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#regimi democratici
gregor-samsung · 2 years
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“ I partiti sono sono un male inerente i governi liberi, ma non hanno in tutti i tempi lo stesso carattere e gli stessi istinti. Vi sono epoche in cui le nazioni sono tormentate da mali così grandi che si pensa ad un cambiamento totale della loro costituzione politica. Ve ne sono altre in cui il disagio è ancora più profondo, in modo che lo stato sociale stesso ne è compromesso. È il tempo delle grandi rivoluzioni e dei grandi partiti. A secoli di disordine ne seguono altri nei quali le società si riposano e sembra che la razza umana voglia riprender fiato, ma questa è solo apparenza, perché il tempo non sospende il suo cammino, né per i popoli, né per gli uomini; gli uni e gli altri avanzano ogni giorno verso un avvenire ignoto e noi li crediamo stazionari perché non percepiamo i loro movimenti, come coloro che camminano adagio sembrano fermi a chi corre. Vi sono dunque epoche in cui i cambiamenti che si operano nella costituzione politica e nello stato sociale dei popoli sono tanto lenti e insensibili che gli uomini credono di esser giunti allo stadio finale e lo spirito umano, credendosi fermamente assiso su basi sicure, non spinge il suo sguardo oltre un certo orizzonte. È il tempo degli intrighi e dei piccoli partiti. Io chiamo grandi partiti politici quelli che badano più ai principi che alle conseguenze, alle generalità più che ai casi particolari, alle idee più che agli uomini. Questi partiti hanno in genere lineamenti nobili, passioni più generose, convinzioni più salde e procedimenti più franchi e arditi degli altri. L'interesse particolare, che ha pur sempre la sua parte nelle passioni politiche, è in essi più abitualmente nascosto sotto il velo dell'interesse pubblico e talvolta riesce anche a celarsi alla vista di quelli stessi che agiscono sotto la sua spinta. I piccoli partiti, al contrario, sono in generale senza vera fede politica: non essendo sostenuti da grandi obiettivi, hanno un carattere egoistico che si manifesta in ogni loro azione: si entusiasmano a freddo, sono violenti nel linguaggio, timidi e incerti nell'azione; impiegano mezzi puerili come gli scopi che si propongono. Per questa ragione, quando un tempo di calma succede a una rivoluzione violenta, sembra che i grandi uomini scompaiano a un tratto e che le anime si rinchiudano in se stesse. I grandi partiti rovesciano la società, i piccoli l'agitano; gli uni la ravvivano, gli altri la depravano; i primi talvolta la salvano scuotendola fortemente, mentre i secondi la turbano sempre senza profitto. “
Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, a cura di Giorgio Candeloro, Biblioteca Universale Rizzoli (collana B.U.R. Saggi), 2005⁶ [1982]; pp. 187-188.
[ Edizione originale: De la démocratie en Amérique I-II, Librairie de Charles Gosselin, Paris; 1835, 1840 ]
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soldan56 · 6 months
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Mussolini statuettes, gadgets, keyrings, pins, mugs, etcetera are openly sold on @AmazonIT. These items are disturbing and offensive for those who suffered from the fascist and Nazi regimes, and all those who believe in democratic values, @amazon.
Statuette di Mussolini, gadget, portachiavi, spille, boccali, eccetera sono in vendita apertamente su @AmazonIT . Questi articoli sono inquietanti e offensivi per coloro che hanno sofferto i regimi fascista e nazista, e per tutti coloro che credono nei valori democratici.
@ANPI_Scuola
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pettirosso1959 · 1 month
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POST LUNGO E NOIOSO SUI LUNGHI E NOIOSI FATTI POLITICI DEL GIORNO
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TEDIOSE E PUNTIGLIOSE PREMESSE
Secondo me, l'equivoco di fondo sta nell'uso e nel significato che si attribuisce al termine "fascismo".
Dal punto di vista storico, è chiaro che la parola individua il fenomeno sociale e politico verificatosi nel famigerato ventennio in Italia.
In seguito, in Italia e all'estero, si è iniziato a usare la parola "fascismo" per indicare regimi dittatoriali basati sulla negazione delle principali ed essenziali libertà civili.
In "fascismo" quindi quale dittatura per antonomasia, direbbero i linguisti.
In certi casi, paradossalmente, chi doverosamente attua una legge o una norma, viene definito fascista da chi si vede danneggiato. Così diventano fascisti il vigile urbano che multa l'automobilista, il professore che mette un brutto voto, l'arbitro che fischia un sacrosanto rigore...
Oggi il significato che a sinistra si attribuisce è ancora un altro: si definisce fascista chi a PENSIERI, ATTI o PAROLE prova nostalgia per il ventennio e ne auspica una riproposizione in chiave moderna.
Mi sono dilungato, ma mi pareva essenziale mettere dei punti fermi alla discussione e se avete poco tempo o deficit di concentrazione, peggio per voi.
Terminate le premesse... entriamo nel merito.
I PENSIERI DELLA MELONI
Credo di poter affermare che non mi riguardino e non debbano riguardare nessun altro oltre a lei. La Costituzione riconosce come diritto fondamentale la libertà di pensiero. Le nostre leggi vietano l'apologia del fascismo, ma intesa, ovviamente, come atti di propaganda fascista. Non è quindi senso, né politico, né morale biasimare una persona per ciò che intimamente noi pensiamo che lei pensi.
GLI ATTI DELLA MELONI
Seguo poco la politica, ma, da quel che so, non mi pare che la MELONI abbia varato o proposto leggi liberticide, che mirino a minare i fondamenti democratici del nostro Paese. Se mi fosse sfuggito qualcosa, segnalatemelo. Si potrebbe parlare dello spirito atlantista e guerrafondaio (per me deprecabile), ma questo purtroppo permea anche il PD e altre componenti della cosiddetta sinistra. Dunque, agli occhi di molti - non i miei - si tratta di peccati veniali.
LE PAROLE DELLA MELONI
A quanto si dice, pare che la Meloni abbia profferito talvolta parole di simpatia verso il regime. Però ha anche sostenuto vigorosamente il contrario. Abitudine inveterata nel mondo politico. Dunque in merito a ciò ho le idee confuse.
CONCLUSIONI
Il gioco fascisti - antifascisti è per me antistorico ed è semplicemente un gioco di tifo, non meno di quello per inter e juventus. Ma almeno quest'ultimo è basato su fatti calcistici (ed extracalcistici) concreti e immortalati dalle telecamere.
Volendo parlare seriamente di politica, ci sono molti argomenti politicamente molto più seri.
Ma, vista l'inutilità della cosa, personalmente preferisco parlare d'altro ed evitare di alimentare ancora la fama di chi per scarsi meriti è finito su tutte le prime pagine e della Meloni che, per lo stesso motivo, ne ha guadagnato in popolarità.
Per me la politica italiana dovrebbe essere il dualismo tra chi combatte la corruzione e chi la alimenta, tra chi vuole la pace e chi la guerra, tra chi vuole riformare la sanità e chi la vuole distruggere, tra chi vuole la certezza della pena e chi cerca l'impunità, tra chi ama l'arte e la cultura e chi è ignorante e predica l'ignoranza.
