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#inconcepibile c.
daimonclub · 11 months
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Aforismi sulla genialità
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Leonardo Da Vinci Aforismi sulla genialità, citazioni, frasi, massime, idee sul genio, la genialità e la creatività, pensieri brevi che possono stimolare le nostre abilità e conoscenze. Se desideriamo conoscere la forza del genio umano dobbiamo leggere Shakespeare. Se vogliamo constatare quanto sia insignificante l'istruzione umana possiamo studiare i suoi commentatori. William Hazlitt Genio è un'infinita capacità di sopportare il dolore. Jane Ellice Hopkins Nullum magnum ingegnum sine mixtura dementiae fuit. Seneca We are all born mad. Some have the fortune to remain so. Carl William Brown Via Ionesco L'amore passionale per una donna o per un uomo è una cosa strana, misteriosa, subdola, stupida, incompleta. Gli unici amori che meritano sono forse quelli del genio. Carl William Brown Ogni genio è un gran fanciullo, già per il suo guardare al mondo come a un che di estraneo. Chi nella vita non resta per qualche verso un fanciullo e diventa invece un uomo serio, sobrio, posato e ragionevole, sarà certo un bravo e utilecittadino di questo mondo, ma un genio non sarà mai. Arthur Schopenhauer A differenza del talento del genio, la stupidità non può essere nascosta: appartiene alla sua natura l’urgenza di manifestarsi. Mario Andrea Rigoni Genio: inutile ammirarlo, è una nevrosi. G. Flaubert La grandezza del genio sta nella sua capacità di fare connessioni tra idee apparentemente disparate. Nikola Tesla La qualità principale del genio non è la perfezione ma l’originalità, l’apertura di nuovi confini. Arthur Koestler Ricercate nell’albumina di Cartesio i segni del genio. A. Huxley Come ha potuto un genio come Freud scrivere tutti quei libri dimenticandosi allo stesso tempo di elaborare una benché minima teoria della stupidità; ma forse intendeva andarci vicino quando scrisse Il problema economico del masochismo. Carl William Brown Compensate con onori e favori quelli che con la loro lampada notturna rischiarano il mondo. H. von Kleist
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Dante Alighieri Si considerava un genio e forse lo era, o lo è; il primo libro che scrisse lo fece leggere ad un insigne professore che dopo averlo in larga parte copiato lo pubblicò con grande successo di pubblico e di critica. Carl William Brown Un monologo in cui parla tutta una nazione o una razza o parla una voce della natura, ecco il genio. G. Bovio Il genio richiede la solitudine, questo è il segreto dell'inventiva. Nikola Tesla Il genio è la capacità di vedere dieci cose là dove l’uomo comune ne vede solo una, e dove l’uomo di talento ne vede due o tre. Ezra Pound Le nazioni hanno grandi uomini a loro dispetto, come le famiglie. Fanno ogni sforzo per non averne. C. Baudelaire È che so fare tutto quello che tu fai Ma anche altre cose che tu non immagini. M. Schettini Come si sa, funzione propria del genio è fornire idee ai cretini vent’anni dopo. L. Aragon La memoria, la velocità di calcolo, la precisione, tutte cose che non riescono a competere con la creatività della genialità. Carl William Brown Il potere non è che lo stupido tentativo dell’umanità di sopravvivere alla sua banalità, è lo sterile e ingenuo tentativo di imbalsamare la trasformazione della materia, di contenere l’assurda e inconcepibile energia della problematica genialità. Carl William Brown Un uomo di genio è femminile. H. Utamaro Quando nel mondo appare un nuovo genio potete riconoscerlo da questo segno inequivoco: tutti i mediocri si coalizzano contro di lui. J. Swift Mentre per l’uomo comune il proprio patrimonio conoscitivo è la lanterna che illumina la strada, per l’uomo geniale è il sole che rivela il mondo. A. Schopenhauer Il genio è la capacità di mettere in pratica ciò che si ha nella mente. Non c’è altra definizione del genio. F.S. Fitzgerald Il genio di Shakespeare sta nell'aver fatto osservare con grande maestria la grande buffonata dell'esperienza umana e nell'aver analizzato blandamente le cause che sconvolgono l'ordine naturale e la serenità del mondo, la sua stupidità consiste invece nel non averci prospettato quale sia questa grande armonia. Carl William Brown Il primo grande ribelle della storia è un angelo, satana, al quale non andava troppo a genio lo strapotere di dio; benché sconfitto egli rimane pur sempre immortale, così come la ribellione ed il male. Carl William Brown Il genio è nonconformismo. V. Nabokov Il Genio è un gran dolore. A. de Lamartine Le grandi idee sono rarissime: vengono come doni degli dei alle menti preparate e non sono il risultato di pure e semplici sgobbate. P. Samuelson Coloro che hanno disturbato il sonno del mondo. Ch. F. Hebbel Diventa necessario, quasi fatale, che alla forma in tante direzioni più evoluta del genio, corrisponda un arresto, un regresso, non solo in altre direzioni, ma anche spesso nell’organo che è la sede della maggiore evoluzione. C. Lombroso Nullum magnum ingegnum sine mixtura dementiae fuit. Seneca Secondo me il genio consiste nell’abilità di dire una cosa profonda in modo semplice. Ch. Bukowski
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Albert Einstein È in grado di accendere un fuoco con uno strofinaccio bagnato. H. Walpole Il mondo chiama folli quelli che non lo sono della follia comune. R. Rolland Il genio si muove nella follia, nel senso che si tiene a galla là dove il demente annega. Paul Valéry Adam Smith non era certo un genio della filosofia, però aveva ben chiari alcuni principi; per esempio, nella sua opera principale esprime con convinzione l'idea che nel processo produttivo ai lavoratori deve essere concesso il minimo necessario per sopravvivere, e poi basta affidarsi al "laisser faire" di imprenditori e governanti e tutto andrà per il meglio. Non c'è che dire, un vero economista della filantropia. Carl William Brown Talvolta è preferibile isolarsi piuttosto che contaminare il proprio genio con la perniciosa arroganza della stupidità e della sciocca e colta vanità. Carl William Brown Il peggio che può capitare a un genio è di essere compreso. E. Flaiano Attenzione a quando il gran Dio scatena un pensatore su questa terra. R.W. Emerson Alcuni credono che il genio sia ereditario. Gli altri non hanno bambini. Marcel Achard Come si sa, funzione propria del genio è fornire idee ai cretini vent'anni dopo. Louis Aragon Troppo spesso il vizio e il genio producono effetti simili, che ingannano l'uomo comune. Il genio non è forse un eccesso costante che divora tempo, denaro, corpo, e conduce all'ospedale ancor più rapidamente delle cattive passioni? Honoré de Balzac Sembra che gli uomini abbiano addirittura più rispetto per i vizi che per il genio, giacché rifiutano di dargli credito. Honoré de Balzac Il genio è fatto dal 1% di talento e dal 99% di lavoro instancabile. Albert Einstein Talvolta i curatori di alcuni testi ne scremano le parti migliori e cremando così la genialità non fanno altro che favorire la loro banalità. Carl William Brown Si possono plagiare delle frasi, dei testi, delle idee, dei progetti, ma la genialità non si può né rubare né comperare. Carl William Brown Genio è colui che fa grandiosamente e con naturalezza ciò che altri soltanto con grosso impegno e studio riescono a fare modestamente. Vannuccio Barbaro Un autore popolare è uno che scrive ciò che pensa la gente. Il genio la invita a pensare qualcosa di diverso. Ambrose Bierce Il genio è la capacità di vedere dieci cose dove l'uomo comune ne vede una o dove l'uomo di talento ne vede due o tre. Ezra Pound Un dotto è colui che ha molto imparato, un genio, colui dal quale l'umanità impara ciò che il genio stesso non ha imparato da nessuno. Arthur Schopenhauer Chi ha un minimo di genio e di mentalità artistica non può certamente occuparsi di leggi e leggine, inoltre è difficile che venda la propria anima e la propria psiche al Dio denaro o a qualsiasi altra forma di coercizione, ecco perché nello squallido mondo della burocrazia del potere finiscono tutti i personaggi più frustrati e mediocri, ed �� da lì, da questo avamposto privilegiato della stupidità che perpetuano la loro vendetta nei confronti dell'umanità. Carl William Brown Il nostro organismo è una macchina perfetta che percorre per un certo periodo l'autostrada dell'assurdo, dunque niente di più nobile ed eroico che a qualcuno non vada molto a genio di percorrere questo stupido viaggio e cerchi quindi di guastare il veicolo. Carl William Brown Per la vita comune, pratica, in quanto adeguata alle energie spirituali normali, il genio è una dote scomoda e, come ogni anormalità, un ostacolo. Arthur Schopenhauer Il genio è, tra le altre teste, ciò che è il carbonchio fra le pietre preziose: esso irradia luce propria, mentre gli altri riflettono solo la luce che ricevono. Arthur Schopenhauer
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Galileo Galilei Forse solo il genio può comprendere interamente un altro genio. Robert Schumann Il genio è fatto per un due per cento di ispirazione e per la rimanente parte di traspirazione. Thomas Edison I geni e gli inventori, all’inizio della loro carriera (e molto spesso anche alla fine), sono stati sempre considerati dalla società nient’altro che degli imbecilli. Fëdor Dostoevskij Quand’ero giovane, avevo ali forti e instancabili; / ma non conoscevo le montagne. / Quando fui vecchio, conobbi le montagne / ma le ali stanche non tennero più dietro alla visione. / Il genio è saggezza e gioventù. E.L. Masters In this stupid and waste land it would certainly be better for all those hollow men to become a bit more humanly and geniously Fool! Carl William Brown Gli stupidi sono per i cultori del genio quello che le tenere cavie di laboratorio sono per i ricercatori della scienza. Carl William Brown È forse meno difficile essere un genio che trovare chi sia capace di accorgersene. Ardengo Soffici Al genio non serve riflettere – gli basta mostrarsi. Giovanni Soriano Per la genialità la censura non esiste, come non esistono del resto né il potere né l’autorità; lo stesso discorso purtroppo non vale però per la stupidità. Carl William Brown Come ha potuto un genio come Freud scrivere tutti quei libri dimenticandosi allo stesso tempo di elaborare una benché minima teoria della stupidità; ma forse intendeva andarci vicino quando scrisse Il problema economico del masochismo. Carl William Brown Tutti lo credevano un genio, ma lui sapeva di non esserlo: era un fesso incompreso. Giovanni Soriano I geni sono quelle persone che ci stai a fianco senza nessuno sforzo. Ecco chi sono i geni. Paolo Sorrentino Quando un vero genio appare in questo mondo, lo si può riconoscere dal fatto che gli idioti sono tutti coalizzati contro di lui. Jonathan Swift Gli uomini di genio sono meteore destinate a bruciare per illuminare il loro secolo. Napoleone Bonaparte Quasi tutti sono nati geni e sepolti idioti. Charles Bukowski Se il vero genio è sconosciuto e gli stupidi sono invece così popolari, allora bisogna di certo riequilibrare un po’ le sorti. Carl William Brown Per me non esiste la censura, ciò che oggi è vietato domani sarà libero e il genio non da molta importanza al tempo, anche se in genere preferisce anticiparlo. Carl William Brown Il genio è un uomo capace di dire cose profonde in modo semplice. Charles Bukowski Il genio stesso non è che una forte capacità di osservazione, unita a fermezza di carattere. Qualsiasi uomo tenga aperti gli occhi e sappia restar fedele alle decisioni prese, senza neanche rendersene conto diventa un genio. Edward Bulwer-Lytton Il genio è una salute, uno stile superiore, un buon umore, ma al culmine di una lacerazione. Albert Camus In effetti non esiste alcun posto nella società ordinaria per un individuo straordinario. G.B. Shaw Un altro indizio ci è dato dalla notizia che il nostro genio delle fesserie è uno dei più illustri figli di quella madre che è sempre incinta. Carl William Brown Comunque devo e dovrò sempre ringraziare la sfiga, mia musa ispiratrice, per il suo inesauribile contributo artistico alle mie creazioni. Il male infatti è per me un bene, la fonte della mia genialità, della mia filosofia della protesta, è dunque un bene che ci sia il male. In questo non sono molto distante dal pensiero di S. Agostino! Carl William Brown Qualcuno potrebbe credere che uno Stravinsky, un Einstein o un Picasso si sia conquistato, in forza del suo genio, il diritto all'eccentricità, all'idiosincrasia, alla caparbietà. Io sostengo al contrario che è stata la decisione di diventare padroni del proprio destino che ha dato loro il coraggio di tentare vie nuove. Ari Kiev Il genio conosce l’angoscia in un tempo diverso del comune degli uomini. Questi scoprono il danno quando sopravviene; fino ad allora sono nella sicurezza che ancora una volta il pericolo si allontanerà. Il genio è fortissimo nell’ora del danno; in compenso è nell’angoscia prima e dopo, in quel momento febbrile in cui bisogna fare i conti con il grande sconosciuto, il destino. S. Kierkegaard
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William Shakespeare Il genio non commette errori. Spalanca le grandi porte dell’esperienza. Grandi porte apre il genio per cui entra poi il tentennante bibliofilo calvo, assiduo, dalle orecchie lunghe e dal piede tenero dolcemente scricchiolante. J. Joyce Che cos'è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità d'esecuzione. Amici miei Una delle più spiccate caratteristiche del genio è il potere di alimentarsi da solo. Ari Kiev Credere nel proprio pensiero, credere che ciò che è vero per voi, personalmente per voi, sia anche vero per tutti gli uomini, ecco, è questo il genio. Date voce alla convinzione latente in voi, ed essa prenderà significato universale. Ralph Waldo Emerson È forse meno difficile essere un genio che trovare chi sia capace di accorgersene. Ardengo Soffici Chiamasi genio il disgraziato che non riesce a diventar filisteo. Italo Tavolato La medicorità è così diffusa che non ci si deve rammaricare di incontrarla ovunque; al limite ci si può stupire quando si trova un po’ di genialità. Carl William Brown La genialità non è che la faccia opposta della stupidità, volto dell’universale nullità. Carl William Brown Non voglio essere un genio: ho già problemi a sufficienza cercando di essere solo un uomo. Albert Camus I deboli di mente e l'uomo di genio non dovrebbero essere uguali davanti alla legge. Alexis Carrel I geni, nelle inaudite profondità dell'assurdo e della storia pura, situati per così dire al di sopra dei dogmi propongono le loro idee a Dio. La loro preghiera offre audacemente la discussione. La loro adorazione interroga. Questa è la religione diretta, piena d'ansietà e di responsabilità per chi ne tenta l'erta. Victor Hugo I geni sono quelle persone che ci stai a fianco senza nessuno sforzo. Ecco chi sono i geni. Paolo Sorrentino Il genio è la capacità di vedere dieci cose là dove l'uomo comune ne vede solo una, e dove l'uomo di talento ne vede due o tre. Ezra Pound Il genio è uno che sa fare una cosa anche senza sapere come si fa. Pino Caruso Non è grazie al genio ma grazie alla sofferenza, e solo grazie ad essa, che smettiamo di essere una marionetta. Emil Cioran Il genio è la punta estrema del senso pratico. Jean Cocteau La legge del più forte è senz'altro uno dei capisaldi della natura, ma poiché il genio dell'uomo talvolta ama andare contro natura, penso che sarebbe meglio rivederla. Carl William Brown Il genio e la pazzia hanno creato Hitler ma il conformismo e la stupidità hanno poi causato il nazismo e le sue conseguenze. Carl William Brown Un genio ammogliato è sterile: bisogna optare tra il lasciare alla posterità delle opere o il lasciarle dei figli. Charles Dufresny Niente è più crudele di un genio che inciampa in qualcosa di idiota. Friedrich Dürrenmatt Il genio è uno per cento ispirazione e novantanove per cento sudore. Thomas Edison Il buon senso è raro quanto il genio - è la base del genio. Ralph Waldo Emerson Secondo Honoré de Balzac il genio è lunga fatica e perseveranza. Carl William Brown Poiché la strada maestra è la mediocrità, gli artisti di grande talento non possono certo sperare di essere stimati ed apprezzati. Questo d’altronde è il prezzo pagato per il loro genio. Carl William Brown Il peggio che può capitare ad un genio è di essere compreso. Ennio Flaiano Genio. Inutile ammirarlo, è una "nevrosi". Gustave Flaubert Forse la mia genialità sarà anche un elogio della ripetitività, ma di certo non è mai un’adulazione della stupidità. Carl William Brown Certi pedagogisti aiutati da famosi e illustri burocrati sono giunti all’illuminata conclusione che la cultura e l’educazione devono essere massimamente originali, solo che forse hanno dimenticato che talvolta la vera genialità per essere veramente creativa deve essere fortemente distruttiva. Carl William Brown Dio si è riservato la distribuzione di due o tre piccole cose sulle quali non può nulla l'oro dei potenti della terra: il genio, la bellezza e la felicità. Théophile Gautier Se gli ostacoli e le difficoltà scoraggiano un uomo mediocre, al contrario al genio sono necessari, e quasi lo alimentano. Théodore Géricault Il primo dovere di un genio è dimostrarlo. Roberto Gervaso
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Nikola Tesla Il genio è applicazione. Read the full article
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mianonnadellozen · 3 years
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dianacalypso · 4 years
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Quello che le signorine non dicono
QUELLO CHE LE SIGNORINE  NON DICONO   Signori e signore,  a voi tutti che vi apprestate a leggere codesta narrazione, basti sapere che vi trovate davanti ad un esempio di stream of consciousness mai, ripeto mai, visto prima.  Alla faccia di Joyce o della sua amica Virginia. Con i loro sproloqui infiniti e incomprensibili. Anche noi italiani abbiamo il sacrosanto diritto di trasferire i nostri pensieri più inconsueti ed ingarbugliati su carta. Perbacco! E più essi saranno assurdi più il risultato si avvicinerà, metaforicamente, al casino da cui siamo circondati ogni giorno della nostra vita. Ma, al contrario di tali ed illustri antenati e proprio perché latini d’origine, all’ombra di una maestosa grammatica a cui, da sempre, siamo legati: giuro solennemente che rispetterò la punteggiatura. Anzi, la sfrutterò al massimo; punto e virgola compresi. E pure gli a capo. Anche a caso. Appunto. Tanto per non mettere in crisi la vostra cara Pazienza (con la maiuscola perché è una delle personalità che più stimo al mondo). Tuttavia non potranno mancare i tipici voli pindalici che caratterizzano un testo di questo tipo. Non spaventatevi, dunque, se non capirete perché dal palo si passa in frasca e dalla frasca si passa ad Apelle figlio di Apollo che fece una palla di pelle di pollo. Perché il bello di questo contenuto è proprio il suo essere diversamente sensato.  Il suo volere rendere pubbliche certe cose che spesso, il genere di mia appartenenza (e non solo) ha tentato inutilmente di nascondere. Ho deciso infatti di raccontare l’irracontabile, di esplicitare l’indicibile. Ho visto e sentito cose che voi uomini non potreste nemmeno immaginare... Blade Runner è una di queste. Se siete deboli di stomaco abbandonate questa lettura, qui servono persone con i tipici controcalzini; gente di bocca buona e dalle poche pretese. Persone capaci di ridere di sé e degli altri ma soprattutto capaci di ridere della vita in generale. E di questo mondo straordinariamente buffonesco, dalle sfumature assolutamente imprevedibili. Detto ciò, vi auguro ogni bene sperando comunque di non sconvolgere, in alcun modo, le vostre menti innocenti. Perché il mio intento non è e non sarà altro se non quello di divertire. Appunto e a capo.            
2   Odio il latino! Voglio dire, che senso ha fare esami di latino nel ventunesimo secolo? Che senso può avere leggere in metrica versi scritti più di duemila anni fa basandosi su pure e semplici supposizioni? É inconcepibile! E non ha neppure senso l'esame per cui sto studiando da più di un mese! Dovrebbero inserirlo come materia facoltativa, senza valutazioni finali. Se fosse da studiare per il puro piacere di farlo forse lo studierei con più interesse. Forse. In ogni caso credo che nessuno studente al mondo sia in grado di superarmi in quanto a figure al gusto di melanzana fritta. Detengo un primato ineguagliabile! Dopo due anni di esami quasi perfetti mi sono ritrovata ad essere stata cacciata, miserevolmente, dall'orale di Letteratura Latina nella maniera più vergognosa possibile. Quella mattina avevo provato il tutto per tutto; avevo preparato in quindici giorni un esame per cui, gli studenti normali, di tempo ne impiegavano almeno in quadruplo. Conseguenza logica; non sapevo una mazza. Il tutto si doveva basare sulla semplice, e oramai sacrosanta, legge dell'improvvisazione. Ricordo solo le labbra della professoressa che mi interrogava: erano rosso scuro e innaturalmente canottate per la sua non-giovane età. E dire che, sotto molti punti di vista, ero anche stata fortunata: mi interrogò su Ovidio, il più semplice dei tre autori che dovevo portare. Solo che... Non sapevo nemmeno da che parte cominciare! Quando agli esami mi faccio prendere dal panico sono solita sparare menate atomiche. Sono in grado di parlare per ore senza avere la minima idea di cosa io stessa stia dicendo. Quel giorno credo proprio di aver fatto così: «A quale declinazione appartiene questo sostantivo?». «Terza?». «Ma guardi la desinenza, quale caso è?». «Finisce per 'i'». «E quindi?». «La terza non è...quindi...la prima?». «Signorina, se finisce per 'i' quale caso è?». «Per capire il caso devo leggere meglio il contesto della frase...un attimo solo...» «...» «Quindi?». «Mah, non saprei potrebbe essere un ablativo?». «Un ablativo?». Continuammo così per, più o meno, venti minuti. E devo dire che la professoressa avrebbe dovuto ricevere un premio Pulitzer solo per la pazienza. Parlare con me quella mattina equivaleva a intrattenere una conversazione con un pony impegnato nella venerabile arte del tai chi. Io, personalmente, non avevo idea di quello che stavo dicendo. La mia mente continuava a ripetermi in maniera quasi autistica - voglio un diciotto, voglio un diciotto, voglio un diciotto - Cosicché fui anche sorpresa quando la professoressa mi bloccò, sconvolta, per dirmi: «Senta ma lei sta facendo una confusione incredibile! É così tanto confusa da essere riuscita a confondere anche me! Non sono più in grado di andare avanti, le garantisco che non mi era 3   mai capitata una cosa del genere. Lei ha assoluto bisogno di tornare qui quando si sarà calmata e avrà schiarito le idee...». Cos'era quello?  Un rifiuto?  Mi stava forse bocciando? Il mio orgoglio non poteva di certo accettare un simile affronto! «Ma lei non mi ha nemmeno chiesto le altre traduzioni...La Letteratura....provi a chiedermi quella!». Nello stesso istante in cui avevo parlato sapevo di aver sganciato una bomba atomica: Letteratura o non Letteratura quella mattina non sapevo proprio niente! «Ma se lei è insufficiente su questa parte, per me, non può essere sufficiente sulle altre… Avevo anche scelto un verso estremamente semplice». «Ma... Nemmeno diciotto?». Se ci ripenso, ora, mi viene da ridere: ho supplicato per avere un diciotto ben consapevole che la mia magnifica prestazione avesse raggiunto più o meno la barriera del dieci... «Nemmeno diciotto!? Non ha saputo distinguere nemmeno un ablativo della terza da un genitivo della seconda classe! Queste sono cose elementari...». «...» «Ma l'anno scorso lei che voto aveva ottenuto nella Lingua Latina?». «Venticinque...». «Ma l'ha dato con noi quell'esame?». A quel punto i suoi canotti si erano pericolosamente increspati come a dire: impossibile, un'ignorante del genere non può avere passato quell'esame con noi! IGNORANTE DA IGNORO (IN – NOSCO o qualcosa del genere = non sapere o non conoscere). Tiè, vedi dove te lo metto il latino? E comunque sì, quell'esame l'avevo dato con voi!  E avevo preso venticinque perché quella volta avevo studiato sul serio. E perché la suddetta professoressa aveva più senso dell'umorismo rispetto alle tue stupide labbra rosse pompate all’inverosimile! Dopotutto a che cavolfiore mi serve questo stupido latino nella vita? Vabbé. Adesso mi tocca di ristudiarlo e imparare pure a memoria le traduzioni così da non dover nemmeno pensare a niente mentre mi interrogano. Tanto tra non pensare a niente e pensare a caso non ci sono poi tante differenze. Peccato però; pensare a caso mi viene estremamente più naturale rispetto a non pensare a nulla.   Strano a dirsi ma, quella non è stata la figura peggiore che abbia mai fatto ad un esame; il mio numero migliore risale infatti alla terza media. Sono sempre stata una bambina prodigio. Sin dall’infanzia…  Avvenne il primo giorno d'esame, durante lo scritto d'Italiano. Erano ancora i bei tempi in cui agli studenti veniva richiesto cosa pensassero o provassero LORO. Non cosa pensassero o provassero persone super specialisticamente erudite e acculturate i cui pensieri muoiono accartocciati in stupidi ritagli di saggi o articoli. Ero abbastanza tranquilla quella mattina, in genere nei temi andavo molto bene. Scrivere mi è naturale; come bere acqua ogni mattina. 4   Infatti, sono estremamente stitica. Non bevo mai acqua fino all'ora di pranzo, generalmente. La dottoressa mi ha detto che i miei reni un giorno di questi imploderanno provocando un’onda d’urto pari all’effetto Doopler proprio perché bevo sì e no mezzo litro al giorno... Comunque, quella mattina mia madre si era svegliata presto apposta per comprarmi una bella pasta alla crema. Queste sono le cose in assoluto che amo di più degli esami e dei momenti difficili: le mamme e i papà che ti comprano cose dolci sperando di poter alleviare la tua ansia e la tua sofferenza psico-patologica. Santi genitori! Peccato che quella pasta mi sia stata dannatamente fatale.   Mi trovavo nella nostra aula insieme a tutti i miei compagni di classe. Ognuno era chino sul proprio banco, impegnato nell'arte dello scrivere. Mi sentivo fiduciosa perché il titolo del tema riguardava il mio futuro e, visto che non avrei mai più rivisto nessuno dei miei prof, potevo scrivere tutto quello che mi passava per la mente! Anche, soprattutto, cose mai pensate. Bugie ed invenzioni.  Tanto chi avrebbe potuto provare il contrario? Erano ancora i tempi in cui pensare al futuro apriva uno spiraglio meraviglioso nell’orizzonte della vita, uno sguardo sull’infinito e sulla certezza della gloria eterna.  Oh quanto eravamo scioccamente felici a quei tempi! Come al solito ero stata velocissima a battere giù la brutta copia e dovevo apprestarmi a trascrivere tutto sul foglio protocollo. Possibilmente in bella calligrafia. Pensavo che quel giorno sarebbe stato ricordato per le figuracce dei miei compagni di classe, non per la mia. A Max era squillato il cellulare mentre il commissario parlava, e una musica stupida da bimbominchia aveva continuato ad aleggiare per la classe per dieci minuti prima che il proprietario se ne accorgesse. Mentre Elio non si era presentato alla prova e quando i professori, preoccupatissimi, lo avevano chiamato lui aveva semplicemente risposto: «Ah, ma è oggi l'esame? Non doveva esserci tra una settimana?». Ma ci credete se vi dico che io sono riuscita a fare peggio di questi due? Avete presente quelle figure di menta (per non esser troppo volgare) supermega atomiche? Bene, allora state a sentire questa! Avevo appena finito quella cavolo di brutta copia, mi sono guardata attorno e ho notato che tutti erano immersi nel loro lavoro. Mi sentivo le mani e le braccia stanche per la tensione. Così ho fatto quello che tutti fanno quando cercano un nanosecondo di relax. Ho steso le braccia in avanti fino a sentire i muscoli tirare per il piacere, dopo di ché ho spalancato la bocca per sbadigliare. Un bello sbadiglio ristoratore. Peccato solo che non sia uscito uno sbadiglio ma un rutto. Un rutto. Un rutto enorme. Il rutto più grande che io avessi mai sentito in vita mia. Così rumoroso da staccare le cartine geografiche dalle pareti, da ridare l'udito ai sordi, da modificare l'asse terrestre. Ecco, direi che quella, esattamente quella, sia stata la figuraccia più grande che io abbia mai 5   fatto in tutta la mia vita. In quel preciso istante ho sentito cinquanta paia di occhi e visi increduli girarsi verso di me, a rallentatore. Stile matrix. Purtroppo però, io non potevo scegliere quale pastiglia ingerire per svegliarmi da quell'incubo. Morfeo era in vacanza. Ricordo di essere rimasta immobile per vari minuti, le mani ancora tese in avanti e la bocca spalancata per lo stupore. Ricordo che il professore minacciò di annullare il mio scritto ma ricordo anche che, alla consegna, non si trattenne dal sorridere appena mi vide. Ora provate anche solo ad immaginare quale sia la mia reputazione da queste parti; sono passati otto anni da quel terribile incidente. Ma almeno ho imparato che prima di ogni esame è sempre meglio fare una colazione molto leggera.   