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#banalizzare
gregor-samsung · 8 months
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“ L’istituzione del Registro Nazionale degli Intellettuali e dei Radical Chic fu la prima notizia per l’intera mattina, ma non entrò neppure in #trendtopic. Il fatto che il provvedimento fosse stato presentato in difesa e non contro le suddette minoranze ne ridusse sensibilmente la viralità. Per spiegare il senso politico della legge, fu diffuso un documento in cui riassumeva per punti le ragioni in base alle quali gli intellettuali costituiscono, sempre, un pericolo per la democrazia tale da minarne l’esercizio. La lettera, firmata dal ministro in persona e redatta in forma di decalogo, era intitolata: “La questione intellettuale. La verità è semplice, l’errore complicato”. Diceva: La complessità impedisce la verità. La complessità umilia il popolo. La complessità frena l’azione. La complessità è noiosa, quindi inutile. La complessità è superba, quindi odiosa. La complessità è confusa, quindi dannosa. La complessità è elitaria, ergo antidemocratica La semplicità è popolare, ergo democratica. La complessità è un’arma delle élite per ingannare il popolo. Bisogna semplificare quello che è complicato, non bisogna complicare quello che è semplice. Olivia ripose il giornale sul sedile di fianco. Era l’unica a essersi portata un quotidiano in tutto lo scompartimento, ma la verità era che anche lei ormai riusciva a leggere i giornali soltanto in treno. Qualche posto più in là una signora chiacchierava al telefono seduta di fronte a un uomo che tentava di leggere. Fuori dal finestrino passava l’Italia – case sparse, prati e colline verdi, improvvise accensioni di cespugli colorati – e sembrava che niente fosse accaduto, e che il Paese fosse quello di sempre. Era impossibile dire se fosse stata la cultura a plasmare quel paesaggio o quel paesaggio a modellare la cultura. “
Giacomo Papi, Il censimento dei radical chic, Feltrinelli (collana I Narratori), 2019¹; pp. 40-41.
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ragazzoarcano · 1 year
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“C’è sempre qualcuno che vuole banalizzarti perché non regge
la tua complessità.
Qualcuno che ha bisogno
di un nemico per esistere.”
— Paolo Rumiz
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aitan · 2 years
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Ci sono persone che ti onorano, perché vengono da te, prendono ispirazione dalle tue idee e ne fanno una cosa migliore e persone che, copiando, ti banalizzano e ti fanno vergognare di essere la loro fonte di ispirazione; al punto che ti viene da rinnegare anche il percorso originale che avevi fatto tu e ti viene fatto di dichiarare che è tutta farina del loro sacco pure la macinazione del grano che hanno rubato al tuo mulino e che stenti a riconoscere perfino tu stesso, ora che è finita nel loro scipito pane.
Non so se mi sono capito.
Forse avrei fatto meglio a copiare questo concetto da codesto mio vecchio post di un paio d'anni fa:
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Molto può essere comunicato attraverso il silenzio, attraverso l’assenza. Il silenzio e l’assenza sono spazi operosi all’interno dei quali tutto sa esser raggiunto,luoghi generosi di riflessione e respiro nei quali nulla va spinto, nessuno va rincorso, laddove il tempo non esiste e tutto sa fare il suo corso. Spazi per apprendere a lasciare andare, per affidarsi al flusso delle cose, al cambiare. Il silenzio e l’assenza regalano sempre il rispetto per il momento o l’attimo presente, la capacità di stare ad osservare senza dover per forza intervenire, senza dover subito agire, evitando di sgomitare, di fare rumore, di banalizzare. Le parole sono sopravvalutate e troppo usate. La presenza è troppo esibita. L’eloquio spesso graffia, ferisce, la presenza è spesso inopportuna, le parole non sempre arrivano, la presenza stanca, l’assenza risveglia, il silenzio come l’assenza sono sempre gentili anche quando fanno male e quando appresi, compresi e amati sanno esser sempre liberatori e riparatori di istanti, di relazioni che mostrano sensibilità, di “momenti altamente fragili”, bui, che chiedono solo di esser prima riportati in luce.
tizianacerra.com
(Foto Hyory Liu, unsplash)
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autolesionistra · 1 year
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Caro diario, dopodomani è natale, ma ho iniziato a mangiare come un bidet più o meno dal 12 dicembre. Se avvicini l'orecchio al mio ombelico si sente il pianto dei nutrizionisti. Ma non è di questo che volevo parlare.
