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#scrittori toscani
gregor-samsung · 2 years
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“ Ada, la bambinaia di Marco, non dette, a dire il vero, segni di una vera e propria pazzia. Ogni tanto se ne andava senza salutare i padroni e rimaneva lontano intere settimane. Un giorno, proprio nel mezzo della cucina, preso Marco, che era ancora in gonnellino, lo lanciò in alto verso il soffitto lasciandolo cadere senza riprenderlo a tempo. Per poco il bimbo non morì di colpo. Quando Marco fu più grande, Ada, che era rimasta nella casa come donna di servizio, lo divertì leggendogli libri d'avventure e raccontandogli fatti meravigliosi. Fu lei a narrargli la storia di suo fratello Ardito, l'altro pazzo. Ardito era fuggito di casa quando il padre era ancora in vita, e aveva girato il mondo. Perfino in Africa e a Pechino, era stato. Portava sul corpo le testimonianze del suo eterno vagabondare : tatuaggi raffiguranti draghi, case, palazzi, negri e cinesi. In verità Ardito era uno di quegli avventurieri creati, come spesso accade, dalla immaginazione dei concittadini e le sue avventure si riducevano a parecchie truffe, le sue peregrinazioni alle conseguenti permanenze in carcere. Marco però se lo era raffigurato quale glielo aveva descritto Ada : bizzarro viaggiatore col corpo dipinto come un pappagallo. Quando Marco andò ad abitare in città dai nonni, nella casa dei pazzi viveva soltanto la vecchia madre. Cercò di sapere dove fossero Ada, che si era licenziata da due anni e che non aveva più veduta, e Ardito, ma nessuno, neppure la loro madre, lo sapeva. Fantasticò a lungo su questa misteriosa, lontananza. Parlava spesso di Ada e di Ardito anche con la mamma ed essa gli raccontava di loro cose a lui sconosciute. Un giorno mentre si divertiva in giardino vide nel profondo e piccolo cortile dei pazzi un uomo ancor giovane, vestito dei soli pantaloni di tela e sdraiato in terra a prendere il fresco ; aveva la pelle del torace bruna con le più strane figure. Non c'era alcun dubbio : quel giovane era Ardito. Marco cominciò ad osservarlo attentamente, incuriosito : poteva infine conoscere la persona che, più di ogni altra, aveva occupato e occupava i suoi pensieri. A un tratto Ardito balzò in piedi e, rapidamente, arrampicandosi su per il muro, arrivò all'altezza del giardino, a pochi metri da Marco. Il ragazzo scoprì sul suo dorso il disegno di un lungo pugnale. Ardito ripiombò nel cortile e si sdraiò di nuovo in terra. Egli era stato veramente il protagonista delle innumerevoli avventure narrate da Ada ; la sua prodigiosa agilità e la figura del pugnale sembrarono a Marco le prove più certe. Però egli n'ebbe una pungente paura. La notte Ardito apparve costantemente in un sogno in cui si tentava di rapirgli la mamma. Da quella sera, prima di andare a letto, volle accertarsi che la porta del giardino fosse bene sprangata. “
Romano Bilenchi, Dino e altri racconti, Vallecchi editore, Firenze, giugno 1944²; pp. 58-61.
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angelap3 · 26 days
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La Fallaci, fiorentina, toscana, Italiana, è stata definita “uno degli autori più letti ed amati del mondo” dal rettore del Columbia College of Chicago che le ha conferito la laurea ad honorem in letteratura, ha venduto decine di milioni di libri e i suoi libri sono tradotti in tutto il mondo eppure, nella nostra italietta provinciale, rancorosa e invidiosa c’è ancora oggi una campagna denigratoria nei suoi confronti, perché? Perché Oriana Fallaci è stata politicamente scorretta, non si è mai fatta irreggimentare in nessun schieramento e ha sempre rivendicato la propria indipendenza di pensiero, svincolata da logiche partitiche e da qualunque schieramento ha sempre professato un’informazione non condizionata.
Mi sono preso la briga di cercare su google:
Scrittori fiorentini
Scrittori fiorentini del 900
Scrittori toscani del 900
Scrittori fiorentini contemporanei
Scrittori italiani più tradotti nel mondo
Non ci crederete ma il nome Fallaci non lo trovate mai citato, trovate però molti nomi sconosciuti ai più.
Non vi chiedete perché, la risposta è scritta sopra.
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lamilanomagazine · 22 days
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Firenze, arriva il bando per sostenere le case editrici toscane che parteciperanno al Salone del libro di Torino
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Firenze, arriva il bando per sostenere le case editrici toscane che parteciperanno al Salone del libro di Torino.  La Regione sostiene gli editori toscani, la cultura e la creatività. Lo fa con un avviso pubblico in occasione della XXXVI edizione del Salone internazionale del Libro che si svolge a Torino quest'anno dal 9 al 13 maggio, evento che riunisce tutta la filiera del libro, dalle case editrici agli scrittori ai librai ai bibliotecari, fino agli agenti, illustratori, traduttori e lettori. Gli editori toscani che saranno presenti al Salone avranno la possibilità di avere un beneficio a rimborso delle spese sostenute per la partecipazione all'evento. Per l'assegnazione del rimborso dovranno partecipare all'avviso pubblico per manifestazione d'interesse pubblicato sul sito della Regione, che si rivolge alle case editrici con sede legale o operativa in Toscana che partecipino al Salone con un proprio autonomo stand. "E' la prima volta che interveniamo con una misura di questo tipo a sostegno degli editori toscani – ha detto il presidente Eugenio Giani - Una scelta forte che ha l'obiettivo di rendere più forte e coordinata la presenza della Toscana al Salone sia con gli editori che parteciperanno allo stand istituzionale sia con gli editori che scelgono di averne uno loro. Il Salone del libro di Torino, grande festival internazionale della cultura, rappresenta un'occasione unica di visibilità e promozione per tutti gli operatori del settore: il nostro impegno nell'ambito della più importante manifestazione italiana nel campo dell'editoria, punta da un lato a investire nel libro e quindi in cultura, dall'altro a promuovere l'immagine e le qualità della Toscana". Un bando simile, rivolto ai piccoli editori per la loro presenza nello stand collettivo di Giunta e Consiglio regionali, era stato promosso dall'Assemblea legislativa nel mese di marzo. Il termine per la presentazione delle domande è in questo caso già scaduto. "Investire nella lettura significa investire in cultura, sapere, formazione. In una parola: nella crescita delle nostre ragazze e dei nostri ragazzi. Siamo orgogliosi che anche quest'anno ci sia uno stand tutto toscano al Salone del Libro. Sarà importante - anche grazie alla collaborazione fra Giunta e Consiglio Regionale, promuovere tante realtà editoriali della nostra regione. Vogliamo che la lettura – afferma il presidente del Consiglio regionale Antonio Mazzeo – sia sempre più un bene da mettere a disposizione di tutti e un vero e proprio diritto di accesso al sapere". "Gli editori toscani rappresentano una risorsa preziosa per il tessuto culturale, letterario e artistico regionale, svolgendo un ruolo fondamentale anche nella promozione di autori emergenti e di progetti sperimentali – dichiara la presidente della commissione cultura, Cristina Giachi. - La Regione Toscana sostenendo attraverso due bandi la loro presenza al Salone di Torino, avvia una politica culturale innovativa con lo scopo di incentivare la partecipazione di queste realtà ad uno spazio di opportunità e di conoscenza di livello nazionale internazionale come il Salone di Torino». Le domande per partecipare al bando della Giunta devono essere presentate entro e non oltre le ore 24 del 18 aprile 2024.  ... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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personal-reporter · 7 months
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Pisa Book Festival 2023
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Da giovedì 28 settembre a domenica 1 ottobre, la nuova edizione del Pisa Book Festival si propone al pubblico come manifestazione culturale che combina la promozione del libro con quella di musei e complessi storici, luoghi d’arte, identità e memoria storica, organizzata dell’Associazione Pisa Book Festival con il patrocinio del Comune di Pisa, Regione Toscana, Fondazione Pisa, Acque Spa e Camera di Commercio della Toscana Nord-Ovest. Gli Arsenali Repubblicani di Pisa saranno il cuore della fiera, con oltre 90 editori indipendenti nella veste di espositori e promotori di eventi, mentre le sale del Fortilizio della Cittadella e dei vicini Museo delle Navi Antiche di Pisa e Museo Nazionale di Palazzo Reale accoglieranno gli oltre 200 incontri tra  presentazioni di libri, dialoghi con gli autori, masterclass di traduzione, laboratori di scrittura, seminari e piccoli convegni.   La manifestazione aprirà giovedì 28 settembre alle 16, negli Arsenali Repubblicani, con il taglio del nastro e il discorso inaugurale su Pisa e i Medici di Eugenio Giani, presidente della Regione Toscana, e la lectio magistralis di Lina Bolzoni, madrina della XXI edizione del Festival, sull’Arte della Memoria. Tra le numerose ospiti femminili, fanno il loro ingresso al Pisa Book Festival la poetessa Vivian Lamarque con L’amore da vecchia (Mondadori) e Michela Marzano, e torna Chiara Francini con il suo Forte e Chiara (Rizzoli) che presenterà in dialogo con Sebastiano Mondadori. In collaborazione con la Regione Toscana, venerdì 29 settembre nel Fortilizio della Cittadella, si aprirà uno spazio di incontri alla scoperta del mondo dell’editoria e dei suoi mestieri e,  alle 18, si terrà la Cerimonia di premiazione della terza edizione dei Pisa Book Translation Awards con i tre traduttori finalisti, Eleonora Ottaviani (Del Vecchio Editore), Antonella Conti (Fazi Editore) e Fabio Cremonesi (NN Editore) dove saranno assegnati anche il Premio alla Carriera a Renata Colorni, il Premio Poesia e la Menzione Speciale Editore Indipendente. Nel ciclo degli Omaggi ai grandi della letteratura, quest’anno il Festival ricorderà Alessandro Manzoni  con Eleonora Mazzoni, autrice del libro Il cuore è un guazzabuglio (Einaudi); e José Saramago  con Roberto Francavilla, curatore dell’edizione italiana de I suoi nomi biografia passionale del Premio Nobel portoghese (Feltrinelli). L’edizione numero 21 del Pisa Book Festival segna il debutto del ciclo Lezioni di Storia, ospitato nel Museo Nazionale di Palazzo Reale, venerdì 29 aprirà Carmine Pinto con Curtatone e Montanara, combattere e morire nel Risorgimento, sabato 30 David Salomoni accompagnerà il pubblico nel viaggio di Francis Drake, un corsaro ai confini del mondo e domenica 1 ottobre concluderà il ciclo Arnaldo Marcone rievocando gli ultimi giorni dell’Impero romano. Come sempre non mancheranno gli eventi dedicati agli scrittori e alla letteratura regionale, confermata la rubrica 'Made in Tuscany', dedicata a poeti e scrittori toscani, curata da Vanni Santoni, che dialogherà con la scrittrice Lorenza Gentile e le poetesse Elisa Biagini e Francesca Matteoni, mentre di Edizioni regionali e legame col territorio si parlerà con Bernard Biancarelli e Mario Papalini, editore di Effigi, nell’evento organizzato da Éditions Albiana. Read the full article
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stilouniverse · 9 months
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Scrittori toscani? Sì, grazie....
 tuttatoscanalibri.com e  tuttatoscana.net racconti, novelle, brani scelti da autori toscani di ieri e di oggi o che scrivono o hanno ambientato le loro opere in Toscana, per un fine settimana di letture, per tutti!
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abatelunare · 3 years
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Scriver toscano
Ho una certa predilezione per gli autori toscani. Perché la loro scrittura ha una grana tutta particolare al mio orecchio di lettore. Un po’ sospesa - quasi indecisa - fra vernacolo e aulico. Ha solo un difetto. Mi costringe a leggerla tenendomi di fianco un dizionario della lingua italiana. Perché è piena di parole che se non le conosci difficilmente puoi capire determinati passi. Enrico Pea, Guelfo Civinini, Renato Fucini e Bruno Cicognani sono alcuni degli scrittori di Toscana cui mi sono accostato. Sono stati uno degli aspetti positivi dell’università. Vale a dire, la scoperta di autori che altrimenti non avrei mai letto. Sraebbe stato un peccato. Perché ci sono cose che sarebbe meglio conoscere.
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freedomtripitaly · 4 years
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Un viaggio in Italia attraverso 100 tra i borghi più rappresentativi. Oggi è possibile grazie ai 100 borghi del cuore scelti da SiViaggia, la nuova serie in podcast che esplora le bellezze nascoste nel nostro territorio. Chiudi gli occhi e segui Virgilio e Italia, le nostre guide che ti mostrano gli angoli più suggestivi delle regioni italiane. Ogni puntata è dedicata ad un borgo. Puoi viverne l’atmosfera attraverso il racconto dei luoghi più interessanti, delle bellezze artistiche e delle prelibatezze della cucina locale. Puoi ascoltare le 100 puntate sulla piattaforma Spreaker e attraverso la skill di Amazon. Ti basta chiedere ad Alexa “Alexa, apri cento borghi” oppure “Alexa, chiedi a cento borghi un borgo di Roma” se vuoi cercare un borgo vicino ad una località specifica. I podcast sono accompagnati da schede su SiViaggia.it che da sempre ha parlato con interesse dei borghi più belli d’Italia. Il progetto dei 100 borghi del cuore di SiViaggia è stato pensato come uno strumento per i viaggiatori che possono ascoltarlo comodamente in auto mentre sono alla scoperta degli angoli più belli della Penisola. Questa raccolta di podcast si rivela un’importante risorsa per tutti coloro i quali non vogliono rinunciare a viaggiare e a vedere gli angoli più belli d’Italia, anche solo ad occhi chiusi e lasciando libera la fantasia. I 100 borghi del cuore scelti da SiViaggia Nei 100 borghi del cuore scelti da SiViaggia attraversiamo e raccontiamo tutta l’Italia. Ecco le 100 tappe del nostro viaggio. Abruzzo Andiamo alla scoperta dei borghi nascosti tra le montagne dell’Appennino abruzzese. In provincia di L’Aquila ci rechiamo a Castel del Monte, Opi, Pacentro, Pescocostanzo e Scanno; in provincia di Teramo andiamo per le vie di Campli. Campli Castel del Monte Opi Pacentro Pescocostanzo Scanno Basilicata In Basilicata, terra ricca di arte e cultura, troviamo i due magnifici borghi di Castelmezzano e Melfi in provincia di Potenza. Castelmezzano Melfi Calabria Tra Tirreno e Ionio ci dirigiamo verso i borghi calabresi tra le alture dell’Aspromonte, la Sila e lungo le due coste. Andiamo a Bova e Gerace in provincia di Reggio Calabria, Caccuri in provincia di Crotone, Diamante e Roseto Capo Spulico in povincia di Cosenza. Bova Caccuri Diamante Gerace Roseto Capo Spulico Campania In Campania ci immergiamo nella provincia di Salerno dove troviamo splendidi borghi affacciati sul Tirreno. In Cilento ci fermiamo a Santa Maria di Castellabate, poi partiamo all’esplorazione della Costiera Amalfitana attraverso i borghi di Atrani, Conca dei Marini, Positano e Praiano. Atrani Castellabate Conca dei Marini Positano Praiano Emilia Romagna Attraversiamo l’Emilia Romagna per incontrare borghi medievali di rara bellezza lungo la Pianura Padana. Passiamo per Bobbio, Castell’Arquato e Vigoleno in provincia di Piacenza, Bussero e Fontanellato in provincia di Parma, Dozza in provincia di Bologna, Brisighella in provincia di Ravenna. Bobbio Brisighella Busseto Castell’Arquato Dozza Fontanellato Vigoleno Friuli Venezia Giulia Avventuriamoci tra i suggestivi borghi del Friuli Venezia Giulia ricchi di magia e mistero. In provincia di Udine troviamo Cividale, Clauiano, Sauris, Stavoli e Venzone; in provincia di Pordenone c’è Poffabro. Cividale del Friuli Clauiano Poffabro Sauris Stavoli Venzone Lazio Dalle alture dell’entroterra del Lazio al mare del Golfo del Circeo possiamo trovare una serie di borghi segnati dalla traccia indelebile della loro storia. Fermiamoci ad Anguillara Sabazia, Monterano e Subiaco in provincia di Roma, Greccio e Orvinio in provincia di Rieti, Castro dei Volsci in provincia di Frosinone, Civita di Bagnoregio in provincia di Viterbo, Sperlonga in provincia di Latina. Anguillara Sabazia Castro dei Volsci Civita di Bagnoregio Greccio Monterano Orvinio Sperlonga Subiaco Liguria Dalla riviera di Ponente a quella di Levante, la Liguria è caratterizzata da magnifici borghi che si affacciano sul mare o che sono arroccati sulle alture dell’entroterra. In provincia di Imperia abbiamo Apricale, Diano Marina, Dolceacqua, Perinaldo, Seborga e Triora; in provincia di La Spezia troviamo Vernazza. Apricale Diano Marina Dolceacqua Perinaldo Seborga Triora Vernazza Lombardia Affacciati sui laghi di Garda e di Como, oppure nelle terre dei Gonzaga ricche di storia, troviamo i borghi della Lombardia. Ci rechiamo in provincia di Brescia a Gardone Riviera, proseguiamo in provincia di Como a Bellagio, poi in provincia di Lecco a Varenna e infine in provincia di Mantova a Sabbioneta e Pomponesco. Bellagio Gardone Riviera Pomponesco Sabbioneta Varenna Marche Borghi che hanno ispirato scrittori e pittori, ma anche ricchi di misteri e leggende. Siamo nelle Marche e più precisamente ad Offagna in provincia di Ancona, Offida in provincia di Ascoli Piceno, Caldarola in provincia di Macerata, Montefabbri e Gradara in provincia di Pesaro Urbino. Caldarola Gradara Montefabbri Offagna Offida Molise Nel piccolo Molise ci dirigiamo verso i borghi di Sepino in provincia di Campobasso, Pietrabbondante e Venafro in provincia di Isernia. Pietrabbondante Sepino Venafro Piemonte Tra le verdi colline delle Langhe, l’azzurro dei laghi e il bianco delle vette innevate delle Alpi, in Piemonte possiamo incontrare borghi dalla belelzza unica. Mettiamoci in viaggio verso Barolo e Ostana in provincia di Cuneo, Orta San Giulio in provincia di Novara, Ricetto di Candelo in provincia di Biella. Barolo Orta San Giulio Ostana Ricetto di Candelo Puglia Attraversiamo la Puglia alla scoperta dei borghi avvolti nelle tradizioni locali e dalla magia di antiche costruzioni che si sono conservate fino ad oggi. In provincia di Bari andiamo a visitare Alberobello e Bitonto, poi Cisternino, Ceglie Messapica e Oria in provincia di Brindisi, Vico del Gargano in provincia di Foggia, Melpignano e Guardignano in provincia di Lecce. Alberobello Bitonto Ceglie Messapica Cisternino Giurdignano Melpignano Oria Vico del Gargano Sardegna Affacciati su un mare cristallino o adagiati tra le alture dell’entroterra rurale, ci avventuriamo tra i borghi della Sardegna. La nostra esplorazione dell’isola attraversa Castelsardo in provincia di Cagliari, Orgosolo in privincia di Nuoro, Laconi in provincia di Oristano, Aggius in provincia di Sassari, Sadali e Sanluri nella provincia del Sud Sardegna. Aggius Castelsardo Laconi Orgosolo Sadali Sanluri Sicilia Attirati dalle leggende della mitologia greca, andiamo a scoprire i segreti della Sicilia attraverso i borghi dove la magia è ancora viva. Percorriamo le stradine di Aci Trezza in provincia di Catania, Rometta in provincia di Messina, Palazzolo Acreide in provincia di Siracusa. Aci Trezza Palazzolo Acreide Rometta Toscana In mezzo ai colorati colli toscani e alla verde Maremma troviamo dei veri e propri gioielli. Il nostro viaggio si snoda attraverso i borghi di Poppi e Cortona in provincia di Arezzo, Capalbio, Pitigliano, Santa Fiora e Sovana in provincia di Grosseto, Volterra in provincia di Pisa, Collodi in provincia di Pistoia, San Gimignano, San Casciano dei Bagni e Pienza in provincia di Siena. Capalbio Collodi Cortona Pienza Pitigliano Poppi San Casciano dei Bagni San Gimignano Santa Fiora Sovana Volterra Umbria Il viaggio prosegue in Umbria, nel cuore dell’Italia. Qui, in provincia di Perugia, troviamo i borghi di Bevagna, Castiglione del Lago, Montefalco, Norcia e Spello. Bevagna Castiglione del Lago Montefalco Norcia Spello Veneto Ci dirigiamo in Veneto, tra cittadine murate e splendidi castelli. Qui le tappe del nostro viaggio sono Cittadella e Arqua Petrarca in provincia di Padova, Asolo in provincia di Treviso, Borghetto Valeggio sul Mincio e Soave in provincia di Verona. Arqua Petrarca Asolo Borghetto Valeggio sul Mincio Cittadella Soave https://ift.tt/3ecwtP4 I 100 borghi del cuore scelti da SiViaggia, la nuova serie in podcast Un viaggio in Italia attraverso 100 tra i borghi più rappresentativi. Oggi è possibile grazie ai 100 borghi del cuore scelti da SiViaggia, la nuova serie in podcast che esplora le bellezze nascoste nel nostro territorio. Chiudi gli occhi e segui Virgilio e Italia, le nostre guide che ti mostrano gli angoli più suggestivi delle regioni italiane. Ogni puntata è dedicata ad un borgo. Puoi viverne l’atmosfera attraverso il racconto dei luoghi più interessanti, delle bellezze artistiche e delle prelibatezze della cucina locale. Puoi ascoltare le 100 puntate sulla piattaforma Spreaker e attraverso la skill di Amazon. Ti basta chiedere ad Alexa “Alexa, apri cento borghi” oppure “Alexa, chiedi a cento borghi un borgo di Roma” se vuoi cercare un borgo vicino ad una località specifica. I podcast sono accompagnati da schede su SiViaggia.it che da sempre ha parlato con interesse dei borghi più belli d’Italia. Il progetto dei 100 borghi del cuore di SiViaggia è stato pensato come uno strumento per i viaggiatori che possono ascoltarlo comodamente in auto mentre sono alla scoperta degli angoli più belli della Penisola. Questa raccolta di podcast si rivela un’importante risorsa per tutti coloro i quali non vogliono rinunciare a viaggiare e a vedere gli angoli più belli d’Italia, anche solo ad occhi chiusi e lasciando libera la fantasia. I 100 borghi del cuore scelti da SiViaggia Nei 100 borghi del cuore scelti da SiViaggia attraversiamo e raccontiamo tutta l’Italia. Ecco le 100 tappe del nostro viaggio. Abruzzo Andiamo alla scoperta dei borghi nascosti tra le montagne dell’Appennino abruzzese. In provincia di L’Aquila ci rechiamo a Castel del Monte, Opi, Pacentro, Pescocostanzo e Scanno; in provincia di Teramo andiamo per le vie di Campli. Campli Castel del Monte Opi Pacentro Pescocostanzo Scanno Basilicata In Basilicata, terra ricca di arte e cultura, troviamo i due magnifici borghi di Castelmezzano e Melfi in provincia di Potenza. Castelmezzano Melfi Calabria Tra Tirreno e Ionio ci dirigiamo verso i borghi calabresi tra le alture dell’Aspromonte, la Sila e lungo le due coste. Andiamo a Bova e Gerace in provincia di Reggio Calabria, Caccuri in provincia di Crotone, Diamante e Roseto Capo Spulico in povincia di Cosenza. Bova Caccuri Diamante Gerace Roseto Capo Spulico Campania In Campania ci immergiamo nella provincia di Salerno dove troviamo splendidi borghi affacciati sul Tirreno. In Cilento ci fermiamo a Santa Maria di Castellabate, poi partiamo all’esplorazione della Costiera Amalfitana attraverso i borghi di Atrani, Conca dei Marini, Positano e Praiano. Atrani Castellabate Conca dei Marini Positano Praiano Emilia Romagna Attraversiamo l’Emilia Romagna per incontrare borghi medievali di rara bellezza lungo la Pianura Padana. Passiamo per Bobbio, Castell’Arquato e Vigoleno in provincia di Piacenza, Bussero e Fontanellato in provincia di Parma, Dozza in provincia di Bologna, Brisighella in provincia di Ravenna. Bobbio Brisighella Busseto Castell’Arquato Dozza Fontanellato Vigoleno Friuli Venezia Giulia Avventuriamoci tra i suggestivi borghi del Friuli Venezia Giulia ricchi di magia e mistero. In provincia di Udine troviamo Cividale, Clauiano, Sauris, Stavoli e Venzone; in provincia di Pordenone c’è Poffabro. Cividale del Friuli Clauiano Poffabro Sauris Stavoli Venzone Lazio Dalle alture dell’entroterra del Lazio al mare del Golfo del Circeo possiamo trovare una serie di borghi segnati dalla traccia indelebile della loro storia. Fermiamoci ad Anguillara Sabazia, Monterano e Subiaco in provincia di Roma, Greccio e Orvinio in provincia di Rieti, Castro dei Volsci in provincia di Frosinone, Civita di Bagnoregio in provincia di Viterbo, Sperlonga in provincia di Latina. Anguillara Sabazia Castro dei Volsci Civita di Bagnoregio Greccio Monterano Orvinio Sperlonga Subiaco Liguria Dalla riviera di Ponente a quella di Levante, la Liguria è caratterizzata da magnifici borghi che si affacciano sul mare o che sono arroccati sulle alture dell’entroterra. In provincia di Imperia abbiamo Apricale, Diano Marina, Dolceacqua, Perinaldo, Seborga e Triora; in provincia di La Spezia troviamo Vernazza. Apricale Diano Marina Dolceacqua Perinaldo Seborga Triora Vernazza Lombardia Affacciati sui laghi di Garda e di Como, oppure nelle terre dei Gonzaga ricche di storia, troviamo i borghi della Lombardia. Ci rechiamo in provincia di Brescia a Gardone Riviera, proseguiamo in provincia di Como a Bellagio, poi in provincia di Lecco a Varenna e infine in provincia di Mantova a Sabbioneta e Pomponesco. Bellagio Gardone Riviera Pomponesco Sabbioneta Varenna Marche Borghi che hanno ispirato scrittori e pittori, ma anche ricchi di misteri e leggende. Siamo nelle Marche e più precisamente ad Offagna in provincia di Ancona, Offida in provincia di Ascoli Piceno, Caldarola in provincia di Macerata, Montefabbri e Gradara in provincia di Pesaro Urbino. Caldarola Gradara Montefabbri Offagna Offida Molise Nel piccolo Molise ci dirigiamo verso i borghi di Sepino in provincia di Campobasso, Pietrabbondante e Venafro in provincia di Isernia. Pietrabbondante Sepino Venafro Piemonte Tra le verdi colline delle Langhe, l’azzurro dei laghi e il bianco delle vette innevate delle Alpi, in Piemonte possiamo incontrare borghi dalla belelzza unica. Mettiamoci in viaggio verso Barolo e Ostana in provincia di Cuneo, Orta San Giulio in provincia di Novara, Ricetto di Candelo in provincia di Biella. Barolo Orta San Giulio Ostana Ricetto di Candelo Puglia Attraversiamo la Puglia alla scoperta dei borghi avvolti nelle tradizioni locali e dalla magia di antiche costruzioni che si sono conservate fino ad oggi. In provincia di Bari andiamo a visitare Alberobello e Bitonto, poi Cisternino, Ceglie Messapica e Oria in provincia di Brindisi, Vico del Gargano in provincia di Foggia, Melpignano e Guardignano in provincia di Lecce. Alberobello Bitonto Ceglie Messapica Cisternino Giurdignano Melpignano Oria Vico del Gargano Sardegna Affacciati su un mare cristallino o adagiati tra le alture dell’entroterra rurale, ci avventuriamo tra i borghi della Sardegna. La nostra esplorazione dell’isola attraversa Castelsardo in provincia di Cagliari, Orgosolo in privincia di Nuoro, Laconi in provincia di Oristano, Aggius in provincia di Sassari, Sadali e Sanluri nella provincia del Sud Sardegna. Aggius Castelsardo Laconi Orgosolo Sadali Sanluri Sicilia Attirati dalle leggende della mitologia greca, andiamo a scoprire i segreti della Sicilia attraverso i borghi dove la magia è ancora viva. Percorriamo le stradine di Aci Trezza in provincia di Catania, Rometta in provincia di Messina, Palazzolo Acreide in provincia di Siracusa. Aci Trezza Palazzolo Acreide Rometta Toscana In mezzo ai colorati colli toscani e alla verde Maremma troviamo dei veri e propri gioielli. Il nostro viaggio si snoda attraverso i borghi di Poppi e Cortona in provincia di Arezzo, Capalbio, Pitigliano, Santa Fiora e Sovana in provincia di Grosseto, Volterra in provincia di Pisa, Collodi in provincia di Pistoia, San Gimignano, San Casciano dei Bagni e Pienza in provincia di Siena. Capalbio Collodi Cortona Pienza Pitigliano Poppi San Casciano dei Bagni San Gimignano Santa Fiora Sovana Volterra Umbria Il viaggio prosegue in Umbria, nel cuore dell’Italia. Qui, in provincia di Perugia, troviamo i borghi di Bevagna, Castiglione del Lago, Montefalco, Norcia e Spello. Bevagna Castiglione del Lago Montefalco Norcia Spello Veneto Ci dirigiamo in Veneto, tra cittadine murate e splendidi castelli. Qui le tappe del nostro viaggio sono Cittadella e Arqua Petrarca in provincia di Padova, Asolo in provincia di Treviso, Borghetto Valeggio sul Mincio e Soave in provincia di Verona. Arqua Petrarca Asolo Borghetto Valeggio sul Mincio Cittadella Soave Un viaggio in Italia attraverso 100 tra i borghi più rappresentativi. Oggi è possibile grazie ai 100 borghi del cuore scelti da SiViaggia, la nuova serie in podcast che esplora le bellezze nascoste…
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gregor-samsung · 2 years
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“ Tacemmo per un po', poi il mio compagno mi chiese il permesso di fumare. Frugò in una borsa che teneva vicino al letto e nella stanza si sparse l'odore di quei sigaretti indiani piccoli e profumati, fatti di una sola foglia di tabacco. «Una volta lessi i Vangeli», disse, «è un libro molto strano». «Soltanto strano?», chiesi. Ebbe un'esitazione. «Anche pieno di superbia», disse, «sia detto senza cattiveria». «Temo di non capire molto bene», dissi io. «Mi riferivo a Cristo», disse lui. L'orologio della stazione batté la mezzanotte e mezzo. Sentivo che il sonno si stava impossessando di me. Dal parco dietro i binari arrivò il gracchiare dei corvi. «Varanasi è Benares», dissi, «è una città santa, anche lei va in pellegrinaggio?». Il mio compagno spense la sigaretta e tossì leggermente. «Vado a morire», disse, «mi restano pochi giorni di vita». Si sistemò il cuscino sotto la testa. «Ma forse è opportuno dormire», continuò, «non abbiamo molte ore di sonno, il mio treno parte alle cinque». «Il mio parte poco dopo», dissi. «Oh, non tema», disse lui, «l'inserviente verrà a svegliarla per tempo. Suppongo che non avremo più occasione di vederci secondo le sembianze sotto le quali ci siamo conosciuti, queste nostre attuali valigie. Le auguro un buon viaggio». «Buon viaggio anche a lei», risposi. “
Antonio Tabucchi, Notturno indiano, Sellerio Editore (collana La memoria n° 93), 2002³³ [1ª ed.ne 1984]; pp. 42-43.
