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#l'albero azzurro
puppetdaily · 2 months
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Dodò from L'albero Azzurro
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Programmi e cartoni dell'infanzia
Disegno doodle fatto in macchina
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entelechia · 5 months
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Futuro anteriore
Anche la grammatica sa Che il tempo è un'illusione Fuori dai meccanismi della mente Allora a quel punto io posso correre Giusto? Voglio capirla, questa direzione. Lancette in avanti Quindi (s)corro verso domani Sorpasso i Natali Quella volta in cui ho bruciato il pranzo E quella litigata all'angolo della strada Passo anche la macchina nuova La classe che prepara la recita di fine anno Oltrepasso il cancello della casa nel verde Le passeggiate verso il corso d'acqua che ami fare Passo i viaggi Che belle le rughe del sorriso Vado oltre quello specchio Oltre le mani strette Che bello sei sulla sedia Ridi ancora nello stesso modo Ma non mi fermo, passo anche questo A quel punto è passato molto tempo pare Attraverso gli alberi che avevamo piantato, Sono affollati ma io vado avanti Stiamo piangendo, qualcuno ci ha lasciato Ti stringo più forte Ma sono ancora più in là, Vado avanti, Sto tenendo in braccio il bambino In tasca ci sono pietre raccolte al mare Ancora avanti Poti le piante perché stanno raggiungendo la finestra Sembra una mano tesa a dare aiuto Mi commuovo Corro oltre Ridi mentre mangi una fragola Non ricordavo più che sapore avessero nemmeno io Erano così quando eravamo giovani? Ma non posso fermarmi C'è altro, c'è altro! Cammino nel bosco Crescono funghi dappertutto Crescono e io se ne rompo uno chiedo scusa Mi conoscono bene loro e adesso è davvero chiaro Vado avanti, ancora Una collina Guardiamo fotografie invecchiate Ti chiedo, perché fa male anche se non è reale? Tra le lacrime continuo Corro anche se non so più correre Non sto correndo Non sto nemmeno camminando Sto dormendo? Ci sono dei sussurri E la stanza è così azzurra No, non è la stanza. È il cielo dalla finestra. No, nemmeno, è tutto azzurro. La vita è azzurra. Adesso sono quasi arrivata alla fine, è ovvio. Mi guardo indietro e questa linea del tempo è immensamente lunga. Sembra esserci un passato, ma non è passato, lo vedo accadere lì, mentre accade il resto. Io sento che è quasi finita, Ma qualcuno mi dice 'non può finire, non ha inizio' Non è qualcuno, sono io. Io senza me stessa? O davvero me stessa? A questo punto io credo che tutto sia solo piegato dalla luce Che vedo una lontananza che non è reale Perché l'azzurro è tutto L'azzurro non accenna a scolorire. Così tanto che, anche se sogno, forse, posso procedere. Si posso, c'è altro, ancora.
Apro una porta... Forse non è una porta Vado avanti E sono bambina, ti vedo cullarmi Ti conosco così bene, abbiamo passato una vita assieme Sei mia madre... Lo sei stata. Oppure devi esserlo, ma io sono sempre stata tua figlia. L'azzurro sbiadisce Io non so più cosa sia rimasto di me, se 'chi sono' è dietro la porta che ho aperto, ad aspettarmi E se sia poi così importante saperlo. Ora sono il nocciolo essenziale. Il seme, prima che cresca l'albero. Forse questo è tutto quello che devo sapere. Si, mi ritrovo al al punto di partenza E mi accorgo che per distante che mi sia sembrato andare Per quanto abbia creduto di correre, Non mi sono mai mossa davvero da qui.
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stranotizie · 8 months
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Ha realizzato anche fiction per ragazzi e romanzi per giovanissimi. Lavorò anche con Dario Fo per il cartoon 'Johan Padan a la descoverta de le Americhe' Lorenza Cingoli - (Fotogramma) Morta Lorenza Cingoli, autrice de L’Albero Azzurro e la Melevisione. In un comunicato Rai Kids e tutta la comunità della tv per ragazzi italiana piange la scomparsa della 58enne, definita "autrice brillante, persona vivace e compagna di lavoro di grande professionalità, ricordandone l’entusiasmo e la dedizione alla scrittura di racconti, libri e programmi dedicati ai più piccoli". Autrice di trasmissioni che hanno segnato la storia della Tv per ragazzi come 'L’Albero Azzurro' e 'La Melevisione', si è distinta anche come sceneggiatrice di film, come il cartoon 'Johan Padan a la descoverta de le Americhe' insieme a Dario Fo, o come il lungometraggio 'Berni e il giovane faraone', ambientato nelle sale del Museo Egizio di Torino, insieme a Martina Forti, oltre che di serie di fiction per ragazzi e soprattutto di libri e racconti per giovani e giovanissimi. Fino a questi ultimi mesi di lavoro per la scrittura del programma 'Calzino', la sede Rai di Torino è stata la sua 'casa', il luogo dell’impegno e del confronto, il luogo delle amicizie e delle collaborazioni. I suoi programmi continueranno per anni a divertire ed educare le nuove generazioni. Fonte
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auxoubliettes · 1 year
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parliamo di Ciao Tu. lo scenario è questo: mi faccio assumere in Rai per scrivere l’adattamento. i miei propositi sono alti, punto alla qualità dell’Amica Geniale ma con budget ridotto, ma pur sempre con al centro di tutto l’amore per il libro. purtroppo vengo rimessa in riga dalle dirigenze Rai che presto delineano una serie sulle orme di Un Professore ma anche un po’ SKAM ma più di tutto ambientata in un liceo romano. fallisco miseramente pur avendo buone intenzioni e roberto piumini si dissocia dalla produzione e io rimpiango la mia infanzia.
finale alternativo: la dirigenza rai nota il tuo talento, la tua passione e la validità del tuo adattamento e decide di chiamare il buon vecchio piumini con cui ha già lavorato per l'albero azzurro. te lo fanno conoscere e vi danno la possibilità di collaborare in piena libertà, ma alla rai piace anche andare sul sicuro e, quindi, pone una sola condizione: l'attore protagonista deve essere dodò.
