L'arte fotografica di Mario Giacomelli a Palazzo Merulana
di Licia Maione
--- Giovedì 29 novembre, in via Merulana 121, a Roma, presso la splendida cornice dell’imponente struttura in stile umbertino di Palazzo Merulana, si è tenuto, nella Sala delle Sculture, il primo del ciclo di incontri, dal titolo Sfizi fotografici, promossi dell’Associazione Faro Fotografia, in collaborazione con il Palazzo Merulana.
La giovane Associazione Faro Fotografia, la quale gestirà anche l’organizzazione del Mese della Fotografia a Roma, che si terrà durante tutto il marzo 2019 e durante il quale la fotografia verrà analizzata in tutti i suoi aspetti, con mostre, talk, photowalk, laboratori, è un’associazione senza scopo di lucro, che riunisce professionisti della fotografia, associazioni, circoli, gallerie, stampatori, docenti, scuole, spazi espositivi, librerie, negozi di fotografia e amatori, operanti sul territorio di Roma, con lo scopo di fare rete per promuovere e divulgare una nuova cultura fotografica attraverso un lavoro quotidiano sul campo.
© Licia Maione, 2018
Per l’apertura delle serate fotografiche è stato scelto uno dei più grandi maestri della fotografia italiana: Mario Giacomelli, in una “lezione” dal titolo: Mario Giacomelli. La figura nera aspetta il bianco (già titolo della mostra inaugurata a Palazzo Braschi, a Roma, nel 2016 e dell’omonimo libro, a cura di Alessandra Mauro, edito nel 2008 da Contrasto Editore), condotta dal fotografo romano Gilberto Maltinti, che ha esordito con le seguenti parole: «Ho scelto Mario Giacomelli, perché quando mi sono accostato per la prima volta alla fotografia, allorché avevo trent’anni, ho cominciato proprio da lui. È da lui che inizia tutto». L’incontro cade, quindi, a pochi giorni dall’anniversario della scomparsa del fotografo di Senigallia, avvenuta il 25 novembre del 2000 e da poco celebrata, nell’ambito dell’evento commemorativo, organizzato dalla nipote dell’artista e curatrice dell’Archivio Mario Giacomelli – Rita Giacomelli, Katiuscia Biondi, svoltosi ad Ascoli Piceno, il 25 novembre 2018, nell’auditorium del Polo Sant’Agostino, presso la Galleria d’Arte Contemporanea Osvaldo Licini, dove il 15 settembre era stata inaugurata la mostra Mario Giacomelli. Nell’infinito, dentro la materia, visitabile fino al 6 gennaio 2019. Nell’evento sono stati proiettati il video di Antonio Rossi (intervista a Mario Giacomelli, in occasione della mostra Bando, XVII Biennale d’arte contemporanea di Alatri, 1999), e il film-documentario Mi ricordo Mario Giacomelli del regista Lorenzo Cicconi Massi, edito da Contrasto.
Da Ascoli a Roma, Giacomelli continua a stregare il suo pubblico che, accorso in massa anche a Palazzo Merulana, immerso nel fascino delle sculture e dell’opere d’arte del luogo, ha potuto godere della visione dei suoi celebri scatti in bianco e nero e delle appassionate spiegazioni fornite in merito, da Gilberto Maltinti. Il pubblico, neofita o esperto che fosse, è stato condotto in un viaggio, iniziato con i primissimi scatti di Giacomelli, tra cui la prima fotografia in assoluto, intitolata L’approdo, scattata il giorno della vigilia di Natale del 1953 con la sua prima macchina fotografica Comet Bencini, nonché i primi ritratti ai familiari: alla madre, alla moglie Anna, fatti mettere in posa, come attori e che ricordano per il realismo ritrattistico certe foto di Edward Weston, Henry Cartier Bresson e Tina Modotti, i nudi, le nature morte, dall’evidente influenza pittorica che rimanda a Morandi, Casorati, Monet e Modigliani e Cézanne.
Il percorso è poi continuato con l’analisi delle varie raccolte fotografiche, scelte secondo il gusto di Maltinti, senza la ricerca di una necessaria successione cronologica, ma semmai tematica; con un po’ di timore, per la crudezza delle immagini, sono stati mostrati gli scatti della serie Vita d’Ospizio (1954/56) (foto scattate presso l’ospizio Opera Pia Mastai Ferretti di Senigallia, dove lavorava da giovane la madre dell’artista, rimasta vedova). Serie successivamente ripresa, con una seconda visita all’ospizio nel 1966/68 da cui nasce Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, da una poesia di Pavese, lavoro servito a Giacomelli per esorcizzare la sua paura della morte, della vecchiaia, del decadimento.