Ma purtroppo su questi temi la gran parte dei nostri politici sono schierati dalla stessa parte: quella sbagliata.
Renato De Rosa.
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ninocom5786 · 1 year
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Anticomunismo ≠ Antifascismo
Uno è un'ideologia dei liberali, liberisti, conservatori e perseverata dai fascisti, usata come mezzo di repressione delle lotte sociali dei lavoratori, delle lavoratrici e di tutte le classi popolari; l'altro è un'opposizione non solo al fascismo e al nazismo, è pure contro coloro che hanno permesso ai fascisti di salire al potere (liberali, liberisti, democristiani, conservatori, riformisti, ndr) e i loro governi che usano gli stessi metodi di repressione antipopolare e antioperaia utilizzato dal regime fascista.
È un grave errore equiparare il comunismo con il fascismo e il nazismo. Ricordiamo il grande sacrificio dell'Armata Rossa dell'Unione Sovietica, dei partigiani comunisti italiani dei GAP e della Brigata Garibaldi, della rivoluzione popolare cubana contro il regime militare di Batista, la lotta dei vietcong contro il regime del Sud Vietnam e contro gli Stati Uniti.
Il 25 aprile è una festa ANTIFASCISTA e qui l'anticomunismo non c'entra nulla perché i comunisti sono stati i primi a guidare il movimento antifascista e i primi a denunciare la collusione dei cattolici, dei liberal democratici, dei riformisti, dei conservatori, degli aristocratici, degli industriali e dei proprietari terrieri con il partito fascista in Italia e del partito nazista in Germania. Tutto ciò che vi dicono sul 25 aprile e sulle patetiche equiparazioni tra paesi socialisti con i regimi fascisti e militari sono solo burle revisioniste.
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moonyvali · 2 years
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Ursula von der Leyen dice che se le elezioni "vanno male", loro, cioè la commissione europea, "ha gli strumenti".
Mancava l'aggiunta "faremo un'offerta che non possono rifiutare" e la metamorfosi della baronessa in don Vito era completa.
Per comprendere il funzionamento del modello "democratico" europeo (l'unico modello, ricordiamolo, in cui il parlamento eletto dai cittadini europei NON elegge l'esecutivo, cioè la Commissione) basta vedere l'ultimo esercizio di democrazia nei confronti dell'Ungheria.
L'Ungheria ha un governo di tipo clerical-conservatore. Non precisamente il mio paradigma preferito, ma gli ungheresi continuano a sostenerlo da parecchi anni con il loro voto (e con un'affluenza alle urne con oltre il 70%).
Anche la Polonia ha un governo di tipo clerical-conservatore, in effetti molto più clericale e autoritario, e con all'opposizione un altro partito di destra.
In prima battuta da Bruxelles si è ritenuto di far sapere che entrambi i governi, per quanto eletti con ampie maggioranze in libere elezioni, non rappresentano la democrazia europea e andranno sanzionati.
E già qui qualcuno che fosse rimasto aderente alla vetusta nozione del rispetto del voto popolare, anche quando sgradito, potrebbe sollevare un sopracciglio.
Ma poi, siccome la Polonia è un fervente sostenitore della Nato contro la Russia, mentre l'Ungheria cerca di mediare con la Russia, allora d'un tratto l'Ungheria, e la sola Ungheria, viene dichiarata un "regime ibrido di autocrazia elettorale" (ottima definizione, me la segno per il Draghi 2). E per questo, perché i valori democratici non sono negoziabili, vivaddio, si procederà a sospendere l'erogazione dei fondi del Recovery Fund finché Budapest non emendi i propri comportamenti.
Naturalmente non si è mosso ciglio nelle proverbiali culle del libero pensiero occidentale. La pletora di giornalisti a libro paga, di maggiordomi di Washington e di beoti che si informano al tiggì non sono da tempo più in grado di discernere alcuna forma di doppiopesismo e pretestuosità.
L'atteggiamento di fondo - ma non ammesso neanche con se stessi - di questa gente, che è maggioranza nel paese, è: "tagliamo corto, se viene incontro alle mie opinioni è giusto e chi non è d'accordo, se non si può difendere, va schiacciato."
Lo abbiamo visto nell'esibizione di ferocia sprezzante contro i dissenzienti nel periodo pandemico, così come lo vediamo nei continui doppiopesismi per cui ciò che vale per l'Ucraina non vale per il Kossovo, ciò che vale per la Russia non vale per Israele, ciò che vale per Taiwan non vale per l'Iraq, ecc. ecc.
E' gente che ha una concezione dei rapporti di ogni genere completamente ed esclusivamente legati all'idea che il più forte ha sempre ragione, un concetto che ha avuto i suoi giorni di gloria negli anni Trenta del '900, ma che nell'Occidente liberaldemocratico è travestito con un vello di morbido dirittumanismo, di buonismo sceneggiato, di fuffa sentimentalprogressista.
Viviamo nell'epoca più falsa e ipocrita della storia, il regno dei sepolcri imbiancati, della malafede e della prevaricazione sorridente divenute seconda natura. La violenza e il ricatto illimitato di cui siamo portatori sono dissimulati in modo da non consentire ai più di vederla e di reagirvi, e questo rende i regimi attuali i più insidiosi che la storia abbia conosciuto.
Andrea Zhok
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ORAZIO, SATIRA II, 6 - Il topo di campagna ed il topo di città
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ORAZIO, SATIRA II, 6 - Il topo di campagna ed il topo di città
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“Cervio, il vicino, in mezzo a questi discorsi, si diverte a raccontare le favole della nonna, in base all’argomento. Se qualcuno, infatti, loda le ricchezze di Arellio, senza sapere quanto affaticano, comincia così:
‘ C’era una volta un topo di campagna, che aveva accolto un amico, un topo di città, nella sua disadorna tana, stando pronto ed attento alle richieste dell’amico, tentando di ammorbidirne le difficili esigenze con gesti ospitali. Perché farla lunga? non lesinava né ceci messi da parte né l’avena lunga, e, portandoli con la bocca gli diede uva secca e pezzetti prelibati di lardo, mirando a vincerne l’atteggiamento schizzinoso con una cena variegata, visto che appena toccava i cibi con dente superbo, ed intanto il padrone di casa, arrampicato su un cumulo di paglia mangiava farro e loglio, lasciando all’ospite i bocconi migliori.’ “.