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forgottenbones · 3 years
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A volte penso che se avessi i soldi veri™, mi piacerebbe trovare uno psicologo coi controfiocchi, sperimentale, il Bruno Munari della terapia, che mi sistemi una volta per tutte in maniera non traumatica:
"Ecco, questo pezzo di carta gialla rappresenta il rapporto con tua madre, questo rosso rappresenta quella volta che sei stato umiliato in pubblico, questo nero la distanza che pensi ci sia tra te e gli altri e questo verde il senso d'inadeguatezza che provi ora. Usando la tecnica del collage, fanne qualcosa. Ricorda, non c'è giudizio tra queste mura, voglio solo che tu ti esprima. Eccoti il tuo tubetto di Pritt Stick, io torno tra qualche minuto".
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lospaziobianco · 6 years
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Roberto Recchioni: Dario Moccia, uno che divulga forte.
Questo video è fantastico.
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mermaidemilystuff · 2 years
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Comunque L'albero azzurro per i borghesi e La Melevisione per i freaks
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stellastjamessongs · 2 years
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Never have I ever
Forse si trattava di suggestione, ma aveva la netta sensazione che l'atmosfera nel quartiere fosse mutata: a partire dal gruppo di signore che si ritrovavano per la camminata mattutina e che le avevano fatto numerosi complimenti per le decorazioni e l'albero di Natale che si scorgeva dalla finestra, fino anche ai cenni decisamente più calorosi di alcuni dei più anziani mentre portavano a passeggio i loro cani. Non erano mancati i complimenti neppure da parte della madre che aveva ripromesso di giungere al più presto di persona ad ammirare il tutto e da parte di Lizzie con la quale aveva trascorso la mattinata e il pranzo, dopo una sessione di ballo che aveva preso il posto della tradizionale corsa mattutina. Doveva ammettere che, il giorno stesso in cui avevano completato il loro lavoro, aveva atteso quasi con puerile entusiasmo che giungesse il tramonto, così da poter accendere anche le luci esterne con le quali avevano addobbato persino gli stipiti e l'architrave del garage. Quando aveva portato Pooka fuori per una breve passeggiata prima di ritirarsi in camera, aveva goduto lei stessa della luce che emanava dalla propria abitazione che sembrava impreziosita e decisamente più “imbevuta” dello spirito natalizio. Il suo stesso cucciolo sembrava aver scelto i piedi dell'albero come suo nuovo posto preferito nel quale dilettarsi con il proprio peluche o per schiacciare un pisolino. Solo, di quando in quando, rincorreva una pallina, se involontariamente la faceva cadere camminando rapidamente accanto all'albero o passando l'aspirapolvere per rimuovere la polvere e gli aghi artificiali, prima di recarsi al lavoro.
Come ogni sabato mattina, si era svegliata con un certo piacere al pensiero che fosse l'ultimo giorno lavorativo della settimana e che avrebbe potuto godersi una domenica di riposo. Inoltre, Karen le aveva caldamente raccomandato di prendersi anche il lunedì mattina. Una premura che aveva apprezzato non poco, soprattutto considerando che quella sera l'orario del centro commerciale sarebbe stato prolungato per consentire a molti di dedicarsi all'acquisto dei regali, il che significava dover dedicare più tempo anche a quelle canzoni che, a detta di Darren, toglievano spazio alla contemplazione e diventavano un vero e proprio bombardamento. Aveva sorriso tra sé e sé, al ricordo della conversazione scaturita dalla propria playlist. Mentre facevano colazione, era stata sorpresa da un messaggio di Tiffany che aveva letto ad alta voce: augurava a entrambi “un buon mesiversario” con tanto di raccomandazione a estendere a lui gli auguri. Per fortuna non vi erano state altre allusioni a un eventuale appuntamento a quattro, ma considerando che mancavano otto giorni al suo matrimonio, sarebbe stato assai strano il contrario. Dopo aver scambiato qualche commento con il proprio “partner in crime” le aveva risposto con un caloroso ringraziamento e un augurio di trascorrere altrettanto bene la serata, in vista del suo addio al nubilato.