Quand'ero sbarbissimo a casa della mia allora fidanza (che poi è l'attuale compagna) si ruppe una pallina dell'albero di natale. Mentre osservavamo la mezza palletta sfasciata le dissi con tutta la tracotante sicumera tipica degli adolescenti che era una metafora perfetta del natale: una roba tutta colorata e sbrilluccicosa fuori ma fragile e vuota (Rimbaud scansate). Quella considerazione mi procurò una nomination al Premio Grinch 1995 ma ammetterò candidamente che negli anni ho cambiato idea. In parte per la passione sfrenata che nutro per le lucette colorate che di anno in anno migliorano tecnicamente e qualitativamente ma sono anche lentamente arrivato ad apprezzare l'aspetto di ritualità sociale. La lenta e complessa macchina organizzativa che pur fra numerose bestemmie ti porta a incrociare un numero consistente di persone care alla fine della fiera fa passare decisamente in secondo piano le varie stratificazioni turboconsumistiche, religiose e di trigliceridi. (manco a farlo apposta mentre scrivevo queste righe sugli aspetti sociali del natale leggo che il buon @kon-igi mi ha chiamato in causa in maniera particolarmente commovente su temi analoghi e su quel gran pezzaccio di White Wine in the Sun di Tim Minchin con la quale fra l’altro periodicamente ammorbo la famiglia canticchiandola con la chitarra)
Poi capisco sia un gradimento ad alta deviazione standard: per chi si trova per qualche motivo in un periodo con relazioni sociali/familiari problematiche o carenti il natale può essere una pigna in faccia (di quelle fermaporta e lanciata da Ryan Crouser). Questo è un tema complesso che non vorrei banalizzare, per ora mi limito a mettere un dispenser di abbracci virtuali in caso di necessità.
Diciamo che volendo riprendere a trent’anni di distanza la profonda metafora della palletta rotta, il periodo natalizio, sì, è vuoto ma nel senso che lo riempi come ti pare e dopo assume quel valore lì. E anche se so che mi prenderei a testate con il mio io adolescente sul tema, mi piace pensare che abbiamo come trait d’union l’esprimerci con frasi da baciperugina, che è sempre garanzia di qualità.
Buon natale e... mi raccomando (cit)
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canesenzafissadimora · 8 months
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(...)
La sessualità?
Oggi è vissuta senza desiderio. I ragazzi che frequentano giovanissimi i siti porno aumentano la fruizione ma finiscono col banalizzare il meraviglioso mistero del sesso. L’erotismo è scoperta, non fruizione. Casanova diceva “L’erotismo è l’attesa” e invece ora è tutto spiattellato. Troppo e troppo presto. Celebriamo la libertà sessuale uccidendo l’erotismo.
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Paolo Crepet
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bicheco · 8 months
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Carmelo Bene " Non parlo a chi mi rompe i coglioni con l'essere..."
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Qualche povero sventurato ha osato anche solo avvicinare il recente delirio da minus habens di Morgan alle "digressioni" (il termine non è esatto) del grande Carmelo Bene. Volendo banalizzare potremmo dire che mentre in C.B. la cosiddetta "parolaccia" potrebbe essere definita come una sorta di ciliegina su una torta, in Morgan ci sono solo ciliegine, peraltro anche marce: nessuna traccia di torta. Chi volesse capire meglio quello che intendo, si gusti questa breve clip sulla quale, e soltanto su questa clip, si potrebbero scrivere dieci tesi di laurea. Ciao Carmelo, ci manchi.
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ambrenoir · 8 months
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Mia mamma non amava i Beatles. Ai genitori di oggi piacciono i Maneskin. Il conflitto è diventato una sorta di baratto. La rivoluzione dei ragazzi è stata taciuta dalla comunità, che l’ha avvolta in un conservatorismo estremo. Pasolini sarebbe molto preoccupato, la sua denuncia del consumismo si è inverata. Oggi il nonno compra le stesse cose dei suoi nipoti, non è mai successo nella storia umana. Quella cesura era un fatto salutare, ognuno viveva il tempo giusto della sua esistenza. Oggi i genitori vogliono essere più giovani dei figli, tutto questo appiattisce e amicalizza un rapporto che invece deve essere fondato sul riconoscimento dei ruoli. Non esiste più il capitano, il punto di riferimento. È forse il compimento del ‘68, dalla rivolta antiautoritaria. Ma ora una generazione che ha contestato i padri è diventata serva dei propri figli. Non è capace di dire i no, di orientare senza usare l’autoritarismo, ma l’esperienza. C’è un armistizio: io ti faccio fare quello che vuoi, tu non mi infliggi la tensione di un conflitto. Ma così si spegne il desiderio di autonomia, l’ansia di recidere i cordoni, l’affermazione piena della propria identità. Il conflitto generazionale è sparito. E non è un bene».
