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#Strade Bianche Libri
enrico66m · 1 month
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klimt7 · 3 months
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[ Un piccolo estratto / 19 gennaio 2024 ]
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Arrivi sul velluto delle parole.
Ho comprato un bel quaderno per poterti parlare. La copertina non ti piacerebbe un granchè. C'è una fotografia azzurra: due ragazze accanto alle loro biciclette, la strada di campagna, una curva dolce, la sera che scende verso un altrove di pioggia estiva. Tu diresti che è un pò leziosa ma non è esattamente il colore di queste parole che scrivo.
Uso una penna a punta grossa, con le note musicali disegnate sul cappuccio bianco. Scrivo per la musica dei tuoi giorni feriti, una piccola musica a inchiostro blu, graffi sul tempo.
A computer non potrei raccontarti. Ma qui sulla carta a quadretti piccoli, le lettere si uniscono, si separano, è un percorso che mette il cuore in gola, pause bianche e istanti di te, il filo di una vita che non sapevo, al tempo dell'unione dei nostri corpi.
Perchè noi facevamo l'amore e io credevo di toccarti nel cuore della vita, e poi me ne andavo, tutto solo, per le strade di Rouen.
Più tardi scendeva la sera, i caffè biondi si accendevano a poco a poco, facili tepori sgranati lungo il sagrato freddo della nuova cattedrale, arco di pietra e cemento gettato su un domani durissimo, dove il desiderio si scontra con il cielo della notte. Restavo lì sul sagrato. Il desiderio blu non poteva reggere nel tepore facile dei caffè. Restavo lì, tra due rive, insieme al tempo svuotato e notturno che da le vertigini.
Non leggerai mai queste pagine scritte in una scuola tranquilla nel vento umido d'autunno.
Forse sono solo per me, per averti ancora un pò, è la prima volta che ti tengo nel mio habitat, la prima volta che arrivi al ritmo del mio passo.
Qui i boschi si infittiscono e ti tengo nella mia vallata tra lo studio e la merenda.  Sei nelle poesie di Cadou che i bambini recitano come una cantilena...
     Ti raggiungerò Helène
     attraverso le praterie
     attraverso i mattini di gelo e di luce...
Imparo a parlarti nel silenzio di una scuola.
Sai non c'è solo l'insolenza della felicità.
Anche nella tristezza, alla fine, tutto sembra facile ed è così semplice, assomigliarsi.
Il mondo si addomestica. Di colpo ne fai quel che vuoi.
La casetta annessa alla scuola era abbandonata da dieci anni. Il sindaco di Saint-Laurent-des-Bois, Monsieur Savy, me l'aveva detto: "Sa per qualche anno abbiamo avuto soprattutto signorine giovani! Tutte sole, in questa casa non si sentono sicure e certo non si divertono granchè. In genere preferiscono abitare a Rouen. Lì possono uscire..."
Era settembre, il primo pomeriggio. La scuola somigliava alle scuole d'una volta, un pò arretrata rispetto al paese, sulla stradina che scende verso la chiesa e il centro. La casa del maestro al piano terra non è molto grande ma c'è un caminetto in ogni stanza.
Ho messo le mie lampade da tavolo, i libri, il calore della chitarra e dei tuoi album.
Nel mio inverno, nel silenzio delle lampade morbide, ti aspetto.
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Te ne sei andata troppo presto. La gente iniziava ad apprezzare cose più leggere.
A nessuno piaceva più, chi si sbranava davanti a loro, le urla acide di disperazione, gli sputi sul niente.
Era il tempo del cioccolato, nella tua cucina con le tendine bianche e rosse. Allora le cucine piacevano, si sta meglio giusto un pò di lato, a margine della felicità, e senza osare dirlo. 
Tu facevi dolci marmorizzati cioccolato e limone, io prendevo la chitarra e le canzoni arrivavano, limone amaro e cioccolato, caldo e freddo, felicità-pazienza.
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Un pomeriggo verrai a scuola. I bambini non saranno sorpresi, ti accoglieranno come una sorella più grande, come un'amica lontana, in un giorno di pioggia nella monotonia autunnale delle aule.
Poserai il mantello su un banco, i tuoi capelli lunghi bagnati diranno le strade attaversate, la frescura dei paesi.
Sceglierai un libro dall'armadio. Noi staremo zitti, perchè tu vorrai leggere una storia, un racconto d'altri tempi.
La storia sembrerà tutta nuova, e la tua voce grave s'innalzerà su di noi come una pioggia dolcissima che si interrompe all'ora di cena. La storia sarà triste, la piccola fiammiferaia, e i sogni di luce bruceranno  la sua vita fragile e bianca. I sogni sono troppo forti, e prenderai Armelle per mano.
Io sarò sguardo, un'ombra nel cuore di quel palazzo d'infanzia. La notte scenderà presto, è già la fine d'ottobre e l'inizio d'un sortilegio blu d'inverno. Porterai la mia classe alla soglia dell'inverno, su sentieri d'altrove.
Ci sarà qualche domanda. Risponderai molto lentamente, quasi a lato della loro attesa.
Loro non conosceranno il tuo paese, forse solo il tuo nome, che ripeteranno, sillabe di mistero, dal gusto di racconto e villaggio sotto la pioggia.
Canteranno per te Tout Bas-Tout Bas, ninna nanna sulle immagini di Andersen, con il capitano di legno che dice :"Passate, prego. Passate!"
Passate, il sogno è là, passate sull'altra riva con l'amica lontana e il suo mantello inzuppato.
Io l'aspettavo, bambino, nelle lezioni di noia, all'ora dello studio. Lei non arrivava mai dormiva nei miei libri, febbre di racconti impossibile dolcezza.
In questa sera d'ottobre sarà là, in fondo al tuo sguardo come una febbre eterna.
Custodisco il tuo nome, che non ti racconterebbe.
La tua morte ha richiuso per me quel nome che non ti  racchiude più, perchè?
Avevo steso il mal di te  al fondo di due sillabe.
Ma tu sei più vaga, un nome leggero che non ti racconta.
Sei tu nell'ombra dei tigli e nelle risate dei bambini, negli sguardi che fuggono dalla finestra, nella freschezza dell'acqua quando c'è Disegno. 
Ho mostrato i tuoi album ai miei scolari, non ho detto che ti conoscevo...
Quando al mattino uscivi per andare a scuola in square Carpeaux, una voce ti chiamava. 
Ti rivedo.
Ti volti, vivace, la cartella sulla spalla. Hai un grembiule ricamato a quadretti bianchi e azzurri. Quel nome, gettato nella piazza d'aprile è il tuo, perchè volti la testa, il caschetto dei tuoi capelli ondeggia, e tu hai i gesti vivi e lo sguardo dolcissimo. Nathalie ti corre incontro. L'aspetti. In equilibrio su un piede solo, ti sistemi la calza, la cartella si china con la tua schiena.
Andate a scuola, laggiù, poco lontano, in un sobborgo di Parigi.
Ci sono grandi silenzi nella mia classe, come il rito dei dettati... Leggo molto lentamente, passando tra le file, talvolta mi fermo.
"Alain, dove sei rimasto? Rileggo per Alain...Punto. Fine del dettato...Scrivo il nome dell'autore alla lavagna..."
Penso un poco a ciò che faccio, durante la prima lettura. Ma dopo... Rileggo una volta per la punteggiatura, un'altra per il senso.
In quel momento, nel silenzio, tutti mantengono una parvenza di serietà, ma le parole se ne vanno un pò più lontano, lungo le vie dell'inchiostro blu.
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Il sabato, dopo la ricreazione delle dieci, ogni scolaro va al rubinetto per riempire il vasetto di yogurt. E' l'ora del Disegno.
Fuori, l'estate sonnecchia ancora  al sole biondo di fine settembre. Dentro profumo di acquerello bagnato. E un pò di trambusto.
"Maestro, posso andare a cambiare l'acqua?"  Tengo la brava infanzia al fondo delle ore dimenticate, quando mezzogiorno non arriva, quando i colori impallidiscono sui fogli inzuppati e i mormorii si spengono.
Tutta l'infanzia è lì.
Fuori, un paese approssimato, niente più grida, niente giochi, i vecchi si parlano lentamente, il tempo sembra più lungo.
Laggiù vicino alla Risle, Madame Dubois stende le lenzuola in un giardino troppo nudo, il tempo non passa.
[...]
Sono da te , questa sera, oltre i paesi, oltre l'oblunga dolcezza delle vallate. La mia vita si addormenta al fondo della tua assenza: mi sono colato addosso questa vallata per tenerti con me, per metterti sulla carta fino in fondo.
Nella pace di un paese e di una scuola, ti imparo.
C'è questo quaderno, su un banco di scolaro; ti scrivo la mia memoria.