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giuliocavalli · 6 years
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«Non possiamo permettere che ritornino quelle parole (e quegli atti) della vergogna»: una lettera ai direttori
«Non possiamo permettere che ritornino quelle parole (e quegli atti) della vergogna»: una lettera ai direttori (la pubblica Nazione Indiana qui) Siamo studiosi e studiose, scrittori e scrittrici, preoccupati dal dilagare dell’odio nei media italiani. Odio verso le donne, i migranti, i figli di migranti, la comunità Lgbtq. Un odio che è ormai il piatto principale di moltissimi talk show televisivi nei quali vige da tempo la politica dei microfoni aperti, senza nessuna direzione o controllo. E spesso le parole che escono fuori da alcuni dibattimenti televisivi sono parole che mettono fortemente in crisi o addirittura contraddicono l’essenza stessa della nostra Costituzione, il richiamarsi a un patto antifascista e democratico. L’attentato di Macerata, dove un simpatizzante neonazista ha cercato la strage di uomini e donne africani, è qualcosa che ci interroga nel profondo. Le vittime sono diventate il bersaglio di un uomo la cui azione terroristica si è nutrita della narrazione tossica veicolata non solo da internet ma anche dal mainstream mediatico. Dopo quello che è successo non possiamo restare in silenzio. Serve una maggiore assunzione di responsabilità, serve un nuovo patto fra chi fa comunicazione e i cittadini. Le parole di odio, lo abbiamo visto chiaramente, possono tradursi in atti di violenza omicida. Azioni che, acclamate e imitate, rischiano seriamente di innescare una spirale di violenza. Per noi è evidente che il nodo mediatico ha contribuito a produrre e legittimare lo scatenarsi delle pulsioni peggiori. Per questo chiediamo ai media di non prestare più il fianco alla propaganda d’odio, ma di compiere anzi uno sforzo nel contrastarla. Intere fette di società (per esempio i migranti e i figli di migranti) nella rappresentazione mediatica esistono pressoché solo come stereotipo o nei peggiori dei casi come bersaglio dell’odio, contraltare utile a chi fa di una propaganda scellerata il suo lavoro principale. Sappiamo che nei media lavorano seri professionisti che come noi sono molto preoccupati per la piega degli eventi. Servono contenuti nuovi, modalità diverse, linguaggi aperti e trasparenti. Non possiamo permettere che nel 2018, ad 80 anni dalle leggi razziali, ritornino quelle parole (e quegli atti) della vergogna. Dobbiamo cambiare ora e dobbiamo farlo tutti insieme. Ne va della nostra convivenza e della nostra tenuta democratica. Quello che chiediamo non è un superficiale politically correct. Chiediamo invece una presa in carico di un mondo nuovo, il nostro, che ha bisogno di conoscersi e non odiarsi. Antonio Gramsci scriveva: Il vecchio mondo sta morendo. Quello nuovo tarda a comparire. E in questo chiaroscuro nascono i mostri. Dipende da noi non lasciar nascere questi mostri. Dipende da noi evitare che torni lo spettro del fascismo nelle nostre vite. Per farlo però dobbiamo lavorare in sinergia e cambiare i mezzi di comunicazione. E dobbiamo farlo ora, prima che sia troppo tardi. Giulio Cavalli Vanessa Roghi Helena Janeczek Igiaba Scego Sabrina Varani Christian Raimo Paolo di Paolo Michela Monferrini Frederika Randall Graziano Graziani Francesca Capelli Shaul Bassi Loredana Lipperini Shulim Vogelmann Amin Nour Reda Zine Sabrina Marchetti Amir Issa Alessandro Triulzi Francesco Forlani Fiorella Leone Francesca Melandri Ilda Curti Marco Balzano Alessandro Portelli Attilio Scarpellini Filippo Tuena Francesco M.Cataluccio Laura Bosio Gianfranco Pannone Antonio Damasco Franco Buffoni Evelina Santangelo Caterina Bonvicini Lisa Ginzburg Camilla Miglio Emanuele Zinato Andrea Inglese Andrea Raos Maria Grazia Meriggi Alessandra Di Maio Roberto Carvelli Francesco Fiorentino Grazia Verasani Caterina Venturini Alessandra Carnaroli Lorenzo Declich Gennaro Carotenuto Silvia Ballestra Chiara Valerio Marco Belpoliti Paola Caridi Marco Missiroli Alessandro Robecchi Valeria Parrella Nicola Lagioia Enrico Manera Jamila Mascat Maria Luisa Venuta Rossella Milone Giacomo Sartori Antonella Lattanzi Barbara del Mercato Amara Lakhous Rino Bianchi Carola Susani Roberto Carvelli Isabella Perretti Rosa Jijon Davide Orecchio Antonella Lattanzi Simone Giusti Simone Siliani Alberto Prunetti Chiara Mezzalama Elisabetta Mastrocola Teresa Ciabatti Andrea Tarabbia Antonella Anedda Elisabetta Bucciarelli Francesco Fiorentino Paola Capriolo Paolo Morelli Simona Vinci Giorgio Vasta Orsola Puecher Antonio Scurati Vins Gallico Daniele Petruccioli Enrico Macioci Maria Grazia Calandrone Eraldo Affinati Elena Pirazzoli Leonardo Palmisano Emiliano Sbaraglia Maura Gancitano Marco Mancassola Rosella Postorino Alessandra Sarchi Carlo Lucarelli Giorgio Pecorin Gianni Biondillo Ornella Tajani Mariasole Ariot Giorgio Fontana Girolamo Grammatico Francesca Ceci Brunella Toscani Tommaso Giartosio Attilio Scarpellini Simone Pieranni Elisabetta Liguori Giuliano Santoro Orofino di Giacomelli Maria Grazia Porcelli Giovanni Contini Federico Faloppa Federico Bertoni Flaminia Bartolini Dario Miccoli Emanuela Trevisan Semi Alessandro Mari Tommaso Pincio Laura Silvia Battaglia Anna Maria Crispino Andrea Bajani Renata Morresi Francesca Fiorletta Federica Manzon Angiola Codacci Pisanelli Alessandro Chiappanuvoli Società italiana delle Storiche Benedetta Tobagi Giuseppe Genna Fabio Geda Daniele Giglioli Angelo Ferracuti Alessandro Bertante Riccardo Chiaberge Giorgio Mascitelli Gherardo Bortolotti Annamaria Ferramosca Anita Benedetti Letizia Perri Luisella Aprà Masturah Atalas Rosalia Gambatesa Barbara Summa Lorenzo D’Agostino Anna Toscano Fabrizio Botti Chiara Veltri Sergio Bellino Barbara Benini Valentina Mangiaforte Maria Motta Emanuele Plasmati Giuseppe Maimone Paolo Soraci Pina Piccolo Graziella Priulla Leonardo Banchi Valentina Daniele Massimiliano Macculi Susanna Marchesi Corrado Aiello Giovanni Scotto Liliana Omegna Domenico Conoscenti Francesco Falciani Mario Di Vito Ileana Zagaglia Maria Elena Paniconi Antonio Corsi Stefano Luzi Nicola Marino Barbara Lazzarini Antonella Bottero Camilla Mauro Pietro Saitta Gianni Montieri Francesca Del Moro Adam Atik Maurella Carbone Sabrina Fusari Francesa Perlini Antonella Bastari Donatella Libani Alessandra Pillosu Lidia Massari Gianni Girola Andrea Fasulo Lidia Borghi Roberta Chimera Gaetano Vergara Camilla Seibezzi Lisa Dal Lago Nicoletta Mazzi Annamaria Laneri Sandra Paoli Cristina Nicoletta Leonardo De Franceschi Olga Consoli Chiara Barbieri Valentina De Cillis Letizia Perri Angelo Sopelsa Alessandra Greco Simone Buratti Giacomo Di Girolamo MariaGiovanna Luini Costanza Matafù Lorenza Caravelli Elena Maitrel Cavasin Leopoldina Bernardi Donatella Favaretto Simona Brighetti Margherita D’Onofrio Ivana Buono Manuela Olivieri Maria Cristina Mannozzi Helleana Grussi Elisabetta Galeotti Antonio Sparzani (si può firmare qui)
(la pubblica Nazione Indiana qui) Siamo studiosi e studiose, scrittori e scrittrici, preoccupati dal dilagare dell’odio nei media italiani. Odio verso le donne, i migranti, i figli di migranti, la comunità Lgbtq. Un odio che è ormai il piatto principale di moltissimi talk show televisivi nei quali vige da tempo la politica dei microfoni aperti, senza nessuna direzione o controllo. E spesso le…
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stilouniverse · 10 months
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Scrittori toscani? Sì, ancora... Paolieri con "Il Dodolo"
Gentili lettori, continuiamo la nostra rassegna letteraria sugli autori toscani di ieri e di oggi o che scrivono o hanno ambientato le loro opere in Toscana, con un’altra novella di Ferdinando Paolieri, fiorentino,  tratta da Novelle toscane pubblicato a Torino nel 1913. Pittore e poeta fu a lungo giornalista de La Nazione. Dopo “Il rimedio pei topi” ,   “Il Dodolo” : se la prima ritrae la…
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Storie di razzismo di toscani emigrati
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Storie di razzismo di toscani emigrati
“Data la loro abitudine di trasferirsi nel paese che li ospita nei  mesi invernali per poi tornare in patria in autunno, gli immigrati si caratterizzavano per una scarsa volontà di integrarsi nella società locale, fatto confermato dai bassi livelli di acquisizione di cittadinanza e di apprendimento della lingua locale“.
Vignetta america del 1901 ci definiva “la fogna del mondo”
Questo stralcio di documento non è preso da un rapporto del Ministero dell’Interno sulle orde di migranti che stanno raggiungendo le nostre coste in questi mesi, ma bensì è una relazione del Dipartimento della Sicurezza interna degli Stati Uniti d’America di inizi 1900, argomento trattato: l’emigrazione italiana… Si, inutile nascondersi dietro ad un dito, una volta i discriminati razziali eravamo noi, o meglio, i nostri nonni e bisnonni che partiti dalla Garfagnana (e dall’Italia in genere) andavano a cercar fortuna in Paesi pronti ad accoglierli… ma questi Paesi, tanto pronti non erano.
Prima di leggere testimonianze di garfagnini emigrati discriminati, la cui sola colpa era quella di essere italiano è bene che il mio caro lettore attraverso questo antefatto che andrò a narrare si faccia un’idea del contesto in cui si ritrovavano i nostri avi partiti dalla nostra amena (al tempo non troppo…) valle. Il razzismo e i pregiudizi sugli italiani è bene chiarirlo subito accompagnavano i nostri compatrioti in tutto il globo, in qualsiasi terra in cui mettessero piede, dalle Americhe all’Australia e in tutto quel periodo storico che va dall’800 fino agli anni ’70 del secolo passato. Su di loro pesavano un paio di secoli di stereotipi importati da decine di scrittori, letterati ed esimi professori che si erano recati nel nostro Paese in quello che in quel tempo era conosciuto come il “Grand Tours“.
Il tedesco Goethe definì l’Italia “un paradiso popolato da diavoli”
“Grazie” dunque, anche a scrittori del calibro di Defoe, Shelley e Twain che fummo nell’immaginario popolare d’oltralpe e d’oltreoceano subito marchiati a fuoco. Goethe definì l’Italia “un paradiso abitato da diavoli“. Questo marchio fece ben presto il giro del mondo, quindi per gli altri eravamo come i vari scrittori ci avevano visto: sporchi, mendicanti e immorali, ma non era niente al confronto di altri tre preconcetti che costituivano il fardello che ogni singolo emigrante doveva sopportare: l’italiano era pericoloso socialmente, l’italiano è violento è un uomo dalla rissa e dal coltello facile, un po’ come adesso noi vediamo gli immigrati provenienti dall’est Europa, fattostà che i nostri connazionali erano soprannominati nei paesi anglosassoni “dago“, una storpiatura della parola “dagger“(coltello, pugnale).
Luigi Luccherini l’assasino della principessa Sissi
L’italiano è un terrorista: sovversivi ed anarchici per natura. Tale “bollo” accompagnò gli italiani sopratutto fra fine ottocento ed inizio novecento, sottoponendoli di fatto ad ogni tipo di controllo da parte delle autorità (immaginiamo grosso modo quello che succede oggi agli islamici in Italia), d’altronde ne avevano ben ragione, infatti in quel periodo gli anarchici italiani assassinarono: il presidente francese Sadi Carnot (1894), il primo ministro spagnolo Canovas del Castillo (1897), l’imperatrice Elisabetta d’Austria, la famosa principessa Sissi dei vari film, (1898)e il re d’Italia Umberto I (1900). Il terzo ed ultimo motivo ci accompagna ancora oggi…gli italiani sono tutti mafiosi…Fu un periodo quello di grande confusione sociale, l’opinione pubblica (specialmente americana) non riusciva più a distinguere tra minoranza criminale e una maggioranza onesta all’interno della comunità italiana. E’ altrettanto innegabile che i bastimenti provenienti da Genova, Napoli e Palermo fecero sbarcare in America i Genovese, i Gambino, i Valachi e i Gotti.
Carlo Gambino uno dei più grossi mafiosi d’America
Ma non finiva qui, c’era ancora un pregiudizio più grave nei  confronti degli immigrati nostrali. Un motivo prettamente razziale. Esisteva difatti la convinzione che gli italiani non fossero del tutto bianchi, ma che avessero nelle vene quella che i razzisti americani chiamavano “la goccia negra“. Quello che era ancora più grave, era che tutto ciò pareva supportato da un’analisi pseudoscientifica; all’esposizione universale di Buffallo nel 1901 (non alla fiera di Gallicano di settembre, per ben capirsi) venne elaborata una carta delle razze in cui venivano illustrate le diverse gradazioni di purezza biologica, insomma in tutto questo farneticare la razza italiana non era compresa fra quelle bianche, ma in un limbo situato fra i bianchi ed i neri. Tutto ciò farà si che i nostri emigrati furono i più maltrattati fra tutti gli immigrati nel suolo americano. Ecco, questo era il quadro che le migliaia di emigranti garfagnini si trovavano davanti e molti si troveranno suo malgrado in spiacevoli storie di razzismo. La più delicata e fra le più clamorose testimonianze che ho raccolto riguarda Maria (nome inventato), partita dalla nostra valle negli anni 20 del 1900. Insieme al resto della famiglia raggiunse il papà che già era partito anni prima.
La famiglia si stabilì in Alabama, la vita se vuoi era molto simile a quella della Garfagnana, l’attività che li prevalentemente si svolgeva era l’agricoltura e lo stile di vita campagnolo si addiceva  alla famiglia. Maria, dunque si invaghì di un giovanotto di colore- così ci racconta un suo parente- e dall’innamoramento a qualcosa di più “consistente” il passo fu breve. Peccato che in Alabama vigeva la legge della “miscegenetions“, ovverosia il divieto di  mescolanza di razze fra bianchi e neri. Ci fu un processo che ebbe grossa rilevanza mediatica per il tempo, (il nostro testimone conserva ancora ritagli dei giornali americani del tempo), per farla breve l’uomo di colore riuscì a cavarsela poichè la ragazza con cui aveva avuto la relazione proibita era si americana, ma italiana di origine, dunque per il giudice: “non si poteva assolutamente dedurre che lei fosse bianca”. Alla fine di tutto la famiglia garfagnina ritornò in Italia e il padre così disse: “meglio patire la fame che perdere la dignità”.
C’è anche chi fu testimone di un fatto storico – razziale nei confronti degli italiani.
New Orleans la folla inferocita davanti al carcere
Alberico da Villa Collemandina emigrò negli Stati Uniti con una delle prime e forti ondate migratorie. Arrivò a New York e poi non si sa come raggiunge New Orleans- così racconta un bis- bis nipote-. Proprio in quel periodo a New Orleans fu ucciso il capo della polizia e a quanto pare oltre all’assassino (che era un italiano) furono arrestati altri 250 italiani. Il nostro Alberico che era presente in città in quel periodo si chiuse nella sua stanza d’albergo senza uscire, nè per lavorare, nè per mangiare, era cominciata di fatto una caccia all’italiano. La cronaca poi racconta che 11 di questi italiani furono assolti dal giudice, ma una folla fatta da migliaia di persone prese d’assalto il carcere dove erano ancora custoditi e dopo averli presi in consegna le uccise brutalmente, per molto tempo fu il più grave linciaggio della storia degli Stati Uniti. Alberico riuscì in qualche maniera a fuggire dalla città e raggiungere nuovamente New York, dove poi si stabilì definitivamente.
Ellis Island…prima di entrare italiani negli Stati Uniti
C’è ancora poi chi ricorda le paghe lavorative, Gianni veniva da Castelnuovo e narra delle liste per le opportunità di lavoro sancite dallo stato (sottolineo lo stato) che erano divise per etnia “Bianchi 1,75$, neri 1,50$ e italiani 1,35$”. Gli italiani prendevano meno dei neri, perchè si diceva che i neri erano arrivati prima- così racconta Gianni-, inoltre specialmente quando andavo a lavorare negli stati del sud degli Stati Uniti, spesso (dove sapevano chi ero) ero costretto a bere alle solite fontanelle dove bevevano gli uomini di colore. Ma tutto questo non ci capitò solo nelle lontane Americhe, ma anche nella civile Europa (Germania, Belgio Svizzera) e non nel 1800, ma appena quaranta, cinquant’anni fa. Qui è difficile raccogliere testimonianze, che sicuramente ci sono e sono testimonianze dirette di chi ha vissuto in prima persona queste brutte esperienze, forse la vergogna di quello che fu attanaglia ancora questi emigranti.