«Se hai tutto, non cerchi nulla. Una delle applicazioni di intelligenza artificiale più usate dai ragazzi si chiama “Replica”. Non è assurdo? Ogni generazione ha cercato di creare, non di replicare. Si voleva non ribadire, ma stupire, non accettare il frullato di quello che c’è, ma l’invenzione del nuovo. Noi stiamo diventando soli e ne siamo contenti. Abbiamo smesso di parlarci. Nelle scuole, in famiglia, nelle sezioni, nelle parrocchie, nei circoli o nelle piazze. Se vogliamo salvarci dobbiamo disallinearci, dobbiamo rinunciare all’ovvio, vivere la vita da un punto di vista originale. Non dobbiamo replicare, dobbiamo inventare».
E la sessualità?
«Oggi è vissuta senza desiderio. I ragazzi che frequentano giovanissimi i siti porno aumentano la fruizione ma finiscono col banalizzare il meraviglioso mistero del sesso. L’erotismo è scoperta, non fruizione. Casanova diceva “L’erotismo è l’attesa” e invece ora è tutto spiattellato. Troppo e troppo presto. Celebriamo la libertà sessuale uccidendo l’erotismo
Paolo Crepet
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Se il primo film di Joker con Phoenix mi aveva sorpreso in positivo perché ho trovato una complessità, una profondità e drammaticità nuove in quell'interpretazione del personaggio che da sempre semina il caos per le strade di Gotham, a tratti anche disturbante per lo spettatore, mi duole dire che il trailer della seconda pellicola "Joker: Folie à deux" mi lascia alquanto delusa.
Capisco che abbiano a disposizione Lady Gaga che è indubbiamente una delle artiste più famose e talentuose di quest'epoca ma non apprezzo che venga tutto trasformato in una sorta di musical perché ho visto scene dove cantavano e ballavano che sono lontane anni luce dall'oscurità che caratterizzava la prima opera...
Banalizzare tutto così, quando avevano le potenzialità per fare qualcosa di spettacolare...
Poi magari vedo il film è cambio idea eh ma per ora le impressioni sono molto negative.
Avrei preferito che si fermassero al primo a questo punto, ma cosa non si fa per lucrare il più possibile...
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blackrosesnymph · 4 months
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Non che io sia contro blocchi stradali per una giusta causa, ma porca troia non è che potete identificarci a partire da quello, non è quello il nostro obbiettivo, siete voi che vi autoconvincete che sia quello per banalizzare e condannare il nostro gesto e non dover ascoltare quello di cui cerchiamo di informarvi - la crisi climatica e l'inazione DEI governi (plurale - non solo di questo governo - ma di tutti quelli presenti e di quelli passati).
Quindi io sono un'attivista per il clima, ho fatto azioni, ma sono una che non ne ho mai fatta una di blocco stradale, perché non è quello il mio obbiettivo.
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Da: SGUARDI SULL’ARTE LIBRO SECONDO - di Gianpiero Menniti 
IL SENTIMENTO STRUGGENTE
La scultura ha il potere di ammaliare forse più della pittura: il tutto tondo sembra cogliere un’essenza nascosta di umano spirito, una presenza viva, una dignità silenziosa. Mi rimarranno per sempre impresse certe figure umanissime scaturite dalla sensibilità di Giovanni Pisano. Ma esiste qualcosa capace di suscitare un sussulto di sentimenti altrettanto memorabile: il monumento funebre a Ilaria del Carretto, realizzato tra il 1406 e il 1408 da Jacopo della Quercia (1374 – 1438), conservato a Lucca, nell’area del transetto nord nella Cattedrale di San Martino. Dall’opera emerge la fragilità del corpo in sonno, reso morbido dal leggero adagiarsi dei panneggi sulle membra colte nell’istante dell’ultimo palpito rimasto miracolosamente integro sullo scalpello dell’artista senese. Mi colloco tra gli ultimi di una lunghissima sequela di ammiratori. Versi sono sorti dall’anima di grandi poeti per raccontare la tenerezza, la commozione, persino l’amore per Ilaria, morta giovanissima nel dare la luce ad una figlia. Eppure, a costo banalizzare e mettermi in fila tra modesti nessuno, non posso fare a meno di lasciare in queste pagine il segno di quella fugace percezione. Promana, da questa scultura, un’emozione antica, antichissima, l’unica che possa attribuire all’arte un riconoscimento incontestabile: l’emozione della memoria. Ilaria del Carretto, nobile genovese andata in sposa a Paolo Guinigi, signore di Lucca, non è più nel mondo dal 1404. Tuttavia, grazie a Jacopo della Quercia ed a colui che volle questo monumento, il consorte innamorato, ella non è scomparsa più di seicento anni fa. Si è trasformata. Lasciando di sé la forma che la natura le ha concesso, quella stessa forma nella quale la condizione umana si sostanzia, quella forma ridotta al nulla e che solo l’arte ha il potere di restituire alla relazione con i sensi. Certo, Ilaria non vede, non sente, non è corrotta dal dinamismo vitale. Ma esisterà finché gli uomini e le donne di tutti tempi avranno cura di conservarne l’essenza ormai eterna. L’essenza che è forma ma è anche spirito. Che è possanza dei sentimenti immediatamente manifesti al volgere dello sguardo su quel viso, risparmiato dall’oltraggio che la morte, schiva dal plagiare in una smorfia di doloroso panico, ha accarezzato in un afflato di affettuosa, delicata cura.