Sono qui a metterti per iscritto, a colpi di penna, a colpi di passato: è la mia vita, il riflesso della tua memoria disegnata.
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lunamagicablu · 1 year
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Il vento del Natale ritornò. Lontano aveva vagato, guardato e fischiato.Si era allargato su vaste terre oscure, aveva arruffato il pelo di animalucci alla ricerca di una tana sicura, si era inchinato all’invito delle vecchie querce che, come sempre, gli offrivano ospitalità tra i pesanti rami frondosi.Le foglie vibrarono al tocco dell’ospite. Lo salutarono liete, cercando di rallegrarlo perché di anno in anno, di lustro in lustro, quel vento aveva perso la musicale leggerezza della sua natura.Non risuonava più di allegri cori infantili, non trasportava il suono argenteo dei campanelli appesi al collo di animali fatati, non si increspava nelle onde sonore dei colpi dell’ ascia sui ciocchi.Non profumava più di zuppe ribollenti in paioli di rame, incendiati dalle fiamme dei camini e dalla gioia dei tanti che, in quel periodo dell’anno, imbandivano cene sostanziose e gioivano del riflesso rosso del vino buono, conservato per le occasioni speciali.Il Vento del Natale era triste e stanco. Avrebbe voluto dormire per tutto l’inverno nel verde delle querce, riposare insieme agli scoiattoli, tra le loro montagnelle di ghiande, negli incavi degli ospitali tronchi.Ma doveva andare. Era il suo lavoro.Di controvoglia arrivò nel cielo sulla grande città, e fece dondolare le luminarie che sfidavano con stolida arroganza il brillio del firmamento.Volò alto su palazzi e grattacieli e sbatté il viso contro antenne, trasmettitori e torri cariche di ripetitori.Ferito, scese in basso e si infilò tra i passanti che affollavano le strade con indolente lentezza.Formavano un fiume pigro, dal quale deviavano piccoli e continui rivoli che si infilavano nei negozi e nel quale se ne inserivano altri, un po’ intralciati da grossi pacchi colorati.Il Vento giunse sulla Strada Grande, dove locali di ogni tipo erano stipati di un Popolo alla ricerca di cibi sofisticati, di alcolici esclusivi, di dolci raffinati, di musica assordante, di danze sudate.Dopo la piazza, la Strada Stretta, meno illuminata, era presa d’assalto da un altro Popolo. Qui i locali erano più modesti, il cibo alquanto rozzo. Gli avventori, su di giri, ondeggiavano nei fumi di alcolici a basso costo e ad alta gradazione.Eppure questi e quelli, separati da una piazza, formavano un unico Popolo edonista e narcisista. E si somigliavano tutti: gli stessi sorrisi vuoti, gli stessi gesti stereotipati.Il Vento sostò un po’ su un filare di luci bianche e blu.Si dondolò ancorandosi ai led a forma di abete, chiuse le sue ali possenti e, guardando in basso, osservò confuso la frenesia della folla e il traffico impazzito sul nastro stradale. Si sentì a disagio, fuori posto, come un vecchio spolverino, non più apprezzato ed esiliato in soffitta.Allora concentrò il pensiero sugli amici semi che sopportavano il gelo della terra in attesa del risveglio; pensò, allo sforzo delle care foglie di sostenere il peso dei ghiaccioli di brina, ricordò il volo faticoso degli uccelli nell’aria appesantita dalla neve.Il Vento lasciò la luminosa altalena e si inoltrò in strade buie. Si infilò sibilando negli infissi delle case fatiscenti abitate dal Popolo degli Inferiori, dove il Natale non era che occasione di malinconia.Ma quella tristezza non era figlia della memoria di Natali densi d’allegria. No. Era solo il frutto di una rabbia cupa e di un insopportabile senso di esclusione. Ammassato in stanze anguste, quest’altro Popolo sognava rivoluzioni per capovolgere il mondo.Immaginava il piacere di annientare Quelli del centro, escogitava piani per cacciarli dai tavoli, dai negozi, dai grattacieli, per prenderne il posto. Fantasticava di vivere esattamente come loro, di andare in vacanza, vestire alla moda, possedere gli ultimissimi modelli di ogni cosa, insomma, di dare un senso alla vita.Il Vento del Natale si infilò allora sotto le pesanti porte di una vecchia Biblioteca in disuso. Scivolò lieve tra filari di libri, sollevando aliti di polvere. Scelse un volume e si perse sognante in storie di altri tempi.Si nutrì delle emozioni di uomini, donne e bambini intenti a costruire simboli natalizi e immaginò le vibrazioni delle penne piumate che avevano descritto, su fogli spessi, le azioni, i pensieri e i sentimenti di un Popolo umano.La luce del sole filtrò attraverso i finestroni dell’edificio, e sorprese quello strano lettore addormentato, col viso chino sulle curve di un romanzo aperto a metà.Il Vento del Natale si scrollò dalla mente i sogni della notte e si avvicinò alla grande vetrata. Osservò le strade, la folla che impazzava, le luci ancora accese ovunque.Non fu un bel risveglio.Sgusciò rapido attraverso un vetro rotto. Attraversò la città e tornò tra le rassicuranti fronde delle querce antiche.Il fogliame lo accolse in una culla comoda e avvolgente .Come un bimbo, il Vento cadde in un torpore dolce e profumato.Non si accorse dei preparativi che l’amico bosco si stava affrettando ad organizzare, per fargli una sorpresa.Al tramonto, l’usignolo intonò note delicate che gli entrarono nell’anima.Il Vento del Natale lasciò il verde giaciglio, dispiegò le ali e soffiò mulinelli di luce dorata intorno ai grossi tronchi: il suo dono agli alberi prima di andar via. Ma mentre stava per spiccare il balzo, improvvisa la Luna si gonfiò e sparse fili d’argento sugli alberi, sui cespugli e sul muschio spugnoso che si infilava ovunque.Fu in quel perlato riverbero che folletti e fate uscirono dalle loro case segrete. Si presero per mano e volteggiarono nel bosco.Girotondi d’allegria, al ritmo di canti natalizi, scolpirono la notte.Interrompendo il pigro sonno, ghiri, tassi, marmotte e tutti gli abitanti del bosco si unirono alla festa. La natura intera si fuse con le note della gioia.Il Vento, commosso, allungò le possenti braccia e si mise a dirigere quell’orchestra da favola, al ritmo del suo cuore che da tanto tempo non batteva così lieto.E fu Natale.Lontano, oltre i monti, il chiasso dei Popoli continuò a urlare le parole del silenzio.