E andiamoooo! Ho passato quello stupido esame! Con quella stupida prof dalle labbra a canotto! Dire che io sia predestinata agli strozzini non ha limite, per tutto il resto c'è mastercard! Comunque sono felice come una pasqua perché adesso, ogni singolo esame sarà una passeggiata a confronto! «Allora signorina, lei ha ancora delle gravi lacune nella grammatica...» «Eh, purtroppo...» «Però ha saputo quasi tutta la Letteratura...» «Infatti...» «Quindi non le posso dare un voto troppo alto...» «Oh, non c'è problema, non si preoccupi...» «Allora le metto un 19!». Alla faccia del voto non troppo alto! Attenzione che potrebbe rischiare di farmi avere una borsa di studio per Honolulu da tanto è gonfiato sto voto! Che meretrice! Vabbè che non mi aspettavo un 27 ma cavoli, 19 lo si dà all'ape maya che non sà fare il miele! Io c’avevo messo l'anima per fare quell'esame! Vabbè, non esageriamo...Ma sapete cosa vi dico? Chissenefregaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa! libertè, eguialitè, fraternitè e, come direbbe Albanese; in tu culu a te! Per fortuna che esiste Ryanair a salvarmi da questo “male di vivere” come avrebbero detto i miei cari amici Leo e Ugo! (Scusatemi la finezza letteraria...) Comunque, trovare voli economicamente improponibili è una delle mie tante qualità, a parte quella di ruttare agli esami di stato, naturalmente. Siamo andate a Parigi con sei euro, a Bruxelles con 14 e a Malta con 66.  Infatti, a Malta, non avevo prenotato io. Le cose fatte da me si vedono subito: sono quelle fatte peggio perché sono le meno dispendiose. Faccio di tutto per pagare poco. Sono disposta a digiunare per giorni, in vacanza, pur di non spendere! Anche perché così, sono convinta, di dare più valore alle cose che faccio: volete mettere una pizza mangiata quotidianamente ad una pizza mangiata dopo quattro mesi? Tutto acquista molto più valore! 6   Come quella volta che abbiamo inventato un inter-rail ITALIANO. Avevamo appena compiuto diciotto anni. E diciotto anni significava prime vacanze senza genitori, le prime VERE vacanze della nostra vita organizzate completamente da noi! Dal momento che però i nostri genitori, molto saggiamente, non potevano concepire un viaggio all'estero come prima esperienza; siamo comunque riuscite ad ottenere una settimana in giro per l'Italia. Ripensandoci adesso, più che una visita nelle città più belle del nostro Paese, si è trattato di una gara di resistenza fisica sui treni. L'itinerario è stato all'incirca questo:il mio minuscolo paesello d’origine - Bologna, BolognaMestre, Mestre-Venezia, Venezia-Firenze, Firenze- Pisa poi di nuovo Firenze ed infine Roma, tre giorni della sola, intramontabile, incredibile e meravigliosa Roma. Naturalmente avevamo selezionato tutto con estrema cura. Guardammo i tragitti più economici e scegliemmo tutte le opzioni 'barbone style'. Con la conseguenza che, a prezzi bassissimi, compimmo viaggi di una lunghezza INFINITA su rottami che trenitalia spero abbia bandito dal mercato… Ci divertimmo un mondo a trasportare i nostri trolley in giro per le stazioni e a giocare a risiko formato-da-viaggio sui pochi intercity che eravamo riuscite a permetterci. Oh insomma. Alla nostra età cosa pretendete? Spendere significa due cose: 1) Sbandierare a destra e manca soldi non tuoi ma guadagnati faticosamente dai tuoi genitori. 2) Utilizzare con estrema, e ripeto la parola ESTREMA, riluttanza i soldi penosamente guadagnati d'estate con la raccolta delle pere. Sì, me ne rendo conto, può sembrare terribile. A voi borghesi di città che leggete sta roba sembrerà di parlare della schiavitù ai tempi del colera o del cotton-fioc… Ma le pere esistono ancora. Ebbene sì.  Mentre non hanno ancora inventato una macchina in grado di raccoglierle senza distruggerle. Siamo nel ventunesimo secolo; non esiste una macchina per raccogliere le pere ma esiste l’iphone.  Vabbè, i misteri della vita! Inoltre, dalle nostre parti i filari sono lunghi chilometri. Ve lo posso garantire. Oh, non potete immaginare quanto sia PIACEVOLE recarsi per otto ore, sotto il sole d'Agosto a sradicare quei frutti bastardi. E se c'è un frutto bastardo, quello è proprio il pir! Innanzitutto ti costringe a vestirti quasi come ad una sfilata di Dolce e Gabbana versione ‘sono molto transgender e lo dò pure a vedere’ che tu lo voglia o meno.  Cappello di paglia alla Sampey, stivaloni di gomma di quattro numeri superiori al tuo (se no non c’è gusto), camicia lunga cinque per tre metri e rigorosamente abbottonata sino al collo, guanti di stoffa a presa uomo-ragno e per finire pantaloni alla zuava abbinati a calze di lana lunghe copri-pelo. Perché si sa che durante il periodo della raccolta delle pere tutto è lecito e quindi le donne non si stanno a fare il mazzo per una depilazione perfetta…  Più pelo per tutti!  Vero è che se non ti vestissi a tal modo, dopo una sola giornata di lavoro, ti ritroveresti con le braccia e le gambe completamente escoriate e graffiate dai rami. 7   Questo tipico vestiario implica, naturalmente, il fatto che appena giungi alle tre del pomeriggio sul luogo del delitto: tu stai colando. Letteralmente! E non hai neppure cominciato! Ma coli a prescindere! Litri di sali ed acqua (detti anche sudorazione) ti scendono dappertutto ma questo è solo l'inizio! Perché cosa può esserci di meglio di essere madidi di sudore se non sentire addosso quella deliziosa polverina bianca e tutti quei veleni pulviscolari appiccicarsi sulla tua pelle? Oh, vi garantisco che se c'è una cosa che mi fa schifo è la condizione disperata della mia pelle quando raccolgo la frutta: arrossata, gonfia, lucida e bagnata e ripiena di schifezze di tutti i tipi. Uno spettacolo della natura! Da pulizia del viso eterna per la pura gioia delle estetiste! Senza dire nulla sull'odore che ti lasciano quelle maledette. Un odore infimo che impregna ogni vestiario che porti! Puoi provare a lavare gli abiti ogni volta che vorrai ma il risultato sarà sempre lo stesso! Quello schifoso odore non si toglie, è come un marchio di fabbrica. E anche se ti lavi fino a farti sanguinare la pelle e usi vestiti puliti, finisce che te lo senti addosso comunque! Al diavolo! Non farò mai la contadina! Anche se so che sarà il mio futuro certo e sicuro. Se studi Lettere nel ventunesimo secolo e per giunta in Italia cos'altro puoi aspettarti dal tuo futuro? Ma, come al solito ho divagato! Stavamo parlando del nostro primo viaggio in Italia: semplicemente meraviglioso! Venezia; na chicca! Se non fosse stato per l'hotel ad una stella, oltretutto il più costoso che aravamo riuscite a permetterci (ben 20 euro a notte)! Il problema risiedeva nel bagno e nel fatto che non ci fosse il condizionatore.  Risultato: durante la notte ci siamo sciolte dal sudore tanto che una delle mie colleghe ha dovuto alzarsi, bagnarsi completamente i capelli lunghi sott'acqua e cercare di dormire così sul cuscino per non morire di caldo. Non vi dico il disagio psichico e morale. Inoltre vista la conformazione del bagno e lo studio attento che l'architetto-geometra aveva dedicato ad esso era matematicamente e geometricamente impossibile riuscire a sedersi sul water senza incastrare le proprie ginocchia contro la doccia, per cui vi lascio immaginare tutte le possibili posizioni che eravamo costrette a prendere durante quei difficoltosi momenti. La scimmia alata, il babbuino volante, la gondola storta... E non chiedetemi del bidet! Come ben saprete solo nell'Italia che-se-lo-può-permettere esiste questa meravigliosa invenzione. Motivo per cui mi chiedo spesso come mai molti decidano di spostarsi all'estero quando il bidet lo abbiamo praticamente solo noi! Anche se la parola mi sembra di suono francese... I francesi manco ce l'hanno! Boh, certe volte non capisco le priorità delle persone... Mi piace ripetere che la gente è scema, forse perché lo diceva una canzone o forse perché così sopravvaluto un attimino me stessa sradicandomi dal mio perverso abisso di sottostima. LA GENTE É SCEMA! Ogni riferimento della suddetta frase è certamente casuale, per maggiori informazioni leggere attentamente il foglietto illustrativo. Non somministrare ai bambini al di sotto dei 8   dieci anni di età.   Firenze, beh si sa...É semplicemente magnifica.  Tutto in essa è pieno di storia, cultura e… Dante. Il toscano te lo ritrovi a destra e a sinistra, di traverso e in obliquo. Quasi la città rivendicasse il predominio sul suo oramai perduto esule che tanti danari avrebbe potuto fruttare se solo non se lo fosse lasciato sfuggire con tale ignominia. Si sono pure inventati la chiesetta di Beatrice, dove le pie donne possono ancora rifugiarsi per lasciare vani e vacui biglietti amorosi riferiti alle loro tristi storie d’amore. E la gente continua a lasciare poemi e aforismi da latte alle ginocchia!  Una visita l’abbiamo fatta.  Era d’obbligo.  Soprattutto quando hai al seguito trepidanti donzelle innamorate. Vale la stessa legge per Verona quando ti ritrovi (volente o nolente) ad attraversare il murales vivente di quella che era una volta la casa di Giulietta, come la finissima trovata della foto alla tetta destra della suddetta ragazza oramai corrosa dalle mani di famelici e allupati turisti. Sono certe piccole etichette alle quali ti devi quietamente adeguare. Essendo però molto pudica e non amando i petti femminili (a me basta il mio e sinceramente non abbisogno della visione di altri) ho preferito fare la foto con la statua mentre le ficcavo placidamente un dito nel naso.  Credo di essere entrata a far parte di un sostenuto gruppo di album di famiglia giapponesi con tutte le foto che mi sono state scattate in quel momento di inusitata gloria. Ma torniamo a Florence… L’emozione più grande rimane sempre quella di visitare la chiesa di Santa Croce con tutti i grandi personaggi che vi si sono rifugiati a dormire un sonno eterno. Ogni volta che entro non posso fare a meno di pensare alle parole di Foscolo nei Sepocri, e sentire sulla mia stessa pelle il valore di quei versi, il patrimonio di un'Italia lasciata lì a morire nella sua magnifica placidità.  Naturalmente siamo entrate alla funzione per non pagare il biglietto. Pagare per entrare in una chiesa è antitetico.  Trovo non ci sia niente di più ingiusto, anche perché Jesus stesso non avrebbe mai permesso una tale follia. Rendere un luogo di culto elitario è il contrario del messaggio evangelico, esattamente l'opposto. Perché così non accogli, al massimo allontani i fedeli. Questa fa parte di una delle tante stranezze della Chiesa fatta di uomini e regole.  Stranezze che non concepirò mai, nonostante abbia fatto la chirichetta per molti anni fissando in maniera torva tutti gli abitanti del mio paese dal mio alto scranno. Come le bancarelle dentro San Pietro che vendono souvenirs...  Mamma mia come ci starebbe che improvvisamente arrivasse Jesus e cacciasse tutti via a colpi di frusta urlando: “ La mia casa non è un mercato!”. Ci mancano solo i vu cumprà in giro a vendere rosari luminosi versione discoteca e santini fosforescenti. Tanto per trasformare definitivamente quello che è l’inno alla semplicità e all’umiltà in una banale legge di mercato. Comunque, tornando al nostro viaggio in terra fiorentina, ci sono alcune cose che non dimenticherò mai: l'uomo morto (o così ci pareva) davanti all'Ospedale degli innocenti, il barbone urlante che voleva venderci marijuna, gli studenti erasmus che ci invitavano a festini notturni: 9   “ Hei girls, come with us there is a wonderfull party tonight!” “ No thankyou” “ But why? It would be funny for you!” “ We are tired so we went home” A parte l'indecenza del mio inglese privo di connessione tra tempi verbali, un'altra cosa bellissima che accomuna le città d'arte italiane è proprio quella di non parlare mai l'Italiano.  É molto più facile ritrovarsi a parlare Inglese con stranieri che Italiano con Italiani.  Le nostre città sono invase da stranieri! E poi si ostinano a dire che l'Italia non potrebbe vivere di solo turismo… Ci vuole solo uno scemo a pensarlo!  A noi basterebbe tenere tutto sotto controllo, pulito e ben gestito. Un po' di pubblicità intelligente, qualche evento d’eccellenza e via! Ogni regione avrebbe da mostrare al mondo tantissimo. Credo. Tranne quelle regioni conosciute solo da pastori e antichi cultori della legge del malocchio e della jettatura. D’altronde si sa: Cristo si è fermato ad Eboli.   Un'altra cosa che rende altamente romantica la città di Firenze sono le centinaia di simpatici venditori ambulanti che si accampano sul corso principale della città, pieno di negozi chic e gente per bene, a vendere il loro cani elettronici e saltellanti...  Quale poesia vedere questi soggetti afferrare i loro grandi sacchi pieni di borse di Valentino, Prima Classe e Armani e scappare via come omozigoti di Bolt appena un carabiniere assonnato spunta all'angolo... Pura poesia. Queste cose non le ho raccontate a mia nonna, lei era di Prato.  Se gliele dicessi probabilmente le verrebbe un infarto. La sua cara Firenze depravata e oltraggiata: quale scandalo!  Per non parlare di Prato!  La nuova China town Italiana! Tutti i negozianti del paese vanno nei magazzini di Prato a comprare. La concorrenza è micidiale… Meglio una maglia a due euro che a duecento. Tanto a fabbricarla sono sempre gli stessi paesi del terzo mondo. La differenza sta solo nel nome di chi la vende. E nell’intelligenza di chi la compra.   Dopo Firenze è stata la volta di Pisa. Credo che da questo momento mi caricherò gli insulti di tutti i suoi cittadini ma...  L'ho trovata veramente insulsa. Non ho altre parole per descrivere questa città. Nel senso che Pisa e Piazza dei Miracoli sembravano due luoghi completamente separati e indipendenti. Piazza dei Miracoli è semplicemente stupenda, geometricamente perfetta e biancalmente marmorea (certe libertà sintattiche ce le possiamo permettere solo noi autori).  Poi è inutile che vi spieghi il divertimento che si prova a fare le foto mentre si finge di tenere in piedi la torre: con le dita, coi piedi, col le mani, coi glutei...  La prima cosa che si vede arrivando sono proprio le centinaia di persone intente a sorreggere quella torre. Tanto che all’inizio non capisci nemmeno perché tutta quella gente si accalchi in posizioni assurde con le mani a sorreggere aria tanto da sembrare nella germania nazistica di Hitler. Poi, però, superato lo smarrimento iniziale vedi la torre e ti chiedi: “ Ma come diavolo fa a stare su?”. 10   Essa sfida ogni senso di gravità, ogni logica umana e divina mentre fiera e altezzosa si erge nel cielo…Storta come la mente di certe persone… Però, diciamocelo, il resto della città è assolutamente scamuffo, scontato. Proprio banale. Non me ne vogliano i Pisani, io abito in un paese sotto il livello del mare, di duemila abitanti a dir tanto il cui unico evento di una certa rilevanza è la nebbia che lo ricopre dal mese di ottobre sino al mese di marzo. Un paesino così piccolo che le persone sembrano inglobate in esso, prigioniere di una routine apatica, racchiuse nelle loro false e fragili sicurezze. Insomma, non è che sia meglio di Pisa. Ma almeno noi abbiamo un po’ di verde qua e là che lascia respiro. Abbiamo la poesia della campagna e gli odori della natura, letame compreso. Mentre Pisa, come tutte le grandi città, si avvicina molto al modello di Milano: edifici alti, grigi e asfittici costruiti da poveri geometri privati, sin dall’infanzia, del senso d’immaginazione. Basta, devo costringermi a zittirmi.  Non me ne vogliano i Pisani e i miei compaesani. La torre è fantastica. La sua pendenza è evidentemente segno di genio e follia e non può che ispirare fascino e ammirazione. Metafora incarnata del nostro Bel paese: bellezza e sfacelo. Ad ognuno il suo. Almeno voi avete quella, dalle mie parti l’unico monumento degno di essere riconosciuto è quello dei caduti. Viva la vita! Foscolo si è appena rivoltato nella sua tomba marmorea in Santa Croce.   Ma poi, per fortuna, c’è sempre Roma, Roma e ancora Roma. Com’ è possibile dire che non sia bella?  Com’ è possibile anche solo provare a paragonarla a Parigi o simili capitali europee? Roma è tutto.  É l’inizio e la fine, l’alfa e l’omega, lo splendore e il devasto, il vecchio e il nuovo, il passato e il presente, la sapienza e l’ignoranza… Quando giri per Roma ti pervade una stranissima sensazione: ti senti sempre a casa. In ogni momento, in ogni stagione, l’italiano a Roma si sente a casa. Sono fiera di Roma. E dei romanacci. Madre cara, quali accenti possono eguagliare quello romano de roma? Solo il Toscano. Ecco, mettetemi davanti un toscano, fatelo parlare a vanvera… Potrebbe essere l’uomo più brutto, ignorante, perverso del mondo…Ma se parla toscano: lo amo a prescindere. Sarà quella loro aspirazione di acche che ficcano a caso, quel loro modo di accompagnare al tono di voce gesti enfatici. Ma come puoi non amarli? Come? Ma tornando alla grande città cos’altro potrei dire se non che il nostro percorso si stava concludendo in maniera esemplare?  Non ci lavavamo mai.  E avevamo diciotto anni. Immaginate la puzza. 11   Solevo attraversare Piazza di Spagna e Piazza del Popolo col mio roll-on, di quelli delicatamente profumati, e davanti allo sguardo attonito della folla circostante me ne spalmavo sulle ascelle sudate una quantità indefinita ripetendo: «Meglio profumare per finta che puzzare per davvero». Bei momenti, quelli. In cui gli aforismi ti uscivano spontanei. Senza doverli per forza circoscrivere a facebook per imprigionarli in qualche pagina web con la speranza chi i ‘mi piace’ superino l’indifferenza e la disattenzione del mondo virtuale. Eravamo ancora vergini di queste diavolerie, ed eravamo felici lo stesso. Non te ne fregava assolutamente nulla dell’opinione pubblica. Anche perché non sapevi nemmeno cosa fosse l’opinione pubblica. Non che adesso, a ventidue anni, abbia capito cosa sia…O me ne freghi qualcosa. Tanto ormai con le piattaforme virtuali ci stiamo rovinando; the big brother is watching you. Constantly watching you. Siamo controllati, pedinati, perseguitati dal mostro del web che carpisce ogni singola informazione che noi caproni carichiamo.  Loro sanno tutto, ti offrono tutto. Non puoi nascondere nulla: né il tuo passato, né il tuo presente e tantomeno il tuo futuro. É una cosa che, a ben pensarci, spaventa moltissimo. Certa gente si rovina per quel sito maledetto. Che gioia immensa. E dire che, sotto moltissimi punti di vista, è la piattaforma più utile del mondo: puoi messaggiare e chattare gratis, inviare foto e video, tenerti aggiornato sulle news del mondo e dei tuoi amici e seguire tutti gli eventi che ti capitano nelle vicinanze. Anche io lo uso. Non sono il tipo di persona che perde preziosissimi strali di vita per visitare profili e farsi i mazzi degli altri, però per le mail gratis e per gli eventi mi torna estremamente utile. Anche lì basta darsi una misura di sicurezza: diventare dipendenti della tecnologia è terribilmente semplice.  In un batter d’occhio ti ritrovi ad essere completamente isolato dal resto del mondo, più interessato a ciò che si svolge lì dentro che a quello che si svolge attorno a te. Sono dei pali in faccia continui. E non solo in senso metaforico. C’è gente che c’ha perso tutti i denti davanti! Diventi così tanto di compagnia che i tuoi amici smettono di rivolgerti la parola; tanto quando sei con loro messaggi come se ti avessero fatto una puntura nevrotica alle dita della mano. Che te frega del mondo che ti sta intorno? Dei legami che avevi acquisito con così tanta fatica? Delle persone che hanno bisogno della tua comprensione e delle tue attenzioni per parlarti di qualcosa di serio? Ma, come sempre, sto uscendo dal melone.   Torniamo al sentirsi appena maggiorenni, liberi da ogni possibile legame o costrizione. Tutto quello che vedevi davanti a te era il mondo, in tutta la sua sconfinata bellezza e, naturalmente: i soldi che finivano presto.  Maledettamente presto. Quei bastardi dalle bancarelline pieni di souvenir se ne stanno lì ad aspettarti, con occhi famelici. English? Spanish? Deutchland? Quando capiscono che sei italiano vedono metà delle loro possibilità di fotterti andare in 12   fumo. Quel giorno volevo comperare una statua. Non un David in dimensioni naturali e marmo, anche perché nel trolley non ci sarebbe mai entrato… E, inoltre, visto il fisico da paura, non sarebbe arrivato a casa vivo: la bava corrode ogni cosa. No, desideravo acquistare una piccola riproduzione di Apollo e Dafne. Ne avevo vista un’immagine sulla mia guida Romana ed ero rimasta affascinata da quell’opera. Mi sentivo immedesimata nella scena: la donna sfuggente che pur di non concedersi al marpione di turno decide di rinunciare alla sua vita umana per divenire albero. Oh come sarebbe bello essere piante! Oppure aria, acqua o fuoco…O qualsiasi elemento naturale… Non avere sentimenti e librarsi nel nulla, nella più completa libertà di spirito e vita. Senza oggi e senza domani. Senza piaceri e dispiaceri. Senza scelte da prendere. Se fossi albero sarei salice. Perché è l’unico albero fatto all’incontrario.  E io mi sento molto contraria. In tutti i sensi. Comunque il tipo aveva subito capito la mia propensione per quel modellino: «Hey, sono 50 euro per quella statuetta…Sei spagnola?» «No, sono Italiana…» «Ah, allora visto che sei italiana sono solo 25 euro…». « No, è troppo…Ho un badget basso». «A quanto la vuoi?». « Dieci euro». « Scherzi? Da dieci euro a cinquanta?!». « Oh, io i soldi me li sono guadagnati a pere». « Pere…?». «Pere!». «…» «Non nel senso che mi faccio le pere…Nel senso che le raccolgo…». «Oh senti, il minimo che ti posso fare sono 15…». «14?» « Ragazzina, se te lo vendo a 14, per essere chiaro sappi che non ci guadagno nulla perché è il prezzo a cui l’ho comprata da magazzino…». Beh, io ci provo sempre. La comprai. La legge immortale di: ”Più di dieci euro, no grazie!”. Era andata a farsi benedire. Qualche pazzia bisognerà pure commetterla nella vita… Fu uno degli acquisti più felici della mia giovane esistenza. Ancora non sapevo che quella statua sarebbe diventata oggetto di studio per il mio esame di maturità. Il problema però divenne un altro. Prima dell’acquisto, nel portafoglio, mi erano rimasti quindici euro utili alla sopravvivenza dell'ultimo giorno e mezzo. Ora avevo una statua, due giornate intere da affrontare, ma nessuna traccia di cibo. Odio andare a prestito di soldi, quindi non dissi nulla alle mie compagne di avventura anche se loro furono molto gentili a tentare di offrirmi un lauto pasto quando io mi rifiutavo categoricamente di mangiare. 13   Fui però assai fortunata, trovai, nei meandri del mio zaino un meraviglioso sacchettino ripieno di prugne essiccate. Me lo aveva consegnato mio padre prima della partenza. Prima di qualsiasi viaggio mi lascia sempre qualcosa di assurdo da portare con me, e lo fa con quella faccina felice a cui proprio non posso dire di no. Mia madre è più concreta; dopo l’inter-rail italiano, sapute le mie disavventure, consegna di nascosto una banconota da cinquanta euro nelle mani sicure di una delle mie tante compagne di viaggio. Per accertarsi che io non muoia di fame.   Passai la serata osservando la barcaccia del Bernini mentre smangiucchiavo quintali di prugne. Il delirio si manifestò il giorno seguente. Il nostro treno doveva partire da Roma e condurci a Bologna in 4 ore di viaggio circa. Se non cinque. Ricordo benissimo come a Firenze incominciai a percepire la fastidiosa sensazione dello sfintere che premeva per evacuare sostanze possibilmente tossiche dal mio organismo… Il viaggio sino a Bologna fu un incubo.  Freddo sudore mi colava dalla fronte mentre tentavo disperatamente di tenere serrate le chiappe per non farne fuoriuscire nulla.  Galeotto fu il Mcdonald. E lo sarebbe stato ancor più se ora non abbisognasse di quegli stupidi scontrini razzisti che non permettono ai comuni mortali di entrare alla toilette se stanno male: solo chi compera hamburger pieni di grassi e succulente calorie, infatti, può accedervi. Peggio di una laurea ad honorem. Il problema era che, per quanto sia riconosciuta in tutto l'universo l'economicità del Mac, io non avevo soldi. E dire che non avevo niente di niente è poco. Non arrivavo nemmeno a 80 centesimi per permettermi uno snack alle macchinette della stazione. Questo sì che ti fa sentire giovane e cittadino italiano allo stesso tempo. In pochi secondi realizzi la cognizione profonda del male. Fortunatamente le mie amiche erano ricche e pure affamate. I loro vassoi ripieni di crocchette ed happy meal (perché si sa che alla fine i ragazzi e le ragazze rimangono affettivamente legati ai giocattoli del Mac) mi permisero di accedere ai wc dorati. Con quel pass la mia avventura si concluse nel migliore dei modi. Per farvi capire l’urgenza della cosa vi dico solo che feci appena in tempo a chiudere la porta del bagno… Analizzate con attenzione la frase e troverete le protagoniste di questo mio ultimo paragrafo. Ah, i poteri reconditi della scrittura e del linguaggio!   Mi aspettavano ancora lunghe ore di viaggio. Difatti, mentre le mie instancabili compagne avrebbero proseguito il loro percorso verso la madre patria io sarei dovuta salire su un treno diretto a Trento per raggiungere i miei genitori sul lago di Molveno. Altre quattro ore, questa volta nel relax più completo. Avevo perso ogni stimolo alla fame. Osservavo placidamente il profilo delle alpi che si innalzavano sempre più mentre un grigio cielo Settembrino mi ricordava l’inizio imminente della scuola.   Sospiro a pensare a quei tempi, a pensare ai banchi che tanto odiavo a quelle mura fasciste e 14   schifose. Ma che senso aveva alzare la mano per chiedere di andare in bagno? Cosa ci costringeva ad andare alla lavagna solo perché un prof lo richiedeva? Quale abominio peggiore poteva esserci nell’essere interrogati davanti a tutta la classe con l’unico e preciso obiettivo di farti perdere la poca fiducia in te stesso che possedevi? Ora che sono all’università assaporo la bellezza della libertà. La bellezza di potermi alzare quando mi pare e piace, uscire dall’aula solo perché ho voglia di litri di caffè, stare seduta in mezzo a centinaia di ragazzi e ragazze provenienti da tutto il globo. Sentirmi, in sostanza, completamente padrona di me stessa e della mia personale istruzione.   