi la pellaccia da il contentino a tutti (Murakami, Alexandra ed Elektra) ma quando tutto crolla e la mano sembra sconfitta si ritira quatta quatta nel buio e sparisce. È un genio, la vecchia Gao, altroché! Per me rimane la migliore dei cinque. Bakuto non lo sopporto, è il tipico cattivo a cui piace più fare lo sbruffone, anche se quando combatte non scherza è, e che s'è fissato così tanto con Colleen che per un attimo mi sembrava di vedere Petyr alle prese con Sansa. Meno male che ce lo siam tolto dalle scatole (gli anno staccato la capoccia dal collo sarà morto no?) e spero di non rivederlo mai più. Poi c'è Sowande che (non so se avesse una parte anche in Luke Cage lo scoprirò) l'ho trovato più inutile che altro; un cattivo con buone potenzialità ma sprecato e messo lì per far numero. Murakami (che secondo me non è morto e lo rivedremo) l'ho apprezzato molto. Al contrario di Sowande, il potenziale di Murakami viene mostrato in più scene ed è il tipo di cattivo che a me piace: se ne sta quatto quatto e agisce nell'ombra ma quando esce allo scoperto fa strage. Spero proprio di rivederlo … E ora passiamo ad Alexandra che, nonostante il meraviglioso lavoro svolto dall'attrice Sigourney Weaver, non mi ha conquistata del tutto. Dal leader della mano mi aspettavo un Villain del calibro di Kilgrave o Fisk, ma no, purtroppo no. Non fraintendetemi, Alexandra ha tutte le qualità per essere un cattivo coi fiocchi: sa essere minacciosa anche solo fissandoti negli occhi, ogni suo movimento pare calcolato e pericoloso, la sua sola presenza intimidisce ed è il genere di cattivo per cui bene e male sono una cosa sola e lei combatte per ciò in cui crede senza che nessuno riesca a dissuaderla. Ma verso la fine da lei mi aspettavo così tanto ed invece ho visto solo un declino, la sua evoluzione non c'era andava in discesa. Quando alla fine Elektra la uccide ho pensato che abbiamo sprecato un personaggio di grande qualità. Vabbè. Su Elektra dico poco: mi piace, come mi piaceva prima, la cattiveria ed il vuoto emozionale (posso chiamarlo così?) di Black Sky all'inizio della serie le dona, ma quando inizia a ricordare Matt e quel che erano insieme è come veder nascere una terza Elektra, e mi piace. Mi aspetto tanto dal suo personaggio in seguito.
Gli altri: Non sapevo come chiamare Karen, Trish, Claire ecc … ma sto parlando di loro e non mi sprecherò in molte parole. Promuovo Claire che, come sempre, fa da collante al gruppo e merita il premio di infermiera del secolo di New York. Brava Claire. Colleen rimane una combattente e sa qual'è il suo posto, il suo amore per Danny supera qualunque dubbio quel rompipalle di Bakuto cerchi di mettergli in testa. Promossa anche lei. Foggy anche se sta in fissa col fatto che il suo amico debba abbandonare la sua seconda vita a mostrato un po' di buonsenso e mi è salito un po' di livello. Bravo Foggy. Malcolm e Trish, mentre il primo mi è sempre stato simpatico e la seconda mi è del tutto indifferente sono stati entrambi personaggi apprezzati e che rivedrò diciamo volentieri più avanti. Ed ora, rullo di tamburi … l'idiota di Hell's Kitchen su cui devo sfogarmi con qualche insulto: Karen! Karen è un'idiota senza precedenti. È quel genere di cretina che non appena il supereroe di turno va lì per dirle che sta andando tutto a puttane e che vuole salvarla lei se ne esce con frasi tipo: “Sapevo che avevi ricominciato con questa vita!” … ALLORA MUORI KAREN! Fallo così fai un favore al pianeta e pure noi che non dobbiamo più sentirti sparare minchiate nelle prossime stagioni. Eclissati, inutile rettile!
Alla fine della fiera la serie la consiglio a tutti quelli che apprezzano il genere. Innalzate con me l'inno Più Jeri Hogarth e meno Karen Page! Alla prossima recensione.
1 note · View note
pangeanews · 4 years
Text
“Continua a ribellarti contro le raffiche del caos”. Un testo di Albert Camus, tra il contagio e il Minotauro
La peste nel petto del Minotauro. Albert Camus comincia a progettare La peste nel 1941; il romanzo, come si sa, è pubblico da Gallimard nel 1947 ottenendo il ‘Prix des Critiques’ (giuria di lusso: Blanchot, Caillois, Paulhan, Starobinski). Il romanzo è ambientato nel 1940 a Orano, in Algeria. Nel 1940, Camus compie 27 anni; è un anno importante. Camus termina Lo straniero, lascia l’Algeria per Parigi, dove lavora a “Paris Soir”, sposa – dopo l’infelice parentesi con Simone Hié – Francine Faure e l’anno dopo, nel 1941, si trasferisce nella città di lei, Orano.
*
La gimkana cronologica mi serve perché mi sorprende, sfogliando i Taccuini di Camus, questa prossimità. Mentre Camus prende appunti su La peste, scrive del Minotauro. Meglio ancora: vede nella città di Orano – che nella fiction è l’alcova della peste – il Minotauro. Nel 1941 Camus termina il saggio Le Minotaure ou La Halte d’Oran, che sarà il testo di apertura de L’estate (1954; uno dei libri più belli di Camus, si può dire?). Ricalco dai taccuini: “Non esiste luogo che gli oranesi non abbiano insozzato con qualche orrido edificio sufficiente a soffocare qualsiasi paesaggio. Una città che volge le spalle al mare e si costruisce girando su se stessa come le lumache. Si vaga in questo labirinto cercando il mare come il filo d’Arianna. Ma si gira in tondo per queste strade brutte e sgraziate. Alla fine il Minotauro divora gli oranesi: è la noia”. Il Minotauro è la rassegnazione obliqua, l’accanimento dell’inedia, l’incapacità di fuggire, la città che decade con compassata compassione. Orano, appunto, appare subito nella Peste con qualità indiscutibili: “una città delle solite”; “la città in se stessa, bisogna riconoscerlo, è brutta”; “ci si annoia e ci si applica a contrarre delle abitudini”. Pare che la peste sia esplosa dal bubbone della noia, infestando il Minotauro.
*
Mentre Camus scrive di Orano e del Minotauro, prepara l’impalcatura de La peste. “Un giovane prete perde la fede davanti al pus nero sprigionato dalle piaghe… Si trasportano i cadaveri sui tram… Si chiude la città. Si muore isolati, pigliati. Eppure c’è un signore che non rinuncia alle sue abitudini. Continua a vestirsi per il pranzo. A uno a uno i suoi familiari scompaiono dalla tavola. Lui muore davanti al piatto, sempre in abito da sera”. Forse l’ombra di quel signore è il Minotauro – ci si abitua a essere mostro, a riconoscere dietro una svolta del labirinto un altro labirinto – per eccesso di luce il sole moltiplica il disorientamento.
*
Nel 1941 Camus scrive Exhortation aux médecins de la peste, tra i materiali preparatori al romanzo, poi raccolta in “Les Archives de La Peste”, nel 1947, nei Cahiers de La Pléiade. Il testo – col senno di ora, alchemico e profetico – è divulgato da Gallimard dal 4 aprile come offert en période de confinement: sotto ne trovate un ampio stralcio. In quello stesso anno, tra i frammenti legati a La peste: “Soltanto quelli che la morte ha toccato direttamente o nei loro congiunti, hanno imparato. Ma la verità che hanno conquistato riguarda soltanto loro. È senza avvenire”. Mi piace anche questo, che pare il pretesto per un racconto di Hawthorne: “Un uomo, che ama una donna, le legge sul viso i segni della peste. Mai l’amerà tanto. Ma mai lei lo ha tanto disgustato”. Nell’Exhortation Camus ha il tono compassato di Seneca, la scientifica precisione di un latino (da tener presente questa scientificità).
*
E il Minotauro? Il Minotauro non muore per peste, è la pestilenza dell’assoluto. Nell’ultima porzione del saggio su Orano – La pietra di Arianna – Camus allinea concetti che sorprendono per borgesiana concretezza (“C’erano dei giorni in cui mi aspettavo di incontrare per le strade di Orano Cartesio o Cesare Borgia. Non è capitato”). Soprattutto, scrive una cosa che sfugge alla sua prosa estiva, che sonda l’assurdo senza perdersi, con talento da patologo. “Per essere risparmiati, bisogna dire ‘sì’ al Minotauro. È una saggezza antica e feconda”. Cioè, farsi mutilare, divorare dal mostro – e rinascere spirale, allo sbando, nel genio del labirinto. (d.b.)
***
I buoni autori ignorano se la peste sia contagiosa. Lo sospettano. Ecco perché sono dell’avviso che tu debba aprire le finestre della stanza in cui visiti il paziente. Ricorda che la peste può dilagare per le strade e infettarti allo stesso modo. I medesimi autori consigliano di indossare una maschera e mettere un panno imbevuto di aceto sotto il naso. Porta con te anche una busta con le essenze consigliate nei libri: melissa, maggiorana, menta, salvia, rosmarino, fiori d’arancio, basilico, timo, lavanda, alloro, scorza di limone e buccia di mela cotogna. Sarebbe meglio che tu vestissi un camice di tela cerata.
*
Nessuno, dice un vecchio autore, può permettersi di toccare qualcosa in un luogo dove regna la peste. Giusto. Non c’è luogo che non vada purificato, neppure il segreto dei nostri cuori, per garantirci una possibilità: questo è vero per tutti e a maggior ragione per voi medici. Devi quindi diventare esemplare. Per prima cosa, non devi avere paura. Abbiamo visto uomini compiere il proprio lavoro come soldati equipaggiati che abbiano timore del cannone. Un bolide uccide coraggiosi e vigliacchi. La paura macchia il sangue e scalda l’umore, dicono i libri. Perché il corpo trionfi sull’infezione, l’anima deve essere raffinata, vigorosa. Tuttavia, resta la paura della fine, il dolore è transitorio. Dottori che lavorate immersi nel contagio, dovete disciplinarvi sull’idea della morte e riconciliarvi con essa, prima di entrare nel regno della peste. Se vinci la paura, ti vedranno sorridere in mezzo al terrore.
*
Questo vuol dire, armare una filosofia. Cerca di essere sobrio in tutte le cose – il che non significa casto, sarebbe un altro eccesso. Coltiva una allegria ragionevole, di modo che la tristezza non alteri il liquore del sangue, preparandolo all’ebollizione. Usa il vino, in quantità adatte, per alleggerire l’aria dallo sgomento della città che puzza. In generale, osserva la misura, il primo nemico della peste, e la regola naturale dell’uomo. La nemesi non è la dea della vendetta, come ti è detto a scuola, ma della misura. I suoi terribili colpi sono inferti quando si è nel disordine, nello squilibrio, nel caos. La peste viene dall’eccesso. È eccesso essa stessa, non riesce a trattenersi. Sappilo, se vuoi combattere con istinto chiaroveggente. Non concordare con Tucidide, che parlando della peste di Atene diceva che i dottori erano inutili, perché sfidavano il male senza conoscerlo. La peste ama il segreto delle tane. Imbraccia la luce dell’intelligenza e dell’equità. Devi diventare finalmente padrone di te stesso.
*
Ti viene chiesto di dimenticare una parte di te, senza scordare ciò che devi a te stesso. È la regola dell’onore e della quiete. Non devi mai abituarti a vedere gli uomini morire come mosche, come oggi, per le strade, come allora, per le vie di Atene. Non smettere di essere sgomento di fronte alle gole nere di cui scrive Tucidide, che distillano sudore di sangue. Continua a ribellarti contro le raffiche del caos, la confusione di chi rifiuta di curare gli altri per morire in solitudine… L’anima pacificata è la più ferma. Resta saldo al cospetto di questa tirannia.
*
Nulla è facile. Nonostante la maschera e le buste, l’aceto e il camice in tela cerata, nonostante la fermezza del coraggio e la spavalderia del duro impegno, verrà il giorno in cui non riuscirai a sopportare i morti in questa città, queste grida, questo allucinato allarme senza futuro. Verrà il giorno in cui vorrai urlare il tuo disgusto incarnando la paura e il dolore di tutti. Quel giorno non ci sarà altro rimedio che la compassione, sorella dell’ignoranza.
Albert Camus
L'articolo “Continua a ribellarti contro le raffiche del caos”. Un testo di Albert Camus, tra il contagio e il Minotauro proviene da Pangea.
from pangea.news https://ift.tt/2UZHXMY
0 notes
throughlookinglass · 7 years
Text
GAME OF THRONES • 7x07 • The dragon and the wolf
Tumblr media
Sembrava impossibile… ma ce l’abbiamo fatta. Anche questa stagione è arrivata alla fine, e con la sua conclusione c’è anche il nostro ultimo post sulla S7 di Game of Thrones. Tutto sommato, non è stata una stagione di livello pari a quello che eravamo abituati a vedere, ma speriamo in bene per la S8, che sarà l’ultima (sigh!). Per cui dovremo aspettare due anni. Già me sto a sentì male.
Insomma, la recensione: Valentina ha visto la puntata in diretta, dopo il video di Taylor Swift, ed è andata abbastanza fuori di testa. Invece io l’ho vista di prima mattina: questo non mi ha fermata dallo scrivere a Vale “CHIAMAMI SUBITO” per esternare lo sclero represso. Vabbè, insomma: divertitevi e buona lettura!