Per quello che ne sappiamo, il primo a far parlare gli animali in un’opera letteraria del mondo classico, fu il poeta greco Esiodo (VIII secolo a. C.) con la favoletta dell’usignolo e lo sparviero. Alla fine dell’epoca arcaica, nell’età della crisi dei regimi aristocratici, soppiantati da quelli democratici, si diffonde una raccolta di favole con animali protagonisti, attribuite ad un certo Esopo. Molte delle sue favole si ritrovano nella letteratura latina, ad opera di Fedro, del tempo di Tiberio (I secolo d.C.): dati i tempi, era pericoloso parlare di personaggi reali, ed allora si fanno parlare gli animali, chiaramente umanizzati. Insomma, per arrivare a Disney, il cammino è stato lungo. Ma sentiamo Orazio/Cervio:
” ‘ Insomma alla fine il topo cittadino dice al campagnolo: – Amico mio, che gusto ci provi, a vivere con sofferenza nel dorso di un colle franato? Non ti piacerebbe anteporre al bosco la città degli uomini? Prendi la strada, dammi retta, accompagnami, dal momento che i terrestri vivono avendo avuto in sorte una vita destinata a cadere, e non esiste né per il grande né per il piccolo scampo alcuno alla morte. Perciò, caro mio, finché si può, cerca di vivere beato nel piacere, e non dimenticare di quanto breve tempo tu sia.-“.
Il poeta qui si è fatto semiserio: l’amara riflessione sull’esistenza umana e la sua brevità, con il corollario di vivere godendosi la vita, derivante dalla filosofia edonistica, ha un sapore di parodia, da una parte, perché messa in bocca ad un sorcio, ma dall’altra è inevitabile il suo trasferimento nella condizione umana. E’ una favola, attori sono due sorci, ma il loro pensare ed agire è evidentemente e tipicamente umano. E la vena parodistica è ancora più evidente nei passi seguenti, e la parodia è dedicata alla maniera epica di narrare. Vediamo:
‘ Queste parole impressionarono il sorcio campagnolo, ed allora saltò fuori agile dalla tana: ed ecco che la coppia percorre l’itinerario proposto, desiderosi di scalare le mura della città di notte. Ed ormai la notte occupava il centro dello spazio notturno, ed entrambi mettono i piedi in una casa sontuosa, in cui un drappo tinto di rossa porpora era smagliante sopra gli eburnei triclini, e molte porzioni erano avanzate da una sontuoso cena, che giacevano da ieri in ben costruiti canestri. Dunque sistemò il sorcio campagnolo su un drappo di porpora, e alla maniera di uno schiavo succinto si dà da fare qua e là, assaggiando tutto quello che porta, e quell’altro se ne sta sdraiato ed in abbandono e si gode quella svolta di vita, e per la bontà dei manicaretti ringrazia il compiaciuto commensale. Quando di botto un fracasso di porte che si spalancano li precipita giù dai triclini, ed entrambi nel panico a correre per tutta la sala, mezzo morti e con il cuore in gola, intanto che la l’alta casa risuona di cani molossi. Allora il topo campagnolo disse: – Questa vita non fa proprio per me. Stammi bene tu, io me ne torno nella mia tana modesta e selvatica, ma bene al sicuro dai pericoli. -‘ “.
Fine del racconto di Cervio e della satira di Orazio.
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sinnosis-sc · 1 year
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Considerazioni sui Paesi con regimi autocratici, dittatoriali e non democratici.
Ci sono molti Paesi che non hanno un governo democratico da sempre o da moltissimo tempo. Questa situazione è un presupposto che rende estremamente difficile portare questi Paesi verso un governo democratico, perché le popolazioni , che hanno subito per generazioni le regole imposte dalla classe al potere, diffiderà sempre di chiunque voglia imporre nuove regole, anche se votato democraticamente. Queste popolazioni si comporteranno come una popolazione divisa in clan o tribù e accetteranno solo le loro regole. Ciò significa che ci sarà un grosso ostacolo a che si arrivi ad un governo democratico. Basta guardare cosa è accaduto in Libia o in Afganistan. I governi non democratici , per loro natura, non favoriscono l'acculturazione del popolo, ne che abbiano una informazione corretta e imparziale. Inoltre viene spesso ostacolato un diffuso miglioramento delle condizioni di vita delle persone. Questo non favorisce la crescita di una classe politica di opposizione. Per questi motivi i Paesi non democratici non vogliono che ai loro confini ci siano Paesi democratici con Stati di diritto, perché sarebbero una forte tentazione da emulare per i propri popoli vessati. Vedi la Russia e la sua politica verso i suoi vicini. Ovviamente tutti i Paesi non democratici sono sempre dalla parte di quei Paesi che hanno regimi simili al loro, anche se di colore politico diverso. Liberare un popolo da un governo autoritario non conduce automaticamente ad una democrazia, perché le persone non sono preparate culturalmente alle regole della democrazia e si comporterebbero come se fossero delle tribù. Perché maturino ci vorrebbero decenni di accompagnamento verso questo processo. Impossibile esportare la democrazia. Questo è uno degli errori più grossolani che gli Usa o gli Stati occidentali hanno commesso.
Considerations on countries with autocratic, dictatorial and non-democratic regimes.
There are many countries that have not had a democratic government for a long time or for a very long time. This situation is an assumption that makes it extremely difficult to lead these countries towards a democratic government, because the populations, which have suffered for generations the rules imposed by the ruling class, will always be wary of anyone who wants to impose new rules, even if they vote democratically. These populations will behave like a population divided into clans or tribes and will only accept their rules. This means that there will be a major obstacle to democratic government. Just look at what happened in Libya or Afghanistan. Non-democratic governments, by their nature, do not favor the acculturation of the people, nor that they have correct and impartial information. Furthermore, a widespread improvement in people's living conditions is often hindered. This does not favor the growth of an opposition political class. For these reasons, non-democratic countries do not want democratic countries with the rule of law on their borders, because they would be a strong temptation for their oppressed peoples to emulate. See Russia and its policy towards its neighbors. Obviously all non-democratic countries are always on the side of those countries that have regimes similar to theirs, even if of a different political colour. Freeing a people from an authoritarian government does not automatically lead to a democracy, because people are not culturally prepared for the rules of democracy and would behave as if they were tribes. For them to mature, it would take decades of accompaniment towards this process. Impossible to export democracy. This is one of the grossest mistakes that the US or Western states have committed.
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loveint-diario · 2 years
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“Il mio diario è come foglia che pende sopra la mia testa sul sentiero. Piego il ramoscello e scrivo su di essa la mia preghiera; poi, nel lasciarla andare, il ramo spedisce lo scarabocchio fino in cielo. Come se, invece di restare chiuso nella mia scrivania, fosse un foglio pubblico come qualsiasi cosa in natura.”
Henry David Thoreau, Ascoltare gli alberi
Come diceva Metastasio l’interno affanno di ciascuno non si legge in fronte scritto e per comprendere cosa accade a una persona, è necessario che una narrazione incontri un’attenta capacità d’ascolto, ma soprattutto bisogna che ci sia la volontà di narrare e quella di ascoltare.
Non sono una blogger, non sono nemmeno una lettrice di blog, ogni tanto ne ho seguito qualcuno ma non per troppo tempo e non avrei mai pensato che un giorno, contrariamente a ogni mia volontà, invece di restare chiuso nella mia scrivania, il mio diario si trasformasse in un foglio pubblico come qualsiasi cosa in natura.