Dopo quella lunga settimana, era stato quasi “rinfrescante” trascorrere del tempo con la propria amica che era stata impegnata con la madre, con Riker e il di lui padre per l'organizzazione dei saggi di danza che riguardavano molte delle loro classi di corso, dai bambini agli adulti. Avevano decisamente molti argomenti su cui aggiornarsi e discutere e naturalmente non erano mancate domande su Darren. Era stata attenta a ripetere esattamente la stessa “versione” che aveva offerto a Quinn, ma aveva avuto la sensazione che lo sguardo azzurro dell'amica la stesse studiando con decisamente più accuratezza di quanto si sarebbe aspettata. Laddove la biondina aveva ereditato la romanticheria, l'esuberanza e l'energia materne, non mancava anche di uno spirito più “analitico” di osservazione che condivideva con il gemello e che avevano senz'altro preso dal padre. Tanto che, dopo averle riferito brevemente della messa in scena per quella serata a vantaggio di Tiffany, si era fermata e aveva inclinato il viso di un lato: “Va tutto bene?” le aveva domandato confusamente. “Perché mi guardi così?” L'amica che solitamente non si faceva remore a esprimerle ciò che le passasse per la mente, senza preoccuparsi di “edulcorare” troppo le proprie opinioni, sembrò scegliere attentamente le parole. Si era stretta nelle spalle, quasi a sminuire il momenti stasi, e le aveva sorriso con affetto. “Deve essere una bella persona: sicuramente parlare di lui ti mette di buon umore” aveva commentato con semplicità, prima di proporle di presentarlo a tutta la loro cerchia. Non le aveva promesso nulla di certo, salvo la possibilità di parlarne con lui, anche perché non era strettamente necessario alla loro recita, ma forse avrebbe gradito un cambio di programma o conoscere qualcuno di nuovo in quella città. Immaginava che sarebbe andato molto d'accordo coi gemelli e anche con Quinn e il suo ragazzo.
Quelle parole circa il cosiddetto effetto che sembrava scaturire sul proprio umore sembravano essersi impresse nella propria mente. Si erano riaffacciate quando aveva aveva scambiato qualche messaggio con lui, informandolo degli spostamenti verso la caffetteria e il centro commerciale o semplicemente per ringraziarlo di aver nutrito Pooka e per augurargli un buon pranzo.
Persino in quel momento mentre, spiando l'orologio da polso, aveva convenuto che presto avrebbe potuto liberarsi di quel costume da elfo natalizio e, finalmente, dare sollievo alle proprie corde vocali e tornare a casa. Seppur non fosse preoccupata all'idea di un'imboscata di Tiffany e delle sue invitate, Darren aveva insistito per venirla a prendere alla fine del proprio turno e si domandò se avesse approfittato dell'occasione per girovagare nel centro commerciale. Si riscosse e tornò a concentrarsi sull'adattamento di “I'll be home for Christmas”, mentre il brusio degli acquirenti gradualmente si spegneva e gli altoparlanti annunciavano che mancavano pochi minuti alla chiusura, invitando la gentile clientela a ultimare le compere il più rapidamente possibile.
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gelatinatremolante · 3 years
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Meno male che il Salone del libro di Torino è finito, così non sarò più costretto a invidiare tutte le persone che hanno avuto la fortuna e l'onore di vedere l'albero de L'albero azzurro e di conoscere Dodò.
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exninfettina · 3 years
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Ora che so che al salone del libro c'è l'albero azzurro di dodò la mia voglia di andarci è aumentata esponenzialmente 📈📈📈
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emmalynthewriter · 3 years
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Su nei cieli come Emolga
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                                            Su nei cieli come Emolga
Era una giornata tranquilla, quella iniziata da poco nella regione di Arbora, e con l'arrivo della primavera, la vita sembrava sbocciare ovunque. I prati erano pieni di fiori, e il loro profumo si spandeva nell'aria con il vento, così buono e irresistibile che Combee e Nectarby non riuscivano a non fermarsi per annusarlo. Nel mentre, si spostavano da un fiore all'altro per raccogliere l'ancor più dolce nettare, e riportarlo, sempre svolazzando, al loro alveare. Nascosti fra l'erba, però, due piccoli Pichu restavano sdraiati e in silenzio. Nessuno dei due proferiva parola, ma a giudicare dalle espressioni che avevano dipinte sui musi, solo uno dei due era davvero contento. Colto da un leggero languore a disturbargli lo stomaco, aveva colpito e scosso i rami di un melo con tutte le sue forze, fino a vedere uno di quei dolci frutti rossi cadere. Ad ogni modo, doveva aver sbagliato qualche calcolo, perché bastò un istante, e il piccoletto si ritrovò con un bernoccolo in testa. Confuso, si massaggiò piano la parte lesa con una zampa, e quando riaprì gli occhi tenuti chiusi a causa del dolore, scoprì qualcosa. Tanto affamato quanto dispettoso, l'amico gli aveva appena rubato il bottino, l'unica mela che fosse riuscito a far cadere da quell'albero. Se solo avesse conosciuto la mossa Codacciaio... A quel pensiero, il Pichu scosse la testa. Aveva provato a farsela insegnare da un Raichu più esperto, ma non era riuscito a