KING’S LANDING: DOVE UN SACCO DI GENTE INCONTRA UN SACCO DI GENTE – Francesca
Tumblr media
La 7x07 ha visto il maggior numero di attori principali riuniti a filmare la stessa scena dall’inizio della serie. Nell’arena dei draghi, vediamo faccia a faccia Cersei, Jaime, Jon, Daenerys, Tyrion, Jorah, Varys, Sandor, Missandei, Bronn, Davos e Brienne, più altri vari. Avevo visto il promo e mi sembrava così strano che temevo non fosse vero. Bronn è realistico e disincantato come sempre, ma non riesce a tradire un po’ di emozione quando rivede Podrick e Tyrion. La butta sul divertente come sa fare lui, ma a quanti di noi non si è stretto il cuore quando scherza con il vecchio amico? Specialmente se ci ricordiamo le circostanze in cui si sono lasciati (processo per la condanna a morte di Tyrion). La loro non è la sola reunion del momento: Brienne incrocia il Mastino. I due, ovviamente, parlando di Arya e ditemi voi se non sembrano dei genitori fieri della propria figlioletta che dopo i primi passi ha anche compiuto i primi omicidi. Me li posso immaginare alla sua festa di compleanno. E quanti dico, quanti non possono aspettare che il Mastino e Arya si riuniscano? Perché io piango solo al pensiero. Mi ha lasciata con l’amaro in bocca, invece, l’incontro del Mastino con il fratello, con cui scambia un paio parole criptiche di cui la maggior parte è insulti per poi lasciar stare. Ma… Ma… Comunque, torniamo al punto: questo benedetto incontro per riuscire a ottenere una tregua si è fatto. Per la prima e ultima volta in Game Of Thrones sembra che qualcosa di puramente diplomatico possa avere dei risvolti concreti. Io ci sono cascata. Daenerys va sul sicuro e sceglie di arrivare cavalcando Drogon, commettendo però un grande errore. Se io fossi stata in lei, non avrei schierato tutto l’esercito né portato entrambi i draghi rimasti. I Lannister avrebbero potuto pensare che avesse con sé solo parte delle sue truppe e non avrebbero sospettato che uno dei draghi di Dany sia stato ferito (in realtà, noi sappiamo, non solo…). Dany si scusa per il ritardo stile Malefica o la Regina Cattiva che interrompono una bella festa, solo che la Regina Cattiva non è lei. Plot twist. Ha quindi luogo la dimostrazione che la minaccia al Nord sia reale. Non solo Cersei ha appena visto un drago in carne e ossa, ma adesso affronterà un morto vivente. Da un lato era ovviamente quello che volevo, voglio dire, fate vedere a tutti che c’è una minaccia simile e vi crederanno, ma dall’altra mi è sembrata una cosa stile romanzo fantasy “ti mostrerò che i maghi/vampiri/streghe/sirene/etc esistono, guarda cosa so fare”. Però, appunto, è quello che serve perché nessuno ha abbastanza fede in queste STORIE E LEGGENDE CHE CI SONO DALL’ALBA DEI TEMPI non lo so manco fosse lo SlanderMan o il diavolo nello specchio. Questi polli credono a tutto a parte ciò che è vero. Per fortuna Jon Snow si è preparato. Stanco di non essere capito, stanco di non riuscire a esprimersi in un italiano corretto, stanco che le sue intenzioni vengano sempre fraintese, ha chiesto consiglio alle sue amiche hostess di voli di linea (somiglianza evidenziata da Vale): ha preparato un sacchetto con torcia infiammabile, cerini, pugnale di Vetro di Drago e giubbotto di salvataggio ed è pronto a mostrare come evacuare l’aeromobile. Sandor sprigiona la bestia, Cersei si accorge di aver bisogno di un paio di mutande pulite ma non lo dà a vedere, Jon interviene “In caso di incontro con Estraneo 1) munirsi di torcia infiammabile e dargli fuoco *prende un mozzicone di mano e lo incendia* 2) infilzare con Vetro di Drago *afferra il pugnale e dà il colpo finale*”. Insomma, fosse anche per Jon, i passeggeri sarebbero salvi. Peccato che sono tutti dei coglioni. L’unico sano di mente (e vi rimando alle prossime sezioni) evacuerà presto l’aeroplano.
Unica gioia, pensavo di essermi tolta Euron Greyjoy dalle balle. Ma invece lui e le sue due buone mani sono co-piloti di Cersei. Che, come sempre, fa come cazzo le pare. Non importa se ormai abbia un piano suicida, è in carica lei e ha ragione. Andando indietro di qualche episodio, mi chiedo perché ci tenga tanto a diventare la Queen Of Ashes.
LANNISTERs ALLA RISCOSSA – Valentina
Tumblr media
Farò finta che la reunion della 7x05 non sia mai successa: per me questo è il momento di Tyrion e Jaime. Tyrion, affiancato dalla Montagna – cosa che crea un effetto tragicomico abbastanza evidente – arriva fino alla porta di Cersei, dove trova il fratello. Neanche Jaime è riuscito a parlare con Cersei, che gli ha rinfacciato l’essersi fidato del fratello minore: però Tyrion crede di poter vincere il torneo del “più idiota di Westeros”, dal momento che sta per «entrare in una stanza con la donna più incline all’assassinio di tutte: zitto, vinco io». I due si salutano, per davvero, il che spinge lo spettatore a temere un po’ per la vita del piccolo Lannister: quando entra nella stanza della sorella, infatti, l’atmosfera si gela. La regia ha fatto sì che la piccolezza di Tyrion fosse molto marcata: sempre seguito o preceduto dalla Montagna, si crea contrasto nel modo di dominare lo spazio dei due. Questo evidenzia ancora di più la condizione di Tyrion, il cui obiettivo è convincere Cersei a stare dalla sua parte, anche se conscio della sua posizione svantaggiata. E qui c’è la miglior scena di tutta la settima stagione, l’unica veramente degna di nota, che non riesco neanche a commentare scherzando perché mi sentirei in colpa nei confronti di Lena e Peter che hanno fatto un lavoro straordinario. Mentre Cersei accusa Tyrion delle stesse cose di sempre, Tyrion fa un’ammissione che onestamente non mi sarei mai aspettata: «You killed our father» «Yes, I did, hate me for it, I hate myself for it». Infatti, come gli dice Cersei subito dopo, la morte di Tywin è stato l’avvio del domino che ha portato alla caduta di casa Lannister, pezzo per pezzo: Myrcella e Tommen ne sono una conseguenza diretta. Tyrion cerca di scusarsi, perché lui amava i nipoti e voleva solo il loro bene, ma a Cersei non interessa: e Tyrion si gioca il tutto per tutto. Sa che sta rischiando la vita in quella stanza, sa che a Cersei basta un secondo per fargli volare via la testa. E allora glielo dice: avanti, uccidimi, fallo adesso. Ma lei non lo fa. Perché non lo faccia per me resta un mistero: Cersei Lannister non si fa problemi ad uccidere le persone, non se ne è mai fatti; per di più, ha sempre odiato il fratello, ha sempre sognato di vederlo morto. Nei libri, lo identifica come il valonqar che le toglierà la vita, allora perché non lo uccide? Perché è buona di cuore e ama la sua famiglia? Troppo semplice, secondo me. Cersei è la donna sempre un passo avanti a tutti: non cade nella banalità in questo modo. In ogni caso, Tyrion non muore: invece versa da bere, per sé e per Cersei. Che però non beve: perché non lo fa? Perché il vino è avvelenato? No: perché, ripeto, è un passo avanti a tutti. Ha già costruito nella sua testa questo dialogo, e sta facendo in modo che Tyrion segua i suoi indizi. E allora non beve, si mette una mano sul ventre, inizia a dire che non le importa del mondo, che conta solo la sua famiglia… e il fratello, lesto, coglie l’amo: «You’re pregnant». Boom, stacco pubblicitario alle 3:30 di notte e mi sono dovuta trattenere dall’urlare.
JONERYS #1, OVVERO QUELLA VOLTA CHE JON DIVENNE UN GINECOLOGO – Valentina
Tumblr media
Torniamo poi al Dragonpit, dove Jon e Daenerys condividono un’altra scenetta sdolcinata, sempre per restare sullo stile telenovela. A caso, si spostano verso una specie di rientro nella cava, mentre Daenerys parla del passato dei draghi. I due si passano un osso di drago, uno degli ultimi, di quelli che sono diventati sempre più piccoli col tempo. Da notare come Danerys parli al plurale, riferendosi alla sua famiglia, ma senza sapere che di fronte a lei ha un altro Targaryen, e che quindi il plurale dovrebbe essere riferito a loro due. Ma dopo questa sottigliezza del copione, torniamo al diabete e allo zucchero, con Jon che le dice «You’re not like everyone else» UGH, smettila! È un po’ come quei ragazzi che ti portano davanti a una meraviglia del mondo, diciamo il Colosseo, e ti dicono «Amò! Guarda ‘r Colosseo… bello, vè? Ma sai cos’è più bello? L’occhi tua, amò, so’ pure più belli der Colosseo!». Le si avvicina, cercano di creare tensione sessuale, le tira in mezzo la questione dei bambini, «Vedi che ‘sta strega manda in giro FAKE NEWSSSSS», certo Jon perché tu sei il ginecologo di stoca– e sai per certo che Daenerys può avere figli. Quando poi sembrano parlare di questioni serie, finiscono di nuovo a ridere come due scemi – tanto per cambiare, Jon ride sempre nei momenti meno opportuni – e ad ammirarsi come se fossero il più grande spettacolo dopo il Big Bang… o in questo caso dopo il fuoco di drago, magari. Grazie al cielo Tyrion arriva a rompere il siparietto e torna anche Cersei, che annuncia che i suoi vassalli avrebbero combattuto a Nord contro gli Estranei.
THEON “NON TUTTI I MALI VENGON PER NUOCERE” GREYJOY – Valentina
Tumblr media
Dopo che è stato deciso che Daenerys e Jon salperanno insieme, dando una nuova delusione a Jorah che si vede rifiutato persino i suggerimenti (#maiunaJorah per davvero, oh, povero figlio), Jon viene raggiunto da Theon, che gli chiede una parola. L’unico momento che Theon e Jon hanno condiviso è stato nel pilot, quando trovarono i cuccioli di metalupo https://www.youtube.com/watch?v=5Isq9hl7Tz8; Jon convinse Ned a lasciare che i suoi figli li tenessero, ma ce ne erano solo cinque: Robb, Sansa, Arya, Bran, Rickon. «What about you?», chiese Bran a Jon, ma lui rispose «I’m not a Stark». Se non che, pochissimo dopo, trovò il sesto metalupo della cucciolata, un albino dal pelo bianco come la neve, che noi conosciamo come Ghost. Theon, a cui all’epoca piaceva molto fare lo sborone, gli disse «The runt of the litter. That one’s yours, Snow». Però, evidentemente, i due devono aver condiviso molto di più, tanto che Theon adesso glielo ricorda, e ricorda come Jon sia sempre stato il più giudizioso, il più grande e maturo, una captatio benevolentiae che Cicerone je fa ‘na pippa, insomma. A lui sembra che sia ancora così, e beato lui… Comunque, dopo il discorso di Jon uguale a quelli che faceva Harry Potter quando gli dicevano che era il miglio mago di sempre, che sapeva tutto, che non aveva paura, blah blah blah («ma che stai a dì, sì cioè so’ morto e risporto, MA NON È NIENTEEE, è vero stavo per ammazzo Ramsay a pugni, MA NON È NIENETEEE, mi immolo nelle battaglie contro gli Estranei, MA NON È NIENTEEE, tutto culo davvero, io mica la so usa la spada!!!»), Theon finalmente dice a tutto il mondo cosa lo spingeva a fare tutte le scelte che faceva: «Stark or Greyjoy». Jon si inalbera un attimo – e giustamente – perché, gli fa notare, Theon è sempre stato più legato agli Stark che ai Greyjoy. È stato Ned Stark a crescerlo, i valori che ha cercato di trasmettergli sono gli stessi di Jon e dei figli Stark. Ciononostante, Theon li ha traditi. Ha tradito la sua memoria, ha tradito la famiglia. Dopo un breve istante in cui Jon sembra il padre onnipotente che può perdonare i peccatori e Theon il povero credente supplice di misericordia, abbiamo una frase che credo essere importantissima come premonizione della prossima stagione: «You don’t need to choose. You’re a Greyjoy. And you’re a Stark». Quando Jon scoprirà di essere il figlio di Rhaegar, sicuramente non rinuncerà alla sua natura da Jon Snow: non ci sarà una bacchetta magica che improvvisamente lo farà diventare un Targaryen, con valori Targaryen e fedele al motto Targaryen; certo, prenderà sulle sue spalle le responsabilità che il ruolo di legittimo erede richiedono, ma non per questo rinuncerà al vessillo del metalupo. In un momento di epifania (che Joyce scansate), Theon capisce che deve andare a salvare la sorella dalle grinfie di Euron, quantomeno per ripagare lo sforzo che lei fece per sottrarlo a Ramsay: la scena successiva è un connubio di poraccitudine e comicità che non saprei descrivere. Theon vuole convincere gli uomini di Yara a partire per salvarla, ma questi sono restii tanto che sarebbero pronti ad ammazzarlo, per farlo stare zitto; nella lotta corpo-a-corpo, il marinaio (di cui non ricordo il nome) cerca di atterrarlo calciandogli ripetutamente i genitali: ma Theon, grazie a Ramsay, non ha più nulla da urtare, e quindi, con un mezzo sorriso, conclude vittorioso – e omicida – lo scontro. «Not for me. For Yara!». Bellissimo il momento in cui si lava la faccia con l’acqua di mare: è per la sorella che resta legato alla sua identità Greyjoy.