Ho molto rispetto per la scelta di Banksy e di Elena Ferrante di non rivelare le loro identità, trovo che sia un messaggio importante da parte di questi due artisti in un momento in cui, mai come prima, sono tutti impegnati a costruire credibilità a partire dalla propria immagine, piuttosto che dalle loro opere. Non ho mai avuto la curiosità di scoprire chi siano o quali siano le teorie riguardo le loro identità e spero che riusciranno a mantenerla privata fino a quando lo vorranno, anzi mi vien da dire, beati loro che hanno una Privacy! A differenza loro, io godo già di un assoluto anonimato e non mi sarei mai aspettata di dover difendere le mie produzioni private da uno sguardo non voluto e di doverlo fare proprio rendendo pubblico, un privato che non sono in grado di difendere.
Per alcune persone uscire allo scoperto, raccontare la propria storia, rendersi visibili al mondo è stato l’unico modo per salvare la propria vita, penso a Edward Snowden, a Julian Assange o a Patrick Zaki, o a quello che ha fatto Malala Yousafzai per difendere il suo diritto allo studio e alla conoscenza; ognuno di loro ha trovato nel web la propria condanna e allo stesso tempo una via da percorrere per essere liberi e per difendere la Libertà. Le loro vite e le loro azioni sono state per me come una guida, un’indicazione sulla via da prendere; anche se io non devo difendermi da governi che si dicono democratici o da fondamentalisti religiosi, come loro sono dentro una prigione, una prigione trasparente, costruita su misura per me da chi utilizza gli stessi metodi e gli stessi strumenti di questi regimi, esercitando un abuso di potere per scopi personali. Diversamente da loro, non avrò per voi dati scottanti o sconvolgenti, tutto quello che accade a me accade nell’ombra, nel freddo dei sottili fili di rame di un cavo del modem, nell’impermanenza di una memoria volatile, nel criptico linguaggio dei sistemi informatici. Racconterò ciò che mi è accaduto, come ho cercato di attraversalo, quali mutilazioni ha subito la mia persona e la mia vita e condividerò quello che mi è stato già preso, perché se anche uno solo può accedervi senza il mio permesso, che allora vi accedano tutti, che vi acceda chiunque abbia la volontà di ascoltare, di prendersi il tempo di capire, di riflettere sul fatto che ciò che è accaduto a me può accadere, e accade, a chiunque.
Spero che arrivi a chiunque possa riconoscersi in questa storia, spero che faccia loro venire voglia di uscire dal silenzio e raccontare, spero che arrivi anche a chi ha le competenze adeguate per informare, tutti quelli come me sprovvisti di queste competenze, su come proteggersi dallo stalking online e dai reati senza prove, spero che venga loro voglia di condividere il loro sapere per il bene di tutti, anche di chi non è giornalista, attivista, perseguitato, di chi come me, è soltanto una persona comune.
Nello specifico questa persona comune: www.alessandrareale.com
Roma 19/06/2022 h 11:11am
Capitolo 3 Anonimia
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deathshallbenomore · 2 years
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giulia finisce libro > ne inizia un altro > parla di rivoluzione islamica in iran > [salti logici non pervenuti] > ci troviamo ora sul sito dell’ambasciata d’iran in italia (stavo cercando statistiche che non sto trovando ma su cose che devo assolutamente sapere se no non dormo) > finiamo sul sito del leader supremo della rivoluzione islamica (giuro si chiama così e l’url è letteralmente leader.qualcosa) > Q&A > il ruolo delle donne nel combattere l’invasione culturale; gli uomini possono indossare catene d’oro? è possibile indossare scarpe lucide? e molto altro
bonus se ti registri puoi fare la tua domanda sull’interpretazione più conforme alla giurisprudenza coranica al leader supremo. incredible amazing showstopping
@sinapsi che mi hanno portata qui: good job girlies
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corallorosso · 2 years
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Jason Hickel "Mentre Biden e gli USA svolgevano il "Vertice per la democrazia" vale la pena ricordare come gli Stati Uniti abbiano attivamente distrutto le democrazie in gran parte del Sud del mondo negli ultimi decenni, sostenendo regimi autoritari. Ecco alcuni esempi importanti: Nel 1953, gli Stati Uniti lavorarono con la Gran Bretagna per orchestrare un colpo di stato che depose Mohammed Mosaddegh, il Primo Ministro iraniano eletto, e al suo posto sostenne il regime autoritario dello Shah. Nel 1954, gli Stati Uniti organizzarono un colpo di stato per deporre Jacobo Árbenz, il leader democraticamente eletto del Guatemala, e installarono al suo posto il dittatore militare Carlos Castillo Armas. Nel 1961, gli Stati Uniti cospirarono con il Regno Unito e il Belgio per assassinare Patrice Lumumba, il primo leader democraticamente eletto della Repubblica del Congo. Hanno installato la dittatura di Mobutu al suo posto. Nel 1964, gli Stati Uniti organizzarono un colpo di stato contro João Goulart, il leader democraticamente eletto del Brasile, e lo sostituirono con una giunta militare di destra. Nel 1966, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna appoggiarono un colpo di stato contro Kwame Nkrumah, il presidente democraticamente eletto del Ghana, e installarono una giunta militare per governare al suo posto. Nel 1973, gli Stati Uniti organizzarono un colpo di stato che depose Salvadore Allende, il leader democraticamente eletto del Cile, e installò al suo posto la dittatura di destra di Augusto Pinochet. Gli Stati Uniti hanno sostenuto la dittatura di Batista a Cuba; il regime intriso di sangue di Suharto in Indonesia; lo stato dell'apartheid in Sud Africa; i Mujaheddin in Afghanistan. Hanno sostenuto il regime in Arabia Saudita per diversi decenni. È una lista lunga e devastante. (Non menziona il sostegno allo regime dell'aparthied e dell'occupazione israeliana n.d.r) Gli Stati Uniti hanno distrutto molti dei movimenti democratici più promettenti del Sud, ogni volta che hanno mostrato anche il minimo sentore di sostenere politiche socialiste o antimperialiste. Perché per gli Stati Uniti, ciò che alla fine conta sono gli interessi economici e l'egemonia statunitensi." https://threadreaderapp.com/thread/1469234821327167488.html (Saleh Zaghloul)
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gregor-samsung · 2 years
