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#populismi
gregor-samsung · 8 months
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“ L’istituzione del Registro Nazionale degli Intellettuali e dei Radical Chic fu la prima notizia per l’intera mattina, ma non entrò neppure in #trendtopic. Il fatto che il provvedimento fosse stato presentato in difesa e non contro le suddette minoranze ne ridusse sensibilmente la viralità. Per spiegare il senso politico della legge, fu diffuso un documento in cui riassumeva per punti le ragioni in base alle quali gli intellettuali costituiscono, sempre, un pericolo per la democrazia tale da minarne l’esercizio. La lettera, firmata dal ministro in persona e redatta in forma di decalogo, era intitolata: “La questione intellettuale. La verità è semplice, l’errore complicato”. Diceva: La complessità impedisce la verità. La complessità umilia il popolo. La complessità frena l’azione. La complessità è noiosa, quindi inutile. La complessità è superba, quindi odiosa. La complessità è confusa, quindi dannosa. La complessità è elitaria, ergo antidemocratica La semplicità è popolare, ergo democratica. La complessità è un’arma delle élite per ingannare il popolo. Bisogna semplificare quello che è complicato, non bisogna complicare quello che è semplice. Olivia ripose il giornale sul sedile di fianco. Era l’unica a essersi portata un quotidiano in tutto lo scompartimento, ma la verità era che anche lei ormai riusciva a leggere i giornali soltanto in treno. Qualche posto più in là una signora chiacchierava al telefono seduta di fronte a un uomo che tentava di leggere. Fuori dal finestrino passava l’Italia – case sparse, prati e colline verdi, improvvise accensioni di cespugli colorati – e sembrava che niente fosse accaduto, e che il Paese fosse quello di sempre. Era impossibile dire se fosse stata la cultura a plasmare quel paesaggio o quel paesaggio a modellare la cultura. “
Giacomo Papi, Il censimento dei radical chic, Feltrinelli (collana I Narratori), 2019¹; pp. 40-41.
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Sosiaali- ja terveysministeriön tarinoita:
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suomalaistavihaa · 3 months
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Mira Rantala valehtelee minusta tappajan
Mira Rantala on kahdesti tehnyt minusta huoli-ilmoituksen, jälkimmäisellä kerralla väitti minun tappaneen jonkun. Sosiaalitoimi järkyttyi, ja pyysi heti tekemään rikosilmoituksen Rantalasta Rantala on 24 kertaa solvannut minua ”pikkutyttöjen ahdistelijaksi” kuvaillen esim. ”Päiväkotien liepeillä” ja ”lapsenkasvoisten”. Tein rikosilmoituksen. Hän myös huutaa Tii Starckin seuraajille ”Viitala on…
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et3rnauta · 2 years
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Ok, va bene tutto, per carità, ma in quei 16 minuti e 40 secondi con cui Luigi Di Maio si è dimesso dal Movimento 5 Stelle (ma non da parlamentare) ha inanellato una quantità tale di giravolte, capriole, tripli carpiati ideologici da rendere quel discorso – per chi lo conosce bene – semplicemente lunare.
Ha rivendicato “l’appartenenza alla famiglia euro-atlantica”, lui che considerava la Nato superata e voleva uscire dall’Euro.
Ha invocato “un’Europa più solidale”, lui che ha definito le ong che salvano la vita ai migranti “taxi del mare”.
Ha attaccato “i partiti che strizzavano l’occhio ai no-va*”, lui che nel 2018 è andato al governo promettendo di abolire l’obbligo vaccinale.
Ha criticato “chi osannava la democrazia e la Costituzione e poi era fan di Putin”, lui che, da ministro degli Esteri, ha assegnato la bellezza di 22 onorificenze a esponenti del regime di Putin, come riporta Radicali.it
Ha stroncato “chi propone soluzioni semplici a problemi complessi”, lui che è salito su un terrazzo ad urlare di aver abolito la povertà.
Ha citato il Presidente Sergio Mattarella, quello per cui aveva chiesto l’impeachment.
In piena trance casinian-mastelliana, è arrivato persino a giurare che, nel suo nuovo progetto, “non ci sarà spazio per odio, sovranismi, populismi ed estremismi”. Lui che, insieme a Dibba, da vicepremier è andato a baciare la pantofola dei gilet gialli.
