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#raccontalatuastoria
radiogianoph · 2 years
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Da San Pietroburgo a Roma | Anastasia Ghiselli
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L’asino e il contadino
Un giorno un contadino ebbe un’idea che avrebbe potuto risolvere il problema della biada per l’asino, la quale costava sia molto denaro sia molta fatica per trasportarla, e cosi si disse: “Visto che tutti possono abituarsi a tutto, allora perché non abituo il mio asino a non mangiare? In questo modo spenderò nulla e quello che guadagnerò sarà tutto per me“. Iniziò a mettere in atto l’idea e pian piano cominciò a diminuire la razione giornaliera di biada.L’asino perdeva peso e, pesando di meno, si muoveva anche più agevolmente; il contadino era molto soddisfatto di questo, e spesso pensava con orgoglio che aveva avuto una brillante idea! Dopo qualche settimana l’asino comincio a perdere di efficienza e il contadino sempre convinto della bontà della sua idea, non venne mai sfiorato dal pensiero che l’asino poteva aver bisogno di una maggiore quantità di cibo, anzi iniziò ad incitarlo bastonandolo a sangue ed imprecando contro la sua svogliatezza. Un bel giorno l’asino, denutrito, ridotto ormai ad un cumulo di ossa ricoperte di pelle, stremato dagli stenti e dalla fatica stramazzò a terra e morì.Il contadino dispiaciuto e sbigottito per il triste evento singhiozzando tra le lacrime continuava a dire "povero il mio somaro, proprio adesso che ti eri abituato a non mangiare, sei morto!!"
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legendary-meow · 6 years
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Raccontatemi le vostre storie~🍪
Se volete~
Di ogni tipo, dalle divertenti alle tristi, dalle più importanti per voi o a semplici stupidate di gioia.
Anonimo o non, o anche privato, a voi la scelta~🍫
Sarò più che felice di ascoltare~🍰
(Sì, regalo biscotti~🍪🍪🍪🍪🍪🍪🍪🍪)
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blogintertwine · 6 years
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via Intertwine
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alepagpag · 4 years
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... and now a bit of sewing, storytailor! ... e adesso un po' di cucito, narratore su misura! #story #storytelling #storytailor #storyteller #raccontalatuastoria #tellyourstory (presso Naples, Italy) https://www.instagram.com/p/CBF0CA0jlb-/?igshid=nno2tmkm3i8x
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storieimprovvisate · 6 years
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Vedersi ed esserci
A: Perché non ci vediamo?
B: Perché dovremmo vederci?
A: Perché ci vedevamo spesso ed ora non ci vediamo più. Mi manca passare il tempo con te.
B: Quindi è nostalgia la tua
A: Si è nostalgia, è mancanza, è assenza ed è anche affetto. Io non ti manco?
B: No, non può mandarmi ciò che non esiste. Mi è mancato l'esserci non il vederci. Si vedono i conosceti e i parenti a natale, si sentono gli amici quando ne hai più bisogno e ti serve una spalla su cui poggiare. Dove eri tu quando mi serviva la tua spalla?
A: Pensavo avessi bisogno di tempo e di spazio, che potessi essere ingombrante. Avrei dovuto esserci?
B: No, non avresti dovuto. Hai fatto quello che hai sentito ed hai sentito che era meglio non esserci. Ora perché vuoi vedermi?
A: Perché vorrei che le cose tornassero come erano
B: Questo non è possibile, la persona che conoscevi non esiste più e io non so più chi sei tu e non ho neanche voglia di scoprirlo. Sai le cose ho capito che a volte vanno lasciate andare, alcune porte vanno chiuse e certe pagine voltate. Non può esserci un inizio se non mettendo un chiaro punto. Io questo punto l'ho messo e non me ne pento, sento che venire a patti con quello che sentivo sarebbe stato l'ennesimo errore. Non voglio patteggiare più. Il mio istinto dice che non c'è più un noi e questa volta voglio seguirlo. Abbi cura di te.