CINZIA ANNA TULLO
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The wind of Christmas returned. Far away he had wandered, watched and whistled.He had spread over vast dark lands, he had ruffled the fur of small animals in search of a safe den, he had bowed to the invitation of the old oaks which, as always, offered him hospitality among the heavy leafy branches.The leaves vibrated at the touch of the host. They greeted him happily, trying to cheer him up because from year to year, from five years, that wind had lost the musical lightness of his nature.It no longer resounded with cheerful childish choirs, it did not carry the silvery sound of bells hung around the necks of fairy animals, it did not ripple in the sound waves of the blows of the ax on the logs.He no longer smelled of boiling soups in copper pots, set on fire by the flames of the fireplaces and by the joy of the many who, at that time of the year, cooked hearty dinners and rejoiced in the red reflection of good wine, kept for special occasions.The Wind of Christmas was sad and tired. He would have liked to sleep all winter in the green oaks, rest together with the squirrels, among their mounds of acorns, in the hollows of the hospitable trunks.But he had to go. It was his job.He reluctantly arrived in the sky over the great city, and made the lights swing that challenged the glitter of the firmament with stolid arrogance.He flew high over buildings and skyscrapers and slammed his face against antennas, transmitters and towers loaded with repeaters.Wounded, he went downstairs and slipped among the passers-by who crowded the streets with indolent slowness.They formed a lazy river, from which small and continuous rivulets diverted and flowed into the shops and into which others entered, somewhat hampered by large colored parcels.The Wind arrived on the Strada Grande, where places of all kinds were crammed with a People in search of sophisticated foods, exclusive spirits, refined sweets, deafening music, sweaty dances.After the square, the Strada Stretta, less lit, was overrun by another people. Here the premises were more modest, the food somewhat crude. The high-spirited patrons swayed in the fumes of cheap, high-proof spirits.Yet these and those, separated by a square, formed a single hedonistic and narcissistic People. And they all looked alike: the same empty smiles, the same stereotypical gestures.The Wind paused for a while on a row of blue and white lights.He swayed anchoring himself to the fir-shaped LEDs, closed his mighty wings and, looking down, confusedly observed the frenzy of the crowd and the crazy traffic on the road strip. He felt uncomfortable, out of place, like an old duster, no longer appreciated and exiled to the attic.Then he focused his thoughts on the semi friends who endured the frost of the earth waiting for the awakening; he thought, of the effort of the dear leaves to support the weight of the icicles of frost, he remembered the tiring flight of birds in the air heavy with snow.The Wind left the bright swing and entered the dark streets. He slipped hissing through the window frames of the dilapidated houses inhabited by the Popolo degli Inferiori, where Christmas was nothing but an occasion for melancholy.But that sadness was not the daughter of the memory of Christmases full of joy. No. It was just the fruit of a dark rage and an unbearable sense of exclusion. Crowded into cramped rooms, these other People dreamed of revolutions to turn the world upside down.He imagined the pleasure of annihilating Those in the center, he devised plans to drive them off the tables, from the shops, from the skyscrapers, to take their place. He fantasized about living exactly like them, going on vacation, dressing in fashion, owning the latest models of everything, in short, giving meaning to life.The Wind of Christmas then slipped under the heavy doors of an old disused library. He glided lightly between rows of books, kicking up dust. He chose a volume and dreamily lost himself in stories of other times.He fed on the emotions of men, women and children intent on building Christmas symbols and imagined the vibrations of feathered pens that had described, on thick sheets, the actions, thoughts and feelings of a human People.The sunlight filtered through the large windows of the building, and surprised that strange reader asleep, with his face bent over the curves of a half-open novel.The Wind of Christmas shook his mind from the dreams of the night and approached the large window. He watched the streets, the crowds going wild, the lights still on everywhere.It wasn't a nice awakening.He slipped quickly through broken glass. He crossed the city and returned to the reassuring branches of the ancient oaks.The foliage welcomed him in a comfortable and enveloping cradle.Like a child, the Wind fell into a sweet and perfumed torpor.He didn't notice the preparations that his friend Bosco was rushing to organize, to surprise him.At sunset, the nightingale sang delicate notes that entered his soul.The Christmas Wind left the green bed, spread its wings and blew whirlpools of golden light around the big trunks: his gift to the trees before going away. But as he was about to leap, the moon suddenly swelled and scattered silver threads on the trees, bushes and spongy moss that slipped everywhere.It was into that pearly glare that goblins and fairies came out of their secret homes. They joined hands and whirled through the woods.Merry roundabouts, to the rhythm of Christmas carols, sculpted the night.Interrupting the lazy sleep, dormice, badgers, marmots and all the inhabitants of the forest joined the party. All nature merged with the notes of joy.Moved, the Wind stretched out his mighty arms and began to direct that fairy-tale orchestra, to the rhythm of his heart which hadn't beat so happily for a long time.And it was Christmas.Far beyond the mountains, the noise of the Peoples continued to scream the words of silence.
CINZIA ANNA TULLO
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lamilanomagazine · 1 year
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TAO, il cantautore rock insegue il profumo della libertà
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TAO, il cantautore rock insegue il profumo della libertà. Fuori il singolo "The Scent of Freedom", e il nuovo Album "Freedhome". L’instancabile cantauto-rocker e polistrumentista TAO, a distanza di quattro anni dal precedente episodio discografico, pubblica il singolo ‘The Scent of Freedom’ e il nuovo album ‘Freedhome’, entrambi in uscita Venerdì 9 Dicembre su tutte le piattaforme digitali, in formato CD e Vinile. Momentaneamente spenti i motori del suo Love Bus, dopo un interminabile tour fatto di 1.100 shows tra festival e piazze, toccando oltre 800 località italiane ed europee, percorrendo la bellezza di 160.000 km (guarda qui: shorturl.at/isCDN), TAO si è dedicato alla produzione del nuovo album suonando ogni strumento presente nelle incisioni: voci, chitarre elettriche ed acustiche, basso, banjo, bouzouki, mandolino, batteria, percussioni, piano e arrangiamenti archi, accompagnato da ANA, sua musa ispiratrice nonché voce in tutte le canzoni e banjo player in alcune tracce del disco. THE SCENT OF FREEDOM È con il singolo ‘The Scent of Freedom’, accompagnato dal videoclip, che TAO canta l'infanzia di ANA, vissuta in un villaggio sperduto nelle campagne "ad Est dell'Eden". Una vita semplice ma troppo dura per essere sopportata. Ne seguirà la sua partenza da casa per inseguire il profumo della libertà - The Scent of Freedom appunto – con davanti agli occhi lo sguardo struggente di sua madre che la lascia andare, consapevole che non si sarebbero viste mai più. Impara che la libertà non vale nulla senza l'Amore. Disperata per non poter più riabbracciare sua madre, sa che il profumo d'aprile di quei campi lontani ad Est dell'Eden rimarrà per sempre l'unico vero ‘profumo della sua libertà’. TAO dichiara: «“Tra i 15 brani dell’album “Freedhome” ho scelto “The Scent of Freedom” per amore, perché è una storia vera, la storia della mia compagna di vita da venti anni, Ana. Ho voluto dare voce ai sentimenti di chi, come lei, ha dovuto lasciare la casa e gli affetti per uscire da una vita piena di difficoltà e di privazioni. Sono quest’ultime, come le affronti e le superi, a determinare la persona che sei. Del resto Ana in soli due anni - durante la pandemia - ha imparato a cantare, suonare il banjo e a registrarlo su disco. E' proprio una tosta!” https://www.youtube.com/watch?v=vjF6eiqPmLI ‘Freedhome‘ è l’ottavo album di TAO, è interamente cantato in lingua inglese e contiene ben 15 canzoni. Con sonorità che si muovono agilmente tra pop, folk, country, rock e americana, è in larga parte ispirato a "Little House on the Prairie", una serie di libri scritti nei primi del Novecento da Laura Ingalls Wilder, dai quali è stata poi tratta la serie tv omonima ‘La Casa nella Prateria’. Un viaggio dove realtà e immaginazione si incontrano dando vita a musiche profonde e a testi personali e potenti. ‘Freedhome’, già dal titolo esprime il concetto: ‘Freedom’ e ‘Home’ sono solo due facce della stessa medaglia. CHI È TAO TAO è un “cantauto-rocker”, polistrumentista e produttore. Da 15 anni è noto per essere l’ideatore della TAO Love Bus Experience, ovvero il primo rock‘n’roll tour itinerante a bordo del TAO Love Bus - il fantastico pulmino Volkswagen del 1974 decorato graficamente ‘hippie style’ e attrezzato come un palco viaggiante. Questo scrigno magico su quattro ruote ha permesso a TAO di suonare al suo interno con l'intera band nonché di diffondere in movimento la sua musica lungo le strade d’Italia e d’Europa. Con 1.100 shows, 800 città toccate, 160.000 km percorsi, tantissimi festivals, rassegne, notti bianche ed eventi prestigiosi, collaborazioni con brand importanti come Volkswagen, Diesel, Benetton TAO e il suo originale tour sono stati immortalati su tutti i canali nazionali - X-Factor, Tg1, Tg3, Tg La7, Blob, Easy Driver, Striscia la Notizia, La vita in Diretta, Italia allo Specchio - e su tantissimi quotidiani nazionali. TAO ha all’attivo otto album: ‘Forlìverpool’ (2005), ‘L’Ultimo James Dean’ (2007), ‘Love Bus / Love Burns’ (2010), ‘Spirit of Rock’ (2012), ‘Between Hope and Desperation’ (2014), ‘Devil in Eden’ (2017), ‘Angel in Hell’ (2018) e con oggi ‘Freedhome’ (2022), oltre ad un film-documentario biografico ‘TAO – Spirit of Rock’. Links: Wikipedia: https://it.wikipedia.org/wiki/TAO_(cantante) Facebook: www.facebook.com/taovox Instagram: www.instagram.com/taovox YouTube: www.youtube.com/taovox TikTok: www.tiktok.com/@taovox Spotify: https://open.spotify.com/artist/2cfREDy0hkhufnuiaXsRQx?si=zJH3q-zDQfWAeN7F54sWZg Sito Web: www.taovox.com... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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faenta-skjebnen · 4 years
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Questa mattina mi sono svegliata prima del solito(come se non fossi già mattineria di mio🙄) e sono uscita per fare una corsetta vicino casa. C’è qualcosa nei compleanni che ci riporta inevitabilmente indietro nel tempo, ai nostri ricordi, ai nostri sogni.E così,nonostante io percorra ogni giorno quelle strade,oggi,si sono mostrate ai miei occhi con una sfumatura differente,un po' ,se vogliamo, come questo cielo.
Ho rivisto la me bambina sfrecciare a 4 anni con la sua amata bicicletta blu e nera senza le rotelle,con molletta e pezzo di carta attaccati al telaio pur di sembrare grande.
Ho rivissuto le innumerevoli cadute con i pattini,le matte corse fatte avanti e indietro pur di dare il giusto vento agli aquiloni,e così lasciarli volare,tra quelle nuvole bianche che tanto mi piacciono, e che continuo a ricercare.