Mario Giacomelli, da Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, 1966/1968 (© Eredi Mario Giacomelli)
Maltinti ha poi proseguito con altri “malati”: quelli di Lourdes, per i quali Giacomelli ricevette un vero e proprio incarico che, tuttavia, non riuscì a portare a termine, scattando solo tre rullini (sono i famosi lettini che salgono verso l’infinito o la distesa di malati che aspettano la benedizione). Il dolore di questi giovani, ancora pieni di speranza, sconvolse l’autore a tal punto da impedirgli di proseguire a fotografare il loro dolore sicché Giacomelli decise di andarsene, restituendo il compenso anticipatogli (ma ritornerà in seguito, riuscendo, finalmente ad avvicinarsi alla sofferenza e scattando dei primi piani di ammalati in carrozzella).
Maltinti ha sottolineato in questo lavoro la scelta dell’autore, poi spesso ripetuta, di utilizzare bianchi bruciati e neri bucati, un contrasto esasperato di vita e di morte, che ha reso Giacomelli così caratteristico. Questa tecnica, infatti, si fa particolarmente evidente nelle due sue serie più celebri: Scanno e Io non ho mani che accarezzino il volto, meglio nota, ai più, come Pretini.
Mario Giacomelli, da Io non ho mani che mi accarezzino il volto, 1961/1963 (© Eredi Mario Giacomelli)
Dopo essersi soffermato sui colpi di flash che Giacomelli dà sui suoi soggetti e sulla scelta di tempi lenti, per creare l’effetto del mosso e fare entrare la luce ambiente, nonché sull’ardua e affascinante tecnica della doppia esposizione, Maltinti ha sottolineato come, a quest’altezza, si assista alla consacrazione della fama di Giacomelli, dato che nel 1964 l’allora direttore del dipartimento di fotografia del MoMa di New York, Jhon Szarkowosky acquisì l’intera serie dedicata a Scanno e alcune foto dei Pretini e organizzò una mostra The photographer’s Eye, da cui nacque il volume Looking at photographs, sui cento fotografi più importanti nel mondo, tra cui appunto anche Mario Giacomelli. Il contrasto delle vesti nere dei pretini e la neve bianca, così come quello delle vecchiette abruzzesi vestite di nero che camminano per strade inesistenti, come fasci di luce, o del famoso bambino di Scanno avvolto da una sorta di aura, sono destinate ad entrare nel patrimonio collettivo di ognuno di noi.
Mario Giacomelli, da Scanno, 1957/1959 (© Eredi Mario Giacomelli)
Maltinti ha poi passato in rassegna tante altre serie: i credenti che passano la notte nel Santuario di Loreto in attesa dell’apparizione della Madonna; gli animali scannati di Mattatoio con i loro urli di dolore; Un uomo, una donna, un amore, che ritrae i momenti felici di una coppia di giovani che vivono spensierati il loro amore nel contesto agreste della campagna marchigiana; l’indagine sulla Puglia, con gli scatti quasi reportagistici, che risentono dell’influenza sociologica di Crocenzi e che, non per nulla, gli valse la richiesta di Vittorini del celebre scatto Gente del sud per l’edizione inglese di Conversazione in Sicilia per le edizioni Penguin Book; La buona terra, frutto dell’esperienza vissuta a contatto per tre anni con una famiglia allargata di contadini marchigiana, della quale ritrasse i momenti più salienti: il raccolto, la semina, la vendemmia, persino un matrimonio; i paesaggi marchigiani, sempre inerenti al rapporto con la terra, dapprima intitolati Storie di Terra o solo Paesaggi e solo successivamente Metamorfosi della terra e Presenza di coscienza sulla natura, sui cambiamenti avvenuti nella gestione della terra, non più caratterizzata dalla sistema di rotazione delle colture, ma dallo sfruttamento intensivo, in cui i paesaggi, scattati da una collina all’altra, come possibile per la verticalità della collina marchigiana, o dall’ aereo di un suo amico, divengono via via più astratti (Giacomelli giunse a chiedere ai contadini di arare in modo da creare determinati disegni e linee, allo scopo di raffigurare quasi dei graffi, impressi sulla superficie, ossia le ferite della Madre-Terra, violentata per mano dell’uomo.