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“ Malatesta, mi dice, era uno che sapeva infiammare le platee. Prima di tutto italiano, inglese, francese, per lui andava bene uguale. E poi, c’è poco da fare, aveva talento. Cos’abbia detto, quella sera al Tivoli and Zucca’s Saloon, non si sa di preciso. Ma non c’è molto da sbagliarsi. Avrà detto che monarchie e repubbliche, e tutti i parlamenti, servi e gendarmi della borghesia, compresi quelli dei cosiddetti regimi democratici, per non dire gli eserciti e le polizie, lo sbirro e l’esattore, il soldato e il carceriere, col loro complice, il fabbricante di menzogne, prete o professore che sia, foraggiato per asservire gli spiriti e farli docili al giogo: tutto questo andava soppresso, perché nessuno poteva imporre alle masse le proprie leggi. Avrà spiegato che la scienza positiva dimostrava la totale inadeguatezza del regime parlamentare, anche se mascherato col suffragio universale, anzi, specialmente col suffragio universale. Fin lí saranno stati tutti d’accordo, come pure sulla fratellanza tra i popoli e sull’abolizione delle frontiere, che di solito seguivano a ruota. Solo che a quel punto la porta si apre e entra uno mai visto prima. Anche se se le davano di santa ragione un giorno sí e uno no, a Paterson si conoscevano tutti. Malatesta smette di parlare. L’uomo si siede e aspetta. Allora uno del Diritto all’Esistenza gli chiede di presentarsi. L’uomo non si scompone. Pronuncia il suo nome, un nome che nessuno conosce, e poi dichiara Sono una pecora nera. Chissà se voleva dire che era anche lui un reietto della società, o invece una pecora nera dell’anarchia, uno che anche gli anarchici tenevano a distanza, ipotizza il maestro. Sia come sia, Malatesta gli spiega che ci sono stati molti arresti negli ultimi tempi e quindi bisogna essere sicuri che non sia un informatore della polizia; se nessuno lo conosce e garantisce per lui, deve andarsene. A questo punto Bresci si alza. Non conosce quell’uomo, dice, ma mandarlo via significa negare esattamente quella solidarietà fra tutti gli uomini che si è proclamata fino a un minuto prima; se qualcuno viene espulso se ne va anche lui. Un brusio di approvazione attraversa la sala. Malatesta ha antenne sensibili: capisce che non è il caso di insistere, e procede, passa ai temi piú delicati. L’organizzazione nella vita sociale, dichiara, è cosí necessaria, cosí evidentemente necessaria, che si stenta a credere che qualcuno possa metterla in discussione. Anarchia non può significare che tutti, avventurieri e arrivisti compresi, facciano tutto ciò che vogliono, bensí una società organizzata in cui non ci sia autorità che sovrasti le libere volontà degli individui. Non lo lasciano neanche finire, scoppia il putiferio. Gli anti-organizzati non aspettavano altro: si alzano, agitano i pugni, inveiscono contro l’oratore. Ma Malatesta risponde per le rime, spalleggiato dai suoi che quanto ad agitare i pugni non sono secondi a nessuno. Nella confusione generale quasi nessuno presta attenzione a Pazzaglia, il famoso barbiere: in fondo alla sala ha estratto una pistola e si appresta a far fuoco. Nessuno tranne Bresci, che si stende per quanto è lungo e gli colpisce il braccio. Il colpo parte con un botto che istantaneamente ristabilisce il silenzio. Malatesta fa una smorfia ed è costretto a appoggiarsi al tavolo della presidenza, ma non cade a terra. È ferito a una gamba, di striscio. Mentre alcuni si precipitano a soccorrerlo, e altri prendono per il colletto Pazzaglia, lo disarmano e lo sbattono fuori, fa un segno con la mano: non è niente, son cose che possono capitare. “
Guido Barbujani, Soggetti smarriti. Storie di incontri e spaesamenti, Einaudi (collana Super ET Opera Viva), febbraio 2022¹; pp. 100-102.
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superfuji · 2 years
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Putin e gli altri: gli autocrati non stanno facendo anche cose buone
Può un leader politico democratico, sincero e conseguente, avere un dittatore come amico? Può elogiarlo e additarlo come esempio, seppur soltanto sostenendo che, però, ha anche fatto qualcosa di buono? Fermo restando che nessun leader autoritario intraprenderà mai una rivoluzione liberale e garantista, il problema di come porsi nei confronti dei molti leader autoritari esistenti nel mondo, a cominciare da Putin, Xi Jinping, Erdogan, si pone in maniera lampante e urgente.
A lungo, molti politici e la maggioranza degli studiosi hanno sostenuto che il libero commercio costituisce uno strumento importante per ridurre e contenere la conflittualità e persino per fare circolare idee e migliorare i rapporti.
Le grandi potenze democratiche, in special modo, gli Stati Uniti debbono, ha sostenuto l’influente studioso di Relazioni Internazionali, Joseph Nye, limitare il ricorso allo hard power, in sostanza, le armi e le minacce e pressioni politiche che le precedono, e affidarsi al soft power, non solo commercio, ma cultura in senso lato, anche quella, importantissima, pop, con ambasciatori come cantanti, attori, scrittori diventati famosi.
Non è ancora stato stilato un bilancio approfondito del grado di successo del soft power, forse non adeguatamente e coerentemente utilizzato dagli Stati Uniti e molto poco dalle democrazie europee, ma non sembra probabile che la popolarità degli Usa e, più, in generale, delle democrazie abbia fatto breccia nella grande maggioranza dei regimi autoritari, in Medio-Oriente e in Africa e neppure in alcune repubbliche ex-sovietiche. Dunque, sembrerebbe opportuno riflettere su cosa è mancato/fallito e cercare altre strade.
  Blandire i leader autoritari non produce nessuna conseguenza positiva. Bandirli impedisce in partenza qualsiasi interlocuzione e potrebbe addirittura essere controproducente consolidando il loro sostegno interno, credo che non si debba mai parlare di consenso, semmai accettazione, indifferenza, rassegnazione, di cui godono soprattutto fra coloro che da quei leader e da quel modo di governare (e reprimere e opprimere) traggono privilegi e vantaggi. Se colpiscono quei vantaggi e ridimensionano quei privilegi dei gruppi dirigenti, oligarchi et al, che circondano il leader autoritario, le sanzioni possono produrre conseguenze importanti. Molto, però, dipende dalla compattezza dei regimi democratici nell’attuare quelle sanzioni e nel mantenerle senza scappatoie per un periodo di tempo che non può essere breve.
I leader autoritari si riconoscono fra loro, non si criticano, non cercano di indebolirsi reciprocamente, ma certamente non sono in grado di fare fronte comune. Non esiste e non può essere costruita una Internazionale degli autoritarismi.
Tuttavia, opposizioni tattiche comuni sono frequenti contro, ad esempio, le condanne occidentali e non solo per la violazione dei diritti umani, della libertà di stampa, dell’autonomia della magistratura. Queste condanne sono sacrosante. Coerenza politica e civile implica che le democrazie concordino sulla difese a e anche sulla promozione dei loro principi fondativi.
Alzare la voce e ottenere qualche votazione di condanna alle Nazioni Unite e negli organismi europei non sarà mai sufficiente, ma sempre doveroso. Il resto deve essere attivamente affidato ad una interlocuzione con i leader autoritari.
Amici, no; ma interlocutori, sì, nella misura del possibile in maniera costante e continua, sempre il più trasparente possibile. Finora, non solo non è stato fatto abbastanza, ma è stato fatto in maniera sparsa, episodica, disgiunta, talvolta persino contraddittoria. Cambiare.