Ho sentito il mio animo cambiare tono,passando da quelle giornate vissute all'insegna della leggerezza a quelle pensierose della me adolescente, con i suoi boccoli ribelli,e le spalle pesate dai libri e dalle disillusioni.
Ho sorriso nel ricordare la me impacciata guidare per la prima volta un'automobile senza nessuno a sorvegliarla,e con quel ricordo, le tante prime volte che hanno costeggiato il mio ingresso nel famigerato mondo dei "grandi".
E così,alla fine di quella corsa,c'é stata per me la bellezza di scoprire che il tempo che passa non è un muro che crolla e non sono gli anni della vita che contano.Ma é la vita che c'è stata negli anni che è la vera ricchezza.E di questo ne sono immensamente grata.
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redargento · 4 years
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Che poi vorrei dirti tante cose, raccontarti della mia serata in centro a Roma, vissuta come nei libri. Faceva caldo, ma in un qualche modo tirava un'aria fresca che mi permetteva di respirare. I sanpietrini neri contro le scarpe di tela bianche, i pantaloncini o il vestito leggero. I capelli probabilmente raccolti in una coda o in uno bun disordinato per evitare di inzupparli di sudore. Ci stanno i ragazzetti che riempiono le strade e in un qualche modo sembrano gli anni 90 in fotografia. Sarà che Roma è eterna e non cambia mai. Il Tevere che un po' fa paura perchè chissà che ci sta dentro, e poi le grattachecche che costano sempre troppo. Gli amici quelli di sempre, o quelli nuovi, gli amici che valgono. E ogni tanto c'hai la sensazione di essere al posto giusto nel momento giusto. Non ti frega se hai litigato con i tuoi o se il resto della vita va a pezzi. Non ti frega perchè stai vivendo i tuoi vent'anni e nulla ti fa davvero paura. Vorrei raccontarti tutto questo e altro pure. Ma la vita, ora come ora, mi sembra ferma, nulla si muove. Nulla ha importanza quando non puoi sederti da qualche parte in una delle viette di Roma a finire di fumare in compagnia. Ti riprometti che tutto tornerà come prima, ma nei sei davvero sicura?
-memorie di una quarantena
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lauioriosblog · 6 years
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Leggete.
Mi rivolgo a quelle persone che hanno un mondo di colori dentro, ma che sono circondati dal grigio. A voi, che durante la lezione riempite fogli bianchi di idee, pensieri, immagini e musica. A voi, che siete diversi ma vi confondete tra gli altri. A voi, che cercate di nascondere il vostro bagliore nella folla, mettendo delle maschere. Il mondo si sta spegnendo, sta diventando monotono e freddo. Io vi chiedo di non nascondervi, di uscire allo scoperto e dimostrare chi siete. Vi chiedo di dipingere le pareti bianche con tonalità accese, di decorare le vostre stanze con i poster dei vostri cantanti preferiti, di riempire il vostro diario di adesivi, di leggere libri che vi piacciono e di fare le scelte che vi rendono felici. Vi chiedo di vivere emozioni, di far battere il vostro cuore. So che non é facile, so che la vostra situazione può non essere delle migliori, ma trovate un punto fisso e stringetelo forte al petto. Vi chiedo di sopravvivere a tutto questo, perché un domani sarete i padroni più totali di questa Terra e di molti altri mondi, i vostri mondi. Vi chiedo di viaggiare tra le stelle, vi chiedo di tuffarvi sulle nuvole, vi chiedo di giocare nel fango e di accarezzare i bambini. Non voltate l'angolo quando vedete qualcuno in difficoltà, o semplicemente quando un gatto nero sta attraversando la strada. Riempite il mondo di persone felici. Piantate un albero nel vostro giardino, o in un vaso sul vostro balcone. Prendetevene cura, dategli un nome e parlateci a tarda sera. Siate totalmente folli, ma siate naturali. Non spegnetevi anche voi, non nascondetevi dietro nessuno. Non fate quello che altri hanno fatto a questo mondo. Siete giovani, forti e fantastici, e ovunque vi troviate sarete a casa semplicemente essendo voi.Vi chiedo di essere donne se vi sentite donne, di essere uomini se vi sentite uomini. Vi chiedo di amare chiunque, indipendentemente dalla cultura, dalla religione, dal paese di provenienza o dall'identità di genere. Soprattutto, però, amate la vostra persona. Guardatevi allo specchio ed amatevi, perché siete bellissimi. Uscite per strada ed urlate chi siete, non abbiatene vergogna. Vi chiedo inoltre di studiare, studiare e studiare. Il mondo ha bisogno di grandi menti, e tutti voi avete i requisiti per esserlo. Potreste essere dislessici, iperattivi, schizofrenici o bipolari: la conoscenza sarà la vostra salvezza. Vi chiedo di essere altruisti, di aiutare tutti. Quel vecchio che vive da solo nella casa all'angolo della strada, portategli un gatto e fategli compagnia. Quel povero uomo che ha perso il lavoro, aiutatelo a trovarne uno nuovo. Quel vostro compagno in difficoltà con i compiti, spiegategli l'argomento. Vi chiedo di essere unici, di saltellare per le vie del vostro paese sapendo vhe un giorno cambierete il mondo. Vi chiedo di costruirvi un rifugio, che sia una casetta sull'albero, la vostra stanza o semplicemente la vostra arte. Disegnate se sapete disegnare, cantate se sapete cantare, scrivete se sapete scrivere, suonate se sapete suonare, ed anche se credete di non saper fare nulla (o se non vi piace quello che sapete fare), continuate a cercare voi stessi, fate anche ciò in cui non siete bravi, semplicemente divertitevi, ridete. Riempite le strade di sorrisi e speranze. Vi chiedo, in fine, di avere coraggio. Resistete e lottate, perché la vita é bella. Puoi rileggere questo messaggio più volte, puoi repostarlo su instagram, facebook, twitter, tumblr e chi più ne ha più ne metta. Puoi farlo leggere ad un amico in difficoltà, puoi leggerlo ai tuoi alunni o ai tuoi compagni a scuola, o puoi semplicemente ignorarlo. In ogni caso, ciò che ho scritto ti resterà in testa. Ti prego, sii te stesso e non farti condizionare da nessuno. Tira fuori i colori che hai dentro e riempi quei fogli bianchi che sono la vita.
(I DIDN'T WRITE IT! IT ISN'T MY WORK)
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“Penserete avendo questo libro tra le mani cosa c’entra? Proprio in questo momento un libro, io credo che invece c’entri molto: nessuno più di un ventenne, perché questa è la vostra età ha il diritto meraviglioso di avere un libro tra le mani. Al libro in realtà ci si arriva da soli lo so, suona un po’ paternalistico il consiglio, l’indicazione “leggi”, sembra quasi come “ama veramente” “ascolta buona musica” ti senti un po’ invaso quando ricevi il consiglio ma mi sono preso questi minuti invece per invitare a guardare il libro non come una montagna inscalabile come spesso succede, si percepisce una raccolta di poesie, un romanzo, un saggio, come qualcosa di complicato da affrontare. Anzi invito a catapultarvi nelle librerie, saccheggiare libri, mettere Il naso tra le pagine, senza timore: la complessità è una delle cose più belle da affrontare nei libri. Ci sono libri terribili, orrendi, altri invece meravigliosi ma sta a voi la scelta e leggendoli si comprende la differenza.
Spesso mi è capitato di pensare, da quando ho il libro tra le mani, che non sono semplici parole, ma qui dentro c’è tempo, tempo per scriverlo, tempo per assaporarlo; avete tra le mani una cosa preziosa in questo momento, non è un titolo, non è un trailer, non è un flash, tempo, qualcosa che starà con voi per un po’, che è stato costruito attraverso tempo. Mi è sembrato sempre quando leggo di moltiplicare il tempo, come se la mia vita non mi fosse mai fino in fondo bastata e leggere mi aumentava la vita. Ma non è perché ti senti più bravo o hai più nozioni, hai più possibilità di percepire le strade dell’esistenza. Umberto Eco dice una cosa anche divertente “se un uomo di 70 anni non ha mai letto e ad un certo punto e muore, muore dopo aver vissuto 70 anni, se un uomo invece ha letto muore a 5000 anni” perché leggendo è stato lì nell’esatto momento in cu Caino ha ammazzato Abele, è stato lì quando Cesare è stato pugnalato, è stato lì quando Leopardi ha fissato l’infinito.