imparare. Poco male, non doveva pensarci adesso. Chi lo sapeva, forse l'avrebbe imparata con il tempo, o forse semplicemente evolvendo in Pikachu. Lento, si avvicinò al compagno deciso a dividere quella mela appena colta, ma purtroppo, senza successo. Dispettoso, l'altro Pichu non sembrava averne alcuna intenzione, e dando le spalle al primo, mangiando a grandi bocconi, come geloso di quel pasto, alzò lo sguardo al cielo. Era azzurro e limpido, c'erano solo poche nuvole bianche, e intento a solcarlo, un altro Pokémon. Simile a loro, lo capiva dalla taglia  ridotta, dagli occhietti vispi e dalle guance rotonde, probabilmente già cariche di elettricità. Felice di vederlo, il più goloso dei due Pichu sollevò una zampa, sbracciandosi perché il nuovo arrivato lo notasse, e in breve, anche l'amico si unì a lui. Da allora in poi, fu questione di istanti, e dopo tanti saltelli per farsi notare, e altrettante grida per farsi notare, eccolo. Sorprendentemente veloce e aerodinamico, il nuovo Pokémon. Piccolo quasi quanto loro, anzi, forse un pò più grande, ma non per questo meno felice di vederli. Avvicinandosi ai due Pichu, questo sorrideva, e fu solo allora che i due amici lo notarono. Aveva il corpo bianco e nero, le guance tinte di giallo come l'interno delle orecchie, e come i due avevano già visto, un bel sorriso, grande e luminoso, capace, come dicevano gli umani, di scaldare i cuori. Muovendo una zampa, il nuovo Pokémon li salutò entrambi, e zampettando con loro fra l'erba dopo quella sorta di atterraggio d'emergenza, indicò loro qualcosa. Grandi, succose e nascoste sui rami più alti di quel grande albero, altre mele. Felici a quella sola notizia, i due amici si abbracciarono, indicandole a loro volta con fervore, e all'improvviso, ebbero un'idea. Deciso, il primo avanzò verso l'albero, ma l'altro Pokémon, in tutto simile a uno scoiattolo volante, e che presto si rivelò essere un Emolga, per poco non scoppiò a ridere. Offeso, il piccolo Pichu gli lanciò un'occhiataccia, salvo poi redimersi quando, mostrando la schiena, li invitò a salire. Seppur incuriosito, il poverino esitò per un attimo, ma poi, incalzato dall'amico goloso, si convinse. E così, i due si ritrovarono ben presto in groppa a quel nuovo amico tanto gentile, e nonostante la paura, si divertirono un mond. In quanto semplici Pichu, non avevano mai avuto un paio d'ali, ma quel giorno, quando si lanciarono nel vuoto dalla cima di quell'albero, per loro fu come averle. Anche in quell'occasione, però, i due topolini non avrebbero potutoessere più diversi. Difatti, se uno si godeva il viaggio guardandosi intorno e godendosi il vento nel pelo giallo, l'altro sembrava terrorizzato, così tanto da non riuscire ad aprire gli occhi, con la folle paura di guardare in basso, o peggio, schiantarsi al suolo. Grazie al cielo, ciò non accadde, e quando finalmente atterrarono, tutti insieme e tutti interi, i Pichu, l'Emolga e il suo branco poterono gustare mele, bacche e altri frutti, oltre che raccontarsi storie su quello e altri viaggi. Che bello era stato, volare su nei cieli come Emolga...
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zsjournal · 5 years
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Dream Journal #1
- The beginning - 110325 -
Ero lì. Ricordo, che ero molto piccola. Dieci, undici anni al massimo. Mi trovavo nelle zone più alte della montagna che sovrastava il mio villaggio. Raccoglievo fiori, e sassolini colorati, ero seduta sotto una rientranza creata da delle rocce rotolate giù da una vecchia frana. Andavo spesso in quel posto, si stava bene ed era divertente giocare su quei prati. Poco più in basso c'era la foresta, e ancora più giù il dirupo che tagliava a metà la valle. Lassù la primavera si poteva sentire in ogni molecola dell'aria che si respirava. C'era vento, era leggero, e frizzante, mi pungeva il naso. Indossavo una tunica di cotone azzurro, ricamato sullo scollo e sui bordi delle maniche e della gonna con fili color sole, e al polso avevo un nastrino azzurro. Dalla schiena spuntavano le mie vecchie ali. Erano così piccole all'epoca, avevano ancora un po’ del piumaggio da cucciolo, erano marroni sulle punte con piume lucide e precise, e color sabbia sulle basi, dove le piume erano morbide, e più simili ad una peluria scompigliata. Era da poco che iniziavo a fare prove di volo, magari lanciandomi da piccole altezze, per vedere quanto riuscivo a trattenermi in aria, e quanto potevo arrivare in alto. Quello mi sembrò il momento perfetto per effettuare una prova di lancio. Misi addosso la tracolla, mi ravviai una ciocca dei capelli color menta, bloccandone la frangia con un piccolo fermaglio. Iniziai a sbattere le ali, stiracchiandole e preparandomi per spiccare il volo. Mi alzai da terra a fatica, ma dopo poco riuscivo già ad essere abbastanza in alto da poter vedere le pianure che si estendevano oltre il dirupo. Iniziai a volare goffamente, mantenendomi a poca distanza da terra, per evitare che magari cadendo, potessi farmi troppo male. Dopo una manciata di minuti che zigzagavo fra gli alberi, decisi di alzarmi di quota, giusto di qualche metro, tanto per vedere oltre gli alberi, e capire dove stessi andando. Era bello guardare tutto da lassù, vedevo le fronde verde scuro delle querce , vedevo come la foresta proseguiva in discesa, verso il dirupo, e fu allora che lo notai.
