Tumgik
#accoglienza
Text
Tumblr media
Qualsiasi forzatura, qualsiasi manipolazione crea sofferenza e prolungamento del tuo dolore. Fino a quando qualcosa viene respinto, rimosso, giudicato, non accettato, stai creando la migliore delle situazioni per continuare ad attrarre a te l’evento e le persone in grado di provocarlo. Liberarti è accettazione. Amarti non può essere un sogno astratto ma solo comprensione profonda, di te. Se c’è quindi qualcosa di te che detesti, accoglierti è già svoltare, imparare ad amarti lì, in quei luoghi scartati, rimossi, dimenticati, è passare oltre. tizianacerra.com
(foto Taylor Smith, Unsplash)
11 notes · View notes
ideeperscrittori · 2 years
Text
DALLA PARTE DEI DISERTORI
Una delle cose più abominevoli della guerra è costringere qualcuno a uccidere o farsi uccidere.
Tempo fa leggevo un articolo sullo stress post-traumatico di tanti reduci del Vietnam ricoverati in reparti psichiatrici.
Una generazione è stata annichilita.
Dopo l'esplosione di una violenza istituzionalizzata e considerata presentabile nella buona società americana, molti reduci sono implosi, schiacciati dal peso dei loro incubi.
Il film Full Metal Jacket parla di Vietnam, ma è una finestra su tutte le guerre. È un racconto feroce di quello che ti aspetta durante l'addestramento e mentre infuria la battaglia. In quei contesti rimane a galla chi si rifugia nell'annullamento di sé per trasformarsi in una macchina. Chi non ci riesce sprofonda nel delirio. Ma anche i soldati che mantengono un precario e contraddittorio equilibrio perdono qualcosa per sempre, persino quando sopravvivono, persino quando riescono a immergersi in una disperata apatia. Magari tornano a casa, ma sono rassegnati alla brutalità del mondo.
Non entro nei dettagli per non rovinarvi il film. Va guardato.
Io l'ho visto tutto d'un fiato, malgrado qualche cedimento emotivo di fronte alle sequenze più crude.
La verità è che non sopporto l'idea di un'arma da fuoco nelle mie mani, neanche come astrazione confinata nell'iperuranio, nemmeno come riflessione filosofica durante in cineforum o come ipotesi enigmistica in un gioco di società. Ho già parlato di questa mia repulsione da qualche parte, perché è nella top ten delle mie ossessioni, ma ribadisco il concetto.
Non reggo l'idea di toccare fucili o pistole in nessuna situazione, anche se sto affrontando l'argomento proprio ora, in preda a un attacco di masochismo. Mentre scrivo, tento di sopprimere l'immagine dell'arma nel mio pugno, ma il mio flusso di coscienza è indisciplinato. Ricado nella condizione paradossale di chi cerca di non pensare al porpora e quel colore, come per dispetto, diventa lo scenario di qualsiasi parto della mente.
L'arma è l'antimateria che può farmi scomparire nel nulla.
Mi attengo al seguente precetto: io da una parte, l'oggetto che spara in un mondo parallelo. Così nessuno si farà male, letteralmente.
Vista la mia curiosa idiosincrasia per stragi e cose simili, posso vagamente intuire l'abissale sconforto dei giovani russi e ucraini mandati a combattere contro la loro volontà.
Al loro posto mi ubriacherei a morte durante il viaggio verso la prima linea. Se in simili circostanze mi offrissero una siringa caricata con oppioidi e Quaalude, potete scommettere che mi bucherei il braccio in meno di un nanosecondo per non pensare al mio destino. A furia di drogarmi, farei impallidire persino gente della pasta di John Belushi, prima di soccombere all'inevitabile overdose.
Le alternative esistono: scappare chissà dove oppure opporsi a viso aperto, subire un arresto e finire in carcere, per poi subire i soprusi di guardie poco compassonevoli in celle sovraffollate.
Nel caso di ribellione sono da mettere in conto anche le torture e le condanne a morte. Durante la guerra, la retorica patriottarda scorre a fiumi e la diserzione diventa il tradimento supremo. Non puoi aspettarti di essere trattato con i guanti, se getti il fucile in un fosso.
Avrei il coraggio di essere un oppositore che sfida il sistema a viso aperto e si prepara ad affrontare terribili conseguenze? Difficile rispondere. Non voglio conferire a me stesso premi e attestati di merito psichici per atti eroici che non ho commesso.