Leggere in qualche modo è avere un’immortalità al contrario, è come se ci permettesse di vedere l’intero percorso che ci ha portato qui, quindi vivi di più, sei qualcosa in più. In questi anni un po’ complicati io ho identificato la mia vita con i libri, cioè dove c’erano i libri lì sentivo casa, forse è proprio per questo che ho scelto oggi di portare questo libro che quando ero ragazzino mi piaceva tantissimo che è Dostoevskij con “Le notti bianche”, perché c’è il protagonista che ha 26 anni, e Dostoevskij non gli da un nome, si chiama il Sognatore, un ragazzo un po’ solitario che passa la vita attraversando libri e sognando un’esistenza che sente lontana ma che cerca di avvicinare attraverso le pagine. Sogna anche un amore romantico che sente irrealizzabile, però una notte succedere qualcosa, una notte bianca.
Le notti bianche sono quelle prime notti d’estate in Russia del nord dove il celo non diventa mai buio e anzi è chiaro. Dostoevskij inizia proprio così, dicendo “era una notte incantevole, una di quelle notti che succedono solo se si è giovani gentile lettore, il cielo era stellato, sfavillante tanto che dopo averlo contemplato ci si chiedeva involontariamente se sotto un cielo simile potessero vivere uomini irascibili ed irosi”…prosegue con il racconto e poi asserisce: “La potenza di Dostoevskij risiede nel raccontare il sentimento, l’emozione. Qui forse è bene ricordare che non dovete dare per scontate le emozioni o i sentimenti, in molte parti del mondo non è possibile esprimere emozioni etc etc ci sono molte parti dove baciarsi in pubblico è reato….[..] C’è il passaggio d una lettera che Gustave Flaubert scrive ad una donna e in queste righe lui fa il più bell’invito a leggere che ho mai sentito nella mia vita e recita così “non leggete per divertirvi, non leggete per istruirvi, no, leggete per vivere”
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viaggiatricepigra · 7 years
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Opinione: Ipnagogica, di Christian Sartirana
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  Cinque racconti horror che vi condurranno lungo le strade perdute del Piemonte da incubo di Christian Sartirana, dove si incrociano fantasmi di vecchi carri funebri, bambini con gli occhi cuciti, porte che si aprono su luoghi sbagliati, e mani deformi dotate di vita propria... "Creare incubi, distillare i succhi acidi delle nostre cattiverie, cercare il fascino freddo delle ombre più scure e malate, indagare la metà oscura di luoghi e anime, vedere la realtà (e in particolare quella della provincia italiana) con gli occhi acuti di chi, con la fantasia e le parole, sa comporre mosaici d'inquietudine e percorsi nella follia, nella fobia e nel terrore. Questo fa Christian Sartirana, e lo fa bene." - Eraldo Baldini
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Essendo una raccolta di racconti brevi, c'è poco che possa dire senza fare spoiler. Si tratta di cinque racconti: La Manina Il racconto di un ragazzo nato con una deformazione che non ha mai accettato e ha fatto di tutto per nascondere durante la sua vita, ovvero una mano deforme. Ma quando crede di aver una soluzione per risolvere questo problema, le cose gli sfuggiranno di mano... Una Collezione di Cattiveria Due amiche da sempre, anche se diversissime tra loro: Claudia, espansiva e alla ricerca di nuove emozioni (e storie) e Sabrina, più calma, con una famiglia e dei figli da crescere. Un giorno Claudia fa conoscere a Sabrina Anna, una nuova vicina a cui è diventata molto amica, ma questa persona la mette subito a disagio, non sapendo bene come comportarsi. Questa sensazione non l'abbandona e, dopo qualche settimana, si renderà conto insieme a Claudia che non è la sola a provare disagio in sua presenza. Ma c'è dell'altro da scoprire su Anna.... La Porta Lavorare come "Sgombero Cantine e Solai" porta Enzo in una vecchia casa, colpita da una tragedia, e ad imbattersi in un quadro molto strano che rappresenta una porta. Ma non è la sola particolarità del dipinto, come capirà presto... Le Facce Bianche Flavio vive in un mondo dove qualcosa si muove, una specie di setta che professa una specie di "Quarantena dell'anima", per preservare la purezza dell'anima delle persone. Dove un opuscolo, lasciatogli sull'autobus, con facce piatte, vuote, bianche, continua a perseguitarlo sempre di più. La Memoria Della Polvere Una giovane coppia ha deciso di andare a vivere in un piccolo villaggio praticamente disabitato dopo un terribile incidente. Ma per Filippo non è così semplice, perché inizia a vedere cose, persone, che gli fanno dubitare cosa sia reale o meno, portandolo ad indagare su quella faccenda e finire...... Purtroppo devo "rompere le scatole" ancora una volta. Da amante degli horror (e ricercatrice quasi fanatica di libri che mi facciano tremare le gambe), questo, purtroppo, non ci si avvicina nemmeno. Sono racconti sul mistero, sull'assurdo,...ma di paura, per me, proprio no. E mi duole aggiungere che spesso i racconti sembrano incompleti, perché si chiudono lasciando un po' perplesso il lettore, non sapendo bene cosa abbia letto e come sia finita la storia. Una cosa che mi irrita, in qualunque genere, come i finali aperti senza seguiti. Un altra nota negativa è il prezzo: per il numero di pagine il costo è eccessivo (e parlo del digitale). Non lo avrei mai preso in considerazione se non mi fosse stato dato dalla Casa Editrice da leggere. Una lettura veloce d'altronde, racconti piuttosto brevi che scorrono rapidi. Alcuni più piacevoli di altri. Non lo sconsiglio affatto, perché magari a voi farà stringere lo stomaco e troverete i finali giusti. Tenetelo d'occhio, magari ci saranno promozioni che ve lo faranno comprare con un buon prezzo. from Blogger http://ift.tt/2vvLJ5v via IFTTT
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tricotilla-blog · 7 years
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Tra le sue braccia
Mi guardo attorno e ancora non mi sembra possibile di essere qui. Mi guardo attorno e vedo solo centinaia di persone che mi passano accanto veloci e senza neppure sfiorarmi. A guardarli bene, sembra che camminino su dei binari immaginari tanta è la loro abilità nell'evitare di urtarsi a vicenda. Mi guardo attorno e mi rendo conto di essere davvero a New York. La Grand Central Station mi appare in tutto il suo splendore: il soffitto a volta decorato con una mappa stellare, le grandi vetrate laterali, l'enorme bandiera a stelle e strisce che scende dal soffitto a testimoniare l'orgoglio americano ferito dagli attentati dell'undici settembre, il punto informazioni, forse, più caratteristico al mondo riconoscibile dall'orologio a quattro facce che lo sovrasta e che adesso segna le nove del mattino. Appena le nove del mattino e lei è già un pulsare di visi, occhi, voci, idiomi, colori, profumi che si mescolano fra loro perfettamente. Mi guardo attorno e lo vedo venirmi incontro con i biglietti della metro tra le mani. Abbiamo deciso di venire a New York per prenderci una pausa da tutti i nostri giorni; per dare finalmente alla nostra favola tutto quello che si merita. Prendiamo la metro, destinazione Columbus Circle. L'albergo scelto si chiama Mandarin Hotel, nellUpper West Side. L'abbiamo scelto per il nome - ci sembrava simpatico - e ovviamente per la posizione: quarantotto suite panoramiche che si affacciano su Central Park e sullo skyline di Manhattan. In questo periodo dell'anno uno dei motivi per cui vale la pena venire a New York è proprio Central Park o come lo chiamano i newyorchesi "Il Giardino della Città". È impossibile non rimanerne estasiati perché il verde delle foglie sugli alberi si trasforma in mille gradazioni di giallo, arancio, rosso fino ad arrivare al marrone più intenso. Oggi l'aria è fredda tanto quanto basta per stare all'aperto senza congelare, così decidiamo di sfidare il vento dell'ottantaseiesimo piano dell'Empire State Building. Ci incamminiamo sulla strada per eccellenza di questa città, la Fifth Avenue, fino all'incrocio con la trentaquattresima. Mentre camminiamo, sfilano davanti ai nostri occhi le più importanti marche del lusso italiano. Il traffico di pedoni sul marciapiede sfida quello delle auto sulla strada ed è solo quando i semafori segnano il rosso e tutto si ferma che ci si rende veramente conto della quantità di taxi presenti; una flotta di yellow-cab pronta ad esaudire ogni tua voglia di spostamento. Senza neppure rendercene conto arriviamo a destinazione e sul marciapiede la coda di gente in attesa di salire è già lunga ma tra baci, carezze e risate complici per noi il tempo passa in fretta e in ascensore, a oltre trecentosessanta metri al minuto, ci ritroviamo catapultati sulla terrazza panoramica. E lì, con il vento gelido che ti accarezza la faccia e ti fa lacrimare gli