CHAOS IS A LADDER, MA SE CASCHI… – Francesca
Tumblr media
L’uomo che ha dato inizio la guerra. La mente che macchina nell’oscurità, che regge la scala del caos mentre sovrano dopo sovrano tenta la scalata. Sapevamo sarebbe successo, ma nel pronunciare le parole “Petyr Baelish è morto” c’è qualcosa che non va. Ve lo dirò io cosa c’è che non va: l’incredibile scivolata del personaggio nella settima stagione. Non sto dicendo che voglia rimangiarmi le parole di lode che ho speso per lui negli ultimi episodi quando, come Littlefinger, sono cascata nella rete di Arya e Sansa, sto solo dicendo che al Petyr delle prime stagioni questa cosa non sarebbe successa, non così. Se fosse rimasto quello che era, il gioco sarebbe andato ben diversamente però, e si sapeva che la fine di Petyr, in un modo o nell’altro, sarebbe arrivata. Ero incredibilmente arrabbiata, perché avevo sentito, su Twitter, che sarebbe stata Arya ad ucciderlo. Così a random. Non ci potevo e non ci volevo credere, ma qualcosa era stato leakato. E invece tutte le mie preghiere sono state esaudite. C’è solo un modo in cui Petyr può morire, ed è per mano di Sansa Stark. Sì, certo, è stata Arya a tagliarli la gola ed era per questo che giravano certe voci, ma è stata Sansa ad architettare tutto. Sansa che, come Jaime (questi sono i paralleli che vogliamo!!) è una slow learner ma alla fine impara, Sansa che ha tratto forza da tutti i personaggi crudeli e sadici che l’hanno circondata dall’inizio dello show, sopravvivendo ad essi: Joffrey, Cersei, Ramsay e Petyr. Ognuno di loro porta un tipo di crudeltà diversa, ma ha fatto egualmente crescere, nel bene e nel male, l’attuale Lady di Winterfell. Quante volte mi sono mangiata le mani, negli ultimi episodi, perché Sansa non riusciva a vedere cosa tentava di fare Petyr, a culminare con il suo giochetto delle vere intenzioni. Poteva davvero pensare che Arya volesse ucciderla e prendere il suo posto? Dopo tutto quello che aveva passato, poteva davvero ridursi a questo? (Che poi, sappiamo tutti che diventare Lady non sia esattamente il sogno della giovane Stark). Ero basita, incredula. Ma poi è arrivata la scena che so a memoria, il processo. Ed è qui che sono cazzi e mazzi sui social. Non tanto per l’acume della ginger Stark, ma per la reazione di Littlefinger. Lui combatte tutte le battaglie nella sua mente, è sempre un passo avanti ai nemici, è sempre preparato a tutto, ha già anticipato mosse e contromosse… ma ora no. Lui è stoico, impassibile, non si butterebbe mai in ginocchio a elemosinare il perdono di Sansa e un processo… eppure lo fa. Togliamoci subito un punto facile: il “Ma si meritava un processo, non è giusto”. Sì certo perché la gente in Game Of Thrones muore sempre dopo giusti ed equi processi in cui tutte le parti sono valutate e discusse e i testimoni giurano di dire la verità e nient’altro che la verità. Ma per favore. Escludendo che sarebbe stato nel torto, Petyr non si merita una fair chance of defending himself. Da quando in qua lui l’ha mai data a qualcuno? Tradendo, uccidendo, spargendo il seme della discordia e facendo scoppiare conflitti? Posso capire la rabbia e l’ira di fronte al suo comportamento e alla sua impreparazione, ma non perché non ha avuto un processo. Questo davvero no. Passiamo quindi al secondo tasto dolente: la sua impreparazione. Questa è l’altra questione che mi sento di sostenere pienamente. Penso che, con lo scivolone del suo personaggio nelle ultime stagioni, tutto si giochi su questo. Petyr è lo stratega del gioco, il burattinaio, il campione di scacchi: è impossibile trovarlo impreparato ma al tempo stesso si tratta dell’unica chance di batterlo. E Sansa ci è riuscita. Datele almeno un po’ di credito. Petyr le avrà dato troppe lezioni, evidentemente, perché l’allieva ha superato il maestro. Petyr l’ha sottovalutata. Chi è causa del suo mal… L’ultimo punto saliente è l’atteggiamento di Petyr davanti all’accusa. Incredulità, stupore e meraviglia lasciano spazio a timore e poi paura viscerale, mentre chiede ai cavalieri della Valle di riportarlo a casa. Ma non succede. L’unico piano improvvisato non regge. Petyr non s’è preparato, non sa cosa fare, deve improvvisare. Secondo me la manifestazione di emozioni e l’invocazione di pietà non sono tanto genuini, non fanno parte del vero Petyr, quanto rappresentano un’ultima sperata chance di poter fare leva su Sansa, aggrappandosi ai suoi sentimenti. Il vero Petyr, in altre circostanze, forse non avrebbe avuto questa paura della morte, ma così vicino alla realizzazione dei suoi sogni di gloria, senza piano, si ritrova disperato e non sa cosa fare. Ha lavorato così sodo, non ha scatenato una guerra per morire in una sala di Grande Inverno davanti a tre Stark. Vede un appiglio, forse, e sa che la sua ultima e unica possibilità è gettarsi a terra e supplicare. Dopo, forse, riuscirà a scappare da Grande Inverno, o si rifarà al processo, troverà un angolo buio in cui ripensare ai suoi piani e tornerà a dirigere le marionette, ma al momento la sua unica chance per arrivarci è la supplica. Non è da me, si dice, magari convincerà Sansa… e secondo me avrebbe convinto Sansa, ma quella delle prime stagioni, la bambina e non la donna cresciuta nel terrore e nel dolore, molto del quale causato da Petyr stesso: «Protecting me? By selling me to the Boltons?» domanda quando Petyr le rinfaccia di averla sempre protetta. Petyr dice che, se potessero parlare da soli, spiegherebbe tutto. E sono sicura che se la sarebbe potuta cavare in un modo o nell’altro, ma Sansa rifiuta. E gli risponde con le sue stesse parole, con il piccolo gioco. Petyr capisce, in quell’istante, che è la fine. Voce che si spezza, ginocchia a terra, tenta l’ultima salvezza. «Thank you for your many lessons, Lord Baelish. I will never forget them» e Arya si avvicina. Forse trova un appiglio? Sussurra «Sansa» ma il taglio alla gola gli rende impossibile andare oltre. La scala cade. Non c’è più nessuno a reggerla.
LA RIVINCITA DI JAIME – Valentina
Tumblr media
Intanto, Jaime sta studiando la strada migliore per arrivare a Winterfell. Se non che Cersei lo interrompe, svelandogli che era tutta una farsa, che non ci pensa neanche a mandare le sue truppe a Nord. Jaime cerca di farla ragionare, le ricorda che gli Estranei non fanno differenze tra Stark, Lannister o Targaryen. Le dice che ha fatto una promessa, ha dato la sua parola: strano che Cersei non tiri in mezzo la storia dello Sterminatore di Re, sarebbe stato il momento perfetto, anche perché avrebbe spinto ancora di più Jaime a ricordare il “fuck loyalty” di Brienne. Cersei gli spiega che il suo piano era in atto già dai primi istanti dell’incontro da quando Euron Greyjoy ha fatto finta di andarsene, gli ricorda che «no one walks away from me». E poi, lì, in quel momento, quando la musica si alza, il mio cuore da lettrice ha avuto un sobbalzo: Jaime Lannister ripete che vuole onorare la sua parola, che se ne andrà, che Cersei può anche chiamarlo tradimento ma non gli importa; si gira, fa per andarsene ma la Montagna gli si mette davanti, allora ricorda alla sorella che lui è l’unico che le è rimasto, Tywin è morto, Joffrey, Myrcella e Tommen anche, «It’s just me and you now» «There’s one more yet to come» «Give the order, then», Cersei fa un cenno, Ser Gregor prende la spada, negli occhi di Jaime passa tutto il suo passato, tutte le parole che ha mai detto, passa Brienne, passa il proprio character development che forse non è andato perso, intanto nella mia mente tornano, chiarissime, le frasi stampate verso la fine di A Feast For Crows, quando Cersei scrive a Jaime per chiedergli aiuto e lui brucia la lettera, inizio a immaginarmi la sua mano dorata sul collo della sorella come nella profezia, poi lo smarrimento dal suo sguardo sparisce, tutto si fa chiaro, guarda Cersei e «I don’t believe you», se. ne. va. E lei non lo fa uccidere. CAMPANE A FESTA! Questo momento per me significa due cose fondamentali: numero uno, Cersei non è incinta, ma dirlo è stato solo un altro modo per attuare i suoi piani; infatti, dopo che Tyrion le dice «Sei incinta», la scena stacca e, inspiegabilmente, lei cambia idea, o almeno fa finta; quando ancora prima lo disse a Jaime, la frase successiva fu «Never betray me again». Numero due, Jaime Lannister non ha perso la sua crescita, la sua storia è ancora recuperabile, finalmente è stato in grado di staccarsi dalla sorella e adesso se ne va per davvero, da solo, verso Winterfell. Vorrei ringraziare i Sette Dèi, gli Antichi Dèi, il Signore della Luce e il Dio dai Mille Volti, e se ci sono altri dèi, grazie anche a quelli.
… e Francesca (cioè, aggiunta sui Briame)
Tumblr media
Non svaluterei mai il personaggio di Jaime dicendo che sia solo merito di Brienne e del suo Fuck Loyalty se il bel Lannister ha deciso, finalmente, di prendere le sue decisioni e lasciare la sorella (nonostante twitti molto a riguardo); però la sua parte l’ha fatta. Stavo aspettando il primo sguardo Braime da quando mi sono accorta che si sarebbero incrociati per forza, e ringrazio chiunque debba ringraziare per la chemistry tra Nikolaj e Gwendoline perché PER ME È SÌ. Di sicuro Brienne gli ha dato un imput, lei per cui la lealtà è sempre stata tutto e davvero tutto, lei che ha lealtà come secondo nome, ma certo, la crescita di Jaime va valutata da tanti aspetti. Sono contenta che, però, Brienne sia uno di questi. Come dimenticare il cambiamento di Jaime nelle prime stagioni, quando era al suo fianco? Poi, però, è tornato da Cersei. Sfidando la possibilità di morte, infine, ha deciso di lasciarla – e vi giuro che mi stavo mangiando le mani, ero TERRORIZZATA che Cersei, a questo punto, potesse uccidere anche lui. Ora cavalca verso il Nord, a combattere per la vita contro la morte. Alla fine ha seguito Tyrion.
JONERYS #2 OVVERO QUELLA VOLTA CHE SCAMBIARONO NUTELLA E PUPÙ – Valentina
Tumblr media
Brevi inquadrature mozzafiato di King’s Landing innevata, e poi siamo trasportati a Winterfell, dove Sam incontra di nuovo Bran, che gli dice di essere diventato il Corvo a Tre Occhi. Può vedere tutto, passato, presente e futuro… e, finalmente, dopo sette episodi, Bran dice a qualcuno che Jon è il figlio di Rhaegar e Lyanna. Sam ha un momento di illuminazione e, con la faccia di chi dice «Tiè, io ho letto i libri!!!!!», dice a Bran che Jon non solo è figlio di Rhaegar e Lyanna ma è addirittura erede legittimo. Gioia e tripudio!, finalmente anni e anni di teorie sono stati confermati!, finalmente stiamo per vedere Rhaegar, “l’uomo più bello dei sette regni”!, tra poco Jon saprà la verità!, sono le 4:00 di notte e non posso urlare ma vorrei!, eccoli!, aspetta, ma lui ha la parrucca di Viserys, ma stiamo scherzando, no non te ne andare, fammeli vedere di nuovo, si stanno sposando!!!, sì vabbè però potevano farlo un po’ più come Rhaegar, eh… cos’è quella porta?
Mentre Bran racconta la storia di Rhaegar e Lyanna, non vediamo i loro flashback: vediamo Jon davanti alla porta di Daenerys sulla barca, che fa un bel respiro e bussa, lei che apre con una faccia che dice «Ma vaaaa mica pensavo fossi tu!!», poi si sposta per far vedere il letto, sembrano due quindicenni imbarazzati anche della loro stessa ombra, lui continua a prendere respiri profondi «Adesso lo faccio, daje se lo faccio, vai Jon», una scena che se l’avesse scritta Moccia sarebbe venuta meglio. Bran continua il suo racconto, torniamo alla Torre della Gioia dove ci sono Ned e Lyanna, dove lei, in punto di morte, sussurra il nome del bambino: Aegon Targaryen. Ho sbarellato una prima volta: anche se non sono ancora arrivata a quel punto, nei libri si scopre che il figlio di Elia e Rhaegar, Aegon, è ancora vivo all’insaputa di tutti, eccetto pochissimi, tra cui, mi pare di ricordare, Varys e forse qualche dorniano. Perché il vero nome di Jon deve essere Aegon? Per infilare nello show un personaggio fondamentale dei libri?? A caso??? Che figura ci fate fare a Rhaegar, “l’uomo più intelligente dei Sette Regni”? Quella del padre che «Oh che palle ‘sti nomi, chiamalo di nuovo Aegon, che me frega». E Elia Martell? Perché, se Rhaegar si risposa a Dorne, se Lyanna partorisce a Dorne, se nei libri i dorniani continuano a sostenere i Targaryen, vuol dire che i Martell sapevano del nuovo matrimonio e probabilmente lo approvavano – e infatti Oberyn ce l’aveva con Tywin Lannister, mica con qualcun altro. Ma allora, perché, per quale assurdo motivo dimenticarsi del figlio di Elia e dare a Jon lo stesso nome? Perché le cose vanno fatte di fretta? Facepalm #1. Non mi basta il tempo di inalberarmi che mi inquadrano Jon e Daenerys nudi, come mamma li ha fatti, sul letto, e qui ho sbarellato di brutto. Questi che hanno la musichetta romantica sotto, si guardano, si ammirano, si accarezzano, non smettono di baciarsi, ma oh?! Quando mai c'è stata una sola scena di sesso del genere in questa serie? Mai! Però adesso arrivano i due piccioncini giovincelli che ci portano direttamente dentro Beautiful.  Ma ve la ricordate la scena della caverna?, eh, Jon, te la ricordi la caverna? Eri meno impacciato la prima volta! Con sotto Bran che racconta la storia della loro parentela; benissimo, allora ditelo che è davvero diventata una commedia romantica: c’è persino il classico espediente da “lo spettatore sa, il personaggio no”. E, mark my words, nella prossima stagione questo incontro proficuo porterà anche un bambino a Daenerys, perché ormai anche il fattore sorpresa è crollato. In tutto questo, una parola di ringraziamento e conforto a Tyrion che guardava sconsolato se non al limite del disgusto la porta chiusa: grazie cuore mio, capisco benissimo come ti senti.
LA BARRIERA IS THE NEW MURO COL MESSICO – Francesca
Tumblr media
So essere una persona semplice quando lo voglio. Desidero cose semplici, mi accontento di poco. Per esempio, mi basterebbe un po’ d’acqua, una partita a carte in compagnia e CHE NON MI FACESSERO SCOMPARIRE GENDRY NEL VUOTO DOPO CHE L’HANNO APPENA RIPORTATO NELLO SHOW. Ma io dico, non è difficile! Prendete Joe Dempsie, lo mettete vicino agli altri attori, e POI girate le scene! Vorrei davvero capire perché Tormund e Beric meritano di essere nell’episodio e Gendry no. Vorrei DAVVERO capire qual è la differenza. Spero solo che, qualora Tormund e Beric si siano infortunati o peggio, Gendry si sia almeno salvato. E invece no, vedrete che i due stanno bene e Gendry è pure morto. Ne sarebbero capaci.