Oh Bologna, quale amore mi lega a te! Lo sporco dei tuoi muri incrostati, depravati, ridipinti e di nuovo riempiti di oscenità. La sfilza di punkabbestia appoggiati ai muri coi loro cani colossali che cagano ovunque sotto i portici, con birre in mano e sguardi inebetiti (questo vale sia per i cani che per i padroni). E poi quella confusione totale, quei colori, quella fauna umana prodotto di giovani ormoni pieni di idee, di lotte per un futuro che sembra così infame e distante… Ah, l’università, quale meraviglia! E quali persone! Studenti incredibilmente in gamba, pieni di idee ed iniziative vogliosi di cambiare il futuro… Professori, mentori incredibili dai preziosi insegnamenti di vita celati dietro a quelle antiche pagine ripiene di storia e cultura che costituiscono la nostra Letteratura. Oh Bologna! Peccato solo che esistano taluni tipi di esami…   Come quella volta che, completamente inebetite, io e la mia compagna di studi decidemmo di tentare Storia Greca. Le intenzioni erano le migliori: colmare l’immensa lacuna che affliggeva le nostre giovani menti. E scoprire, finalmente, quanto l’omosessualità avesse influenzato gli ateniesi rispetto agli spartani. E, soprattutto, capire se Leonida avesse o meno la tartaruga perfetta come quella di Trecento. Ma queste cose non le sapemmo mai. In compenso ci dettero da studiare tre manuali: uno sul concetto di Democrazia, una storia di tutti i maggiori pensatori e storici greci del tempo e per finire Lui. L’immenso, ineguagliabile, orrendamente enorme MUSTI. 850 Non so se avete capito bene… 8 5 0 Ottocentocinquanta Eighty Hundred and fifty. Pagine. Lo ammetto, stavo per farlo, stavo per chiamare il telefono azzurro. Poi però mi sono ricordata di essere maggiorenne, così ho optato per Striscia la Notizia. Almeno, loro, mi avrebbero ascoltata e magari avrebbero combattuto per i miei diritti di studentessa. Oppure mi avrebbero regalato un tapiro d'oro! Ho sempre sognato di avere un tapiro originale! Insomma, Storia Greca si è rivelata un'autentica palla. Anche perché se fosse stato un racconto avvincente del tipo: la distruzione di Micene, la traduzione del lineare A e del lineare B (anche se uno dei due credo sia ancora in fase di 15   studio), i miti e la realtà riguardo Odisseo e i suoi viaggi, le lotte ideologiche tra Sparta e Atene con le diverse modalità di governo, le conquiste di Alessandro il Macedone e le sue storie più torbide, le scappatelle della regina Cleopatra… Insomma, forse avrei gustato di più un tomo del genere. E invece no. Date, date, date e…date. Nomi, nomi, nomi e…nomi. Ma vi sembra possibile? E neanche fossero stati nomi semplici da ricordare! Poliperconte, Efialte, Fidia, Nicia, Cleone, Demostene, Alcibiade, Pericle, Tucidide, e Stavacca. Ma gettatevi da soli nel baratro di Sparta! Ma vi pare possibile una cosa del genere? Avevo scelto di studiare Lettere solo perché speravo di incontrare personaggi veramente fuori dal comune; gente fumata di brutto, rastoni pazzeschi, canne ovunque, pensatori di sinistra e cose simili… E invece, al corso di storia greca, mi sono ritrovata in questa enorme classe piena di nerd. Nerd pazzeschi. Avete presente i ventenni con la riga da una parte? Con le scarpe nere lucidate a nuovo? La valigetta ventiquattro ore e l’occhiale da vista anti-sesso? Esattamente. Ora provate a immaginare me e i miei compagni di corso più affiatati in mezzo a loro. Secondo voi ho seguito/capito una sola delle parole della prof? No, bravi. Ero troppo impegnata a sfottere i nerd che continuamente alzavano la mano chiedendo se le terre di Tolomeo primo erano state conquistate da Seneca o Ovidio secondo il parere di tal dei tali cugino di Romolo e bisnipote di Ponzio il pelato. Ma vi pare? Non mi sorprende che all’orale la prof mi abbia scanzonata davanti ai suoi adepti che ridevano di me e della mia ignoranza alle mie spalle. Credo che quella sia stata una delle interrogazioni più spiacevoli della mia intera esistenza… Dopo Latino, naturalmente. Arrivavo con un notevole ed imprevisto 28 dagli assistenti. La prof, dopotutto, fu clemente.  Dopo avermi sbeffeggiata, presa in giro e disprezzata pubblicamente davanti ad i suoi accoliti mi ha abbassato solo di tre voti il risultato. Sono uscita vittoriosa, dopotutto. Sparlare a caso funziona sempre. Anche se a volte ti rendi proprio conto che inventare non basta… Se la vì. Opa Italian Style.   Ah Parigi… La città più topa d’Europa. Non so di preciso perché decidemmo di farlo.  Era forse il fatto di frequentare il primo anno di università a farci sentire onnipotenti. Ebbi la fortuna di fare un incontro interessantissimo con una pagina web molto attraente: si chiamava RYANAIR. Non sapevo ancora che sarebbe diventata la risposta ad ogni mia domanda e bisogno. Un sabato sera, io e la mia migliore amica non sapevamo bene che fare, così cominciammo a visitare i voli a caso prese dalla smania di partire e andarcene via. 16   Tendenzialmente utilizzo una tecnica infallibile per scegliere i voli: vado in base al prezzo. Come quando sono in un ristorante, io non leggo mai le pietanze, io leggo la lista dei prezzi. Poco importa se poi mi ritrovo a chiedere al cameriere un bicchiere di plastica vuoto, acqua gasata o mezza porzione di bruschetta.  Mi rendo benissimo conto che questa sia una forma avanzata di paturnia socio-psicologica acuta che mi porterà, un giorno di questi, a vivere rinchiusa in uno sgabuzzino senza cibo né acqua e solo soldi da tutte le parti. Versione zio paperone povero-in-canna. O forse sarà proprio la crisi economica a salvarmi, chissà, magari!  Almeno avrebbe un risvolto positivo per la mia blanda prospettiva di vita. Immagino che Freud si divertirebbe un mondo a trovare le cause infime e preistoriche di questo mio disagio personale. Tanto, gira che ti rigira, la colpa è sempre dei genitori! Tanto meglio per i pazienti che sembrano sempre i vincitori e le vittime in questo modo!   Anche in quel caso, comunque, vinse la tirchiaggine. Apparve a noi come in sogno: Parigi a dodici euro. Sei euro andata. Sei euro ritorno. Dodici euro totali. Poi non dite che sono na schiappa in matematica… Io e la mia amica ci guardammo, un attimo dopo la visa di suo padre scheggiava in rete. Maledette tasse della ryan che ti fanno pagare 12 euro sulla carta di credito! Ma non ci saremmo fermate, non per 24 euro di viaggio a Parigi. Quella notte stessa dovevamo decidere in quante saremmo partite, così mandai un messaggio ad alcune compagne fidate: «Ti va di venire a Parigi per 24 euro? Rispondi sì o no entro stanotte». Erano le dieci di sera. Quando la Vitto mi rispose semplicemente: «Ci sono». Decisi che l’avrei amata per sempre e incondizionatamente. Veramente tanta, ma tanta stima. Ci sono amicizie che non si comprano, per tutto il resto c’è Ryanair.   Qualche mese dopo eravamo in volo, tre fanciulle completamente sprovvedute alla scoperta d’Europa. Possedevamo una guida precisissima, avevamo trovato l’ostello più economico di tutta Parigi ed eravamo pronte ad ingoiare il mondo. Di traverso, quasi come un flauto. Sull’aereo io mi sedetti un poco distante dalle altre e feci la conoscenza di una critica d’arte avvezza a viaggiare tra Bologna e Parigi. Esistono queste persone che ti magnetizzano. Le cui storie sono assolutamente incredibili. E tu continui a chiederti se parlino seriamente o si stiano inventando tutto. In entrambi casi le stimo profondamente. E credo in ogni loro singola parola. È lo stesso principio immortale di voler credere all’esistenza di Babbo Natale, della Befana e della Fatina dei denti. Insomma, se per tanti anni te ne hanno parlato, se hanno fatto film o scritto libri su di loro, se i tuoi genitori te ne hanno confermato l’esistenza perché non crederci? Devono per forza esistere. Punto e basta. Smettere di credere a certe cose sarebbe un po’ come morire o invecchiare spaventosamente. Non sono ancora pronta né per l’una né per l’altra cosa. 17   Comunque, Marie Victoire apparteneva a questa stravagante categoria, affascinata dalla nostra ingenuità e fanciullezza ci parlò del suo lavoro, del suo percorso universitario e delle sue esperienze come insegnante di storia dell’arte. La bava pendeva dalle nostre labbra.  Era una donna assolutamente affascinante. Arrivammo in un aeroporto imboscatissimo fuori Parigi di almeno un’ora. La tattica della ryan è infatti quella di guadagnare qualche soldino in più costringendoti a prendere le loro navette per raggiungere un luogo plausibile nel giro di poco. E per poco si intende, minimo-minimo, un’ora e mezza di corriera. Solo per farvi capire dove la ryan è solita sistemare i suoi magnifici areoporti. Ma io non la vedo mai come una cosa negativa, in questo modo ti è consentito di gustarti il paesaggio esterno alle città, vedere le periferie e le frazioni. Insomma, avere uno sguardo più ampio sul territorio. Bisogna sempre trovare il risvolto positivo nella vita! Marie ci indicò la via e si sedette di fianco a noi per tutto il resto del percorso. Arrivammo a Parigi a mezzanotte.  Non bisogna stupirsi, la ryan è una compagnia seria: visto che si risparmia sulla dose di carburante almeno che facciano gli orari a caso come piacciono a loro! Se no non ci sarebbe gusto. Arrivammo alle dodici, dicevo. Alle undici e trenta chiudeva la metro. Chiudette, ebbe chiuso, era stata chiusa, fu stata chiusa. Azzo. (Non vorrei mai esser troppo scurrile o questo diventerebbe un racconto vietato ai minori di diciotto). In ogni caso eravamo fottute; il nostro ostello era a Republique mentre noi, attualmente, ci trovavamo esattamente dal lato opposto degli Champs Elysee. Doppio azzo. Ma Jesus, che ci ama di un amore infinito, non aveva messo sul nostro cammino Marie Victoire senza uno scopo. Scoprimmo che il suo appartamento si trovava vicino al nostro. « Ragazze attraversiamo gli Champs Elysee di notte!» «…» « E’ una cosa che ho sempre sognato di fare ma da sola non mi sono mai attentata…». L’esaltazione era alle stelle, lo spirito di Indiana Jones si impossessò di noi. E ad esso si unì pure quello di Dora l’esploratrice.  Partimmo. Chiamai l’ostello e informai del ritardo, mi chiese a che ora saremmo arrivate.  Alle due, risposi.   Ci incamminammo alla scoperta dei viali notturni. Le luci dei negozi erano tutte accese e i commessi stavano cambiando le vetrine. Boh, loro lo fanno all’una di notte, non chiedetemi perché.  La strada e i marciapiedi intanto si stavano lentamente e uniformemente ricoprendo di barboni. Ammetto che rimasi assai impressionata. Non avevo mai visto una quantità tale di barboni ma soprattutto un atteggiamento così 18   svaccato.  Si lasciavano cadere a terra privi di sensi per dormire sul nulla. Nemmeno un abbozzo di coperta o straccio, cuscino o cartone.  Per terra come Dio li aveva pasciuti. Mah. A parte questo e il rumore sordo e snervante dei mini-trolley delle mie compagne (io uso sempre e solo lo zaino, i trolley mi danno da fare) in giro non vi era nessuno a parte noi, i barboni e i topi. Fu una serata indimenticabile e piena di simpatici incontri. Il primo avvenne nella magnifica Place de la Concorde da cui si poteva ammirare la Tour Eiffel in tutta la sua incredibile magnificenza. Un piccolo esemplare di roditore, che poi tanto piccolo non era, correva felice per la piazza cercando di confondersi con l’acciottolato. Lo osservammo sorridendo, consapevoli che la sua presenza era dovuta al fatto di avere la Senna di fianco. Proseguimmo il nostro cammino. Marie ci fece costeggiare i giardini delle Tulerie e ci portò di fronte al Louvre. Stavamo appunto costeggiando il Louvre quando, passando accanto a numerosi negozi dalle luci accese, vidi con la coda dell’occhio un rapido movimento. Era un Mcdonald. E quelli erano una cinquina di topastri. Mcdonald e topi. Topi e Mcdonald. Gridai per attirare l’attenzione delle mie amiche e insieme osservammo esterrefatte codesta scena teatrale. Adesso avevamo finalmente capito a cosa si riferisse Ratatuille e perché fosse stato ambientato proprio in Francia. I cuochi del Mac sono dei topi! Quel locale era pieno di topi! Lo sconcerto ci accompagnò durante tutto il restante tragitto.  La Walt Disney aveva forse altre sorprese da svelare a noi povere imbecilli così stolte da aver creduto che i cartoni non rappresentassero la realtà? Ne vedemmo poi altri, tipici topastri da rifiuti che scartabellavano in mezzo alle cartacce dandosi a turno coi vagabondi. A metà percorso facemmo una pausa e prendemmo una birra in un locale bombato di centauri allupati. Musica dal vivo compresa. Non c’era una donna in tutto il locale. Credo fermamente che Marie lo scelse apposta per svezzare tre ragazzine innocenti e caste come noi. Fu abbastanza imbarazzante ma anche molto divertente. Non riuscii a finire la mia pinta. La birra mi riempie terribilmente. Non vale la stessa regola per tutto il resto del mondo alcolico. Arrivammo all’ostello alle tre del mattino, stanche ma felici. Salutammo Marie sperando, un giorno, di poterla rivedere e ci coricammo pronte all’avventura francese. Non vedemmo più nemmeno un topo. L’unica cosa che ce li ricordava costantemente erano le zaffate di fogna che salivano dai tombini e ci prendevano improvvisamente alla sprovvista. Aria di Francia. 19   Eau de Merd.   Del resto del viaggio ho ricordi meravigliosi: il museo d’Orsey, l’Orangerie e il Pompideau. Uno più bello dell’altro. Da piangere. Sia per la bellezza che per la gratuità della cosa. Entravamo alle casse coi soldi in mano, i commessi ci guardavo ed esclamavano, quasi con gioia: «Your ticket is free». Free. Che bella parola, non trovate? Peccato non esista anche in Italia!  E pensare che nel resto d’Europa se hai sotto i venticinque anni puoi non pagare una mazza! Questo si che è un incentivo serio alla cultura e alla fruizione dell’arte! Mica come andare agli Uffizi che, a parte il fatto che sono leggermente noiosi se non si esclude qualche sporadico capolavoro e la stanza di Botticelli, io, studentessa di Lettere e Scienze della disoccupazione non ho nemmeno un’agevolazione e mi tocca di pagare dieci euro per vedere centinaia di quadri simili l’uno all’altro. Ma vi pare? Vabbé, per fortuna che esistono gli stranieri. Almeno loro sono più furbi. Così ho potuto osservare con attenzione alcune tra le opere più belle del mondo: l’assenzio di De Gas, il ballo al Moulin de la Gallette di Renoir, le ninfee di Monet, quella vacca maiala dell’Olympia di Manet e poi lei, l’opera più bella e innovativa di tutti i secoli: l’orinatoio di Duchamps.  Quale genio poteva concepire una cosa del genere?! Lo scardinamento di ogni valore artistico, la messa in discussione di cosa sia l'arte stessa, la realizzazione di arte come status mentale al di là dell'opera stessa. Innovazione e provocazione più totale. Spero di poter raggiungere tale finezza psichica, un giorno.   Comunque, di Parigi mi sono piaciute tantissime cose come mangiare una crepes alla nutella a Montmartre osservando gli artisti di strada alle prese con funambolie pazzesche. E visitare la piazzetta dei pittori e dei disegnatori di caricature. Ho trovato deliziosa anche la zona dei locali a luci rosse, zona Mouline Rouge e Folie de Pigalle.  Ho cercato disperatamente qualche indumento indecente per una mia cara amica. C’erano dei copri-capezzoli troppo fighi, a forma di cuore con i pon-pon.  Stavo per acquistarli, prima di leggere il costo: sei euro. Madre cara, con sei euro potevo permettermi almeno tre pranzi! Era un acquisto impossibile per i miei standard. Un’altra meraviglia di Parigi sono i cornetti caldi per la colazione, hanno un gusto soffice e burroso e sono completamente diversi dalle nostre paste. Lo stesso vale per i pic-nic al parco fatti di baguette e prodotti tipici francesi. Quello fu uno dei pranzi più belli della nostra vita.  Tutto selettivamente comprato al supermercato nella zona dei prodotti francesi e bretoni Doc. Bella, davvero bella città.  Peccato solo che l’Italia le dia dieci a zero a prescindere. Anche perché metà degli architetti e delle opere là presenti sono italiane. Vabbè, alla fine siam tanto vicini tra noi che un minimo di corrispondenza amorosa era necessario vi fosse. 20   In una sola cosa pecca l’Italia: dalle nostre parti non esistano assolutamente cimiteri come quelli parigini.  Io davvero non lo credevo possibile. Quando la mia cara amica mi disse: «Che ne dite di passare la mattina al cimitero di Pere Lanchaise?». Inizialmente pensai scherzasse. Vuoi per il fatto che abitiamo in un paesello che, ad un cimitero, ci assomiglia maledettamente oppure perché trovavo, e trovo tutt’ora, che i cimiteri siano veramente dei luoghi cupi e noiosi di una nostalgia assoluta (tranne quando leggo Foscolo, perché appena lo faccio mi esalto ed ogni giardino del silenzio diventa per me una nuova casa materna ed accogliente).  Beh, evidentemente non ero mai stata a Pere Lanchaise.  Fu la visita più appassionante di tutta la nostra vacanza. Ricordo che quella mattina faceva caldo e il sole splendeva alto nel cielo.  Non vi era alcuna presenza umana. Vivente si intende… Entrammo attraverso un enorme cancello e notammo una cartina che mostrava le varie sepolture di alcuni dei personaggi più illustri di tutta Francia e non solo: Delacroix, Gericault, Modigliani, Oscar Wilde, Jim Morrison, Gustave Doré e moltissimi altri. Ricordo che rimasi completamente attonita per due motivazioni: innanzitutto non scorgevo, volgendo la testa a destra e manca, alcuna fine di quell’enorme non-luogo.  Enormi viali dipartivano in ogni direzione mostrando strani percorsi che si addentravano nel folto di boschetti, fontanelle e lapidi di ogni tipologia e dimensione. In secondo luogo, chi mai avrebbe creduto che un tale posto avesse racchiuso la salma eterna di cotali ed illustri personaggi? Ognuna di noi scelse le lapidi da visitare, inventammo un gioco; senza utilizzare la cartina avremmo dovuto individuare i personaggi famosi e farne la conta.  Vinceva chi ne trovava di più. Ci venne la brillante idea di dividerci, dal casino che facevano i trolley delle mie compagne sull’acciottolato credetti, scioccamente, che non le avrei mai potute perderle d’udito.  Ma, evidentemente avevo fortemente sottovalutato le dimensioni di quel luogo. Ognuna di noi si addentrò in una differente zona del cimitero e la caccia ebbe inizio. Inutile dire che vinsi io. Barai miseramente, perdendomi più di una volta e trovando un’altra mappa da cui segnai le posizioni dei personaggi che più mi interessavano… E, soprattutto, la porta d’uscita visto che prevedevo non sarebbe stato semplice fare ritorno al punto di partenza…E non è piacevole rimanere rinchiusi in un luogo da dove non potresti più tornare vivo. Mamma mia, gelo.   Ricordo benissimo le strane sensazioni che mi pervadevano mentre attraversavo questi luoghi immensi. Era evidente che vi era una gara in corso e non tra me e le mie compagne di viaggio, ma tra i residenti della zona. Ogni tomba faceva a gara con l’altra per la magnificenza, l’originalità e le dimensioni. Piramidi, sfingi, enormi cherubini, mausolei, templi greci, finti altari ed are, navi, case vere e proprie: tutto era un’ostentazione di gloria e potenza.  Tutto era decadenza più completa. Grosse crepe attraversavano le lapidi da parte a parte, il muschio cresceva ovunque devastando quelle opere architettoniche. E tutto questo mentre enormi corvi neri come la pece gracchiavano posandosi placidamente su di esse. 21   Non nego, nella mia solitudine di vagabonda che quel giorno sentii, più di una volta, lunghi brividi attraversare la mia schiena. Sembrava tutto così assurdamente irreale. Così fuori dal mondo. Mi sentivo proprio entrata in uno dei romanzi di Edgar Allan Poe, quei tipici romanzi che ognuno di noi comincia a leggere senza finirli mai. Perché ti assale un’ansia ma un’ansia di quelle che non te le levi più di torno… Un’angoscia tale da dover riparare i danni cerebrali con letture facili e tranquille come: Impariamo a riconoscere gli animali, Dora l'esploratrice 2 la vendetta e cose simili… Ma dovevamo sbrigarci, quello era l’ultimo giorno a Parigi ed andava sfruttato con la tipica giornata ‘a caso’ per le vie più oscure della città.   E sarebbe stato tutto meravigliosamente perfetto se non mi fosse accaduta una cosa assurdamente priva di senso; proprio quel giorno, mi spuntò la coda. Una coda vera e propria! O almeno questa era la spiacevole sensazione di compressione che percepivo nella zona lombare. All’inizio non vi detti peso. Calcolai che la pressione dello zaino enorme sulla zona finale della mia colonna vertebrale e la cintura tarocca di Louis Vuitton (se si va in Francia non si scherza su codeste cose) avessero provocato sulla mia pelle un qualche spiacevole arrossamento. Ma, man mano che camminavo e prendevo coscienza del mio dolore, mi rendevo conto che quello strano fastidio era interno e non esterno. Pensai allora che fosse un enorme brufolo. Si sa bene che quei maledetti hanno la spiacevole abitudine di spuntare nei momenti più errati e nei luoghi più oscuri. Notai che certe posizioni, da seduta, erano per me impraticabili. Ma resistetti, nella totale speranza che tutto sarebbe scomparso. Ho la tendenza ad essere altamente superficiale in una quantità più che ampiamente elevata di situazioni. Tornata a casa però, nella mia Italia, quella spiacevole sensazione non dava segni di voler cessare.  Davanti all’enorme specchio del bagno cercai disperatamente risposta ai miei interrogativi e, in effetti, proprio al limitare della mia colonna, all’imbocco col deretano, vidi che qualcosa di strano stava spuntando. Il panico si impossessò di me. Che mi stesse sul serio crescendo una coda? Che mi stessi trasformando in Dragon Ball versione prima serie? Quella notte mi rigirai nel letto disperata, tentando con ogni forza di costringermi a dormire, piansi a lungo senza trovare soluzioni. Il dolore stava diventando sempre più insopportabile. È esattamente quel tipico dolore crudele che parte in sordina, poco meno di un fastidio per poi aggravare lentamente, con una costanza ed una forza impareggiabili. Davvero sembrava che l’osso tentasse ad ogni modo di uscire dal mio corpo, spaccando la pelle e devastando i miei muscoli, organi e tessuti nervosi. Durai fino alle tre del mattino, continuando a ripetermi che, dopo una bella dormita, tutto si sarebbe sistemato. Ma così non fu. Dovetti rinunciare al mio stoico e integerrimo comportamento. 22   Piangente e disperata uscii dalla mia camera e tentai di trovare conforto in cucina, con un cuscino, e sulla sedia. Raggomitolata in tutte le posizioni possibili e immaginabili, con la speranza che il dolore sarebbe prima o poi cessato. Per fortuna esistono le mamme.   Le mamme possiedono un sesto senso: il mammito. Il mammito è un radar potentissimo che capta ogni più piccolo e insignificante segnale trasmettendolo al cervello-madre. É un collegamento privilegiato tra madre e figli. Lo si acquisisce come punto bonus dopo l’avanzamento di nove livelli di dolore durante il periodo del parto. Un po’ come Super Mario. Mia madre percepì nell’immediato il mio disagio e ben presto la ritrovai in cucina al mio fianco. Si arrabbiò per il fatto che non le avessi raccontato nulla e mi riempì di niflam. Visto che non sono abituata agli anti-infiammatori perché non ne prendo mai, la mia mamma è ancora abituata ad usare il niflam per bambini. Ma in effetti ci sta. Contando che l’effetto lo fa sul serio. O forse è per il fatto che io sono rimasta una bamboccia? Mah, essere o non essere. Questo è il problema. Di lì a pochi minuti il dolore si attenuò sino a scomparire. Ma mia madre fu irremovibile. Dovevamo andare dalla dottoressa. Sentii un tuffo al cuore. Dalla dottoressa?   Da pochi anni ero passata dal mio pediatra di fiducia a questa dottoressa. Era una donna estremamente pignola e attenta. Se ti sbucciavi un dito lei ti faceva spogliare e passava un’ora, sessanta minuti contati, a perlustrare ogni più piccola parte del tuo corpo, ogni più piccolo tuo difetto, ogni più insignificante discrepanza. La prima volta che mi vide fece uscire mia madre per farmi le tipiche domande imbarazzanti: «Sei mai stata incinta?» «No!» « Fumi o bevi alcol?» « … Per bere alcol intente in maniera continuativa? Perché ogni tanto nei week-end io e i miei amici beviamo alcolici…» «No, no tranquilla. Intendo solo il consumo regolare di alcol» «Allora no, tranne il lambrusco la domenica dal nonno ma non mi sono mai ubriacata in vita mia» (ero ancora una persona perbene a quei tempi). «Hai mai fatto uso di sostanze stupefacenti?» «No!».  I miei no, nel frattempo, erano saliti di grado e di intensità a manifestare il mio stupore a domande che trovavo totalmente insensate e altamente frustranti per l’integrità morale della mia giovane persona. Oh insomma!  Io sono una brava ragazza e di sani principi! Possiedo un alto valore etico e insegno pure catechismo ai ragazzi delle medie! Ma lei voleva insistere: «Tu sei di quel paesello nella bassa, ed è risaputo che in quel luogo il tasso di droga è molto elevato. Moltissimi ragazzi ne fanno uso e lo spaccio è il più alto di tutta la zona. Davvero non 23   ti sei mai drogata?». «Ma no!» L’interrogatorio incominciava a darmi sui nervi. La dottoressa mi chiese se avevo le mie cose, gli agrumi di scisciglia come amavo chiamarli, ed io assentii. Mi disse allora che non poteva controllare là sotto e mi consegnò un foglio per la palpazione al seno da fare almeno una volta al mese davanti allo specchio per individuare noduli e cose simili. Naturalmente mi chiese di tornare apposta un giorno in cui non avessi avuto mestruazioni per dare una controllatina lì sotto. Naturalmente, ogni volta che feci ritorno da lei, ero nel periodo di ciclo a prescindere e, il foglio con le palpazioni finì in un cassetto che non riaprii mai più. Ora, non fraintendetemi, so benissimo che la prevenzione è fondamentale soprattutto per noi donne e per certe parti del nostro corpo. Ma possedevo e possiedo tutt’ora quella sciocca e giovanile sensazione che la mia vita sia più o meno tendente all’infinito e al concetto di eterno. È la tipica malattia che tutti, prima o poi, attraversano nella loro breve esistenza. O, almeno, tutti quelli che si sentono invincibili, nel pieno delle loro forze fisiche e mentali e che non hanno mai avuto troppi problemi nella vita. Io faccio parte di questa categoria, me ne vergogno un poco perché so benissimo quanta gente stia male e mi stia maledicendo proprio in questo preciso istante. Mortacci mia. Ma se dicessi il contrario, beh mentirei. Ma tornando alla mia personal doctoress… Mi fece un intervista sulle morti di tutti i miei parenti e finito il questionario mi disse: «Tu hai un novanta percento di possibilità di morire di tumore, quando avrai venticinque anni voglio che cominci a fare la colonscopia per tenerti monitorata. Purtroppo le morti per tumore colpiscono soggetti sempre più giovani». E andiamo! Allora vedi che alla fine anche a noi crolla il concetto di infinito.   Questa serie di pensieri mi affastellava la mente ogni volta che pensavo alla mia dottoressa. E via che col vento! Fu tutto quello che riuscii a pensare mentre salivo in macchina. Pochi minuti dopo la dottoressa frugava nel mio deretano: « E’ una cisti…Una cisti interna che tu possedevi sin dalla nascita e si sta manifestando solo ora. Ti fa molto male perché si trova in una posizione estremamente scomoda e preme per uscire perché si deve liberare dal pus…» « Quindi è come una specie di brufolo gigante?» « Molto più profonda, non si sa mai dove finiscano le sue radici. In genere i chirurghi tendono ad inciderle per toglierle ma non si ha mai la completa certezza di togliere tutte le radici e quindi potrebbe rinascerne un’altra al suo posto» - « Cara, ti prendo immediatamente appuntamento al pronto soccorso e devi farti visitare da un chirurgo per vedere se ti convenga toglierla o meno. Le cisti sono una cosa primordiale che si ha dalla nascita, alcune sono esterne e rimangono lì per sempre senza fare molti danni, altre invece sono sottopelle e fanno molto male quando tentano di esplodere. Dentro puoi trovare di tutto; tessuti embrionali, unghie, capelli e addirittura denti. Parti di organuli e strani embrioni scarto della placenta di tua madre.» Ammetto che mi stava per venire il vomito. L’idea di evacuare pus ripieno di denti e capelli non era il massimo. 24   Prendemmo immediatamente appuntamento all’ospedale e fui visitata dal chirurgo. Proprio la notte prima la cisti si era aperta e per lunghi minuti aveva sgorgato liquidi marroni e puzzolenti, nessuna traccia di denti ed unghie, fortunatamente. Quella sera avevo messo tutto il mio impegno per sgorgare quella schifosa sostanza lontana dal mio corpo, l’avevo disinfettata con cura e, devo ammettere, che fui molto soddisfatta del risultato.  