occhi, il cuore si ferma e perde momentaneamente il battito tanta è la bellezza del panorama. In effetti, non si distingue con precisione il momento esatto in cui le lacrime scese per il freddo, lasciano il posto a quelle provocate dall'emozione. Tant'è, che sono necessari alcuni secondi per rendersi veramente conto di essere sul tetto del mondo. Sarà stato il freddo pungente o la scarica di emozioni vissute, il fatto è che abbiamo bisogno di una pausa. Proseguiamo lungo la Fifth Avenue e arriviamo all'incrocio con la quattordicesima, la imbocchiamo e ci dirigiamo verso il Greenwich Village. Qui il ritmo rallenta, agli angoli delle strade è facile trovare cafe', negozietti tipici e piccole botteghe. Ci fermiamo al "Cuba", un ristorante che offre cucina cubana. Il bello di essere a New York è che puoi trovare tutto ciò che vuoi; anche un quartiere stile europeo dove mangiare un ottimo aijaco, tipico piatto nazionale cubano. Usciti dal locale, prendiamo la linea rossa della metro e da Christopher Street-Sheridan Square con sole cinque fermate siamo a Times Square. Se sull'Empire si ha l'impressione di essere sul tetto del mondo, a Times Square ci si sente al centro. Un centro fatto di mille luci colorate accese giorno e notte, schermi LCD perennemente in funzione attaccati alle pareti dei grattacieli come fossero quadri in una stanza. All'inizio si rimane storditi perché non si sa da che parte guardare; c'è troppo di tutto. Troppa luce persino di giorno, troppa gente sui marciapiedi, troppi negozi, Poi l'attenzione si concentra su ogni minimo dettaglio e tutto è perfettamente incastonato, come un puzzle a grandezza naturale. È qui che ogni Capodanno la famosa palla argentata cade dal tetto del One Times Square. È qui che le persone si lasciano alle spalle il passato ed entrano nel futuro scambiandosi un bacio. Ci scopriamo stanchi di tutto quel camminare, guardare, scoprire, rimanere a bocca aperta e senza fiato. Adesso abbiamo bisogno di noi. Sauna, palestra, spa, centro benessere e piscina coperta sono solo alcuni dei servizi offerti dall'albergo. Noi scegliamo l'ultima; una piscina all'ultimo piano completamente circondata da vetrate. Essendo la vigilia del giorno del ringraziamento, in molti si sono riversati nelle strade della Grande Mela a festeggiare. La troviamo quindi deserta e incredibilmente romantica. L'acqua è calda, le luci sono soffuse e incastonate nel bordo della vasca ci sono candele profumate che emanano nell'aria un dolcissimo profumo di vaniglia. Se non fosse la realtà, potrebbe somigliare alla scena di un film. E invece no. Siamo noi due, la nostra storia, il nostro amore ed è chiaro a entrambi che non abbiamo bisogno di niente di più. I giorni passano inesorabilmente. Me ne rendo conto ora più che mai mentre, seduta sul letto, lo osservo dormire sdraiato al mio fianco. La brezza sposta lentamente le tende bianche; sembra che danzino sulle note di una musica non udibile dall'orecchio umano. Lo osservo di nuovo. Si muove lento tra le lenzuola e con gli occhi chiusi allunga la mano, cercandomi. Io mi lascio trovare. Anche oggi è una bellissima giornata di sole e la temperatura è perfetta per godersi una colazione tipicamente americana in terrazza. "Ti sei divertita ieri sera?" mi chiede portandosi alla bocca un muffin al cioccolato. Lo guardo sorridendo perchè so a quale parte della serata si sta riferendo. Il suo smoking nero, il mio vestito da sera con lo strascico, la Boheme, i suoi incredibili costumi, il suo magico allestimento, il Metropolitan Opera House, le sue splendide scalinate di marmo, i chilometri di tappeti rossi, i raffinati lampadari di cristallo che vengono sollevati fino al soffitto poco prima di ogni spettacolo. Mi risveglia il suono della sua voce. "Secondo te dove vanno?" mi chiede sorridendo con malizia. Lungo la strada per l'albergo, passeggiando nella zona sud di Central Park, abbiamo cominciato a parlare di libri e ci è venuto naturale pensare entrambi a "Il Giovane Holden". E proprio come il suo protagonista ci siamo chiesti dove andassero le anatre quando d'inverno il lago gela. La fantasia ci ha portato, con loro, in luoghi immaginari. La mattina seguente è trascorsa tranquilla a spasso tra i musei e nel pomeriggio abbiamo deciso di fermarci a mangiare al Brooklyn Bridge Park. Ci ha fatto compagnia una vista mozzafiato del ponte di Brooklyn e abbiamo percorso a piedi i sentieri lungo le rive dell'Hudson godendoci l'ennesima giornata di sole e di relax; in vista della serata che abbiamo deciso di dedicarci. "Cielo Club". Meat Packing District. Atmosfera accogliente, ottima musica e fiumi di champagne hanno fatto da cornice alla nostra ultima serata. Ed eccoci qui. Abbiamo cercato di esorcizzare il momento con ogni mezzo ma inesorabile ce lo siamo trovati davanti. Ci incamminiamo verso i binari e aspettiamo con lo sguardo perso nel vuoto, il treno che ci porterà all'aeroporto e infine a casa. Non abbiamo il coraggio di dire nulla forse per la paura di sciupare tutto quello che abbiamo vissuto insieme. So che anche lui vorrebbe che il tempo si fermasse adesso. Siamo risvegliati dal passaggio di un treno. È stato un attimo. Come quando ricevi una scossa improvvisa, hai un brivido, ti si accende un'idea nella testa. In quel preciso istante il silenzio che ci stava circondando è stato rotto magicamente, come fosse un incantesimo, da una sola parola: "facciamolo!". Sono passati mesi da quel momento e come se fosse lo strano scherzo del destino, oggi, ci ritroviamo ancora sulle scale mobili di una stazione metropolitana newyorchese. Quella sera, guardandoci, abbiamo capito che non potevamo lasciare che finisse tutto così; come termina una qualsiasi vacanza. Non potevamo tornare a casa come se nulla fosse successo. Volevamo che ogni dettaglio diventasse la nostra quotidianità e abbiamo deciso di rimanere per sempre. Per sempre New York. Per sempre insieme. Per sempre noi tre. Guardiamo oltre la grande vetrata, sta nevicando. Mi stringe tenendomi stretta tra le sue braccia e la sua mano si appoggia leggera sulla mia pancia. Siamo un incastro perfetto. Una sensazione unica. In momenti come questo ti rendi conto che basta poco per essere felici.
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sandboy · 4 years
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baraghini.
«La vera bomba non-violenta è la #letteratura, quella letteratura che ti fa capire che è successo qualcosa che ti sta distruggendo la vita». (Marcello #Baraghini) #libri #rivoluzione #millelire #stampaalternativa
«La vera bomba non-violenta è la letteratura, quella letteratura che ti fa capire che è successo qualcosa che ti sta distruggendo la vita», dice l’editore e attivista Marcello Baraghini, fondatore della casa editrice Stampa Alternativa e della libreria Strade Bianche(dove il prezzo lo fa il lettore) nonché inventore dei libri a mille lire. Consiglio l’illuminante intervista passata su Rai3,…
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untitled42566 · 4 years
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Con il romanzo “Vento Rosso” un esordio travolgente per Giuliana Argenio
di TIBERIO CRIVELLARO
“Al G8 di Genova (luglio del 2001), Mauro Gruber aveva resistito all’ennesima carica della Celere che sciabolava con i manganelli. Impugnati dalla parte della punta facevano malissimo. Non l’avevano acchiappato malgrado si fosse beccato colpi tremendi. Fuggì verso l’incrocio di 2 strade, con una dozzina di compagni strozzati alla gola dai lacrimogeni (Made in Japan e cancerogeni)  ritrovandosi nella vicina Piazza Alimonda. 
Ma si trovarono di fronte un nutrito drappello dei carabinieri del Tuscania.  Dopo un loro lancio di lacrimogeni e un paio di colpi d’arma da fuoco, partì una jeep a tutta manetta verso il gruppetto di compagni. Tutto si svolse in un attimo e dalla camionetta fuori controllo partì un colpo di pistola. Il giovane più vicino al mezzo cadde in una pozza di sangue. La manifestazione di quel venerdì nero di luglio era finita in una tragedia, peraltro annunciata, della quale si sarebbe parlato a lungo negli anni a venire”.
Se mi occupo di un remake, giunto in un solo anno alla terza edizione è mia intenzione dare, in fottuto ritardo, un giusto riconoscimento all’autrice, Giuliana Argenio, esordiente, col suo romanzo “Vento Rosso” (Edizioni Il Filo, Roma, 2007). 130 pagine redatte con un’insolita prosa poetica. Vi chiedere la motivazione di proporlo soltanto adesso. Il suo discorso si avvolge al quel virus di anti libertà a manifestare il dissenso che contagiava a causa del Governo di allora attraverso la violenza e le pallottole di Stato. Vi ricordate chi governava? Al G8 di Genova in realtà gli uccisi furono 3, anzi 4; 8 mesi dopo una compagna di Firenze sarebbe morta di cancro causato dai lacrimogeni.