Riprendendo le fila del discorso, alla barriera succede il peggio. Mentre zia (“he’s too young for me”) e nipote (“I don’t have time for this”) sono occupati a darci dentro, che poi scusate ma da quando Jon si presenta con quella spavalderia per fare cose sconce io non lo so vabbé sarà il brivido dell’incesto, VABBÈ COMUNQUE mentre loro sono occupati, la barriera crolla. Ringrazio che si siano sbrigati a King’s Landing e adesso stiano tutti andando a Nord, ma ho paura per Grandeinverno e per i suoi abitanti, principalmente Sansa. Che poi io mi ero pure dimenticata dell’arma segreta del Re degli Estranei, ed ero tipo ahah ma tanto mo’ vi butteranno il fuoco contro, non passerete e poi ZAC questo enorme drago che non si è ancora capito bene cosa sputi ma che fa cadere in milioni di piccoli pezzi la barriera. Che poi, sul serio, cosa sputa Viserion? Fuoco blu? Ghiaccio? Fuoco freddo? Laser? Gattiny? E basteranno due draghi a domarlo? Credo e spero che Dany lo vedrà per quello che è e non cercherà di salvarlo in qualche maniera. All’arrivo dell’esercito della notte, Beric si ricorda che non può più tornare in vita e se la dà a gambe levate, con Tormund al seguito. I due si buttano in una rocambolesca discesa di un centinaio di piani di scale, ma nonostante saltino i gradini due a due non si capisce bene quale sia la loro sorte. Kilometri di barriera cadono, loro sembrano salvi e altri travolti, poi però non si capisce bene. Io credo siano ancora vivi, ma non sarebbe una novità per l’HBO che dei personaggi principali muoiano off-screen cough true blood cough cough. Possiamo solo aspettare. E sperare. Se poi davvero almeno uno deve morire, lasciatemi Tormund.
TOP & FLOP dell’episodio
- Francesca Top: «You stand accused of murder, you stand accused of treason. How do you answer these charges – gira lo sguardo lentamente – Lord Baelish?»
Tumblr media
Flop: oh raga il parallelo Bran-Sam + flashback / Jonerys. Cioè un po’ mi dispiace perché in fondo loro due non lo sanno e magari si sentiranno pure in colpa quando lo scopriranno (o se ne fregheranno?) però davvero sono un flop su tutta la linea. Non capisco perché gli scrittori etc debbano spingere le persone a shippare zia e nipote in questo modo, davvero non lo capisco. Beh, non mi avrete.
- Valentina Concordo con Fra, e che i Jonerys mi hanno ridotta come Severus Piton che dice «Potrei vomitare» direi che si era capito. Sansa sei la mi unica Queen™, ti adoro con tutto il cuore.
TOTOMORTI S7
Tumblr media
Prima di vedere la 7x01 in diretta, nel cuore della notte, io e Valentina abbiamo stilato un Toto Morti, scommettendo su chi sarebbe sopravvissuto o no alla stagione. Ecco i nostri risultati:
Morti della stagione fra i personaggi messi nel Toto morti: 
Benjen, Drogon non è morto ma Viserion sì e non l’avevamo messo, Olenna, Sand Snakes, Ellaria non è morta ancora quindi non si conta, Thoros, Petyr.
Personaggi che sono morti, cosa avevamo detto:
Benjen: dato morto da entrambe, con mia specificazione sui White Walkers. Facendo finta che il parere espresso su Drogon si estenda anche a Viserion: vivo per entrambe. Mai avremmo immaginato… Olenna: ancora viva per entrambe #RIPQueenOfSass. Sand Snakes: per me morivano tutte tranne Tyene, per Vale pure Tyene. Ellaria: sopravvive per entrambe (e in effetti non è ancora morta! Da specificare!). Thoros: morto per me, vivo per Vale. Petyr: vivo per me, morto per Vale, anche se sbagliata la specificazione che dipenda direttamente dalle sue rivelazioni a Jon.
Personaggi dati per morti che invece sono vivi:
Fra: Melisandre, Brienne, Lyanna Mormont, Daario (chissà dove è), Missandei, Robyn… sì insomma mi aspettavo più botti. Vale: Gilly, Missandei, Gregor, Robyn (che tra l’altro ci sono dimenticati tutti della sua esistenza).
Tumblr media
Speriamo che questa recensione, più breve delle altre (grazie al cielo, direte), vi abbia tenuto piacevole compagnia in questi giorni di fine Agosto. Come l’estate, anche la settima stagione del Trono di Spade è finita, ma non disperate, pensate alle cose belle (Jaime Lannister è un esempio totalmente casuale) e non lasciate i nostri blog tutti soli! Vi rivedremo con piacere nei prossimi post; se queste recensioni vi sono piaciute fatecelo sapere e torneremo di nuovo cariche per la S8! Intanto, noi torneremo alle nostre vite…
Tumblr media
- Francesca e Valentina #trashqueens
Trovate Valentina e il suo blog su Twitter, Instagram, Facebook.
0 notes
paoloxl · 7 years
Text
A Pedro, Pietro Maria Greco, ucciso dallo Stato
Pietro Maria Walter Greco nasce a Mileto Porto (RC) il 4 marzo 1947 – si trasferisce in Veneto alla fine degli anni sessanta – nel ’79 si trasferisce a Padova e si iscrive a statistica, dove si laurea – lavora come insegnante di matematica in una scuola media di Padova – viene inquisito e prosciolto per i Collettivi Politici Veneti nell’inchiesta contro l’autonomia veneta nella primavera ’80 – nel 1982 viene nuovamente inquisito – va in esilio a Parigi – viene ucciso dalla polizia a Trieste il 9 marzo 1985 [Pedro esce di casa, dall’appartamento al terzo piano; una volta giù decide di rientrare. Appostati all’esterno ci sono 4 sicari dello Stato italiano. Sono Nunzio Maurizio Romano, agente del Sisde (che ha il compito di riconoscerlo); Giuseppe Guidi, viceispettore della Digos; Maurizio Bensa e Mario Passanisi, agenti della Digos di Trieste. Il Romano, il Guidi e il Passanisi entrano nello stabile e si mettono in agguato nel sottoscala. Quando Pedro discende le scale il Romano gli si para davanti e spara due colpi calibro 38 a meno di mezzo metro di distanza che lo colpiscono ai polmoni. Immediato il fuoco incrociato degli altri due poliziotti killer che colpiscono Pedro con pallottole calibro 9 alla spalla e alla gamba. Nel piccolo atrio si conteranno successivamente i segni di almeno una dozzina di colpi. Pedro fa appello per l’ultima volta alla sua straordinaria forza di volontà, uscendo in strada e impedendo così che tutto si svolga senza testimoni. Esce, ferito mortalmente, parecchi passanti lo sentono gridare “mi vogliono ammazzare mi vogliono ammazzare”. Il Bensa, rimasto all’esterno dello stabile, appena vede Pedro gli spara, alle spalle. Pedro si accascia sanguinante dopo pochi metri. Il Passanisi lo ammanetta. Trasportato in ospedale con notevole ritardo, muore verso le 11.50] *non è tratta dal libro Documenti prodotti da organizzazioni armate per la persone o per l’evento in cui ha incontrato la morte – Franco Fortini, “A Mino Martinazzoli”, in Lettere da Lontano, L’Espresso 16 novembre 1986 “L’assoluzione -tale è la sentenza di Trieste- di chi ha ucciso Greco non è sorprendente; né l’indifferenza dei partiti politici, da quelli che difendono “la vita” a quelli non contrari al terrorismo in uniforme (tornava in Francia, emigrato politico; agenti in borghese vanno a prelevarlo; fugge, sparano, lo ammazzano. “Sembrava avere un’arma” dicono. Era disarmato. Due condanne a 8 mesi, condizionale e non iscrizione). Quando leggo di sentenze come quelle non penso ai criteri dei giudici ( lei, ex ministro di giustizia ne sa più di me). Prima di tutto perché dei fatti so solo quel che se ne lesse. E poi perché ho paura e sto molto attento a non violare il Codice penale. (Quello della calunnia, non ho più l’età per temerlo). Purtroppo o fortunatamente è vero però che i responsabili dei quali mi interesso – e dunque non delle uccisioni né della sentenza ma del loro significato – non sono coloro che hanno sparato né coloro che 2ne hanno benedette le mani con un sorriso”, come tanti anni fa ebbi a scrivere per l’uccisione di Serantini; sono i politici e i loro portavoce ossia i giornalisti e gli operatori della comunicazione che quei significati conferiscono o lasciano conferire. Lei, caro Martinazzoli, è di buone letture. Mi permetta di rammentarle due versi di Baudelaire. Il “tu” invocato è Satana ma, per un cristiano, potrebbe essere il Sommo Bene: “Tu che al proscritto dai lo sguardo calmo e nobile / che intorno a un patibolo danna un popolo intero”. Non so se l’ucciso fosse colpevole alcunché; proscritto senza dubbia, se tornava da una sua emigrazione politica. Condannato a morte da alcuni specialisti fra dipendenti di due o tre ministri con i quali, fino a poco tempo fa, lei sedeva per il bene della Repubblica, Greco non era su un palco in attesa della lama o della corda. Non aveva “le regarde calm et haut”. Gridava: “mi vogliono ammazzare, aiuto!” Ma il popolo intero che la sua morte condanna e danna, quello sì, c’era. Mi basta scendere per la via per incontrarlo. E’ il nostro popolo, la gente che amiamo e stimiamo apparentemente inseparabile da quella che, forse insieme ai più, detesto, e , debbo pur dirlo, odio e vorrei veder ridotta non alla ragione (che è impossibile ormai) né al pentimento (che non è in mio potere) ma all’impotenza almeno. E’ il popolo che ascolta distratto o ignora cronache come quella di Trieste; e si danna così. Non credo alla giustizia della storia, che è di invendicati. Né che l’accumulo di sopraffazioni, latrocini, corruttele, oppressioni dei deboli e beffe della giustizia, debba finire, prima o poi, col muovere le pietre e la gente. Tutt’altro. Chi non guarda più i telegiornali, se proprio non si trova sulla traiettoria dei proiettili della Digos, avrà altre cose cui pensare invece della intenzionale o preterintenzionale trasformazione, grazie a quei piombi, di un giovanotto in un fantoccio da obitorio. Oggi, voglio dire, Nemesi sceglie vie invisibili, come nelle viscere del fall-out atomico. Il giusto ne è punito quanto il peccatore, a riprova che in ognuno dei due c’è una quota dell’altro. Lentamente, giorno dopo giorno, una impercettibile diminuzione dell’ossigeno morale annichilisce cellule, rabbercia circuiti vivari e precari. Come certe specie di anfibi adatti alle spelonche, che hanno ancora occhi ma senza uso o bisogno di vista, così intere generazioni possono convivere con una crescita di tossico storico negli alveoli. E’ quel che chiamiamo decadenza; di popolo o di continente: solo vera punizione attribuibile al Tribunale della Storia di cui parlò Hegel. Grazie a quest’ultimo, non dimentico che essa va di pari passo col suo contrario. Scopro, pieno di ammirazione, prove di vitalità, qualità, coraggio, severità di cui questa nazione è ricca e capace; e poi, quando tali forze positive siano, come oggi, offese e sprezzate, se ne cerchi allora al di là dei confini la amicizia vittoriosa… La “denuncia” di quella cosa che non oso neanche definire, dico la sentenza di Trieste, mi parrebbe stolta eloquenza senza seguito di azioni, foss’anche minime, com’è di scriverle questa lettera. Perché leri, caro Martinazzoli, ha poteri che io non ho. Mi creda, con ogni rispetto, suo Franco Fortini”. (…) Cosa dire di un compagno per noi indispensabile? Pedro lo ricordiamo sempre accanto a noi dalle lotte degli universitari, a partire dal ’68, alle lotte in mensa come lavoratore dell’Opera, a quelle dei precari della scuola. Per questo, per la sua internità alle istituzioni di movimento, a quelle stesse lotte che ci hanno unito e che tuttora ci uniscono, Pedro ha subito varie inquisizioni da parte di Kaloegero (inquisizioni suffragate solo dalle parole dei pentiti, puntualmente crollate). Ancora una volta in prima fila, al primo posto, pronto a pagare di persona, duramente, con ulteriori anni di latitanza, sospensione dal lavoro, riduzione del proprio reddito strappato con le unghie a questa società di merda, per creare migliore qualità della vita. Pedro, 38 anni, Pedro accanto ai giovani del centro sociale “Nuvola rossa”, accanto a quella che era la sua classe di appartenenza, quella degli sfruttati, dei senza-casa, dei senza reddito, di chi non si lascia sconfiggere, di chi continua comunque a lottare. Lo ricordiamo durante le lotte del censimento con noi proletari disoccupati, con noi per la solidarietà, per internità, perché Pedro era così. E così lo vogliamo vivere, nelle nostre lotte, non come un ricordo ma come una presenza sempre viva, in mezzo a noi, indispensabile fino in fondo, ricordando anche il suo sforzo estremo. Ci piace immaginarlo così: che corre fuori dall’atrio di quel condominio-tomba di via Giulia a denunciare con voce forte, ancora una volta, purtroppo l’ultima per lui, che lo Stato uccide ma che questa volta non sarà possibile mistificare, non sarà possibile creare la montatura, il “mostro” (…) Grazie compagno Pedro per quello che ci hai saputo dare, grazie compagno per la forza che ancora ci tiene vivi, incazzati e mai arresi, insieme a te e adesso anche per te. A pugno chiuso compagno nostro, col sangue agli occhi, tu ci mancherai molto perchè tu sei per noi tutti uno degli indispensabili”. -Claudio Latino, carcere Due Palazzi, 13 marzo 1985 “Parlare di Pedro, della sua vita, della sua figura di compagno a questo punto è struggente. Molti lo hanno conosciuto e ancora di più ne avranno sentito parlare. Senza retorica si può dire che pochi hanno la sua capacità di comunicare e socializzare, la sua carica e la sua determinazione, la sua intelligenza e la sua coerenza”. Tratto da “Sguardi Ritrovati”, vol. 2 del Progetto Memoria. Edizione Sensibili alle Foglie Qui le altre pagine di ricordo ai compagni… https://baruda.net/tag/pietro-maria-walter-greco/
2 notes · View notes
viaggiatricepigra · 7 years
Text
Sabato Horror: The Boy
Titolo originale The Boy Paese di produzione Stati Uniti d'America, Canada Anno 2016 Durata 97 min Genere orrore, thriller Regia William Brent Bell Sceneggiatura Stacey Menear Interpreti e personaggi Lauren Cohan: Greta Rupert Evans: Malcolm Jim Norton: sig. Heelshire Diana Hardcastle: sig.ra Heelshire Ben Robson: Cole James Russell: Brahms adulto Jett Klyne: Brahms bambino Stephanie Lemelin: Sandy Lily Pater: Emily Cribbs Trama Greta è una giovane americana che viene assunta come tata in un remoto villaggio inglese prima di scoprire che deve prendersi in realtà cura di una bambola a grandezza naturale che i genitori curano come fosse un bambino di otto anni, avendo perso il loro vero figlio. Violando un elenco di regole rigorose, Greta si ritrova protagonista di eventi inquietanti e inspiegabili che la portano a credere che la bambola sia in realtà viva.