Forse, semplicemente, tenterei la fuga insieme a una moltitudine.
So solo che tante persone si oppongono, si sottraggono alle armi, disertano.
Ma al loro posto non saprei dove scappare, perché qualsiasi cartina geografica mostra con implacabile chiarezza che esistono stati e confini.
Dobbiamo offrire un rifugio a chi brucia la divisa, invece di raggiungere nuove vette di perfezione nel voltare la testa dall'altra parte.
Apriamo le nostre deplorevoli frontiere per proteggere i disertori russi e ucraini.
Facciamo risuonare il nostro barbarico yawp sui tetti del mondo per chiedere che ottengano lo status di rifugiati.
Finora questo tema è rimasto troppo ai margini del dibattito pubblico.
Portiamola avanti come si deve, senza dimenticare le basi, questa lotta antimilitarista.
[L'Ideota]
20 notes · View notes
silviaaquilini · 1 year
Photo
Tumblr media
8 notes · View notes
libero-de-mente · 2 years
Text
ACCOGLIERSI
Ci sono momenti in cui si ripensa alle volte che nella vita ci siamo fidati, ci siamo aperti a qualcuno lasciandoci andare.
Inevitabilmente poi, non a tutti per fortuna, i ricordi vanno alle nerbate sulle gengive prese a pegno di quell'apertura, di quell'accoglienza data a chi non la meritava.
Si ripensa alla convinzione avuta che, se mai un giorno ci si fosse aperti di nuovo, sarebbe stato per un'autopsia.
Mai più in vita.
Così l'avere fiducia nei rapporti personali viene a mancare, si resta sempre con la guardia alta.
Eppure fidarsi ciecamente, quando sei nelle braccia di qualcuno che davvero ti vuole bene, è magnifico.
Da bimbo facevo un gioco con mio papà, gli davo le spalle e mi lasciavo cadere all'indietro. A peso morto.
Chiudevo gli occhi e sorridevo, come una piccola provocazione, la caduta seppur breve mi muoveva i capelli mossi e durava poco.
Le sua enormi mani ruvide per via del suo lavoro mi afferravano sempre. Sempre.
Che valore ha la parola sempre, le sue mani erano lì ad accogliermi e proteggermi sempre, mi prendevano e mi rimettevano in piedi.
Poi girandomi trovavo a volte un uomo sorridente perché stava giocando con me, altre volte un padre severo e in apprensione perché quel mio gesto folle a volte glielo facevo senza preavviso.
Non caddi mai, non sbattei mai la testa. Lui c'era. Sempre.
Poi nella vita mai più nessuno fu una presa sicura come lui.
Eppure resta quella voglia di sfondarsi le braccia di abbracci, di accoglienza.
Quando la vita, mai per caso, ti pone davanti a una persona che ti sa accogliere lo comprendi quasi subito.
Le mura costruite pietra su pietra, le famose pietre del "mettiamoci una pietra sopra", crollano.
Ti ritrovi a non obbligarti più a seguire le rigide regole che ti sei imposto, ma al contrario segui il flusso di chi hai davanti. Che ha sua volta segue il tuo, quasi incredula anche lei di quello che sta accadendo.
Un flusso di emozioni e sentimenti come pioggia entrano dentro da uno verso l'altra e viceversa dentro, ci si assorbe entrambi, fino all’ultima goccia.
Allora si scoprono a vicenda i lividi e le ferite che si sono nascosti, si toccano con le mani e si cercano di lenire. Di curarle.
Si impara a donare a parlare di quello che si ha dentro, nascosto.
Si ascoltano parole che nessuno prima ha mai sentito.
Aprirsi e non pentirsi.
Una sensazione rara, meravigliosa.
Il cuore si sveglia, con esso i colori della vita.
L'abbraccio cerebrale è l'esperienza più poetica attraverso cui accogliere ciò che per noi è incomprensibile, perché non solo ci si accoglie ma ci si raccoglie.
Oltre la fisicità, oltre l'aspetto, e tutto poi diventa perfetto e proporzionato. Nulla di fuori posto.
Riaggiustandosi e dando un senso alle proprie vite.
Capita nella vita, anche quando non ci si sperava più.