I personaggi protagonisti erano, e sono tutt’ora vivi (secondo una mia recente intervista alla Argenio anche se citati con nomi di fantasia) e i fatti sono reali, a parte l’ultimo epilogo (inventato) col tragico incidente d’auto di Gruber, in quanto per l’autrice doveva sparire(?).
Questa recensione prosegue dando spazio “autonomo” ad alcune citazioni dal libro: “Mauro Gruber parcheggiò sottocasa, nella primissima periferia di Padova la sua Mercedes S.W. 200, a ridosso del muretto di recensione. Scese malamente dall’auto, l’alcol gli annebbiava la vista e ancora gli doleva il costato per le fratture rimediate a Genova nonostante fossero trascorsi più di 4 mesi da quella terribile giornata…La luce al neon al terzo singulto si illuminò all’interno dell’attico…Davanti a lui le gigantografia del “Che”…il minuscolo scrittoio liberty in noce nazionale sul quale giacevano pile di libri… Autori quali Dylan Thomas, Eliot, Bukoswki, della Wolf, Pavese, Baudelaire, Dostoevkij, Verlain, Camus, Montale, Ungaretti, Sanesi e…”Alla ricerca del tempo perduto” di Proust, che tra le sue pagine sarebbe stato nitore dell’ultimo messaggio a  Emma… Intanto ondeggiava come una zattera alla deriva…crollò sul letto vestito com’era…post-it gialli alla rinfusa con decine di numeri delle tante donne che frequentava, il telefono morto sul pavimento. Si accese una sigaretta, tracannò l’ultimo quarto della bottiglia di Lagavullin mischiandoci una trentina di gocce Minias. La sveglia digitale marcava le 0.3 e 40…L’incubo si ripresentò come ogni notte: Mauro, alis “Vento Rosso” mirava vicino, a pochi metri da lui l’uomo raggomitolato a terra. Poi l’eco del colpo della P.08. Il colpo lo portò alla veglia alle cinque di pomeriggio del giorno dopo con l’ansia che lo stava divorando…”
 Con Gruber gli altri protagonisti: Emma,  Lucio Bertani, Fiamma, (nel contorno, Virginia, Margherita, figlie rispettivamente di Emma e Mauro… e Stefano Montesi, ex marito e noto jazzista internazionale)…  Emma, la donna che  ama senza riserve Mauro conosciuto attraverso Internet ; breve ma infuocato il loro incontro: “Mauro stava al telefono, seduto al posto di guida con la portiera aperta davanti la Basilica del Santo. Emma gli arrivò alle spalle mormorando: “Buonasera”. Scese tendendole la mano dopo aver liquidato in fretta il suo interlocutore. La sconosciuta, bella , di classe, apparentemente; bionda e occhi neri lucenti di malinconia…
In quella dannata sera di novembre a cena, interrotta da una telefonata che gli comunicava: “tuo padre sta morendo…Partì subito facendo sgommare la macchina. Arrivò 2 ore prima del decesso. Assistette all’agonia del padre col cuore frantumato… Mauro, ritornò al passato. Mauro sempre tormentato, Mauro che si distruggeva in perenne bilico tra alcol, politica, poesia e dipendente dal gioco d’azzardo. Mauro che incontrava sempre più raramente la figlia Margherita, 12enne. Gli rimaneva l’amico e compagno di estrema sinistra da sempre, Lucio Bertani, a cui avrebbe affidato due lettere-testamento prima di scappare sotto falso nome a Caracas presso Fiamma, una delle sue ex in America Latina. Una alla figlia, l’altra per Emma. Prima che l’aereo decollasse da Bologna si abbracciarono a lungo e disse a Lucio: Se non mi faccio vivo entro 6 mesi, spediscile”.
Tre giorni prima era andato “in bandiera” in Valle d’Aosta presso il suo amico René, tra i primi fondatori della lotta armata contro uno Stato praticamente fascista…”Emma parcheggiò la sua Audi, entrò dal cancello semichiuso e fu davanti la porta di Mauro. Stranamente era aperta. Varcò la soglia chiedendosi dove fosse sparito ormai da 3 giorni senza sue notizie…L’appartamento sembrava essere stato spazzato da un uragano. I mobili spostati dai muri, le supellettilili in frantumi. Passò sopra le gigantografie del “Che” nude dei vetri che giacevano a schegge sul basco e sul sigaro…Andando verso lo studio vide la sua camera. Il materasso giaceva sbilenco nel letto, l’armadio spalancato con gli abiti a terra sparsi dappertutto…Lo studio: il grande tavolo neve dall’altra parte della stanza pericolosamente in bilico sui libri sparsi in ogni dove…Poi vide, all’entrata, il volto di una sconosciuta in sottoveste e bigodini…”Mi scusi, sono la vicina, sussurrò. La Polizia, mi pare della Digos, è arrivata ieri sera alle nove. Hanno suonato da me…Gli agenti in borghese con altri coperti da tute bianche hanno fatto un sacco di domande sul Signor Gruber e, avevano un mandato…Poi hanno sfondato la porta e, quelli con le tute bianche e mascherine puntavano dappertutto un oggetto che emanava una luce azzurrognola. Ma cosa può aver fatto il Signor Gruber? Abita qui da più di un anno e non ha mai disturbato nessuno. Era gentile ma riservato. Lo sa che era uno scrittore e aveva un’agenzia di pubblicità, di reclame insomma?”. (L’idea di non rivederlo più le chiuse il diaframma in un pugno e udì i passi lesti della solitudine raggiungerla nuovamente.)
“Fu convocata il giorno successivo in Questura dall’Ispettore De Falco. Raggiunse il piano degli uffici della Digos. De Falco la fece sedere in una di quelle tipiche sedie rimaste dal tempo del fascismo. “Mi spiace di averla scomodata…Mauro Gruber, che ben conosce, è indagato per gli ultimi attentati contro il Tribunale di Venezia, quello alla Celere di Padova e del Comando Nord-Est dei carabinieri, e, altro ancora…” L’uomo leggeva da una voluminosa cartella rosa gonfia di documentazioni…”Lei sa dov’è?”…”Faccio prima a dirle cosa so di lui. So dove abita, che scrive e lavora presso la sua agenzia di pubblicità, ho i suoi numeri di telefono e francamente non lo sento da giorni”, rispose Emma rasentando l’antipatia per ila classico sbirro di destra.
“Se Gruber non salta fuori entro 48 ore, sarà ricercato dall’Interpool e, avrà parecchi fastidi pure lei”. Congedandola con aria di falsa benevolenza non aveva esitato a “provarci” in modo untuoso…”Pare che questa cretina non abbia molto da raccontarci su quel figlio di puttana”, disse rivolgendosi al Vice-Ispettore Lo Cascio…”Intellettuali dei miei coglioni…una bella pulizia ci vorrebbe! Lo Cascio, bisognerebbe ripristinare la pena di morte, il gregge deve stare compatto se vuol brucare, le pecore che si staccano vanno bastonate per poi cucinarle in croccanti “gnumareddu”…Uscita dal casermone, vide che la strada pullulava di traffico. Un clacson irritato la bloccò sul passaggio pedonale. Intanto Mauro le mancava sempre più dolorosamente, questo era il problema più serio…A un mese dall’arrivo al My Alma col volo 328 della  Iberia a Caracas, Mauro non sopportava più la gelosia e l’insopportabile psicosi dell’avvenente Fiamma, per questo era rimpiombato nell’etilismo. Stramalediva soprattutto il sopraggiungere del fine settimana, lei non lavorava rimanendogli alle costole in modo ossessivo…e, a momenti, sarebbe rientrata; sessualmente disposta a tutto, pensando che lui fosse il suo unico amore…urla, gemiti e orgasmi inesistenti come una cagna in calore…”Se va my amor? Su, andiamo in città a far follie”…”Guido io”, disse mauro mentre si dirigevano verso il centro. Da lì sarebbe fuggito prendendo il primo volo per l’Italia. Pensava alla figlia, a Emma e a Lucio. E invece quella pazza manteneva il volante. La “rossa”, come la sera precedente, fu presa da una violenta crisi isterica. Urlò e urlò ancora:”Nooo…nooo, non te ne andrai, non te ne puoi andare”..Acellerava sempre più spericolosamente…poi l’auto sbandò, inceppo le ruote nella buca dell’asfalto che pareva un colabrodo e franò inevitabilmente fuoristrada…Siamo all’epilogo di un romanzo che nasconde magistralmente densi misteri e…segreti. Quale è stato il vero destino di Mauro Gruber? Qualcosa all’ordine del destino lo avrà salvato? Vive ancora?