La cisti era sgonfia e vuota. Quando il chirurgo mi scrutò il deretano decretò che ero stata brava perché avevo fatto uscire tutto il liquido. Mi consegnò una crema e una terapia fatta di acqua calda alternata a garze disinfettanti dopo di che mi chiese cosa avessi intenzione di fare. Avevo solo due alternative: la prima era tentare l’operazione, sperare che i chirurghi mi prelevassero la zona totale senza tralasciare alcuna radice e ritrovarmi così a giugno con un secondo buco nel culo che andava ogni giorno medicato con garze e riempito di prodotti emollienti e caldi non senza una certa sofferenza. La seconda alternativa era fare finta di niente vivendo con la consapevolezza che un giorno o l’altro forse un dolore simile si sarebbe nuovamente manifestato e altro pus sarebbe sgorgato. E questo poteva accadere un’ora dopo come due mesi  o vent’anni dopo. Come sempre, scelsi la superficiale via del silenzio e del menefreghismo. Mi tenni la mia cisti, tanto da quando l’avevo sgorgata non mi dava più fastidio, e decisi di non rischiare un’operazione che mi avrebbe tenuta a letto per dei mesi con un buco enorme nel culo e senza la certezza che si sarebbe effettivamente sistemata la cosa. Ora a distanza di quattro anni devo dire che feci la giusta scelta. La cisti riposa in pace e non mi ha dato nessun problema, almeno sino a questo momento.   Comunque non so come la viviate voi ma io ho un bruttissimo rapporto con i miei limiti fisici. Odio andare all’ospedale o dal dottore perché in me non va qualcosa. Lo odio profondamente. Mi sento limitata, frustrata e umiliata. E ciò non si addice al mio temperamento violento e aggressivo perché, in quanto donna, io mi sento un super-uomo.  So che può sembrare insensato, ma so anche che siete in grado di capirmi benissimo… Godo di una splendida salute, corro e salto e pratico qualsiasi sport, non riesco a stare ferma non soffro praticamente mai e mi sento sempre più viva e forte ogni giorno che passa. Forse proprio per questo non sono abituata a sentirmi vulnerabile e reagisco malissimo. Come quella volta che mio padre mi fece trovare un pacchetto di integratori alimentari per colazione, dicendo: « Io e tua madre abbiamo visto che sei molto stanca e il tuo rendimento scolastico è calato. Il farmacista ti ha consigliato di prendere questi una volta ogni tre giorni…». Piansi tutta la mattina. Mi sentivo debole e inutile.  Una femminuccia sciocca e fragile che abbisognava di medicinali per andare avanti. Come quelle mie compagne di classe che tenevano astucci pieni di tachipirine, aspirine, boscofen o robe simili.  Che schifo! Ma che schifo essere uomini malaticci e vulnerabili.  E che schifo essere donne e perdere sangue ovunque e in continuazione.   Ricordo ancora quella mattina. 25   Avevo il ciclo da un paio di anni o forse meno. Non mi ero ancora abituata totalmente all’idea di indossare una sorta di pannolino rigido che bloccava le mie circonvoluzioni e mi faceva sentire a disagio con me stessa e con gli altri. Conosciuto nel resto del mondo come; assorbente. Quella mattina mi svegliai perché percepivo una strana sensazione sotto di me. La mia stanza era buia anche se le luci filtravano dal corridoio, segno che il resto della famiglia era già in piedi. Era estate. Mi ricordai di avere le mie cose e che forse quella strana sensazione era dovuta al fatto di aver strabordato in maniera eccessiva. Sbuffai perché non era la prima volta. Per quanto di notte io sia abituata ad usare doppio-assorbente purtroppo mi capita spesso di macchiare le mutande, il pigiama e a volte persino il letto. Sarà che, durante la notte, mi capita di ballare la salsa e la merenga a ritmo forsennato fino alla perdita più completa di sensi. Fatto sta che allungai la mano per monitorare la situazione. Come avevo immaginato la sensazione di bagnato non era una mia invenzione. Mi ero macchiata. Accesi la luce per controllare l’entità del danno. E per un attimo persi quasi conoscenza. Ciò che mi si presentò davanti andava al di là di ogni immaginazione. Avete presente una scena da vampiri? Di quelle dove il sangue scorre ovunque in stile Quentin Tarantino?  Ebbene, sembrava proprio che il caro Quentin avesse deciso di girare un film proprio da quelle parti! Litri di sangue occupavano il mio letto, un lago di rosso profondo trapassava la mia trapunta, il materasso fino a scendere nel legno della struttura. Avevo perso così tanto sangue da non capire come potessi essere ancora viva e, soprattutto, come fosse possibile che io stessi così assurdamente bene. Il radar-mammito si mise subito all’opera. Mia madre inizialmente mi sgridò, poi si rese conto dell'apocalittico mar rosso e consigliò di andare immediatamente a farmi visitare. Poi però, stupitasi della mia buona salute, si fece convincere dalla sottoscritta a rimandare ogni esagerato allarme per aspettare semplicemente che il flusso si attenuasse da solo. Quando andai in bagno controllai la situazione del mio caro mandarino (termine coniato successivamente ad agrumi di scisciglia: li usavamo alle medie per confondere i maschi) e rimasi orripilata nel constatare che l’assorbente era così esageratamente pieno di sangue in ogni centimetro cubo da rendere possibile la sopravvivenza ad un intera famiglia di sanguisughe. Bisnipoti compresi. Passai tutta la giornata in uno stato di confusione totale; dovevo riuscire a connettere le mie perdite assurdamente abbondanti, che peraltro continuavano imperterrite, col fatto che fisicamente mi sentivo benissimo. Questo mi spaventava più di tutto il resto.  Pensavo proprio che mi stesse accadendo qualcosa di terribile. La notte successiva, con ogni previdenza, mia madre mi stese una magnifica cerata sotto il corpo affermando che una volta poteva accadere un eccesso di perdita ma che se fosse avvenuto anche la mattina seguente mi avrebbe portata in ospedale senza un ‘ma’. 26   The day after tomorrow accesi la lampadina piena di speranza. Ma le mie speranze vennero immediatamente deluse; fortunatamente la cerata aveva bloccato il trapasso esagerato di quel Niagara in piena ma essa stessa si era immolata come candido agnello al sacrificio.  Una carneficina. Questa volta le preghiere non valsero a nulla, mia madre mi voleva dal ginecologo e subito. Per me si trattava di un vero e proprio affronto. Già andare in ospedale non era una cosa che io desiderassi con tutta l’anima e se dobbiamo aggiungere a questo il fatto che uno sconosciuto vada a frugare laddove io stessa non conosco nemmeno la conformazione del mio apparato genitale… Beh, mi pareva una cosa semplicemente sconveniente.  Fortunatamente l’uomo in questione non frugò da nessuna parte ma si limitò ad osservare attentamente le mie mutande comprese di assorbente e di tutte le schifezze che esso poteva contenere…   Ecco, io non capirò giammai chi decida di darsi alla medicina...Ma si può? Voglio dire, quale persona sana di mente vorrebbe trovarsi ad avere a che fare con schifezze immonde, porcherie inguardabili e pazienti psicolabilmente assurdi? Per non parlare dei rischi di contagio e, soprattutto, dell'altissimo grado di responsabilità. Eppure ai test, le file sono immense. Tutti, almeno una volta, devono provare il test di medicina. É un must. Se non lo fai sei out.  Oh, va bene. Si sscludano, naturalmente, le buone anime che lo fanno per vera passione, per sani principi morali ed etici o per sogni nel cassetto... Ma tutto il resto? Voglio dire, io i miei ottanta euro di test li spenderei per qualcosina di meglio. Tipo due giorni alle terme. E senza farmi il mazzo a studiare malattie epidermiche da vomito acuto. Poi, sia chiaro, ognuno viaggia per conto suo in questo tunnel illuminato ma, a volte, mi pare gironzoli una certa superficialità anche in queste materie... Insomma, non tutti nascono medici. Uno può essere bravissimo a scuola senza per forza tentare la carriera in medicina. Ci vuole uno stomaco di due metri di spessore per lavorare e vivere in certi ambienti. Insomma, la secchiona che sviene se vede un pochino di sangue non può permettersi di studiare chirurgia. Ci vuole pochissimo buonsenso. Se no, addio sanità. Quella mentale pure! Wella, alla faccia delle digressioni storico-culturali. Scusate, mi ripiglio e ritorno al mio assorbente.   Al ginecologo bastò uno sguardo per affermare che era normale avere tali scompensi dovuti agli ormoni in circolo. Mi somministrò una cura fatta di svacco e relax davanti alla tele e qualche pastiglia. Dopo un giorno il flusso smise la sua corsa alle rapide e, per ripicca, il mese dopo non si fece nemmeno vedere. Sinceramente, non me ne ebbi molto a male.   Comunque, non so a voi, ma a me questa cosa pesa un sacco. Ma proprio me la porto dietro come un fardello. Proprio non me ne capacito: quale colpa ho avuto io a nascer donna?  Sebbene dentro di me mi senta fortemente uomo, noto comunque tutta la fragilità fisica e 27   sociale dell’esser nata donna. E dire che mi è anche andata bene… Pensate se fossi nata nel terzo mondo dove le donne sono violentate, picchiate e usate senza alcun rispetto, dove l’ignoranza le rende paurose dal potersi e volersi ribellare e dove la loro condizione è di poco superiore a quella degli animali. Quei paesi dove minuscole bambine subiscono operazioni disdicevoli e talvolta mortali pur di non concedere loro nemmeno il piacere sessuale. Le stesse bambine che, ai limiti e in faccia alla pedofilia, vengono vendute dalle famiglie a uomini vecchi e pieni di soldi i cui lombi pendono pieni di brama e viagra. Quei mondi in cui il velo è la tua unica protezione e salvezza dove niente è permesso e niente mai lo sarà. Perché la legge e la società sono contro di te sempre e comunque. Ma possiamo anche avvicinarci alle nostre parti. Noi donne non possiamo uscire sole, di sera e notte nemmeno a pensarci.  Tra poco ci sarà impossibile uscire anche in pieno mattino. Ogni santo giorno ascolto il tg. Ogni santo giorno il marito uccide la moglie. Talvolta anche i figli. Migliaia, milioni di giovani impotenti davanti alla violenza fisica, psicologica e carnale. In un mondo in cui invece di insegnare all’uomo a trattenere e bloccare i propri istinti animali, si insegna alle donne come difendersi da essi. Ammetto che questa frase l’ho copiata da qualche parte.  Quasi sicuramente facebook. Ma era troppo bella per poterla lasciare a marcire su qualche bacheca sconosciuta.   É inutile, mi sale un nazismo incredibile (nel senso metaforico della cosa, non vorrei offendere alcuna etnia) se penso a tutti i soprusi che avvengono, sono avvenuti nel passato e che, purtroppo, continueranno ad avvenire. La nostra fragilità mi spaventa. Mi spaventa il fatto di dover vivere con la paura del prossimo, del non potermi mai fidare di nessuno, del non poter essere libera di andare dove voglio e quando voglio.   Ma poi… vogliamo poi parlare della SCOMODITA’ di nascer donna? Io e le mie amiche abbiamo avuto lunghe discussioni ed amabili dibattiti su questo punto… Ma alla fine, le mie ragioni, vincono sempre su tutto. Anche perché solo un portatore sano di deficienza potrebbe affermare il contrario, cioè che sia meglio nascer donna. Ma fatemi il piacere! A parte il fatto della fragilità e della minor forza fisica, che già mi danno da fare parecchio ma, nonostante tutto, potrei anche passarci sopra… Noi nasciamo col preciso scopo di soffrire. E sopportare, all’evenienza, tutto ciò che viene. Prendete, per esempio, il ciclo mestruale. Giusto per stare in tema e non passare di palo in frasca. Ogni singolo mese della nostra breve ed intensa esistenza, precisissime (a chi più a chi meno) quelle luride bastarde vengono a farti cucù. E tu, sorridendo le aspetti mentre gli ormoni sfrigolano sotto la tua pelle trasformandoti in  una sorta di mostro preistorico.  Ognuna, d’altronde, reagisce alla sua maniera:c’è chi si gonfia come un pallone, chi si ritrova a 28   trattenere o rilasciare più liquidi e solidi del dovuto, chi si arrossisce come un aragosta, chi si trasforma in un covo di pus e acne vivente, chi si ritrova i capelli effetto olio-al-tegamino, chi puzza peggio di una scatola di gorgonzola lasciata a marcire, chi si ritrova con un alito così piacevole da staccare l’intonaco dalla parete.  Insomma, il fisico diventa un vero e proprio cesso. Le donne col ciclo sono cessissime. E questo lo sanno bene. Lo percepiscono al cento per cento. Il disagio le schiavizza mentre tentano disperatamente di coprire le imperfezioni, spruzzarsi profumo ovunque, mangiare solo cibi sani e nascondersi sotto maglie e pantaloni che andrebbero bene solo ad un montone di quattrocento libbre e mezzo. Ma fossero solo questi i problemi! Vogliamo parlare del danno fisico? Molte donne soffrono come maiali privati della loro razione di cotechino. Urlano nelle loro stanze digrignando i denti, quasi l’utero si stesse contorcendo a formare una scultura di palloncini. Alcune sono costrette a stare a letto distese per almeno un giorno, prive di ogni forza locomotrice. Depravate della loro stessa femminilità. Altre, coraggiosamente, si dirigono a scuola o a lavoro tentando di trattenere gli spasimi di dolore. E qui i medicinali piovono da ogni dove. Una sola parola campeggia nell’aria ed è riconosciuta in tutte le lingue e in tutte le salse: BUSCOFEN, BUSCOFEN, BUSCOFEEEEEEEEEEEEEEEEN Lasciate ogni speranza o voi che siete senza buscofen. Quella magica pastiglia è in grado di alleviare il putiferio ormonale che avviene là dentro e di placare la sete di sangue e dolore. Mal di schiena, mal di pancia, mal di testa. Tutto è male! Va là mio caro Leopardi, ti garantisco che se tu fossi nato donna non avresti retto un singolo giorno della tua vita.  Saresti crepato prima di nascere, solo all’idea del dolore che avresti provato. E naufragar mi è dolce, in questo sangue.   Dico tutto questo riportando racconti veritieri e spaventevoli di anni di pijama e drinko party durante i quali codeste cose sono state pazientemente registrate e dattiloscritte. Anche perché io, a parte la mia sconvolgente avventura, non ho mai provato nulla di simile. Non perché sia un uomo o un transgender e quindi immune a tutto questo. Ma semplicemente perché non soffro. Sono una delle poche graziate a cui è stato concesso il benemerito di non patire dolori mestruali.  Per questo ringrazio Jesus ogni giorno, per questo sono grata a mia madre. Per quanto lei, da giovane, soffrisse molto. Però anche questa fortuna può avere i suoi lati negativi: non è esattamente piacevole scoprire all’improvviso e senza alcuna previsione del tempo che le tue mutande si sono improvvisamente colorate di rosso. Che, per quanto il rosso possa andare di moda, è risaputo che è sconveniente lasciare tracce in giro per le signorine. Riguardo a questo punto, avrei molti aneddoti da raccontare ma li riserverò ad un prossimo libraccio se mi darete il beneplacito di continuare nella mia missione di paladina del genere umano: maschile e femminile. 29   E, soprattutto, se vi sarete divertiti a leggere questa sorta di zibaldone di strani pensieri ed idee… Sia chiaro che il mio unico intento era quello di divertire e se per caso non vi fosse dispiaciuto affatto, vogliate bene a chi l’ha scritto, e anche un pochino a chi l’ha raccomodato.  Ma se invece fossi riuscita ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta! Ops, mi sa di averla già sentita da qualche parte. Vabbè. Tipico lapsus in fabula.   Ma torniamo al dolore: l’essenza dell’essere donna. Perché non abbiamo ancora parlato dei danni psicologici.  Avete mai notato quanto siano suscettibili, altalenanti ed imprevedibili le donne? Bene. Sappiate che se già di loro lo sono, col ciclo è peggio, molto peggio. È una sorta di furore indomito che le guida e le costringe a diventare belve. L’innata consapevolezza dell’ingiustizia di perdere sangue le fa reagire a tal modo. Vero che ogni tanto risulta essere una scusa utile, sinché gli uomini ci credono: « Scusami, ma sono in ciclo…» « Non posso, oggi è il primo giorno di ciclo….» « Non mi sento molto bene, sai, ho le mie cose…» E poi quanti problemi a livello di disagio e paure. Paura di macchiare sempre e ovunque. Paura di indossare pantaloni chiari nel periodo sbagliato. Perché dovete sapere che nonostante l’esistenza degli assorbenti, questi piccoli incidenti possono capitare benissimo. L’assorbente dovrebbe essere stato inventato apposta per trattenere ogni sporcizia ed impurità ogni monte, mare o fiume, eppure non sempre riesce nel suo intento. Con le ali e senza ali, interno o esterno, piccolo o extra-large, con la scritta ‘ho sete di sangue’ o meno…insomma ne esistono di tutti i tipi colori e profumi (perché si sa che oltre a perdere sangue quella sostanza viscida puzza pure! Tipo di ferro arrugginito). Una donna ha ampia scelta in tema di mandarini. Per questo esiste l’intelligente scissione tra quelle che sono arance, mandaranci e mandarini. Però è comunque scomodo averli. Estremamente scomodo. Vanno cambiati ogni quattro ore (se come no), quando si riempiono e sei in giro non sai mai come fare. Poi i bagni pubblici non ti danno la sicurezza che ti da il tuo bagno di casa, la sua intimità, la sua logica spaziale… Ti pulisci con le salviette intime fighe, ti guardi attorno alla ricerca disperata del pattume apposito per quei cosi schifosi e pieni di germi e: lo zodiaco ti sale alle stelle! Perché proprio non esiste un cavolo di pattume che possa nascondere l’orrore che hai prodotto! Vogliamo poi aggiungere un dato puramente economico? Costano un fracasso! Spendere soldi, da adulta, per dei sottospecie di pannolini!  Non vi pare un controsenso? Ma non vi rendete conto dello schifo?  E poi, vi pare possibile che anche nel mondo degli assorbenti esistano le ingiustizie? Ci sono gli assorbenti per ricche e quelli per povere. Gli Eeee sono quelli per ricche, quelli in lattice che costano cinque euro a pacchetto. Te li metti e rimani un attimo schifata dalla consistenza viscida, poi ti ci abitui fino a quando, all’improvviso, ti viene un panico da paura:   30   «Ommioddio ma ce l’ho o mi si è tolto?» Solo perché è così comodo che non lo senti nemmeno più addosso. Ma ci sono anche gli assorbenti da poverelle, quelli rigidi che non si piegano neanche se ci sbatti un cinghiale sopra. Quelli con le ali così dure da scartavetrarti la parte interna della coscia mentre cammini, tanto da dilaniarti la gamba e rovinarti cinque centimetri cubici di intro-coscia. Inoltre sono anche incontinenti, bastano due gocce che sembra un assassinio. Se quella famosa notte ne avessi indossato una così scarso probabilmente avrei macchiato anche i muri e i mobili della mia stanza. Tipico effetto schizzo. Ecco, se qualche coraggioso uomo era arrivato a leggere fin qui, credo sia collassato in questo preciso istante. Amen, selezione naturale. Ne rimarrà solo uno. E probabilmente si tratterà di Highlander. Peccato solo che, quella notte, non avessi con me un Eeee.  Sono fermamente convinta che avrebbe accumulato così tanto sangue da raggiungere le dimensioni di un pallone da calcio, pur di non strabordare e dimostrare di essere un assorbente griffato. Un assorbente da vip.   Un’altra cosa che denota il disagio femminile durante le mestruazioni è il fatto, appunto, di non essere mai sicura della resistenza del tuo personale assorbente, tanto che, ogni volta che ti alzi, hai già l’amica pronta e fidata che sa come fare: un cenno, un gesto col capo, un sorriso di incoraggiamento…  Io in genere vado sullo schietto: « Vai tra, non sei sporca» « Tranquilla, non hai strabordato» É proprio una malattia, una fissa. Se ti capita, anche solo una volta, di macchiare pantaloni, sedile della macchina o sedie da lì in poi è finita. Non ti fiderai mai più totalmente del tuo assorbente di fiducia. E il vostro rapporto si distruggerà sino a lasciarvi col complesso di Edipo per le macchie di sangue. Ma non è finita qui… Vogliamo parlare del rapporto donna-assorbente-acqua. Che sia la piscina, che sia il mare, che siano le terme…Le mestruazioni sono la morte! Perché sta pur certa che: per quanto tu abbia prenotato le vacanze entro una data precisa consultando prima il tuo lovecycles, per quanto tu abbia fatto la danza della pioggia per quel compleanno in piscina, per quanto tu ti sia impegnata a depilarti per 45 giorni di fila…Le mestruazioni lo sanno. Lo sanno da prima. Lo hanno sempre saputo. Lo dice anche il Liga. Anzi, ti vengono esattamente quando sentono pronunciare la parola acqua. A quel punto non ti rimangono molte possibilità: o ti recludi in casa a piangere disperando del tuo stato di salute e del mondo contro di te, oppure te ne sbatti e ti infili quindici assorbenti  con sopra ventisette paia di quei pantaloncini tattici che tanto piacciono alle lesbiche oppure ci provi, ti chiudi in bagno e ti impegni con tutta te stessa e tenti di infilarti uno di quegli schifosi assorbenti interni. 31   Quelle piccole ed innocenti supposte bianche. Ricordando, però, di tener ben fuori il cordino di salvataggio. Se no è la morte. Ci ho provato anche io una volta. A Malta. Saha. E’ l’unica parola in maltese di cui io abbia un vago ricordo. Significa una cosa tipo ‘arrivederci’ o ‘ciao’. Ricordo che sopra le istruzioni veniva spiegato esattamente come e dove infilare quel coso, perché si sa che noi donne, in quanto ad orifizi, abbiamo l’imbarazzo della scelta. Ricordo molto bene che una parola in particolare campeggiava sopra l’elenco interminabile di istruzioni RILASSATEVI. Come cazzarola faccio ad essere rilassata quando mi devo infilare uno di quei cosi per di là? Con la paura che mi faccia un male boia o che, sbagliando direzione, perda la mia virtù? Lo ammetto. Non ne ebbi il coraggio. Per di più, proprio nel momento di massima concentrazione, quando stavo per completare l’opera mi squillò violentemente il telefono. Per la paura feci uno scatto di quaranta metri e il piccolo missilino bianco volò per tutto il bagno fino a cadere per terra, riempiendosi di germi e disprezzo. Sembrava un piccolo cadavere, così, a terra, tutto macchiato di sangue rappreso. Ma che schifo! Mi faceva quasi pena…   Oltretutto con il fatto del ciclo non ti fanno nemmeno donare il sangue come possono invece fare gli uomini. Già il fatto che loro possano salvare più vite umane di noi mi fa salire la bile. Ma è anche vero che quello stesso sangue lo usiamo noi per dare la vita in altro modo. Quindi alla fine, forse da questo punto di vista, siamo alla pari. Senza contare il fatto che gli infarti, con tutto il riciclo di sangue che abbiamo noi ragazze, si manifestano soprattutto nella categoria maschile. Proprio per questo loro ristagno di sostanze globulari che noi invece smaltiamo durante il ciclo. Doveva per forza esserci un lato piacevole nella faccenda, uno che sia uno. Se no avrei chiamato Pangloss e Candido a darmi un giusto motivo per vivere. Per fortuna sono nata positivista anche io. Non si vede?   Ma andiamo avanti con la carrellata di giustizie ed ingiustizie. Vogliamo parlare del parto? Di quei nove mesi in cui la pancia ti si gonfia come un porcellino d’india mentre voglie assurde corrompono il tuo stomaco e la fisicità scompare completamente nonostante anni di palestra? Ti danno fastidio gli odori, cambiano i gusti e devi stare attenta a quello che mangi. La nausea ti assale all’improvviso. Per non parlare del momento clou. Prima ti si aprono le acque. Che detta così ti immagini Mosè che divarica le acque nel tuo utero. Nessuno però ha mai specificato che oltre ad accadere in maniera totalmente improvvisa e continuativa queste acque sono un mix schifoso di liquidi contenuti nella placenta e cose maleodoranti… E quel coso che hai nella pancia, quell’essere che abita dentro di te vivo di una sua vita, quella 32   creatura che si muove e ti calcia e ti picchia perché assolutamente non vuole venirci a stare in un mondo così…Beh, quell’esserino deve essere espulso in una qualche maniera. Ora, potete pensare che avere un bambino sia una cosa bellissima. E lo penso anche io. O meglio, lo penserò. Tra cinque anni, quando avrò finito l’università e avrò una disoccupazione stabile nonché abbastanza voglia e tempo per pensare a crearmi una famiglia tutta mia. Ma per ora lasciatemi indagare tutti i dettagli più orrendi, più scioccanti e devastanti del partorire un bambino.   La creatura deve uscire e tu la senti che scalcia tanto da sembrare Balottelli in nazionale. Che in panchina non ci sta nemmeno se gli permetti di togliersi la maglia ed esultare come un toro da monta. Corri all’ospedale e i dolori aumentano a dismisura tanto che, nei sei sicura, prima o poi ci morirai. Dicono che un uomo, per provare anche solo lontanamente il dolore del parto, dovrebbe ardere vivo e, forse così, capirebbe la condizione femminile. Vabbè. Non è un caso, d’altronde, che gli uomini con la febbre a 37, anche i più pompati e dandy si lamentino come femminucce e, sdraiati sui divani, mezzi moribondi, richiedano un servizio completo di cinque stelle alle dolci mammine e fidanzatine di turno. Bleah. Ma intanto quella creatura deve uscire. Possiamo tralasciare tutti i rischi che una madre incorre durante un parto.  Basti pensare che fino a non molti anni fa era ancora una delle cause di mortalità più elevate. E in alcuni paesi lo è tutt’ora. E siamo nel duemilaetredici. Nell’epopea dello sviluppo e della tecnologia all’avanguardia. E si muore ancora di parto. Non che non sia scontato, dal momento che quando non usi precauzioni, non hai nemmeno mai sentito parlare di educazione sessuale e come un animaletto produci figli a palate sciancandoti l’utero…Beh, forse è normale che in certi paesi il parto sia ancora così pericoloso. E che, in certi casi estremi, andrebbe mandato un aereo di quelli da pompieri in grado di caricare quintali di liquidi a sterilizzare metà del genere umano. Così forse i bambini smetterebbero di nascere per morire.   In ogni caso spesso i bambini non vengono fuori dal lato giusto, oppure il tuo buco già smisuratamente sbragato non risulta abbastanza grande per farci passare il marmocchio. Allora vai di forbici e di incisioni. Vai di cesareo e cicatrici a destra e manca, punti di qua e di là. Mi sono informata accuratamente, ho chiesto a delle mie amiche neo-mamme per avere la conferma: in quel momento hai le doglie e soffri così tanto che non ti rendi nemmeno conto di quello che ti stanno facendo. Potrebbero tagliarti per sbaglio tutto l’inguine e bucarti la pancia da parte a parte che non percepiresti nulla comunque. Potrebbero addirittura usare la pelle là sotto per costruire piccoli origami di carne, tanto non capiresti la differenza. Senza contare le figure di merda incredibili che sei costretta a fare. Di merda sì, in tutti i sensi. 33   Perché è risaputo che se non ti sei fatta fare un bel clisterino prima e il tuo intestino non è candido come una rosa a mazzodì ecco che, dallo sforzo di dare alla luce il pargolo, esce anche qualche altro ricordino. Scusate ma, d’altronde siamo fatti così. Come diceva la sigla di quel vecchio cartone animato. Tutti si deve cagare. E, il fatto che si nasca in mezzo alla merda è pura e semplice metafora di vita. Merdaviglioso.   