Eppure non fummo solo quello, nonostante le discriminazioni, gli stereotipi e i maltrattamenti, le nostre mani e il nostro lavoro ha fatto grande l’America e L’Europa e se dovessimo svegliarci una mattina e scoprire che tutti sono della stessa razza, credo e colore,- disse un giorno George David Aiken- troveremmo qualche altra causa di pregiudizio entro mezzogiorno…
Bibliografia:
MASSIMILIANO SANVITALE Quando essere Italiani era una colpa: razzismo, oltraggi e violenza contro i nostri immigrati nel mondo
Testimonianze orali
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giancarlonicoli · 5 years
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21 dic 2018 09:44
“RINUNCIO AI SUPERALCOLICI. DI RUM, MI BASTA LA MEMORIA DI TUTTO QUELLO CHE HO BEVUTO” - CON ANDREA PINKETTS PERDIAMO UN INCANTATORE DELLA PAROLA. NON HA RINUNCIATO AI GIOCHI DI PAROLE, AI CALEMBOUR E ALLE BATTUTE ANCHE IN OSPEDALE – PARENTE: QUANDO STAVI CON LUI TI SEMBRAVA DI ESSERE IN UN FILM O IN UNO DEI SUOI ROMANZI MEZZI NOIR MEZZI FOLLI. ERA CONTAGIOSO,CON LUI TI VENIVA DA PINKETTIZZARTI…"
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Paolo Bianchi per “Libero Quotidiano”
Adesso che se n' è andato, di Andrea G. Pinketts resteranno milioni di storie, quelle che ha raccontato e quelle che si diranno su di lui. Pochi scrittori contemporanei riempiono in vita tanto spazio. Lui era voluminoso in tutto, a partire dal registro vocale. Se entrava in una stanza mediamente affollata, schiacciava tutti contro la parete. Trattasi di una metafora, perché lui, di suo, non avrebbe torto una zampa a una libellula.
La retorica gli ripugnava, perciò non gliene va riservata alcuna. In compenso, adorava che si parlasse di lui. Andrea aveva un ego enorme, pari al suo talento. Ci vorranno molte vite altrui per ricostruire la sua, soprattutto quella notturna, dato che era lui il primo a muoversi su una linea d' ombra fra la realtà grigia e quotidiana (del mondo in generale) e le costruzioni fantastiche che ogni giorno riversava sulla pagina, tradotte in romanzo.
La vita del fenomeno Pinketts, negli ultimi 10-15 anni, si svolgeva su un binario che visto da di fuori poteva sembrare addirittura burocratico. Sveglia tardi, ma non tardissimo, nel monolocale di via Washington da lui stesso denominato Il Bunker, una nicchia di protezione nei confronti dell' universo esterno. Un microcosmo pieno di cimeli da cui si staccava solo per andare a pranzo dalla madre, che lo adorava e con cui litigava quasi ogni giorno, amandola perdutamente. Pomeriggio in un bar vicino (per molti anni in piazza Wagner).
Lettura continuata di quotidiani (fra cui Libero) e libri di ogni genere e classe, di alta e bassa letteratura. Per quanto sembrasse assorbito nel suo mondo, Andrea non era mai infastidito dal prossimo. Anzi. Interrompeva qualunque pagina a metà, o telefonata in corso per chiacchierare con chiunque. Se poi gli si chiedeva di parlare di sé, o dei suoi libri, o delle sue apparizioni televisive, lo si faceva felice.
Nel tardo pomeriggio andava al Trottoir, locale storico della vita notturna milanese, prima a Brera e più di recente alla Darsena.
Quello era il suo mondo. In un' apposita "Sala Pinketts" si sedeva e scriveva a mano pagine su pagine, libri e articoli, ininterrottamente, nullum die sine linea.
IL SUO SISTEMA SOLARE Dopo l' ora di cena e fino all' alba si installava in qualche tavolino e diventava il centro dell' interesse generale. Intorno a lui gravitava un piccolo sistema solare di adepti, ammiratori, curiosi. Gente sbandata che aveva pasticciato con la vita, nottambuli e insonni, artisti più o meno falliti, cercatori di anime gemelle a buon mercato, sognatori e poeti, donne innamorate di lui.
Il Trottoir con Pinketts incluso era un' attrazione milanese non inferiore a Brera o al Poldi Pezzoli.
Chiunque superasse lo sbalordimento d' incontrare un personaggio così eccentrico, cadeva nell' incantesimo. Impossibile non divertirsi con lui, dal momento che sapeva tutto e parlava di tutto: donne, libri, film, fumetti, cultura pop e grandi classici. La sua memoria eidetica tratteneva informazioni ricavate da qualunque fonte, e le metteva in relazione fra loro con risultati sempre originali. Gli parlavi di Tolstoj e lui arrivava a Ellroy. Confezionava giochi di parole e calembour a ritmo incessante. Solo a ore antelucane la sua lucidità si offuscava, per via dell' alcol. Ma negli ultimi anni beveva solo birra e aveva una ragazza meravigliosa, Alexia, che gli ha regalato tanta vita.
IN OSPEDALE Adesso tutti diranno di averlo conosciuto e racconteranno di lui chissà cosa. Lui ne sarebbe orgoglioso. Io l' ho visto l' ultima volta in ospedale, poche settimane prima della fine. Abbiamo parlato di tutto tranne che della morte. Pubblicamente, non la contemplava.
Si rivolgeva alle infermiere con frasi come «Se più tardi passasse con un po' di morfina, mi troverebbe favorevole». Per scherzare gli ho detto che ci sarebbe voluto un po' prima che gli permettessero di nuovo di bere. «Va bene così», mi ha risposto. «Rinuncio ai superalcolici. Di rum, mi basta la memoria di tutto quello che ho bevuto».
Non ha mai rinunciato a quello che chiamava Il senso della frase titolo di uno dei suoi libri più belli.
Si definiva un duro, e in molti pensavano che scherzasse. Posso testimoniare che coraggioso lo era e lo è stato fino all' ultimo. È stato coraggioso nella parola, e lo è stato di fronte all' eternità. È un privilegio averlo conosciuto.
2. A STARE CON LUI TI VENIVA DA PINKETTIZZARTI
Massimiliano Parente per il Giornale
Sono rimasto allibito alla notizia della morte di Andrea, non sapevo stesse male, anche perché non ci sentivamo da qualche mese. Di solito mi lasciava messaggi in segreteria dove mi chiamava Max, con quella sua voce profonda, e sempre alla vigilia di un suo libro. Era l' unico a cui non riuscivo a dire no quando mi chiedeva una recensione, e aveva la sfacciataggine di chiedertela senza troppi preamboli.
Mi piaceva perché non era un do ut des, non è che poi lui avrebbe recensito me, semplicemente se eri amico suo eri un suo personaggio. Quando stavi con lui ti sembrava di essere in un film, o in uno dei suoi romanzi mezzi noir mezzi folli. L' ultima volta abbiamo parlato proprio di salute, perché io avevo smesso completamente di bere, e Andrea diceva che non si poteva fare a meno completamente di bere, che la vita senza alcol non aveva senso, e anche senza fumo.
Mi offriva i suoi toscani, che fumava lunghi, senza spezzarli, e anche io mi misi a fumarli lunghi, perché Andrea era contagioso, a stare con lui ti veniva da pinkettizzarti. Un giorno mi fece promettere che se fosse morto prima lui di me avrei scritto qualcosa io, perché «tu non sei mai banale». Anche lì gli dissi sì, pensando che tanto sarei morto prima io, perché chi lo ammazzava, Pinketts. E d' altra parte la frase migliore l' ha detta Andrea, alla Pinketts fino alla fine: «Ho il cancro, perché ho fumato troppo, ma è colpa mia, il sigaro lo perdono».
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youbooky-blog · 6 years
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Bartò frantumato 3 - di Niccolò mencucci ebook on-line
leggi in shade of blue: https://booky-italia.blogspot.it/2017/12/barto-frantumato-terza-serie-finale.html
22.
“Ricordate, ragazzi, l’importanza della nostra organizzazione no-profit!”, disse il portavoce del gruppo, un ragazzino della mia età smorto, simile ad un anziano. Ed eravamo lì, a seguire in cerchio una presentazione a dir poco dolciastra e perfino troppo idealista per me. E ne parlo da elettore del movimento! Ma con loro fu diverso; oltre agli ideali c’era un movimento più concreto, più fattuale. Una sera Fiorenza m’invito alla riunione settimanale in un pub ad Alberillo dove si erano riuniti alcuni attivisti del movimento interessati alla storia di un agriturista preoccupato sulla sua situazione. L’agriturista, di origini belghe (vagamente somigliante a P.Daverio) ci raccontò degli ultimi fatti del Comune: si presentò una mattina per alcune carte da far controllare presso uno degli uffici del Comune, quando s’imbatte in un protocollo da poco messo alla delibera del Consiglio riguardante la compravendita di due cave locali, di media grandezza, da parte di alcuni costruttori meridionali. Da qualche giorno c’era un continuo passo di camion, TIR, che scaricavano e caricavano in continuazione, senza sosta, tonnellate di materia e di calce, proveniente dalle cave, aperte! Questi sono i punti focali della situazione: In Italia la maggior parte delle cave sono state dichiarate “fuori uso”, ovvero non accessibili e non utilizzabili, “se non per scopi di bonifica locale a favore dell’ambiente e del turismo”. Le cave in questione, chiuse da oltre vent’anni, vengono riaperte solo con la delibera del Consiglio Comunale di un solo Comune, quando per spazio queste sono dislocate attorno a tre Comuni, tra cui quello della Valle dei Pini, sotto l’amministrazione della signora Civetta. In assenza di un ispettore ambientale, dato che il più vicino e a Firenze, il compito spetta alle autorità competenti, le quali non sempre prenderanno il fatto come decisivo per la stabilità ambientale, intanto compromessa dai primi movimenti. La firma sarà del sindaco, il quale può decidere per sua volontà anche senza prendere in considerazione qualsiasi consiglio o avviso da parte delle comunità o dei consorzi vicini (la presenza del Movimento è poco apprezzata al Consiglio; si dà per scontato un disinteresse da parte della “Sindachessa” ...) “Così  mi disse un mio collega, proprietario di un agriturismo anche lui: “Se apriranno le cave, per noi sarà la fine!”, perché col fumo dei TIR, le polveri della cava e il riutilizzo delle materie danneggeranno la flora e la fauna locale, decimando il turismo già scarso.  
L’evento mi colpì, soprattutto per l’interesse vivo del movimento a fare qualcosa, e allo stesso tempo di mobilitarsi con grande parsimonia di moti e passioni politiche, con molto basso profilo dunque. L’unica passionaria era Fiorenza, che discusse anche con i suoi genitori, arbitri della questione nonché persone responsabili della “cellula”. Io, forse ironicamente e con una certa ingenuità, pensai alla Mafia! Non risero, anzi, ci credettero. La Mafia che porta la corruzione; la Mafia che porta i rifiuti come a Caserta e riempie le cave per poi rimettere a posto tutto e farci anche delle case; la Mafia dei quaquaraqua di Sciascia...tutto molto assurdo e molto divertente, ma poco credibile. Sono passati mesi dall’ultima volta che seppi di questo affare, e mai chiesi come fosse andata a finire. Conoscendo la sindachessa comincio a capire che la battaglia non sarà facile: dalle mie parti sanno tutti che lei è una favorita dalle alte sfere locali, dagli industriali nei guai con la legge (forestale) come un certo S, il proprietario della C., da qualche anno fuori dalle indagini per inquinamento colposo alle falde (uno dei titoli della Nazione di Arezzo era.
23.
“TROVATO CADMIO NELLE COLTURE LOCALI. C. SOTTO INDAGINE!”
...il cadmio, quello che si usava come isolante per le barre di uranio!).
Una giornata, che pareva tranquilla accompagnava il lavoro del presidente, indaffarato nei mille impieghi dovuti all’amministrazione deficitaria sulla sua Azienda, in piena crisi nel settore metallurgico e chimico. Il suo ufficio è ben arredato, ricco di chincaglierie di prima qualità, che ben lo rispecchia, del resto, vestito azzimato e curato, da non far trasparire la sua anzianità. “Qual è la situazione?”, chiese il signor S. al suo assistente. Era nel suo ufficio, vicino alla sala d’amministrazione della sua Azienda, quando il volto del suo secco e timido assistente si appiattì, a significare il diniego delle sue aspettative. “Come sarebbe a dire?”, gli domandò con voce grossa. “Stai dicendo che sto per rischiare?”, e l’assistente approvò, alleggerendo i nervi e mostrando un sorriso amaro. Il signor S. si alzò dalla sua poltrona, e guardò fuori dalla finestra; cominciò a fumare uno dei suoi sigari toscani. Era tipico per lui favorire l’industria locale del tabacco e non quella importata cubana, seppure più gustosa. Si sentiva legato alla sua terra. “Maledetti! Se non era per me, tutti questi lavoratori, che io, Io ho messo in occupazione, sarebbero a mendicare! Centinaia di famiglie della Città, decine di case costruire con i miei soldi, interi quartieri nati per favorire l’entrata al lavoro dei miei lavoratori...e ora questo...”. Il giornale parlava chiaro. La sua azienda era a rischio, e non di poco: “Potrebbe chiudere l’azienda, signor presidente!”, con voce atona gli rispose l’assistente; “Doveva capire che prima o poi...”. “Come? Prima o poi? Ma che diavolo dici? Hai idea di quanto io abbia impiegato per evitare questo momento? E pensa a tutto il lavoro perché non si venisse a sapere di questo affare...tutto sprecato...” “Che dice il ragazzo?”, chiese mentre il suo sguardo si dirigeva verso il centro del paese. L’occhio catafratto si impuntava su una struttura bianca, moderna. “Dice che lui non può più far niente.”, rispose in maniera sciolta l’assistente. “Come non può far niente?”, si voltò per tre quarti il signor S. “Come potrebbe? Il suo compito è finito. Sono passati degli anni oramai...” “Già...otto all’incirca, è quasi primavera poi...”, notò solo ora che il cielo era aperto, e che alcuni ciliegi volevano superare il tempo proprio, fiorendo a discapito di pioppi e castagni, meli e peri, olivi e perfino roseti e altri fiori. “Che si può fare? Lui non ci aiuterà. Anche se qualche cosina la vorrebbe in cambio...” “A non fare nulla si diventa tutto ad un tratto vogliosi di lavoro, eh? Quel...”, e sbuffò fumo dalla bocca. “Ha fatto delle cose a suo favore; pretenderebbe qualcosa...”; l’assistente lasciò sul tavolo alcune carte, tra cui quella della sezione locale dei trasporti pubblici. Lui li guardò per un secondo: “Ah, vuole fare il capoccia dei bus? Vabbè, incapace dov’era, non farà più danni di quelli che la crisi non ha già fatto lì dentro!” “E al suo posto? Chi ci si mette?”, e fuori intanto arrivavano le auto della guardia. “Lo decideranno gli elettori. Il partito di quello prima, il signor D., è ancora ben voluto dalle nostre parti, se non sbaglio; mandategli qualcuno come suo successore, e lo voteranno a frotta! Tanto, qui l’opposizione non ha mai funzionato, né mai è servita! Che ci pensi quello nuovo a sistemare la faccenda. E sia chiaro! Che lo faccia chiamandomi!” “Certo, presidente, ma chi?”, e intanto dalle scale arrivavano le guardie. “Stiamo cercando il presidente della compagnia”, chiese la guardia ad uno degli impiegati. “Al momento è occupato in ufficio, col suo assistente, se vuole può aspettare.” “Mi spiace, ma devo fargli recapitare questo.” Mostrò all’impiegato l’avviso di garanzia da parte della procura della Città per inquinamento e distruzione colposa di falde ambientali. “Come può vedere, è urgente parlargli.” “Vede, è una persona molto indaffarata: tanto ha quasi finito...” “Non arrivano le guardie? Ci sono le vetture da dieci minuti, e non è lontana l’entrata dal mio ufficio.”, domandò impaziente il signor S. “Si vede che il personale sta cercando di bloccarli, di arrivare alla sua scrivania.”, “Inutile. Quelli mi vogliono. Non riesco ancora a capire perché quello scemo che abbiamo messo non riesca a bloccare anche questo! Sarà pure finito il mandato, ma non il potere che può esercitare!” “Presidente, non può chiamare, per caso, la Guardia, e fermare tutto. Lui deve stare attento alle mosse che può fare, altrimenti un’altra figuraccia lo distruggerebbe.” “Ti prego, non farmici pensare: abbiamo messo un imbecille, ma almeno l’unico abbastanza tale da essere di nostro appoggio.” Lo considerava imbecille per giusta motivazione. Accadde qualche anno prima, durante una conferenza alla scuola locale. Si parlava del nuovo programma dell’azienda locale di smantellamento rifiuti, di riciclare più rifiuti possibile con l’ampliamento dell’inceneritore e delle sale di riutilizzo dei rifiuti. Durante la chiacchierata del direttore degli uffici, il sindaco stava giocando con il suo cellulare mostrando ben poco interesse al futuro dei giovani, indaffarati nelle lezioni a saltare per volontà degli insegnanti lo studio dei scrittori dell’Ottocento per andare a vedere se il compost era a posto. In fondo stava emulando la grande attenzione dei tredicenni e dei dodicenni scolari, lì, bloccati dal preside a seguire la noia fatta discorso. Durò poco l’annoiarsi generale, quando uno dei conferenzieri chiese al sindaco se era giusto mobilitarsi per il bene dell’ambiente. Fece un sì con la testa, che ricordava gli asini quando sono contenti della carota che si trovano davanti, e a ragliare furono tutti per quella scena. “Dio, non so chi fosse più stupido in quel momento se lui o il preside che gli ha dato la possibilità di presenziare alla scena!” “Per fortuna che non gliene diedero altre di possibilità.” “Già. Per fortuna...” Bussarono alla porta: la segretaria, vestita con un colore grigiastro e rivestita in testa dalle doppie punte e dal volto stanco, chiese se il presidente era libero per poter parlare con il capo della Guardia. “Oh, no, signor Presidente, non è il capo, ma solo una guardia.” Il signor S. approvò, e la fece accomodare. Salve, e subito gli fece vedere l’avviso di garanzia. Il signor S. non fece piega e le chiese di attendere un attimo fuori dalla porta. “Mi spiace, ma lei deve venire immediatamente con noi, in questura, per essere interrogato sulle ultime vicende accadute.” “Sì, ne sono cosciente, ma vede, oggi, non è una bella giornata, e devo finire di discutere col mio assistente nei riguardi di alcune faccende in sospeso.” “Capisco. Io intanto attenderò fuori. Badi lei di non opporre resistenza. Non sono venuto solo apposta.”, indicando le vetture fuori dall’edificio, “Devo ammettere che di questi tempi non capita di rado un opporsi alle forze dell’ordine.” Uscito, il signor S. immediatamente scrisse su un foglio un nominativo, e lo chiuse a piega. “Senti, ragazzo, come hai capito mi devo assentare un istante. L’avvocato non mi farà trattenere a lungo dentro la questura, anche per via della mia età e della mia posizione. M’è venuto in mente un nome che può fare il nostro interesse, senza obiezioni: l’ho scritto qui dentro. Nascondilo per bene, affinché non ti faccia vedere dagli agenti quando uscirai da qui. Credo che tu la conosca, lavora per noi da qualche decennio. L’ho vista bambina e per favore dei suoi genitori l’ho fatta assumere da giovane da noi, se non averla fatta arrivare in poco tempo ai vertici. Stesso partito, pressoché la stessa età, solo che lei è più furba di questo qui! Non ci deluderà alle elezioni politiche.” Si preparò ad uscire, prendendo il cappotto di velluto appoggiato alla poltroncina del mini salotto dell’ufficio. L’assistente fece per aprire leggermente la carta che subito intese di chi si trattasse effettivamente. Guardò il presidente con uno sguardo sospeso tra lo stupore e l’incomprensione: una scelta del genere era rischiosa, dopo tutti questi anni. “Guardami quanto ti pare. Hai capito bene, la direttrice dell’ufficio; molto capace, starà zitta quando le verrà chiesto di assecondarci. Lei è l’ultima! Ah, e per il signor D…confermo l’idea di metterlo dentro il sistema dei trasporti. Non ci saranno problemi, dato che la sua famiglia gestisce l’azienda da generazioni. Il caso non si pone nemmeno così difficile!” Uscito dall'ufficio, si fa accompagnare dalla guardia fino all’uscita, fino a essere accompagnato da altre tre guardie, rimaste lì a fumare assieme agli uscieri dello stabilimento. Dopo due minuti non c’era più traccia né delle guardie, né del signor S.
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Questi attivisti non mi piacciono: parlano della bellezza degli ordini presenti in Germania, in Svezia, dove sono sovvenzionati ogni anno con cifre astronomiche, proprietari di servizi e di palazzi con tanto di impiegati full time, solo per negativizzare la situazione italiana sull’omosessualità. Un’ora intera a parlare del nulla! E il nulla era un passare di fogli colorati, di Power Point pieni di immagini sorridenti di associazioni, di locali, di riunioni all’aria aperta su tematiche come l’AIDS, il sesso, le famiglie di figli omosessuali e di diritti negati o in cerca di essere autentificati da qualche ministro non conservatore o assoggettato al potere. Eccoli lì! Lei, bellissima lesbica di ventotto anni, insegnante alle elementari, solare e divertente che spiega come mai in Germania c’è la parità nel testamento delle coppie unite, ma dell’assenza della possibilità di queste ad adottare se non prima dell’unione (prima single, poi adozione, e poi coppia!) Lui, il rachitico ragazzo effeminato che mi guardava da tutta la serata, mentre discuteva della crisi in atto all’interno dei gruppi, in Italia seguiti da attivisti più anziani dediti al paternalismo e alla formalità delle conferenze, con scene straordinarie del tipo: “Se tu alzi la mano e dici qualcosa, ti possono pure rispondere, “Ma chi sei?”, perché in certe situazioni l’unico a parlare è chi è alla cattedra!”  Sì può fare qualcosa per tutto questo? Certo, una piccola associazione di studenti e lavoratori giovani può andare in Comune, sbattere il pugno sul tavolo e dire con parole forti, davanti al sindaco della città:
“Signori, qui c’è in gioco la dignità di noi froci! Vogliamo maggiore rispetto!”
Signori, altre prospettive non ce ne sono. Questa è la risposta! Esagero con questo giro di disprezzo snob sul loro idealismo, ma è chiaro come il sole che non è possibile avere un certo peso politico quando si è l’ultima ruota del carro!  Come associazione facciamo ridere, perché già non esiste una sede ufficiale, e si vaga tra uffici e lotti liberi temporaneamente; secondo siamo alla merce di altri gruppi “non tanto messi bene”, che vorranno sfruttare qualche associazione per farsi belli davanti ai partiti: è un gioco a premi e di meretricio, a chi si mostra le primizie per primo e con miglior risultato! Le associazioni...che risata! Nessuna funziona se fatta da giovani idealisti! Purtroppo ho già avuto la mia dose di credenza alle piccole follie dell’attività, del fare la differenza: quasi un anno fa riuscì ad accedere ad un blog giornalistico, che pubblicava diversi scritti su tematiche diverse (politica, sociologia, cinema, psicologia, musicologia), per finire dopo alcuni mesi di buona attività e di riconoscimento a non essere più ripreso negli scritti, mentre la qualità del prodotto scemava sempre di più, con articoli di poco conto (però di gran lunga più sensati di tante testate giornalistiche!). E che manca il criterio! Il fatto di essere veramente piccoli, e di chieder chi può dare vero aiuto; non a farsi pubblicità da qualche associazione che ti sorride in faccia e dopo, nel vero momento di carità e di solidarietà, non si fa sentire al telefono (Tuu, tuuu, tuuuu). Il silenzio dell’altra presa, e di nuovo soli, in balia del disinteresse. Di attivisti veri in quella stanza ne ho visti ben pochi, assolutamente. Forse uno dei ragazzi alla mia destra sembravano veramente interessati, ma come me non mancavano chi assisteva solo per conoscere altri gay. Questi centri, questi gruppi sono da sempre grande movimento di ricerca, non del diritto e della tolleranza sociale, ma del bel ragazzo da conoscere, con cui poi uscire insieme e via, una notte a letto e la mattina a lezione! Siamo realisti, anzi, voglio fare il realista: il giorno in cui mi verranno a spiegare, come da programma, come affrontare il coming-out, ne riparleremo...ma poi, devo per forza sentire uno che mi dice come parlare i miei genitori del fatto che: “Sì, mamma, tuo figlio è gay. E gli piace tanto dormire coccolato da un bel giovanotto!”. L’occasione è quella, e cambia a seconda della situazione in cui si vive. Ci sono modi per dirlo, metodi da sviluppare. Ma il segreto di tutto questo è solo...avere la pazienza...cioè, se ti va di dirlo, ottimo, fallo! Ma non ti azzuffare, non piangere, non chiedere pietà! Dillo perché vuoi essere riconosciuto sia come figlio, sia come fratello, sia come nipote, ma soprattutto del fatto che ti senti gay, che sai che loro ti vedevano prima come etero e che adesso cambia tutto. Non c’è un tempo per dirlo: scegli te. Il coraggio viene a tutti, ma non allo stesso tempo. Quinto episodio Il contratto
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POSTINO: “Buon giorno, lei è? Ottimo, le è arrivato per posta un foglio, una raccomandata veloce a suo nome. L’accetta? Perfetto! Firmi qui! Ecco...ora qui! Tutto a posto. Ecco a lei, signore! Buona giornata!”