Quando il cuore senza apparente motivo pulsa, quando il tuo cervello ancora non ha compreso e i tuoi occhi non hanno osservato, vuol dire che ti sta abbracciando l'anima con la sua.
Chiudete gli occhi e lasciate che percepiate l'anima in sintonia con la vostra, non usate i sensi fisici, spesso ingannano.
Sentitevi accolti dentro questa persona, con i confini dei vostri corpi che cadono e non esistono più.
Diventando un tutt'uno senza distanze. Anche quando fisicamente si è davvero lontani.
Ci si tornerà ad aprirsi è inevitabile, la vita prima o poi un'accoglienza, una casa per la tua anima, te la propone.
Ascoltatela. Non siate chiusi ermeticamente.
Sarebbe un grave peccato, per entrambi.
Accoglietevi, lasciatevi accogliere
44 notes · View notes
salvo-love · 1 year
Text
instagram
11 notes · View notes
archivio-disattivato · 6 months
Text
https://www.meltingpot.org/2023/09/trattenere-e-umiliare-procedure-hotspot-a-porto-empedocle/
Trattenere e umiliare: procedure hotspot a Porto Empedocle
Il rapporto sul monitoraggio del progetto Mem.Med (Memoria Mediterranea)
22 Settembre 2023, di Silvia Di Meo e Yasmine Accardo, Mem.Med (Memoria Mediterranea)
Con i numerosi arrivi di persone via mare sull’isola di Lampedusa, è stata istituita una tensostruttura sulle coste siciliane di Porto Empedocle dove le persone vengono trattenute in condizioni critiche per espletare le procedure di identificazione e foto segnalamento. Davanti alle carenze strutturali, al sovraffollamento e alle violazioni di diritti, le persone migranti protestano.
La tensostruttura di Porto Empedocle
“No care, no help, no travel, no food”. Sono queste le parole scritte su un foglio di carta che Khaled sventola in mezzo alla strada principale di Porto Empedocle. Lui e Mohamed sono due minori somali approdati sull’isola di Lampedusa e poi trasferiti nella tensostruttura di Porto Empedocle dove stazionano ormai da 5 giorni. La situazione che sperimentano è chiara: “No freeedom” sintetizza Mohamed. 
Li incontriamo insieme a centinaia di persone MSNA senza tutori e richiedenti asilo di diversa nazionalità, età e genere che nel corso di quest’ultima settimana sono state trasferite all’interno del campo empedoclino in attesa di essere ricollocate in centri di accoglienza in Sicilia e in altri luoghi della penisola. 
Infatti, la tensostruttura collocata nel porto della cittadina agrigentina è da diversi mesi il secondo approdo delle persone migranti che giungono via mare a Lampedusa e che, a fronte dei numeri esponenziali di arrivi sull’isola delle Pelagie, sono stati spostati rapidamente sul territorio siciliano per alleggerire l’hotspot di Lampedusa. 
La tensostruttura – che consiste in un piazzale di cemento dove sono collocati due tendoni, 18 bagni chimici e poche docce esterne – è un’area di sbarco temporanea che la Prefettura di Agrigento sembra utilizzare per identificare e smistare le persone migranti, coadiuvando di fatto le attività di pre-identificazione implementate dalle autorità nell’hotspot di Lampedusa. La tensostruttura è quindi un secondo punto di approdo in cui le persone – trasferite qui anche poche ore dopo lo sbarco lampedusano attraverso le navi traghetto Galaxy – vengono foto segnalate e viene rilasciato loro un numero identificativo. Si tratta di un numero stampato su un quadratino di carta senza cedolino e senza foto. 
Qui le persone – donne, uomini, minori e famiglie originarie della Guinea Conakry, Costa D’Avorio, Senegal, Gambia, Burkina faso, Camerun, Sierra Leone, Giordania, Egitto, Tunisia, Siria, Mali, Sudan, Somalia, Etiopia, Liberia  – stazionano per giorni e giorni, trattenute in maniera prolungata all’interno di un campo di cemento, presidiato dalle forze dell’ordine e gestito dal personale della Croce Rossa, dove sono praticamente assenti rappresentanti delle organizzazioni umanitarie, grandi e piccole.