Gianfranco Pasquino
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abr · 2 years
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Le manipolazioni dei dati statistici hanno molti precedenti nella storia. Precedenti non molto rassicuranti. (...) Il primo censimento generale della popolazione dell’Unione Sovietica da poco istituita si svolse nel 1926. (...) Il secondo censimento, previsto per la fine del 1933, fu rimandato più volte. Al di là dei pretesti tecnici e pratici, la reale causa del differimento fu la carestia prodotta dalla collettivizzazione forzata delle campagne (...), ufficialmente negata dal regime sovietico, aveva causato un numero (...) molto alto di vittime, soprattutto in Ucraina. Alla fine il censimento si svolse nel gennaio 1937. (...) la popolazione registrata dagli statistici, malgrado una serie di espedienti del regime per favorire registrazioni multiple, fu (...) molto al di sotto delle aspettative. Ancor peggio, le regioni più colpite dalla carestia dimostravano un’inquietante diminuzione di popolazione (...). Il 25 marzo 1937 i responsabili del censimento (...) furono arrestati per sabotaggio (...). Condannati a morte il 28 settembre, furono giustiziati lo stesso giorno e seppelliti in una fossa comune. (...) Questo episodio ci dà un importante insegnamento: la statistica, lungi dall’essere una disciplina neutra, è fondamentale strumento del potere. Il potere ha bisogno di dati che suffraghino le sue scelte: questo è particolarmente vero nei regimi dittatoriali e autoritari, ma anche nei regimi teoricamente democratici i rapporti tra dati e decisioni politiche è molto sottile e le manipolazioni sono sempre in agguato. La narrazione ufficiale sul Covid, sulle sue conseguenze e sui benefici dei vaccini si è nutrita di dati statistici incompleti, non disponibili pubblicamente, manipolati o presentati in modo intellettualmente disonesto.
https://www.atlanticoquotidiano.it/quotidiano/linsostenibile-grezzitudine-dei-dati-di-speranza-e-iss-al-servizio-della-narrazione-ufficiale/
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crazy-so-na-sega · 3 years
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Caccia alle streghe: le corporazioni-stato, al servizio dell’ideologia progressista, censurano quel che sa di “destra”
Big Tech ha ceduto alle pressioni della parte politica cui si sente più affine per diventare il braccio esecutivo della censura che i governi non possono attuare direttamente: tutto quello che sa di “destra” diventa automaticamente passibile di riprovazione, assimilabile all’eversione sotto le etichette ormai inflazionate di “fascismo” e “hate speech”, mentre dominano quasi indisturbati apologeti di regimi anti-democratici e anti-occidentali, fanatismi religiosi e terzomondismi. La sgradevole sensazione è che il contenitore onnicomprensivo dell’hate speech altro non sia, a questo punto della storia, che l’ultima e più sofisticata formula di soppressione delle opinioni non omologate, un’etichetta che chi mantiene il controllo del discorso pubblico si riserva di applicare a piacimento a chiunque pensi in modo differente…
Sulla vicenda Trump-Twitter (ma anche Facebook-Instagram, Snapchat, TikTok) si delineano essenzialmente tre posizioni relativiste o giustificazioniste. La prima: non è un problema di censura ma di ordine pubblico; la seconda: si tratta di un caso eccezionale, da cui non si può estrapolare una lezione generale; la terza: non possiamo metterci a sindacare i criteri con cui un operatore privato decide di escludere o ammettere i suoi utenti e la selettività del criterio non inficia le ragioni di fondo (le ultime due sono strettamente collegate, vedremo fra poco perché). Forse ce ne sono anche altre ma queste mi sembrano le più frequenti e rilevanti.
Per quanto sembri incredibile, c’è chi continua a pensare che il fatto che Zuckerberg o Dorsey tolgano la parola al presidente in carica degli Stati Uniti (loro non eletti da nessuno, lui sì) sia un problema che riguarda solo le parti in causa. Purtroppo le cose sono un po’ più complicate di così. Chi si richiama a ragioni di ordine pubblico dopo l’assalto al Campidoglio dimentica che la guerra di Twitter (per comodità mi riferisco solo a questa piattaforma) al presidente non comincia il 6 gennaio 2021. La sospensione dell’account è solo l’atto finale di una serie di avvertimenti e procedure di infrazione che hanno costellato la maggior parte delle esternazioni presidenziali negli ultimi mesi. Quando Twitter, che – ricordiamolo – è ancora ufficialmente uno spazio pubblico di diffusione di contenuti e non un editore degli stessi, decide che esiste un “rischio di incitazione alla violenza” e per questo chiude il canale presidenziale, rinuncia implicitamente alla garanzia della sezione 230 del Communications Decency Act che la esonera da responsabilità per i contenuti di soggetti terzi.
Il criterio di Twitter diventa allora politico e va valutato come tale: se, come sostengono i difensori della censura presidenziale, la piattaforma aveva il diritto di “proteggersi” dalle conseguenze di un presunto tentativo insurrezionale orchestrato attraverso le sue pagine, sarà difficile non ritenere la piattaforma responsabile di tutti i contenuti potenzialmente nocivi che non vengano rimossi. Il richiamo all’ordine pubblico si rivela quindi una trappola, non solo per l’utenza ma anche per la stessa piattaforma, a meno di non voler ritenere che solo alcuni tipi di esternazioni siano suscettibili di alterarlo e non altri.
Il che ci porta direttamente al secondo e al terzo punto: ideologia e discrezionalità. Aleksei Navalny, in un thread semplice ma pedagogico sul caso Trump, ha fatto sapere di considerare la decisione di sospendere l’account il risultato di “emozioni e preferenze politiche personali”, aggiungendo che, fatta salva la differenza fra censura di Stato e scelte di soggetti privati, esistono “molti esempi in Russia e in Cina di società private che sono diventate le migliori alleate dell’apparato statale in materia di censura”. È significativo, al riguardo, che proprio mentre infuriava la polemica, il South China Morning Post di Hong Kong informasse dell’aggiornamento delle procedure previste dal Partito Comunista Cinese per il controllo di Internet e la “lotta alle fake news”. Sostituite fake news con hate speech e il concetto risulterà subito più chiaro.
No, quello di Trump non è un caso eccezionale, ma solo il più clamoroso di una tendenza presente da tempo nei mezzi di comunicazione tradizionali, all’interno del mondo accademico e ormai predominante a livello di opinione pubblica occidentale, di cui Silicon Valley si è fatta braccio  esecutivo: una lettura della realtà conforme ai criteri di un supposto progressismo che indica non solo quel che si può dire e quel che è conveniente tacere ma soprattutto chi può esprimersi in un certo modo e chi non è autorizzato a farlo.
Non si tratta ovviamente di permettere a terroristi o bande armate di proclamare l’insurrezione attraverso la rete – siamo perfettamente in grado di percepire la differenza fra libertà di espressione e apologia della violenza – ma delle conseguenze a cascata di proibire certi tipi di discorsi e di salvarne altri: mentre tutto quello che sa di “destra” diventa automaticamente passibile di riprovazione, assimilabile all’eversione sotto le etichette ormai inflazionate di “fascismo” e “hate speech”, dominano il discorso pubblico quasi indisturbati apologeti di regimi anti-democratici e anti-occidentali, fanatismi religiosi di Stato e terzomondismi bolivariani approvati dall’establishment.