È doveroso ricordarle, signor N., che le direttive dell'amministrazione di cui lei è rappresentante esterno, non tollereranno in alcuna maniera possibile l’usura delle proprie risorse finanziarie ed economiche, costate all’incirca mesi di lavoro e di ricerca per lo sviluppo ai livelli consoni attuali, per investimenti a fondo perduto, quali il suddetto affitto in quella bicocca improvvisata in mezzo alle zone popolari di Firenze, nella condizione in cui si presenti il rischio di incorrere in un contratto in nero. Perché ciò non avvenga, sarà utile, se non indispensabile, l’acquisizione del tanto richiamato in sede “contributo d’affitto regionale”, alla quale lei è prossimo e in possibilità di richiesta. Basterà solo questo, e lei potrà continuare il suo soggiorno fino alla prossima crisi economica ed amministrativa. Provveda al più presto l’ottenimento di dati, prove certe che possano andarle a favore nei riguardi della sua scelta di proseguire fuori dalle mura domestiche i suoi studi privilegiati; in tal caso oltre ad essere del tutto disinteressati al sostegno monetario successivo di tale affare, verrà adottata una misura di denuncia e di pena per tutti i collaboratori della manovra fiscale evasiva. Anche il complice quale si ritroverebbe lei subirà la pena in questione, senza chiaramente la denuncia. L’amministrazione è conscia dell’utilizzo e dell’importanza di tale mezzo di cui lei in questi ultimi mesi sta disponendo, ma deve ricordarsi che al momento (e difficilmente anche in futuro) tutto il meccanismo regge su un finanziamento generoso ed abbondante, comprensivo di risorse ben superiori alle richieste effettive. Nei casi in cui lei deciderà di distaccarsi dall’arricchimento del budget da parte nostra, lei sarà il benvenuto, e ogni nostro controllo da parte sua cesseranno all’istante, se non per minime questioni necessarie. Qui in allegato si trovano tutti i dati richiesti per la conclusione di questo momento critico; la prego di essere molto preciso nell’acquisizione, e soprattutto discreto: numero di registrazione del contratto d’affitto presso l’Agenzia delle Entrate; contratto stampato con in vista nomi tutelari (locatori e conduttori) e firmatari; copia della ricevuta dell’agenzia delle Entrate e del compimento della registrazione e foglio digitale stampato sulla richiesta del contributo affitto per il Dipartimento. Le si fa ricordare l’urgenza e la scadenza di tale manovra, non oltre la prossima settimana. Eventuali riscossioni indipendenti a favore dell’investimento sono ben accetti, e più saranno influenti nel complesso, più le darà maggiore libertà d’azione e minore controllo da parte dei nostri organi competenti. Auguro a lei di poter proseguire negli studi da lei iniziati, facendole presente che è per tale motivo se lei si trova dislocato dalla sede. Buona giornata! 26.
Una voce echeggia tra i corridoi, per pochi istanti. “Mamma”. Ci salutammo con un bacetto, mentre salì sul vagone passeggeri del treno regionale veloce diretto in Città, nella speranza si fermasse presso la stazione più vicina alla mia dimora (anche se, trasportando un carrarmato pieno di vestiti e cibarie, un bottino degno di un contrabbandiere, per il peso mi parrà lontana!). Nella testa ritornano dei piccoli frammenti: un biglietto da otto euro, che mi pareva costoso in confronto a qualche mese fa; la vidimazione veloce con lo scocco della macchinetta colorata della stazione; e il via vai generale di turisti, lavoratori al rientro dalle ferie e studenti infelici della fine della loro libertà vigilata. Sempre in quei corridoi tornò quella voce, più tenue. Salimmo per l’ascensore d’emergenza per le valigie e i diversamente abili, tenendo premuto il pulsante della discesa, mentre sotto di noi stavano arrivando e tornando gente di ogni età, dispersa poi nelle strade, nei bar, e un po’ nel nulla della città. Il caos mi impedì di salutarla davvero. Quella voce è sempre accanto a me, al mio capezzale. I primi tempi ne soffrì, certamente: l'allontanarsi al grembo è forse l'impresa più ardua per un mammone come me, molto difficile. Come per tutte le cose, ci vuole un po’ di coraggio per fare quello che si fa. Arrivederci. Le porte si chiusero. Il treno partì. La stazione si allontanò da me. Lei mi parve più lontana. Il buio delle campagne si aprì ai miei occhi. Si è soli in compagnia di estranei odori, sguardi e movimenti. Si spensero le luci della città, all’ultima collina. Quella voce si spense. “Mamma” La scena intanto si riempie di rabbia, appena penso agli ordini materni del controllo, dell’indagine e del sospetto. Controllare, indagare e sospettare di chi ho intorno: già non mi mancano le paranoie; con queste si fa jackpot! Tutto questo stress...alla mia età...e a volte mi permetto di dirlo a chi mi è attorno! Geniale! Così si continua un’amicizia coetanea! Ottimo, davvero ottimo...sublime, ecco; mi ritrovo a fare l’agente segreto in casa mia! Io non so cosa diamine ho fatto per meritarmi una situazione del genere: ritorno a casa, per passare con la mia famiglia il piacere del fine settimana, e invece no! Subito a parlare di soldi! Contratti, affitti! E per diamine! La domenica dovrebbe essere per il piccolo ramo cattolico della famiglia un giorno dove non si parla di lavoro. E subito, a tavola dei nostri nonni, a ciarlare di costi, di spese, di questo e di buona notte!
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“Vuole la caparra assieme all’affitto? Avevi detto che l���avrebbe chiesta dopo!” “Non t’ha ancora dato i codici della registrazione? Guarda che hai firmato per il contributo, mica per essere in regola!” “Ma Frank non ha firmato? Non potevi fare come lui se non te lo dà il codice? “Ma sei sicuro che pagherà? Sei sicuro che non voglia fare l’evasore fiscale?” “Vuoi trovarti un lavoro? Non fare l’idiota! Hai da studiare, non da lavorare! Guarda che a noi i soldi non ci mancano per fronteggiare le tue spese: ma in regola, Dio! In regola almeno in quest’occasione!”
Come posso saperlo io, da uno che è pure commercialista; se ci riesce è perché ha le competenze necessarie per farlo! Devo mettere a soqquadro tutto, come accadde qualche settimana prima, che mi feci prendere dall’impulso di pretendere (con giustizia, chiaro, non si è folli a richiedere ciò!) un abbassamento della nostra tariffa mensile, davanti ai problemi presenti in casa, e di cui lui, a ragion del suo intermediario, avrebbe risolto...non l’avessi fatto! Tre giorni prima lo aveva chiamato con un principio di nevrosi assurda, bofonchiando parole come “sfratto”, “mensilità da pagare all’istante”, “accordi presi”; si calmò e chiese scusa, ma per la firma si dovette essere tutti calmi e decisi. Arrivò in giacca, molto azzimato; non sembrava così anziano da come me l’aveva raccontato l’intermediario, anzi, forse è più giovane di mio padre. Io rimango in silenzio e lui, seguito dal suo fratello notaio, controlla le carte e velocemente ci esorta a firmare. Velocemente, senza dolore. Gli chiedo di rilasciarmi il prima possibile i codici per la registrazione ai servizi regionali del Dipartimento per Lo Studio Universitario. Ancora non me li aveva dati, e dovetti aspettare, mentre il tempo era nemico giurato della mia calma e della mia pazienza. In casi sfavorevoli lo dissi imprudentemente e accidentalmente a Frank, quando ci incontrammo per l’aiuto richiesto per la borsa.
BARTO’: “Sai cosa succede se si scopre che è un contratto d’affitto? Succede che mi toccherà andare in questura, Frank! Sì! In questura! Svegliarmi di mattina presto, non fare colazione (già non la faccio per pigrizia, se ci si mette anche l’impedimento succede il disastro!), dovermi vestire di fretta: giacchetta, collo alto e camicia dentro i pantaloni; pantaloni della sera prima sporchi di birra o di pasta; passatine classica nei capelli (non vedo nulla senza la mia passata da donna!); scarpe qualsiasi (stivali, polacchini o scarponi che siano...) e via, fuori casa, senza avere nulla nello stomaco. Rientro preventivamene per prendere i fogli del contratto e soprattutto la carta d’identità, e via, di nuovo all’aperto! Passo dopo passo alla questura. Con tutti i poliziotti, gli sbirri lì a vedere uno vestito all’ultimo secondo e pieno di scartoffie; forse uno si fermerà davanti a me e mi chiederà: POLIZIOTTO: “Oh lei? Cosa fa con tutte quelle carte? AGENTE: “Sono in missione! Devo recare al maresciallo delle prove inconfutabili di un crimine commesso contro lo Stato, contro le Finanze della nostra Repubblica! Queste carte devono essere subito portate al cospetto dell’alto funzionario dell’istituzione dell’ordine! Io sono responsabile di questa scoperta gravosa e difficile: non posso non presentarmi al suo cospetto, per informarlo delle ultime indagini che io, in qualità di agente, ho portato al termine con grande sacrificio e con grave rischio per la mia, sì, la mia persona!” POLIZIOTTO: “...allora, ragazzo?” BARTO’: “No, nulla, devo parlare col responsabile per le denunce.” POLIZIOTTO: “Denuncia?” BARTO’: “Mi ritrovo a dover presentarmi davanti ad una persona che, se dovessi omettere qualche cosa subito dopo sarà la mia fine! Appunto, davanti a lui gli dirò...” MARESCIALLO: “Mi dica, cosa la porta fin qua dentro?” AGENTE: “Eccole! Eccole, tutte le carte del misfatto! Un evasore, signor maresciallo. Questo qui è un evasore fiscale: voleva appioppare un contratto in nero a noi! Era furbo, all’inizio disse che era un contratto d’affitto nazionale, quindi tranquillo e rispettoso delle leggi del nostro Stato. Poi, guardi...guardi! Imbroglia, e fa mancare questo! Questo! Il codice di registrazione nazionale del Ministero delle Entrate, dell’Agenzia a cui è tenuto l’onere di dover presenziare alla conferma dei documenti catastali”. FRANK: “Boh, non so...”
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La risposta migliore a tutto questo. Un boh, che vale tutto. Che gliene frega di questo dramma che mi sto creando personalmente, con tutte queste costruzioni personali gravide di paranoie e nevrosi intime. In dieci minuti eravamo a casa, mentre la valigia continuava a dondolare su se stessa per il pavimento contorto e poco agibile per le rotelle di un valigione usato e comprato ai saldi. Cominciai ad indagare tenendomi in bocca tutto il livore possibile della cosa: non dovevo fare altre scenate come quella passata, in cui pretendevo con fermezza e con incoscienza delle soluzioni inconciliabili con la realtà effettiva. La sera dopo uscì con un mio amico gay per le strade di Firenze, per poi fermarci fino a mezzanotte in un locale omosessuale per prenderci un po’ di birra. Ecco, Michè.
Michè vagava solerte al passo della sua cerca; voleva avere, voleva possedere, voleva vivere... ...il piccolo amore infruttuoso per lui era il piacere più grande. Godeva di poco: quella brama di passione tangeva le sue corde, vogliose di vita...
Mi parlava di come gli piaceva un ragazzo con cui era uscito poco tempo prima: gli avrebbe fatto da quanta voglia aveva in corpo sesso orale, veloce, da come gliene veniva goduria a farlo. Camminammo per le strade ancora vuote della città, dentro era il deserto. Un locale al neon, pacchiano, di dubbio gusto, ove per lo più si riuniscono anziani e adulti con amici e conoscenti, oppure coppie gay assetate di cocktail. Capitò quella sera un trio interessante: una coppia con una ragazza, americani, incapaci di parlare in italiano.
“Lei is beautiful. I’m so sorry but I can’t stop me to say you I wanna you kiss in your mouth, nella bocca sua, e touch suoi capelli, hair, biondi e long. You are so masculine, male, un virile, e avrei voglia solo di toccarla. Ha un so cute nose, aquilino, e gradevole di corpo mi sembra, you like. Oh, you are...cosa, ma non è gay! Quella lo bacia, Cristo!”
Etero, con la ragazza, in un locale gay. La fortuna vince ancora! Per fortuna che non arrivai che a fare solo pensieri, e a squadrarlo con gli occhi; a pensarci bene, non vedeva altro che la ragazza, quindi era difficile che lo fosse...mi chiedo cosa ci facessero lì...La serata fu piacevole, anche se stavo per crollare dal sonno. Finite le birre ci dirigemmo alla stazione, sebbene lui volesse tornare a casa col taxi, spendendo inesorabilmente una fortuna; lo costrinsi a prendere l’ultimo autobus, così da risparmiare sui costi e per poter risparmiare sul futuro. Uno studente dovrebbe ricordarsi che i soldi scarseggiano se si è solo tali e non lavoratori: un po’ di parsimonia non fa male alla nostra età. “E non sopporto che tu continui a buttare i tuoi soldi in sigarette, cavolo! Ti bruci dei soldi che potresti usare per fare la spesa, anche se fumi due pacchetti alla settimana. Beh, io posso fare la morale (oltre a non-fumatore sono figlio di un tabaccaio, di conseguenza il primo a sconsigliarti di fumarti il vitto), e ti consiglio di ascoltarmi sull’importanza di un pacchetto. Potresti comprarti al suo posto una minestra pronta: buttata nel fuoco, con un po’ di olio e aglio; mescolata e pronta per essere gustata con un po’ di pane, anche raffermo, se proprio non ne hai uno fresco (consigliata la cresta sul pane della mensa!)”. Il waffel al Burger King concluse tutta la serata, e la pace della giornata, e infine la tregua dell’intrigo. Dapprima chiamai il proprietario per sapere se era possibile ottenere i codici in tempo: lui mi esortò ad inviargli la mia email per avere la ricevuta dei dati.
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“Il codice di registrazione sovrascritto non è corretto. La preghiamo di ritentare.” AGENTE: “I...codici...non sono quelli? Devo ritentare...copia...incolla...” “Il codice di registrazione sovrascritto non è corretto. La preghiamo di ritentare.” AGENTE: “No, ti prego! Aspetta, forse è quest’altro...” “Il codice di registraz...” AGENTE: “Accidenti! Devo avvisare il Dipartimento della questione!” “Vorrei sapere perché (maledizione...il tempo scorre!) il sistema di registrazione per il contributo affitto in richiesta non riesce a salvarmi il codice di registrazione del contratto d'affitto (lo sapevo che era un truffatore! giuro che lo denuncio; lo denuncio!). Ovvero, perché quando provo ad incollare il codice di registrazione del contratto d'affitto immediatamente il codice scompare e non viene letto. (È falso, non è quello!)” Come andò a finire? Semplice. Il codice era nella pagina dopo della ricevuta. Salvata, stampata e pronta per essere spedita alla DSU. Tutto qua...niente paranoia, niente di nulla... AGENTE: “Pronto, sono io! Sì, riferisco che la missione può considerarsi conclusa! Falso allarme! Potete continuare a finanziarmi! Ora è tutto a posto! Ripeto: l’allarme era falso, non c’è rischio di evasione. La situazione è stabile. Passo e chiudo!”
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“Il codice di registrazione sovrascritto è corretto. si desidera andare avanti?” Sì, ora sembra che tutto sia a posto... Sesto episodio Troppe riflessioni
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Luna, al volgere del mio sguardo saprò che tu non pavido scherzo ma vera parvenza mia sarai la mia gioia rossa; ti cercherò, e riscalderò la tua docile patria, perché tu sola non possa rimanere. È il destino che ci vuole in vista del proprio amore, forse uno sguardo ci salverà dalla tenebra siderale...
La notte, la buia notte è fuori dalla finestra...tra le nubi si nasconde la Luna, lì, fissa a emulare il sole che non c’è, lontano, dall’altra parte del mondo. Lei è in attesa di vederlo per quell’istante che la separa dalle tenebre, nell’aurora, e poi nel tramonto, fino ai giorni successivi, nell’eternità. Si racconta che la Luna sia l’amante segreto del Sole: lei non poteva amare ciò che non risplendeva come lui, eppure non faceva che guardarla, lei, piccola e lontana dai suoi venti e dai suoi raggi. Accadde all’esplosione. Lui divampò, come dal nulla. Accese un nulla che ora è galassia. Si formò dall’idrogeno e parlò con l’elio, e guardò dalla sua corona l’universo nascere. Era un fermento di attività, di vita, sempre in un bollire e in un fondersi: tutti gli atomi esplodevano e lui da spettatore notava le fondazioni dei pianeti. Il sole brillava dagli albori della vita: quando i pianeti non esistevano, lui c’era; quando i pianeti erano in formazione, lui riscaldava; quando si formavano i satelliti, assisteva. Bruciava, come Mercurio, Venere e Marte. Tra questi nacque la Terra, e la notava diversa, piccola. Gli altri soli erano lontani, e desiderava conoscerli. Vedeva delle luci nel cosmo, brillare con colori diversi, dal blu al bianco puro, con dimensioni assurde o forme grottesche, quasi duplici. Troppo lontane, gli anni luce poteva solcarli; non poteva. Lui era immobile, ancorato alla sua posizione di guardia. Era un Sole, doveva essere una stella. Brillare, e dare calore ai suoi pianeti. Un millennio, però, vide staccarsi da un pianeta (non si ricorda se fu un distacco, forse anche una meteora o forse si stava formando...) un pezzo, e girava intorno. Non ci fece caso i primi eoni. Ora accadeva qualcosa. Si arrotondava e impallidiva. Era grigia, splendente, piatta. Una perla, che circumnavigava il buio. La Luna. Eccola, piccola che lo aspettava...lo guardava...era sempre lì, per lui. Non era un sole, non splendeva di luce propria, però era con la sua luce che era bella. Dopo qualche milione di anni la velocità aumentò e lei non si fece vedere. Non sapeva dov’era, la cercava in continuazione in tutte le epoche. Era scomparsa; una perla abbandonata negli abissi nella notte siderale. Si era staccata, esplosa, disintegrata, spaccata? Non sapeva il suo destino. Si decise di rincuorarsi, e di vedere gli abitanti di quella piccola perla blu diversa, che si muoveva non tanto all’esterno, ma all’interno, con tutti quei minuscoli esseri che la abitano. Era al loro tramonto, ed eccola. Davanti a lui, che appariva. Sembrava bianca, non grigia. Una perla bianca. Cominciò a diventare rosso, e lei lo vide; rosso fuoco, in procinto di scomparire. Non lo spazio, ma il tempo li separava, dalla sua calata al suo risplendere nel cielo di nera quiete. Era finita con la scomparsa di uno per l’avvento dell’altra, e viceversa. Erano destinati a non vedersi mai sempre. Il sole non poteva aspettare e lasciò scorrere il ciclo delle rivoluzioni, in attesa del ritorno ai primi momenti felici. L’amante è colui che va avanti quando tutti tornano indietro. Lei capì del suo amore: non lo cercava più per la velocità e per l’impegno costante per le sorti del pianeta; sentiva una mancanza, un vuoto. Non se ne voleva più separare. Lo inseguì, nella notte dei tempi, solo per vederlo. Ogni giorno, prima che lui scomparisse all’orizzonte, arrossiva, e alla sua apparizione diventava roseo, ai suoi saluti. Era un amore difficile, disunito e bloccato dal cosmo, ove tutto scompare e riappare, tra buchi neri e quasar pulsanti. Bastava che si vedessero quel tanto da non sentire di non esistere per entrambi, e di essere qualcosa che erano in fondo; il Sole però era sempre fermo; la Luna ruotava, si muoveva per vederlo, per scoprirlo. Era vicino allora, non più lontano. Era lì, alla sua portata.
Sole, dimmi dov’eri quando persi la tua luce? Ti cercai, volevo sentire ancora i raggi tuoi nel vuoto buio dei crateri miei, al silenzio della mia notte materna. Ti vedo da lontano che tu passi, e io vedendoti sento il tuo fuoco dirompersi nella Terra. Cercami, e dimmi che non solo sola nella landa dispersa del cosmo.
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Seduto, solo, alla luce di una piccola lampada al muro con i fili scoperti, immerso nel disordine e nel ginepraio di una camera studentesca divisa da un muro di compensato e di cartongesso a barriera visiva tra me e il compagno di stanza. La notte fuori, e le sue luci. Sono qui. Il computer avanti al mio naso, con a dormire il mio coinquilino, stanco dall’eccesso di lavoro nel dipingere una strabiliante opera che non potrà mai rivendere perché sotto contratto con l’accademia in cui studia. Sembra una quinta teatrale, improvvisata alla meglio con mobili diversissimi, tra il moderno e l’antico, tra il progettato e l’improvvisato. La polvere domina sovrana suoi nostri piedi, e l’odore varia a seconda degli angoli in avvicinamento prossimo: il mio regno è neutro, fuori da ogni conflitto possibile con qualsiasi puzza infame di carogna e liquidi corporei di stabilizzazione; il suo ha l’odore anarchico, incorreggibile e impossibile da domare. Il buio mio è la sua luce; disegna, dipinge, asciuga e colora con una pazienza e una meticolosità degna di un accademico, o meglio da scapestrato. È una fortuna avere un compagno affine nel carattere e nel temperamento; sai di poter contare su una persona che una volta ha avuto uno spasmo e dal gesto inavvertito della mano stava per frantumare a terra un bicchiere di vetro, prontamente preso. È come se con lui mi comportassi da fidanzato, come se fossimo una coppietta, senza però effusioni o notti di sesso. I primi tempi un po’ infatuato lo ero, per quanto sapevo che non era corrisposto. Conoscendolo meglio l’infatuazione è scomparsa. È rimasta l’amicizia, per quanto breve, dato che finito l’anno si trasferirà fuori dall’Italia. Se riesco a ottenere, anche pagando, un suo quadro, saprò di non averlo perso. L’amicizia è così, un amore senza sesso. Ma forse non tutte le amicizie sono così: non è che vorresti scopare chiunque ma non puoi e così fai finta di amarlo sapendo di non poter farci nulla. Anche se mi chiedo se tra conoscenti ci sia un modo di rapportarsi così: l’amicizia vera, e non buona per qualche uscita, così, a ritrovarsi insieme e a ridere sbronzi o a fare le foto per suggellare un momento di felicità insieme, è rara. Implica un’affinità, un modo di vedere la realtà con gli stessi occhi, e di aver uno spirito affine, quella piccola cosa che renderebbe uniti a vita, o solo per quel momento. Non è necessario divertirsi insieme, o fare le stesse cose; scoprendosi ci si conosce e si è più uniti. Artisti lo siamo entrambi: lui di più, perché fa, produce già qualcosa di effettivo, proveniente da una sensibilità attiva, espressa compiutamente e non conclusa. Io mi lamento di scrivere poco, di non seguire un programma e di non avere delle belle idee. Ogni scrittore in erba deve avere la compiacenza di non considerarsi nemmeno tale: all’inizio sempre e solo “scribacchino”; un termine gentile, quasi un vezzeggiativo per chi ancora non sa andare avanti nel mare della narratività. L’artista poi è qualcosa che sa di arte, che la vive l’arte, e non ne parla per partito preso: è un po’ come la letteratura, o la si vive o la si scrive. E a scriverla non si ottiene il risultato sperato. Nessuno sa se sarà quello che spera di essere: ci vuole non tanto il tempo, quanto la formazione necessaria, il rigore e la credenza. Fede e ragione, ma non di una religione o di una scienza; si è ad affrontare un compito difficile e uno sa di dover credere in se stesso ora più che mai, di non poter contare sugli altri, i quali non potrebbero dare un aiuto sostanzioso (a meno che non siano colleghi, come un Pound con Eliot per la stesura della Terra Desolata). Inoltre dovrà oltre alla credenza prestarsi ad un regime auto-imposto per il controllo delle proprie forze, tralasciando ogni linfa vitale o emozione romantica. Deve essere razionale e preciso, non freddo ed austero. L’enfasi funziona ma non va abusata. Speranze di ottenere una fortuna nella propria arte a questo mondo non ce ne sono rimaste tante: si ha solo la speranza, nell’attesa che qualche d’uno non l’acquisti per pronto uso, tanto per una monetina in più nel proprio forziere. Con uno come me sarà difficile spuntarla, da come sono divenuto dritto e battagliero... Sì, un po’ bohemien lo sono diventato, un mezzo scapestrato instabile ed inquieto come pochi! Se mi do all’alcolismo forse ho grandi possibilità di diventare un autore da letteratura pulp. Il tempo della birra è meglio non chiamarlo, quella torna da se, coi suoi flutti magici. Ubriacarsi un tempo lo disprezzavo, sia per snobismo, sia per timore di perdere il cervello in qualche lago di alcol installato con l’eccesso etilico. Ho ancora l’età di sparare soperchierie e di passarla liscia: da adulti si è troppo responsabilizzati.