In copertina: Maria Casalanguida, "Bottiglie e cubetto", 1975, collezione privata
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parmenida · 8 months
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Mia mamma non amava i Beatles. Ai genitori di oggi piacciono i Maneskin. Il conflitto è diventato una sorta di baratto. La rivoluzione dei ragazzi è stata taciuta dalla comunità, che l’ha avvolta in un conservatorismo estremo. Pasolini sarebbe molto preoccupato, la sua denuncia del consumismo si è inverata. Oggi il nonno compra le stesse cose dei suoi nipoti, non è mai successo nella storia umana. Quella cesura era un fatto salutare, ognuno viveva il tempo giusto della sua esistenza. Oggi i genitori vogliono essere più giovani dei figli, tutto questo appiattisce e amicalizza un rapporto che invece deve essere fondato sul riconoscimento dei ruoli. Non esiste più il capitano, il punto di riferimento. È forse il compimento del ‘68, dalla rivolta antiautoritaria. Ma ora una generazione che ha contestato i padri è diventata serva dei propri figli. Non è capace di dire i no, di orientare senza usare l’autoritarismo, ma l’esperienza. C’è un armistizio: io ti faccio fare quello che vuoi, tu non mi infliggi la tensione di un conflitto. Ma così si spegne il desiderio di autonomia, l’ansia di recidere i cordoni, l’affermazione piena della propria identità. Il conflitto generazionale è sparito. E non è un bene».
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«Se hai tutto, non cerchi nulla. Una delle applicazioni di intelligenza artificiale più usate dai ragazzi si chiama “Replica”. Non è assurdo? Ogni generazione ha cercato di creare, non di replicare. Si voleva non ribadire, ma stupire, non accettare il frullato di quello che c’è, ma l’invenzione del nuovo. Noi stiamo diventando soli e ne siamo contenti. Abbiamo smesso di parlarci. Nelle scuole, in famiglia, nelle sezioni, nelle parrocchie, nei circoli o nelle piazze. Se vogliamo salvarci dobbiamo disallinearci, dobbiamo rinunciare all’ovvio, vivere la vita da un punto di vista originale. Non dobbiamo replicare, dobbiamo inventare».
E la sessualità?
«Oggi è vissuta senza desiderio. I ragazzi che frequentano giovanissimi i siti porno aumentano la fruizione ma finiscono col banalizzare il meraviglioso mistero del sesso. L’erotismo è scoperta, non fruizione. Casanova diceva “L’erotismo è l’attesa” e invece ora è tutto spiattellato. Troppo e troppo presto. Celebriamo la libertà sessuale uccidendo l’erotismo
Paolo Crepet
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stunmewithyourlasers · 8 months
Note
visto oppenheimer / barbie? che ne pensi?
Hey!premessa che aspettarsi una recensione tecnica da me è aspettarsi che io non cazzeggi, impossibile.
Allora,per barbie sono diviso tra due opinioni onestamente:
1) come film commedia, l'ho davvero apprezzato,ryan gosling è divino,ha buoni tempi comici e battute semplici ma che rendono anche come punzecchiatura verso di noi,abbastanza gestito bene nei ritmi.