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fabiotacca · 7 years
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once upon a time... ora la storia raccontarla tu! #onceuponatime #ceraunavolta #raccontalatuastoria #storia #roma #lungotevere #trastevere (presso Lungotevere)
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Stavo fumando l'ennesimo sigaro mentre aiutavo le mie amiche a finirsi la vodka che si erano portate da casa, la cosa mi faceva sentire in colpa , ma era pur sempre alcool. Era una delle ultime sere, e mi sentivo davvero stupido nello stare in mezzo a scuole che venivano da tutta Italia e non aver conosciuto o fatto niente di speciale. Il mio sentimento era, a quanto pare condiviso da C., il tizio con cui dividevo il bungalow. Lui ebbe la geniale idea di andare a conoscere ragazze della zona con la scusa "Scusate avete dell'acqua?" Così andammo, passando tra una schiera di abitazioni ad un'altra. Alcune volte ci vedevamo chiudere le porte in faccia, altre per poco non ci minacciavano di chiamare insegnati & sicurezza, una volta bussammo alla prof di un'altra scuola i nostri desideri si stavano quasi per suicidare nel Mare della Vergogna, quando ad un tratto un gruppo di giovani pulzelle, ultima nostra speranza, ci aprì. Erano in cinque e mezzo vestite, con addosso i pigiami, ci chiesero se avevamo con noi del cibo, e se gliene potevamo procurare un po'. Capirai, io e C. Ci catapultammo indietro, alla nostra abitazione, svuotammo cassetti, valigie e dispense alla ricerca di ogni cosa potesse sembrare commestibile, infilammo tutto nella sacca di C. E ripartimmo. Chiusa la pota del bungalow ci accorgemmo che non avevamo segnato ne ci ricordavamo il percorso fatto all'andata, per cui ricominciammo da capo a bussare alle porte nella direzione in cui ci sembrava di aver visto l'uscio tanto desiderato. Finalmente ritrovammo il posto, loro, tutte premurose, ci dissero di lasciare il cibo su un tavolinetto di plastica bianco, accanto all'uscio, mentre io e C. già pregustavamo la nostra ricompensa, che arrivò subito: una mezza bottiglietta d'acqua lasciata sul tavolinetto fuori l'immobile. Avevano preso la roba da mangiare e chiuso la porta subito dopo averi portato il cibo. Io ero a due centimetri dall'uscio e quando si chiuse non urlai per poco: tanta fatica per niente. Tornammo io e C., sconsolati e scioccati dalla situazione verso la nostra magra abitazione. Sulla strada di casa trovammo le nostre compagne di classe che stanche di bere vodka erano rimaste lì a chiacchierare. Io subito mi buttai sul liquore rimasto, giusto per digerire la storia. Iniziavo ad interessarmi alla conversazione, o meglio stavo smettendo di pensare all'accaduto. Fatto sta che passò un conoscente di lì, che chiamerò col nome che mi ha dato per cercarlo su Facebook e che non ho mai più trovato: Rocky Lorenzo. Questo stava attraversando zoppicando il piazzale di fronte a noi, seguito da un suo amico. Mi avvicinai a lui per fare quattro chiacchiere e consolarmi del fatto che ero riuscito a farmi almeno un amico in quel posto. Lui applicando un antica tecnica, nata e costruita per togliersi di mezzo i rompiballe mi disse " Andiamo ad una festa , veni?" " Certo!". Sapevo che un giorno ne avrei scritto, serve vivere per potere scrivere. Comunque camminano tutti e tre al passo dello zoppo, che andava straordinariamente veloce e conosceva tutte le scorciatoie del posto: in breve fummo ai bordi della figura. Lo spazio adibito ai bungalow occupava un'area piuttosto ampia, grande quasi otto campi di calcio, ma era recintata seguendo la sua forma a trapezio rettangolo per cui per riuscire a spostarsi con sicurezza, contando le fila di bungalow bisognava stare attenti alla posizione della fila e ad essere abbastanza distanti dall'entrata da potere essere sicuro che svoltando per un vicolo tu non ti trovassi scoperto in un piazzale, come quello di prima o altro. Infatti per evitare problemi verso l'una c'era i coprifuoco, sorvegliato da due grossi gipponi che giravano per il perimetro della figura e che svoltavano nei piazzali interni. Quindi una volta trovata la recinzione di confine e la strada per la jeep di guardia bisognava trovare subito la strada giusta in cui intrufolarsi, altrimenti erano guai. Inutile dire che, un po' per il nervoso, e l'alcool non ci rendeva più lucidi, anche loro dovevano aver bevuto, così da sceglievamo una strada a caso buttandoci tra le aiuole, zolle di terra, e tutto ciò che separava una fila di bungalow dall'altra, seguendo Rocky che non dormiva da due giorni e zoppo di fatto data una recente operazione,lui probabilmente s'era fatto pure qualche tiro di canna oltre aver bevuto eppure stava sempre davanti a me e all'amico, quando si dice la natura del leader. Fatto sta che tra le luci dei gipponi, dopo esserci sporcati di terra, foglie, essere sbucati nel bel mezzo di una festa dove c'era una ragazza vestita da farfalla bianca,dove avevo trovato un napoletano strafatto che aveva al seguito cinquanta ragazze ma, poverino, non aveva un posto dove festeggiare, arrivammo nei pressi di una casa. O meglio, si