33.
COMPAGNO DI BEVUTA: “Cin cin!” BARTO’: “Alla tua! Tutta d’un fiato!” COMPAGNO DI BEVUTA: Te ce n’è voluto per iniziare a bere...” BARTO’: “Eh, sì, il timore di finire in un fosso a cantare un’aria da vecchi era grosso!” COMPAGNO DI BEVUTA: “Dai, su, come se avessi il cervello d’un rintronato...” BARTO’: “Ma nessuno ce l’ha...è che sono ancora piccolo...alla mia età pretendere di essere grandi è un’impresa titanica, impossibile, via...” COMPAGNO DI BEVUTA: “Grandi, in che senso, grandi?” BARTO’: “Nel senso di maturi, responsabili, saggi ed equilibrati.” COMPAGNO DI BEVUTA: “Ne conosci?” BARTO’: “Sì, adulti, che sembrano più calmi e riflessivi di me, inquieto e prossimo a diventare un mezzo saccente strafottente arrogante e pignolo come da bambino.” COMPAGNO DI BEVUTA: “...ripeti il primo verbo, scusa...” BARTO’: “Sembrare?” COMPAGNO DI BEVUTA: “Ecco! Sembrare, non essere! Non fare l’errore di equiparare i due verbi! Non sono la stessa cosa.” BARTO’: “La loro età li dà garanzia di esserlo, no? Si ascolta gli adulti nella loro esperienza...” COMPAGNO DI BEVUTA: “Alcuni adulti. Non tutti. Perché cambiano, gli adulti. Non sono una marca. Sono persone, che possono essere grandi, come dici te, come non grandi, ossia bambini, col corpo di un quarantenne...non illuderti troppo...” BARTO’: “Uno a quell’età avrà fatto molta esperienza, no? Io ho metà di quegli anni e ho fatto un certo numero di esperienze. Alla loro età sarò pronto...” COMPAGNO DI BEVUTA: “Basta con queste vaccate, via...Non si è mai pronti!” BARTO’: “Come? COMPAGNO DI BEVUTA: “Che tu credi? Che uno da vecchio è pronto? Come se la vita fosse un libro, o un manuale con le istruzioni da conoscere e memorizzare nel più breve tempo possibile! E la vita, la vita! O la si vive, o si fa come i bambini, e la si fa vivere ad altri, al posto tuo.” BARTO’: “Certo, gli adulti si distinguono dai caratteri, però avendo più anni, ha avuto più tempo per provare sulla sua pelle la vita. Va comunque ascoltato.” COMPAGNO DI BEVUTA: “Ma non seguito. Se quella persona crede in una cosa, non crederci pedissequamente, ma ragionaci sopra, e vedi se funziona. Provala, vediamo, e se ti è congeniale (attento alla storiella del “ma non è così che si fa, sei te che bla bla bla, non ti piace, sei troppo bla bla bla”) seguila. E passi. Fallo se vuoi, e senza imposizioni.” BARTO’: “Nonnismo, pensi?” COMPAGNO DI BEVUTA: “Ce ne sono troppi di capi gruppo che decidono i gusti altrui. Questa è gente da cui sentire ma non udire, capito?” BARTO’: “C’è la minaccia dell’ostracismo, e della solitudine.” COMPAGNO DI BEVUTA: “La facciano. O se non te la senti, seguili fin dove è possibile. Ma non ci credere. Lontano con la mente, fuori. Così farai buon viso a cattivo gioco.” BARTO’: “Ma allora è come essere soli...” COMPAGNO DI BEVUTA: “Vero. E allora credi negli amici, veri, che ti ascoltano e vogliono che tu li ascolti. Sarà fatta, allora.”
(questo è prima di una sbronza. Troppo idilliaco, certo. Persone del genere non parlerebbero così dopo una birra, o almeno non tutte. Se esistono, c’è da tenerseli stretti.)
BARTO’: “Questa birra è ottima, comunque.” COMPAGNO DI BEVUTA: “È una artigianale. Ottima qualità!” BARTO’: “Bisogna trattarsi bene a volte. Devo ammettere che bevendo mi sento più sciolto, più leggero, quasi un coglioncello.” COMPAGNO DI BEVUTA: “Sei più felice, ma non perché sei un alcolizzato. Come me, il tuo cervello prende l’alcool come un momento di distensione, e si fa leggero, quieto. Parli più sciolto, più fresco, e saresti capace di tutto.” BARTO’: “Ti avrò rotto da tempo di raccontarti tutte quelle storie su di me...” COMPAGNO DI BEVUTA: “Ovvia, piantala...ci passiamo tutti; una persona saggia vede nell’altro quello che è stato, e la incoraggia ad andare avanti. Se fa il bastardo e lo infama per azioni tipiche ad un’età precoce, c’è da ragionarsi con chi hai a che fare...” BARTO’: “Il fatto che l’hai passata significa che sei più avanti, o cosa?” COMPAGNO DI BEVUTA: “Non significa nulla. Non è una gara di corsa, o una maratona. Lo sbruffone crede in questo, e inciampa in continuazione, mentre il più sprovveduto lo supera in testa al gruppo. Si incolleri pure, l’idiota. Non capisce che è il carattere alla base di una personalità e l’approccio agli altri a determinare la buona riuscita.” BARTO’: “Perché si cresce allora? Ti senti superiore, per caso? COMPAGNO DI BEVUTA: “No.” BARTO’: “E allora perché uno lo fa? Per fare il maestro, il mentore del piccolo e fragile allievo di turno? Sono così, per caso? COMPAGNO DI BEVUTA: “Sì, te piccolo e fragile...al massimo ti sottostimi e ti metti troppo alla prova, rischiando di perderti in autostima...ma queste cose, su... BARTO’: “Perché allora si cresce?” COMPAGNO DI BEVUTA: “La risposta la sai...io non ti voglio dire più altro...” BARTO’: “Quindi uno cresce perché si sente di voler crescere. Tu vuoi diventare maturo, responsabile e giusto solo perché è il tuo spirito a volerlo: potresti fare il cazzaro a destra e a manca, perderti nel tentativo di fare il bambino per il resto della tua vita e divertirti fino all’esaurimento nervoso, senza obblighi, solo per quel momento. Cresci, e impari dalle esperienze, dalle tue e sole esperienze, senza farti precondizionare da altri sul sesso, sul fumo e sull’alcol…ossia, uno così è pieno di ferite?” COMPAGNO DI BEVUTA: “Non immagini quante. A volte si cade nella follia per troppe, e non si ragiona più. Alienati, e non ti va di godere...ecco, non si ragiona nemmeno con troppa maturità. La giusta, senza privarsi di nulla. Un po’ stupidi rimaniamo, per una certa libertà personale.” BARTO’: “Prima non mi piaceva bere perché temevo di diventare come quei babbei in giro a sputare a terra mentre passavano i pedoni, col gocciolone di saliva che usciva dalla bocca...” COMPAGNO DI BEVUTA: “Sì, sì, tutto molto bello. Tranquillo. Certa gente non è così perché diventata da troppo alcol. L’alcol c’entra poco con certi soggetti: sono stupidi per natura, e bisogna volergli bene, fargli le carezze, capito?” BARTO’: “Ne sarei capace di dargliene tante, di carezze!” COMPAGNO DI BEVUTA: “Vedo che c’intendiamo. La tua testa non scappa per tutto l’alcol o il fumo del mondo. Quella è bella fissa a te. Non se ne va. Anzi scommetto che forse forse ti darà qualche regalino durante quelle leggerezze al cervello.” BARTO’: “Quello è sicuro. Farò in modo di non caderci nella trappola della dipendenza. Il tuo discorso funziona, certissimo, ma chiaramente non lo prendo come un invito alla droga o all’alcolismo. Se fumerò uno spinello spero di farlo con un amico, o un amante, che me lo faccia assaporare per bene. Andare in catalessi paranoica con un ragazzo; la notte è garantita!” COMPAGNO DI BEVUTA: “Questo è lo spirito giusto! Toh, ecco un’altra birra!” BARTO’: “Presa. alla tua salute, my friend!”
34.
Le zanzare colpiscono ancora! Non è più estate e quelle piattole con le ali continuano a rovinarmi la notte. C’è la notte, fuori, è tutto tranquillo, e.…bellissimo, uno stormo pronto a bombardare di aghi la mia pelle! La luce della lampadina appesa al muro segnala delle ombre in avvicinamento. Sono vicine. Tra poco mi bombarderanno. Con quel suo zinzinino di persecuzione rovinano anche la più tranquilla delle serate, rendendola simile ad un duello di strategia
(dove possono essere? dov’è il loro rumore? cosa faranno? sono sulla mia pelle? mi stanno già bucando? dove diavolo sono? maledette, non mi avrete mai!)
C’è da farne una guerra con queste, qualcosa di spettacolare, all’americana, con tanto di televisioni e di gossip. Già m’immagino i titoli, con “Stragi di zanzare, uccise tre in una notte”, oppure “La macchia è prova! c’è stato un zanzaricidio!”. Arrivano di notte e nessuno riesce a fermarle. Il radar del mio cervello segnala la loro presenza al centosettantacinquesimo centimetro dal mio naso. Prepararsi alla presa immediata, all’annientamento totale! (mi faccio coinvolgere troppo da queste cose, se mi svegli di notte è chiaro che confondo realtà con fantasia più di quanto non faccia già nel reale). A letto. Coperto dalla testa ai piedi con la coperta estiva (quella invernale non riesco a portarla mai!) e provo a dormire, ormai abituato ai rumori fuori dalla mia finestra. Si avvicina una. Il zinzinino si fa sempre più forte, non smette di cessare, e voilà, sopra la mia testa, cercando un punto scoperto dove pungermi e bere i miei liquidi per dissetarsi. Gira intorno, come un elicottero, avvistando possibili eliporti o zone di atterraggio per qualche emergenza possibile. Nulla da segnalare, e si allontana, non prima che io l’abbia scacciata dal tuo tentativo di penetrarmi il cuoio capelluto alla ricerca del sangue. Mi viene in mente quando nella Seconda guerra mondiale...Dio, tutti quegli aerei in volo, sfrecciare tra le città e le campagne con una disinvoltura e un silenzio simile a quello della farfalla, nell’immensità della volta celeste, con le ali che tagliano le nubi e volteggiano tra i boschi e tra i colli, nei mari chiari, al sole del sereno...comunque, verso la fine della guerra, se non erro si trasmettevano tra aerei alleati, come quelli americani (coi loro bolidi super scattanti nel cielo, volando ad altitudini incredibili)  segnali che i nemici non potevano decodificare: non parlo di codici classici da macchina Enigma, scritti criptati ottenuti con sequestri o rapine; voce, vera voce alla radio che immediatamente veniva disturbata per evitare intrusioni con le altre radio nemiche. I tedeschi non capivano mai nulla, non sapevano cosa volessero fare, e si beccavano le pallottole che uscivano fuori dalle ali del vento. Un aggeggio di morte, qualcosa che volava come un uccello, beato al sole e nella salsedine del golfo... Il zinzinno delle zanzare era da criptare in quel momento perché non sapevo come fare per fermarle, per capire cosa volevano fare data la situazione sfavorevole. Quale codice si poteva usare? Codice alfa-tre-diciassette-omicron-sigma? No, non avrebbe funzionato, troppo astruso e buono con le innocenti mosche (c’è chi li schiaccia, ma non fanno male a nessuno; si posano docili nella gamba e poi volano via. non pungono almeno, non qui in Europa; fossero tze-tze sarebbe ben altro!). Forse stavano cercando un punto scoperto nella coperta? Se ne avvicinava una, lentamente, e scrutava tra la foresta vergine dei miei capelli un punto dove agganciarsi; e inviava messaggi alle altre, cercando di segnalare la difficoltà dell’operazione: “Allerta! Zona pericolosa. Attendo istruzioni.” E loro, intorno alla stanza, a cercare un modo per venire incontro ai propri obiettivi. Attenzione, pronti a sparate. E zac, con la mano a schiacciarne una. Questa è l’operazione di difesa contro quelle maledette! Un colpo veloce, preciso, senza danno, a parte il muro probabilmente sfondato dalla manata che darei o solo macchiato dal sangue ricolmo e misto della zanzara. Il suo carburante, da ripulire prima che scoprano tutto! I cannoni aerei! Stanno per puntarli contro di me, lo sento. L’altro dorme, e mi aiuta con colpi ben assestati al muro. Ma devo pensare a me solo, e vedere di scongiurare la piaga notturna, per il bene della mia sonnolenza. Non voglio finire insonne, cavolo! Sono troppo giovane per diventare dipendente dalle pillole degli ansiogeni. Che inizi la guerra! Settimo episodio Serata in centro
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SERAFINO: “Cosa hai fatto oggi?”
La classica domanda di chi non sa come perdere il tempo in una notte, tra le 2 e le 3. Un locale gay vicino a Santa Croce, dopo aver visto un film al cinema: pieno di gente, di alcol fino all’ugola, tanto che diversi stavano vomitando. Tutti a chiacchierare del più e del meno, quando io arrivai, da solo, nel mezzo del caos; ed entravo, uscivo. Di tutte le età e di tutti i gradi alcolici, non si respirava dentro; un mortorio di cadaveri animati, e di occhiate balorde ai deretani e alle spalle dei più giovani. A dire il vero avrei preferito non andare in un locale da solo, per via delle mie paranoie nei riguardi negli abbordatori. Mi sento un po’ tradito da chi mi diceva che sarebbe uscito stasera. Non riesco a capire come faccia la gente a comportarsi in certi modi, e a pretendere il rispetto. Contenti loro! La serata era quella che era, non c’è tanto da lamentarsi. Il momento migliore era la scoperta di un film al cinema, che aspettavo di vederlo da quanto era alquanto sensibile alla mia condizione: la storia di una ragazza che infatuata di un ragazzo bellissimo scopre che è in realtà omosessuale, e da lì viene a scoprire altre realtà, con al fianco il suo amico e un possibile fidanzato all’orizzonte. Mi ricorda qualcuno! La corsa dalla mensa al cinema è stata divertente quanto inutile: uscito, via! Fuori, la pioggia che cade, le gocce che aumentano ad ogni passo e che si possono intravedere dal riverbero dei lampioni e dalle pozzanghere inanimate dalle onde; Con l’impermeabile corro in direzione della strada! Gira a destra, saltando tra i crostoni del marciapiede antico; pozzanghera, salto! Corsa veloce fino in fondo alla strada usando come parapioggia il mio impermeabile, facendo la figura del buffone con tutti gli ombrellisti in giro. Mancavano venti minuti quando ero partito dalla mensa, ed erano passati dieci minuti...dieci minuti! Ero in ritardo! Niente film, e io cosa avrei fatto? Aumento della velocità lì, a metà strada. Il traffico del centro era diffuso ovunque. Correre! Dall’altra parte. Pronto a ripartire dopo il rischio di venire investito da un tram urbano. Mi scorreva agli occhi tutti gli esercizi commerciali (pasticcerie, forni, bar, centri telefonici) che stavano chiudendo o erano ancora pieni di clienti e prossimi all’ora notturna. Prossimo taglio ed ero in dirittura d’arrivo. Passava una ragazza con una torta di compleanno, guarnita e delicatissima: un errore e la investivo. slalom e superata. Se sbagliavo di un minimo centimetro ero finito: colpita in pochi secondi si sarebbe rivoltata di centottanta gradi e avrebbe avuto in più il sapore della strada lercia. Tutta quella torta, nessun festeggiamento e la rabbia di aver lasciato alla figlia un compito così facile, per lei incompiuto a causa di un corridore maldestro. Il cinema, e non c’era la fila. Subito il biglietto...e l’attesa...mi dimenticai che c’era un ritardo aggiuntivo tra la fine della proiezione precedente e quella successiva; lì ad attendere di vedere il film, mentre guardavo il cinema riempirsi. La città ha sempre molto da offrire in fatto di locali, piazze, bar, pizzerie, osterie, ma la cosiddetta “compagnia bella” è difficile trovarla. Si ha quello che si tiene in pugno, e così funziona per chi deve passare la serata mentre passeggia per andare nel locale dove con molta fortuna non troverà il giusto ragazzo, per passarci la nottata. Non esiste allora la città morta, ma, in repentina, le persone, prive di vita e di drammaticità nel sangue. C'era voluta una lunga camminata per raggiungere il locale, tempestato di ragazzi dispersi nelle pratiche più complesse e semplici: dalla sbornia collettiva alla fumata fuori dal pub, con acconciature hipster di ogni livello. Pioveva leggermente, e tutti fuori a rinfrescarsi e a ciarlare del più e del meno. Le coppiette, i gruppi di amici, le coppie di amici, gli amanti, i compagni... Un bar, in fondo alla strada, in stile irlandese, traboccante di birra Guinness e di fumi dall’odore bruciacchiato, riconoscibile come marijuana. Uno stormo di persone, allineate al parlato più quieto e notturno. 36.
COMPAGNO 1: (con un tono spiritoso) “Ah, dunque siete una coppietta da poco fidanzata!” FIDANZATO: “Sì, ci siamo legati da qualche settimana!” FIDANZATA: “Ci conoscevamo da una vita e solo ora abbiamo capito tutto!” COMPAGNO 2: “Ma tu guarda, il classico amico che diventa amore!” FIDANZATO: “E io che l’ho sempre vista non come la migliore amica, ma come il mio amorino bello! Dio, quanto tempo sprecato a non dirglielo!” FIDANZATA: “E io quanto tempo ad uscire con ragazzi che non mi piacevano, quando tu eri quello ideale per me!” COMPAGNO 1: (con sarcasmo) “Oh, quanta tenerezza...mi viene da...” COMPAGNO 2: “No, lascia perdere. Non fare il babbeo...” FIDANZATO: (si altera) “Che c’è, vi da qualche problema?” FIDANZATA: “Ma che diavolo volete da noi!” COMPAGNO 1: “Scusate, ma mi sembrate un po’ sdolcinati...” FIDANZATO: “Ma che vuoi! Non possiamo nemmeno fare gli innamorati?” FIDANZATA: “Già! La pianti!” COMPAGNO 2: “Scusatelo, è che se non beve non si sente a suo agio e lascia sfogo alla sua boria incontrollata. Comunque, è piacevole il fatto che eravate già fatti l’uno per l’altra ma non ci credevate...” COMPAGNO 1: “Certo...una coppia di imbecilli va sempre assieme...” FIDANZATO: “Oh, ma che vuoi ora! Che offendi!” COMPAGNO 2: (irato) “Piantala! O stasera non ti faccio rientrare...” FIDANZATA: “Bravo! Glielo dica al suo compagno di stanza!” COMPAGNO 2: “Ah, ecco...” COMPAGNO 1: “Quanto sono ritardati...”
A qualche metro di distanza, all’angolo della strada, c'era un gruppetto di amici, appena usciti dal lounge bar, accaldati per le ragazze dentro il locale. Dopo l’apericena, in un locale dai prezzi bassi erano usciti e si erano prodigati verso questo localino, in cerca di qualche passatempo. Avevano bevuto due birre a testa, chi tre e chi una (la legge della statistica non si discute, né del pollo di Trilussa...), e continuavano a parlare dei loro romanzetti d’amore in formato digitale. Fino a quando non videro la selva di ragazze di cui era spettacolo il posto in cui si trovavano. Era un piacere per veri e propri maghi del gioco auto-erotico, e una speranza per maldestri sentimentali.
AMICONE 1: “Dio, quanta fresca che c’è lì dentro...Madò!” AMICO: “Sì, un sacco. Dovevamo mangiare qui, piuttosto che in quel cesso di...” AMICONE 2: (si altera) “Ehi, imbecille! Guarda che nessuno ha detto di no quando l’ho proposto. Chiudi la bocca quando dici certe cacchiate!” AMICO: “Oh, che hai, ti volevi fare quella del banco e non ce l’hai fatta e ora rompi con me? Guai a farlo, che sono anch’io in disagio per quella al tavolino: due zinne, cavolo!” AMICONE 1: “M’è capitata una volta...una biondina, bassa, sì, ma con un culetto morbido...l’ho limonata in bagno subito, senza pensarci...” AMICO 2: “Quale? Quella col fidanzato fuori dalla porta?” AMICONE 1: “Sì. Tanto me ne importava una...” AMICONE 2: “Ma non ti aveva preso a badilate?” AMICONE 1: (si altera) “A me? Ma sei matto! Uno come me con uno spicchietto come quello lì? Ma dai...una manata in testa sì, l’ho presa, tanto mi so difendere...” AMICO 2: “Manata? Era il doppio di te! Faceva judo, quello lì! Lo so perché una volta l’ho visto con quella lì che si baciavano mentre lui entrava in palestra, dalla porta della sala dove si fanno arti marziali.” AMICONE 1: “Ma guarda che non m’ha fatto nulla, per quanto grosso fosse...” AMICO: (si altera) “Non raccontare balle! Quello ti aveva preso al collo e te lo poteva spezzare in due, ma la sua ragazza si è opposta e ti aveva fatto ricadere, dandoti sì, una manata, ma da come me la raccontò la barista la sera dopo (ero con una tipa fuori a cena) volasti per due metri da quanto forte era...” AMICONE 1: “Oh, ma a te a farti gli affari tua no? Ma che cacchio, che fai, la civetta per conto mio!” AMICO 2: “Falso che sei! A fare il vanaglorioso con noi ubriachi!” AMICONE 1: “Perché, voi avete altre storie? È notte, fa freddo. Tanto vale...” COMPAGNO 2: “Ma come si fa a confonderci con due compagni di stanza, mio Dio!” FIDANZATO: “E che ne sapevo che eravate due froci!” AMICO: “Sempre, sempre col fatto della noia, di questa...la devi smettere di ripetere queste stupidaggini...scommetto che è da mesi che non te ne fai una!” AMICONE 3: “Mesi? Sei anche clemente con lui, dai...non vuole ammetter di essere come tutti noi sfigati. Sempre a fare lo sborone, come stasera, con la storiellina della bionda.” AMICO 2: “Dai, su rientriamo dentro. Che vedo che si sta incazzando come una bestia...” COMPAGNO 2: “Ehi, piano con i termini. Frocio per me è offesa, grave!” COMPAGNO 1: “Dai, su, che anche tra amici ci chiamiamo froci. Non t’incazzare...” COMPAGNO 2: “No, no. Ora voglio le scuse da questa macchietta dei miei...” FIDANZATA: “Aspetta. C’hai detto che ti faceva vomitare il nostro amore, quindi non cercare di infognarci tutti e due se t’ha chiamato frocio.” COMPAGNO 1: “Un attimo...scusa, ma questo c’entra poco...” FIDANZATO: “Ma ho sbagliato a darti del frocio?” FIDANZATA: “Non lo siete? O sì?” COMPAGNO 2: “No, senti. Andiamocene, che tra poco faccio un macello. Ma Dio! Sempre con la storia del termine frocio, del finocchio. Che cacchio di serata è?” AMICONE 1: “Porco...veramente, siete dei bastardi! Ora cominciate a pigliarmi in giro, voi sfigati, per questa cacchiata? Ma non rompete le balle, e siate anche voi meno ipocriti!” AMICO: “Oh, sentilo. Ma che ti prende? Qui l’idiota lo stai facendo solo te, mica noi. Hai iniziato te con la storiella della biondina. La vuoi te, piantare di fare l’altezzoso, il superiore con noi, cacchio? A volte sei veramente...” AMICONE 2: “Senti, piantiamola qui, che sta per piovere. Te, piantala con queste romanzate che non ti crede più nessuno. Ok? È notte, vogliamo divertirci o no?” COMPAGNO 2: “Lo volete capire che per me è un termine che mi dà sui nervi? È il classico termine che si usa per dispregiare, per offendere quelli come noi! Lo usiamo, sì, certo che lo usiamo, ma per non crederci più di tanto. Noi possiamo usarlo, come per le persone afroamericane il termine negro, che è offensivo se da parte dei bianchi...” FIDANZATO: “Io uso il termine solo per indicare. Avrei usato gay, ma per me ha lo stesso valore. Non sono mica uno che discrimina i gay! A offendere uso altre parole!” COMPAGNO 1: “Lo vedi? Forse è meglio finirla qui. Che se mi diventa rosso, dopo a letto non fa più nulla, mi capite?” AMICO: “Piuttosto, che si pensa di fare stasera, dopo questa parentesi infame?” AMICONE 3: “Io andrei in discoteca, c’è ancora tempo, no?” AMICO 2: “Ottimo, così un po’ di fregna la si trova. E lui non dovrà più mentirci...” COMPAGNO 2: “Oh! Ma che, vai a raccontare a perfetti sconosciuti le nostre cose? Ma che ti piglia? Manco avessi bevuto, Dio...” COMPAGNO 1: “Era per sdrammatizzare la situazione in cui ti sei cacciato da solo, caro...se te ne fossi stato zitto fin dall’inizio tutto questo non sarebbe capitato!” COMPAGNO 2: “Ma avanti, come fai a notare quanto smielata sia questa coppia! Ma santo...ma ti pare possa essere credibile una romanticheria così banale!” FIDANZATA: “Eh no! di nuovo qui siamo! Ma che gliene frega se siamo così. Mica ci conosciamo. La pianti lei di fare queste cacchiate belle o buone, a quest’ora poi...” COMPAGNO 1: “Ha ragione. Dai, su, calmati ora...” FIDANZATO: “Sennò a letto è un dramma, vero?” FIDANZATA: “Ti ci metti anche tu ora?” COMPAGNO 2: “Ora basta! Stupido fedifrago che non sei altro!”