“È finita l’epoca dell’ipocrisia” ha infine tuonato, fondando un gruppo parlamentare, lui che minacciava multe da 150.000 euro per chi “tradiva” il Movimento.
Ognuno è libero di cambiare idea, e in certi casi è anche apprezzabile, ma esiste un tempo, un percorso, una coscienza dei propri errori, un’ammissione di responsabilità.
Altrimenti corri il rischio di sembrare tu, l’ipocrita.
L. Tosa
Concordo dalla prima all'ultima parola.
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itisanage · 10 months
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Populismi, populisti, populace... insomma le declinazione di un termine che l’occidente, dopo le ubriacature rivoluzionarie dei secoli scorsi, cerca di buttare nella spazzatura della memoria, dei cattivi ricordi. Ma il concetto, degno di un qualsiasi Misirizzi, rispunta, più o meno pimpante, malconcio e, al solito, sgarbato e malfidente. Il libro che oggi recensisco su “Avvenire”, di Loris Zanatta, fa chiarezza. Ma credo con qualche malinteso.
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Ei populismille
Puolueemme ei tule ryhtymään populistiseksi. Populismi tuhoaa perinteisiä, hyväksi todettuja rakenteita, joiden avulla olemme yhteiskuntamme rakentaneet. Populismi edistää vallankumouksellista ajattelua ja tästä hyvä esimerkki on Donald Trump, jonka toiminta vaaransi demokratian Yhdysvalloissa. Historiasta näemme, että populismi politiikassa ei ole johtanut mihinkään hyvään, päinvastoin. Perinteet on turvattava, eikä populismille ole syytä antaa jalansijaa.
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anarkismiliitto · 1 year
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Populismi
Puolueestamme tulee populistinen! Aatteemme ja lopulliset tavoitteemme eivät muutu, mutta tavat jolla pääsemme toteuttamaan ideaalia yhteiskuntaamme muuttuu hieman tämän uudistuksen mukana. Uskomme, että meitä sorretaan nykyisessä poliittisessa systeemissä sillä kukaan ei ota meitä tosissaan. Tämän on muututtava! Tulemme todistamaan että yhteiskuntaa pyörittää rikas ja ahde eliitti, joka vaikeuttaa tasa-arvon ja rauhan toteutumista. Vallan valehtelevat omista toimistaan valta-asemissa ja nykyaikainen vaalitapa on epäoikeudenmukainen. Ihmiset, joilla on oikeat aatteet eivät ikinä tule pääsemään toteuttamaan ideoitaan sillä vallassa olevat pimittävät heidän näkyvyytensä valtamedian avulla. Tällöin anarkismin ihanteellinen yhteiskunta ei nouse ihmisten huomioon. Näiden asioiden pitää muuttua!
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curiositasmundi · 22 hours
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La macchina da guerra della democrazia ipermaggioritaria lavora a pieno regime. Perché questa ossessione a costruire una fortezza? Partiamo dalla leadership che mette in moto la macchina, ovvero il demagogo (maschio o femmina poco importa). La democrazia elettorale è naturalmente esposta alla possibilità che emergano demagoghi e governi ipermaggioritari. La logica della demagogia è abbastanza semplice e prevedibile: il demagogo che vince non può permettersi di perdere.
Una volta eletto, se riesce (direttamente e con una colazione) a guidare una maggioranza di governo, si trova nella necessità di integrare la retorica con un capiente potere decisionale. Non perché il suo governo debba dare vita a chissà quale nuovo Paese o regime, ma perché ha bisogno di rimanere in sella il più a lungo possibile. Un demagogo non può perdere. Se perde, perde per sempre. Non ha una seconda possibilità, anche se la logica elettorale gliela concede. Un demagogo bastonato alle urne è un perdente senza alternativa. Deve quindi rimanere al governo il più a lungo possibile. Per questo fa della sua maggioranza una fortezza. Ecco perché mina il pluralismo e la cosiddetta “società aperta”.