vedevano le luci del gippone che stavano per puntarci e noi eravamo pronti alla svolta, con Rocky stava di fronte all'uscio di una casa d'amici, volenterosi d'entrare anche perché, tutti e tre, c'eravamo un po' rotti di buttarci sempre a fratte. Entrammo nella casa. All'interno del bungalow c'era una ragazza di Trieste vestita da indiana che stava giocando a carte, uno di Foggia, Rocky che era di Firenze, insomma c'era gente da tutta Italia. Io mi misi a parlare col napoletano: veniva dai quartieri più difficili di Napoli ed era la persona più tranquilla che avessi mai visto, un Buddha italiano o una divinità epicurea, non so, ma era davvero bello stare a guardarlo discutere sui modi di dire della sua città, vi giuro, sarei stato ad osservarlo per tutta la notte. Finita la partita a carte, l'indiana iniziò a mettere su le canne, le arrotolava come fossero sigarette e le accatastava come si fa con la legna d'inverno. Con Rocky Lorenzo e il suo amico mi avvicinai alla porta a vetri di plastica che dava sull'esterno, e con una scusa poco plausibile me ne andai seguendo quei due loschi figuri, che se l'erano cavata dicendo semplicemente "Lorenzo deve andare con Beatrice", la sua nuova scopamica, e dato che era zoppo gli serviva l'accompagno. Lì vicino c'era il bungalow della festa. Sulla strada per arrivarci incontrammo di nuovo il napoletano della festa che strafatto di gangia diceva di essere una farfalla e di essersi impigliato in un cespuglio, mentre le ultime due ragazze rimaste delle cinquanta che aveva lo guardavano esterrefatte. Il bungalow suddetto era molto grande, con quattro stanze, dove soggiornavano una ventina di ragazze di Lucca, quello era il posto che Rocky aveva indicato col termine " festa". Entrai dentro il bungalow. Attorno al tavolo dove stavano i resti della cena sedevano tutte e venti le ragazze sbronze da far paura, la boss era quella messa peggio di tutti e proponeva in continuazione di andare in spiaggia, di bere ancora. Erano sbronze tutte tranne i due pali che dovevano controllare che le altre in stato d'ebbrezza non facessero macelli. La boss tra uno sbraito ed un'altra iniziò a proporre di pomiciare, le altre ci guardarono con sospetto, soprattutto io che ero quello nuovo. Rocky si sedette al tavolo e chiese chi avesse già scopato in vita propria, quasi tutti alzarono la mano, anche io per non sembrare fesso, lui si girò mi guardò e disse "Tu non hai mai scopato". Abbassai la mano. Dopo aver fatto quest'analisi statistica Rocky prese e andò dalla sua scopamica, con suo amico accompagnatore, io restai lì. Iniziai a parlare con uno dei due pali, una ragazza col viso sfigurato dall'acne con i capelli biondi, e mentre mi versavo del vino cercavo di capire come sarebbe andata a finire la serata. Ad un certo punto partì la botta ad una ragazza che stava dall'altra parte del tavolo, che si gettò su una panca piena di cappotti. Mi avvicinai a lei, lei mi disse "Come ti chiami?", "L.", " Anche il mio ragazzo si chiama L. sai? Mi manca tanto..." poi ci fu una pausa" Devo sbottare" mi disse. La presi su di peso e l'accompagnai fuori quando mi accorsi che non aveva le scarpe,la presi su di peso e la buttai su un tavolo di segno lì vicino, tornai dentro a prendergli le scarpe e gliele misi, poi presa sottobraccio la feci vomitare in un'aiuola un lì vicino. Tornai su e vidi che altre due ragazze stavano male. La spola tra il bungalow e le aiuole lì vicino andò avanti per un tre quarti d'ora buono, i pali mi aiutavano a caricare le ragazze che poi portavo a vomitare di fuori. Ci fu anche un momento di crisi durante il quale non mi bastavano le braccia per tenere su tanta gente, per fortuna alcune ragazze che si erano riprese mi diedero una mano, altre iniziarono a gironzolare attorno. Fatto sta che stavo riaccompagnando due ragazze al bungalow quando vidi spuntare C. da dietro un cespuglio, mi cercava perché avevo le chiavi del nostro bungalow. Qualche mese dopo mi disse che aveva trovato quella sera una ragazza con cui parlare, gli chiesi chi fosse e dalla descrizione capii che era una delle sbronze che avevo aiutato quella sera. Salutale ragazze, dato che a situazione sembrava iniziare a volgere per il meglio, anche se chi ancora sotto l'effetto dell'alcool e chi in coma da sonno, probabilmente si scordarono di me ( no non è vero il giorno dopo mi cercarono per ringraziarmi ad una conferenza durante la quale stavo leggendo " Guida intergalattica per autostoppisti”, non riuscii però a ricambiare la loro considerazione perché mi stavano dietro e loro non potevano sapere che io non riesco a girarmi bene). L'unica che mi sorrise con candore fu la ragazza con l'acne e i capelli biondi. Tornai al bungalow, mi lavai, il mio coinquilino non riusciva a credere alla mia storia e continuava a ripetermi " So solo che ti ho trovato in una casa piena di ragazze sbronze". Io stremato mi buttai a letto. Alle quattro e un quarto mi svegliai per la puzza di vodka che esalavo da tutti i pori, mi lavai di nuovo, dissi buonanotte al mondo, diedi una sonora testata contro il bordo del letto e mi addormentai in un sonno senza sogni.