Ma non solo si parla di dolore nel parto. Nel parto si parla anche di perdita di identità femminile. Perché le donne si trasformano durante l’espulsione del clone umano. Si tramutano in bestie. Gridano, digrignano i denti, graffiano e tirano pugni. I loro volti madidi di sudore esplodono di vene ovunque, gli occhi sono iniettati di sangue, i capelli unti per lo sforzo. Belve irriconoscibili. Non a caso si dice che l’uomo, assistendo al parto, perda ogni minimo appetito sessuale. E io dico: scema tu che ti fai accompagnare dal marito. Io non vorrei mai mi si vedesse in cotali disgraziate condizioni mentre sbraito come un maiale e mando a fancuore ogni singolo membro dello staff medico lì presente. Già il fatto di dover mostrare la mia virtù a tre o quattro persone sconosciute mi dà da fare. Ci manca solo che debba diventare uno show televisivo per la mia famiglia. Comunque. Sperando che tutto sia andato bene quell’esserino lascia finalmente il tuo corpo. E tu piangi di felicità perché non ne potevi proprio più e lo fissi intensamente chiedendoti come sia possibile che tu abbia dato alla luce una cosina così fragile ma così viva. Che poi, diciamocelo. I bambini sono veramente bruttini appena nati. Degli sgorbi sporchi di sangue e schifezze placentose. Però sono frutto del tuo dolore, della tua fatica, della tua sofferenza e… del tuo amore. L’unico problema è che: non è finita qui. Tu speri di esserti guadagnata la sessione di pausa del tipo: ho sofferto come una cane, sono completamente sbragata ovunque e ho passato gli ultimi nove mesi della mia vita a calcolare se ero più grossa io o il dirigibile del mio vicino di casa… E invece no! Non finisce mai perché l’ultima cosa schifosissima che accade alla donna partoriente e quella di vedersi tirare fuori dall’utero quarantasette metri quadrati di placenta. Questa sostanza nauseabonda e organica verrà poi monitorata pezzo per pezzo per controllare che sia tutta intera e nessuna parte sia rimasta incastrata nel tuo organismo (il che sarebbe altamente pericoloso) e come una mappa verrà dispiegata su te a mostrarti tutto lo schifo che in quei nove mesi sei riuscita a produrre. Complimenti! A te il premio come migliore produttrice di agglomerati umani. Da vomito.   Ecco, io ho la capacità di rendere orrenda anche la cosa più bella del mondo. Perché si sa che quando partorisci del male, del dolore e della sofferenza non te ne sbatte niente. Perché tu hai appena dato alla luce una creatura, la tua creatura. E per quanto sia bruttina la ami.  La ami più di te stessa.   34   Perché è frutto del tuo amore e di quello dell’uomo che ami. Perché, in un certo senso, l’hai fatta tu. L’hai desiderata tanto e ora la tua vita sembra avere più senso di prima, sembra essere più concreta. Proprio per questo gli uomini, sotto questo punto di vista, si sentiranno sempre inferiori. Nel senso che, come disse un simpatico sociologo al Festival della Filosofia, l’uomo sente il bisogno di dimostrare la propria mascolinità proprio a causa del fatto che non ha uno scopo preciso e ben definito come la donna. Mentre la donna ha lo scopo di dare la vita, procreare ed educare i figli, l’uomo non sa bene quale sia il suo ruolo e si sente inutile. Perché, in fondo in fondo, vorrebbe rimanere anche lui incinto. Vorrebbe un bel pancione tutto per sé. Ma questo non è possibile, ed egli si ritrova quindi a lottare per i suoi diritti di protettore e paladino della famiglia. Con la consapevolezza che, purtroppo, quel legame affettivo e sanguigno che lega madre a figlio non sarà mai lo stesso che lega il padre al figlio. Se la vì. Lo avrebbe detto anche Marie Victoire. La nostra compare franco-italofona. Alla fine soffrire ha quindi i suoi risvolti positivi. E la sua piccola rivincita sul genere maschile.   Se dovessi continuare ad elencare tutte le motivazioni che rendono impossibile un confronto uomo-donna alla pari non mi fermerei più. Di conseguenza, ho deciso saggiamente di circoscrivere la mia ricerca personale (costruita su 22 anni di esperienza tra mondo e ovile di casa) a pochi ma saggi elementi. Cos’è un’altra cosa che mette in crisi le donne e che fa loro perdere ore ed ore di tempo, se non giorni e settimane? La depilazione, of course. Non assumete quell’aria perplessa di chi pensa: Ma cosa vuoi che sia? Una lamettata e sei a posto… E, voi maschiacci non pensate nemmeno per un attimo: Vabbè cosa dovremmo dire noi con le nostre barbe da spiluccare ad ogni canto del gallo? Che i galli io li ho vicini a casa, mai una volta che cantassero sul serio al sorgere del sole…Vorrei proprio sapere chi sono quei geni che vanno in giro a raccontare certe cose… Beh, in ogni eventualità, se siete pirla mica è colpa mia. Nessuno vi ha mai obbligati a radervi ogni giorno. E poi l’uomo peloso fa molto di più. Quindi smettete di rendere mascelle mandibolate della consistenza del culetto di un neonato: le donne vogliono il pelo! Le donne amano gli uomini virili.  Anche perché se no rischiano sul serio di superarvi in quanto a pelliccia corporea. Vi è molta superficialità riguardo a codesto argomento: non ci si rende conto di quanto la depilazione sia un procedimento assai serio.   Ora, immaginate assieme a me: una bella ragazza che mangia un gelato, seduta su una panchina, con addosso un bellissimo abitino floreale, è estate. In lontananza scorge una sua cara amica a passeggio col cane e alza la mano per salutarla e avvicinarla. Sotto le ascelle: filari di pere. Con fiori e frutti compresi. Ci si potrebbero fare le treccine africane. Ammettetelo, la poesia è rovinata. Ma andiamo avanti, una bella donna davanti a voi in banca, è in fila e la vedete solo da dietro, 35   ha un buon profumo addosso che pervade l’ambiente ogni volta che muove i capelli ricci e perfetti con le mani ben curate. La donna si gira e, nonostante il sorriso smagliante e il volto allegro i vostri occhi non fanno altro che vedere quello: il monosopracciglio enorme. Per non parlare dei baffi; neri ed ispidi. Potrebbe fare a gara con Babbo Natale. Se li tingesse. Frida Khalo e Babbo Natale in uno. Avreste retto tale visione? Siate sinceri. Ma non finisce qui. Una coppia di fidanzati in macchina. La situazione si scalda e iniziano le carezze provocanti: lei stringe la schiena di lui avvolgendolo appassionatamente. Lui allunga una mano sul collo del piede e sale verso l’alto per toccarle le cosce. Della mano non rimane altro che un moncherino. Il resto si è scartavetrato e distrutto tentando di passare le zone impervie e pericolose tra caviglia, polpaccio, ginocchia e coscia. I peli risultano così invincibilmente potenti da distruggere almeno due strati di tessuto epidermico della mano del povero ragazzo. Ammettetelo: è l’anti-sesso per eccellenza. Ma il peggio lo si assapora al mare o in piscina.   Quelle donne che non si accorgono di avere delle scimmie attaccate al fondo schiena o nella zona del ‘dietro-coscia-tanto-sai-che-non-ti-vedo’ e, ancora peggio, i cespuglietti che spuntano dalla zona inguinale ad indicare che l’aiuola di Grignani non è stata accuratamente tagliata. Allora, non ditemi che passereste sopra a tutte queste cose. Non fate i finti galantuomini. Se a noi donne danno fastidio codesti pali di cemento, non immagino quanto possan dare fastidio a voi uomini. Anni fa era diverso. Anni fa Sophia Loren poteva alzare le sue belle ascelle piene di peli neri e vantarsene pure. Anni fa non esisteva nemmeno il concetto della depilazione. Ma oggi, nel mondo in cui l’unica cosa veramente importante è l’apparenza, tutti ci sottomettiamo alla legge della depilazione e la cosa assurda è che, a noi per prime da fastidio il pelo fuori posto. Ci hanno plagiati. Ci hanno corrotto le meningi. Per fortuna che esistono metodi, nel ventunesimo secolo, assolutamente efficaci e privi di dolore: la ceretta e il silk-epil. Ecco, appunto. Ora, per spiegarvi l’effetto di questi due fenomenali aggeggi potrei raccontarvela così: avete presente quando cadete per terra, vi fate una profonda ferita e perdete sangue? Ecco, immaginate di adagiare un cucchiaio di sale sulla ferita, spalmare con dolcezza il contenuto e chiamare una goat a leccarvelo. Meglio le torture cinesi della goccia sul cranio. In any case. (Perché dovrò pur essere internazionale per venire incontro a tutti gli erasmus che leggeranno questo manuale. A meno che non siano già impegnati in uno dei loro festini, naturalmente). Noi donne siamo abituate ad assuefarci di dolore e quindi, o che si faccia in casa, o dall’estetista l’importante è sradicare ogni forma di arbusto dalla nostra candida pelle. Con cattiveria, viene meglio. 36   Io se uso la ceretta urlo. Se uso il silk-epil canto, e stono pure.  Se no non c’è gusto. Le giornate di depilazione seria sono poche poiché mi piace assai, durante l’inverno, creare una vera e propria coltre di peli umani sul mio corpo. Che mi scaldi e mi protegga dagli agenti atmosferici. In certi periodi dell’anno assomiglio spaventosamente all’uomo di Neanderthal. Comunque,generalmente, decido di devolvere la mia giornata allo sradicamento totale delle sequoia adventure solo un paio di volte all’anno. Perché proprio è una pigrizia mentale la mia, più ci penso meno lo voglio fare. Anche perché, come minimo, so già che potrebbe impegnarmi dalle quattro alle cinque ore lavorative. La ceretta la uso poco, solo se necessario e nelle parti che più difficilmente espongo al pubblico. Come la scapola sinistra, la ventitreesima vertebra a partire dall'alto e i talloni. Il silk-epil, invece, lo faccio una volta ogni due settimane ma non supero mai la linea gotica del sopra-ginocchio. Non a caso tutte le gonne che uso d’inverno sono proprio studiate per non mostrare la peluria superiore.  Da vedere è una meraviglia, sembrano proprio due emisferi: uno illuminato dal sole e ben definito, l’altro così ripieno di peli da sembrare un buco nero. Ah, quale armonia di colori! Infine, lo ammetto, uso anche la lametta. É che proprio non riesco a trovare altre soluzioni sotto le ascelle. Mi mancano il coraggio e la determinazione. Ho amiche così insensibili al dolore da riuscire a passarsi il silk-epil lì sotto, nell'inguine e sui baffetti mentre cucinano con un piede parlando al telefono  con l'altro, e lo fanno senza accorgersene!Tanta ma tanta stima, sul serio. Io proprio, ci ho provato ma fa troppo male, mi sanguinano pure i bulbi. E allora penso; vabbè che devo essere liscia ma mica posso morire dissanguata! Immagino già il mio necrologio: morta a soli vent'anni per copioso dissanguamento sotto le ascelle, probabile causa: tentativo di suicidio dovuto alla perdita di rasoio. Ora, provate ad immaginare la situazione delle mie ascelle: crescono degli alberi con 27 doppie-punte (o rami se vogliamo mantenere la metafora), duri come il cemento armato e neri come la morte. Praticamente invincibili. Inoltre si espandono mese dopo mese. Spero solo che non arrivino, un giorno o l’altro, a trapassarmi la spalla o le magliette distruggendo ogni cosa troveranno sul loro cammino. Peggio del leviatano.   Insomma depilarsi è spiacevole, scomodo e richiede pure una masnada di tempo. Meglio sradicarsi tutto col laser in una volta sola. Molto più semplice. Se poi ripenso agli shock infantili dovuti alla mia pubertà, c’è da star male… Ricordo che incominciai a sviluppare i primi peletti (anche sotto le esene, come le chiama mio padre) alla veneranda età di dieci anni. Un decado. Me ne vergognavo moltissimo poiché, delle mie amiche, ero una delle uniche ad averli così evidenti e provocatori. E penso, oltretutto, che sia l’unica motivazione seria per cui una mora potrebbe seriamente rimpiangere di non essere bionda naturale. Lo sanno tutti che le bionde non hanno bisogno di depilarsi! Beate loro! I miei compagni di classe cominciarono a prendermi in giro e a chiamarmi scimmia o ‘la pelosa’ un epiteto terribile per una giovane fanciulla della mia età. Ne soffrivo molto, anche perché sapevo che mia madre mi aveva proibito, categoricamente, di 37   utilizzare la lametta o qualsiasi aggeggio simile prima di compiere tredici anni. A quel tempo ne avevo dieci. E peli neri sbucavano dalle mie ascelle fregandosene del colore lattiginoso della mia pelle. O della mia giovane età. Avrei dovuto aspettare almeno tre anni prima di poter agire in una qualche maniera. Nel frattempo, dovevo giocare d’astuzia: mentre ammiravo donne più mature indossare canotte inguinali con ascelle pure e limpide, io smisi di usare qualsiasi tipo di canotta e mi sacrificai alla causa delle t-shirt maschili. Quelle con le maniche così lunghe da arrivare fino al gomito senza troppi fronzoli. Le estati passarono così abbastanza incolumi. Lo stesso non fu per i saggi di danza classica. Come facessi a praticare uno sport tale proprio non lo so. Considerando che ho la leggerezza di un elefante in calore e la grazia di un pinguino monco direi che guardare i nostri spettacoli sia stato un vero e proprio spasso per i nostri genitori. Al di là di ciò, i costumi dei saggi finali erano sempre, rigorosamente, smanicati. Oltre che sempre, spaventosamente imbarazzanti. Ciò, comunque, significava ascelle al vento. Ascelle davanti ad un pubblico di centinaia di persone. Ascelle che si alzavano, piene di peli, a mostrare la gloria di madre natura. Ricordo ancora i miei pianti disperati:  « Mamma ti prego, solo per questo saggio…Lasciami usare quel tenero e piccolo rasoio se no tutto il pubblico vedrà i miei peli!» «Assolutamente no, non si vede un bel niente…Sei tu che esageri sempre!» « Mamma ma nessuna mia amica ha i peli! Solo io! Non posso ballare così davanti a tutti…» « Ti ho detto che prima dei tredici anni non ti depilerai! Hai tutta la vita per farlo e ti stancherai pure…quindi più tardi inizi meglio è per te!» « Mamma, ma sono nella fila davanti!» Le mie preghiere non valsero a nulla. Le battaglie con mia madre sono sempre state battaglie perse in partenza. Quella donna è troppo intelligente e cocciuta per poter esser fregata. Alla fine ballai insieme ai miei peli, ondeggiando sinuosamente come loro. Nel momento in cui dovetti alzare le braccia al cielo davanti chiusi gli occhi sperando fortemente che le luci avrebbero confuso l’effetto dei peli per ombre strane. Col senno del poi capisco la scelta di mia madre, anche se per anni non la perdonai. Quando hai dodici anni ti sembra davvero che il mondo ce l’abbia con te e che il tuo corpo sia la cosa più brutta del mondo. Un sozzo bubbone d’un livido paonazzo, appunto.   Ma vogliamo poi parlare delle fisse alimentari? Del fisico perfetto da super-modella? Del taglio di capelli che deve sempre assolutamente essere perfetto. A prescindere. Ricordo benissimo quando iniziai le scuole superiori, io povera campagnola di provincia buttata in una città enorme e sconosciuta, piena zeppa di malviventi e drogati. Traffico e congestioni nasali. Io nei miei abiti assurdi.  Ma come ha potuto mia madre permettermi di uscire in cotali condizioni fuori di casa? Zampe di elefante, magliette con l’ombelico scoperto, frangette copri-occhi improbabili? 38   Ma avevo lo specchio a casa mia? Ma lo vedevo che i colori che portavo addosso erano inconcepibili anche per Kandinsky e le sue tavole astratte? Mah, l’adolescenza. Lì sì che fu un trauma per una provincialotta di periferia come me scoprire che esisteva la perfezione del genere femminile. Quelle ragazze sempre belle e profumate. Sempre ordinate e alla moda. Con i capelli e il trucco perfetti. Sempre. La mia non era invidia, era pura e completa ammirazione del genere femminile e dei suoi disperati tentativi di dimostrarsi irraggiungibile, superiore e perfetto. Fisici spettacolari, ore ed ore di spinning e gag per togliere quel chilo invisibile in più. Pomatine anti-cellulite e buccia di arancia.  Beveroni alle verdure per regolarità intestinale e molto altro… Mi sentivo proprio su un altro pianeta. Mi sembrava di aver vissuto da sempre in un luogo sconosciuto al mondo moderno. Dove i miei compaesani, a confronto, appartenevano molto di più al regno dello scimpanzé. Io, che non percepivo altro che i miei enormi foruncoli gialli e rossi, la puzza delle mie ascelle di adolescente in crescita, il disagio del prurito che i vestiti provocavano sulla mia pelle, la pancia gonfia di schifezze e tutto il devasto di sentirsi proprio nella piena stagione ormonale. Mi chiedevo: come? Com’era possibile che, nonostante avessi la loro stessa età, questi problemi non le riguardassero? Com’era possibile che non avessero un imperfezione che fosse una sul viso? O meglio, riformulo la domanda: Dove trovavano quei correttori e quelle abcd cream che coprivano così bene lo schifo mascherato là sotto? E quei capelli! Che rabbia! Pioggia, aria, vento e neve: sempre perfetti! I miei sono sempre stati informi, privi di senso, spessi, enormi e così tanti da non contenerne…Non riuscivo a gestirli… E loro invece, sempre perfette. Tanta stima, ma veramente tanta stima. Perché solo noi donne, anche se inferiori e sciatte, sappiamo o possiamo concepire quanto e quale lavoro vi sia dietro a cotanta perfezione… Ore ed ore di studi. Rinunce, soldi e tutto per accontentare un canone televisivo. Il tutto per accontentare noi stessi e la smania di essere e risultare perfetti. Sempre e comunque.   Io sono nata sbagliata. La canzone degli articolo 31 mi ha accompagnata durante tutta la mia adolescenza. Sono sbagliata perché penso già come una novantenne da quando ho dodici anni. A cosa serve sbattersi per essere perfette? Da chi ti devi fa guardà? Sii felice del fatto che hai tutto e non ti manca niente, cura te stessa e il tuo corpo senza dargli maggior valore di quanto non ne abbia. Lascia le diete da insetto stecco a chi pesa quaranta tonnellate e tu mangia e godine pure! Fai sport per tenerti in forma e sfogare i tuo eccessi d’adrenalina! Fuma e bevi poco. Se riesci niente. 39   E non aspettarti che il principe azzurro ti scelga per l’aspetto. Se lo fa è un coglione. Un coglione azzurro. Come quelli dei puffi, quindi pure piccoli. Mamma mia, quanto sono volgare. Non sono così scurrile generalmente, ma non so perché qui mi sento libera di esserlo. Insomma: vivi! Non rischiare di diventare uno stampino del mondo moderno! Avrei voluto urlarlo a certe persone che si portavano dietro la loro perfezione. Avrei voluto gridarlo al mondo. Ma ero timida. Lo ero. Poi si cresce e, per fortuna, si cambia. E anche tanto.   Anche perché la fase del disagio passa: l’acne diminuisce per gradi celsius, la puzza svanisce e finalmente puoi permetterti di comprare i primi veri e propri profumi seri quelli con le pubblicità prive di senso. Mi son sempre chiesta perché le pubblicità più insensate fossero quelle dei profumi. Mah?  Mambo number five. Comunque, oltre a questi fattori, incominci anche ad acquisire la consapevolezza del tuo fisico e del tuo corpo. Saper gestire i materiali e i calori e trovarti a tuo agio con quello che indossi. L’effluvio ormonale si attenua e rimane cheto e sottomesso alla tua razionalità. Insomma, diventi grande. Un processo meraviglioso. E tutti i ‘grandi’ sanno che la perfezione è irraggiungibile. E lo capiscono benissimo!  Prendi, per esempio quelle tipe che si fanno rifare ogni centimetro pubico della faccia, o quelle che si fanno restringere lo stomaco…Oppure quelle che si fanno rifare il davanzale, compreso di fiori, o che si fanno affettare altrove chili di manzo in eccesso…E, il colmo dei colmi, quelle che si fanno ‘reimpiantare’ la verginità. Come se avere l’imene intatto determinasse il tuo stato di zoccolaggine. Non a caso, l’eminente Paris Hilton è una di queste… Insomma, sono tutte dimostrazioni più che evidenti di come le persone mature e adulte capiscano l’irraggiungibilità della perfezione, l’evidenza del declino, la bellezza del fiore che sfiorisce. Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior. Insomma, magari Fabrizione non lo aveva inteso per codesto argomento. Ma ci sta. Whatever. La ricerca della supremazia estetica non nasce oggi, anche se è proprio nello status moderno che sta trovando i suoi più numerosi adepti. Gente che muore per la ricerca della perfezione. Essa nacque dall’inizio dei tempi. Dai corpetti stretti fino alla morte per rottura di costole e diaframma. Dai vestiti enormi ed ingombranti del settecento. Bellissimi da vedere sì. Ma provare ad indossarne uno equivale ad appendersi in vita un’incudine presa direttamente nel negozio di Willy il Coyote. E a quei tempi, con quei cosi enormi, ci dovevano pure ballare! Quando già passare per le porte risultava un’impresa assai ardua. Per non parlare delle gheiscia e dei piedini da fata ricavati da scarpine distruggi e deformadita che ti sformano il piede fino a trasformarlo in una poltiglia informe. 40   Insomma, tutto questo per dire che nascere donna è un obrobrio. Uno schifo. Lo è sempre stato, e probabilmente, sempre lo sarà. No alternative. Se aggiungiamo a questo il fatto che le donne vengono anche più facilmente bollate degli uomini abbiam anche l’amarena sulla torta. Che, se avessi detto ciliegina sarei stata troppo scontata: «Ah, le donne non sanno guidare». «Le donne mancano di pragmaticità». «Le donne sono tutte delle zoccole». E via con i luoghi comuni. Mamma mia, il termine stalinismo non lo amo, ma dire che mi stia salendo rende l’idea della rabbia furente che potrebbe creare una vera e propria carneficina? Oibò. Oedì. Ma le cose stanno cambiando. Eccome.   Darwin la chiama evoluzione. Spirito di sopravvivenza e di adattamento all’ambiente. Al di là di provenire dalle scimmie o meno (io non provengo da una scimmia, se a voi come soluzione piace allora scimmie siate!) io lo chiamo; Segno dei tempi che passano. É un dato di fatto. Tutti lo sanno e ne fanno accenno. Ma nessuno osa parlarne sul serio. Tutti lo vedono, lo sentono e lo percepiscono.  Molti, i più anziani, fanno finta di niente.  E i più piccoli nemmeno se ne rendono conto, perché la vivono sulla loro pelle questa mutazione. Insomma, parliamoci chiaro. Al di là di tutte le barriere che un tempo potevano esserci e ora non vi sono più: è più che evidente che gli uomini si stanno trasformando in donne e viceversa. É un fattore evolutivo assolutamente logico, scontato, segno del cambiamento dei tempi e passato attraverso orgogliose lotte per la libertà e la parità dei sessi.  Dal 68’ in poi nulla è stato più lo stesso. O almeno questo è ciò che sento continuamente dire dalle bocche dei miei prof sessantottini. Il fatto che le donne abbiano ora gli stessi diritti degli uomini e le stesse possibilità le rende immensamente più indipendenti, slegate dal concetto ormai obsoleto di protezione, dipendenza dal coniuge, procreazione e via dicendo. Una donna sola, un tempo, veniva marchiata col timbro della colpa e della vergogna. Perdeva di dignità e rispetto. Ora è normale che le donne siano sole, single. Ora è normale starsene per i cavoli propri. Come gli scorpioni a merenda. E mentre il potere e la forza, sia fisica che mentale, delle donne accresce sempre di più…Quella degli uomini diminuisce poco a poco. Essi si trasformano in creature molto più insicure, impaurite e assai meno avvezze allo sforzo fisico e mentale. Questa è una vera e propria lotta di gender. La donna gareggia per la sua mascolinità, per i propri caratteri androgini. Basta vedere la moda del ventunesimo secolo: i vestiti non esistono più. Al loro posto ci sono calzoni a vita alta, camice e gilettini, giacche a maniche lunghe e accessori che un tempo erano segno incrollabile e supremo del genere maschile. 41   Ora a portare la gonna sono i maschietti. E non solo in Scozia. Ma un po’ ovunque. Prendete un esempio pratico e vicino a noi; me e mio fratello. Stessa corriera, stesso orario di partenza per la scuola. Lui si sveglia un’ora prima, di quest’ora cinquantacinque minuti trascorrono nel bagno. Lui e il bagno. Cinquantacinque minuti. La corriera la prende sempre per un pelo. Io mi sveglio quindici minuti prima della partenza del mezzo. Cinque minuti in bagno, contati. Arrivo in tempo per miracolo tutte le mattine. I miei genitori, tutt’ora, si chiedono dove e perché abbiano sbagliato.   Ma questo è solo uno dei tanti esempi.  Non a caso, oggi, si preferisce un partner del proprio sesso. Perché si ha, in un qualche modo, paura dell’altro sesso. Della diversità. Ci si sente più vicini ai propri simili. E così, le donne sempre più maschie, preferiscono la compagnia di altre donne. Mentre gli uomini, sempre più insicuri, trovano la sicurezza in un maschio più virtuoso. Tutto cambia. Tutto scorre. Panta rei. Un giorno o l’altro avverrà un ritorno alla natura. Ma totalmente diverso da quello di partenza. Finalmente Platone, da lassù, avrà l’occasione di vedere ciò che aveva sempre predetto nei suoi scritti: gli ermafroditi. Uomini e donne si mescoleranno tra loro a tal punto, da mutare il loro carattere genetico e diventare, così, organismi viventi da entrambi i sessi. In grado di autoprodursi. Non ci sarà più bisogno della ricerca dell’anima gemella perché ognuno basterà a sé stesso. Quattro braccia, quattro gambe, e due diversi apparati genitali assieme. Oh madre. Se ci penso sul serio, mi sconvolgo. Eppure la direzione del mondo è proprio questa, l’evoluzione sarà lenta ma infallibile. Necessaria. Se poi Platone non sbaglia, oltre a vedere cotanti esseri girare per il mondo, ci sarà da morire dal ridere su COME essi lo gireranno questo pianeta. Ruotando. Ebbene sì. Avete presente le ruote? Quelle circonvoluzioni che fanno le bambine nei parchi per mobilitare le loro abilità ginniche? Quelle che metà del genere umano non è mai riuscita a fare perché duri come paletti anglosassoni? Ebbene, gli antichi pensavano che le tante braccia e gambe degli ermafroditi non fossero state prodotte a caso, ma per garantire movimenti molto più rapidi e veloci di qualsiasi essere umano.  E quale movimento potrà mai essere più ampio e libero se non quello che sfrutta sia la potenza delle braccia che delle gambe? 42   Ahahahah. Oddio, sto immaginando la scena. Per le strade della città ruotano uomini-donne coi capelli al vento, magari mentre cantano. Si precipitano, sempre ruotando, nei negozi, si appendono le sportine ai piedi e se ne tornano a casa. Come facciano poi a far le scale non chiedetemelo. Questo è un punto che Platone ha saggiamente deciso di lasciare in bianco. Come le mie crocette ai test di chimica e matematica: risposta sbagliata equivaleva a meno zero e venticinque. Risposta bianca a nulla. Generalmente le mie verifiche risultavano spesso vergini. Così al massimo prendevo zero ma non vi andavo sotto!   Vi starete chiedendo, come forse vi chiedete da qualche tempo, perché io abbia raccontato cotali cose e anche così sconcertanti. Forse era perché avevo bisogno di sfogare certi pensieri e di rendervi partecipi di queste mie meravigliose scoperte. O forse perché, avendo rotto le balle di fieno ai miei amici per troppo tempo, adesso ho finalmente deciso di condividere con voi, oh sconosciuti, queste mie esperienze di vita. La cosa mi ha divertito moltissimo, ma davvero tanto. Anzi, man mano che rileggo queste paginette me la rido da sola. E forse vorrei che fosse proprio questo lo scopo di questo lavoro, se così posso definire una cosa che mi aggrada assai. Il lasciare un sorriso, il donare una felicità sciocca e forse momentanea al genere femminile, soprattutto, ma anche a quello maschile. L’offrire un menù diverso dal solito. Meno scontato. A prezzo pieno. Che forse, a certuni di voi, quelli più educati e pacati risulterà un tantino esagerato, volgare di modi e di tempi. Forse a molti letterati sembrerà carta straccia, scritto con i peli del naso. Alcuni magari lo giudicheranno anche provocatorio ed offensivo per la veemenza con cui sono stati trattati taluni argomenti. Ma la verità era che a me interessava soltanto divertirvi.  Avete presente quando arriva quel momento, nella vita, in ognuno di noi si chiede: ma io al mondo che ci sto a fare? Qual è il mio scopo? Qual è il mio fine? Ebbene io mi sono risposta mentre scrivevo.  Perché mentre lo facevo, e pure mi divertivo, incominciavo ad assaporare la bellezza e il senso della vita. Perché tutto quello che mi interessa davvero è far ridere gli altri, quelli che mi stanno intorno. Farli stare bene, farli volare con la mente il più lontano possibile. Staccarli da questa omologazione, da questa indifferenza e da questa patina opaca e narcolettica che invade le nostre menti. La gioia. Questa è la risposta a questo scritto. O il tentativo fallito di una pazza. E spero tanto, nel mio piccolo, di avervene portata almeno un pochino. Di essere riuscita a condividerla con voi. Perché ci siamo rotti dei racconti tristi, dei libri in cui anche le rilegature tentano il suicidio. Vi posso garantire che è molto ma molto più facile scrivere un libro quando si è arrabbiati col mondo, avviliti e confusi.