Un sentiero, al quale non avevo mai fatto caso, che conduceva dalla foresta proprio sul picco più sporgente del crepaccio. Lì c'era una strana costruzione, sembrava un qualche tipo di fortificazione, era grigia e scura rispetto a tutto il resto dell'ambiente intorno. Scesi a terra, decidendo di continuare a piedi, più per stanchezza che per altri motivi. Ero piena di curiosità, chissà cosa era, magari avrei trovato un tesoro come uno di quei grandi esploratori della città. Presi dalla tracolla una delle mele che mi ero portata, ci soffiai sopra per spolverarla, e ne strofinai un lato sulla stoffa della tunica, era bello vedere come il suo rosso diventasse più vivo e lucido. La addentai, saltellando di roccia in roccia, su quel sentiero. Sfido che io non lo avessi notato, l'effettivo segno del camminamento si poteva vedere solo dall'alto, e tutto attorno era stata lasciata l'erba alta, le rocce, le radici sporgenti, tutto lasciato come se dovesse effettivamente rimanere nascosto.  Chi sa perché.
Continuando a camminare notai che la viottola era segnata di tanto in tanto da due rocce perfettamente levigate poste ai lati.  Seguii le pietre, mentre il bosco iniziava pian piano a sfoltirsi, tutto diventava pian piano secco, grigio, smorto. Il sentiero ora era fuori dal bosco, il terreno era duro, come se fosse pietra, ed era coperto solo di rocce e arbusti di rovi secchi. Ormai ero quasi vicina alla costruzione, e con mia grande sorpresa mi resi conto che non erano rovine di una qualche fortezza come avevo pensato inizialmente, ma era un enorme e vecchissimo albero. I rami erano quasi tutti spezzati, formavano qualcosa simile ad una corona, che effettivamente dall'alto poteva essere scambiata per la cinta di merli che solitamente ha una torre. Più mi avvicinavo più i particolari si facevano nitidi. La corteccia era aggrovigliata, di un colore pallido, e vi erano avvolti attorno dei fili, con dei pendenti di pietra nera. Poggiai una mano sulla corteccia, accarezzandola con la punta delle dita, sembrava come di toccare un blocco di arenaria. Girai attorno all'albero guardando i pendenti. Erano sigilli, con su incise delle rune di protezione. Ero curiosa, ed entusiasta di quella scoperta, non vedevo l'ora di farlo vedere ai miei amici! Nel lato dell'albero più esposto verso il dirupo, trovai una strana apertura, non come i classici fori dove vivono allegri scoiattolini, una specie di grata composta da rami intrecciati, come se fosse...una prigione.  Mi allontanai di qualche passo guardando l'albero nella sua interezza, c'erano punte di frecce un po' ovunque, bruciature grigiastre e segni di graffi. Non li avevo notati prima...credo si fossero confusi con i motivi della corteccia. Mi avvicinai nuovamente alle sbarre, avvolgendovi le mani per vedere cosa ci fosse all'interno. Magari era un nascondiglio segreto per qualche tesoro. La mia mente di bambina viaggiava ben più alta della realtà che di lì a poco mi si sarebbe presentata davanti. Stringendo gli occhi per poter guardare con più accuratezza ciò che era all'interno quasi non mi venne un colpo quando sentii qualcosa muoversi, e vidi due enormi occhi azzurri puntarsi verso di me, avvolti dalla più totale oscurità. Strinsi le mani attorno alle sbarre con timore, ero spaventata, non sapevo cosa fare. Rimasi lì a fissare quegli enormi occhi, quando un movimento di quella Cosa non mi fece destare da quell'impietrimento. Si stava avvicinando all'apertura, però non venne sotto la luce diretta, si fermò poco più vicino. Riuscivo a vedere molto poco della sua figura, riuscii a riconoscere la forma di due grandi ali, rosse a giudicare dai riflessi delle piume.  Non riuscivo ancora a identificare cosa fosse, aveva i capelli lunghi, neri come la pece. Iniziò a parlare, con un filo di voce, mentre continuava a guardarmi, sembrava essere impaurito quanto me, se non di più.
<<Hai... Qualcosa da mangiare...?>> Riuscii a sentire, sforzandomi non poco. Rimasi per un attimo ferma, a pensare su cosa fare effettivamente, per poi prendere coraggio, e iniziare a parlare.
<<Cosa ci fai qui? Dov'è la tua mamma? E il tuo papà?>>
Attesi una risposta, che però non arrivò, ricevetti solo altre occhiate spaventate e confuse. In silenzio presi dalla tracolla l'ultima mela che mi era rimasta, e la spolverai sulla tunica, per poi porgerla all'oscurità fra le sbarre.
<<Tieni. Ho solo questa.>> Dissi, quasi giustificandomi.
La mela era colpita da un singolo raggio di luce che la faceva brillare ancor di più nell'ombra, vidi le sue mani, piccole, tremanti, dalla pelle nera, afferrare timide la mela, che poi scomparve nell'oscurità. Doveva avere davvero fame, perché per una buona manciata di minuti non parlò più. Mi guardai intorno, cercando di capire perché fosse lì dentro.
<<Tu, sei un maschio, o una femmina?>>  Chiesi ancora, presa dalla curiosità.
<<Sono un maschio. Non ho una mamma ne un papà, loro non mi volevano. Sono solo.>> 
La sua voce era così triste che mi si strinse il cuore.