Non sono gli oratori a definire il passaggio alla demagogia e non sono le elezioni a favorire questo processo di ipermaggioritarismo. Altre sono le variabili da considerare come la struttura istituzionale e la legge elettorale. Come ci insegnano gli studiosi di populismo, ai fini della tutela della democrazia liberale, il multipartitismo è più sicuro di un sistema bipartitico, un sistema elettorale proporzionale più sicuro di un sistema maggioritario, una democrazia parlamentare più sicura di una democrazia presidenziale (i Paesi dell’America Latina lo sanno bene).
Queste valvole di sicurezza sono prudenti perché la libera competizione elettorale è un ossigeno che alimenta tutti, buoni e cattivi. Se un demagogo e il suo partito riescono a conquistare il potere, hanno come primo obiettivo quello di blindarlo. Le strategie sono ben note. Occupano lo Stato e usano le istituzioni come se gli appartenessero, in modo da distribuire favori e cariche e rafforzare così il loro elettorato nel tempo. Dopo aver raggiunto il potere attraverso la mobilitazione, una leadership demagogica può consolidarlo e idealmente mantenerlo a lungo attraverso l’uso delle istituzione e il clientelismo di partito.
Un Machiavelli democratico direbbe che, in questo caso, non è il popolo a essere sovrano “sulla legge”, ma è il leader, che conquista il consenso del popolo ai suoi piani. Kurt Weyland, uno dei maggiori studiosi di populismi, ha definito questa strategia “legalismo discriminatorio”: «tutto per i miei amici; per i miei nemici, la legge».
Questo è il film che si gira oggi in Italia. Per l’occupazione del potere e l’uso fazioso delle istituzioni nell’interesse della maggioranza – cioè per durare nel tempo – un mezzo molto praticato è quello di addomesticare coloro che operano nella sfera dell’opinione pubblica: giornalisti, giornali e media. La pena del carcere minacciata ai giornalisti colpevoli di diffamazione ha una funzione di deterrenza. Tutti zitti e buoni.
Le norme sulla (im)par condicio cucinate in questi giorni, in vista della campagna elettorale per il Parlamento europeo, sono un caso esemplare di ipermaggioritarismo. Le opposizioni avranno un’esposizione impari rispetto ai partiti di governo, che occuperanno spazi e tempi sia come partiti concorrenti che come ministri e capi di governo. I forti si avvantaggiano. Questa è la regola dell’impermaggioritarismo.
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crossroad1960 · 4 months
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La fine dei populismi e della demagogia.
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roma-sera-giornale · 6 months
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Argentina, tra due populismi
Ciò che più sorprende del primo turno presidenziale in Argentina non è solo il fallimento, ancora una volta, dei sondaggi, ma anche quanto il candidato ufficiale sia stato vicino a proclamarsi vincitore direttamente al primo turno.  Sergio Massa non solo ha aggiunto 3,2 milioni di voti in più (pari a sei punti percentuali) alle percentuali ottenute nelle primarie di agosto, in cui era arrivato…
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gaiaitaliacom · 8 months
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spazioliberoblog · 11 months
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GIORGIA E I SUOI FRATELLI (II): GENESI E FORTUNE DEI NUOVI POPULISMI
di NICOLA R. PORRO ♦ A gonfiare le vele della nuova destra europea concorrono due dinamiche interagenti. Da una parte il declino dei vecchi partiti di massa e dell’influenza esercitata dalle loro ideologie. Dall’altro, l’affermazione di partiti fai-da-te e di una politica bricolage, capace di attingere ai più disparati repertori ideologici e basata quasi per intero su strategie di seduzione…
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suomalaistavihaa · 8 months
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@piisamit - vaaraton teille muille
Julkaisen tässä jutussa kuvankaappauksia. Nopeiten ymmärtää blogikirjoituksen tarkoituksen, kun lukee vihreällä yliviivatut lauseet. Kyseinen tili on @rantalanmira2 :n ohella X-twitterin ainoa (miinus trollitilit) joka tosissaan häiritsee, vainoaa ja hankaloittaa elämääni. Se on luotu minun demonisoimistani varten. Kummankin sisältö on vain ja ainoastaan minun mielipiteitäni ja tekemisiäni…
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Il discorso del Papa a Budapest: "Si lavori a vie sicure e legali per i migranti"
Il discorso del Papa a Budapest: “Si lavori a vie sicure e legali per i migranti” Viaggio apostolico L’intervento integrale del Pontefice alle autorità: “L’Europa non sia preda di populismi autoreferenziali, in un frangente in cui tornano a ruggire i nazionalismi”. Bergoglio cita i padri fondatori dell’Ue, così come Santo Stefano, primo re ungherese source
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salvo-love · 1 year