AMICONE 1: “Vabbè, ok. Su, finiamola qui, che sono stanco...” AMICO: “Oh, non fare l’offeso. Ti sei cacciato te in questo guaio, sappilo...” AMICONE 2: “E ora dove va? Al cesso? E che ci va a fare?” COMPAGNO 2: “Maledetto! È perché mi tiene lui che non te le ho date!” FIDANZATO: “Pezzo di...lasciami, ti prego, che lo riempio di botte, stanotte, sto frocio!” COMPAGNO 1: “Finitela entrambi! E mai possibile che debba scemare il tutto in una ridicola situazione del genere?” AMICO: “E da un po’ di tempo che non esce...non è andato per urinare...ci mette troppo tempo...andiamo a vedere cosa fa?” AMICONE 3: “E perché? Io ho appena ordinato qualcosa. E c’è una lì nel bancone del bar che mi fissa da qualche minuto. Quasi quasi vo da lei, che col drink in mano mi fa tanto dark lady, una femme fatale...” AMICO 2: “Io rimango qui. C’è quella lì che mi piace tanto e vorrei vedere se per caso...” COMPAGNO 2: (irato) “Mi stanno sulle balle le coppiette tutte rose e fiori, ok? Non le posso vedere, mi danno fastidio? Perché dovevamo incontrare la coppietta fresca di amore! COMPAGNA 1: “Oh perché ti danno fastidio? Sembri una di quelle megere che non sopporta vedere quelli come noi pomiciare nei parchi. Per quelli come loro dovremmo fare in casa i nostri amplessi. Che ti piglia oggi? COMPAGNO 2: “Io...non lo so...sono solo stanco di queste scenette che non posso più vedere...mi danno fastidio e basta!” FIDANZATA: “Posso chiederle se per caso c’entra con voi? Da quanto state insieme? COMPAGNO 2: “Ma che gliene importa, scusa! Si faccia gli affari suoi!” COMPAGNO 1: “Da un anno! Anzi, un anno e mezzo.” FIDANZATA: “Allora forse c’è una spiegazione a tutto ciò...” FIDANZATO: “Ora li fai da consulente? A quello servirebbe la camicia di forza!” AMICO: “Io vado a vedere che combina in bagno. È stato un idiota, ma non si merita tutto sto male, che diavolo!” AMICONE 2: “Vabbè, vai come vuoi!” AMICO 2: “Ehi, signorina!” COMPAGNO 2: “La ringrazio dei suoi consigli! Ma nessuno gliele ha chiesti! Quello che c’è tra di noi è cosa personale, non vi deve riguardare, chiaro? FIDANZATA: “Si faceva per discutere, mica per altro!” COMPAGNO 1: “Non è la prima volta che mi diventa invidioso il mio compagno. Talmente brontolone com’è, i primi tempi per lui gli sembrano perduti...” COMPAGNO 2: “Ma che è, una congiura ora?” FIDANZATO: “Non ci credo, il gay invidioso dell’amore etero...roba veramente che ti capita una volta nella vita...mi viene da ridere!” AMICO: “Oi, ragazzi, venite! Presto!” AMICO 2: “Che vuoi ora, ma lascialo perdere!” AMICO: “Sul serio, venite tutti. È assurdo! Guardate!” AMICONE 3: “Ma cosa...non ci credo...” COMPAGNO 2: “Sentite, mi spiace per quello che è successo, ok...fate una buona serata, e ci si vede in giro...” COMPAGNO 1: “Ha ragione, e tu lo sai. Non capisco perché non capisci che è così...” FIDANZATA: “Non riesco a capire perché è così chiuso nei suoi confronti...come se tra di voi non ci fosse amore...” FIDANZATO: “No, dai, queste scene non esistono, via...ma che serata è?” COMPAGNO 2: “Ho voglia di tornare a casa.” COMPAGNO 1: “A me invece è venuta voglia di baciarti. Hai da ridire anche su questo?” AMICO: “Guardate come la bacia! Ma chi è quella?” AMICONE 2: “E che ne so! Quello lì fa tanto lo spaccafighe in giro, ed eccolo lì. Quello da lui non me lo sarei mai aspettato.” AMICO 2: “Non la limona nemmeno! Io non l’ho mai visto baciare così. Sembra un innamorato...lui? Non ci credo...ma chi è? La sua fidanzata?” COMPAGNO 2: “Piantala e vieni qui...” FIDANZATO: “Oh, e che diavolo! Ecco!” FIDANZATA: “Oh, così si fa!”
Una serata è noiosa se le si concede il beneficio del tempo. Se prende tutto il tempo a nostra disposizione allora si può essere sicuri che ciò che ci rimarrà sarà il miglior tempo, ovvero un minuto in una serata. Così è accaduto. La serata che si prospettava doveva essere tranquilla e soddisfacente, o per lo meno diversa dalle altre. Troppe pretese? Forse, ma ciò non significa che non possa finire così.
37.
Purtroppo scene del genere sono solo fantasie piacevoli. In giro momenti da cinematografia del genere non le trovi mai...mai! Sempre a parlare delle solite cose. La città ha molto da offrire in fatto di locali, piazze, bar, pizzerie, osterie, ma la cosiddetta “compagnia bella” è difficile trovarla. Si ha quello che si tiene in pugno, e così funziona per chi deve passare la serata mentre passeggia per andare nel locale dove con molta fortuna non troverà il giusto ragazzo, per passarci la nottata. Non esiste allora la città morta, ma, in repentina, le persone, prive di vita e di drammaticità nel sangue. L’ideale in questi casi sarebbe una chiacchierata libera, fuori dal caos, lontana dalla gente: noi due soli, a parlare, con tutta la quiete possibile. “Sì, è una bella serata, certo.” E io che mi avvicino a lui, col suo bel cappotto dei grandi magazzini e io col mio vecchio impermeabile. “Com’è la birra?”, che non è nulla di cattivo, mentre lui mi sorride e mi risponde tranquillamente: “Eh! Non è male per niente! Devo aggiungere che preferisco le classiche birre artigianali”, e si mette a descrivere la sua preferita, “quelle corpose e buone da morire...costano molto di più di una marca industriale, certissimo.” Gli si illumina il volto quando mi dice: “Hai ragione!” e lì la fantasia trionfa. Io lo bacerei, solo per quel sorriso che gli dona la luce della serata. Niente di più, un solo bacio. E lui che mi accarezza i capelli per il ricambio dell’affetto. Ci si avvicina dolcemente e si sente tutto il sensuale che ci fa piacere. Ma tutto questo è idillio, pura immaginazione. Troppo presto per baciare uno dal nulla. Se scatta, ben venga! Non a tutti funzionano i nervi con la stessa volontà di tenerezza e di calore. Chi vede troppi film, legge troppi romanzi d’amore finisce per illudersi troppo, per credere alla finzione piuttosto che alla realtà che lo circonda. E male! Malissimo vive nella fiction, in cui è personaggio di una storia che non esiste: pensa esista fuori di lui e invece è dentro di lui. Vorrei precisare che non parlavo di romanzi rosa, una sotto-categoria che parla di un amore classico, senza nemmeno riflettere sulla situazione, sulla persona; ce ne sono troppi di romanzi d’amore, da supermercato, quando tutti sanno che il rosa in un romanzo serio ci deve essere, giustamente, ma non deve sopraffare le altre componenti. La storia d’amore deve essere un moto proprio, qualcosa che faccia intenerire il lettore, ma non lo deve portare al diabete! Si deve caricare il romanzo di ben altro, di altri sapori! Il pensare nel romanzo è fondamentale. Se è vivo, se parla di qualcosa che è nell’amore, ma va intorno, e forse oltre, allora è un romanzo rispettabile. Solo amore dà fastidio alla lunga. Sembrava di averne avuto come il presentimento di un possibile incontro, quasi come predestinato: sulla strada noto che era veramente difficile entrarvi, quasi impossibile, e allora dovetti provare a passare tra tutti quei signori e quelle signore (possibili trans, di lesbiche in quel locale ne ho viste veramente poche), beccandomi in un momento solo diverse occhiate da lontano e qualche tocco leggero al fondo schiena da vicino. Una birra leggera, e intanto la luce al neon e i faretti da discoteca mi colpivano gli occhi con colpi intermittenti, facendomi desiderare l’aria aperta dei fumi di sigaretta. Fuori, un giro di ragazzi, tutti dello stesso stampo. Mi faccio per allontanarmi, per puntare verso il locale più vicino, una specie di pub metal più originale di quel settore da griffe, con il fucsia, il viola e il neon bianco a determinare l’ambientazione. Non riesco a capire perché debbano costruire bar con queste colorazioni, quando vicino c’è un delizioso ristorante dai colori sereni e gioviali decisamente più solare di quella tana per potenziali pederasti. Un pub, semplice, come quelli irlandesi, oppure anche moderni, dove si fa l’apericena, senza statuette a forma di pene per risaltare la predominanza del genere clientelare. Abituato da anni a locali con certi colori e un tipo di arredamento, queste scenografie kitsch non facilmente le accetto, quando infatti vado con Michele qui, usciamo e rientriamo in continuazione, dato che l’ambiente ci dà fastidio per principio. Poi, credo che in posti del genere non si possa trovare un ragazzo discreto, sincero ed amabile. Con la mania sessuale in giro, di cui non mi sento di non appartenere totalmente, un punto di ritrovo come quello può portare alla volta incontri difficili. La paura di beccare lo stalker, che arriva ad inseguirti sotto casa è veramente rara, ma non impossibile. Meno raro è chi si offre a te e poi scopri che cercava solo ed un unico piacere. E poi, addio! Molti a quest’età non cercano delle storie d’amore: casi rari, da animi leggeri e al tempo stesso tormentati dalla mancanza di questo amore che non riescono a trovare. Si è tranquilli, con le proprie compagnie femminili, protetti dalla mano materna delle ragazze, possibili fidanzatine di facciata, immancabili nei ragazzi non dichiarati. Se ci si pensa molti ragazzi, se trovano il bel ragazzo che gli garba, non vogliono altro che il sesso; sano sesso assurdo, eccessivo nella richiesta delle dimensioni ottimali dei genitali. Per il romantico è una morte nel cuore se incontra personalità del genere, terrificanti dalla sfrontatezza delle richieste e dalla freddezza del loro distacco indifferente.
38.
BARTO’: “Che cosa ho fatto? Beh, è difficile dirlo...tutta la giornata è stata alquanto strana, quasi sorretta dalla fantasia di un luogo...” SERAFINO: “Di che parli?” BARTO’: “Parlo di un mercato: c’era qualcosa, forse...un qualcosa di strano...” SERAFINO: “Parli di quel mercato, là, vicino alla mensa? Non è male, anche se molto improvvisato...c’era anche un odore strano...” BARTO’: “Molti ragazzi avevano comuni agricole, molte sparse nei dintorni del capoluogo.” SERAFINO: “Poveretti, forse la fortuna non è dalla loro parte...molti non vanno avanti con quei prodotti e chiudono facilmente...” BARTO’: “Almeno ci provano. Ci vuole coraggio oggigiorno, altrimenti è tutto grasso che cola...devo smetterla di usare tutti questi detti popolari, che non c’entrano nulla stasera...” SERAFINO: “Comunque, Serafino...te, invece?” BARTO’: “Mi conosci, siamo stati a mangiare in mensa...” SERAFINO: “Si, t’ho visto che prendevi la pizza. Comunque, che tu ci creda o no, sapevo che eri gay...” BARTO’: “Come? Davvero? E dire che pensavo di essere del tutto irriconoscibile dai modi e dalla voce che c’ho. Nessuno m’ha mai beccato fino ad ora...” SERAFINO: “Non è vero. lo sai da cosa l’ho scoperto?” BARTO’: “Da cosa? Dalla parlata, per caso? Dalla camminata?” SERAFINO: “L’hai detto tu stesso che non hai questi atteggiamenti. No, è un’altra cosa, che Si vede benissimo e che tu non ci puoi far nulla...” BARTO’: “E sarebbe? I capelli da donna? La passatina da donna?” SERAFINO: “No, piantala! Sono i tuoi occhi. Si vede dalle iridi che hai un luccichio da omosessuale.” BARTO’: “Dagli occhi? Si può riconoscere un gay dagli occhi?” SERAFINO: “A volte sì. Dipende dalle personalità che si ha di fronte. Non sempre si ha questa fortuna.” BARTO’: “Perché parli di fortuna?” SERAFINO: “A volte si finisce a beccare il patetico erotomane in cerca di verghe...lì non funziona, perché è come se gli occhi fossero spenti, inesistenti...” BARTO’: “L’occhi è inesistente?” SERAFINO: “Un filosofo una volta disse che gli occhi sono lo specchio dell’anima. Ci vide bene, perché è così, sempre.” BARTO’: “Come fai a capire, come è successo a me, che c’è questo occhio: l’occhio che esiste?” SERAFINO: “Dall’animo delle persone. Esce una voce, che può essere semplice o meno, ma come vuole la psicologia, devi guardare sempre uno negli occhi per capire se la voce inganna o dice il vero. Gli occhi, e tutti i colori al suo interno. Guarda me, non ho il solo colore nero: ci sono diverse tonalità, diversi aspetti, tutti diversi. A seconda di come mi esprimo, gli occhi diventano simbolo di quell’emozione. Se non, parli con un fantasma.” BARTO’: “Un senza vita. Un vero e proprio senza vita...” SERAFINO: “Tu conta che in giro alla tua età molti preferiscono la morte, questa morte, alla vita. Si soffre di meno, e si gode di più.” BARTO’: “Ho sentito molti discorsi sulla vita e la morte. Non è che si esagera?” SERAFINO: “Vero! Ma almeno si ha un punto fermo...non so perché inizi a parlare di queste cose con te, che ti conosco da qualche minuto. Mi avrai ispirato qualcosa...” BARTO’: “O forse è la notte. Ispira sempre la notte.” SERAFINO: “Te sei troppo negativo. Smettila di parlare di queste cose...” BARTO’: “Hai iniziato te, con la storia degli occhi...” SERAFINO: “Ok, finiamola qui con questi argomenti tristi...” BARTO’: “Allora sono io a fare tutto questo casino!” SERAFINO: “O quello stramaledetto cocktail che ho trangugiato...dovevo prendere la birra come hai fatto te. Non hai ancora risposto alla mia domanda iniziale, caro...” Ottavo episodio Il mercato
39.
Correre! Correre! C’era la maratona, e noi dovevamo dirigerci al supermercato per ritirare l’acqua. Tutti a trotterellare per le strade della città, senza mai fermarsi: vecchi, donne, bambini, giovani e aitanti; una sfilza di gente prodiga a far saltare le coronarie agli spettatori, molti di questi incapaci di simili resistenze. Il grigio della giornata non sembrava smettere. Eppure notavo come in fondo ci fosse nell’aria qualche tempesta diversa; una distorsione dell’occhio...
Un mercato etnico si trovava, stava esistendo nella sua forma sotto gli occhi e sotto le orecchie abbassate dal rumore della città di chi studia le piccole cose e non impara quello che vive, di chi legge le astrusità più lievi e non sente quello per cui vive, di chi ascolta le note più disparate ma non udisce quello su cui vive.
Mangiare! Mangiare! Ed ero alla mensa, non notando che dentro il chiostro c’era una piccola sorpresa ad aspettarmi. Cominciavano a volare per l’aria delle bolle, che non sapevo da dove provenissero, ed ero lì. A mangiare. La gente continuava a correre, imperterrita, senza constatare il freddo e la noia della lunga corsa. Il passo errante risuonava fino ai miei pavimenti, e con la testa mi allungavo dalle vie del mio quartiere alla stradina del chiostro, gremita di produttori e coltivatori. Doveva esserci Frank...doveva, perché ora vedevo il mondo fuori dalla conca dell’Arno.
40.
Si aprì. Aperto, a finestra spalancata (un vento si imperversava) libero per poco tempo, al passare del rintocco delle campane, così; non sai, non saprai quando finirà il segreto prossimo, quando tutto il tuo vedere scomparirà nel suo oblio materno e ti lascerà a suo ricordo e immagine ove il cuor si spaura la melanconia della perdita, la greve dolcezza nell’animo.
Scendere! Scendere! Fuori, dopo pranzo, con le bolle nello stomaco, il rimuginare della polenta che saliva e scendeva. Da lontano i corridori giravano per le strade, saltellavano imperterriti alla ricerca dell’arrivo. “Devo arrivare, devo vincere!” Probabilmente si ripeteva nella sua scatola cranica il corridore, mentre passava sotto casa mia: provai a filmare tutto quanto, appostato debolmente dalla finestra, al vuoto di due piani. I vigili obbligavano tutti a lasciar passare i corridori, scattanti e smagriti poco a poco, quando intanto in cucina si preparava la colazione. I croissant al burro del compagno si sentivano fino a qui, e gli occhi si diressero al cuore dello stomaco.
41.
Un cielo, come in uno squarcio nel tempo umano fisso all’occhio, nel bigio colore del nuvolo, ecco; un passo alla volta e sei lì, prodigo ed evaso, in un non so che di estro fertile e passionale; un tuo io.
Entro nel chiostro, e la prima cosa è nei funghi. Uno stabile dove si decantava le proprietà dei funghi da fondo di caffè, nati in questi preparati fertili per la gioia del consumatore.  Uno, due, tre, dieci pacchetti dovevano vendere, e mi parlavano della bontà del prodotto, e di come a cercare i funghi ora, con i propri nonni, non sia possibile. Mia nonna...come una bimba si tendeva verso un fosso, scoprendo in un roveto dei piccoli champignon nascosti; io a tenerla mentre il timore del suo male pesava sulle mie mani. Incapace, timoroso di punture, serpi e rami perforanti; una bimba in mezzo al bosco, con i fratelli defunti che le ricordano quali fossero i tipi commestibili da mangiare e quali da evitare. Il porcino è l’amanita, il tubero il parassita. Così si confondono nelle mie idee scene diverse, e non seguo più nulla di quello che mi raccontavano. Penzolano e profumano, ma io non li comprai. Scappai dalle spore e intanto ricordavo mia nonna che cercava nei suoi posticini, nelle sue zone risapute. Ora non trovava più nulla, nemmeno suo nipote.
42.
Scoccavano al suono delle campane urbane e collinari e al volteggiare delle bolle: tutti presenti! Io ci sono! Tutti, via, a portare ciò che erano lì, a voi! A tutti quanti! È il circo della gente più diversa che esista tra i viventi.
Un giovane mi guardava, una lieve presenza. Mi sorrideva e mi diceva che veniva dalla Comune degli Appennini, e che i suoi prodotti biologici erano sicuri al cento per cento. Dondolavo con le mie scarpe rialzate, e non sentivo. Vedevo solo che qualcuno stava emettendo delle bolle. Gli odori delle tisane... “Sto un po’ male, mamma, dove sono i filtri delle tisane?”, non sapevo che fosse il tiglio, il finocchio e il radicchio il preparato delle dissenterie scongiurate.  “Com’era questo mercato?”  Ancora aspettavo la domanda. Non era ancora finito nulla, perché ero ancora lì, che guardavo i prezzi, le erbe, i cartellini, le tendine, e i capelli dei ragazzi vicini. Una presenza sentivo di averla vicina. Un incontro? Un’amicizia? Un amore? O forse la stanchezza di chi cerca e non trova. La fame mi ritornava e non pensavo più a nulla. Un blackout. Dovrebbero esistere più mercati in queste zone, più zone vive. La lamentela non finirà tanto facilmente.
43.
Venga... (la voce era sconosciuta) ...un pane salato? Una pasta dolce? Lei saprà il sapore del pane altrui? Un libro (per l'anima, non più per lo stomaco vuoto) Un vestito (per la sua gabbia), oppure una foto digitale, un breve ricordo di tutto. Sa dove si va? Dove si torna?
I fritti! Eccoli! E io che ora non avevo più fame se non per quelli. Girare a destra! Sono nelle vesti: ero una dama, un vecchio, un hipster e un vagabondo. Ero tutte quelle vesti che toccavo e riguardavo nei bottoni, nei lustrini e nei fondi. La prima foto, in alto, da egocentrico quale sono, in cima al rialzo del chiostro; un click e le luci si accesero. Il cielo era ancora bigio, ancora un lamento alle bolle che risalivano...qualcuno lo notavo, tra i loro capelli raccolti e le loro sigarette alla bocca. Qualcuno suonava la chitarra. Io non c’ero in quel loro mondo. Ero sempre lì, ma non con loro.
44.
È un chiostro, sai già dove finirà tutto questo! Il vento intanto muoveva le bandiere e gli striscioni e i giubbotti e le camicie e le giacche dei civili e le carte e le borsette e i capelli e le tende e i cappelli degli incivili e i fili d'erba e i fogli e i volantini e le banconote e le barbe e i bambini e gli oggetti e le persone e gli animali, e le bolle e le bolle...
C’erano i funghi ad aspettarmi, e io li riguardavo senza interessarmene molto. Arriva la notizia di uno dei corridori che giace al suolo e muore; io ero qui, e lo seppi tardi che la morte ha seguito tutta la storia. Io e Frank camminavamo verso il supermercato, e quando toccò di pagare lui mi diede i soldi e io pagai con la carta: non ne volevo, non eravamo fidanzati. Ma tra di noi ci si comportava come tali. Camminavamo ed eravamo sempre intorno a quei vecchietti che forse sapevano della morte ma non volevano metterla alla luce. Il primo che li abbatte, dicevo, il primo che li abbatte...