Non vale affermare che il compito delle democrazie liberali è quello di salvaguardare gli strumenti che favoriscono la libertà d’espressione dall’interferenza dell’autocrate di turno se contemporaneamente viene permesso agli autocrati di turno di usare Twitter praticamente senza interferenze. Non è benaltrismo far notare che, mentre si ci si dimostra implacabili con le intemperanze verbali di un presidente Usa chiaramente finito dal punto di vista politico, non si reagisce di fronte a un capo di Stato nel pieno esercizio delle proprie funzioni che nega l’Olocausto o incita alla distruzione di Israele, o a una rappresentanza diplomatica di una superpotenza dittatoriale che esalta le politiche di sterilizzazione forzata della popolazione uigura. È proprio su questi aspetti, invece, che si gioca la credibilità di chi pretende di agire in difesa dei valori democratici, assumendosi senza esserne stato richiesto un incarico così gravoso e controverso come quello di limitare la libertà d’espressione a seconda delle circostanze.
Ammesso e non concesso che si possa e si debba bandire dal dibattito pubblico l’hate speech, resta il fondamentale e probabilmente irrisolvibile problema della sua definizione: chi decide cosa sia discorso d’odio e in base a quali criteri? Jack Dorsey, Mark Zuckerberg, un gruppo di moderatori che filtrano le conversazioni dall’altra parte del pianeta o i solerti compilatori delle liste di proscrizione contro l’estrema destra? In base a quale principio il contestare la regolarità di un’elezione diventa automaticamente fake news mentre il definire i votanti di Trump come bifolchi esponenti di una sottocultura da debellare è solo la libera espressione di un’opinione politica?
Questioni troppo grandi per essere lasciate all’arbitrio e all’improvvisazione di corporazioni-stato al servizio dell’ideologia dominante o in grado di condizionarla. Questioni che, in assenza di risposte convincenti, non possono che confermare la sgradevole sensazione che il contenitore onnicomprensivo dell’hate speech altro non sia, a questo punto della storia, che l’ultima e più sofisticata formula di soppressione delle opinioni non omologate, un’etichetta che chi mantiene l’iniziativa si riserva di applicare a piacimento a chiunque pensi in modo differente. Questioni, infine, che suggerirebbero di astenersi prudentemente dal promuovere o dall’approvare qualsiasi limitazione della libertà di espressione che non sia contemplata dalla legislazione vigente che, anche nelle democrazie liberali, si incarica già di isolare determinate fattispecie di reato (apologia del terrorismo, sedizione, incitazione alla rivolta,  minacce e così via secondo i rispettivi codici penali e le rispettive costituzioni) in base al salutare e fondamentale principio secondo cui tutto ciò che non è espressamente sanzionato dev’essere consentito.
In fondo quel che più sconcerta di tutta questa vicenda è la facilità con cui anche chi non esita a definirsi democratico e liberale ha accettato di delegare la ridefinizione di concetti essenziali della nostra tradizione politica a chi non ha né la capacità, né la legittimazione, e alla fine forse neppure l’interesse a farlo.
di Enzo Reale, in Media, Politica, Quotidiano, del 12 Gen 2021
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.... “Questioni, infine, che suggerirebbero di astenersi prudentemente dal promuovere o dall’approvare qualsiasi limitazione della libertà di espressione che non sia contemplata dalla legislazione vigente che, anche nelle democrazie liberali, si incarica già di isolare determinate fattispecie di reato (apologia del terrorismo, sedizione, incitazione alla rivolta,  minacce e così via secondo i rispettivi codici penali e le rispettive costituzioni) in base al salutare e fondamentale principio secondo cui tutto ciò che non è espressamente sanzionato dev’essere consentito”....
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radiosciampli-blog · 3 years
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#Condividotuttopuntivirgolepausecomprese
IL RE E’ NUDO
Se il popolo ti affida il potere, all’interno di una democrazia, tu sei responsabile di trasformare il potere che ti è stato affidato in servizio a sostegno del bene di tutti. Ogni tua parola, ogni tuo gesto ti rendono esempio e segnano il percorso su cui si muoveranno i passi di chi tu governi. L’assalto al Campidoglio di ieri è una scena tremenda. Ci racconta una deriva che sembra non risparmiare più niente e nessuno. Le parole di un capo di stato devono appoggiarsi su un senso di responsabilità infinito. Pesano anche gli articoli e le preposizioni, le virgole e le parentesi nei messaggi pubblici di chi detiene il potere.
Avere il potere non è un diritto da rivendicare né un giocattolo con cui trastullare il proprio Ego. E’ una responsabilità infinita, un impegno che ti investe di una missione per il bene di una nazione. Presumo che l’irresponsabilità dimostrata da Trump nel non prevedere le conseguenze inevitabili del suo pretendere un’insurrezione di popolo in seguito alla sua sconfitta elettorale derivi da una fragilità narcisistica che da sempre connota il suo muoversi nella vita. E che lui ha trasportato anche nel suo muoversi nella politica. Ora il re è nudo: quello che è successo ieri è un attentato al principio stesso di democrazia, una ferita enorme su cui il mondo intero, non solo gli Stati Uniti, devono riflettere. Ma ciò che è successo ieri rappresenta forse il più grande autogol dell’uomo Trump, un uomo che pensava di far vedere al mondo la sua potenza. Se però concepisci il potere al pari di un bullo, prima o poi, quella potenza diventa altro e ti fa cadere dal tuo piedistallo.
Più in generale, a me resta una domanda: come è possibile che persone così minime ottengano, in regimi democratici, poteri così massimi?
Le parole costruiscono il mondo.
Anche se non hanno materia, danno materia.
Sono ponti. Ci cammini sopra e vai dall’’altra parte.
Ti portano là dove si trova chi le ascolta.
Trasformano te e lui in “noi”.
Possono però anche distruggere.
Allora sono pugnali che infilzano il cuore.
E tutto sanguina.
Noi siamo le parole che ci sono state dette quando ancora non sapevamo dirle a noi stessi.
Noi siamo anche le parole che impariamo a dire a noi stessi.
Soprattutto siamo le parole che scegliamo di dire agli altri.
Sono Le parole sono la più grande responsabilità che ci è assegnata.
Sono ciò che ci rende umani.
(Tratto da “La vita si impara” di A.Pellai, De Agostini ed.)
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pangeanews · 4 years
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“L’affascinante abbandono a una fantasia priva di ogni credenza”. Sia lode ad Alberto Savinio, ma non fatelo parlare di politica, è di una ingenuità surreale
Mentre scrivo ho l’impressione che un gigantesco Alberto Savinio, col volto di maschera fenicia o il becco adunco di papero, possa spuntare da un momento all’altro dalla mia finestra, così come si sporgono inquietanti le figure dei suoi dipinti. Perché sento di compiere una profanazione in quel che sto per fare; sto per mettermi a sbraitare contro di lui, ad accusarlo, a fargli una colpa di questo e di quello. E mi dispiace tanto.
Savinio è tra i migliori scrittori del Novecento, Tragedia dell’infanzia è tra i libri che prediligo. Meglio di chiunque altro ha incarnato lo spirito dell’artista a 360 gradi, l’artista che sperimenta sempre, con qualsiasi mezzo. Ma c’è una parte di Savinio che mi ha deluso, ed è il Savinio “politico”, che vorrei tener separato da tutto il resto.