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Sulla stampa italiana, anche in quotidiani non vicini alla destra, c’è chi si differenzia da questa impostazione. Luca Ricolfi, lo scorso 9 settembre, ha scritto un editoriale sul Messaggero che appare quasi come una risposta preventiva al sondaggio di Diamanti e al fuoco di fila degli editorialisti di Repubblica sui timori infondati degli italiani in materia di immigrazione. Titolo: “Quel diritto alla paura ignorato dalla sinistra”. Il sociologo torinese parla di “perdurante atteggiamento paternalistico” da parte di quegli intellettuali secondo i quali il pubblico sopravvaluta i pericoli sempre e comunque. “Come se avere paura fosse irrazionale. Come se l’insicurezza fosse una mera percezione, che un racconto obiettivo potrebbe incaricarsi di sopprimere. Come se i dati fossero tutti inequivocabilmente rassicuranti. Un illuminismo ingenuo sembra essersi impadronito, da almeno due decenni, della cultura di sinistra, cui non riesce proprio di prendere sul serio le paure della gente e la domanda di sicurezza che ne deriva. Eppure, pensare che i cittadini starebbero più tranquilli se solo conoscessero i dati è un non sequitur. Sarebbe come credere che, se sapessero che i morti sul lavoro sono in diminuzione, i sindacati non si preoccuperebbero più della nocività in fabbrica”. Conclude Ricolfi: “Per la cultura progressista, la paura non è semplicemente infondata, la paura è una colpa. Ma non è così, almeno dai tempi di Hobbes. La paura è il fondamento stesso del contratto sociale e dello Stato moderno, che nasce come antidoto alla sopraffazione, come superamento dello stato di natura in cui ogni uomo è ‘lupo’ verso ogni altro uomo (homo homini lupus). Quando la paura riemerge, è perché la gente sente che lo Stato non è più in grado di far rispettare il contratto, ovvero di garantire ai cittadini il più ‘basico’ dei beni, la sicurezza”. Di fronte a questo sentimento, “l’unica cosa che può attenuare la paura, e disinnescare la protesta, non è andare dai cittadini per convincerli che si stanno sbagliano, ma riconoscere il loro diritto di avere paura, e dimostrare, con i fatti, che lo Stato sta facendo tutto quanto è in suo potere per spegnerla”.
Ricolfi sul tema è tornato anche nel suo ultimo libro, intitolato “Sinistra e popolo”, pubblicato da Longanesi. Un’analisi approfondita del conflitto politico nell’era dei populismi, nel corso della quale l’editorialista del Messaggero argomenta che gli elementi di base del “calcolo” della politica sono cambiati in ragione di tre macro fattori: la deindustrializzazione delle economie occidentali, l’apertura delle frontiere (a merci, capitali e soprattutto persone), la stagnazione economica. Fenomeni che l’opinione pubblica a volte mostra di avvertire in maniera piuttosto lucida. Ricolfi, dati alla mano, fa l’esempio della paura del terrorismo. Irrazionale? Esagerata? Colpa dei media? Tutt’altro, se è vero che “ben 2/3 della variabilità della paura per il terrorismo è spiegata da eventi e fatti reali. Questo è un risultato davvero sorprendente – scrive il sociologo – perché è piuttosto raro che un modello statistico che cerca di spiegare un atteggiamento, sia pure relativo a popolazioni e non a individui, riesca a rendere conto anche solo della metà della sua variabilità”. La sinistra però, di fronte a tante ansie crescenti, e neppure così infondate, si rifiuta di offrire “protezione”. Anzi, “con i suoi politici, i suoi giornalisti, i suoi intellettuali più o meno organici, la sinistra impegna le sue migliori energie comunicative per dissolvere i problemi che la gente normale percepisce come tali”. È l’atteggiamento del “negazionismo”, che si affianca alla derisione (“derisoria è la sinistra quando derubrica a mere ‘percezioni’, irrazionali e non basate su una conoscenza scientifica della realtà, le preoccupazioni della gente comune sulla presenza dei migranti”), al disprezzo, alla supponenza e al nichilismo. Repubblica, insomma, è avvertita. Peraltro da un libro come quello di Ricolfi che perfino Corrado Augias, firma storica della stessa Repubblica, ha definito come “l’analisi più accurata sul tema delle difficoltà della sinistra”.“Ci servono immigrati” così a caratteri cubitali si leggeva ieri sulla prima pagina di Repubblica, il rotocalco turbomondialista spiega che questa è la richiesta delle grandi imprese del capitale, che naturalmente non vedono l’ora di accogliere, tra virgolette, a braccia aperte nuovi arrivati, braccia a basso costo da mettere a lavorare per il nudo interesse del profitto. E infatti Repubblica, dopo aver esposto questo titolo a caratteri cubitali, spiega nel seguito del titolo “dall’industria all’agricoltura, l’appello degli imprenditori: vogliamo più stranieri. Il caso del Veneto. Il governo prepara l’ingresso dall’estero di 100 mila persone, aziende e famiglie ne chiedono il doppio“.