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BARTO’: “Guardali! Guardali! Vogliono morire?” FRANK: “What? Cosa dici?” BARTO’: “Come le anatre nei giochi al luna park. Dobbiamo sparargli!” FRANK: “Sei andato?” BARTO’: “Usiamo l’acqua e lanciamo gliela contro, come se dovessimo essere al luna park!” FRANK: “Va bene, ok...” BARTO’: “Ecco. Lancio! Un vecchietto! Dieci punti!” FRANK: “Ma perché…” BARTO’: “Ecco che cade un altro, una stele di domino!” FRANK: “Quanti punti un bambino?” BARTO’: “Forse venti. Provaci! Abbiam ancora tre bottiglie!” FRANK: “Merdre! Un colpo a vuoto!” BARTO’: “No no! Eccone, una inciampa sulla tua bottiglia. Gli è partita la dentiera!” FRANK: “Trenta punti! Ho beccato una palla di cannone vivente!” BARTO’: “Aspetta, l’ultimo tiro! Toh! Aitante pallone gonfiato!” FRANK: “Quanto?” BARTO’: “Cinquanta punti!” FRANK: “Così tanto?” BARTO’: “Perché ora si rialza e ce li dà a noi cinquanta punti, in testa!” FRANK: “Allora è meglio scappare.” BARTO’: “Perché? E tutta una nostra immaginazione...” FRANK: “Ah, già. Hai ragione...”
46.
La corsa stava finendo. Ero ancora in giro per il chiostro e non volevo comprare nulla, solo filmare quello che accadeva. Ero un po’ stanco della girata e delle fermate in ogni bancone, mentre i produttori di quel miracolo biologico dei funghi cercavano di vendere qualcosa della loro merce.
"I funghi, sa, sono fatti dai fondi della terra... dal loro celarsi...". Nascono ovunque e non si sa cosa siano, perché, dove? Vede la pianta? È nata, e lei lo sa. Lo ha sempre saputo.
Le selve fuori dalla città, il viaggio fuori dalla mia mente, i viaggi fuori dalla città degli uomini. Dove abito c’è casino, ogni giorno. Mi pareva di impazzire ogni volta che passava una ronda di poliziotti, un clamore dei carabinieri e il rumore delle macchine che stavano sventrando le strade per rimetterle in sesto (chirurghi di strada, di corpi lasciati a decomporsi). Tutto il tempo a lamentarmi dei gay, tutti questi giorni a pensare chi erano i pederasti, gli altri...gli altri! Immaginare chi fosse chi, cosa fosse cosa. Forse di me so veramente poco. Vorrei perdermi nei boschi.
Perdermi. Dire di esistere solo per me, io, io sempre io, per nessuno, e vivere con gli altri, loro, medesimi ed essi, le piante del segreto mio giardino... sconosciuto a me solo... Il loro sussurro è diverso dal clamore degli abitanti.
47.
Sì, bel ragazzo della Comune, rapiscimi! Porta via un topo di città e coprimi della tua conoscenza, del tuo vivere lontano, quieto e sereno. C’è una rocca al passo delle mura crollate: è lì, appoggiata al crostone, con tutti gli abitanti superiori alle vicende degli abitanti della piana. È solo un sogno, una mia immaginazione. Che accada! Sarò più tranquillo, se mai dovesse compiersi il mio piacere più segreto. Mi sento come se il tempo mi fosse nemico; guardo più volte l’orologio e non capisco se sono ancora nella mia realtà oppure se sto perdendo per strada qualcosa di importante, e che sarà decisivo al proseguo delle mie vicende. La colazione era pronta quando il gruppo che aspettavo dei corridori arrivò sotto casa e non mi diede la possibilità di fargli la foto, o il video che speravo. So solo che erano buoni i dolciumi della mattinata.
Ma cosa sappiamo se gli occhi ci nascondono quello che vorremmo?... ...chissà se un odore ci confonderà la vista e ci allontanerà dalla realtà in cui non possiamo non vivere... Alle porte vi erano pochi volti presi a declamarsi e a raccontarsi: ognuno portatore di una narrazione, di un momento, di un'esperienza. Il film? Tutto è un film, tutto è un sogno in una bolla di sapone (e i bimbi che le vogliono toccare, per non credere che dentro di loro ci sia un mondo che esista; vero!) Lei vorrebbe...un ascolto? Berlino (ya!) e le sue strade ricordano quando nell'Est si credeva esistesse la speranza di un mondo diverso. Cantate! Abbiate il cuore di voler raccontare che nulla si perda! Una bolla volava, e si sentiva la sua sparizione. Io mi cambio in tutte le vesti che c'erano, tutte (uno, due tre, cinque, dieci, cento!) che ricordano i personaggi di un uomo, le sue figure e i suoi caratteri. Chi c'è se non chi è? Ed era un torpore di genti, le persone che sentivano, attaccate ai loro balconi a vendere, a sostenere e a sopravvivere. Forse è meglio sopravvivere che vivere.... Quelle cose che avevano valore forse lo avranno ancora... ...come i pensieri, quei barlumi di luce provenienti dal cielo, ove le nubi non fanno muraglia, e i miracoli... "La ruota la rimettiamo in sesto! Noi siamo ovunque a rimettere a posto le bici, i vostri mezzi!" per strade; azioni che risplendevano e volevano essere, un seguirsi di valzer e canti berlinesi, di fritti leggeri da portar via e di biciclette per tutti. "Venga, per le librerie. Le liberiamo..." e la firma della presenza, dell'attivismo. I libri hanno bisogno di una casa e di chi li accolga. Una commedia continua nel mercato: "Un sorriso, bimbo!", e sembra combattere il grigiore della giornata. E sembra un poco vincerla. "Le mostro la nostra iniziativa, tutti giovani, tutti contro tutto, tutti...tutti..."; e vedevo già un microfono e una poesia in mano.    "Posso soffiare sulle bolle?" ed esse volarono. Nono episodio Una strana notte
48.
- “Solo così, nel buio degli occhi chiusi, un qualcosa si imponeva forte. Dove esiste la terra nella sua gravità inflessibile e definitiva e dove, lassù, dove lei non può più toccare alcun'anima non si formano che le nubi leggiadre al vento e allo spazio...” Città! Tu sai dove finisci? Tu sai dove inizi? No, nessuno sa dove finisci! Nessuno sa dove inizi! Inizi e concludi al centro, nel punto focale del tuo girare, della tua cerchia muraria storica ed eterna...” La campana della cattedrale, il suo din don nella notte, nella buia e serena quiete senza Sole, rintoccò ventitré rintocchi, uno, due, tre, dieci, venti e più...alternando ad essa l'eco...
Sai mai se hai un cuore che io amai?
...delle colline, dei monticelli lievi nell'orizzonte dello sguardo. Il silenzio dei boschi oltre le piante, che non sanno cosa sia il sogno, e il sussurro dei flutti scivolanti nello scuro dello scevro scoprire d'uno scompiglio, scorrono dai monti fino alla città.
49.
Era una bella cena, una bella scorpacciata di corpo che si fa poche volte nella vita quando si è contenti e felici, magari uniti ai liquidi alcolici che fanno salire ben oltre la linea di confine dello stomaco, sopra la punta iniziale, con un retrogusto dolce, che ricorda il bacio, la tenerezza dell'amico e il calore di una famiglia. Qualcosa non c'era... La Luna non c'era agli occhi di chi aspettava il suo volto di perla
Dov'eri mentre ti cercava il tuo amato? Eri nascosta? Da chi ti nascondevi, amore delle stelle, figlia della solitudine?
Le nubi di piombo pressato volano al di sopra delle cimase di uomini stanchi e soli al mondo caduto nel silenzio urlante delle feste e dei baleni di gioia euforica e di dramma depressivo che li vogliono stritolati al loro banco da lavoro, soli. La nascondevano e la rendevano desiderata.
Tu vivrai oltre loro, nel cielo che ti aspetta, fuori dai rombi, dai boati infernali della notte...
50.
Erano passate troppe albe e troppe lune dall'apparsa dei boati. Mi svegliai di notte a vedere la pace che venne sconfitta, al disperarsi dei botti, della sconfessabile devastazione. Era una notte che pareva serena.  Noi due, giovani... PASSANTE: “O erano di più? Chi erano? Sono forse un castano ed un moro, oppure due castani, due mori, uno biondo o rosso o canuto? Tutti simili, forse nel volto avevano qualcosa che li rendeva due soli, Soli.” ...decidemmo di passeggiare: una camminata lenta ci attendeva fuori dal bar, che era un pub ed era un ristorante e pizzeria; un passo nei pavimenti rialzati, spaccati dalle bombe e dalla storia della città, con le lunghe viuzze nel terreno pronte all'inciampo dei maldestri e degli ubriachi. Uno scocco. Due scocchi. Quattro, che diventavano otto, sedici, ed infiniti nella sera, mentre il silenzio si apriva all'esplosione improvvisa nell'aere. In compagnia degli abitanti noi eravamo quieti alla ritrovata pace, dopo la tempesta che imperversava nella città. Eravamo prima sotto la cattedrale, ma dopo pochi passi nella chiesa, nella sinagoga dei ceri simmetrici con la kippa e il cibo kosher della macelleria sotto la via fuori dalle piazze delle osterie e dalle enoteche, prima del ponte nel fiume piatto e bucato dalle bombe e dalle luci. Le note jazz volavano fino alla cupola di fumo. Nel cielo, ovunque, tra le vie e perfino nel fiume che passa la città, dei boati, delle luci infernali distoglievano lo sguardo... PASSANTE: “L'occhio vede le anime, non le persone...” ...e l'attenzione dei passanti, portandoli dai loro discorsi, pensieri evasivi alla realtà. COMPAGNO: “Mi sa che questa notte non passerà...un cielo così sembra un'apocalisse lugubre...non sai cosa mi manca per sentire di essere in casa mia...il vino non m'ha reso ubriaco...vorrei vivere lontano da tutti, da tutto, da loro...si rimarrà uniti al continuo dei bombardamenti? Io non so cosa ci sia tra la terra e il cielo...io non so se noi, se tutti, se forse tutto questo...tutti a camminare per le strade, e nessuno che invece rimane fermo e si chiede perché...sono solo, eppure insieme ad altri...la casa vicina a me è scomparsa; toccherà a me?...Tutte queste luci...il fiume non ha mai avuto così disgrazie come noi che viviamo sopra di lui...”
51.
Una realtà di fuoco, di rovine, di crolli e di morti. Fuoco, che si diffonde per le stanze, per i corridoi con i mobili, i quadri antichi, le suppellettili degli avi e dei ricordi, le scrivanie, i tavoli e le sedie, le poltrone, le ricchezze, i cappelli e gli abiti, le stoviglie, la frutta decorativa, gli orologi nel loro incessare del tempo. Rovina, delle sue porte, finestre, rialzi, balconi, terrazzi, tettoie, graticole e banderuole con camini e decorazioni floreali, lampade al muro, serre interne, persiane e solari in soffitte sfondate. Erano crollati nella pietra, nel calcestruzzo, senza fondamenta, nel cemento sparpagliati nella tenebra, nei mattoni che non esistono più, tra i fuochi. La città era prossima ad essere una landa desolata da quando ininterrottamente vibravano nell'aria le esplosioni causate da questi spari che appaiono e scompaiono in pochi secondi, lasciando a tutti coloro che vi assistono l'angoscia di un'impotenza incurabile. Era una notte, dove l'orchestra suonava il jazz nella speranza di colmare i boati impossibili, lasciando solo sfogo alle trombettiste, le quali univano al loro suonare una piccola disperazione. Assistere ad uno dei crolli era forse il desiderio più sadico che uno possa mai solo pensare di poter avere. Era come mettere alla prova del fuoco un disgraziato incurante dell'impossibilità di sopravvivere ad una crudeltà del genere: un palazzo, antico, che precipita al suolo dopo che una tempesta di polveri la tramortisce e la fa crollare sotto il suo peso, portandosi appresso tutto il suo contenuto. Se uno riesce ad intravvedere una persona, un animale che scompare nei resti del palazzo, anche lui, come per empatia, decide di scomparire, nei meandri della sua mente, in una inconsolabile pazzia. Un godimento lussurioso che sa di Pandemonio. COMPAGNO: “Continueranno ancora questi boati incessanti? Da troppo tempo stanno portando rovina! Ho paura di sì. La città è destinata a perire se tutto ciò non si placa. Tutto in polvere. Anche questa notte sarà insonne? Non so più dormire come una volta. Forse sognare. Anche oltre la notte...temo che nessuno in questa città sogni, perché almeno spereremo. E nessuno sa come fermarli? Nessuno che si imponga a questo disastro? Se ancora non c'è soluzione, è perché si preferisce la desolazione. Questa città...”
52.
Erano passate troppe albe e troppe lune dall'apparsa dei boati. Una ripetizione, come le bombe che ritornano ogni giorno, ogni notte, ogni giorno, ogni notte, in pazzia completa, senza finire, in follia totale, senza fermarsi. Mai. Quell'uccello non sembrava di volare, tra le sponde del fiume, oltre i ponticelli, mentre vedeva tra le finestre senza accorgersi di camminare, di stare. Ero accanto al ragazzo, ero con lui, vicino. Mi fermai con lui, e vedeva ancora la notte. Era una notte che pareva serena: il sereno si vede dalla quiete che ti infonde nel cuore, in quella breccia di calma che non ti fa pensare al male, all'inquietudine e al breve lasso di malessere. PASSANTE: “Come poteva essere...sereno? Il cielo, non lo era...Non si dava sereno nella città, non c'era quella quiete tra chi viveva col terrore di essere l'ennesima vittima delle bombe e chi l'ennesimo sopravvissuto e spettatore della morte altrui. Pensano ad altro loro? Lui lo sa se l'altro pensa a lui, se gli altri pensano ad altro, oppure se le bombe sono il trionfo di questa paranoia che sembra non finire mai?”
53.
I due giovani. Chi li conosce non c'ha mai visti prima, chi c'ha visti sa che prima non c'eravamo: noi eravamo nei boschi, nella nostra stanza insieme, con un boccone in bocca all'altro, nella torre alta a seguire il corso degli eventi, e poi nel letto, a cercare di sognare, ancora, nonostante ogni volta fossimo insieme, uniti, prima che un botto ci svegliasse...eravamo lì, a pensare come si potesse evitare quel disastro, ma eravamo troppo piccoli per impedire alle bombe di cadere, di non precipitare nei baratri che sarebbero nati con loro, un vuoto infame. Decidemmo di passeggiare in compagnia degli abitanti, quieti alla ritrovata pace dopo la tempesta che imperversava nella città. Tutti volevano sorridere, tendendo il loro riso quasi a clown, in totale disagio, pur di celare, nascondere quello che sanno tutti. Come finirà? Perché a loro? Dove hanno sbagliato? Perché è successo? Come è iniziata? Nessuno sa come sia iniziata, il principio di ogni cosa e di ogni disastro, di ogni casa bruciata, di ogni viale sfondato, e da quale assurda follia una città debba ritrovarsi del tutto disarmata a tale violenza imperante. C'erano urla nella notte, c'era tutto il necessario per non far più vivere gli abitanti, mentre la città poteva tranquillamente affondare sul suo nulla. Sul suo morire. Nessuno sa come si possa andare avanti, dato che nulla sembra possa placare i continui gridi e le urla di questo disastro incessante. Nessuno sa come finirà, se mai finirà. PASSANTE: “Questa città non può finire così! Ha superato il Tempo, la Storia...non può...Cosa si può fare per evitare il disastro? Nessuno lo sa. È troppo che si soffre! È troppo che la gente non riesce più a sopportare… Non si capisce chi sia, cosa, dove: appaiono ad un tratto e si portano via tutto. Perché? Perché la città? Cosa può aver portato ad una simile decisione? Il perché non lo puoi sapere, se proviene dalla violenza. Ascolta. Un boato. Eccolo...”
54.
Nel cielo. Ovunque. Erano lì. Continuava la disperazione: un palazzo era esploso, frantumato di tutto ciò che conteneva e teneva in sé, e la famiglia al suo interno si spezzò in polveri leggere, un tempo un padre, una madre, i figli e i nonni, dispersi nella cenere. L'orrore continuava, e nessuno voleva vedere. Il tempo passava mentre noi con passo lento si dirigevamo nella piazza del quartiere posto dall'altra sponda del fiume: ora c'era silenzio per le vie, e silenti erano gli abitanti della città, figure minute alla ferocia della distruzione. I ponti erano bloccati alla circolazione delle auto, anch'esse possibili armi di morte e di dolore, e solo a piedi si poteva andare al di fuori del centro urbano. Chi vedeva dall'altra parte non poteva non vedere il fumo provenire dai tetti, dalle strade e dalle torri, che copriva tutto ciò che lo circondava. Il ronzio lo sentivamo nelle orecchie, ancora risuonava chi era nei paraggi. Nessuno l'aveva vista, nessuno l'aveva notata, eppure un fischio aveva presagito la sua esplosione, quelle finestre che si coloravano di fuoco fino a spingere lontano tutti quanti: solo prigionieri interni, nessuno al di fuori. C'è un nemico! È qui, nei colli, là, a sperare nella nostra morte, a chiedere in cambio di tutto questo la nostra servitù, il nostro vivere liberi, e per questo fa della città un campo minato e una zona di guerra. Ancora ci cerca, ci vuole suoi, e perfora le case, i templi, i palazzi e le torri, fino a che non ci avrà suoi. Non c'è nessuno, solo il silenzio dei colli indifferente alle nostre storie e alle nostre disavventure. Dov'è? È con noi? Il nemico tra gli amici? Sa dove siamo più deboli, sa dove ci può colpire, sa come farci più male di quanto uno potrebbe. La nostra città, la loro città...tutti in preda al nemico che non veniva, alla notte che non si faceva così serena, se le bombe non cessano di esistere. Si intravvedeva una città antica, di origine medievale, antichità nata per proteggersi dai nemici, dai malvagi, da ogni elemento che potesse infrangere le sue mura. Non c'erano più: al suo posto nuovi palazzi, con aria condizionata e luci accese tutta la notte con gli spazzini e i metronotte che li circondano e ne fanno casa notturna per la loro noia e il loro lavoro, mentre ordinano il caos che li circonda, e donano nuova vita alle nuove case, con il loro calore e le piccole crepe da riparare dopo le bollette e la pulizia di casa da sistemare con i libri in terra e la spesa da rifare per l'ennesima volta curando il giardino per dare via al verde che c'era intorno a loro e ai nuovi alberi. E nessuna difesa. Una realtà. L'incanto di una notte, sospesa tra la realtà ossessiva e la notte dei sogni. La loro musica. La città era prossima ad essere una landa desolata da questi spari che apparivano e scomparivano in pochi secondi, lasciando a tutti coloro che vi assistevano l'angoscia di un'impotenza incurabile. Le note continuavano, e sembrava una lacrima di gioia... COMPAGNO: “Loro suonano. Ancora. Ma suonano. Non sanno cosa fare in questa notte...ma nessuno ascolta: tutto sono impietriti dalle continue esplosioni, anche adesso. Non stonano. È impressionante come riescano ad andare a tempo se ogni volta…vorrebbero stonare: se stonassero uscirebbero una buona volta dalla loro realtà. Realtà? Stanno cercando di far allontanare le persone dalla disperazione della realtà…se volessero scappare da ciò, non starebbero qui ad assecondare la loro musica.”
55.
Era una notte, dove l'orchestra suonava il jazz... COMPAGNO: “La musica, il risveglio dell'anima, e lo strombazzare che seguitava la notte depressa...” ...nella speranza di colmare i boati, i ruggiti della notte, impossibili, lasciando solo sfogo alle trombettiste; si fermavano negli assoli e stavano come statue a decantare figure illustri nella loro posa incantata, effigi, suggerendo qualcosa che nessuno capì in fondo, eppure univano al loro suonare... PASSANTE: “Il do saltellava al mi e al fa, ballando col re, a fare sì, col suo sol...” ...una piccola disperazione. Ballavano. Volevano ballare. Volevano ballare. I boati aumentavano e la gente non stava più ferma. Si velocizzavano, si agitavano nei movimenti. Il fuoco era la loro luce, e i fumi il loro luogo di ballo ideale. E seguitavano gli altri intorno a danzare, mentre nulla aveva più senso. Troppo breve era questo momento. La città è ancora in preda al crollo che sembra imminente. Si mettevano a ballare, con le loro scarpe, che si misero prima di scendere, uno ad uno, in una mano la scarpa della parte opposta, la sinistra alla destra e viceversa, non togliendosi lo sguardo addosso, e guardandosi, mirandosi senza pensieri. Gli spettatori cercavano di evadere con le note, quasi aggrappandosi ad esse, per allontanarsi, fuggire e salvarsi dal male che deturpa le vite della comunità locale. I bombardamenti seguivano altri bombardamenti, il caos diventava generale, le colline ora sentivano tutto. Sembrava che nulla la fermasse, perché più si sente un progressivo allontanamento dal dolore, più si fa risentire, più ritorna, nel suo boato micidiale, che spazza animali, cose e persone. La salvezza forse era nelle piccole parole: in uno sguardo, in una carezza, in qualcosa che possa chiudere il cerchio di fuoco attorno a noi, a quella gente, a quel paese immerso nelle colline. La campana della cattedrale non rintoccò.
56.
COMPAGNO: “Ecco l'ultimo colpo...Le lacrime, non Ci rimangono...Un altro boato. Un altro ancora. Non riesco a capire come si possa ancora...Nessuno regge. Nessuno. Facciamo finta, ma nessuno ce la fa più...si deve...si deve...Come, si deve? Nessuno riesce ad andare oltre...E sia. Andiamo oltre! Non è possibile morire in questo dolore senza un finale. Che si può, vivere ancora in questo strazio? Nessuno sa come finire questo strazio? Nessuno! È la fine della città? È la fine, e il suo inizio. Tutti sappiamo come finire questo disastro, questo male...Lo so anch'io, ed è semplice. Bisogna che da questo ci si svegli...Svegliamoci allora...”
57.
La notte si accese. La musica smise. Il fiume si calmò. Le colline fiorirono. Le torri erano aperte. I palazzi erano silenziosi. La cattedrale suonava. La città era di nuovo viva. Le rovine non esistevano più. All'alba non esistevano più rovine. Le bottiglie non c'erano, l'alcol non c'era, i mattoni, le pietre, i vetri, le ceneri, le note, i ponti, i mobili bruciati, le sedie, le persone, i sorrisi, i balli, i fuochi e le nubi, non ci sono. C'erano loro due, e gli altri, a dormire, a stringersi le mani col volto accanto all'altro. Non si udivano più le bombe, non si udivano più le disperazioni, i dolori, le disgrazie di un tempo immortale. Era passata la tempesta: non c'era un singolo pezzo fuori ordine, non c'era il frantumarsi dei palazzi. Era passato il peggio. Era passato, perché ora è realtà. Dove sta la realtà? Non esisteva la realtà. Il sogno...tutto un sogno, un ingannevole sogno che sembrava librarsi...ma dov'è il sogno se ancora esisteva quei ragazzi, quelle persone e quelle arie che svolazzavano sopra i cieli della città? Allora, c'era qualcosa. E solo il Sole, passata la Luna, avrebbe portato via le ombre della tenebra e rischiarato le menti. La sveglia di chi voleva ancora sognare di essere una città, un colle, una qualsiasi cosa che viveva assieme a loro nel pulsare dell'esistenza. Intanto un sorriso si palesa nei dormienti... Decimo episodio Tanto per finire
58.
Avviso da parte della segreteria degli studenti dell’ateneo: Il seguente foglio deve essere recapitato entro un’ora presso l’ufficio della DSU, con tanto di bollettino e carta d’identità. Ai fini del contributo affitto, dal valore nominale di diverse centinaia di euro, è conveniente autentificare la registrazione entro e non oltre questa giornata, prima che la scadenza sia superata, la quale garantisce la non accettazione di future carte di richiesta, prontamente cestinate. È doveroso ricordare la necessità del rilascio lucroso per chi è fuori sede e non dispone di un lavoro part-time esaustivo alle richieste monetarie da affrontare (affitto, vitto, uscite serali, spese extra). L’ufficio rimane aperto fino alla chiusura per pranzo, quando ogni cattedra non sarà disponibile fino alla successiva settimana, forse troppo tardi per ottenere il bonus universitario. Ogni eventuale elemento non presente renderà tutto lo svolgersi delle azioni un insieme inutile, senza via di soluzione immediata ed esaustiva. Lo studente, già borsista, è pregato di non richiedere fogli stampabili alle segreterie e ai dipendenti degli uffici regionali, quindi di auto munirsi e di andare nelle copisterie più vicine alla città per una stampa fattibile e chiara. Non verranno tollerati pietismi o scene di richiesta tendenti all’ossessione nei confronti dei pubblici dipendenti della Regione. Le biblioteche locali sono a vostra disposizione per stampe a poco prezzo e di buona qualità; non garantiamo file certe e computer non funzionanti per la stampa. Né stampe accessibili ai terminal dei lavoratori dello Stato Sociale. Riteniamo che nei tempi richiamati debba convenire al suddetto soggetto una certa responsabilità del mancato riconoscimento: da oltre un mese pubblicato, è perentorio presentarsi all’ufficio pur di non cadere nel timore di perdere il bonus a cui può accedere per via dell’impossibilità di acquisizione di posti letto ormai completi. Si augura però nel futuro di poter ottenere al posto del contributo affitto il posto letto, gratuito e perciò non di pregevole qualità (il controllo delle abitazioni ricade sui presenti, non sull’ente custode). Nel seguente foglio sono presenti le seguenti datazioni ed elementi archiviati sotto il nome del proprietario della matrice algoritmica e del codice di riconoscimento: Codice del contratto d’affitto e delle firme del locatore e dei conduttori Carta d’identità nazionale, con annesso codice di registrazione municipale Iscrizione compiuta alla lista dei vincitori della borsa regionale Carta della richiesta de...