2) come film serioso rivoluzionario che doveva essere per l'opinione pubblica,per me è no, perché mi è sembrato non avesse nulla da dire che non sia stato detto in dialoghi,battute o film interi precedenti sull'argomento onestamente.
Alterna buone critiche alla società,al ruolo subalterno delle donne(riuscita con il capovolgimento della cosa nei ken,che ha triggerato mezzo internet) alla stessa cosa che leggeresti in 292838 tweet sull'argomento (mi riferisco al monologo del personaggio umano verso fine film),che onestamente mi ha dato l'impressione di essere banalotto.
Poi il finale l'ho apprezzato visto che nella società è stato dato un buon ruolo anche ai ken,magari manco volutamente è stata una strizzata d'occhio al femminismo intersezionale.
Quello che mi ha urtato, è che la mattel che ha la classica storia da multinazionale di merda dietro si metta a scherzare e banalizzare sulla propria figura "eh si siamo cattivi ma il ceo è goffo ahahahah l'inventrice della Barbie ed ex ceo ha evaso le tasse ahahahahah il carcere ahahahah, però scordatevi tutto questa roba non è seria". La cosa mi infastidisce anche perché come tutte le battaglie,senza lotta sociale che si focalizzi sulle magagne e approfittarsi sistematico della holding/ricconi di turno valgono zero.
Ecco,se devo pensarci bene barbie mi ha dato l'impressione di essere un bellissimo e colorato post femminista della ferragni,che non è becero mezzo misandrico come freeda,non evirerebbe gli uomini come le radicali,ma non prende manco una posizione seria, ti dice "si la situazione nostra è questa,non è bella come sapete e bisogna far qualcosa" ma non ti dice cosa e piuttosto ti vende una bellissima felpa fatta in cina di plastica a 60 euro🫰.
Oppenheimer mi è piaciuto tanto,ma su nolan non mi sento di far recensioni perché dalla mole di critiche che gli piovono addosso per montaggi,scrittura e gestione delle storie mi sento un po' scemo io a non percepirle mai del tutto,a capire senza problemi il film,quindi non mi sento in grado.
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arreton · 1 year
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[...] E poi, diciamolo pure: non c’è filosofia alta e filosofia bassa. Se c’è filosofia, c’è sempre e solamente “vera” filosofia. C’è filosofia, cioè, ovunque si cerchi di ricondurre gli eventi della storia, i fatti della vita, alle questioni di fondo che, come dicevo prima, hanno a che fare con l’orizzonte intrascendibile all’interno del quale tutto accade. Fare cattiva filosofia, insomma, significa non fare filosofia. E ce n’è molta, di pseudofilosofia, in giro… diciamolo senza timore di sembrare arroganti! E non solo quella che si propone di banalizzare i grandi pensieri del passato riducendoli a uno sterile vademecum per una vita felice; ma anche quella accademica, che insiste a commentare, sia pur con piglio erudito, quel che è stato detto dagli altri, senza interrogarsi su quel che i “grandi padri” ci avrebbero invitato a pensare, limitandosi cioè a dimostrare ai colleghi che hanno letto molti libri, che conoscono tutta la letteratura critica su un autore, e che fare filosofia significa semplicemente sapere quello che si è detto nel passato. Saperlo chiosare, spiegare — come se si potesse spiegare qualcosa senza problematizzarla; senza farla diventare un “nostro problema”, una questione che continua a interrogarci e che pretende anche da noi una risposta — sia pur in dialogo con le grandi testimonianze del passato. Fare filosofia non significa fare chiacchera; e neppure dire le proprie opinioni, come se fossero in quanto tali interessanti per gli altri. Fare filosofia significa cercare di trasformare in “problema” quel che ci viene consegnato in eredità, e cercare soprattutto di capire se tale consegna ha ancora un senso per noi e per tutti. Se quel che viene detto “sta in piedi”; ma questo significa anzitutto avere il coraggio di chiedersi se sappiamo cosa significhi “stare in piedi”. Cosa significhi cioè episteme (scienza). [...]