Insomma, abbiamo ancora una volta la voce del padrone e dei suoi ideologi. Ci servono immigrati come ci servono braccia a basso costo, braccia a basso costo da sfruttare nel lavoro e con le quali abbassare in generale i costi della forza lavoro, magari fomentando ad arte conflitti orizzontali tra lavoratori; conflitti buoni a evitare che il conflitto si ricomponga nella forma verticale del lavoro contro il capitale, del basso contro l’alto. Del resto, non è un mistero che se arriva chi fa il medesimo a 2 euro, anziché 10, anche i lavoratori dovranno abbassare i costi della loro forza lavoro per essere competitivi. Ecco perché la competitività è una categoria che andrebbe ampiamente criticata. Il capolavoro del potere, come sempre, sta nel far sì che anche chi deve opporsi all’ordine dominante lo accetti con entusiasmo. Bisogna uscire “dalla logica buonista e terzomondista” per cui “abbiamo il dovere di accogliere tutti quelli che stanno peggio di noi”. Insomma, “non possiamo accoglierli tutti noi“. Dobbiamo liberarci “da una sorta di senso di colpa” perché “non abbiamo il dovere morale di accogliere in Italia tutte le persone che stanno peggio”. Certo, “se qualcuno rischia di affogare in mare, è ovvio che noi abbiamo il dovere di salvarlo” ma “non abbiamo il dovere morale di accoglierli”. Piuttosto, “di aiutarli a casa loro”. E “chi viene qui deve fare i conti con la nostra identità“.
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Borseggio in diretta nella metro Milanese
Borseggio in diretta nella metro milanese può quasi sembrare il titolo di un film, invece è una triste realtà e un triste risvolto di quanto si sta vivendo da un po' di tempo a questa parte e molti video, soprattutto sui social, ci stanno restituendo in maniera molto anche violenta.  La discussione si infiamma sempre di più, anche perché sono entrati in questa discussione anche alcuni politici che hanno preso posizioni molto contrastanti fra di loro. Soprattutto una consigliera del PD milanese che, apertamente, ha detto che riprendere queste persone va contro la privacy; anche se in effetti queste persone sono riprese nell'atto di commettere un reato. Borseggio in diretta: dichiarazioni  Monica Romano, consigliera comunale Pd Milano"La smettano, sia quelli che realizzano i video, sia chi gestisce i canali Instagram che li rendono virali, di spacciare la loro violenza per senso civico. Non è così, trasformando le persone in bersagli, che si ottiene giustizia" ... "Quest’abitudine di filmare persone sorprese a rubare sui mezzi Atm e di diffondere i video su pagine Instagram con centinaia di migliaia di follower è violenza, ed è molto preoccupante" Al di là dei facili populismi, di tutto quanto si può dire circa la comunicazione sui social che prende dei risvolti molto particolari e mal digeribili dei fatti che si vogliono raccontare, resta comunque il problema che in un mezzo di trasporto così utilizzato, così frequentato, la presenza di queste bande che compiono delle vere e proprie scorribande ogni giorno lascia, comunque, l'amaro in bocca perché l'azione di contrasto sembra sempre molto inconsistente rispetto alle azioni di microcriminalità poste in essere. Intervista a cura di Serena Bonvisio Read the full article
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