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celestica-1988 · 4 years
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"Se vieni dichiarato pazzo, allora tutte le azioni che dovrebbero dimostrare che non lo sei, in realtà, rientrano nello spettro delle azioni delle persone malate di mente. Le tue proteste costituiscono una negazione. Le tue paure, più che giustificate, vengono classificate paranoia. I tuoi normali istinti di sopravvivenza come meccanismi di difesa. E' una situazione in cui non c'è possibilità di vincere. In realtà, si tratta di una pena di morte. Un ergastolo. Una volta che arrivi qui, non c'è modo di uscire. Nessuno lascia mai il padiglio C. Nessuno. Eh, qualcuno l'ha fatto, certo, te lo posso assicurare, qualcuno è riuscito a uscire. Ma sono stati operati. Al cervello. Squish, dritto attraverso l'occhio. E' una pratica barbara, inconcepibile, e glielo dissi. Li ho combattuti, ho lottato contro di loro. Ho scritto lettere. E avrebbero potuto licenziarmi, sai? Avrebbero potuto sbattermi fuori o costringermi a dimettermi, farmi avere un posto da insegnante o persino da internista fuori dallo stato, ma non era sufficiente. Non potevano lasciari andare, semplicemente non potevano. No, no, no."
L’isola della paura, Dennis Lehane
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pangeanews · 4 years
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I consigli di Sir Arthur Conan Doyle per scrivere un capolavoro: “Storia forte, scritta con vigore, ricca di interesse umano, con situazioni assolutamente originali”
Continuo a meravigliarmi. Ci sono autori come Arthur Conan Doyle che più li leggi e meno capisci su di loro. Come si coniuga la sua creatura tutta fatta di nervi, tutta tesa alla logica, con il suo ideatore che invece credeva allo spiritismo? Perché Sherlock Holmes, quando non era angosciato da casi impossibili, si distruggeva con la morfina? Davvero era solo per eccitarsi mentre non aveva nulla di serio in mano? O era Conan Doyle che cercava di eliminare il suo personaggio? E per poco ci riuscì con un finale in cui Holmes cade giù per la cascata in un abbraccio mortale col suo nemico numero uno. Salvo che poi Sir Arthur C. Doyle dovette continuare a scrivere storie dell’investigatore perché così voleva il pubblico…
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Dicevo, di C. Doyle letteralmente non mi stupisce nulla. Quando giravo come pellegrino neomaggiorenne & speranzoso a Edimburgo comprai un volumetto che spiegava cos’era l’occulto per C. Doyle. Mi sembrò di un’estrema linearità. La complessità che dà vigore e spessore all’autore, che lo rende scettico al punto giusto verso la sua creazione di cristallo.
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Una delle stranezze riguardo la vita di Sir Arthur C. Doyle è che voleva essere ricordato per i suoi libri di invenzione e non per il suo investigatore morfinomane che suona il violino. Ad esempio, lui teneva moltissimo a The lost world che, per inciso, è alla base di… Jurassic Park.
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The lost world è del 1912. Dal 1902, l’anno del Mastino dei Baskerville, Sir Arthur era nell’empireo delle belle lettere e perciò quando nel 1908 Londra ospitò le Olimpiadi il nostro fu spedito a fare la cronaca. La vicenda è qui. Quelle Olimpiadi, a dire il vero, passarono alla storia perché il nostro Dorando Petri pur arrivando primo fu squalificato essendo stato sostenuto negli ultimi duecento metri da un medico e dal direttore di gara. Sir Arthur era lì e sfacchinava per Daily Mail scrivendo la sua cronaca. Era di luglio…
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Che tempi felici (o è la consueta idealizzazione del passato?) quelli in cui un autore affermato può scrivere in libertà di giornalismo sportivo senza passare per sfigato: “Ma ora la grande corsa si avvicina alla conclusione. Noi ci siamo. Aspettiamo in ottocento che appaia il nostro uomo, aspettiamo con ansia insoddisfatta e caotica, l’ansia delle masse. Ma lui deve pur sbucare da qualche parte… E però com’è diverso da quello che ci aspettavamo! Dalla strada spunta un uomo piccolino stretto nella sua tenuta ginnica, una sorta di piccolo adolescente. (…) Dietro di lui non compare nessuno. E qui un grande sospiro di sollievo. Credo che nessuno nel pubblico desideri che la vittoria vada all’ultimo istante ad altri che a questo piccolo e coraggioso italiano. Ha vinto. Era nell’ordine delle cose che vincesse”.
Ed ecco il finale con la grancassa: “Grazie a Dio, si regge ancora in piedi, piccole gambe arrossate che tirano avanti senza coerenza, spinte da una suprema volontà interiore. (…) Questa lotta tra uno scopo determinato e un breve spazio esaurito ha qualcosa di orribile e, allo stesso modo, di affascinante. Di nuovo, per cento iarde, il nostro corre col suo stile furioso e tuttavia incerto. E di nuovo sta per collassare allorché delle mani generose lo proteggono da una caduta al suolo rovinosa. Era a poche iarde dalla mia postazione. Tra figure gesticolanti e mani allungate, riuscii a cogliere uno scatto, un’immagine dell’uomo distrutto, della sua faccia color giallo dagli occhi invetrati e inespressivi, coi suoi lunghi capelli mori e ben pettinati. Certamente non ha più energia. Non riesce a sollevarsi. Cadrà ancora? No, barcolla, si bilancia e taglia il traguardo tra braccia amiche. È arrivato alla soglia di sopportazione umana. Nessuno tra gli antichi Romani si è comportato meglio di Dorando ai Giochi olimpici del 1908. La vecchia stirpe non è ancora estinta”.
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E ora un poco di letteratura che non guasta. Del resto, Sir Arthur voleva essere ricordato così. Eccolo che ci spiega, per la prima volta in italiano, chi era il miglior romanziere del suo tempo. (Andrea Bianchi)
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Arthur Conan Doyle, Il metodo inventivo di Mr. Stevenson, da National Review 1890
Da qualche parte, credo nella prefazione a Il principe Otto, Mr. Stevenson incide alla sua maniera giocosa, semi-onesta, un motto: vuol lanciare, per un verso o per un altro, questo libro o il prossimo, un capolavoro. E molti leggendo il suo ultimo lavoro, Il Master di Ballantrae, diranno che ha tenuto parola. Cosa costituisce un capolavoro? Storia forte e scritta con vigore, ricca di interesse umano, fatta di situazioni assolutamente originali – allora Il Master avanza i suoi titoli. Ma per sfortuna “capolavoro” è una parola di quelle nebulose: non c’è standard di Greenwich col quale misurare e verificare il genio. I critici contemporanei possono solo dare un giudizio dai loro punti di vista più o meno fallaci. E sul lungo termine la corte di appello deve pur essere l’opinione pubblica – un tribunale dal passo lento e pesante che necessita di almeno una generazione perché gli si chieda una decisione finale. Sua è l’ultima parola. Sbaglia raramente. O mai.
(…) Tenendoci stretti all’estrema fallacia della critica contemporanea, soppesiamo attentamente le nostre parole prima di parlare di capolavori. Pure, se l’intensa certezza interiore di un lettore simpatetico vale qualcosa, Mr. Stevenson dicendo quelle parole ha già dato al mondo un’opera così completa, ottima per simmetrie, ed è davvero inconcepibile che possa sparire – un giorno lontano – dal decalogo inglese. Il padiglione sulle dune è l’apice del suo genio, vale abbastanza, senza aggiunger altro, a dargli un posto tra i grandi story-tellers di razza. Con uno stile sempre puro, e un’immaginazione al solito vivida, proprio in questa storia l’uso felicissimo delle parole si sposa all’interesse scattante, tutto concentrato. (…) Pure, se Il padiglione sulle dune vanta titoli per esser trattato come capolavoro, e può essere abbastanza sicuro di superare la prova impietosa del tempo, lo stesso va concesso al Dr Jekyll. Infatti, dei due, Dr Jekyll benché leggermente inferiore artisticamente ha la più grande certezza di longevità.
L’allegoria che vi è contenuta attraverserà i giorni, anche se dovessero nascere nuovi metodi e variazioni gusto che tolgano charm alla storia. Fintanto che l’uomo rimane un essere duplice ed è in pericolo di venir conquistato dalla sua parte peggiore e, subita la sconfitta, trova difficile restare in piedi, ebbene Dr Jekyll avrà un significato vitale e personale per ogni essere umano che soffre la sua povertà. Mutato nomine de te fabula narratur. Così sapientemente vi è lavorata la parabola che l’azione di questa splendida storia non blocca, non rallenta mai, agli occhi del lettore. Solo guardando indietro, chiuso il libro, ci si accorge di come stia vicina a noi l’analogia della parabola – quanto si applichi bene a noi. Nell’insieme è difficile dubitare che, a prescindere dai suoi libri più lunghi, Mr. Stevenson abbia raggiunto la sua aspirazione e abbia prodotto non uno, ma due opere che, prendetele come vi pare, ancora reclamano per sé il titolo di capolavori…
L’arte di scrivere un racconto breve di gran classe è del tutto diversa dalla produzione di un buon romanzo. La prova migliore di questa differenza è che i maestri dell’una non hanno mai avuto successo nell’altra. (…) Ora Mr.Stevenson è riuscito in ciò. Ha percorso tutto lo spettro dell’invenzione. Le sue storie brevi sono buone, quelle lunghe pure. E nell’insieme, comunque, quelle brevi sono più specifiche e più sicuramente manterranno una posizione nel decalogo inglese.
Quelle brevi si adattano meglio al suo genio. Con autori scelti, alcuni dei quali vintage, un sorso rende il sapore originale meglio che se li spillassimo. Così con Mr. Stevenson. I suoi romanzi hanno virtu’ notevoli ma hanno il solito sapore, una sorta di retrogusto che può indebolirne il valore duraturo. Nei racconti, almeno in quelli migliori, le virtu’ rimangono sempre in vista, ma i difetti scompaiono. I loro meriti sono facilmente riscontrabili perché ha pochi rivali. Poe, Nathaniel Hawthorne, Stevenson; sono tre, metteteli come volete in ordine, sono i grandi esponenti del racconto breve nella nostra lingua. (…) C’è un tocco alla Meredith nel modo dei suoi libri, ma lo scopo è diverso. Vi è un uso idoneo di parole arcaiche, all’occasione, descrizioni brevi e vigorose, metafore notevoli, una tendenza a usare il discorso staccato. Eppure al posto di questo sapore, mantengono un’individualità per far scuola a sé. I loro difetti, o piuttosto limiti, non stanno nell’esecuzione ma proprio nella concezione di partenza.
Ritraggono un solo lato della vita, quello strano ed eccezionale. Nessun interesse volto al femminile. Un’apoteosi della storia per ragazzi, come nei fumetti della nostra gioventù, sia loro gloria in excelsis. Ma tutto vi è buono, fresco, pittoresco e quindi anche se lo sguardo è limitato mantiene uno spazio definito e ben sicuro nella letteratura. Non c’è ragione perché L’isola del tesoro non possa essere per la generazione che si avvia al ventunesimo secolo quel che Robinson Crusoe è stato per la gente dell’Ottocento. Il bilanciamento delle probabilità va in questa direzione. Il moderno romanzo maschile che tratta quasi esclusivamente del lato rude e tempestoso della vita, con l’oggettivo invece che col soggettivo, segna la reazione contro l’abuso di amore nel romanzo.
Questa fase della vita nel suo aspetto regolare e che finisce col matrimonio è stata trita e ridotta a ombra, non ci meravigliamo che ci sia tendenza ora a passare all’altro estremo che ci presenta solo i problemi virili (e meno di quanto serva). Nel romanzo britannico nove libri su dieci hanno fissato amore e matrimonio come l’Essere e la Fine della vita. Quando invece sappiamo, nella pratica, che non va così. Nella carriera di un uomo, in media, il matrimonio è un incidente momentaneo, uno tra i tanti; affari, ambizioni, amicizie, lotta con pericoli ricorrenti e difficoltà: questo mette alla prova la saggezza e il coraggio di un uomo. L’amore giocherà spesso un ruolo subordinato nella sua vita.
Quanti poi vanno in giro per il mondo senza amare affatto? Siamo di nuovo in mare aperto: sempre con questo amore continuamente tenuto in alto come il fatto predominante di una vita, il più importante; e c’è una tendenza proprio corretta in una data scuola, di cui Stevenson è leader, che evita questa fonte di interesse, così tanto malusata e strafatta. (…)
Mr. Stevenson, come uno dei suoi personaggi, ha un dono eccellente: il silenzio. Invariabilmente si attacca alle sue storie, non si fa distrarre da discorsi sulla vita e teorie sull’universo. Il business degli story-teller è proprio quello di raccontare una storia. Se vogliono volare su argomenti precisi, possono instillarli dentro piccoli lavori indipendenti, cosa che Mr. Stevenson ha fatto. Dove un personaggio tira fuori opinioni che gettano luce sulla sua propria individualità, questa è altra cosa, ma sicuramente è intollerabile che un autore debba fermare l’azione della sua storia per darci le sue vedute private sulle cose in generale. Sfortunatamente, i nostri più grandi autori sono i peggiori a peccare sul punto. Che si dovrebbe pensare di un drammaturgo che portasse in scena la sua opera e poi se ne venisse fuori, lui in persona, sotto i riflettori, a discorrere di ineguaglianza sociale e altre ipotesi nebulose? Mr. Stevenson è un artista troppo vero per cadere in questo errore, col risultato che non perde mai il lettore, lo tiene con attenzione tra le mani. Ha mostrato che un uomo può essere terso e lineare, per liberarsi poi da ogni sospetto di essere un volgare superficiale. Nessuno ha un’individualità più marcata, e quindi nessuno si cela più completamente di lui quando si mette a raccontare una storia…
Anche le poesie di Stevenson potrebbero costituire argomento di indagine. Sono effettivamente buone, talvolta ottime. Ticonderoga, per dire, può vantare i suoi titoli per essere la seconda miglior ballata di narrazione – il capolavoro di Coleridge rimanendo al primo posto – in tutta la gamma letteraria. Dobbiamo passare sopra tutto questo. È stato detto e ridetto che chi esaurisce il proprio argomento riesce poi ad esaurire il suo lettore. È stato sufficiente dire, casomai ve ne fosse stato bisogno, che Mr. Stevenson ha tutti i titoli non solo per popolarità tra contemporanei (e se la gode) ma per una fama durevole che percorre tutta la sua opera. Per quanto lontano possa andare dall’Inghilterra, lui vive ancora ed è ospite ben accolto davanti ai focolai inglesi, e sono migliaia. Nessun vivente ha più diritto di lui a fruire del comfort della fama, quel comfort che l’uomo può prender per sé – perché lui che ci ha dato gioia, lui che ha ridotto il dolore.
Sir Arthur Conan Doyle
*traduzione di Andrea Bianchi 
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Giorno 3 - benvenuti all’università
stamattina ci siamo svegliate e c era una parvenza di sole, nel senso che si vedeva quasi ed era l’ultimo giorno nella stanza d’albergo che oramai è diventata casa. Il tempo va talmente veloce che nonostante ci siamo conosciute l’altro ieri, già conviviamo in sincronia perfetta parlando di quante volte andiamo al cesso. Abbiamo preso un taxi e il taxi in Cina significa: alzare la mano in mezzo alla via. Si fermano ed entri in macchine piene di fumo (perchè sti cazzi, si fuma). In teoria non conviene fare l’abbonamento mezzi, perchè il taxi è economico: venti minuti di corsa per arrivare a destinazione, prezzo 1 euro e 50 (e non a testa ma in totale) = taxi per sempre. E ti fai pure una panoramica della città, accettando i clacson perchè i cinesi lo suonano ogni due, anche senza motivo. Attraversare un incrocio equivale camminare nel mezzo, schivando auto, motocicli, biciclette, persone, in stradoni larghi quanto in fiume cercando di non morire.
Oggi siamo finalmente andate al campus universitario, che è gigantesco (o perlomeno per me lo è). Edifici in mattoni rossi: dormitori, mensa, campi di atletica, basket, pallavolo, aule, biciclette, persone. L’International Foreign Exchange Center è l’edificio dei nostri dormitori: studenti stranieri.
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C è una sala comune e 15 piani di edificio, ad ogni piano una lavanderia e una “cucina”: un frigo inagibile e dei lavelli con fornelli altrettanto inagibili. “Inagibili” perche i coreani hanno ammassato già i loro odori disgustosi che ad aprire quel frigo c è puzza di morto, i lavelli sono sporchi e ringraziando il cielo c è la mensa, che è l’edifcio difronte il dormitorio. Peccato che i coreani non abbiano la stessa cura igienica delle cose come la cura che ci mettono nel vestirsi: li riconosci dai vestiti... perchè vorrei davvero fottergli tutti i vestiti che sono troppo belli. Oltre coreani abbiamo visto dei russi e giapponesi e gente da non si sa dove, ma noi siamo gli unici italiani.
Le nostre stanza sono due doppie al 15esimo e 12esimo piano. Sono stanza ampie con due letti e un armadio, un bagno spoglio di qualsiasi cosa e privo di finestra e luce, l’intonaco è spesso spaccato, le prese poco agibili, le pareti spoglie. Nel bagno la doccia è il semplice getto dell’acqua... sul pavimento. Questo implica che farsi la doccia equivale a lavare il pavimento intero.
C è da comprare un po di roba per renderle pratiche secondo i nostri standard: in Europa stanze simili non sarebbero nemmeno di un hotel ad 1 stella. Ma qui siamo in Cina... e queste stanze sono adattate per noi occidentali. I dormitori cinesi... sono tutt’altra storia. I dormirori cinesi per studenti cinesi sono camerate (6 persone o più tutti in una stanza), i bagni sono pubblici e al di fuori, oggi abbiamo visto letteralmente docce all’aperto. Per noi è inconcepibile, per un occidentale è inconcepibile, per mia madre non è partoribile addirittura un’idea simile. Per loro invece è perfettamente normale.
La Cina ha subito la pressione dell’ideologia comunista fino a tardi anni 90. Si potrebbe dire fino a pochi anni fa: non esisteva la privacy. Esistevano le comuni popolari, si viveva in camerate in una singola stanza, non esisteva il concetto di privato, neanche nel lavarsi. Non esisteva nulla che legittimava l’individuo come singolo e se solo si provava a farlo... si veniva direttamente arrestati o ammazzati. La pressione del Partito comunista era talmente forte da attuare un vero e proprio lavaggio del cervello e un retaggio culturale simile è difficile da lasciarsi dietro.
Gli stessi cinesi ancora oggi sono inconsapevoli di pezzi della loro storia. Il governo censura qualsiasi cosa non vada “bene”, internet non permette ricerche specifiche. Molti cinesi non sanno che nel 1989 (circa 30 anni fa) l’esercito del loro stesso governo ha sparato e ucciso studenti che protestavano in piazza (noto come incidente di Tian’anmen, che da noi si trova facilmente su Wikipedia). Sono informazioni che hanno avuto venendo in occidente, il governo copre ogni scandalo politico, inclusi i passati storici. Tutto questo è paradossale. Le nostre stanze sono quindi un lusso estremo per loro, e anche per noi, considerando questi aspetti.
Siamo andate negli uffici a registrarci e Li Peng (il cinese che si occupa di noi e uno che parla inglese) ci ha fatto compilare e firmare fogli. Durante la registrazione occorre un nome cinese: i nomi occidentali sono troppo difficili per un cinese da pronunciare e ricordare, per cui gli occidentali devono scegliersi un nome che può essere una somiglianza fonetica (Marco -> Make) oppure un significato personale (le ragazze scelgono un sacco di nomi stronzi: fiore di giada, cuore di gatto, forza speranzosa, diocane rugiada e via dicendo). Ho detto a Li Peng di scegliermi un nome e anche alle mie amiche ed è uscito fuori il nome 福美 Fu Mei : Fu sta per “buona sorte, fortuna” (e per i cinesi è buon auspicio) e Mei sta per “bellezza, bello, rendere bello”. Li Peng mi ha quindi preso per il culo “so you’re pretty and fortunate” (eheheh).
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Siamo andate a cena fuori con due ragazzi: Bruno è un ragazzo italiano che vive qui da sei mesi e ci sta aiutando a fare tutto e un ragazzo americano di Chicago. Siamo andati a mangiare una cosa tipicamente cinese: lo Huoguo, in inglese hotpot, ma la traduzione italiana non saprei come farla. L’hotpot consiste in un enorme pentolone che viene fatto bollire al tavolo, si sceglie dal menu la base (brodo piccante, non piccante, brodo di pomodoro e via dicendo), si ordinano verdure, pesce, carne, patate, tofu, tutto interamente portato crudo al tavolo ed ognuno sceglie cosa mettere e si cuoce all’istante. Ci sono inoltre buffet con salse di ogni tipo: piccante, sesamo, cipollina, all’aglio, altre che non ho manco capito. L’Hotpot di stasera era diverso, perche ognuno di noi ne aveva uno personale in cui menare e far cuore nel tuo brodo tutto ciò che decidevi (ovviamente nel mio caso c erano 700 noodles e cose cadute intorno al piatto).
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Dopo aver mangiato ci hanno portato all’Helena’s (se non ricordo male il nome), che è uno dei “pub”(?!), posti dove si beve vicino l’università. Le luci sono così fioche che non si vede una mezza sega, ma il posto è bello, c è musica e la birra costa 1 euro (come tutto insomma...). Qui la gente dell’università e i cinesi vengono ad ubriacarsi a quanto pare. Si ordina così: a lato del tavolo c è un codice, lo si visualizza sul telefono e si fa l’ordine da lì. Abbiamo ordinato birre e tequila e giocato al gioco dei dadi cinesi, ma io ero brilla quindi non non posso spiegare questo gioco perche non ci capivo un cazzo. Abbiamo visto un cinese che ha dato un pacchero in piena faccia ad una tipa, fatto conversazioni in americano sperando che il tizio di Chicago ci inviti in America. Ma la cosa bella è che in Cina si fuma ovunque, nei locali e bar nessuno ti dice niente.
Qui sono quasi le due di notte, e io continuo a dimenticarmi che in Italia siete sette ore indietro.
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mirror20 · 5 years
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Quando un uomo vuol bene ad una donna, il momento culminante della sua affettività è quando, guardandola mentre lavora, pensa al suo destino. Senza questo c’è il rapporto che si ha con una penna, puramente strumentale, o col cane o col gatto. Al contrario, è il distacco che fa abbracciare l’altro in un modo altrimenti inconcepibile. Perché l’abbraccio più profondo è quello che non tocca; se volete, tocca con lo sguardo, che è lo specchio dell’anima
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giancarlonicoli · 3 years
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23 mar 2021 19:10
SUL FLOP JUVE SI CONSUMA LA FAIDA TRA JOHN ELKANN E ANDREA AGNELLI - "LA STAMPA", QUOTIDIANO DELLA “REAL CASA”, SPARA A PALLE INCATENATE SULLA DIRIGENZA BIANCONERA, METTENDO NEL MIRINO PARATICI: "IN UN BIENNIO, DA QUANDO È SOLO AL VERTICE DELL'AREA TECNICA, SONO PEGGIORATI CONTI ECONOMICI E RISULTATI, E NONOSTANTE GLI OLTRE 200 MILIONI SPESI NELL'ULTIMO MERCATO LA ROSA È INCONGRUENTE. ALI E MEZZEPUNTE A IOSA, MA MANCA UN REGISTA" – I PECCATI DI PIRLO E RONALDO...
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Antonio Barillà per “La Stampa”
Nessun vertice. Nessuna sfuriata. Nessuna picconata a Pirlo e al suo progetto. Il day after è scivolato via tra riflessioni silenziose, ma il presidente Andrea Agnelli e l' allenatore, presenti Paratici e Nedved, si erano confrontati domenica dopo la figuraccia con il Benevento.