Manca! No! No! No! Dannazione! Tra tutti i fogli che ho da giorni, dopo tutte quelle stramaledette richieste che ho fatto, per cui ho sofferto pesantemente a causa delle mie paranoie possibili...Ho solo un’ora prima che No, non ci siamo…ritentiamo…
59.
Ecco, allora… … … … … … … … … … … … … … … …ritentiamo…
60.
Basta. Mi sono rotto! E che cacchio! Essere stanchi non è un fatto biologico: lo spirito o è stanco o è vivo; già si parte male ad essere fiacchi in un mondo frenetico, e se aggiungi che molti sono bestie, è fatta. Mangiato! Divorato senza nemmeno le ossa! Eh, ci si trova ad affrontare gli imbecilli, gli stupidi e i folli psicopatici in una vita; evitiamo di finire in mano loro. Uno tranquillo passa ad altro, non mirarli, e pensa altrove. Ma l'ignoranza è una funzione a breve termine se hai gli occhi per intendere e per comprendere il mondo attorno: se si è particolarmente sensibili allora risulta difficile accettare tutto questo. Chiudere la bocca è peggio; nemmeno la compiacenza di criticarli, di dire No! Si sta algidi ad essere impotenti. I consigli servono a poco in questo mondo, eppure c'è chi li dà ancora, forse per auto-gratificarsi. O forse per valere qualcosa, perché si sente nulla, nullità del cosmo in cui è affiorato a vivere. Sii stanco quando non devi essere attivo, attivo quando non devi essere stanco. La mia età mi dice, chiaro e tondo, semplice: "Divertiti!" Bene...come? Perché il senso del ludo cambia, non può essere lo stesso. Proselitismo di piaceri? Certo! E perché non un'integrazione di gusti, di mobilità e di respiro? Eugenetica del vivere, e così perdiamo l'ultimo residuo di vitalità, di identità. Ognuno pensi al proprio modo, e se cerca un sosia perfetto, saprà di fallire quando sarà troppo tardi. A questo mondo si è soli nella propria identità, ma compagni nelle proprie avventure, e nei propri caratteri. Le belle statuine non sono nemmeno più le donne, oggi giorno (o per lo meno quelle vere, tralasciando quelle meschine senza arte né parte. Davanti, bello lì, e parla. Giudica se uno vuole, annuisci e scappa (tanto non è il paese a garantircelo, ma la nostra libertà!), fai lo gnorri. Ma è lì, punto! Così uno capisce con chi ha a che fare.
Basta, questa storia può anche finire così. Non ho altro da dire.
FINE Postfazione Bartò frantumato, o le gioie confuse
Bartò è il diminutivo di Bartolomeo: questo dettaglio non verrà rivelato se non nel seguito del romanzo, “Una questione civile”. A primo avviso può sembrare un elemento inutile, ma non è così: è indice che il primo romanzo d’esordio dell’autore si mostra come una storia semplice, esile, anzi, un racconto dalla trama inesistente, superficiale. E forse è il pregio del romanzo questo. Ma forse sbaglio, a cominciare dal chiamarlo “romanzo”. Con questo autore la catalogazione non funziona (quasi) mai.
GIOCHI DI NARRAZIONE…
Scritto di getto in pochi mesi (sembra che le uniche date a noi pervenuteci siano 13 novembre e 7 dicembre 2014, ed è lo stesso periodo in cui ha scritto anche il pamphlet “Oltre il Varco”), questa storia nasce nell’indifferenza dello stesso autore: partendo dalla tecnica del diario, come ha fatto in un altro suo scritto giovanile, dal titolo “Le esperienze giovanili di Fosco Cerbo”, ha eliminato ogni riferimento cronologico, aderendo più alla storia, agli episodi di cui si compone. Il risultato è un’opera che ricorda da vicino il trattamento che facevano quasi cent’anni fa gli scrittori modernisti (Joyce, Wolff, Faulkner, Pirandello…) sulle dinamiche della fabula e dell’intreccio: elimina ogni riferimento, mettendo in scena l’atto in sé, dilatando le percezioni, le cause, le descrizioni; il tutto a danno della narrazione, della diegesi. Non è però completamente il caso di “Barto frantumato”, anche se potrebbe rientrare benissimo nella categoria del “romanzo di racconti”. Bartò, a differenza degli altri personaggi (e degli altri libri), è una creatura teatrale. Il libro inizia con un suo monologo, spezzettato da scenette comiche, richiami, flashback, digressioni; nei successivi capitoli/episodi lo script rimane lo stesso, se non reso ancora più estremo con racconti sempre più complessi, legati alla vicenda per fattori tematici; cambia stili di continuo, passando dal monologo alla novella, alla digressione al dialogo, fino al testo teatrale e al poema in versi sciolti. Poi si ferma, decide di smetterla. In scena c’è lui, non un narratore, anzi l’Autore in scena è l’alter-ego del protagonista, e quasi ci litiga in diretta con la narrazione. Le principali leggi della narrazione e dello svolgimento della storia sono tranquillamente soppiantate a favore di un auto-fiction narcissica e iperframmentata, frantumata, come vuole il titolo. Lo stesso obiettivo, la ricerca dell’Oggetto, come vuole la tradizione della narrativa, non è chiaro: sembrerebbe l’amore, ma verso la fine sembra sia vicino (o no?), oppure si ferma lì perché non lo trova. La storia è caotica anche nell’esplicazione della quète, è un ginepraio puro, fatto di (pochi) personaggi, presentati originalmente, a volte con umorismo delirante e diabolico, e di episodi limitati negli accadimenti, e dunque gonfiati da invenzioni degne di una comica cabarettista.
…E DI LINGUA
Il vantaggio di questa storia è nel suo cercare l’effervescenza, saltando nella lingua (intesa linguisticamente), giocando con virtuosismi assurdi, al limite del barocco. Non essendoci una trama, è ovvio che dovesse riporsi nel gioco del linguaggio. E forse è questa una sua grande virtù, oggi poco presente nella letteratura contemporanea, ma molto attiva nei decenni passati: il lavoro della lingua. Aderisce al momento, all’episodio, fin dall’inizio del libro, con un tipo particolare di linguaggio, purtroppo non sempre perfettamente calibrato (ma è a senso: l’opera non è matura, ed è difficile che un autore a malapena ventiduenne lo possa essere): è un teatro a più palchi, a più scene, quasi richiamando l’entrelacement ariostesco, o le rappresentazioni medievali dei Misteri e dei Drammi profani. Bartò diventa una tromba di linguaggi disperati, senza freno, iperattivi, camaleontici e caleidoscopici. L’unico che cerca di dare un certo contegno all’opera è l’Autore, identificabile nella figura dell’eteronimo a cui è intestata l’opera, Ernesto Sparvieri, lo stesso autore di “Giorni Tranquilli” e “Gli Assurdi”, racconti simili nello stile ma più compatti, meno instabili della prima opera. Anche qui ci sarà lo zampino dell’autobiografia, mischiata alla finzione pessoana?
STORIE FIORENTINE
Una storia forse c’è alla base del libro: Bartò si presenta, parla dell’ultima sua scappatella mancata, rientra a Firenze richiamando alla memoria gli ultimi fatti/persone, conosce l’ambiente omosessuale locale, cerca di adattarsi alla meglio, scopre le meraviglie della vita urbana, e smette di lamentarsi. Questa sembra la sinossi di un potenziale romanzo di formazione, e forse lo è, ma più che un romanzo di formazione si tratterrebbe di un romanzo di iniziazione sessuale: si parla di omosessualità praticamente ovunque, fin dall’inizio e verso la fine dell’ultimo episodio. Rari nella nostra letteratura, uno dei casi più azzeccati di questo genere è nel romanzo breve, nonché opera postuma, Ernesto, di Umberto Saba, libro che curiosamente ha il nome dell’eteronimo. Ma se il romanzo del grande poeta triestino è votato alla tenerezza e alla dolcezza, con toni straordinariamente limpidi e chiari, qui è tutt’altra maniera. È l’accettazione alla propria sessualità, qui però raccontata con i toni della satira e della parodia, a molte scemando nel faceto e nell’oscenità, ma sempre con grande esplicitezza, senza fermarsi mai nel descrivere anche le più piccole nefandezze feticiste. Non sarà un libro molto apprezzato dagli ambienti più dediti alla promozione dei diritti e della dignità degli omosessuali: in pratica li stronca senza mezzi termini, a volte con crudeltà disarmante, mettendo in scena anche personaggi omosessuali peggiori di quanto Genet, Proust e Busi potessero aver fatto nel loro. Ma la sessualità è qualcosa da accettare in toto, nel romanticismo e nell’erotismo più becero. E può essere fonte di una grande gioia, una delle poche nell’immensità breve di questi episodi, che si aprono e chiudono ora velocemente ora con grande lentezza: è il senso a doppia velocità proprio del tempo, in termini bergsoniani. È il tempo con cui ha lottato anche l’autore per far mettere in scena in un centinaio di pagine il suo Bartò, giocando con la sua autobiografia (e per questo ispiratosi a Perec) e con l’umorismo pirambolico dell’assurdità della vita (e qui scatta Pennac). Anche qui torna la lotta, non per la libertà, ma per amore, un amore che non avrà rima con “fiore”, bensì con “furore”, quello che sprigiona questo personaggio fumino e potentissimo, quasi impossibile da seguire per la sua velocità. e anche con questa storia i lettori troveranno difficoltà. Alla fine questo autore è tutto meno che aperto ai fruitori; li vuole pazienti e troppo attenti, pur non garantendo sempre una qualità costante nelle scene. Qualcosa di buono c’è nel libro, e non è poco. Se fosse più godibile e meno complesso, forse avrebbe anche successo.
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pangeanews · 5 years
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“Da sempre avevo amore per certe creature destinate a vivere come di nascosto alla vita”. Grazie Ottone Rosai! Amato da Francis Bacon e da De Dominicis, ci riveli chi siamo
«Il mondo moderno e la possibilità di starci dentro». Rosai, dentro, non ci stava affatto. Assomigliava più a un’ombra di asta lunga che sfiorava la vita, aspettando inquieto tramonto. Tramonto che poi avrebbe incendiato di realismo burbero, nei suoi quadri, dando fuoco alle botteghe dei piccoli pittori della mondanità. A chiedersi se Rosai ci stava dentro al mondo moderno fu Renato Guttuso, parlando di lui in accostamento a Francis Bacon (entrambi esposti allo sgarbiano museo di Palazzo Doebbing di Sutri). Rosai fu stimato da Francis Bacon, Baselitz e Gino De Dominicis, conobbe Giovanni Papini. Amava circondarsi di vita pulsante per l’arte e la cultura italiana, nonostante tutto, come ricorda Frediano Farsetti, che lo conobbe e di cui ci regala testimonianza: «sul tardi riceveva gli amici pittori. Dopo cena la compagnia si allargava, Rosai non dipingeva, conversava con poeti e scrittori, come Leonetto Leoni, Carlo Betocchi, Alessandro Parronchi, spesso arrivavano Vasco Pratolini, Carlo Cassola e tanti altri. Un cenacolo». Proprio Farsetti ci racconta che della sua vita, De Dominicis e Benigni avrebbero voluto fare un film.
*
Rosai nel mondo moderno ci stava dentro e ci stava stretto. Come si vede, specialmente, nei suoi autoritratti, o nei ritratti. E per questo suo dimenarsi come perla caduta in una busta di vermi da pesca, in assenza di occhi, come cadaveri mossi da urti terzi in una vasca stretta, dobbiamo ringraziarlo, perché in un mondo carente di uomini, egli è stato uomo che dipingeva come era uomo (Guttuso), dissacrando la sua vita, tempestosamente anarchica e sofferta nell’ambiguità e nel nascondersi, dissacrando la divinizzazione dell’artista, le cui opere, odiernamente, valgono perché costano e non costano perché valgono (Angelo Crespi ce lo ricorda così, a secco): cesso aurato parlaci del tuo fragile Cristo finto, Amon Ra, e dell’uso ingannevole che fai del tempo. Cesso, dovresti essere allontanato da noi! Cesso fosti e cesso rimani: Cattelan.
*
Ma cosa ca*zo vogliono tutti? La vita di Rosai è dimensione privata, è un banchetto intimo e di stoffe sporche da condividere con quelli come lui: «da sempre avevo amore per certe creature destinate a vivere come di nascosto alla stessa vita». Brucia luce agli occhi di chi vuol vedere oltre. Scappate: «nel dipingere i miei soggetti, non fo che esaudire un misterioso bisogno d’artista che intende esprimere il sentimento dell’universo, poiché in un povero omino c’è indubbiamente maggior contenuto, una più grande somma di mondo, di Dio, di questa vita, nostra tragedia di povere creature». Grazie Ottone, per il pane nero quotidiano. Pan duro e secco, profumo di lasagne domenicali, tasse e puttane, lattai sudati in bicicletta, carezze di madre accostate a una candela dietro gli scuri invisibili, solo immaginabile. Grazie Ottone, pietra pomice, per aver allisciato la vita dalla forma eroica, ogni tanto, nel ricordarci chi siamo prima di partire per dire di diventare, o diventare davvero, eroi. Siamo quel che siamo nel giorno, ogni giorno, come nostro padre, nostra madre, i nostri amici. Siamo parte, e siamo maledettamente soli. Drammi da vivere, problemi da risolvere, paranoia di essere inutili, di sentirci inservibili, superati, ombre che sfiorano il tramonto perché la vita non le tanga. Grazie Ottone perché tutto questo terrorizza ogni uomo di buona volontà che vuole ragionare sopra le cose e mantenersi integro nella notte dei valori, dei replicanti, incapaci di essere sovrani di se stessi, perfettamente massa, in barba alla preghiera di Ortega y Gasset.
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Ottone Rosai ci porta per mano all’antieroe. E grazie Ottone, davvero. Mondaccio sempre più carente di uomini, sempre più gonfio di idee figliate da altre idee distrutte, rospo in doppio petto stretto a colletto. Soffocante vanesio di colti isolati, parlatori seriali di un teatro ostentato a ciarle ben composte. Accademiche. Uomini replicanti sovrastano, in gran numero, uomini integri, sovrani di se stessi. E grazie Ottone perché rendi sacro l’uomo, senza escludere Dio. Rosai ci porta agli ultimi, suoi vicini: «L’uomo di Rosai è colui che realmente campa la vita, magari bestemmiando, agisce nel tangibile ambiente della propria identità», scrive Marco Moretti che ben ne conosce le opere, «Rosai è anima radicata nella fede del suo Dio, così come uomo è orgoglioso d’appartenere al ceppo del suo popolo, dal quale scaturisce, nella vita e in pittura, la sacralità per l’umano». Il Dio di Rosai esiste ed esita. Lascia macerare la santità, e la rende invisibile, quasi incredibile, come ampissima tribolazione. Rosai manifesta Dio negli ultimi. Quelli da Lui saranno i primi. I non santi che Dio coglie come margherite in un campo di immonda purezza e trasforma in materia celeste. Il Dio delle favelas e del sobborgo. Un Cristo affacciato nella periferia della vita. Forse in questo vi è più fede che nei farisei ordinati e composti in fila per l’Eucarestia dopo le botte casalinghe alla moglie.
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Ma sacro è anche l’uomo, per il grande artista fiorentino. Rosai non odia l’uomo, lo esalta. Quasi è dispiaciuto, impotente, nel vederlo imbrunire nelle proprie disgrazie. E tanta sua pittura, forse, è esorcismo a tutto questo. Allora, egli va ai confinati tra la normalità e il buio, quelli da scartare, da evitare, risparmiandoci, per fortuna, l’idealizzazione caravaggesca delle puttane. «Non era facile far accettare le figure che riassumevano il miserabile volto dell’Oltrarno: giocatori di toppa acquattati nei vicoli, mendicanti e cantastorie, operai e artigiani, fumosi interni di bettole e di caffè rifugio di quel popolo minuto, interprete di umori e caratteri di una Firenze medievale e ferrigna ancora palpabile nel rigurgito dei vicoli», commenta Marco Moretti, «figure amate dai poeti ma respinte come espressioni ‘vernacolari’ da puristi della critica come Ugo Ojetti e Cesare Brandi. Eppure, il valore più autentico della pittura rosaiana risiedeva lì, anche quando certe immagini quasi caricaturali rischiavano il ‘vernacolo’ fine a se stesso».
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Rosai carica di espressiva disperazione e assenza i suoi soggetti. Tra gli ultimi normali, non incalliti deficienti o criminali coi pantaloni marroni di lana e il grosso coltello in tasca, non avanzi di galera, ci porta a sbattere i denti sulla norma: egli per liberarsene, a noi per spaventarci. “Occhio a non finire così”, sembra dire, facciate della vostra vita un’opera d’arte, quella che Ottone, molto poco dannunzianamente non fece, seppur sfiorando il Vate. Rosai non ha voluto redimere un cazzo. Semmai è peggiorata la sua percezione del mondo, rispetto ai tempi dei brillanti paesaggi toscani. Fiorentino autodidatta, padre suicida. Combattente degli arditi e pluridecorato, poi scriverà il libro antieroico Dentro la guerra, che verrà censurato dal regime; avvicinato al futurismo da Ardengo Soffici, con cui nel tempo instaurerà forte amicizia, fu cofondatore del fascio fiorentino, «protetto da Bottai, che nel ’39 lo nominò per chiara fama insegnante al liceo e poi all’Accademia», scrive ancora Moretti, «era spesso sotto gli occhi dell’OVRA, sia per la sua omosessualità, segretissima ma non abbastanza, sia per una mai troppo chiara posizione politica». Conoscerà la violenza antifascista personalmente, dopo l’8 settembre 1943. Qui l’ambiguità più profonda tra la narrazione dell’eroismo fascista e dell’antieroismo rosaiano. Il cruccio, il nodo, l’incrocio. Il bivio, del tempo. Cosa deve essere un uomo? Un eroe dell’inespresso o espressione eroica della quotidianità?
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L’ambiguità segna la vita di Rosai, specie nella maturità, fortemente, come calda cicatrice da impressione. Impressione che si fa certa e diversa nei suoi quadri, specie nella serie degli autoritratti, dove il colore è ricco e pieno, ma sempre nascosto da una patina scura, dove via, via, la sua vita va scurendosi, senza più il lusso di nulla, neanche di una sciarpa blu, che accendeva forse di speranza, perché forse nutriva qualche speranza, L’Autoritratto del 1947. Rosai ci serve per rimanere agganciati al presente degli uomini, mentre fulgida, continua e costruita, cresce la coltura batterica dell’illusione della partecipazione e del potere globale, nel nostro essere stati sradicati dalle geometrie del reale, per essere chiamati all’Ulteriore. Ma non un Oltre divino, maggiormente fedeli, dallo spirito amplificato, quasi estatico, più maturi, conoscenti e consci nella Fede, bensì un’ulteriorità fisica rispetto al corpo, inservibile, inesistente, per manifesta impossibilità di sviluppare ragionamento sopra le cose e ulteriore coltivazione di se stessi, chiamati come siamo stati alla virtualità, convocati in essa in servizio permanente. Nella virtualità si mischia la percezione che abbiamo di noi stessi, del reale, dei processi ambientali, umani, sentimentali che ci circondano. L��identità si fa vaga e vana, si raddoppia. Siamo confusi, diventiamo ottusi e danteschi botoli ringhianti, e lì, nello smarrimento degli uomini, ancora prima che delle idee, occorre ricordare chi siamo, da quale placenta eravamo avvolti, in quale vicolo siamo cresciuti, in quale campo l’odore della margherita e della cicoria accompagnava il nostro ridere cadendo, e cadendo ridere ancora. Rosai è un rasoio. Grazie Ottone.
Emanuele Ricucci
L'articolo “Da sempre avevo amore per certe creature destinate a vivere come di nascosto alla vita”. Grazie Ottone Rosai! Amato da Francis Bacon e da De Dominicis, ci riveli chi siamo proviene da Pangea.
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gregor-samsung · 3 years
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“ L'orologio della stazione batté la mezzanotte. Il lamento lontano cessò di colpo, come se aspettasse il tempo dell'orologio. «È cominciato un altro giorno», disse l'uomo, «da questo momento è un altro giorno». Restai in silenzio, le sue affermazioni non lasciavano spazio a interlocuzioni. Passò qualche minuto, mi parve che le luci delle banchine si fossero affievolite. Il respiro del mio compagno si era fatto pausato e lento, come se dormisse. Quando parlò ancora ebbi una specie di soprassalto. «Io vado a Varanasi», disse, «lei dov'è diretto?». «A Madras», dissi io. «Madras», ripeté lui, «sì sì». «Vorrei vedere il luogo in cui si dice che l'apostolo Tommaso subì il martirio, i portoghesi ci costruirono una chiesa nel Cinquecento, non so cosa ne sia restato. E poi devo andare a Goa, vado a consultare una vecchia biblioteca, è per questo che sono venuto in India». «È un pellegrinaggio?», chiese lui. Dissi di no. O meglio, sì, ma non nel senso religioso del termine. Semmai era un itinerario privato, come dire?, cercavo solo delle tracce. «Lei è cattolico, suppongo», disse il mio compagno. «Tutti gli europei sono cattolici, in qualche modo», dissi io. «O comunque cristiani, è praticamente la stessa cosa». L'uomo ripeté il mio avverbio come se lo assaporasse. Parlava un inglese molto elegante, con piccole pause e le congiunzioni leggermente strascicate ed esitanti, come si usa in certe università, me ne accorsi. «Practically... Actually», disse, «che parole curiose, le ho sentite tante volte in Inghilterra, voi europei usate spesso queste parole». Fece una pausa più lunga, ma capii che il suo discorso non era finito. «Non sono mai riuscito a stabilire se è per pessimismo o per ottimismo», riprese, «lei cosa ne pensa?». Gli chiesi se poteva spiegarsi meglio. «Oh», disse, «è difficile spiegarsi meglio. Ecco, a volte mi chiedo se è una parola che indica superbia o se invece vuol dire soltanto cinismo. E anche molta paura, forse. Lei mi capisce?». «Non so», dissi io, «non è molto facile. Ma forse la parola "praticamente" non vuol dire praticamente niente». Il mio compagno rise. Era la prima volta che rideva. «Lei è molto bravo», disse, «ha avuto ragione di me e nello stesso tempo mi ha dato ragione, praticamente». Anch'io risi, e poi dissi subito: «comunque nel mio caso è praticamente paura». “
Antonio Tabucchi, Notturno indiano, Sellerio Editore (collana La memoria n° 93), 2002³³ [1ª ed.ne 1984]; pp. 40-42.
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territoridel900 · 7 years
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Stiavelli Giacinto – La vita in Toscana nel XIX° secolo – Scrittori, pensatori... esuli
Stiavelli Giacinto – La vita in Toscana nel XIX° secolo – Scrittori, pensatori… esuli
Firenze – Casa di Dante Alighieri In Toscana si pensava, si scriveva, si faceva; e si pensava, e si scriveva, e si faceva bene. Le scienze erano più avanti che in altre parti d’Italia, e basta ricordare i nomi di Giovanni Inghirami, di Paolo Savi, di Francesco Forti, tutti toscani, per vedere se non dico giusto. Lo stesso è a dirsi delle arti belle. Cesare Benvenuti, il Bezzuoli, il Pollastrini,…
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