*
La nota stonata mi è capitata fra le mani in una libreria di Ferrara e si intitola Sorte dell’Europa, un piccolo Adelphi che raccoglie scritti di carattere politico datati 1944. Questi brani hanno suscitato in me una serie di sensazioni contrapposte e fin da subito ho provato a giustificarle con quella data terribile: 1944. Non deve essere semplice scrivere con camionette stipate di nazisti che corrono per le strade del tuo paese. Eppure è come se da Savinio mi aspettassi qualcosa di più, quel passettino in avanti che me lo ha fatto amare tra i tanti.
All’indomani della conclusione del conflitto, Savinio di interroga sul futuro dell’Europa, e mi pare fin troppo naturale. Quel che più lo preoccupa è la mancanza di pensiero e di giudizio: «Mi fa paura l’inerzia dello strumento pensante e giudicante, e il numero spaventosamente grande degli uomini che non pensano né giudicano con la propria testa».
*
E come dargli torto? La massa travolge ed è in balia del proprio umore, oltre che delle influenze della propaganda, nei regimi totalitari come in quelli democratici. E ha ragione quando afferma che il “pensiero dogmatico”, il credo unico, è la rovina del nostro popolo. Quel che Savinio auspica è che gli italiani vengano educati a pensare con le proprie teste. Ma dietro questa presunta educazione si nascondono una montagna di problemi. La formazione di un popolo è un tassello troppo ghiotto per lasciarlo nelle mani del caso, e oggi, nel 2020, sempre più si sente denunciare la presenza di una intellighenzia troppo schierata, al punto da estromettere alcuni pensatori non assimilabili, autori che non concedono libere interpretazioni. Un altro punto in cui Savinio mi appare fragile, è quando afferma che si dovrebbe «addestrare l’uomo a determinare da sé quello che è bene e quello che è male, quello che è lecito e quello che è illecito, quello che è bello e quello che è brutto». Ma secondo quale metro, secondo quale principio gli uomini dovrebbero basare questi giudizi? Come può l’uomo bastare a sé stesso? A leggere Savinio si direbbe che egli abbia una limitatissima cognizione della religione cristiana, accusata di oscurantismo come fossimo in un talkshow o in un dibattito fra liceali. Si ha l’impressione che questo “uomo nuovo” di Savinio debba basare le proprie idee su ideali di fratellanza e comunione, senza però accettare che tali principi derivino proprio dal cristianesimo. È sciocco oggi come allora negare le radici giudaico-cristiane dell’Europa; è controproducente, è una perdita di tempo. Savinio si serve talvolta della stessa retorica contro cui si scaglia con tanta violenza, quando rimprovera ai cattolici un certo egoismo o quando riduce il cattolicesimo ad un “monopensiero”.
*
È logico che a Savinio certi concetti come “nazione” stiano stretti, lui che non ha una patria vera e propria e ha sperimentato i migliori frutti di una Europa aperta come lo era nei primi anni del Novecento. Savinio vorrebbe che le nazioni recuperassero quello spirito espansivo che hanno perduto, ma davvero le nazioni hanno avuto in passato un siffatto spirito? La natura fragile di entità come la Società delle Nazioni non si è persa nel tempo, e se ancora oggi l’Unione Europea scricchiola lo dobbiamo al fatto che questa presunta “idea” che tanto promuove Savinio è fumosa, astratta, indefinibile. Mi è difficile credere che una simile unione sarà salda e autentica, se l’idea che la presuppone non riuscirà prima a valicare i soli interessi economici, o fintanto che ci si affiderà ad un’idea che non trascende l’uomo.
*
Alla tanto criticata mentalità tolemaica, Savinio propone sé stesso. Perché dietro alla tanto invocata Idea non c’è altri che Savinio. Forse è questo il suo più grave difetto: ergersi a metro di misura per tutti i popoli europei, farsi modello per il cittadino europeo. Sperare che un giorno l’Europa possa essere popolata da tanti Alberto Savinio è un’idea assurda e balorda. Un’umanità che ama «l’amara dolcedine del romantico sentire, le sue deludenti illusioni, le seduzioni del dubbio, l’affascinante abbandono a una fantasia priva di ogni credenza, di ogni razionalismo di ogni attesa di compenso, di ogni finalità». Ma un popolo del genere che futuro può avere? Siamo di fronte all’utopia più spicciola. Savinio vorrebbe generare una nuova civiltà, «prepararla per mezzo di un complesso di cognizioni spiritualmente coordinate». Se escludiamo le radici giudaico-cristiane, quali dovrebbero essere queste cognizioni spirituali? Secondo Savinio troveremo tali cognizioni nel liberalismo, e ne La sorte dell’Europa troviamo un elogio sperticato, quasi fanatico del liberalismo: «liberalismo è un cristianesimo laico e più mansueto, meno acceso, meno patetico, meno spasimante, ma più fattivo pure, più utile e, sostanzialmente, più umano, più terrestre – più civile». Una «fraternità pulita». Va bene, è il 1944, ma viene da chiedersi quale cecità avesse colpito Savinio, incapace di scorgere i grossi limiti che il liberalismo aveva già mostrato sul finire dell’Ottocento, primo fra tutti l’allargarsi del mercato fino ad occupare gli spazi più inviolabili della società.
*
Savinio si perde poi in altre banalità, come «l’autorità odia l’intelligenza». Nel libro ci sono però anche alcune intuizioni interessanti, come la seguente: «se una causa ispirata da un poeta o da un artista dà cattivi effetti, non è molte volte perché quella causa è cattiva in sé, ma perché è stata interpretata da chi non è né poeta né artista». Questa affermazione, scritta nel ’44, oggi nel 2020 andrebbe impressa a fuoco sulla carne di molti intellettuali che ancora sprecano tempo e inchiostro nel tentativo di rintracciare precursori o ispiratori di questa o quella dittatura. Una seconda affermazione da salvare e su cui riflettere è: «Il verismo è il peggior nemico della letteratura. […] la letteratura non guarda al presente con l’occhio del presente. La letteratura conosce quello che il presente ignora. La letteratura dice quello che il presente tace. […] La letteratura è la Speranza Scritta. Perché tanta dignità, perché tanta altezza nella letteratura, se la letteratura non avesse il fine di sollevare l’uomo dalla sua miseria, ossia dal suo presente?».
Questo dimostra che quando Savinio parla di letteratura non è solo interessante e originale, ma è capace davvero di suscitare qualcosa nel lettore, di stimolare una riflessione, mentre il Savinio “politico” è banale, noioso, e per certe ingenuità perfino imbarazzante.
Valerio Ragazzini
*In copertina: Alberto Savinio, “La battaglia dei centauri”, 1930, particolare
L'articolo “L’affascinante abbandono a una fantasia priva di ogni credenza”. Sia lode ad Alberto Savinio, ma non fatelo parlare di politica, è di una ingenuità surreale proviene da Pangea.
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