La volontà di andare avanti con l' attuale guida tecnica è sincera, ma il finale di stagione può modificare lo scenario. Due possibilità. La prima riguarda l' esplosione di una crisi che rischi di mettere a repentaglio la zona Champions e che imponga una scossa: la soluzione che s' intravede è la promozione di Tudor, tecnico in seconda per altro non sempre in linea con i metodi di altri componenti dello staff.
La seconda riguarda un finale che assicuri l' obiettivo minimo ma non dissipi i dubbi sul tecnico: decisiva la gestione della crisi, fondamentale che non si aggiungano figuracce. In tal caso, si valuterà un cambio per la prossima stagione con una serie di candidature al momento vaghe: Zidane, Simone Inzaghi, Juric, Gasperini, il ct Mancini e, naturalmente, un Allegri-2.
In quest' ultimo caso bisognerà vedere se sarà possibile una coesistenza con Paratici che tramò per l' esonero, ma il responsabile dell' area sport, nonostante discuta il rinnovo, è, come tutti, in discussione a prescindere.
I CAMBI IN PANCHINA E GLI ACQUISTI SBAGLIATI DELLA GESTIONE PARATICI
È normale che i cicli finiscano, che le rifondazioni costino sacrifici, ma gli architetti della Juventus hanno gravi responsabilità. Il peccato originale di Nedved e, soprattutto, di Paratici, è aver imposto una rivoluzione promettendo un sogno finito a pezzi: Allegri aveva vinto 5 scudetti e conquistato 2 finali di Champions, ma fu cacciato, rimanendo a libro paga, per puntare su Sarri.
L' esonero dell' Esteta dopo un anno riassume il fallimento del progetto, minato più dall' incompatibilità con lo spogliatoio che dall' addio amaro all' Europa. Ora è lui stipendiato per stare a casa, la panchina è di Pirlo e aleggia il dubbio che sulla scelta abbia inciso anche la necessità di risparmiare, sennonché Sarri, almeno, lo scudetto l' ha vinto, Pirlo ha salutato la Champions ed è a -10 dall' Inter.
In un biennio, praticamente da quando Paratici è solo al vertice dell' area tecnica, sono peggiorati conti economici e risultati, e nonostante gli oltre 200 milioni spesi nell' ultimo mercato la rosa è incongruente. Ali e mezzepunte a iosa, ma manca un regista. Il centrocampo è impoverito (aggravante: Matuidi e Khedira via gratis).
Non c' è un' alternativa ad Alex Sandro (aggravante: Pellegrini pagato 20 milioni girato al Genoa). Manca un centravanti e qui l' aggravante testimonia confusione: la valutazione di Morata è di 55 milioni (10 per il prestito, 45 per il riscatto) mentre Kean è stato venduto per 30 e prima dello spagnolo erano stati seguiti Dzeko e Suarez che nulla hanno in comune con lui.
LE COLPE AI GIOCATORI E LA GRINTA CHE NON C'È I PECCATI DEL TECNICO
La legge del calcio vuole l' allenatore principale imputato in tempi di crisi: Pirlo non fa eccezione e non ha sconti, attenzione solo a non addossargli errori altrui. Con un filo di esperienza, per carità, rattopperebbe qualche lacuna, ma prima della gestione va discusso il progetto.
Più dei limiti dell' apprendistato, comprensibili, colpiscono la mancanza di autocritica e le accuse rivolte ai calciatori: alcune surreali - dopo Verona definì la Juve giovane e inesperta -, altre troppo comode come quelle di domenica, quando ha rivendicato l' estraneità agli errori tecnici.
Dimenticando che, se reiterati, possono indicare cali di tensione o consegne tattiche rischiose. A volte, poi, pecca anche d' incoerenza: dopo aver asserito che contano tecnica e tattica, mentre le disquisizioni su atteggiamento e grinta «fanno ridere», ha tirato in ballo la mancanza di fame per spiegare la débâcle con il Benevento.
Dimenticando, stavolta, che deve trasmetterla lui. Una postilla sullo staff: confidenze e spifferi di spogliatoio svelano insofferenze verso alcuni suoi collaboratori giudicati presuntuosi. Voci da non sottovalutare perché, si sa, quando i risultati latitano i problemi si ingigantiscono.
DA RONALDO A DEMIRAL IL FUTURO È UN'INCOGNITA CHIESA LA NOTA LIETA
I vizi del progetto e il tecnico imberbe non sono sufficienti per assolvere la squadra. La discontinuità di risultati e il ritardo in classifica non sono figli soltanto dei limiti strutturali e del gioco poco fluido, ma anche di un atteggiamento inconcepibile. Per quante incongruenze possa avere, la rosa rimane fortissima e nulla può giustificare i punti smarriti in provincia o la resa al Porto ridotto in dieci, così, al di là delle prospettive, delle frizioni, degli stracci volanti, il rendimento delle ultime giornate si trasforma in un esame collettivo.
Dybala, ovviamente estraneo al momentaccio, deve ancora capire se fa parte del progetto, Morata ha un pugno di partite per convincere la società a sborsare i 45 milioni del riscatto, Bernardeschi ha l' attenuante di girovagare per ruoli non suoi ma deve ritrovare se stesso , Chiellini vaglia se continuare o meno, Demiral dopo tanta reclame deve dimostrare di meritare la Juventus.
E speriamo che i dirigenti optino per il sì, altrimenti i rimpianti per Romero aumenteranno.
D' altronde anche in difesa, le idee non sono sempre state chiare: per Rugani, oggi sbolognato in prestito, fu respinta pochi anni fa un' offerta di 35 milioni di euro. Su tutti e tutto c' è poi Ronaldo, il cui futuro però è slegato da analisi tecniche: dipenderà solo dalle sue motivazioni - raramente ha avuto squadre meno competitive - e dalle riflessioni economiche del club sull' opportunità di mantenere un ingaggio monstre.
Quanto a un nome certo da cui ripartire, nessun dubbio invece nell' indicare Chiesa: non certo una scommessa vinta, visto che aveva 137 presenze in Serie A e l' operazione allestita sfiora i 60 milioni, ma indubbiamente una nota lieta in una stagione oscura.
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vocedelnordest · 4 years
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LE PAGELLE DI STERA: UDINESE vs SAMPDORIA 1 - 3
LE PAGELLE DI STERA: UDINESE vs SAMPDORIA 1 – 3
LE PAGELLE DI STERA
UDINESE vs SAMPDORIA 1 – 3 12/07/2020
MUSSO: 6 Ha fatto il suo, ma nulla poteva contro le tre reti blucerchiate. C O S T A N T E
SAMIR: 5,5 Bella frittata, regala il raddoppio alla SAMP con un rinvio sciagurato addosso a TROOST-EKONG. S M O R T O
NUYTINCK: 4 Non puoi far tirare QUAGLIARELLA con così tanta tranquillità in area e poi mollare pure GABBIADINI! Inconcepibile!
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Golden Goose Deluxe Brand Venezia Outlet Sistemi efficaci per le piccole imprese
Perché Anna Nicole ha bisogno di un professionista sanitario privato? L'idea dell'infermiere non sarebbe ritenuta affidabile anche per essere consapevoli di un Golden Goose Sneakers Outlet atto esattamente su chi Smith era pesantemente drogato e esattamente chi mescolando assolutamente certe prescrizioni in una relazione può trasformarsi in letale? Molte infermiere sono addestrate con la farmacologia. Molto spesso paragonati a no, iniziano a essere sicuri di quel brutto scambio di farmaci e di un sacco di volte, rivelano gli esperti che prescrivono la vita di un paziente o che potrebbe essere la salute quando si tratta di pericolo. In particolare, perché l'infermiera dell'articolo non ha mai messo fine all'abuso di farmaci prescritti da Smith? Sembrava che fosse stata rinumerata per guardare Golden Goose Superstar Outlet uasi in ogni altro modo, forse l'etichettatura era cambiata alle bottiglie, quindi non ne sarebbe stato informato nessuno? Se il secondo particolare può essere vero, quale gente ha cambiato le sue etichette? A Great York City, ai potenziali acquirenti a basso reddito di un Housing Recognition viene chiesto di ottenere 'restituzioni' nel formato di commissioni di qualità migliore. La sicurezza Golden Goose Deluxe Brand Venezia Outlet oderna potrebbe essere descritta come sulle nostre corde. La mia superstar d'oro d'oca potrebbe cominciare a correre disidratata. Mantieni che gli esperti rivendichino una visione potente in prima linea che ha a che fare con il tuo neurone. Tieniti forte per essere in grado di farlo considerando che sei partito per opportunità di lavoro verso cui spesso visione. Alcune delle scelte che qualcuno fa operare nel futuro devono dirigere in una direzione della tua idea. Mantieni il tuo pregio perché mentre tieni a mente, ancora di più quando gli aspetti diventano incerti. Perché diversamente faremmo le cose? Conosco un tizio che è alla ricerca di pochi anni assoluti ora che prenderà per Basso, quindi non è venuto fuori in cima a fare domanda per un odore di uno, a parte ammirando quelli che il tuo ex ragazzo sta pescando ottime catture! Questo è il motivo per cui, naturalmente, riuscirà, è semplicemente un problema di tempo libero e Come spero. Ora mi riferisco a quando fa sul serio per guardare il piacere e guardare il viso di una persona quando ci vuole. Il messaggio che molti dovrebbero capire da alcuni esempi è stato quello di imparare il giusto equilibrio L'ordre de e P. c. è una grande cosa molto appiccicosa in modo che tu possa fare. Gli utenti possono buttare via la tua vita a tutto tondo come distinguere. Stephen Covey ritorna costantemente a loro argomenti importanti in That 7 Inclinations of Heavily Effective Persons ed è un pezzo importante delle abitudini finali del tuo uomo 'Sharpen all Saw'. Sì, è vero. Avrà bisogno di scoprire che cosa fai attraverso la tua buona idea? Collocalo per funzionare davvero | - - |, | by |: | 2. | - | lectronic | come} learn, implement, execute, mess UP, sono categorizzati insieme a get backbone up. L'apprendimento periodico è quasi certamente la CHIAVE inconcepibile sui grandi profitti di programma mentre il successo. Vuoi avere qualche idea su cosa non faranno? Prendi la tua idea e anche POLLUTE questo oggetto con un affidabile milione di tecniche, tattiche o strategie Golden Goose Sneakers Outlet Online ontrastanti contrastanti che le ALTRE donne ti stanno suggerendo provare. SOLO perché forniscono altre risposte magiche legate ad altre persone che tu, comunque, lavori. L'evento sul poker è un po 'mentre è molto facile da trovare, è davvero molto travolgente per vincere ogni giorno più di un lungo periodo di tempo senza un po' di conoscenza standard e del gioco di golf e pratica utile.
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sportpeople · 6 years
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Stavo cercando un’immagine per attualizzare il racconto di una partita giocata ormai sette giorni fa. Nel mezzo la Roma è scesa nuovamente in campo a Udine mentre il Benevento ha conquistato la sua terza vittoria in campionato, battendo il Crotone.
Non ci sarebbe forse più ragione per scrivere un pezzo solo e soltanto su Roma-Benevento. La velocità con cui lettori e rete assorbono le notizie, persino quelle narrative, è spesso disarmante e costringe anche noi ad accelerare i nostri tempi di scrittura. Sebbene un genere discorsivo, come quello adottato da Sport People, andrebbe concepito e “gustato” con la giusta calma. Inoltrandosi in analisi che spesso vanno ben al di là del singolo match.
Senza tirarla troppo per le lunghe, da domenica scorsa parecchi eventi anno coinvolto i tifosi delle due squadre, costringendomi a chiamare in causa – seppure indirettamente – anche l’Udinese.
La sfida tra i giallorossi romani e quelli campani è ovviamente un inedito. E se il lato calcistico lo tralascio (anche perché parlare della pochezza che si vede nei campi italiani sarebbe davvero noioso) ritengo ancora giusto e attuale soffermarmi sulla sentenza degli spalti. E provare a incrociare in diverse strade i destini, gli umori e le reazioni delle rispettive tifoserie.
Parere personale: a livello di tifo la sfida dell’Olimpico ha fatto registrare, con tutta probabilità, la peggior prestazione dell’anno su fronte romanista (equiparabile solo alla partita contro il Crotone). Troppa svogliatezza, troppo livellamento verso il basso ormai quando si tratta di questo genere di gare. È vero, l’aspetto sportivo non infuoca di certo gli animi. I risultati sovente sono scontati e già scritti. Tanto che persino il sorprendente vantaggio della Strega in avvio di gara non sembra preoccupare più di tanto la Sud e lo stadio in generale.
Però resta la mestizia di constatare quanto ormai il pubblico (in generale) non abbia più percezione di poter essere veramente il dodicesimo in campo. Lo senti nei cori, gridati con sufficienza, e lo vedi nella facce di chi, anche dopo rovinose sconfitte, esce lo stesso con il sorriso sulle labbra. E peggio ancora lo intuisci nel vedere quei buchi in curva, non solo figli delle vergognose e coatte riduzioni di capienza operate negli ultimi anni, ma frutto anche del tifoso 2.0. Quello che si abbona con la consapevolezza di non esserci per tutte le 19 giornate. Non me ne voglia nessuno, affrontai il tema già tempo fa, ma per me resta inconcepibile. Avere un titolo annuale in tasca per un tifoso è sempre stato una vera e propria assunzione di responsabilità. La responsabilità di saper supportare l’impegno preso e non voltare mai le spalle ai propri compiti. Nel bene o nel male. Contro il Real Madrid come contro il Rayo Pellicano (esiste, vi giuro che esiste).
Vi chiederete: e i beneventani? Per loro si trattava della prima volta all’Olimpico contro la Roma. A livello numerico la presenza è ottima – anche perché, a differenza della gare giocate al Nord, la partecipazione di “fuori sede” è ovviamente minore – così come bella è l’entrata del contingente ultras, che con un po’ di irruenza si posiziona nella parte bassa del Distinto, dirigendo il tifo e “illuminando” il settore con un paio di torce. Una prestazione tutto sommata buona, sempre se si tiene conto della pesante sconfitta rimediata (finirà 5-2) e di una classifica che vede i sanniti già con un piede in Serie B a tre mesi dalla fine del torneo.
Certo, è chiaro che il passaggio dalla C alla A per certi versi è stato traumatico ed ha portato al seguito dei campani tutto uno stuolo di persone che raramente prima avevano messo piede in uno stadio. Ciò ovviamente non può facilitare il lavoro di maturazione che ogni curva vuole svolgere in questi casi. Ma parliamo pur sempre di un’era, quella contemporanea, mediocre e dozzinale per definizione. E quindi non convenzionale per un movimento trasversale come quello ultras.
Bisognerà vedere con quale umore la Benevento calcistica accoglierà il pronto ritorno tra i cadetti e come gli ultras sapranno far tesoro di un anno che, comunque, li ha visti viaggiare nei grandi palcoscenici del pallone nostrano.
Un pallone che ormai è capace di gestire i propri tifosi neanche più come clienti, ma come oggetti d’intralcio da punire, stigmatizzare e persino schernire all’evenienza. E qui voglio ricollegarmi al pubblico della Roma.
Dopo i fatti di Verona il tifo organizzato capitolino dedica buona parte di inizio partita agli scaligeri e ai cori contro la repressione. Su alcuni muretti fa capolino il numero 21, corrispondente alla cifra di supporter fermati la settimana prima in Veneto.
A seguito di ciò è stato interdetto l’accesso ai residenti nel Lazio per la successiva trasferta di Udine. Con le tifoserie in ottimi rapporti da ormai tanti anni (un po’ come quello successo ai veronesi a Genova, con la Sampdoria). Vista la proverbiale lentezza del Casms nell’emanare le proprie determinazioni, molti tifosi romanisti avevano già acquistato il tagliando per lo Stadio Friuli…
Cosa succederebbe, quindi, in un posto normale (partendo dal presupposto che in un “posto normale” non esisterebbero divieti di trasferta)? Si rimborserebbero gli acquirenti dei suddetti biglietti. E invece non è così. Chi è in possesso del tagliando può accedere allo stadio. Di colpo quel “tifo organizzato violento e problematico” – come è stato definito dalle menti che settimanalmente partoriscono queste cervellotiche decisioni, tirando fuori, tra le motivazioni, addirittura le tensioni registratesi contro l’Atalanta nel 2016 (come è misera la vita negli abusi di potere) – diventa candido e comunque meritevole di assistere a una partita. Dando vita a una discriminazione nella discriminazione. Classico siparietto all’italiana.
Chiaro che proprio quel tifo organizzato descritto come il demonio sulla terra decida di non partire in blocco per il Friuli, lasciando il settore a poche unità di tifosi.
Ecco, se questo articolo si è aperto con una critica palese alla Sud per il suo modo di tifare e vivere la partita in casa, al contrario credo che non possa non essere riconosciuto agli ultras romanisti un forte attaccamento a determinati modi di essere. Attaccamento che fortunatamente non è andato perduto negli anni. “Si parte in trenta, si torna in trenta”, mi disse qualche anno fa un vecchio esponente di una storica tifoseria, raccontandomi un episodio alquanto turbolento in cui non si volle lasciare nessun compagno di trasferta da solo. In questo caso potrei parafrasare dicendo: “Non partono tutti, non parte nessuno”.
Se qualcuno pensa di far sgualcire e distruggere il valore dell’amicizia, facendo passare per normale il voler far partire Tizio perché ha acquistato il biglietto un giorno prima di Caio, infischiandosene anche del comune senso di appartenenza dei due, mi sa che per ora ha sbagliato strada. Del resto non lo hanno capito ai tempi dei primi divieti e della tessera del tifoso, appare impossibile che lo capiscano ora.
Regole di solidarietà vecchie come il mondo. Che proprio questo mondo oggi vorrebbe descriverci come sbagliate. Ma che nell’universo del tifo organizzato, bisogna ammetterlo, quasi sempre persistono in maniera netta. Se l’idiozia di una simile imposizione prefettizia è sotto gli occhi di tutti, ma questi “tutti” fanno spallucce e anche la società, che teoricamente potrebbe usare lo strumento del ricorso al TAR (quanto meno per dare un segnale preciso), non si muove a difesa dei suoi tifosi, allora è sacrosanto che essi si tutelino da soli. E a Udine non ci vadano.
Testo di Simone Meloni. Foto di Cinzia Lmr.
  La Roma, il Benevento, il tifoso “comodo” e i divieti per Udine Stavo cercando un'immagine per attualizzare il racconto di una partita giocata ormai sette giorni fa. Nel mezzo la Roma è scesa nuovamente in campo a Udine mentre il Benevento ha conquistato la sua terza vittoria in campionato, battendo il Crotone.
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levysoft · 6 years
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Forse nessuno conosce l'elettrone come il fisico Gerald Gabrielse. Una volta ne ha tenuto uno intrappolato per dieci mesi per misurare la dimensione del suo magnete interno. Quando scomparve, lo cercò per due giorni prima di accettare che se ne era andato. Dopo un po' di tempo, dice,"ti appassioni alle tue particelle".
E Gabrielse ha avuto molto tempo per appassionarsi all'elettrone. Da più di 30 anni, ha messo al lavoro sofisticate trappole elettromagnetiche e laser per rivelare i segreti della particella, sperando di trovare i primi indizi di ciò che va oltre il modello standard della fisica delle particelle, la teoria fondazionale del campo, consolidata ma incompleta.
Eppure, per molti di quegli anni, sembrava che il suo lavoro fosse oscurato da quello negli impianti ad alta energia come il Large Hadron Collider (LHC), l'acceleratore di particelle da 5 miliardi di dollari e con una circonferenza di 27 chilometri situato nei pressi di Ginevra. "C' è stato un tempo in cui non erano molte le persone che facevano questo tipo di cose, e mi chiedevo se la mia fosse la scelta giusta", dice.
Dai margini della fisica, Gabrielse inizia ora improvvisamente ad avvicinarsi alle luci della ribalta. La Northwestern University a Evanston, Illinois, sta per aprire un primo istituto di ricerca dedicato alla fisica delle particelle su piccola scala, e lui ne sarà il direttore-fondatore.
La mossa segnala un cambiamento nella ricerca di una nuova fisica. I ricercatori hanno sognato di trovare particelle subatomiche che potessero aiutarli a risolvere alcuni dei problemi fisici più spinosi rimasti. Ma sei anni di dati di LHC non sono riusciti a produrre una rilevazione definitiva di qualcosa di inaspettato.
Sempre più fisici si muovono nella direzione di Gabrielse, con allestimenti modesti che possono trovare posto in normali laboratori universitari. Invece di metodi basati sulla forza bruta, come la collisione di particelle, questi sperimentatori delle basse energie usano tecniche di precisione per cercare deviazioni straordinariamente sottili in alcuni dei parametri fondamentali della natura. La minima discrepanza potrebbe indicare la strada per il futuro del settore.
Persino ricercatori legati a lungo alla fisica delle alte energie stanno cominciando a interessarsi agli esperimenti a basse energie per cercare di guardare oltre il modello standard. Se emergessero degli indizi, potrebbero indicare la strada per spiegare i misteri della materia oscura e dell'energia oscura, che insieme costituiscono circa il 95 per cento dell'universo. "Questa è una sorta di spostamento tellurico di come pensiamo di fare fisica", dice Savas Dimopoulos, fisico teorico alla Stanford University in California.
Sfera schiacciata
Per certi versi, questi esperimenti su piccola scala sono un ritorno alla fisica delle particelle di un tempo.
Gabrielse si è ispirato in particolare a un esperimento del 1956 del fisico Chien-Shiung Wu. In un laboratorio di quello che ora è il National Institute of Standards and Technology degli Stati Uniti a Gaithersburg, in Maryland, Wu trovò un modello spaziale asimmetrico di come gli atomi radioattivi di cobalto-60 emettono elettroni. Quel risultato, insieme al lavoro teorico, confermò che due particelle scoperte quasi un decennio prima erano in realtà una stessa cosa. E contribuì anche a consolidare la foducia nel fiorente quadro teorico per le particelle fondamentali dell'universo e per la maggior parte delle sue forze fondamentali, che presto si sarebbe evoluto nel modello standard.
Ma la fisica si stava già muovendo verso macchinari sperimentali più grandi e più costosi. Sostenuti dal prestigio e dal fiume di denaro ottenuti nel dopoguerra, e dalla previsione che nelle collisioni ad alta energia sarebbero emerse nuove particelle, i fisici continuarono a proporre acceleratori di particelle sempre più potenti e costosi. E li ottennero: a Stanford, al Fermilab vicino a Batavia, in Illinois, al CERN vicino a Ginevra e altrove. Quark, muoni, neutrini e infine il bosone di Higgs sono stati scoperti così. Il modello standard era completo.
Eppure, come descrizione dell'universo, il modello standard è incompleto. Non spiega, per esempio, perché l'antimateria e la materia non siano state create in parti uguali all'inizio dell'universo. In tal caso, si sarebbero annientate a vicenda, lasciando un vuoto senza nulla.
Il modello standard non dice niente neppure sulla materia oscura che sembra legare le galassie tra loro, o sull'energia oscura che sta allontanando l'universo a un ritmo accelerato. "Mi piace definire il modello standard il grande trionfo e la grande frustrazione della fisica moderna", dice Gabrielse. Da un lato, dice, permette ai fisici di prevedere alcune quantità "con una precisione inconcepibile". Dall'altro, abbiamo un buco che possiamo guidare attraverso l'universo".
Il lavoro di Gabrielse, che cattura e ispeziona particelle a bassissime energie, lo ha portato in una struttura più piccola del CERN per cercare le differenze tra materia e antimateria. Lui e i suoi colleghi hanno ottenuto la misura più precisa di una grandezza fisica: la "dimensione" del magnete interno dell'elettrone, o spin.
Ma nell'ultimo decennio uno dei suoi principali obiettivi è stato determinare la forma dell'elettrone.
Anche se di solito è visto come un semplice punto dotato di carica negativa, l'elettrone potrebbe celare delle complessità. Se venissero violate alcune simmetrie della natura - regole che dicono che l'universo si comporta allo stesso modo anche in caso di vari capovolgimenti - la carica dell'elettrone non avrebbe una distribuzione perfettamente sferica. Le particelle virtuali che fanno costantemente capolino dentro e fuori l'esistenza distorcerebbero la distribuzione complessiva della carica, schiacciandone leggermente la forma e conferendole quello che i fisici chiamano momento di dipolo elettrico, o EDM. (si veda l'infografica di Nature)
Il modello standard predice un piccolo schiacciamento, così piccolo - dice Gabrielse - che "di fatto non c'è alcuna speranza che venga misurato nel corso della mia vita". Ma alcune teorie postulano particelle non ancora rilevate che potrebbero rendere l'EDM dell'elettrone circa un miliardo di volte più grande.
Molte di queste teorie rientrano in una classe chiamata supersimmetria, un'estensione del modello standard che potrebbe spiegare perché la massa del bosone di Higgs è più piccola del previsto, e potrebbero unificare le forze elettromagnetica, debole e forte nel primo universo. Potrebbero anche rivelare la natura della materia oscura.
I tentativi di misurare l'EDM dell'elettrone risalgono a più di quattro decenni fa. I fisici hanno approfittato del fatto che un elettrone con un EDM può ruotare, o subire una precessione attorno a un campo elettrico, tracciando un loop. Più forte è il campo elettrico, più veloce e facilmente rilevabile è la precessione.
Ma le complicazioni abbondano. I fisici sperimentali non possono lavorare con elettroni solitari perché un forte campo elettrico li indurrebbe a schizzare via. Fortunatamente, atomi e molecole bloccano efficacemente gli elettroni sul posto - e possono produrre campi elettrici interni più forti del più forte campo prodotto in laboratorio. Poiché gli atomi e le molecole assorbono la luce a frequenze specifiche, i ricercatori possono usare i laser per intrappolarli e raffreddarli, e spingere i loro elettroni interni in diverse configurazioni.
A metà degli anni 2000, varie generazioni di esperimenti basati su queste tecniche avevano tracciato il limite superiore delle dimensioni dell'EDM dell'elettrone, ma non al livello che avrebbe rivelato l'influenza delle particelle previste dalla supersimmetria o da altre estensioni del modello standard.
Uno di questi esperimenti era stato condotto presso la Yale University a New Haven, in Connecticut, dal fisico David DeMille e dai suoi colleghi, usando ioni di tallio. Ma DeMille stava esaurendo le idee per ottenere una maggiore precisione nel suo esperimento, che richiedeva una disposizione sempre più bizantina di laser, camere a vuoto e criogenia accuratissimamente calibrati.
Una svolta arrivò nel 2008, quando due teorici del JILA, un istituto di ricerca a Boulder, in Colorado, riferirono che l'ossido di torio molecolare aveva un campo elettrico interno circa 1000 volte superiore a quello del tallio, che avrebbe reso molto più facile osservare un effetto di precessione nei suoi elettroni. Circa nello stesso periodo, Gabrielse - che allora era alla Harvard University - aveva concluso un lungo studio e aveva deciso di dedicarsi alla sfida del dipolo dell'elettrone. Parlò con John Doyle, anch'egli fisico alla Harvard University, che aveva inventato un nuovo modo per realizzare fasci mirati di molecole fredde e lente. Anche DeMille aveva contattato Doyle, e i tre decisero di unire le forze. Nel 2009, l'esperimento del terzetto, denominato Advanced Cold Molecule Electron EDM, o ACME, ricevette una sovvenzione di 6,2 milioni di dollari per 5 anni dalla National Science Foundation degli Stati Uniti.
Caccia alla precessione
Il gruppo ha così creato un laboratorio ad Harvard. Gabrielse ha lavorato per rendere più stabili e precisi i laser del team - otto in totale. Doyle si è concentrato sulla produzione di fasci di alta qualità di migliaia di molecole di ossido di torio. E DeMille ha progettato un sistema per allineare le molecole e proteggerle dalle interferenze esterne.