Nonostante il trattenimento dovrebbe durare solo il tempo necessario all’identificazione e alla disposizione del trasferimento, il transito non è breve e sembra durare una media di almeno 5 giorni. In questo tempo, alle persone è impedito di uscire dal cancello principale pertanto queste sono costrette, a causa della totale invivibilità del luogo, a saltare dalle recinzioni laterali e posteriori per cercare all’esterno aiuto, cibo, contatti, informazioni, libertà. 
Le persone trattenute in questo luogo raccontano di non aver ricevuto alcuna informativa relativa all’accesso ai loro diritti, alla protezione internazionale o altre forme di tutele. Inoltre riferiscono di essere trattate come animali in gabbia: il campo infatti è senza letti, sedie, tavoli e le persone stazionano stese a terra – i più fortunati su cartonati di non precisata origine – sotto il sole cocente, in uno spiazzale ricoperto di spazzatura, cassonetti e avvolto dall’odore pungente dell’urina. Le persone riferiscono di vivere in stato di continua incertezza e forte stress dipendente non solo dalle condizioni strutturali di invivibilità del campo ma anche a causa dell’attesa prolungata di un trasferimento in accoglienza che sembra non arrivare mai.
E mentre si passa la giornata nell’afa di settembre – tra un cambio turno delle forze dell’ordine e un’intervista ufficiale rilasciata dalle autorità ai giornalisti – arrivano da Lampedusa traghetti carichi di almeno altre 400 o 500 persone migranti che vengono scortate fino all’ingresso del centro e fatte entrare nei piccoli vuoti di spazio rimasti nel piazzale. Qui le persone vengono sottoposte ad un appello pubblico, senza alcun rispetto della privacy e attraverso l’uso esclusivo delle lingue veicolari principali: francese, inglese, arabo.
In queste giornate di permanenza, qualche turista passava per il porto e fotografava le persone dietro le sbarre, qualche locale si lamentava del “disagio”, qualche giornalista riprendeva quelle persone trattenute che si infuriano dopo l’ennesima giornata di prigionia. 
In questo circo periferico, la tensostruttura di Porto Empedocle risulta una zona d’ombra rispetto alle luci dello “spettacolo Lampedusa” che continua ad avere i riflettori puntati sulle proprie coste. Eppure nel corso della settimane le persone trattenute in questo piccolo piazzale – senza assistenza legale, sanitaria e libertà personale; senza letti, senza sufficienti professionisti medici e sociali, con carenze alimentari e patologie mediche – sono  state più di 1.000, di cui l’80 per cento costituito da MSNA e altre figure cosiddette vulnerabili.
Le proteste delle donne
Il malessere è progressivamente cresciuto e così le manifestazioni di scontento delle persone trattenute. Diversi gruppi di persone hanno iniziato delle proteste per la condizione di trattamento disumano a cui sono costrette a Porto Empedocle: l’inadeguatezza alimentare – pane con formaggio e pomodoro a tutti i pasti, cibo in quantità e in qualità insufficiente – l’assoluta promiscuità senza separazioni spaziali tra uomini e donne, l’esposizione ad ulteriori condizioni di violenza e soprattutto la condizione di privazione della libertà. 
Nella giornata del 19 settembre, un gruppo di donne minori guineane ha dato avvio ad una protesta femminile davanti al cancello principale della struttura, al grido di: “Liberateci! Liberateci! non siamo prigioniere, lasciateci andare!” Le ragazze sono dunque salite sul muro che delimita la struttura e hanno cominciato a gridare e ad arrampicarsi, tentando di scavalcare le inferriate. 
Le donne hanno poi occupato l’ingresso della tensostruttura sedendosi a terra in segno di protesta. Questa condizione di esposizione alla violenza, a cui specifiche categorie di persone vulnerabilizzate – quali le donne e i MSNA, sono sottoposte – connota la gestione disciplinante di una struttura ideata e pensata come “deposito” di persone. 
Persone che, giunte dalla violenta Sfax in Tunisia o dalla Libia, vivono un processo costante di sopraffazione, sottoposte a gravi violazioni di diritti e a continue forme di abuso, coercizione e limitazione della libertà che continuano ad essere raccontate, gestite e strumentalizzate a livello pubblico – tanto da politici che da giornalisti – come normali conseguenze di una condizione emergenziale. Un’emergenza che giustifica e normalizza il trattamento riservato ai neo sbarcati sulle coste nord del Mediterraneo, destinati ad essere “ritirati” e “riconsegnati” dai vari porto mediterranei, come abbiamo sentito dire in queste ore da chi gestisce la tensostruttura.