MASSIMO DONÀ
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entropiceye · 1 year
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Quando si parla di depressione, di salute mentale, di suicidio, se ne sentono davvero tante di cose dette con leggerezza. Si allude alle persone che combattono costantemente con i loro demoni come a dei deboli, specie se poi l'angoscia diventa insopportabile e non ce la fanno più. Ma direste mai ad un malato di cancro che è debole perché, dopo atroci dolori sceglie di spegnersi con dignità? La depressione è una malattia. Non è pigrizia, non è svogliatezza o inconcludenza, quelli sono solo alcuni dei sintomi, sintomi di un disagio profondo che spesso non affonda unicamente le proprie radici in un contesto, ma ha anche cause organiche che richiedono dei trattamenti FARMACOLOGICI. Quindi smettetela di dire queste cose, di banalizzare tutto con frasi idiote ed inopportune stile: "Pensa positivo" "C'è chi sta peggio!" "Volere è potere" "Cerchi solo attenzioni" "Sei pesante" "Se stai sempre a lamentarti si stancheranno tutti di ascoltarti" "Ma non pensi di esagerare?" "È che te la prendi troppo, devi essere più legger*" Perché no, non è così semplice. Non fate altro che dare addosso a persone che già da sole si distruggono e si colpevolizzano ogni giorno per qualsiasi cosa, contribuite soltanto a svalutare il loro disagio e ad inibirle, non capendo che aprirsi e chiedere aiuto, specie quando ti detesti e pensi di non meritarlo, è una cosa dannatamente difficile. Poi succede l'irreparabile e vi tormentate, vi domandate perché non l'abbiate capito o perché quella persona non abbia detto nulla, non abbia lasciato intendere niente. Magari siete voi che avete scelto di non vedere, che avete dato un colpo di scopa alla scia di briciole che quella persona vi ha lasciato. Questo è un estratto di una delle ultime interviste di Chester Bennington, il cantante dei Linkin Park che si è tolto la vita nel 2017. Qui parla della sua mente, definendola "un quartiere malfamato" un posto pericoloso dove non ci si dovrebbe aggirare da soli. A me sembra così chiaro, eppure lo stesso intervistatore si abbandona ad una risata. Prosegue spiegando che la sua mente è davvero un luogo folle, dove ogni pensiero è volto a buttarlo giù, a farlo soffrire, a spingerlo ad azioni auto-sabotanti e distruttive. Che quando riesce a pensare meno, a concentrarsi sull'esterno, va meglio, ma una volta che ritorna ad essere solo con se stesso, ricomincia anche questo ciclo di sofferenza. Immaginate di dover convivere con una testa che funziona così. Perché ci si impara a convivere, non si guarisce magicamente. Pensereste ancora che le persone che soffrono, che investono su se stesse con le cure e la terapia, siano deboli? Imparate ad ascoltare, a sentire davvero quello che una persona dice, quando sceglie di aprirsi con voi, perché per qualcuno potrebbe fare la differenza. Non dovete dare nessun consiglio, dovete solamente esserci, accogliere il disagio di quella persona, senza svalutarlo o giudicarlo. Non abbiate paura di chiedere cosa potreste fare per farla sentire meglio, perché improvvisare non sempre è la scelta migliore.
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marcoleopa · 1 year
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Prefetto Piantedosi
Avete mai provato fastidio nell’ascoltare il chiacchiericcio di chi, pur avendo l’opportunità di stare in silenzio, invece, straparla senza riflettere?
Non è soltanto la sensazione di incomodo che procura, piuttosto di malessere, di profondo disagio, se non nausea.
Già nel recente tragico passato bellico e, post bellico, quando le coscienze iniziarono a comprendere cosa era realmente accaduto, lontano dai fasti propagandistici delle adunate di p.zza Venezia e le scenografie di Albert Speer in quel di Norimberga, un saggio, più di altri, descrisse la dissennatezza di quel periodo, non concentrandosi però solo sulle atrocità commesse, ma, sulla banalità del e sul male. 
A.D. febbraio 2023 - 78 anni dopo; quando il prefetto Piantedosi, reggente del pensiero salviniano al Viminale descrive i disperati del mare come “carichi residuali” e, durante le ricerche in corso - dei dispersi del naufragio di Cutro, afferma “che la disperazione non giustifica viaggi che mettano a rischio i figli”, nel tentativo miserrimo di autoassolversi dopo aver proposto e fatto votare il decreto ONG, è esattamente come quei burocrati del Reich, ossia, "terribilmente normale", nel banalizzare il male, incapace di comprendere gli effetti della propria azione legislativa, impedito nella riflessione sugli ordini ricevuti nel consiglio dei ministri della linea dura - acchiappa consensi.
E’ palese che trattasi di ometto dal pensiero limitato, mero esecutore di comandi, terribilmente normale nel giustificare la propria disumanità.
E’ altrettanto palese che, non può ricoprire il ruolo istituzionale di ministro dell’Interno.
Che squallore.
p.s. Digos&co, conoscete il mio indirizzo e l’iP.  
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