<<Beh non sei più solo! Ci sono io ora! Mi chiamo Gwen, e tu?>> 
Ero una bambina dopotutto, il detto "non dare confidenza agli sconosciuti" era ancora solo una regola stupida degli adulti. Lui non rispose alla mia domanda, ma emise una specie di ringhio, iniziando poi ad urlarmi contro. <<Vattene via!! Non lo sai che sono pericoloso? Secondo te perché sono chiuso qui?? Tanto nessuno mi vuole. VATTENE VIA!>>
Lo vidi rintanarsi nell'angolo dal quale era uscito, la sua voce era spezzata, come se stesse per piangere. Mi alzai, iniziando ad allontanarmi, offesa da quel suo comportamento. Volevo solo essere gentile. Mi bloccai poco prima di entrare nel bosco, e lanciai un occhio all'albero. Sbuffando misi le mani attorno alla bocca e urlai. <<Guarda che non mi arrendo!! Tornerò presto!!>>
Speravo con tutto il cuore che mi avesse sentito, sorrisi tra me e me, fiera di ciò che stavo facendo e gongolando corsi verso casa. Non sapevo che oltre a lui, anche qualcun altro mi aveva sentito, lo avrei scoperto solo il giorno dopo.  
La mattina dopo mi svegliai presto, misi degli abiti più comodi e riempii la borsa di mele e qualche vestito per poi uscire di casa e correre di nuovo in alta montagna con la scusa di raccogliere dei fiori. Non appena arrivata lassù, mi alzai in volo, ancora goffamente, e cercai dall'alto il sentiero, mi avvicinai, sbattendo le ali più veloce che potevo per avvicinarmi il più possibile al crepaccio. Atterrai malamente sul limitare del bosco, e cadendo mi sbucciai un ginocchio. Mi morsi le labbra mentre gli occhi mi si gonfiavano di lacrime, ma dovevo fare una cosa più importante. Dovevo essere una bimba grande. E le bimbe grandi non piangono per un ginocchio sbucciato. Trattenni le lacrime come meglio potevo e stringendo la tracolla fra le mani  zoppicai verso l'albero. Mi avvicinai alle sbarre e mi sedetti lì in basso, erano abbastanza basse da poter stare seduti, e poter guardare dentro senza impedimenti. Tirai fuori dalla borsa una mela e la lucidai soffiandoci sopra poi guardai dentro, cercando con lo sguardo quegli occhi azzurri.
<<Hey? Ci sei? Ti ho portato altre mele, non sono riuscita a trovare altro.>> 
Risi giustificandomi imbarazzata mentre tendevo la mano nell'oscurità, aspettando. Sentii la mela alleggerirsi, e la vidi sparire nel buio, esattamente come il giorno prima, poi li vidi. I suoi occhi, azzurri come degli zaffiri giganteschi, e luminosi come piccole lune. Sorrisi stringendo le mani attorno alle sbarre  mentre le lacrime mi rigavano ancora le guance.
<<Mi piacciono le mele. Sono dolci>> lo sentii sussurrare, sorrisi ancora i più, ero felice gli piacessero. Mi asciugai le lacrime con un manicotto della camicia mordendomi ancora le labbra."Le bimbe grandi non piangono"  pensavo fra me e me, cercando di auto convincermi che il dolore sarebbe presto passato, e che non dovevo piangere.
<<Perché piangi?>> Con sorpresa alzai lo sguardo verso l'interno, e lui mi guardava, con curiosità e preoccupazione, sorrisi facendo spallucce e mi asciugai il viso.
<<Io non sto piangendo! Sono grande! Mi sono fatta male, ma non sto piangendo! E' solo un pò di polvere negli occhi.>>
Lo vidi fare spallucce, per poi continuare a mangiare la mela, con un leggero sorriso stampato in volto.<<Lo sai che io so quando qualcuno dice le bugie?>> Arrossii imbarazzata, e arrabbiata, non mi piaceva che mi desse della bugiarda.
<<Non è vero, sei un bugiardo!>>rise. La sua risata, non la avevo mai sentita, era dolce. Presi dalla borsa una scatolina, dentro la quale avevo messo altre due mele e la calai nell'albero con il mio nastrino azzurro.
<<Lì ci sono altre mele. Ti ho portato anche dei vestiti. Li ho rubati a mio fratello, a lui non servono più.>> Lo vidi prendere la scatola e tornare nell'ombra, a quell'ora la luce che entrava dalle sbarre era forte e calda, riuscivo a vedere meglio la sua figura ed ebbi la conferma del colore delle sue ali, rosse come il fuoco, erano molto grandi rispetto alle mie.
<<Le tue ali sono bellissime!! Non le ho mai viste rosse!>> Sorrisi, poggiandomi al tronco dell'albero mentre di fretta tiravo fuori dalla borsa i vestiti di mio fratello, li feci entrare fra le sbarre e li lasciai cadere.
<<Anche io ho dei fratelli, ma non so dove sono. Mi mancano molto. Ma tanto è inutile che spero di vederli, non uscirò mai da qui.>> La sua voce si era fatta più cupa e triste. Lo vidi rintanarsi di nuovo in un angolo, e rimase in silenzio. Sospirai tristemente, pensando a cosa potessi fare. Il mio sguardo si posò sulle corde attorno all'albero, e ai sigilli legate ad essi. Presi dalla borsa un coltello ed iniziai a tagliare una corda. Non appena la toccai questa iniziò a bruciare, ma senza consumarsi. Mi staccai subito guardando la mano, dove si stava formando una scottatura sulle dita e parte del palmo. Mi morsi le labbra, faceva male, ma non quanto mi sarei aspettata. Presi coraggio e trattenendo il fiato ripresi a tagliare le corde. Faceva ancora più male, caddi a terra stringendomi la mano mentre piangevo in silenzio. Lui mi accarezzò il viso, facendo passare la mano fra le sbarre. Con sorpresa lo guardai, mentre le sue mani prendevano le mie. La sua pelle era totalmente nera, aveva le dita affusolate e piccole, ancora da bambino, mi accarezzò la bruciatura, che piano iniziò a guarire, lasciando il posto solo ad una cicatrice rossiccia. Mi sorrise e tornò subito nell'ombra.