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La ragazza che doveva rifarsi il giardino
M'innamoro di una ragazza, le chiedo d'uscire e lei accetta, ma è spaventata dal fatto di creare una relazione e dal fatto che siamo due persone molto diverse, così le chiedo di restare nella sua vita per vedere come va, e lei nel frattempo mi considera "in prova" per la reazione. Questa ragazza vive da sola in una grande casa col giardino e mi chiede di poterlo sistemare, così anche se vive a 30 minuti di macchina da casa mia, così ogni giorno dopo il lavoro vado da lei a sistemare il giardino, mentre lei prepara la cena per entrambi. Passa una settimana e il costo dei trasporti inizia a farsi sentire, così le chiedo se per favore può aiutarmi con i costi, pagando almeno il carburante. E lei risponde decidendo di cessare il rapporto. Chiama un altro ragazzo col quale si stava sentendo su Whatsupp e gli chiede se può passare a sistemarle il giardino. Io credo che le parole siano importanti in una relazione, frasi come" per te ci sarò per sempre" sono importanti, ma hanno allo stesso tempo dei limiti reali. In questo caso il denaro: la tipa non si poteva permettere di fare 1h di strada al giorno in più. Esiste anche un realismo che è privo di ogni scortesia o mancanza d'educazione che fa capire che certe frasi, per quanto oneste e sentite, abbiano dei limiti reali e dimostrabili. Ma allora perché vengono ignorati? Perché fa comodo ignorarli a chi li ignora ( scusate la ripetizione) per cui la ragazza in questione con questo sistema si è guadagnata un giardino stupendo, un tetto rifatto, e quando ne aveva voglia una scopata garantita dal suo schiavetto del momento. Questi però non possono essere i presupposti del rispetto o della stima che legano due persone, per quanto i partners precedenti possano essere dei mostri questo non giustifica il fatto di comportarsi da stronzi, e soprattutto i rapporti occasionali non costituiscono la piacevolezza e la confidenza che regalano le storie di lungo corso. Mi viene da pensare al riguardo ad una storia che mi hanno raccontato da piccolo, che vorrei adattare al caso della ragazza sopra "Arrivata all'età della vecchiaia, era defunta nel sonno, e ascesa al cielo S. Pietro le chiese " Che cosa hai fatto nella vita?", lei rispose " Ho costruito giardini, case, parchi stazioni, ferroviarie.." e San Pietro sgomento "No, che cosa hai fatto tu nella vita?", "Nella vita io sono stata ad aspettare che finissero di fare i lavori", rispose lei.
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Le balle che ho raccontato mi girano intorno come falene, come spettri e crismi intorno alla mia testa, danzando, urlando sguaiatamente e ridono di me che cerco un passato ed un futuro che non sono e mai saranno miei.
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A 4 anni DALLA SUA SCOMPARSA Tre anni fa il mio miglior amico mi ha regalato la sua bicicletta e se n'è andato per sempre da Forlì. Per tre anni la bici mi ha servito sempre: l'ho caricata come un mulo per fare la spesa, siamo andati un paio di volte a Forlimpopoli e in giro per tutta Forlì per mesi io lei e Piccina. Per mesi e chilometri, era la nostra macchina. Ricordo che lei mi aspettava sull’ultimo gradino della scala mentre io la andavo a prendere e poi si dava uno slancio con le gambe corte, perché da terra non ci arrivava. Quando sono partito per Praga  è stata portata con enorme fatica a Ravenna e quando sono tornato da Praga sono andato a riprenderla da Ravenna. Pioveva a dirotto quel giorno, fiumi d’acqua lungo le strade e i Ravennati si trovarono un tizio sotto la pioggia che schizzava acqua ovunque, cantare la canzoncina dei pirati dei Caraibi. Che vedevo dì, ero felice. Arrivato in stazione il binario per la bici era l’ultimo, fuori dalla pensilina della stazione e così a forza ho dovuto incastrare la bici sul vagone e poi tirarla su, in mezzo a mille bestemmie su quell’ultimo vagone prima della  la locomotiva. A differenza di quella che ho a casa, questa si chiamava l'Olandese Volante perché durante le piogge invernali forlivesi, di un inverso freddo e senza pietà come testimonia la foto qui sotto, emergevo dalle acque sempre in sella a lei restava a galla. Ci andavo in giro con temperature sotto lo zero e calze calde sotto i pantaloni. Ieri sotto quella bicicletta non se n'è mai andata con qualcuno che l'ha rubata tra le 11 di sera e le 6.30 della mattina. Mi avete portato via non solo una bici dal discutibile valore economico, e dal fondamentale valore pratico, ma vi siete portati via anche un caro ricordo e un pezzo della mia vita. 
Bastardi  
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L’INFINITO DAL BALCONE DI CASA
 La parola ha un corpo minuscolo e una forza impressionante.Cercherò in tutto questo di parlare dell'eterno divenire e del mondo, della grande fenice che nasce all'alba e muore ad ogni tramonto. Farà freddo quando la cenere immobile smetterà di gemere, ma non temere perché questa, quando meno te l'aspetti, s'aprirà e la vita sarà tornata a volare.