Trailer
youtube
Opinione Un film nel complesso piuttosto originale, anche se contiene alcuni cliché dei film con "bambole". Una sorpresa è la parte finale, che introduce qualcosa di nuovo e che si riesce a capire solo appena prima che succeda (o almeno, per me è stato così). Ovviamente la fine è prevedibile e scontata, chiunque ami gli horror negli ultimi istanti si metterebbe le mani in faccia. Tutto sommato, poteva esser peggiore! Però non so se consigliarlo oppure no. Vi Racconto La Trama(Senza Spoiler) Greta è una giovane donna che è scappata dall'America per lasciarsi alle spalle un passato (che scopriremo mano a mano) per cercare di ricominciare a vivere in Inghilterra, come nuova babysitter per un bambino di 8 anni. Infatti i suoi genitori stanno cercando qualcuno a cui affidarlo durante il periodo in cui andranno in vacanza, ma deve essere Brahms a scegliere la tata. Già dal primo incontro le viene data una lista di regole a cui deve assolutamente attenersi, altrimenti (le spiega la madre) potrebbero accadere cose brutte. Ma a sconvolgerla più di tutto è la conoscenza del "bambino", perché si tratta di una bambola di porcellana. Nonostante tutto a lei quel lavoro serve ed accetta, ma ben presto si renderà conto che cose inquietanti iniziano a succedere in quella casa isolata, perché lei non segue la lista alla lettera. ...se volete sapere tutto (Con Spoiler!) Il "ragazzo" delle consegne, Malcolm, stringe subito amicizia con lei (con fini evidentissimi!), e le racconterà cosa si nasconde dietro quella bambola Infatti quando era ancora piccolo, si parlava di Brahms, un bambino morto in un incendio quando aveva solo 8 anni. E poco dopo la sua morte era apparsa la bambola, ma erano trascorsi vent'anni in cui la coppia era vissuta così in solitudine, solo adesso avevano iniziato a cercare una tata. La storia inquieta Greta, che sola in quella enorme casa si sente spaventata, ed accetta di uscire con Malcolm una sera. Ma quando esce dalla doccia, sono scomparsi tutti i suoi abiti e la scala per la soffitta è spalancata. Indoviniamo cosa farà....esatto! Sale, rimanendo bloccata. Nel frattempo Malcolm arriva, ma non la sente, così lei passa la notte lassù, svenuta dopo una caduta per uno spavento. Al risveglio trova un album di foto del bambino, mentre la botola si spalanca, lasciandola scendere e tornare nella sua stanza. Lei è sconvolta ed inizia a prendersi cura della bambola seguendo alla lettera le istruzioni, così da non farlo più arrabbiare. Cosa che sconvolge Malcolm e che porta i due a confidarsi. Lei gli rivela che capisce tutto l'affetto e la stranezza dei genitori, perchè era fidanzata con un tipo manesco, che sembrava voler cambiare quando lei è rimasta incinta, ma che non ha saputo trattenersi e l'aveva fatta abortire dopo altre botte. Così lei era scappata lontano. E non può che scapparci un bacio dopo questo momento intimo, ma la sera, quando lei e Malcolm si appartano in camera di lei, Brahms si "arrabbia" e lei manda via Malcolm. Ad aumentare le stranezze, Greta si rende conto che Brahms è vivo. E cerca di farlo vedere anche a Malcolm, per non sentirsi una pazza. Mette la bambola per terra e disegna i contorni con un gessetto, garantendogli che, essendo stato anche in vita un bambino riservato, se non visto si sarebbe mosso. Alla minaccia di andar via, Greta convince Brahms e la bambola si muove, rendendo entrambi scioccati da tutto ciò. Ma Malcolm ha qualche dubbio sull'entità. Lui le rivela che Brahms in realtà era non era un bravo bambino, perché era sospettato di aver ucciso una sua amica. Questa bambina era stata trovata nel bosco col cranio fracassato e, poco prima dell'interrogatorio, era scaturito l'incendio che lo aveva ucciso. Cosa che lasciava voci in paese. Quindi: con cosa hanno a che fare? Tutto sembra andare per il meglio, ma d'improvviso compare in casa l'ex di Greta, che pretende il suo ritorno a casa. Lei lo asseconda e, dopo l'arrivo di Malcolm che manda via, chiede a Brahms di aiutarla, se vuole che lei resti con lui per sempre come promesso. Durante la notte Cole (l'ex) viene svegliato e trova una scritta fatta col sangue che gli intima di andarsene ed i cadaveri di molti topi nei bagagli, vicini alla bambola. Accusa Greta, che prende Brahms e cerca di portarlo via. Nel frattempo arriva Malcolm, che non era mai andato via, ma dormiva in macchina e si era svegliato dalle urla. Cole riesce a prendere Brahms e lo rompe, scatenando qualcosa. Tra i muri si sentono urla, rumori....ma succede l'imprevisto. (Che gli horror maniaci potrebbero indovinare) Da dietro le pareti sbuca fuori un uomo adulto, che si avventa su Cole e lo uccide. E' Brahms, mai morto, ma sfregiato da quell'incendio, che vive nascosto tra le mura di casa, indossando una maschera di porcellana. Malcolm e Greta scappano e si ritrovano nella stanza del vero Brahms, dove lei trova una lettera dei genitori, dove gli dicono che stanno andando a suicidarsi e che gli "regalano" la nuova ragazza che si prenderà cura di lui. (In un frammento precedente avevamo visto i due scrivere la lettera e camminare verso il mare con dei sassi in tasca....proprio orribile come modo di morire!) Scappano, ma Brahms ferisce Malcolm, permettendo a Greta di scappare, ma lei torna indietro perché non può lasciarlo. Seguendo il programma intima a Brahms di andare a dormire, per poi accoltellarlo. Scatterà la lotta, ma lei riuscirà a ferirlo a fondo, salvandosi, trovando poi Malcolm e scappando con lui. Il tutto si chiude con la cosa più prevedibile: Brahms, ancora vivo, che ricostruisce la bambola. Perché è la regola base di ogni horror: il cattivo non è mai morto alla fine del film! from Blogger http://ift.tt/2r6nmay via IFTTT
0 notes
Text
Ciao a tutti!Hi guys! È finalmente uscito il sesto episodio della terza stagione di The Leftovers! Per ora, secondo me, questo è l’episodio più bello della nuova stagione, e sicuramente anche il più triste. Vediamo cos’è successo.
Questo episodio racconta due diversi momenti del viaggio di Laurie. Nella prima parte del suo soggiorno australiano Laurie aiuta Nora a pedinare la dottoressa Eden e la dottoressa Bekker per scoprire se stessero veramente aiutando le persone a ritrovare i loro familiari dipartiti grazie alle radiazioni. Anche Matt è con loro. Nora è diversa dal solito:  sembra stanca e irritata, impaziente di provare che le dottoresse e il resto del personale sono impostori. Come se non bastasse, è arrabbiata anche con Matt per averle tenuto nascosta la sua malattia e perché rifiuta di curarsi. I tre finiscono per parlare di suicidio: quando Laurie dice che il macchinario che presumibilmente dovrebbe mandare le persone a raggiungere i loro cari dipartiti, ovunque essi siano, è “un modo incredibilmente elegante per uccidersi”, Nora non è d’accordo, non crede che si tratti di una “macchina per il suicidio” e per la prima volta sembra prendere in considerazione l’idea di sottoporsi al trattamento. Aggiunge anche che il modo più elegante per uccidersi è durante un’immersione subacquea, che essendo un’attività molto pericolosa non dà adito a sospetti in caso di incidenti anche mortali: la tua famiglia non sospetterebbe mai che tu abbia smesso di respirare intenzionalmente, quindi lo accetterebbe, e vivrebbe in pace.
Il pedinamento continua e Laurie, Nora e Matt seguono la dottoressa Eden e la dottoressa Bekker fino a una scogliera, che in effetti potrebbe essere un luogo adatto ad esperimenti con le radiazioni. Nora è a pezzi. Ricorda un episodio della sua infanzia – lei e Matt bambini a una partita di baseball che erano riusciti a colpire la grande palla colorata che gli spettatori si passavano. Un addetto alla sicurezza aveva sequestrato e fatto scoppiare la palla davanti a loro, rovinando completamente ai due fratelli il primo momento di serenità dalla tragica morte dei genitori. Nora non può fare a meno di paragonare se stessa a quella persona: qualcuno il cui lavoro consisteva nell’infrangere le speranze di persone che stavano disperatamente cercando di sentirsi meglio.
“Perché ha voluto fare proprio quel mestiere? Perché mai chiunque altro dovrebbe volerlo fare?”.
Nora è devastata, ha la sensazione di aver sprecato gli ultimi sette anni della sua vita rendendo infelici le persone, e non è più disposta ad accettarlo. Laurie le sta vicina, l’abbraccia e la conforta. Si ha veramente l’impressione che Nora voglia sottoporsi al trattamento per cercare di tornare dai suoi figli, ovunque essi siano. Matt le rimane accanto,  le dice “dopo tutto bisogna stare vicini alla propria famiglia, non è vero?”. La sua reazione è struggente, sembra una bambina rimasta sola per troppo tempo che finalmente ha trovato chi si prende cura di lei.
Prima di andarsene, Laurie offre a Nora il suo aiuto come psicologa, le chiede un compenso simbolico per le sue prestazioni future (le sigarette!). L’ultima cosa che si dicono è “La settimana prossima alla stessa ora?”. Una scena commovente. Inizialmente siamo portati a pensare che Nora esiti perché in realtà ha già deciso di sottoporsi al trattamento e che quindi per lei non ci sarà una “settimana prossima”. Alla fine dell’episodio però è chiaro che Laurie aveva a sua volta deciso di togliersi la vita, e che probabilmente quello era il suo modo di dire addio a Nora.
Nella seconda parte del suo soggiorno in Australia Laurie è a casa di Grace con John, Michael e Kevin Sr., pronta ad aiutare anche loro dopo esser già corsa in aiuto di Nora nella sua ultima missione e aver aiutato Matt a far riavere Il Libro di Kevin a suo padre.
Questa è la sua missione nella vita: aiutare le persone. Quando viveva a Mapleton, prima e subito dopo la Dipartita, faceva la psicologa. In seguito, dopo aver lasciato i Colpevoli Sopravvissuti, aveva iniziato a scrivere un libro in cui spiegava cosa voleva dire appartenere a quella setta e quanto fosse stato difficile per lei tirarsene fuori. Aveva affittato un grande appartamento in cui ospitare alcuni membri dei C.S. che avevano cominciato a dubitare della loro missione, con l’intento di aiutarli a tornare alla loro vita. Quindi aveva aiutato Kevin ad affrontare le sue “allucinazioni”, e quando si era messa con John aveva creato con lui un modo per aiutare le persone a mettersi in contatto con i loro familiari defunti.  Adesso la sua funzione sembra essere venuta meno, nessuno sembra più ascoltarla o aver bisogno di lei. Al suo appoggio medico e scientifico, tutte le persone della sua vita sembrano preferire la fede cieca in qualcosa che a lei non era mai sembrato reale. La sua “terapia” aveva smesso di funzionare con la Dipartita, non riusciva più ad aiutare le persone, ed era fallito anche il suo tentativo di salvare i “pentiti” che cercavano di uscire dai C.S. – una di loro si era suicidata schiantandosi con la sua auto insieme a tutta la sua famiglia. Neanche Kevin le dava più ascolto e quando gli aveva detto che stava delirando, lui aveva fatto l’esatto contrario di quello che lei gli aveva consigliato, e aveva finito per avvelenarsi.
Ora sembra che tutti abbiano perso la testa. Non solo Laurie non riesce a convincere nessuno del fatto che Kevin non sia davvero il Messia, ma non riesce nemmeno a impedirgli di cercare di ucciderlo per dimostrare che invece lo è davvero, perché in fondo anche lo stesso Kevin ha cominciato ad assecondarli. Forse aiutare Kevin è l’ultima speranza di Laurie, l’ultima occasione che si sente di concedere alla vita. Ora si sente perduto anche lui, schiacciato dalle pressioni di tutti. Tutti contano sul fatto che lui riesca a passare dall’altra parte: K.G. Sr vuole che Kevin trovi Christopher Sunday perché gli insegni il canto che li salverà tutti dall’Apocalisse.  John gli chiede di portare a Evie un messaggio, di farle sapere che è sempre stata amata. E infine Grace vuole che Kevin l’aiuti a parlare con i suoi figli. Lui stesso confessa a Laurie di voler tornare al mondo dell’Hotel perché è solo là che si è sentito davvero vivo, per la prima volta dopo tanto tempo. Sembra perfino che non abbia paura di morire, come se avesse accettato qualunque possibilità: di non riuscire ad arrivare dall’altra parte, o perfino di non poter tornare indietro. Non c’è più niente che lo trattenga nel mondo reale, e questo è ciò che sente anche Laurie riguardo alla sua vita.
La fine di questa scena è molto intensa e commovente: Laurie chiede a Kevin se l’idea di morire annegato gli fa paura, e quando lui le dice di no, lei gli risponde che allora non avrà paura nemmeno lei. Si può inizialmente presumere che Laurie si riferisca alla morte di Kevin, ma come nella scena con Nora, Laurie in realtà sta parlando di se stessa: ha già preso la sua decisione e non ha più paura. Sa già che annegherà, che morirà come morirà Kevin – e come Nora aveva suggerito. Non è chiaro se Laurie intenda veramente porre fine alla sua vita o se spera di arrivare davvero dall’altra parte e aspettare Kevin, per capire se aveva sempre sbagliato a non crederci. Proprio come era successo a lui, la grande fede degli altri l’aveva aiutata a decidere: Laurie lo farà comunque, e se gli altri hanno ragione, tanto meglio.