<<Grazie per averci provato, ma ti faresti troppo male se continuassi. Ti prego ora, vattene via, e non tornare più, non voglio che altri si facciano male a causa mia.>> Guardavo la mia mano guarita come incantata, con un sorriso ebete e incredulo stampato in faccia, poi realizzai cosa aveva detto e mi bloccai, cambiando repentinamente espressione. Lo guardai con tristezza, tornando a stringere le sbarre.<<Non voglio tu rimanga solo... >>
<<TI HO DETTO DI ANDARTENE!>> Mi urlò contro, ringhiando e mostrando le zanne, come un animale in gabbia. Indietreggiai di poco spaventata. Avevo paura certo, ma ero tanto timorosa, quanto testarda, e non mi sarei arresa tanto facilmente. Ormai era una questione personale. Presi di nuovo il coltello, ed iniziai a incidere le sbarre, sperando che queste si tagliassero. La lama era già a metà della prima sbarra quando una freccia si conficcò nel legno accanto a me. Mi girai lasciando il coltello conficcato nel legno, e mi alzai timidamente, timorosa. Degli uomini in armatura mi puntavano le armi contro. Uno di loro mi si avvicinò con passo veloce, e mi prese per il collo alzandomi e spingendomi addosso al tronco, sentivo la gola stringersi, sentivo l'aria diventare sempre di meno. Avvicinai le mani a quella dell'uomo, piangendo. non riuscendo quasi a parlare.
<<Questo luogo è proibito, non lo sai ragazzina? Cos'è vuoi liberare questo mostro? Sei forse una strega? Rispondimi piccola bastarda!>> Mi urlava contro, stringendo ancora la presa attorno al mio collo. Singhiozzavo, dimenandomi cercando in ogni modo di liberarmi.
<<N-on è giusto lui sia qui da solo... è solo un bambino.>> Sussurrai strozzata mentre gli occhi mi si chiudevano. Sentii l'uomo urlare ancora, ma stavolta era un urlo più acuto, di dolore, la sua presa attorno al mio collo si fece più stretta per qualche secondo, e poi mi scaraventò a terra. Sbattei la testa. Perdevo sangue dal naso, vedevo solo piccole parti di ciò che accadeva. L'uomo aveva il mio coltello conficcato nella gamba. Iniziò ad urlare contro l'apertura dell'albero, imprecando contro il ragazzino, poi si avvicinò di nuovo a me, e iniziò a prendermi a calci.
 <<Vedi? Questo, è quello che succede a quelli che si avvicinano a Te.>> Ogni sua parola era scandita da un calcio, e da un colpo e mentre parlava guardava l'albero. Sentivo le ossa spezzarsi, faceva male... piangevo, chiedevo pietà. Pian piano ci stavamo avvicinando al bordo del precipizio, sentivo il ragazzino urlare, pregandolo di non farmi precipitare. Sarebbe bastata una spinta, e sarei caduta.
<<Vedo che hai le ali mocciosa. Vediamo se sai volare.>> Rise, per poi spingermi un piede contro, e farmi cadere nel vuoto.Tutto sembrava rallentato, mi sentivo cadere, ma ero troppo debole per poter fare anche la minima azione. Chiusi gli occhi, ero stanca, perfino respirare era faticoso. Pochi secondi dopo persi i sensi, ma non del tutto,era come se fossi in una sorta di dormiveglia. Riuscivo a sentire cosa succedeva attorno a me, ma non capivo appieno la situazione. Sentivo delle urla, sentivo il legno spaccarsi, sentivo dei suoni raccapriccianti, di qualcosa che si rompeva, di qualcos'altro che veniva strappato.
<<Hey. Gwen...Svegliati>> Aprii gli occhi debolmente. Il ragazzino era sopra di me, mi teneva fra le braccia, sorrideva. <<Ah meno male, stai bene. Credevo fossi morta.>> Rise appena aiutandomi a mettermi seduta, ero piena di lividi e graffi, e lui era sporco un po' ovunque di macchie scarlatte. Aveva indosso gli abiti di mio fratello, non gli stavano troppo larghi. Mi poggiai a lui iniziando a piangere, e a singhiozzare, lo abbracciai e sprofondai con la testa nel suo petto.
<<Ho avuto tanta paura...>>Poi realizzai. Lo guardai negli occhi e gli toccai il viso, come incredula. <<Sei fuori...>> Sorrisi abbracciandolo forte, ero riuscita a farlo uscire, ero fiera di me! Lui sorrise, avvolgendomi con le sue ali, mentre guardava tutto attorno il flagello di corpi che lui stesso aveva causato, mi accarezzò la testa e sussurrò <<Devi essere stanca. Chiudi gli occhi, e riposa un po', starai meglio. Ora ci sono io a proteggerti.>>Come ipnotizzata obbedii chiudendo gli occhi, e stringendomi a lui.