Il cielo sopra è una fumigazione rabbiosa, fatto di scarichi d' auto e fabbriche, la statale che tutto governa e uccide, le piante appena spuntate al ciglio della strada muoiono tra liquami che scivolano lungo le canalette di scolo. Questo terrario è sudore, è puzzo di piedi, è polverone sollevato dal taccheggiare delle segretarie, delle puttane, dei rappresentanti, è fiato di denti guasti, di stomachi ulcerati, di budella intasate, di sfinteri stitici, è fetore di ascelle deodorate, di sorche sfitte, di bischeri disoccupati che berciano intorno a costruzioni di cemento armato, che non sono più nostre. Mi raccontava una mia amica che nel 2010 in Portogallo, all'inizio della crisi per loro, una catena di supermercati aveva deciso di mettere in vendita tutta la propria merce al 50%. Il giorno in cui si aprirono le porte dei supermercati migliaia di persone che ci si riversarono dentro, calpestando uomini, donne e bambini, solo per mangiare a meno. Al supermercato vedo le vecchie mezzo piegate dentro i banchi freezer a prendere la merce che scade oggi, perché costa meno, così si va a fare la spesa ad agosto: in pelliccia. La Venere in pelliccia, è una sensazione sinuosa, che scivola come unto, scivola fino a terra senza scomparire mai. La fissavo quella presenza inquietante che s’ostinavano a chiamare cielo, e pensavo che nella nostra generazione c’era stata come la speranza che ci fosse qualcosa di vero negli angoli di casa, nei vicoli, sui muri sporchi di piscio. La pioggia caduta in abbondanza sull'asfalto non aveva generato altro se non umidità e muschio invernale. Da piccolo speravo d’ essere in un film, d'essere quello che d’improvviso gli capita un avventura sola e con quella s'è sistemato la vita, oppure speravo che venisse qualcuno a salvarmi, ma non c’era mai niente di veramente nuovo fuori dalla porta di casa. In fondo tutti noi abbiamo atteso che arrivasse un Messia, una forma risolutiva che ponesse fine, che facesse piazza pulita dei soliti problemi, gli unici dei trascendentali che invece restano. Ti prende per i pantaloni il piano, e te ne accorgi sempre e solo troppo tardi che ti è entrato nell'anima. “Petit et voulgarir plaisir”, è il dolce ritmo delle note che scende morbido giù giù nelle scanalature del palazzo, lo stile liberty, a basse altezze, con quella musica, che fa venir voglia di ballare. A protezione della porta d'ingresso due statue grandi e maestose che rappresentano due mezzibusti di donna, un po' barocche però, staccano rispetto le scanalature che dividono i quadrati e i rombi che intarsiano la facciata del palazzo. Nel salone principale, al livello della strada, la luce che permea dalla finestra, un pianista si sta esercitando al suo strumento, la luce concessa per  vedere le note è interrotta a tratti dalle macchine che passano veloci. La malinconia, e le riprese, le note sono come la vita. Gli piace sentire la melodia, godere della propria bravura, che va avanti,  non si ferma mai, non si sofferma una volta ad ascoltare lo stesso bellissimo giro di note, questo lo inebria, e suona invasato dalla sua stessa musica, tira avanti su quelle note, prima fortissimo, poi andante, moderato, aspetta che la sua rivelazione artistica gli si ripeta e va avanti, fino ad esaurire l’arte che ha in corpo per quel giorno, senza aver memorizzato nulla. Copre a tratti le urla che provengono dal piano di sopra: trova artisticamente valido il fatto che si senta un suono di note  tanto malinconico che sostengono una vocina tanto acuta e stridula, è un suono statico e denso, questo gesto gli ricorda tanti bei film pieni di significato. Urla lei, urla, urla tesoro, gli occhi vitrei, le mani rigide, fredde attaccate avidamente a quello scialle rosso che ti regalò per Natale, quella sera, quegli sguardi, tra la malizia ed il candore i tuoi occhi erano stelle, lumi nella notte piccoli ed intensi senza pari, e la città magnifica brillava solo per voi,  e suonava per voi il blues nei privé di ristoranti lussuosi, suonavano i quartetti d'archi solo per voi. Solo per te al vostro anniversario aveva portato un Guarnieri del Gesù e champagne al parco, solo per  te viveva  e lavorava notte e giorno,  solo per te,  belle  dame sans merci, solo  per te.   