Probabilmente Laurie aveva deciso di partire per l’Australia per dire addio a tutti i componenti della sua nuova grande famiglia e soprattutto a Kevin. È lui la sua anima gemella, e lei non ha mai smesso di amarlo. Non riesce più a vivere con il senso di colpa per averlo lasciato, per aver abbandonato sua figlia e averla messa in pericolo, per non aver detto una sola parola per più di un anno. Qualcosa si era rotto dentro di lei già anni prima, quando aveva cercato di uccidersi ma poi aveva cambiato idea e si era unita ai C.S., rendendosi conto di non essere più in grado di aiutare le persone, che il suo lavoro non aveva più uno scopo e che non aveva più niente da offrire né alle persone disperate che chiedevano il suo aiuto, né alla sua stessa famiglia. Laurie si era unita ai Colpevoli Sopravvissuti perché li riteneva gli unici in grado di darle una risposta, gli unici a pensare  che fosse giusto non aver più uno scopo. Ciò che volevano era che la gente smettesse di comportarsi come se nulla fosse successo, che smettessero di cercare di andare avanti e di vivere la vita di sempre, perché il mondo era finito e non aveva più senso avere una famiglia, un lavoro, o fare qualunque altra cosa si facesse prima della Dipartita. E ora, sette anni dopo, la gente sembra condividere il loro credo e tutti si comportano come se stesse per succedere qualcosa, aspettando disperatamente un evento imminente di cui in realtà non conoscono la natura. Ma la loro fede è forte: sanno che qualcosa succederà. Nessuno vive più la vita di sempre, tutti hanno scelto di credere in qualcosa: in un’inondazione in arrivo, in un mostro a sette teste che causerà la fine del mondo, in un pollo magico che ha il potere di ridare uno scopo alle persone, in una macchina che può spedirti ovunque siano i dipartiti. Questa probabilmente è la colpa dei C.S.: aver infettato la gente col loro credo distruttivo, col loro terrorismo psicologico che ha portato il mondo alla rovina. Laurie ne è ben consapevole, e non riesce ad accettarlo. Sa che tutti quelli che ama hanno perso la testa a causa di qualcosa a cui lei ha preso parte attivamente, ed è questo che la uccide: non è più quella che aiuta le persone, ma è solo una dei tanti che hanno contribuito alla fine del mondo. Ecco perché ha deciso di farla finita.
L’ultima scena, con la telefonata di Jill e Tommy, è una delle più tristi e commoventi di tutta la storia. C’è un contrasto straziante tra l’allegria dei ragazzi e l’angoscia di Laurie, di cui loro sono completamente inconsapevoli. Sono insieme e finalmente stanno bene, dopo tanto tempo, e costringono Laurie a ricordare un momento felice del passato, un tempo in cui non era ancora successo niente di brutto, e probabilmente Laurie realizza che allora aveva tutto ciò di cui aveva bisogno, e non lo sapeva. Cerca di parlare normalmente, con voce tranquilla, ma sta piangendo in silenzio. Poi saluta i suoi figli, e se ne va…
Staremo a vedere se lei e Kevin si incontreranno dall’altra parte. Magari lei sarà là e sarà sorpresa, e forse tornerà indietro con lui… O magari rimarranno là insieme… Chi lo sa. Aspettiamo la settimana prossima e vediamo cosa succede.
  Dettagli Interessanti:
– Il titolo dell’episodio, Certified (in italiano “abilitato”) ha diversi significati: Laurie è abilitata sia come psicologa che come subacqueo. Inoltre, nel linguaggio informale, “certified” significa anche “matto”, “fuori di testa”…
– In America è già il 14 ottobre e, da quello che sentiamo dalla telefonata a Jill, non è ancora successo niente di strano.
– La Dottoressa Eden e la Dottoressa Bekker sono una coppia
– Quando Grace ha trovato i corpi dei suoi figli li ha trovati senza scarpe. Dove saranno finite?
– K.G. Sr. chiama Laurie “Lorelei”, il nome di un personaggio della mitologia tedesca creato da Clemens Maria Brentano all’inizio del XIX secolo. Secondo la leggenda, Lorelei era una bellissima fanciulla che attirava i marinai del fiume Reno col suo canto e poi faceva affondare le loro navi. È interessante notare che sembrava avere il potere di far cadere le persone in un sonno profondo (e questo fa pensare al cibo drogato che Laurie ha dato a John, Michael e Kevin Sr. per farli addormentare). Lorelei era impazzita a causa di un amore infelice e non riusciva più a distinguere la realtà dall’illusione. Alla fine si gettò nel fiume per trovare la pace. Il personaggio di Lorelei si trova in molte opere letterarie, da Apollinaire ad Heine, e anche in molte canzoni, ad esempio in “When Mermaids Cry”degli Eagle-eye Cherry:
She was drowned in suicide Faithless lover cast aside This is how she came to be Lorelei of the sea Hopes destroyed, she wanted to find Certain death peace of mind Now you wonder who is she Lorelei of the sea (…)
The guilt is mine I was untrue The question is what am I to do All I know is I got to try Try to find sweet Lorelei Make amends for what’s been done ‘Cause I believe that she’s the one And I will go where seagulls fly Try to find sweet Lorelei
There she is I hear her cry She’s asking me if I will die There ain’t nothing I won’t do For you Lorelei(*)
(*) Si è tolta la vita buttandosi in mare/lasciando da parte l’amante infedele/e fu così che diventò/Lorelai del mare (…)/La colpa è mia, non son stato sincero/Mi chiedo cosa devo fare/so solo che devo cercare/di trovare la dolce Lorelei./Chiederle scusa per ciò che ho fatto/perché lei è l’unica per me/e io andrò dove volano i gabbiani/per cercare la dolce Lorelei./ Eccola, la sento piangere/mi sta chiedendo se morirò/non c’è nulla che non farei/per te, Lorelei.
Sarà un suggerimento velato degli autori? Kevin è già sicuro che vuole tornare dall’altra parte, e ora, quando verrà a sapere del suicidio di Laurie, forse avrà una ragione in più per provarci.
– Il Mago di Oz viene citato da Laurie e K.G. Senior. Laurie viene paragonata a Dorothy, che nel libro inizia un viaggio alla ricerca del Mago, per scoprire se fosse veramente chi tutti dicevano che fosse.
– Nora è incinta? Come avevo già detto alla fine del secondo episodio, quando la macchinetta all’aereoporto le chiede se sta portando un bambino a bordo, mi sembra plausibile che Nora sia incinta, e che questo sia il motivo per cui la dottoressa Eden le ha impedito di sottoporsi al trattamento con le radiazioni. In quest’episodio Nora dice di avere dei dolori all’utero.
– La scena Laurie che droga il cibo di John, K.G. Senior e Michael è spiazzante. Mentre lo fa ha un’espressione strana sulla faccia, soddisfatta e quasi malvagia. E poi… Era veramente necessario addormentarli?
– I cugini di Grace non stanno costruendo un’arca nel suo giardino, ma un monumento in mmoria di uno dei suoi figli morti. Questo non fa che indebolire la fede di John e la sua fiducia nel piano di K.G. Senior, che inizia a sembrare un pazzo anche ai suoi occhi. John vuole comunque scoprire se K.G. Senior ha ragione, perché Kevin rappresenta la sua ultima speranza di mandare un messaggio a Evie.
– Verdi è di nuovo in sottofondo nella scena in cui K.G. Senior spiega il suo piano a Laurie.
– Finalmente rivediamo la madre di Sam, in un’intensissima e straziante scena che ci riporta dritti alla prima stagione.
The Leftovers – RECENSIONE 03×06 “Certified” Ciao a tutti!Hi guys! È finalmente uscito il sesto episodio della terza stagione di The Leftovers! Per ora, secondo me, questo è l'episodio più bello della nuova stagione, e sicuramente anche il più triste.
0 notes
giancarlonicoli · 4 years
Link
6 giu 2020 08:55 ''PORTARE LA MASCHERINA ALL'APERTO, IN QUESTA STAGIONE, FA SOLO MALE. IL VIRUS IN AUTUNNO POTREBBE ANCHE NON TORNARE'' - FATE UN RESPIRONE DI SOLLIEVO CON IL PROF. CLEMENTI, AUTORE DELLO STUDIO CHE DIMOSTRA L'AFFIEVOLIRSI DEL CORONAVIRUS, CITATO DA ZANGRILLO. ''C'È UNA DIFFERENZA STRATOSFERICA TRA I PAZIENTI DI MARZO E DI MAGGIO. I PRIMI AVEVANO CENTO VOLTE LA QUANTITÀ DI VIRUS. VI SPIEGO CHE FINE FARA' IL COVID SECONDO ME''
Luca Telese per www.tpi.it
Professor Clementi, lei e Zangrillo vi siete ritrovati nella bufera.
(Imperturbabile). Perché nella bufera?
Per lo studio che lei ha fatto, e su cui Zangrillo ha fondato la sua affermazione-shock: “Il virus è clinicamente scomparso”.
Sì, capisco. Perché Alberto Zangrillo dice che il virus è “clinicamente finito”, e usa come parallela leva il mio studio. Qualcuno pensa di metterlo in discussione? Non credo proprio.
E lei si sente sicuro?
Sulla ricerca siamo inattaccabili.
Partiamo quindi da quel lavoro. È vero che dimostra un abbattimento della forza del Coronavirus?
Ripeto, è difficilmente contestabile. Ci sono i dati, i numeri, è tutto scritto, tutto dimostrato. Chi vuole metterlo in discussione deve sobbarcarsi l’onere di trovare un errore nel mio lavoro. E non lo troverà.
Leggi Zangrillo, e dietro trovi Clementi. Ovvero Massimo Clementi, ordinario di Microbiologia e Virologia all’università San Raffaele di Milano, virologo jesino, approdato a Milano dopo tanti anni all’estero. Clementi è molto amico di Galli, ma spesso ha idee opposte (sul Covid). Tra i virologi è – per scelta – uno dei meno  mediatici, nei toni è pacato, quasi britannico, ma anche lui alla fine di questa intervista non rinuncia alla zampata: “Bisognerà rivedere le norme sulla mascherina. All’aperto, in questa stagione, è controproducente”.
Professor Clementi, ricostruiamo il pezzo che manca, il retroscena della “campagna di Zangrillo”. Come è nato il suo studio comparativo?
In primo luogo ritengo che Alberto Zangrillo abbia basato le sue convinzioni sulla valutazione clinica che aveva fatto e che mi ha successivamente trasferito insieme ad altri clinici del San Raffaele. Quindi tutto è partito da un’evidenza clinica di cui avevo parlato anche con lei.
Ricordiamola.
Da iniziò maggio nei nostri reparti non arrivavano più malati con sintomi gravi.
E poi?
I clinici mi chiedevano anche: “Clementi, quali sono i correlati virologici?”.
Ovvero?
Che cosa è cambiato nel Coronavirus da febbraio a marzo?
E lei cosa ha fatto?
In primo luogo ho ipotizzato che ci fosse stata una mutazione del Coronavirus. Sono frequenti. Poi ho pensato di rivolgermi altrove. Anche confrontandomi con colleghi stranieri. Di cercare una chiave per dimostrare con dei dati frutto della ricerca questo cambiamento che registravamo in modo empirico.
E cosa è accaduto?
Ho detto una cosa che non so se sia stata colta. Di tutto il bailamme di virologi pseudovirologi e paravirologi che si stanno esercitando in questo periodo in dotte analisi, il professor Palù di Padova – bravo quanto me – sosteneva l’importanza di studiare la virulenza.
E come si misura il tasso di aggressività di un virus?
Bella domanda. Questo è un aspetto abbastanza complesso del Covid19, e di ogni virus, che in sé accomuna caratteristiche diversissime. Provo a tradurlo così: quanto danno fa e quanto il virus si deve replicare per poter fare questo danno? Questo era ed è il tema.
Bisognava trovare un modo – dunque – per misurare qualità e quantità del virus?
Esattamente. Mi ha aiutato un precedente. Trent’anni fa io avevo fatto questo stesso tipo di studi sull’Aids. Ricordo un congresso in cui un collega americano mi chiedeva: “Ma a noi cosa importa quanto virus c’è,  se sappiamo che c’è”.
Non capiva il punto.
Esatto. Proprio come non lo capiscono molti colleghi oggi, quando si impuntano sul tema: “Ma non è mutato”.
Perché dicono: se non è mutata la sequenza non è cambiato.
Invece è assolutamente decisivo, perché questi due parametri ci dicono quanto può essere pericoloso – o meno pericoloso – a parità di diffusione il Covid 19.
E quindi come ha scelto di procedere?
Ho fatto esattamente la stessa cosa che avevo fatto con l’Hiv.
Cioè?
Ho preso cento pazienti della prima fase di epidemia e li ho paragonati a cento pazienti della seconda fase.
Li ha “presi” in modo virtuale, ovviamente: “In vitro”.
Certo. Li ho estratti dai campioni della nostra biobanca del San Raffaele.
Chi esattamente?
Cento contagiati della prima metà marzo e cento della seconda di maggio: casi di cui fra l’altro sapevo tutto, perché conoscevo la loro storia clinica. Dopo aver costituito questi due insiemi di campioni omogenei li ho confrontanti.
E cosa è emerso?
Beh, una differenza stratosferica.
Su quale unità di misura professore?
Sull’unica che potevo adottare, ovvero il computo relativo alla quantità del virus in ogni singolo tampone.
E di che ordine di grandezza parliamo?
Vuole le proporzioni? Se un tampone del primo gruppo si rileva un indice di 70mila, nel secondo si aggirava intorno a 700!
Molti dicono: sì, d’accordo, ma questo è l’effetto del lockdown.
Attenzione. Io sono molto convinto dell’utilità del lockdown, non solo non lo metto in discussione, ma ritengo che sia stata decisivo nel contenimento della pandemia.
Tuttavia?
Tuttavia questi casi erano riferiti a tamponi raccolti almeno dieci giorni dopo, rispetto a quelli in cui il paziente aveva contratto l’infezione. Questo significa che il virus si era replicato e amplificato nel soggetto infettato a prescindere dalla quantità iniziale che aveva prodotto l’infezione.
Vuol dire che quella densità per lei è l’indice della forza del virus?
Senza dubbio. Solo i negazionismi più acerrimi oggi minimizzano l’impatto della stagionalità.
Quindi per lei, come aveva previsto, questo studio conferma anche l’effetto di abbattimento prodotto dall’estate?
Ipotizziamolo come uno dei  motivi che producono l’indebolimento del Covid.
E poi cos’altro c’è?
Il terzo motivo che immagino, ma forse è il più importante, è questo: a me sembra che questo virus si stia adattando all’ospite. Il virus per sopravvivere non deve uccidere il suo ospite.
Ma perché la sequenza non cambia?
Il cambiamento per ora è nell’intensità, ma non è ancora avvenuto sul piano genetico. Il virus tuttavia diminuisce la carica virale per adattarsi all’ospite.
Ma quindi il suo studio è una rivoluzione copernicana!
Non esageriamo. Questo studiettino, nel suo piccolo, è solo un primo passo.
Perché usa il diminutivo?
Ci sono ancora pochi pazienti. Ha fatto un botto notevole – se mi consente il termine prosaico – a livello intenzionale.
Non mi ha ancora detto esplicitamente se condivide la frase-shock  di Zangrillo.
Sì, giusto dire che il virus è clinicamente finito. Lo diciamo noi che abbiamo visto morire. Perché adesso questi malati gravi non ci sono più, ed è un fatto.
E cosa serve allora per confermare lo studio?