<<Non mi hai detto ancora come ti chiami...>> Sussurrai a mia volta, ormai strascicando le parole, avevo così tanto sonno. Lui si avvicinò al mio orecchio, e bisbigliò il suo nome. <<Mi piace il tuo nome...>>Sorrisi, e mi addormentai. 
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karassiopoulos · 3 years
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Sono salito sulla collina oggi pomeriggio. Novembre è arrivato e si è fatto sentire. Vento freddo, e quella pioggia fine, stronza.
Arrivato in cima bagnato fino al midollo.
Mi siedo.
Le assi della panchina umide mi rimandano il freddo che penetra la stoffa del pantalone, provo a non pensarci. Esco quel quaderno dal parka, cerco la penna. Io compro i giubbotti che hanno una caratteristica comune, le tasche grandi. Le tasche dei miei giubbotti devono poter contenere un quaderno, e i miei quaderni devono essere resistenti, devono poter contenere contenere sogni, e viaggi, e molto molto altro.
Quando mi sono svegliato stamattina, ho preso il quaderno che era sulla scrivania nello studio e ho scritto due parole che mi giravano nella testa anche mentre dormivo: Giardino e Eco.
Solitamente, le parole, le vedo galleggiare, le metto a posto con gli occhi e le "trascrivo", difficile da spiegare, e non mi cimenterò in questa cosa, non ne ho voglia, quindi diciamo che ti deve bastare questo. Dicevo, queste due parole. Che ci faccio con queste due parole? Giardino, eco. Dove le porto?
È maggio del 1989. Da un anno siamo più o meno felici. Dormo in una cameretta tutta mia, i mobili della stanza non sono proprio nuovi ma sono miei, faccio i compiti con la luce accesa, posso guardare la televisione sui canali che voglio io e la sera non ho freddo, il letto è grande, e anche se è in realtà un letto singolo, per me è il letto più comodo del mondo, ho dormito su due poltrone affiancate una volta, ho imparato ad apprezzare, e ho imparato a non chiedere, e questo che mi viene donato, la tranquillità è per me un tesoro inestimabile.
Maggio del 1989. La Peugeot 104 bianca con quattro persone a bordo si arrampica arrancando un po' sulle strade che portano alla collina. Sul tetto della macchina delle assi di legno legate con una corda, nell'abitacolo una ragazza bionda con gli occhi azzurri ha le cuffiette con la spugna arancione sulle orecchie e un walkman che fa girare la cassetta degli A-ha, originale, album Stay on These Roads. Accanto a lei sul sedile, un bambino di 11 anni, capelli castani occhi azzurro verde con la faccia schiacciata contro il vetro a guardare fuori.
La collina è un posto speciale. La fuga da quella casa che mi aveva rubato la gioia per tre anni, era sempre verso una destinazione - Andiamo alla collina e mangiamo sotto l'albero?"
Non se lo faceva ripetere due volte papà.
Quattro panini, qualche bibita, e le ore volavano spensierate. I primi viaggi della mente li ho fatti stando seduto sotto quell'albero, ho scoperto che c'era un mondo al centro della Terra leggendo Jules Verne un pomeriggio di agosto..
Papà quella volta aveva una sorpresa per noi. Non ci disse cosa avrebbe fatto con quelle assi legno, ed io non stavo più nella pelle. Quel pomeriggio papà con martello e chiodi costruì una panchina. Il battere del martello riecheggiava con la sua eco per tutta la vallata, e sembrava il suono lungo di una campana tibetana.. e quel pomeriggio mi sedetti per la prima volta su quella panchina, e ascoltai un'altra eco. Le voci che venivano dal paese sotto, i carrettieri con i richiami in dialetto, il frusciare delle foglie sotto quell'albero già antico.
Il nostro giardino segreto aveva una panchina.
Con il tempo ci siamo tornati sempre più di rado, io salivo sulla collina con la macchina di papà anche se non avevo la patente, tanto sulle strade non incontravo mai nessuno, ogni tanto una lucertola mi attraversava la strada, ed io andavo più piano per evitarla. Portavo con me le assi di legno che sostituivo quando le intemperie si accanivano sul legno. E di nuovo il martello a ricordare la sua eco..
Oggi sono salito, l'albero ha 33 anni in più, non molla, vedo le sue radici avvinghiate a questa terra umida e scura, il vento di oggi non lo smuove di un millimetro, solo le sue braccia giocano con le folate, e suona una musica che mi ricorda giornate felici. Ogni tanto una foglia segue lo stesso destino delle mie lacrime, e scrivo male su di un foglio a righe.
Karassiopoulos - Sulla collina
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lo me ne andrò lontano.
Resteranno a cantare gli uccelli;
resterà l'orto con l'albero verde
e il bianco pozzo.
Sarà placido e azzurro il cielo la sera,
e, come questa sera, soneranno
dal campanile le campane.
Quelli che mi amarono,
un giorno moriranno,
si farà nuovo ad ogni anno il paese,
e in quell'angolo dell'orto fiorito
bianco di calce
lo spirito nostalgico andrà errando...
Me ne andrò.
Sarò solo, senza fuoco,
senza l'albero verde, il pozzo bianco,
il cielo azzurro e placido...
E resteranno a cantare gli uccelli.
(Juan Ramon Jimenez)
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