Un'altra donna è arrivata, un'altra donna che non aveva il tuo bel vestito color blu cobalto, portava una veste in seta nera, l'ha fatto volare una notte, via da te per sempre. Sopra ci sono altre due stanze, niente d'importante, vuoi sapere per caso dove vanno bighellonando un gruppo d'amici in vacanza ed una coppia sulla quarantina? I postriboli sono posti che non mancano a questo mondo e poi alla gente bisognerà pur lasciargli un minimo di privacy. Io un  quarto d'ora fa ero là sotto. C'ho preso l'autobus delle 18.10: devo tornare a vedere un posto che avevo visto da piccolo, tanto tempo fa. Dai sali, il biglietto è gratis. Si va in periferia, a raccontare  le storie di chi lotta tutti i giorni a lavoro per un settanta metri quadri, di chi ha come vicini spacciatori e delinquenti, o gente povera come lui, del proletariato, come la media ipocrisia pensa ma non cataloga. Io in realtà non devo andare in un posto devo raccontarti un posto, ma per farlo ho bisogno di narrarti un bordello di storie. Al primo piano la casa è abitata solo di notte, di giorno c'è solo il cinema privato degli occhi di una ragazza che riproducono in continuazione le immagini della notte, fatta dei bisogni degli altri. Una volta sono andato da lei, erano le due o tre del mattino, non ricordo, stavo ballando come un pazzo “Lust for life” in mezzo la strada, a torso nudo facendo piroette. Lei esce dal portone e mi fa segno d'avvicinarmi con la mano, m'avvicino e mi tolgo gli auricolari per sentire che vuole “ Se te la smetti ti do un bacio”, gli ho fatto di si con la testa e lei mi ha dato un bacio, poi è tornata dentro. Che triste serata. Al piano di sopra c'è una coppia che sta urlando: litigano perché non trovano il loro bambino che doveva tornare a casa già da due ore, si stanno massacrando come bestie seminude, stanche, con le occhiaie sotto agli occhi, i muscoli appena accennati che fremono dall'esasperazione, i corpi sfatti. Lei protesta verso l’altro in un’espressione atroce di vita quotidiana troppo amara da riuscire a buttare giù: picchiarsi è anche un’ottima valvola di sfogo. Il bambino sta sognando di poter inventare il testo del compito in classe d’italiano di domani, mentre che si riposa al tramonto dopo la partita di calcetto. Non ha il coraggio di tornare a casa: troppe botte, troppa violenza, è troppo reale. Anche il tramonto è reale, è bello ma gli adulti si sono scordati completamente che al mondo possono ancora esistere cose belle e vere. Da sotto si sentono le voci che provengono da casa sua, sono voci ovattate. Un po’ per i timpani rotti, un po’ perché sa che i genitori non sono felici ed hanno bisogno di sfogarsi con le urla, quello che poi dicono è inconsistente. E entrambi si sentono una merda quando si ritrovano a pensare sul serio a ciò che fanno, sperano che il figlio ce la faccia a non fare i loro stessi errori. Eppure fra vent’anni anche lui picchierà, la violenza gratuita è così piacevole, specie quando è ereditaria. Voglio dirti una cosa, a te, caro amico, sul tuo futuro: io sarò solo per sempre, la solitudine è il mio inferno! Tu non ammetti di condividere la tua sorte con altri, vuoi essere il capro espiatorio, l’unico e solo capro espiatorio? Io merito solo la solitudine e posso conquistarla solo ferendo tutti, e primi tra tutti quelli che amo, la mia prova incomincia solo ora. Che tu sia benedetto figlio dell'uomo, agnello di Dio diviso tra due coscienze, e sia benedetto l'uomo in quanto tale, finché puoi essere assolto da obblighi sociali. Correre felici, a piedi scalzi in mezzo ad uno spazio infinito, dove la vastità dell’ erba secca si congiunge con un cielo azzurro e senza nuvole. Correre,correre,correre fino a star male, sino a perdere le forze sdraiandosi a terra per riprendere fiato, una volta riposati, prendere la strada di casa, con il tramonto rosso sangue che si estingue alle spalle e illumina di colori sgargianti un' immenso spazio infinito, che ti aspetta il giorno dopo per una nuova corsa. Un giorno quel bambino non potrà più tornare ai suoi campi, sarà portato ad un lavoro che lo sfinirà fino al midollo osseo e quando sarà in grado d’amare pagherà il frutto del suo amore con l’emigrazione, perché qualche multinazionale gli toglierà la terra o qualche re povero venderà la terra dei suoi sudditi. Partirà su un battello senza sapere di tornare,affronterà un mare che si paga con la vita, ed una barca che non ce la fa più a portare così tanti passeggeri e non vede l’ora di buttarlo in mare, insieme a tanti altri. Vedrà il capitano della nave puntargli un mitra contro e poi un mitra che gli indica di buttarsi in acqua, si tufferà tra le onde lasciando sulla nave i pochi averi che aveva e annasperà sino a toccare esausto la riva opposta del mare. Approderà in un paese e vorrà chiamarlo casa, anche se di notte dorme inseme ad altri venti sventurati come lui in un piccolo appartamento con quattro stanze, avrà fame, ma sopravviverà mangiando solo di tanto in tanto, patirà l'arsura ed il freddo, ma non pregherà per morire: in fondo qui si è liberi. Questi sono uomini costretti a vivere come bestie feroci e fanno di tutto per sopravvivere, non hanno più dignità né onore, conoscono solo la fame e a quella rispondono. Dopo tanti anni e tante fatiche sono le undici e mezzo di sera, un marito guarda la moglie negli occhi, e il suo sguardo scende verso una gonna elasticizzata che cinge un pancione di otto mesi, sono al piano di sotto ma li sento di rado rientrare. Un revolver carico con la sicura sta sul comodino della camera da letto, un rumore di sirene si sente in lontananza, lui spegne la cicca di sigaretta, prende il cappotto ed apre la porta, la accosta piano per non far rumore. Voglio