Dovrebbe accadere che questo fenomeno si ripetesse negli altri Stati europei e anche anche negli Stati Uniti.
Dove ci sono almeno tre settimane di ritardo.
Esatto: ma dal dialogo con i colleghi risulta che in Florida, dove hanno fatto un lockdown soft, si stanno osservando le stesse cose. In Spagna idem. In Francia anche.
Si dovrebbe ripetere il test Clementi in questi paesi.
Proprio così. Dobbiamo mettere insieme cinque studi da mille pazienti ciascuno e allora avremmo una prova inattaccabile che il principio viene verificato. Questo è quanto sto programmando.
Ottimo. Passiamo alle conseguenze che lei ipotizza.
In fondo è semplice. Più dimostri che il virus si attenua più dimostri che ci puoi convivere.
Lei ha in mente un precedente?
Sì, ad esempio il caso dell’epidemia del 2009, con il H1N1 in Messico.
Riassumiamo per i profani.
Esplode in maniera rapida e devastante. Fu dichiarato subito pandemia dall’Oms. Aveva alti tassi di mortalità…
E oggi?
Oggi ce lo ritroviamo buono-buono insieme agli altri virus influenzali. Ma non uccide più.
Lei lo ha definito un “virus Frankenstein”. In che senso?
È un virus che pare prodotto da un collage: un pezzo umano, un pezzo suino.
Tutto è avvenuto in tempi rapidissimi.
Esatto. Lo vorrei ricordare a chi dice: “Ci vorranno sessant’anni prima di poter convivere con il Covid”.
Lei usa l’impersonale, ma si riferisce al suo grande amico, il professor Galli.
Sì, ma non solo a lui. Perché quello si è adattato in tre mesi.
E poi dove è finito?
Bella domanda. Sembra che si sia è dissolto.
Quindi non è scontata nemmeno la celebratissima “seconda ondata”.
Mettiamola così. Secondo me nessuno può dire che torna. O che non torna. E potrebbe anche non tornare.
Altro esempio?
La Sars. Esplose, fino  a giugno infettò e poi anche questa infezione scomparve.
Dove è finito il virus della Sars?
(Ride di gusto). Ah ah ah Bella domanda. Quando me la fanno i miei studenti io indico loro il mio laboratorio con il livello P3.
Perché si può trovare lì?
Esatto. In frigorifero, però.
Perché lei ai suoi studenti dice anche che i virus non sono palline da ping pong.
Proprio così: un virus lo devi capire. Se pensi che per prevedere le sue mosse basti un algoritmo non riesci a spiegare nulla di quello che abbiamo appena ricordato.
Quando potremo togliere – se è così – le misure di distanziamento sociale?
Questo è un tema cruciale. Noi abbiamo numeri “normali” in tutta Italia. Tutto il resto – invece – deriva dall’epidemia lombarda, che come è noto ha una storia a sé.
Ad esempio?
Un numero di contagiati enorme, questo ormai non lo contesta più nessuno, con una grande distribuzione  “regionalizzata”.
Cioè?
Dal punto di vista della diffusione: ci sono differenze enormi, anche tra una provincia e l’altra.
Cremona, Bergamo, Brescia…
Esatto. Tuttavia anche il professor Remuzzi, da Bergamo, ci dice: “La nostra terapia intensiva è vuota”.
Anche lì la virulenza si è abbattuta.
Senza dubbio.
Quindi si possono accorciare le distanze?
Se continua così sarà possibile a breve, ma ancora è presto. Devo raccomandare ancora delle misure di distanziamento sociale. A parte quelle insensate.
Cioè?
Io davvero non capisco il senso della mascherina in ambiente esterno. Perché devo portare la mascherina se rispetto le distanze interpersonali all’aperto?
Perché molti esperti dicono che impedisce la trasmissione aerosol.
Ma questo è un assurdo per chiunque abbia dimestichezza con la materia.
Lo spieghi.
L’altro giorno ero sul marciapiede di fronte al mio palazzo: ho visto un signore che correva in pantaloncini , quasi cianotico con una mascherina filtrante.
E che cosa ha fatto?
Ho dovuto qualificarmi come medico specialista e chiedergli di togliersela.
Perché?
È folle uccidersi con la propria anidride carbonica.
Quindi lei non la ritiene necessaria, ad esempio per il suo vicino di quartiere che correva?
All’aperto, lontano dagli altri, non ne vedo il motivo.
Sicuro?
Non esiste motivo, perché il rischio di trasmissione aerea, in questa stagione,  è davvero limitato alla estrema vicinanza o agli spazi chiusi.
0 notes
paoloxl · 4 years
Link
I carri funebri sono in fila di fronte al cimitero di Bergamo. Quest’immagine, più di tante altre, ci mostra in tutta la sua crudezza la realtà. Non si può neppure lasciare un fiore. Non li hanno neppure potuti accompagnare verso la fine. Sono morti soli, lucidi, affogando lentamente. Dalle finestre, ad ore stabilite, la gente grida, canta, batte le stoviglie e si riunisce in uno spirito nazionalista evocato da politici e media. “Tutto andrà bene. Ce la faremo”. Il governo con editti che si sono susseguiti a ritmo frenetico ha sospeso il dibattito, persino il flebile confronto democratico, persino il rito esausto della democrazia rappresentativa e ci ha arruolati tutti. Chi non obbedisce è un untore, un criminale, un folle. Intendiamoci. Ciascuno di noi è responsabile dei propri atti. Noi anarchici lo sappiamo bene: per noi la responsabilità individuale del proprio agire è il perno di una società di liber* ed eguali. Avere cura dei più deboli, degli anziani, di chi, più degli altri, rischia la vita è un dovere che sentiamo con grande forza. Sempre. Oggi più che mai. Un dovere altrettanto forte è quello di dire la verità, quella verità, che chiusi nelle case di fronte alla TV, non filtra mai. Eppure è, in buona parte, sotto gli occhi di tutti. Chi cerca una verità nascosta, un oscuro complotto ordito dal proprio cattivo preferito, chiude gli occhi di fronte alla realtà, perché chi li apre si batte per cambiare un ordine del mondo ingiusto, violento, liberticida, assassino.
Ogni giorno, anche oggi, mentre la gente si ammala e muore, il governo italiano spreca 70 milioni di euro in spese militari. Con i 70 milioni spesi in uno solo dei 366 giorni di quest’anno bisestile si potrebbero costruire ed attrezzare sei nuovi ospedali e resterebbe qualche spicciolo per mascherine, laboratori analisi, tamponi per fare un vero screening. Un respiratore costa 4.000 mila euro: quindi si potrebbero comprare 17.500 respiratori al giorno: molti di più di quelli che servirebbero ora. In questi anni tutti i governi che si sono succeduti hanno tagliato costantemente la spesa per la sanità, per la prevenzione, per la vita di noi tutti. Lo scorso anno, secondo le statistiche, per la prima volta le aspettative di vita si sono ridotte. Tanti non hanno i soldi per pagare le medicine, i ticket per le visite e le prestazioni specialistiche, perché devono pagare il fitto, il cibo, i trasporti. Hanno chiuso i piccoli ospedali, ridotto il numero di medici e infermieri, tagliato i posti letto, obbligato i lavoratori della sanità a fare straordinari, per sopperire ai tanti buchi. Oggi, con l’epidemia, non ci sono più code agli sportelli, non ci sono più liste di attesa di mesi ed anni per un’indagine diagnostica: hanno cancellato le visite e gli esami. Li faremo quando passerà l’epidemia. Quanta gente si ammalerà e morirà di tumori diagnosticabili e curabili, quanta gente vedrà peggiorare le proprie patologie, perché hanno messo in quarantena quello che restava della sanità pubblica? Intanto le cliniche e gli ambulatori privati fanno qualche mossa pubblicitaria e moltiplicano gli affari, perché i ricchi non restano mai senza cure.
Per questo il governo ci vuole ai balconi a cantare “Siam pronti alla morte. L’Italia chiamò”. Ci vogliono zitti e ubbidienti come bravi soldati, carne da macello, sacrificabile. Dopo chi resta sarà immune e più forte. Sino alla prossima pandemia.
Per questo dai nostri balconi, sui muri delle città, nelle code per la spesa, diciamo, a voce alta nonostante la mascherina, che siamo di fronte ad una strage di Stato. Quanti morti si sarebbero potuti evitare se i governi di questi anni avessero fatto scelte di tutela della nostra salute? Non si è trattato di un errore ma di una scelta criminale.
Gli infettivologi negli anni hanno avvertito del rischio che correvamo, che una pandemia grave era possibile. Sono rimaste voci nel deserto. La logica del profitto non consente cedimenti. Quando tutto sarà finito le industrie farmaceutiche che non investono in prevenzione faranno affari. Lucreranno con i medicinali scoperti dai tanti ricercatori che lavorano per la comunità e non per arricchire chi è già ricco. Ci avevano abituati a credere di essere immuni alle pestilenze che affliggono i poveri, quelli che non hanno mezzi per difendersi, quelli che non hanno neppure accesso all’acqua potabile. Dengue, ebola, malaria, tubercolosi erano le malattie dei poveri, delle popolazioni “arretrate”, “sottosviluppate”. Poi, un giorno, il virus si è imbarcato in business class e ha raggiunto il cuore economico dell’Italia. E niente è più stato come prima. Non subito però. Media, esperti, governo ci hanno raccontato che la malattia uccide solo gli anziani, i malati, quelli che hanno anche altre patologie. Niente di nuovo. É un fatto normale: non serve una laurea in medicina per saperlo. Così tutti gli altri hanno pensato che alla peggio avrebbero fatto un’influenza in più. Quest’informazione criminale ha riempito le piazze, gli aperitivi, le feste. Non per questo viene meno la responsabilità individuale, che passa anche dalla capacità di informarsi e capire, ma toglie un pizzico di quell’aura di santità che il governo sta cercando di indossare, per uscire indenne dalla crisi. E chi sa? Magari anche più forte.
Ci raccontano che la nostra casa è l’unico posto sicuro. Non è vero. I lavoratori che ogni giorno devono uscire per andare in fabbrica, senza nessuna vera protezione, nonostante i contentini offerti da Confindustria ai sindacati di stato, tornano ogni giorno a casa. Lì ci sono parenti anziani, bambini, persone deboli. Solo una piccola parte di chi esce per fare la spesa o prendere un po’ d’aria ha delle protezioni: maschere, guanti, disinfettanti non sono disponibili neppure negli ospedali. Il governo sostiene che le protezioni non servono se si è sani: è una menzogna. Quello che ci dicono sulla diffusione del virus lo smentisce in modo chiaro. La verità è un’altra: a due mesi dall’inizio dell’epidemia in Italia il governo non ha acquistato e distribuito le protezioni indispensabili per bloccare la diffusione della malattia. Costano troppo. In Piemonte i medici di base parlano al telefono alle persone che hanno la febbre, la tosse, il mal di gola, invitandoli a prendere antipiretici e a restare a casa per cinque giorni. Se peggiorano andranno poi in ospedale. A nessuno viene fatto il tampone. Chi vive con questi malati si trova in trappola: non può lasciare solo chi soffre ed ha bisogno di assistenza, ma rischia di contagiarsi a sua volta se l’affezione respiratoria fosse dovuta a coronavirus. Quanti si sono infettati senza saperlo ed hanno poi diffuso la malattia ad altri, uscendo senza protezioni? Gli arresti domiciliari non ci salveranno dall’epidemia. Possono contribuire a rallentare la diffusione del virus non a fermarla.
L’epidemia diventa occasione per imporre condizioni di lavoro, che consentono alle aziende di spendere meno e guadagnare di più. Gli editti di Conte hanno previsto lo smart working ovunque fosse possibile. Le aziende ne approfittano per imporlo ai propri dipendenti. Si sta a casa e si lavora via internet. Il telelavoro è regolato da una legge del 2017 che prevede che le aziende possano proporlo ma non imporlo ai dipendenti. Dovrebbe essere quindi soggetto ad un accordo che dia ai lavoratori garanzie su orario, forme di controllo, diritto alla copertura delle spese di connessione, copertura in caso di infortunio. Oggi, dopo il decreto emanato dal governo Conte per fronteggiare l’epidemia di Covid 19, le aziende possono obbligare allo smart working senza accordi né garanzie per i lavoratori, che devono anche essere grati per la possibilità di stare in casa. L’epidemia diventa quindi pretesto per l’imposizione senza resistenze di nuove forme di sfruttamento. Per i lavoratori normati si prevedono cassa integrazione e fondi integrativi, per i precari, le partite IVA e i parasubordinati non ci saranno coperture, tranne qualche briciola. Chi non lavora non ha alcun reddito.
Chi osa criticare, chi osa raccontare verità scomode, viene minacciato, represso, messo a tacere. Nessun media mainstream ha ripreso la denuncia degli avvocati dell’associazione infermieri, un’istituzione che non ha nulla di sovversivo. Infermiere ed infermieri sono descritti come eroi, purché si ammalino e muoiano in silenzio, senza raccontare quello che succede negli ospedali. Gli infermieri che raccontano la verità sono minacciati di licenziamento. A quelli che vengono contagiati non viene riconosciuto l’infortunio, perché l’azienda ospedaliera non sia obbligata a pagare indennizzi a chi si trova ogni giorno a lavorare senza protezioni o con protezioni del tutto insufficienti.
L’autonomia delle donne viene attaccata dalla gestione governativa dell’epidemia di Covid 19. La cura dei bambini che restano a casa perché le scuole sono chiuse, gli anziani a rischio, i disabili ricadono sulle spalle delle donne, già investite in modo pesante dalla precarietà del lavoro. Intanto, in sordina, nelle case trasformate in domicili coatti, si moltiplicano i femminicidi.
Nel fragoroso silenzio dei più, durante la rivolta delle carceri sono morti 15 detenuti. Sulla loro morte non è trapelato nulla, se non le veline della polizia. Alcuni, già in gravi condizioni, non sono stati portati in ospedale ma caricati sui cellulari e portati a morire in carceri lontane centinaia di chilometri. Una strage, una strage di Stato. Gli altri sono stati deportati altrove. Le carceri scoppiano, ai reclusi non è garantita la salute e la dignità nemmeno in condizioni “normali”, sempre che sia normale rinchiudere le persone dietro le sbarre. Per salvaguardarli il governo non ha trovato di meglio che sospendere i colloqui con i parenti, mentre ogni giorno i secondini possono andare e venire. La rivolta dei reclusi è divampata di fronte al rischio concreto del diffondersi del contagio in luoghi dove il sovraffollamento è la norma. Chi ha sostenuto le lotte dei prigionieri è stato caricato e denunciato. La repressione, complici le misure contenute negli editti del governo, è stata durissima. A Torino hanno impedito anche un semplice presidio di parenti e solidali all’ingresso della prigione, schierando le truppe ad ogni accesso alle strade limitrofe al carcere delle Vallette.