Tuttavia le persone migranti non sono inermi e continuano ad opporsi a questo controllo violento. Le diciassettenni guineane hanno preteso di avere nel piazzale un’area femminile di loro uso esclusivo, poiché ormai da più di 7 giorni erano completamente esposte senza alcuna tutela, preoccupate delle possibili violenze nel centro. Nei giorni successivi, esasperate, hanno scavalcato il muro del centro per cercare all’esterno un minimo di libertà e benessere. Due di loro erano fortemente indebolite da patologie pregresse che non erano state adeguatamente attenzionate e, per le strade del centro empedoclino, cercavano cibo e acqua.
Tra le numerose donne qui detenute, ce n’erano varie in stato di gravidanza. Alcune di loro sono state trasferite in ospedale per partorire e subito dopo ricollocate nella tensostruttura, senza i loro figli neonati.
Molte delle persone incontrate si trovavano in evidente stato di disidratazione e deprivazione fisica, nonché di forte sofferenza psicologica dipendente dal trattenimento prolungato e dalla mancanza di contatti con il mondo esterno. Tutti i trattenuti cercavano la possibilità di comunicare con le famiglie di origine o con conoscenti, desiderosi di avvisare i propri familiari del loro arrivo, non avendo potuto farlo nonostante l’approdo fosse avvenuto ormai da quasi una settimana.
Stazione di transito, trattenimento e deportazione
Questa stazione di transito e identificazione successiva a Lampedusa, sarà nelle prossime settimane potenziata e al posto della tensostruttura verrà adibito una struttura facente ufficialmente funzione hotspot, che sta nascendo dai lavori in corso in queste ore. Il Prefetto di Agrigento, Filippo Romano ha dichiarato che: “l’hotspot di Porto Empedocle sarà collegato a quello di Lampedusa dalla stessa gestione, la Croce Rossa (…) I due hotspot devono essere visti come una sorta di ponte: quello di Lampedusa accoglie in prima battuta e quello di Porto Empedocle instrada, il più velocemente possibile, verso i pullman“.
In continuità con la gestione migratoria che ha caratterizzato le politiche europee negli anni passati, l’unico “ponte” finanziato e promosso è quello che conduce alla sorveglianza, all’umiliazione, allo smistamento e incanalamento giuridico di persone che vengono irregolarizzate, dove il dispositivo della detenzione continua ad essere principale strumento di controllo degli spostamenti umani.
Questa modalità di controllo della mobilità delle persone in arrivo alla frontiera siciliana è da inquadrare nelle nuove riforme promesse dal governo: il rafforzamento a livello nazionale del sistema detentivo del CPR, con nuove strutture e un periodo di trattenimento esteso a 18 mesi; l’introduzione di nuovi centri identificativi e di rimpatrio come CPRI a Modica, nella Sicilia orientale costituiscono la risposta europea e nazionale all’aumento degli arrivi dalla Tunisia e dalla Libia, due luoghi da cui le persone continuano a fuggire forzatamente, sopravvissute ai regimi che i governi europei continuano a finanziare.
In tal senso, i discorsi di Meloni e Von Der Leyen che – durante la passerella a Lampedusa nei giorni del sovraffollamento – hanno inneggiato all’arresto dei trafficanti e alla sorveglianza militare, sono in continuità con un sistema che pone come soluzione la detenzione al posto di una vera accoglienza, la violenza al posto dei diritti e che – con l’ausilio delle nuove strutture – affinerà la macchina criminalizzante della deportazione. 
Intanto, mentre nei diversi angoli della Sicilia occidentale e orientale proliferano hotspot e ghetti istituzionali, mentre le politiche promettono blocchi nel Mediterraneo e pseudo accoglienza a terra, le persone migranti continueranno a protestare per la libertà di movimento ed ad arrampicarsi sui muri della detenzione per pretendere rispetto dei diritti e reclamare la loro libertà.