ricordarlo così: le spalle larghe, il cappotto di pelle che cinghie le scapole sporgenti, i jeans stirati a dovere, il passo svelto: un cane ricercato dalla notte, che lascia le tentazioni per la sua famiglia. Una volta mi ha raccontato una storia: un suo amico era qui in Italia da mesi, moglie e figli in Marocco e riusciva a lavorare solo saltuariamente, per due settimane , poi per tre mesi niente, poi l'estate tutta e di nuovo niente. Erano tre giorni che non mangiava e gli bussano alla porta. Apre il chiavistello e quello gli dice “ So' che sono tre giorni che non mangi, prendi queste e non avrai più fame”, dice offrendogli tre pastiglie di benzedrina. L'uomo che stava narrando la storia si copre il volto, non conclude, troppo commosso. I figli a casa, e la speranza sono un dramma per questi uomini, prima di giudicare con moralismi ed altro credo che almeno una volta sia doveroso, per rispetto, trovarsi in una situazione del genere per poter capire davvero cosa si prova. Io sto sul quel balcone di un condominio in un' anonima periferia, ai margini della città. La porta del terrazzo da su un pianerottolo, a destra c'è la porta per il balcone a sinistra c'è un monolocale, ora sfitto, prima c'abitava Enzo, ed ora non c'è più. Prima c’era, adesso non c’è più. È rimasto solo il suo corpo, senza anima, il tempo perso sta volando via col pulviscolo e lo sporco, la coca no, la coca resta lì, ferma, lapide commemorativa del corpo che ha conquistato. Enzo aveva 23 anni, e come tanti altri giovani, all’inizio ha iniziato a farsi per reggere i ritmi richiesti dall'ospedale, perché i medici anziani del reparto possono gestire come vogliono quei 50 studenti che devono imparare tutto da loro, e così li trattavano come bestie da macellare, li fanno andare in giro come pazzi  isterici dietro tutto, perché solo così ci si prepara a quell’inferno in terra che è il pronto soccorso: tagli da ricucire, gambe rotte, ferite da tamponamento, vecchi che hanno mangiato troppo e fanno un'indigestione letale e giovani che si fanno di chetamina per andare contromano con l’amico dietro senza casco e finiscono a schiantarsi contro un palo, tutto ciò non fa salire più l'adrenalina,dopo un certo punto. La soluzione di vite portate al macello in nuove forme d'amore. No, niente forme d'amore, niente amore per me e per te Enzo. Parlo delle mie disavventure, caro Enzo, ma di fronte alla tua porta è come stare di fronte alla mia lapide. Caffè, notti insonni e studi disperatissimi, forse arriverò un giorno a parlare di te in un salotto con distinti signori, e tu avresti fatto lo stesso se fossi morto io e sopravvissuto tu. Ci rivedremo un giorno, fratello mio.
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Per un periodo della mia vita ho vissuto per strada, o per lo meno non potevo permettermi di tenere i termosifoni accesi, solo di usare un fornello per un pò di tempo. Non avevo soldi per roba da fumare, nemmeno un euro per mesi. Così di notte, o a volte di giorno più furtivamente, raccoglievo i mozziconi di sigaro per strada. Mi ricordo che odiavo i giorni di pioggia perché non riuscivo a raccogliere niente. Mi ricordo che agli inizi non sapevo dove andare così iniziavo dalla piazza principale, dove a mezzogiorno vedevo per terra un sacco di mozziconi, ma poi alle due di pomeriggio passava l’idropulitrice che non lasciava niente per me. Di fianco alla LIDL a 200 metri  da casa mia c’era un cespugli in cui a volte i cani cagavano, e di fianco una banca  che sembrava uscita da un  racconto dei GRimm, ma un impiegato lì fumava i sigari e li buttava a terra. Raccoglievo tutto quello che c’era lì per terra, era sempre pieno. Due\ tr sigari al giorno sono circa 10\15 mozzichi a settimana, abbastanza per farci non sò 4\5 cariche di pipa. Portavo i mozzichi a casa e li mettevo in una padella per fare le crepes, con l’acqua a bollire 5 minuti, per sterilizzarli, poi li sbattevo nel forno elettrico per 10 minuti per asciugarli. Il tabacco a volte sapeva solo di bruciato, a volte manteneva il sapore di strada, anche se era “ pulito” creando quel retrogusto di piscio di cane. Ricordo certe fumate fatte con piacere dopo ore passate a cercare mozzichi, pulirli, asciugarli e finalmente infilarli in pipa. Pipe da banco comprare a sotto prezzo. Un paio di volte trovai anche dei Cohiba, uno era gettato in una aiuola a fianco ad una gigantesca cagata di cane. Dio il suo sapore era pura poesia per me, e con le sue larghe foglie di tabacco anche se era a metà sarei potuto andare avanti una settimana. Non resistevo, sudando me lo portai in camera e senza alcun trattamento lo distrussi per metterlo nella pipa. Aveva traccie di urina sul fondo, ma giusto un paio di macchie da qualche millimetro. La prima fumata la feci con la parte buona del sigaro, e provai l’orgasmo. Qualche settimana dopo vidi un uomo con un  Cohiba in bocca e lo pedinai fino al parco, per riuscire a beccare anche solo una minima parte di ciò che aveva lui.