I lavoratori che hanno fatto scioperi spontanei contro il rischio di contagio, sono stati a loro volta denunciati per aver violato gli editti del governo, perché manifestavano in strada per la loro salute. Niente deve fermare la produzione, anche se si tratta di produzioni che potrebbero essere interrotte senza alcuna conseguenza per la vita di noi tutti. La logica del profitto, della produzione viene prima di tutto. Il governo teme che, dopo la rivolta delle carceri, si possano aprire altri fronti di lotta sociale. Da qui il controllo poliziesco ossessivo, l’impiego dell’esercito, cui, per la prima volta, sono attribuite funzioni di ordine pubblico, e non di mero supporto alle varie forze di polizia. I militari diventano poliziotti: il processo di osmosi cominciato qualche decennio fa arriva a compimento. La guerra non si ferma. Missioni militari, esercitazioni, poligoni di tiro vanno a pieno ritmo. É la guerra ai poveri al tempo del Covid 19.
Il governo ha vietato ogni forma di manifestazione pubblica e ogni riunione politica. Rischiare la vita per il padrone è un dovere sociale, mentre cultura e azione politica sono considerate attività criminali. Si tratta del tentativo, neppure troppo velato, per impedire ogni forma di confronto, discussione, lotta, costruzione di reti solidali che consentano davvero di dare sostegno a chi è maggiormente in difficoltà.
La democrazia ha i piedi di argilla. L’illusione democratica si è sciolta come neve al sole di fronte all’epidemia. Si accettano con entusiasmo provvedimenti ex cathedra del presidente del consiglio: nessun dibattito, nessun passaggio dal tempio della democrazia rappresentativa, ma semplice editto. Chi non lo rispetta è un untore un assassino, un criminale e non merita pietà. In questo modo i veri responsabili, quelli che tagliano la sanità e moltiplicano la spesa militare, quelli che non garantiscono le mascherine neppure agli infermieri, quelli che militarizzano tutto ma non fanno i tamponi perché “costano 100 euro” si firmano l’assoluzione con il plauso dei prigionieri della paura.
La paura è umana. Non dobbiamo vergognarcene, ma non dobbiamo neppure permettere agli imprenditori politici della paura di usarla per ottenere il consenso a politiche criminali.
Noi ci siamo battuti per impedire che chiudessero i piccoli ospedali, che spazzassero via presidi sanitari preziosi per tutti. Eravamo in piazza a fianco del lavoratori del Valdese, dell’Oftalmico, del Maria Adelaide, dell’ospedale di Susa e di tanti altri angoli della nostra provincia.
In novembre eravamo in piazza per contestare la mostra mercato dell’industria aerospaziale di guerra. Noi lottiamo ogni giorno contro il militarismo e le spese di guerra. Noi siamo sui sentieri della lotta No Tav, perché con un metro di Tav si pagano 1000 ore di terapia intensiva.
Noi oggi siamo a fianco di chi non vuole morire in galera, dei lavoratori caricati e denunciati, perché protestano contro la mancanza di tutele contro la diffusione del virus, con gli infermieri e le infermiere che lavorano senza essere protetti e rischiano il posto perché raccontano quello che succede negli ospedali.
Oggi tanta parte dei movimenti di opposizione politica e sociale tace, incapace di reagire, schiacciata dalla pressione morale, che criminalizza chi non accetta senza discutere la situazione di crescente pericolo innescata dalle scelte governative di ieri e di oggi. Limitare gli spostamenti e i contatti è ragionevole, ma è ancor più ragionevole lottare per poterlo fare in sicurezza. Dobbiamo trovare i luoghi e i modi per lottare contro la violenza di chi ci imprigiona, perché non sa e non vuole tutelarci. Da anarchici sappiamo che la libertà, la solidarietà, l’uguaglianza nelle nostre mille diversità si ottiene con la lotta, non la si delega a nessuno e men che meno ad un governo, la cui unica etica è il mantenimento delle poltrone.
No. Noi non siamo “pronti alla morte”. Non vogliamo morire e non vogliamo che nessuno si ammali e muoia. Non ci facciamo arruolare nella fanteria destinata al massacro silente. Siamo disertori, ribelli, partigiani. Pretendiamo che le carceri siano svuotate, che chi non ha casa ne abbia una, che la spesa di guerra sia cancellata, che a tutti siano garantiti gli esami clinici, che ciascuno abbia i mezzi per proteggere se stesso e gli altri dall’epidemia.
Non vogliamo che sopravvivano solo i più forti, noi vogliamo che anche chi ha vissuto tanto, possa continuare a farlo. Vogliamo che chi sta male possa avere accanto qualcuno che lo ama e possa confortarlo: con due cacciabombardieri F35 in meno potremo avere tute, e ogni protezione necessaria perché nessuno muoia più da solo.
Tutto andrà bene? Ce la faremo? Dipende da ciascuno di noi.
I compagni e le compagne della Federazione Anarchica Torinese, riuniti in assemblea il 15 marzo 2020.
Dedichiamo questo nostro scritto alla memoria di Ennio Carbone, un anarchico, un medico che ha dedicato la propria vita alla ricerca scientifica, cercando di sottrarla alla voraci mani dell’industria che finanzia solo quello che rende. Lui, in tempi non sospetti, ci parlò del rischio di una pandemia come quella che viviamo oggi. La sua voce, la sua esperienza ci mancano in questi giorni difficili.
0 notes
pangeanews · 5 years
Text
“Senza bisogni muove in un suo proprio mondo; in lieve arcana pace va”: intorno all’Empedocle di Hölderlin
Quando, nel 1800, “Hölderlin abbandona definitivamente l’Empedocle, di cui aveva iniziato la terza stesura” (Luigi Reitani nella Cronologia a Friedrich Hölderlin, Tutte le liriche, Mondadori, 2001), il poeta, abbandonato da tutti, abbandona Susette Gontard, l’amata, ribattezzata Diotima. L’anno prima le aveva regalato l’Hyperion (“a chi altri, se non a te”), con una lettera: “grida vendetta al cielo dover pensare che tutti e due con le nostre migliori energie dovremo forse soccombere perché ci manchiamo”. L’amore praticato di nascosto, come un deserto tra gli uomini, irrealizzabile, perché il futuro è lava al poeta e il presente è sempre levato, slavato, torbido. “E se pure il nostro amore restasse per sempre non ricompensato, esso è di per sé così tacitamente bello che rimarrà per sempre il nostro più caro e unico, non è vero, mio amato! Anche tu lo provi, e le nostre anime si incontreranno per sempre in eterno!”. Amore mentale, sposalizio intellettuale: nell’arco dell’Empedocle – eroe e poeta vanno nel fato a coincidere – si consuma l’esistenza poetica di Hölderlin, l’avvio verso i fantasmi della follia.
*
Quando, nel 1797, comincia il lavoro su Empedocle – passato in Italia come La morte di Empedocle, nelle traduzioni di Giuseppe Faggin, Cesare Lievi, Ervino Pocar, Laura Balbiani (l’edizione di rilievo è quella Bompiani del 2003, introdotta da Elena Polledri) – si è definita la distanza con Schiller e Goethe, in modo sbrigativo. Il poeta è attraversato da estri napoleonici, si molla con Susette/Diotima (“Tutto ciò che è intorno è muto, e vuoto, senza di te!”, gli scrive, lei, nel folto del 1800), che morirà due anni dopo, afflitta da rosolia. “Ricevuta la notizia, Hölderlin avrebbe avuto una violenta crisi con accessi di furore. In base a questa cronologia, dunque, la notizia della morte di Susette segue il primo accesso di follia e lo aggrava” (Reitani). D’altronde, nel 1801 il poeta si vede apolide, lascia la patria (“Il mio animo è colmo di congedo… non sanno che farsene di me… del resto voglio e devo restare tedesco, anche se i bisogni del cuore e dello stomaco mi trascinassero a Thaiti”, scrive al fratello). Non ha patria, non ha letteratura, non ha amore: una vita come gettarsi nel cratere di un vulcano.
*
Nei primi mesi del 1801, sull’annuario Aglaia escono alcune poesie di Hölderlin. Una di queste si intitola Empedocle, questa:
La vita cerchi, la cerchi e sgorga e splende Un fuoco divino profondo dalla terra, per te, E in un desiderio che dà i brividi Nell’Etna ti scagli tra le fiamme.
Così sciolse nel vino le sue perle, superba, La regina; e le amava! Ah, non avessi, Non avessi immolato nel calice in Fermento, poeta, la tua ricchezza!
Eppure mi sei sacro, come la potenza della terra Che ti strappò, vittima audace! E seguire vorrei nell’abisso L’eroe, se amore non mi frenasse.
Senza amore, sfrenato, Hölderlin frequenta gli abissi, ne lecca contorni e apici.
*
Secondo la leggenda, l’agrigentino Empedocle, allievo di Pitagora, lettore di Parmenide, maestro di Gorgia, nacque da famiglia nobile, nel V secolo a. C., si dedicò al pensare, fu animato da compassione e morì gettandosi nell’Etna, cioè nello stomaco di madre natura. “Il suo sguardo non è quello ossimorico, distaccato e severo di Eraclito, né quello apollineo e contemplativo di Parmenide. Empedocle è sapiente e poeta, conosce e vibra. E sogna. E prova nostalgia. Sogna un mondo non travagliato da Contesa, un mondo retto dall’armonia di Amore; prova nostalgia per la perduta natura divina dell’uomo, che va riconquistata attraverso la conoscenza, lontano dalla via funesta di Contesa, e nostalgia per la pace e l’unità della natura originaria, cui la morte mistica può condurre”, scrive Angelo Tonelli, che ha tradotto i Frammenti e testimonianze di Empedocle per Bompiani (2002). Per questi aspetti – di cui esaspera l’astio della solitudine, l’etica dell’apripista inascoltato – Hölderlin trova Empedocle congeniale alla sua Grecia ricostruita, all’Ellade poetica.
*
Negli stessi anni dell’Empedocle il poeta costruisce l’immagine del Wanderer, del vagabondo lirico, del cercatore famelico (“e queste parole mi spinsero a cercare dell’altro”). Anche Empedocle è un Wanderer, un viandante della sapienza. “Come vive con gli altri? Io non comprendo nulla di lui…ed esiste per lui un dolore umano?”; “Con prodigiosa nostalgia, cercando/ triste, come chi molto abbia perduto,/ guardava ora la terra, ora per l’ombra/ del bosco il cielo, quasi la sua vita/ fosse scomparsa nel lontano azzurro”, si dicono, nella prima stesura della tragedia Rea e Pantea. “Senza bisogni muove/ in un suo proprio mondo; in lieve arcana/ pace va fra i suoi fiori… esser lui stesso, è questa/ la vita, e tutti noi ne siamo il sogno”. Nell’Empedocle sono alcuni dei versi più intensi di Hölderlin. Testo incompleto, fratturato, incompiuto. Come lo è il poeta, che lascia ad altri il compito di ricucire i frammenti.
*
Cito dal testo di Filiberto Borio, Empedocle, incapsulato nella collana di Giorgio Colli curata per Boringhieri, “Enciclopedia di autori classici”. Era partito, Colli, pubblicando Nietzsche (Schopenhauer come educatore), poi La disputa Leibniz-Newton sull’analisi, le Lettere inglesi di Voltaire e gli Scritti sulla poesia e frammenti di Hölderlin, con una libertà interdisciplinare, onnivora, clamorosa. Empedocle, per dire, è l’uscita numero 57, preceduta dalle Upanisad antiche e medie, da Paracelso e dalla Filosofia nova di Stendhal e seguita dalle Ultime lettere di Dostoevskij e dalla Favola delle api di Mandeville.
*
Colli, voglio dire, nella sua breve, penetrante nota – esempio di civiltà editoriale – ci dice come leggere Hölderlin. “Questa tragedia incompiuta di Hölderlin è una creazione di natura musicale, esprime in modo immediato, senza nessi coscienti, un’interiorità. Parlarne in termini razionali, analizzarla discorsivamente, è inadeguato alla natura dell’oggetto… Meglio è allora abbandonare la pretesa di dire qual è il contenuto, e contentarsi di suggerire un accostamento, di dissipare qualche equivoco. E anzitutto, chiarire la natura scabra di questa tragedia, che non presenta, come ogni altro dramma a noi noto, un conflitto di persone e di passioni, o nel singolo uomo, un conflitto interno al suo destino individuale, nell’urgere di una situazione oggettiva. Qui siamo veramente, per conservare il linguaggio presocratico, ‘lontano dal sentiero degli uomini’”.
*
Ma andiamo, è meglio, per le nostre vie, Ciascuno come il dio gli ha destinato. È più innocente questo e minor danno. Ed è lecito e giusto che dovunque A sé appartenga l’animo dell’uomo. E poi – più facilmente il suo fardello E più sicuro porta alla sua meta L’uomo, quando va solo. Così nel bosco crescono le querce Cariche d’anni, e l’una all’altra ignota.
In un appunto terminale, il poeta segna: “Empedocle… è il chiamato, che uccide e vivifica, nel quale e per il quale un mondo in sé si dissolve e rinnova”. La morte è il ritorno, allora, e l’allusione cristiana – si muore per avviare la vita – ha carattere simile e contrario. In Empedocle si sprofonda nella natura; Cristo la trascende, trascinandoci alla nostra vera natura, l’altra, oltreterrena – Empedocle si inabissa nel vulcano, Gesù ascende al cielo. Carnale e astrale si temprano: il fuoco dell’Etna brucia, raffina, conduce all’aria il solido; Cristo, in croce, fiammeggia.
*
Uno dei frammenti più noti di Empedocle:
E altro ti dirò: non c’è nascita per nessuna delle cose mortali, né termine di morte le distrugge, ma soltanto mescolanza e separazione di elementi mescolati, che origine viene detta dagli umani.
Tutto il genio filosofico, in sapienza e scienza, è messo per vincere la morte. Il poeta non supera la morte, assalta la vita, non ha cura del suo volto di leonessa, lascia tracce perché noi ne siamo consapevoli. (d.b.)
*In copertina: il probabile Empedocle di Luca Signorelli nella Cappella di San Brizio, presso il duomo di Orvieto
L'articolo “Senza bisogni muove in un suo proprio mondo; in lieve arcana pace va”: intorno all’Empedocle di Hölderlin proviene da Pangea.
from pangea.news http://bit.ly/2FrDUCc
0 notes