Mario Giacomelli, Metamorfosi della terra, anni ’70 (© Eredi Mario Giacomelli)
Si tratta di un intervento che, per certi versi, è stato considerato simile a quello della moderna Land Art). La serie dei paesaggi è poi proseguita, spostandosi dalle colline al mare, con Il mare dei miei racconti, con fotografie aeree che immortalano i bagnanti sulla spiaggia, schiacciandoli fino a farli diventare delle semplici masse, con quella veste grafica e pittorica tipica dell’autore. Maltinti ha concluso l’incontro parlando delle serie L’infinito e A Silvia, espliciti omaggi all’amato poeta marchigiano, suo conterraneo, Giacomo Leopardi e ricordando che la serie A Silvia, che comprende fotografie scattate presso Casa Leopardi e in parte all’orfanatrofio di Senigallia, gli era stata commissionata con una vera e propria sceneggiatura da Crocenzi per la Rai, per il programma Telescuola.
Per tutto l’incontro, Maltinti ha accompagnato la visione delle fotografie con la lettura di brevi passi, molti dei quali tratti dalla fedele trascrizione che Simona Guerra ha fatto e poi raccolto nel libro La mia vita intera, della lunga registrazione audio (più di sette ore di conversazione), nella quale Giacomelli ripercorre la propria vita, raccontandosi, in occasione di quella che doveva essere la sua più grande mostra: quella a Palazzo delle Esposizioni, a Roma, tenutasi il 7 febbraio del 2001, all’indomani della sua morte: è stato come ascoltare direttamente la voce calda e i pensieri sognanti di Giacomelli.
In conclusione il relatore, pur non avendo ovviamente potuto approfondire l’intera produzione di Giacomelli, per la quale non basterebbero, forse, neppure i tre incontri successivi di questo ciclo di lezioni, è riuscito a cogliere e trasmettere al pubblico l’aspetto più importante dell’Autore, quello di un uomo semplice e singolare allo stesso tempo, che sfugge a qualsiasi etichetta: fotografo, artigiano, tipografo, pittore, poeta, contadino, in una parola, artista, con tutta la sua sensibilità e la capacità di riuscire a trasmettere le proprie emozioni come ebbe chiaramente a dire: «Per me è importante raccontare le cose che mi hanno dato un’emozione e che camminano parallele alla poesia, quelle che ho provato, quelle che ho sentito…Io non documento, ma racconto; non voglio documentare niente, tant’è vero che non mi interessa che le mie foto vengano capite, mi preme che vengano interpretate!…».
© Licia Maione, 2018
L’iniziativa di questo ciclo di lezioni fotografiche si inserisce nel più ampio progetto culturale, avviato in seguito alla recente riapertura di Palazzo Merulana, ex-Ufficio di Igiene, avvenuta lo scorso 11 maggio 2018, dopo un vuoto urbano di quasi vent’anni, grazie alla sinergia di forze e comunione di intenti tra la Fondazione Elena e Claudio Cerasi e CoopCulture. L’idea è quella di concepire il Palazzo, non solo come un semplice luogo espositivo, dove poter ammirare, nelle due sale poste al secondo e al terzo piano, i capolavori di De Chirico, Depero, Mafai, Donghi, Capogrossi, Balla, Sironi, Schifano, Scipione, Antonietta Rahaël e Fausto Pirandello, ma uno luogo, fucina di arte, in cui trovino spazio varie tipologie di eventi culturali, come: letture, presentazioni di libri, spettacoli, incontri con autori e scrittori, grandi personalità dell’arte contemporanea, mostre fotografiche ecc., momenti di formazione e di rivalorizzazione di un patrimonio artistico comune, che diventi occasione di incontro e dialogo tra i cittadini, da gustare, magari in compagnia di un buon caffè o, per gli amanti degli aperitivi, di frizzanti bollicine. Al quarto piano del Palazzo si trova, infatti, l’Attico, uno spazio che verrà deputato proprio a tali scopi, mentre all’ultimo vi è una terrazza panoramica.
Non resta che aspettare i prossimi appuntamenti a Palazzo Merulana che si svolgeranno ogni giovedì del mese dal 29 novembre 2018 al 7 febbraio 2019, dalle ore 18.00 alle 21, con il seguente calendario: il 20 dicembre Alex Mezzenga, con Fotoreportage e Street Photography, Differenze e similitudini, il 17 gennaio Maria Gianni Pinnizzotto, con L’architettura di un reportage - Come pensare, ideare e realizzare un reportage fotografico, il 7 febbraio Cristiana Valeri con Gordon Parks - Eve Arnold.
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