( la foto non è mia il testo si =) 
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Felicita
La prima  volta che conobbi Felicita fu per un progetto. Come rappresentante d’istituto mi occupavo anche degli argomenti delle assemblee, in assenza di  proposte dagli astanti.  Avevo deciso di portare un argomento che riguardava il terzo mondo, e due ragazze si erano offerte di aiutarmi, una di esse era felicita. Andammo a casa non di Felicita, dell’altra. Quel giorno spezzai la routine, presi il bus per quel posto dimenticato da dio, mi fumai un bel t sigaro tra i vicoli del centro e poi andai verso casa di Altra, quando arrivai in anticipo, mi venne a salutare sull’uscio. La vorammo febbrilmente tutto il pomeriggio. Durante la pausa merenda  raccontai alle ragazze che una volta in un succo di frutta avevo trovato il residuo di un preservativo, e loro ne rimasero shokkate. Era l’effetto che volevo ottenere, non che mi aspettassi niente da quell’incontro, ma un po’ di shock ci stava. Mia madre venne a riprendermi in auto, salì anche felicita. I raggi della luna le incorniciavano il volto angelico, pensai che non avrei mai potuto avere a che fare con una così bella.
Le feste d’istituto si svolgevano in un agriturismo in cima ad una collina che spiccava tra le altre piccole attorno, la zona era piena di campie si trovava antistante il crinale di un vero monte, l’agriturismo in sé era  un ex casa colonica adivita a bar e bed and breakfast , con a fianco un gazebo fatto con pali e travi di legno, che potevano essere ricoperti dal telo, il gazebo, o almeno la parte sotto era la nostro sala da ballo , e in fondo ala sala da ballo stava  la console. Fuori dal gazebo c’era un giardino di ulivi, in fondo al quale stava un pozzo nero, il tutto era sovrastato da una ripida scala di mattoni che portava ad una piscina di cui poche volte ho avuto il piacere di godere, più che altro vedendo altri farci il bagno su Facebook. Per entrare all’agriturismo si seguiva una breve salita, come tutti i luoghi da quelle parti,. Quella sera ricordo mille ragazze intirizzite  dal freddo con le calze, spero per loro a trenta denari, anche se qualche impavida era venuta con le cosce nude, a settembre, in una sera di freddo. La mia posizione alle feste d’istituto era ambivalente dato che non organizzavo niente e mi concentravo soprattutto sul. La gente supponeva che fossi io  ad organizzare quegli eventi  e un po’ di fiducia me la dava, io la usavo per attaccare bottone con tutti, per spingere i tipi  provarci con le tipe o per farmi dare drink gratis al bancone. Quella sera ero in cerca di una donna, come sempre d’altronde. Avevo bevuto otto bicchieri di sangria e quattro di Lemon Soda, quella sera ero in cerca di una donna, come sempre d’altronde. Avevo provato a ballar e con uan ragazza vestita di leopardato, ma quel colore, che nella mia testa richiamava così tanto la sessualità mi metteva a disagio, perché ero ancora vergine e inesperto, o almeno quel colore mi dava l’idea di una donna che avrebbe voluto qualcuno che se la prendesse e basta, e io non mi sentivo pronto, Scesi le scale barcollando, e andai in giro cercando, gli amici dell’inizio serata erano scomparsi, a casa o con chissà chi fare cose.
Quella sera avevo già tentato un abbordaggio con sei ragazze diverse, una che conoscevo fin da quando era piccola stava seduta sopra il tombino di una fossa biologica, tappata a dovere da una grossa lastra di cemento armato, illuminata da un faretto, lei sembrava una dea, col vestito corto e le gambe accavallate, vide me ed un altro ragazzo arrivare, indicò lui e non ero io.  Andai in cambusa e rubai una bottiglia di wotka alla banana, non l’avrebbero mai venduta ma soprattutto ero abbastanza sbronzo da non sentirne il sapore. Uscito dalla vidi per la prima volta Felicita. L'amore è un cane che viene dall'inferno. L'amore era lei, circondata dal fumo di sigaretta che lei e gli altri angeli al tavolo emanavano,  la vidi, la conoscevo per aver preparato con me l’assemblea, era bellissima, la musica era troppo forte per parlare così iniziai a recitare solo per lei: imbarazzo, ammirazione, sorpresa, la invitai a ballare calcolando perfettamente il tempo che mi sarebbe occorso per pomiciare con lei prima che la venissero a prendere, un ballo, poche giravolte, poi spediti in mezzo agli ulivi, lei era allergica a quelle piante così dovetti piantare i bicipiti contro l'albero, lei adagiata sopra il mio braccio, le spingevo la lingua in bocca mentre lei serrava i denti, perché aveva paura di vomitarmi addosso. Restai lì per un po' mentre provavo ad entrare almeno con la lingua, poi la riportai al tavolo che era già ora di andar via, mentre la accompagnavo alla macchina sostituii la mia bottiglia di wotka alla banana, oramai vuota, con una di champagne che teneva in mano uno che stava seduto su una sedia col busto rivolto verso le gambe. Sarà stato mezzo svenuto per colpa dell'alcol, ma queste sono cose che succedono. La salutai mentre la macchina se la portava via, poi ripresi a bere.
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dalla pasta scotta
Dalla pasta scotta mangiata ad ogni ora del giorno della notte, delle ulcere da caffè, del freddo, della fame , di nausea e vomito, di puzzare, di avere pochi giusti e sempre quelli, di vedere gente che non sa fare un cazzo, gente morta cerebralmente che cammina, di amare cose che nessuno capisce. mi sono rotto il cazzo dell'ipocrisia dei proforma. Non mandare a fanculo gli ipocriti è da masochisti
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