1 note · View note
ilfalcoperegrinus · 10 months
Text
DIGNITÀ E IDENTITÀ DEL DISCEPOLO
DIGNITÀ E IDENTITÀ DEL DISCEPOLO, un commento al vangelo della XIII domenica del T.O., disponibile anche come audio-commento e con testo tradotto in spagnolo entrando nella sezione "Commenti al vangelo" del Menu principale
XIII DOMENICA DEL T.O. anno A (2023) 2Re 4,8-11.14-16a; Rm 6,3-4.8-11; Mt 10,37-42 https://predicatelosuitetti.files.wordpress.com/2023/06/xiii-domenica-del-t.o.-anno-a-2023.mp3 Gesù disse ai suoi apostoli: «Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà tenuto per…
Tumblr media
View On WordPress
2 notes · View notes
scogito · 1 year
Text
Tumblr media
Ci ho messo quasi 30 anni ad apprezzare il mio nome. Poi un giorno è successo che ero così felice di portarlo che quasi non capivo come mai per tutto quel tempo l'avevo disprezzato.
Coi cambiamenti interiori succede spesso così.
Sotto questo annuncio che ho letto su Fb ho dato di proposito un'occhiata ai commenti, ne avrò letti quasi quaranta e in nessuno di essi qualcuno citava il suo stesso nome.
Questo rivela tante piccole cose sull'accoglienza che abbiamo verso noi stessi.
7 notes · View notes
soprabito · 2 years
Text
Di boschi, sbrindolamenti, tennis e burraco
Di boschi, sbrindolamenti, tennis e burraco
Tumblr media
View On WordPress
1 note · View note
b0ringasfuck · 2 months
Text
eh ma signora mia... li fanno entrare per sfruttarli... aiutiamoli a casa loro.
1 note · View note
Text
Tumblr media
Cara mamma
scusami se non ce l'ho fatta
a raggiungere la riva
Scusami se, nonostante avessi gridato,
urlato, annaspato, per chiedere aiuto,
non ce l'ho fatta
Scusami se non potrò più darti mille bacini sul collo,
quando mi porti in braccio
con te
Scusami se non potrò aiutarti ,quando sarò cresciuto,
per i miei fratelli,
quelli che verranno,
perché io sono il più piccolo,
ma se fossi arrivato a riva
sarei diventato il più grande
Scusami se non posso avvisarti
in nessun modo per dirti che non sono mai arrivato
nel posto dove ci stavano portando
Scusami se il dubbio ti resterà dentro e magari
aspetterai anche anni per rivedermi
Scusami perché dopo aver fatto tanto,
avermi tenuto dentro per mesi,
aver provato dolore per farmi nascere,
avermi allattato,
accarezzato, cullato, abbracciato,
cibato, coperto, difeso,
non ce l'ho fatta
ad arrivare a riva
Scusami e non mi aspettare
perché non sono arrivato a riva
Scusami se non posso dirti da vicino
che il mio piccolo corpo giace
là, in un posto dove forse i pesci avranno cura di me
più delle persone che non hanno fatto nulla
per proteggermi
Scusami se non posso dirti
che forse un giorno ci rivedremo
Sì, forse un giorno ci rivedremo.
Ilaria Zoe
4 notes · View notes
ilmondopositivo · 3 months
Text
Bugliano Cold, inclusione e contenuti misti
#Bugliano Cold non è morto. I misteri irrisolti al Campus della International Bugliano University Of Life torneranno più e meglio di prima, c'è solo da pazientare un po'. #blog #accessibility #sperimentazioni
L’ultimo articolo su Bugliano Cold e i misteri irrisolti del Mondo Positivo, risale a settembre 2023 e si chiama La fondazione Turnpike. Se poi non ne abbiamo più realizzati è perché ci siamo fatti prendere la mano dall’idea di renderli podcast veri. Ma poi… Come fruire dei nostri contenuti? Non ci siamo stancati della rubrica Bugliano Cold né abbiamo finito la fantasia e a parte il brutto…
Tumblr media
View On WordPress
0 notes
silviaaquilini · 1 year
Photo
Tumblr media
5 notes · View notes
brulafiore · 5 months
Text
Tumblr media
0 notes
designmiss · 1 year
Photo
Tumblr media
L’arte dell’ospitalità https://www.design-miss.com/larte-dellospitalita/ Nel #mondo in cui viviamo, ad oggi, grande importanza hanno assunto nel panorama globale le #strutturealberghiere o comunque, più in generale, quelle strutture dedicate all’accoglienza e alla cura del #soggiorno dei #viaggiatori di tutto il mondo.
0 notes
avalonishere · 6 months
Text
#albania
1 note · View note