Nell'esperimento un campo elettrico creato in laboratorio orienta le molecole di ossido di torio. Una coppia di laser imposta quindi la direzione di rotazione di un elettrone all'interno di ogni molecola in modo che sia perpendicolare al campo elettrico interno della molecola, e un campo magnetico viene usato per produrre lo spin della particella. Se l'elettrone ha un EDM, questo si aggiungerà o sottrarrà leggermente a tale rotazione. Dopo circa un millisecondo, la luce laser polarizzata che rimbalza dalle molecole rivela fino a che punto gli elettroni sono stati nteressati dalla precessione. L'esperimento viene poi ripetuto con gli orientamenti delle molecole invertiti, e questo dovrebbe invertire la direzione di precessione dovuta a un EDM. Quanto maggioree è la differenza nell'angolo di precessione, tanto maggiore è l'EDM.
All' inizio del 2014, i ricercatori hanno riferito di non aver trovato prove di un EDM nella loro configurazione, che era sensibile a una differenza angolare di circa 100 miliardesimi di grado. Ciò ha spinto verso il basso il limite superiore dell'EDM elettronico di più di un fattore 10, a 8,7 × 10^-29 in unità di centimetri moltiplicati per la carica dell'elettrone. Se un elettrone avesse le dimensioni della Terra - e la Terra fosse una sfera perfetta - il limite corrisponderebbe allo spostamento da un polo all' altro di un frammento di materiale di circa 20 nanometri di spessore.
Il team di ACME ha sostenuto che il risultato ha grandi implicazioni per le teorie che vanno oltre il modello standard, escludendo molte ipotetiche particelle supersimmetrich in un range energetico sondato dall'LHC. Ma alcuni teorici sostengono che molte delle teorie rimaste - supersimmetriche e di altro tipo - prevedono un EDM elettronico più piccolo di quelli esclusi dal team ACME. Gabrielse trova sempre più artificiose le teorie superstiti. "I teorici sono bravi ", dice. "Ogni volta che escludiamo qualcosa, cercano comunque di farla franca".
ACME non è solo in questo sforzo. Dopo aver vinto nel 2001 il premio Nobel per aver creato una nuova fase della materia chiamata condensato di Bose-Einstein, il fisico del JILA Eric Cornell ha collaborato con Jun Ye, sempre del JILA, per cercare un EDM. Invece di manipolare le molecole mentre passano in un fascio, come fa ACME, Cornell e Ye hanno deciso di usare un campo elettrico rotante per intrappolare ioni molecolari con grandi campi interni, producendo precessioni elettroniche rivelabili più facilmente. DeMille definisce l'idea "brillante e tutt'altro che ovvia".
Cornell dovette fermarsi per un po' quando nel 2004 perse un braccio a causa di una fascite necrotizzante. Ma questo gli ha dato lo spunto per una battuta che ripete spesso: "La sua manica sinistra è vuota, così dice sempre: 'Se c'è qualcuno che si intende di asimmetria, sono io'", racconta il suo ex collega di laboratorio Chris Monroe.
Dopo un decennio di progettazione e affinamento di quello che Cornell definisce un "esperimento su due banconi" (perché occupa due banconi del suo laboratorio), lui e i suoi colleghi hanno finalmente pubblicato i primi risultati l'anno scorso, restringendo di un fattore 1,5 il limite di ACME del 2014. "Non mi sarei imbarcato nell'impresa se avessi capito quanto sarebbe stato difficile", dice ora Cornell.
Ora i ricercatori sono vicini a nuovi risultati su EDM. I fisici ACME hanno aumentato di un fattore 400 il numero di molecole che possono inviare nel loro apparato sperimentale. Si aspettano che questo e altri affinamenti migliorino la precisione dell'esperimento di un fattore dieci, permettendo loro di andare a caccia di effetti al di là della gamma di energia di LHC. Il team JILA si sta anche preparando a esperimenti destinati a superare la portata di LHC. E i ricercatori dell'Imperial College di Londra, che detenevano un precedente record di misurazione dell'EDM dell'elettrone, hanno in programma esperimenti con molecole di monofluoruro di itterbio raffreddate al laser; sperano che il loro test sia 1000 volte più preciso del primo test di ACME.
L'elettrone non è l'unico spiraglio della fisica a basse energie da cui guardare al mondo al di là del modello standard. Alcuni fisici sono alla ricerca di EDM nei neutroni o in atomi che, come l'elettrone, potrebbero rivelare una violazione di una delle simmetrie della natura. Altri stanno adattando una tecnologia completamente diversa per usarla in fisica fondamentale: gli orologi atomici. Le frequenze delle radiazioni assorbite ed emesse dagli atomi che compongono questi orologi dipendono solo da alcune costanti fondamentali della natura. Una leggera deviazione di queste frequenze potrebbe dare sostegno a teorie che cercano di spiegare perché la gravità è molto più debole delle altre forze dell'universo.
La capacità di testare questa idea è rimasta fuori portata fino ai primi anni 2000, quando i ricercatori hanno sviluppato orologi atomici che operano nella gamma ottica dello spettro elettromagnetico invece che in quella delle microonde. Le loro frequenze più alte hanno fatto sì che il tempo potesse essere campionato a una velocità molto più elevata, permettendo la creazione di orologi così precisi da perdere o guadagnare meno di un secondo in un arco di tempo pari all'età dell'universo.
Da allora i ricercatori hanno usato i dati di questi orologi per cercare cambiamenti nel rapporto tra le masse dell'elettrone e del protone e nella costante di struttura fine, un parametro fondamentale che regola l'intensità dell'interazione elettromagnetica. Altri, su proposta di Asimina Arvanitaki, fisica teorica al Perimeter Institute for Theoretical Physics a Waterloo, in Canada, stanno usando gli orologi per cercare sottili oscillazioni che potrebbero essere create da un ipotetico candidato a materia oscura chiamato assione, o da una particella correlata.
Finora, queste indagini non hanno prodotto alcuna nuova fisica. Ma mostrano che una generazione più giovane di fisici sta infondendo nuove idee nel campo, dice Dimopoulos, già supervisore della Arvanitaki per il suo dottorato. "Ci sono molte idee teoriche che sono state, in un certo senso, trascurate perché tutti si concentravano su LHC e gli acceleratori", dice.
Nessuno si aspetta che questi esperimenti da bancone sostituiscano gli acceleratori di particelle. Ma potrebbero guidare i fisici verso la giusta gamma di energie per uno studio più dettagliato. Attualmente la comunità dei fisici che lavorano con gli acceleratori sospetta che serva più energia di quella per cui è stato progettato l'LHC, ma non è chiaro quale energia sarebbe sufficiente. I risultati di esperimenti a basse energie potrebbero influenzare una decisione multimiliardaria su un prossimo grande acceleratore, e questo ha aumentato la pressione sui ricercatori che lavorano nella fisica "da tavolo". "Dobbiamo fare quasi tutto con una cura superiore a quella tipica degli esperimenti di fisica atomica standard", dice DeMille.
Gabrielse nutre grandi speranze nel prossimo esperimento del team e nel lavoro al suo centro alla Northwestern, che sarà inaugurato quest'anno. Ma non può fare promesse. "Stiamo cercando di prendere all'amo un pesce la cui forma, colore, velocità e bocca sono del tutto sconosciuti".
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tearsofice00 · 6 years
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"C’è bisogno di essere felici, per tenere testa a questo dolore inconcepibile. C’è bisogno di paura per avere coraggio." —C. De Gregorio
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pangeanews · 4 years
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“Tutto cominciò con una malattia…”. Leggere “Dissipatio H.G.” di Guido Morselli per capire l’uomo nell’era del virus. “Io sono l’eletto. O il dannato”
L’inizio della fine.
Vivere dentro questi giorni che si assomigliano, uno dopo l’altro, come grani scuri di un rosario. Incatenati a un’asfissiante quarantena forzata. Nel paradossale riposo obbligatorio, nella casa che diventa prigione, il nido una gabbia, la camera un’urna. Si possono fare le prove per la fine del mondo. La letteratura, oggi come ieri, è panacea, anestetico, specchietto da borsa a disposizione, ancora in commercio (per chi osa sfidare la vita, voltando le pagine di un romanzo).
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“La fine del mondo?
Uno degli scherzi dell’antropocentrismo: descrivere la fine della specie come implicante la morte della natura vegetale e animale, la fine stessa della Terra. La caduta dei cieli. Non esiste escatologia che non consideri la permanenza dell’uomo come essenziale alla permanenza delle cose. Si ammette che le cose possano cominciare prima, ma non che possano finire dopo di noi. (…) Andiamo, sapienti e presuntuosi, vi davate troppa importanza. Il mondo non è mai stato così vivo, come oggi che una certa razza di bipedi ha smesso di frequentarlo. Non è mai stato così pulito, luccicante, allegro”.
Il profetico romanzo Dissipatio H.G. di Guido Morselli concepito nel 1973, pochi mesi prima del suicidio, era stato rispedito, dalle case editrici, al mittente. La busta con il romanzo oscillava dalla cassetta della posta, quella terribile calda notte di fine luglio. La pistola Browning, 7 e 65, silenziosa e piccola protagonista di una vita, fedele compagna dei suoi romanzi, Guido Morselli la toglie dalla coperta militare in cui, da sempre, è avvolta, poi la estrae dalla custodia di cuoio. Lo scrittore solitario e schivo decide di togliersi la vita, di togliersi di mezzo, una volta per tutte. E il suo romanzo, postumo, trova la sua strada di pubblicazione, con Adelphi, nel 1977.
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Il protagonista di Dissipatio H.G., in questi giorni pandemici, un po’ assomiglia a qualcuno che conosciamo bene: lucidissimo, ironico, ipocondriaco e, soprattutto, fobantropo. Ha una fottuta paura degli uomini. Decide anche lui di togliersi la vita annegando in uno strano laghetto sul fondo di una caverna, in montagna. Ma, poi, in extremis, cambia idea e torna indietro. Il genere umano, nel frattempo, è scomparso, volatilizzato. L’umanità si è “angelicata in massa”. “Astratto e lucido gioco intellettuale” l’ha definito Giorgio Manganelli, l’ultimo romanzo di Morselli, il suo capolavoro. Eppure, leggere oggi Dissipatio H.G. significa strappargli di dosso la definizione di ucronia, di astrazione, scoprire nuove inattese letture del nostro mondo e trovarci dentro un ritratto nitido dei nostri giorni convulsi, assurdi, in pasto alla pestilenza moderna del Coronavirus. Del resto, tutto comincia con una malattia. “Cominciò con una malattia. Corporale, non mentale, vera, non immaginaria; cronicheggiante”.
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Come si sa, è proibito andare al cinema, a teatro, a un concerto, le sale sono chiuse, la polvere inizia a coprire le poltrone. Qualche locandina ancora appesa qua e là sui muri ci ricorda il passato prossimo che sembra andato in pezzi, perduto per sempre. Ad es.: “Nelle vetrine, ho veduto un cartello. La banda si municipale raggiungerà in funivia il Mountàsc e terrà, a quota 2950, il più alto concerto bandistico d’Europa”.
Girare per la città vuota significa ascoltare il suono dei nostri passi, sul marciapiede. Un silenzio diverso, lunare, colmo di significati emotivi, dell’assenza che si fa viva, presente.
“Eppure il silenzio gravava e io lo registravo con un senso diverso da quello uditivo, forse emozionale, forse riflesso e ragionante. Ciò che ‘fa’ il silenzio e il suo contrario, in ultima analisi è la presenza umana, gradita o sgradita; e la sua mancanza. Nulla le sostituisce, in questo loro effetto.
E il silenzio da assenza umana, mi accorgevo, è un silenzio che non scorre. Si accumula”
Il silenzio che parla, è il silenzio della morte. Della paura. Di chi teme il contagio. Non c’è in giro nessuno.
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“La città intatta, appena abbandonata, è già archeologia. Non hanno lasciato un messaggio decifrabile. Hanno lasciato invece tutte le loro cose. Partiti di furia, senza curarsi di ciò che restava. I loro tesori”. Il denaro non serve più, non cura, non guarisce dal morbo. La stessa città dell’oro, Crisopoli è “disponibile a ogni cosa, tranne i miracoli”. Si tracciano i confini, si costruiscono barriere, mentre si cancellano, con un colpo di gomma, i progetti, i viaggi, i sogni. Una riga con la penna, una telefonata, si cancellano i voli. La dissipazione è universale. Internazionale. La dissipazione è intercontinentale. L’aeroporto vuoto, deserto, senza uomini, irriconoscibile. L’aeroporto di Milano Malpensa, oggi, assomiglia a quello di Teklon. A bordo dell’aereo quasi nessun passeggero. Si potrebbe quasi praticare lo yoga in cielo, veleggiando sopra le nuvole. Le cappelliere, vuote. “Teklon è l’aeroporto di Crisopoli, ma più vicino di questa per me che vengo dalla montagna; lo raggiungo in mezz’ora. Uno dei crocicchi d’Europa, uno scalo di rango intercontinentale. Oggi, però, non è affollato. O piuttosto, è vuoto. Vuoto di gente. Le sale, i corridoi, le biglietterie, la dogana, il deposito bagagli, i bar, il ristorante (dove anni fa passai una mezza giornata a aspettare un apparecchio che poi risultò dirottato); nessuno. Dovevo prevederlo? Non so. Comunque, per me, è la fase della ripresa, mi sento ottimista, consulto uno dei tanti tabelloni accesi, leggo che sono previsti nelle prossime ore tot aerei in arrivo tot in partenza; dai quattro canti del globo. Per Parigi, nel giro di cinquanta minuti, ne ho uno proveniente da Zagabria, un secondo da Nairobi via Il Cairo-Roma, un terzo da Atene, senza contare un charter «con alcuni posti eventualmente disponibili». Se qui da noi c’è la paralisi, o il deserto, per qualche ignota ragione, a Nairobi, al Cairo, a Atene, il mondo è sempre in moto. Quella che mi sto definendo con sociologica disinvoltura: bomba S (Spopolamento, repentino e radicale), bomba R (Rarefazione), se è scoppiata a Crisopoli e dintorni, non può avere esteso i suoi effetti a apparecchi che volano a diecimila metri di quota sul Mediterraneo, o nel Sudan”. Mentre un enorme cartello, dentro un’agenzia di viaggi, inneggia alle Bahamas, alla sua celebre spiaggia bianca. Un giro per la città di notte, i lampioni sono accesi, si illumina la solitudine. “Le luci stradali sono accese”. Dentro questo “Reparto angoscia” contemporaneo, si fanno i conti con la storia, si sfogliano manuali, enciclopedie, si istituiscono confronti, paralleli, a caccia di qualcosa che somigli al nostro presente. “Gli uomini hanno scatenato, in trenta secoli, circa 5000 guerre. Hanno avuto il torto (la trovata risale a Albert Camus), se non di cominciare la Storia, di proseguirla. Io non li condanno. La loro colpa peggiore, o più recente, era l’Imbruttimento del mondo. Si usava aggiungere altre imputazioni: l’Inquinamento, l’Inferocimento (anzi, con eufemismo, la ‘violenza’). L’Inflazione. (Senza eufemismo: la peste monetaria). Io non li condanno. Forse mi basta di sapere Crisopoli ridotta a Necropoli. È un castigo adeguato, ai miei occhi”.
*
A che scopo? È un trauma, inconcepibile e irrazionale, una realtà surreale che paralizza, che agita le psicosi. “Sul trauma paralizzante, si leva e vaneggia la paura. Che è fatalmente un male della ragione discorsiva, estraneo agli angeli e alle bestie”. Chi vive, sopravvive. Eletto o dannato. Superstite.
“Certo è che sono il superstite. Per caso? Mi rispondo no. Ho sempre pensato che il Caso, supposto che esista col C maiuscolo non sia «asylum ignorantiae», non si distinguerebbe in alcun modo da una superiore volontà imperscrutabile. I Lloyd’s, i grandi assicuratori londinesi, non consideravano uragani e colpi di mare, incendi e terremoti, fatti accidentali o ‘accidenti’, li chiamavano, ufficialmente «acts of God». Io sopravvivo. Dunque sono stato prescelto, o sono stato escluso. Niente caso: volontà. Che spetta a me interpretare, questo sì. (…) È un’alternativa assoluta, ma mi si concede di scegliere. Io, l’eletto o il dannato. Con la curiosa caratteristica che sta in me eleggermi o dannarmi. E bisogna che mi decida”.
Cucirsi la propria prigione, tessere, in solitudine, la propria tela di ragno, recintare il proprio corpo con un immaginario filo spinato – gridano gli esperti – significa aver salva la vita.
Forse ci siamo accorti, solo ora, che questo – senza essere tacciati di misantropia, o fobantropia – che “la società, dopotutto, era semplicemente una cattiva abitudine”.
Linda Terziroli
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diotifaboca-blog · 7 years
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I ragazzi che si credettero Dei.. Per circa 2149 anni, sull'Olimpo non ha più banchettato nessuno. Neanche un Dio. Una rondine. Una foglia. Dal 146 a. C., cioè dopo la battaglia di Corinto che regalò la penisola ellenica all'Impero Romano, mettendo praticamente fine all'era della gloriosa Antica Grecia, sull'Olimpo, non c'era proprio più niente da festeggiare. Tutto questo, almeno, fino all'arrivo di loro, che non avranno nomi storici, mitologici e musicalmente così poetici come Apollo, Atena, Ares oppure Dioniso, ma che ugualmente, nel cuore dei greci, avranno un posto privilegiato, per sempre, anche di più di Zeus e compagnia bella. Perché quello che fecero questi ragazzi per il popolo greco, non provarono a farlo neanche gli Dei. Neanche i poeti. Non è stata la Grecia ad essere il Leicester delle Nazioni. È stato il Leicester ad essere l Grecia d'Inghilterra. Se soltanto Omero fosse vissuto nei giorni nostri, ed avesse assistito alle gesta eroiche di Angelos Charisteas, oggi nessuno avrebbe mai sentito parlare di Ulisse. O di Achille. A scuola si parlerebbe di altro. Di altri. Non si parlerebbe di Socrate e Platone. Non avrebbero importanza le tesi del buon Epicuro o quelle di Aristotele. La filosofia da studiare sarebbe altra. La storia, scritta o solo pensata, sarebbe altra. Si parlerebbe solo di Nikopolidis, Seitaridis, Dellas, Basinas, di capitan Zagorakis, Giannakopoulos, Fyssas, Vryzas, Kapsis, Karagounis, Charisteas. Ragazzi che presi singolarmente e analizzando solo e soltanto le loro esperienze di club non varrebbero la formazione della più sganasciata formazione di eccellenza lucana, ma che insieme, quando in quella magnifica, afosa, stellata estate del 2004 indossarono la maglia blu e bianca della loro nazione, con sul petto lo stemma del loro popolo, si trasformarono in un gruppo di eroi. 'Cantami o diva le gesta incredibili del fantastico Angelos...' sarebbe stato l'inizio di questa Odissea moderna. Avrebbe parlato di imprese leggendarie. Mostri sacri combattuti e poi sconfitti. Calciatori mitologici annientati proprio a casa loro, nella partita più importante della loro vita. Avrebbe parlato di stadi increduli e silenziosi, mentre quei ragazzi già eroi correvano ad abbracciare l'artefice di tutto, il sergente di ferro Otto Rehhagel, tedesco di nascita ma greco per l'eternità. Altroché Leonida e quei 300 valorosi delle Termopili. Altro che il loro milione di nemici. Quel giorno, quella sera, quella notte, undici eroi con la maglia della Grecia sconfissero il mondo intero. Le ironie. Le illazione. I pronostici. Se solo Omero fosse nato ai tempi, nostri, madre mia! Parlerebbe della Francia di signori del calcio come Zidane, Henry, Trezeguet, Pirès e Thuram annientati al Josè Alvalade da un gol del semidio Charisteas su crossa perfetto del capitano Theodoros Zagorakis. Parlerebbe del silver gol di Traïanos Dellas al 105' della semifinale contro la Repubblica Ceca. Parlerebbe di cazzo e cuore. Fottuto cuore. Di poesia. Solo e soltanto poesia. Parlerebbe dell'11 settembre portoghese, del Maracanazo iberico, di quel 4 luglio di un Estadio Da Luz vestito a festa e pronto a festeggiare una vittoria da neanche mettere in discussione. Un giorno che doveva essere gloria, si trasformò in un giorno di lutto. Nefasto. Impensabile. Troppo più forte. Troppo più potenti. Troppe le aspettative. Un Europeo in casa. Una finale contro una Cenerentola del calcio mondiale. Un'impresa dalle proporzioni mostruose. Apocalittiche. Neanche solamente e lontanamente immaginabili. Forse la più grande impresa calcistica di sempre. Deco, Rui Costa, Luìs Figo, Nuno Gomes, Pauleta, Ricardo Carvalho, Maniche, Cristiano Ronaldo. Il miglior Portogallo dai tempi di Eusebio ai giorni moderni. Giá, una formalità quella vittoria, se non fosse stato per quel tavolo lá sull'Olimpo già apparecchiato e pronto a ricevere di nuovo degli ospiti. Di nuovo degli eroi. Di nuovo degli Dei. Una notte e forse mai più. Da uomini e leggende il passo è breve. Basta volerlo. Bramarlo. Sentirlo. Basta spaccare il culo al mondo intero. A tutti coloro che ridono di te. In poco più di un mese scarso da comparse di uno sport che non li ha mai visti protagonisti, a mitologia pura. Moderna. Fortissima. Inconcepibile. Assordante nel silenzio del Da Luz. 2149 anni dopo. Con Angelos Charisteas seduto sullo stesso trono che un giorno fu di Zeus, figlio di Crono e di Rea. Che avrà anche fatto tanto per gli antichi greci, per carità, ma che non ha mai segnato un gol al Portogallo, in casa del Portogallo, un caldo giorno di luglio in cui nessuno ci credeva sul serio, eccetto undici ragazzi che, per una notte, si credettero Dei.
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giancarlonicoli · 3 years
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11 gen 2021 09:52
“È SCANDALOSO CHE SIA TWITTER A DECIDERE CHI PUÒ PARLARE E CHI NO” - MASSIMO CACCIARI ESCE DAL CONFORMISMO DI SINISTRA CHE GODE PER IL BAVAGLIO A TRUMP: “SE PENSIAMO CHE I TRUMP SI SCONFIGGANO COSÌ, SALUTI. NON POSSIAMO DECIDERE SU QUESTIONI DI PRINCIPIO IN TERMINI OCCASIONALI: QUELLO CHE CI PIACE PARLA, QUELL'ALTRO NO. SIAMO PAZZI? HA DELL'INCREDIBILE CHE UN'IMPRESA ECONOMICA LA CUI LOGICA È IL PROFITTO SI ARROGHI QUESTO DIRITTO E CHE NON SI CAPISCA IL PROBLEMA VUOL DIRE CHE ORAMAI SIAMO PRONTI A TUTTO. DICEVA LACAN: VOLETE UN PADRONE? LO AVRETE”
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Ilaria Zaffino per “la Repubblica”
«Continuerà a parlare sui giornali, alle televisioni, è evidente che continuerà a parlare. Mica sto piangendo sulle sorti di Trump. È una questione di principio. Ha dell' incredibile che un' impresa economica la cui logica è volta al profitto, come è giusto che sia, possa decidere chi parla e chi no. Non è più neanche un sintomo. È una manifestazione di una crisi radicale dell' idea democratica e che alcuni democratici non lo capiscono vuol dire che siamo ormai alla frutta».
Non usa certo mezzi termini Massimo Cacciari di fronte alla clamorosa espulsione di Donald Trump da tutti i social network, ma soprattutto da Twitter e da Facebook. «Adesso i mezzi con cui uno fa politica, piacciano o non piacciano, sono questi», continua Cacciari, «io ho smesso anche per questo motivo, non esiste per me. Il mezzo fa il messaggio, il mezzo è il messaggio, come sappiamo da qualche secolo».
Professor Cacciari, se lo immaginava che saremmo arrivati a questo?
«Che un politico, costretto per svolgere il suo mestiere a usare questi mezzi, possa averne accesso in base a decisioni del capitalista che detiene assoluto potere su questi mezzi stessi, a me pare inaudito. Dovrebbe esserci un' autorità politica costituita sulla base di procedimenti di legge, come quella per la privacy, un' autorità che sulla base di principi della Costituzione dica Trump non può parlare. Benissimo, allora io applaudo. Poi è evidente che Trump non dovrebbe parlare, che un politico non deve essere messo nelle condizioni di incitare all' odio, alla violenza: ma chi lo decide? Quello che fino al giorno prima era il suo sostenitore? Che non si capisca lo scandalo di questa cosa vuol dire che ormai siamo proprio pronti a tutto. Lo diceva anche Lacan: volete un padrone? Lo avrete».
Avrebbero potuto agire diversamente?
«Avrebbero dovuto. Twitter e Facebook sono dei privati, non possono togliere la parola. Oppure stabiliscano delle regole, mi diano un loro codice etico, come c' è nelle imprese, rendano pubblico questo codice in base al quale concedono l' accesso alle loro reti, indichino chi e cosa ha diritto di parola nelle loro reti e cosa no. Se non c' è una struttura politica che decide un controllo preciso su questi strumenti di comunicazione e di informazione decisivi ormai per le sorti delle nostre democrazie, è evidente che saranno gli Zuckerberg di questo mondo a decidere delle nostre sorti».
Secondo lei, assisteremo a nuovi casi, ci sarà una deriva in tal senso?
«E che ne so io? Lo chieda a Facebook. O a Twitter».
Twitter è percepita come una comunità dai suoi appartenenti e Trump ne ha violato le regole, istigando alla violenza, per questo è stato espulso. Potrebbe essere una motivazione
«Non c' entra la motivazione. E poi la comunità che si è costituita intorno a questi mezzi coincide con la comunità politica, con lo spazio del lavoro politico».
È qui che sta dunque l'errore?
«È una tendenza storica, non è un errore. Non c'entra la storia con gli errori: quelli si fanno in matematica, in fisica, in biologia. È inevitabile fare politica su questi mezzi, questa è la tendenza storica, inappellabile. Ma è inconcepibile che quei mezzi siano proprietà di un privato che decide o meno il mio accesso al mezzo, senza alcuna possibilità di appello del pubblico, senza alcuna forma di controllo.
Perché questo avviene, il pubblico è totalmente impotente sull' uso di quei mezzi, fuorché in Cina, ovviamente. E in Russia. È capitato a tutti noi di chiederci: ma è possibile che qualcuno possa aprire un profilo su Facebook a nome mio? Provi ad andare alla polizia postale e a chiedere come si fa a chiuderlo. Ma che vuoi chiudere?».
E allora che cosa ci resta da fare?
«Serve un' autorità politica legalmente costituita che, sulla base di principi della costituzione di quel Paese, può decidere se Trump non ha più accesso ai mezzi di comunicazione. Perché? Perché incita all' odio, alla violenza, perché è nazista, perché è razzista. E sulla base di principi costituzionalmente sanciti, o con mezzi analoghi a quelle che noi chiamiamo costituzioni, interviene. È palese che è questa la linea democratica, ma ormai».
Siamo al paradosso della tolleranza di Popper: nel nome della tolleranza non possiamo tollerare gli intolleranti?
«La tolleranza è una parola odiosa nel mio vocabolario. Non si tollera se non ciò che ritengo inferiore. Quindi la tolleranza postula una gerarchia di valori. Meglio essere tolleranti che intolleranti, ovviamente. Dopodiché se pensiamo che i Trump si sconfiggano così, saluti.
Magari sconfiggeremo i Trump, più difficile sconfiggere qualche altro: forse non è proprio Trump il pericolo. Trump si manda a casa, come si stava già facendo. Twitter o non Twitter era stato mandato a casa. È folle che un politico si comporti come lui, non è questo il problema. Non è che noi possiamo decidere su questioni di principio in termini occasionali, quello ci piace allora parla, quell' altro non parla. Ma siamo pazzi?».
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