Il titolo del terzultimo capitolo della Argenio lo fa supporre ai pochi svegli di mente: “PER ME LA TUA VOCE SI E’ FATTA MUTA”. Concludendo: “Dicono che nevicherà tutta la settimana e che il prezzo del petrolio non è mai stato così alto…Dicono…L’unica immediata certezza, Emma la scorse guardando dalla finestra. La neve continuava a cadere, leggera come piccole piume..Così anch’io chiudo la recensione più lunga che abbia mai scritto, non prima di segnalare a fine libro una lunga ma bellissima poesia su “Vento Rosso” scritta dalla figlia Barbara Marin, augurandovi che, oltre l’attuale virus, non ne ritornino altri ben più assassini.
GIULIANA ARGENIO
VENTO ROSSO
Ed. Il Filo, Roma – 2007)
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        Con il romanzo “Vento Rosso” un esordio travolgente per Giuliana Argenio Con il romanzo “Vento Rosso” un esordio travolgente per Giuliana Argenio di TIBERIO CRIVELLARO “Al G8 di Genova (luglio del 2001), Mauro Gruber aveva resistito all’ennesima carica della Celere che sciabolava con i manganelli.
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tmnotizie · 4 years
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MACERATA – Il 14 e 15 dicembre 2019 terzo appuntamento di Ratatà Muta, il festival di fumetto, illustrazione ed editoria indipendente che fin dal suo esordio nel 2014 si è subito confermato un appuntamento innovativo per la città sostenuto dall’assessorato alla Cultura del Comune di Macerata. Il nuovo appuntamento è stato presentato questa mattina con una conferenza stampa alla quale hanno partecipato il sindaco Romano Carancini, l’assessora alla Cultura Stefania Monteverde, Lisa Gelli, Nicola Alessandrini, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’associazione Ratatà e Martina Graziosi, socia fondatrice.
“C’è un pensiero di grande soddisfazione nei confronti di Ratatà – ha detto il sindaco Carancini –  perché  rappresenta uno degli esprimenti più riusciti verso nuove forme di espressione e di creatività che hanno significato un arricchimento per la città. La visione ‘diversa’ di Ratatà Muta credo che possa diventare protagonista a Natale, in un contesto se vogliamo particolare,  in grado di dialogare con un pubblico diverso ma anche con le famiglie e i bambini.”
“Macerata continua ad essere città di produzione culturale – afferma l’assessora alla Cultura Stefania Monteverde –  aperta a tutti i generi espressivi sia nell’editoria che nel campo musicale. Un luogo dove anche la produzione indipendente dalla grande distribuzione trova occasione di confronto e di nuova ricerca. In questi anni Ratatà Festival è cresciuto come progetto culturale capace di muovere una realtà dinamica, internazionale, giovane, portatrice di idee nuove, di domande e di sperimentazioni. Felici che sia Macerata culla di una nuova creatività.”
La terza tappa di Ratatà, inserita nel ricco calendario delle iniziative organizzate dall’Amministrazione comunale in occasione delle festività “Macerata d’Inverno.- E’ tornare bambini”, come hanno avuto modo di dire gli organizzatori nel corso della conferenza stampa, nasce in stretta collaborazione con l’Only Fucking Labels, festival decennale dedicato alle etichette musicali indipendenti organizzato dal collettivo OFL ed il CSA Sisma si svolgerà ai Magazzini Uto, con una mostra mercato dedicata ad una quindicina di progetti editoriali indipendenti, festival, aggregatori di auto-produzioni fra i più importanti a livello nazionale ed una personale, “Qualcosa da Contenere”, del grande illustratore e pittore pesarese Luca Caimmi, che per l’occasione organizzerà due laboratori, dedicati ai bambini ed agli adulti.
Durante la serata al CSA Sisma si svolgerà invece la parte musicale dell’evento con una selezione di progetti musicali provenienti da tutta Italia. L’edizione 2019 di Ratatà ha avuto una forma diversa rispetto agli anni passati, si è sviluppata in tre macro eventi distribuiti nell’arco di tutto l’anno, da aprile fino a dicembre. L’obiettivo è quello di preparare il pubblico all’edizione del festival 2020, “L’anno del topo”, dove sono previste esposizioni di disegno contemporaneo e non, una mostra mercato ancora più ricca, workshop e concerti con artisti di richiamo nazionale ed internazionale. L’attività del 2019 è stata rivolta principalmente al pubblico locale, con un occhio ancora più attento al territorio, mantenendo la proposta culturale di altissimo livello internazionale.
Questo nel dettaglio il programma:
sabato 14 dicembre
– ore 16-20, Magazzini UTO, vicolo Consalvi
Apertura Mostra mercato di autoproduzioni
con Ratatà / AFA / Crack! / C.a.c.o / Ué / Olé  / Zapp / Borda / This is not a love song / Just indie comics / Studio CO-CO / Libri Somari / Checkpoint Charly / Strade Bianche di Stampa Alternativa / SNUFF Comix / Ufficio Misteri
+ Dj set a cura di Onlyfuckinglabels
– ore 17.30, Magazzini UTO
Inaugurazione mostra “Qualcosa da contenere” di Luca Caimmi
– ore 19.30 – 2.00, Csa Sisma, via Alfieri
ONLY FUCKING LABELS #10
festival delle etichette indipendenti
Concerti / Mostra mercato / Esposizioni / Cena a cura di Cucina Ribelle
– Ore 19.30, Csa Sisma
Taddei e Angelini presentano “Enrico” (Coconino press) a cura di Ratatà
ore 20 Csa Sisma
Inizio liveArottenbit / La morte viene dallo spazio / Von Tesla / Trrmà / Tacet tacet tacet / Borders of Romagna / Aspect Ratio / Third sonic Phase / Paperoga / Disconfort Dispatch (Free-Impro-Noise-Room)
Domenica 15 dicembre
– ore 10-13 / 16-20, Magazzini UTO, vicolo Consalvi
Mostra mercato di autoproduzioni
– ore 17.30, Magazzini UTO
Nicolas Gaunin LIVE a cura di Onlyfuckinglabels
L’associazione Ratatà in vista del prossimo appuntamento in programma dal 16 al 19 aprile 2020 lancia un appello a tutti  coloro che vorranno sostenere il festival in qualità di volontari ma lo rivolgono anche ai commercianti che invece lo vorranno ospitare nel proprio esercizio. Le persone interessate possono inviare la propria candidatura alla mail [email protected] .
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jamariyanews · 6 years
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LA VERITA’ SUL REGNO DELLE DUE SICILIE
17 marzo 2012 Borboni tratto da: Vittorio MESSORI, Le cose della vita, Paoline, Milano 1995, p. 304s. “Borbonico”, si sa, è un termine ingiurioso: è sinonimo di oscurantismo, inefficienza, ottusità, malaffare. Questi significati sono recenti e sono propri solo della lingua italiana. In Spagna, ad esempio, la gente di ogni convinzione politica sembra soddisfatta del suo Juan Carlos, che è un re borbonico, discendente dalla antica, ramificata dinastia che prese origine da modesti feudatari del castello di Bourbon. Proprio in Francia, una delle glorie nazionali è un altro Borbone, quel Luigi XIV significativamente chiamato “il re Sole”; e sono in molti ancora a piangere la fine dell’ultimo della dinastia, Luigi XVI, il sovrano ghigliottinato, che, pure, ebbe il solo merito di riscattare con il dignitoso coraggio in morte le fiacchezze e gli errori della vita. Se da noi – e da noi soltanto – “borbonico” suona male, il motivo va cercato nella propaganda risorgimentale che doveva giustificare l’aggressione contro il Regno delle Due Sicilie, retto appunto da un ramo dei Borbone, quello di Napoli. Sia l’ala “rivoluzionaria” (quella di Garibaldi e Mazzini), sia quella “moderata”, “liberale”, alla Cavour, alla d’Azeglio, per una volta unite, crearono attorno ai sovrani partenopei una delle numerose “leggende nere” che ancora infestano tanti manuali scolastici e che popolano l’immaginario popolare. Anche qui, la revisione storica è da tempo all’opera, ma i suoi risultati non sembrano essere giunti ai molti – anche giornalisti – che continuano a dire “borbonico”, così come scrivono “medievale”, per sinonimo di barbarie. Qualche tempo fa, uno studioso meridionale, Michele Topa, ha pubblicato sul quotidiano di Napoli, “Il Mattino”, una serie di articoli frutto di non conformistiche ricerche. Quei saggi sono stati raccolti in un grosso volume dal titolo “Così finirono i Borbone di Napoli”, pubblicato dall’editore Fiorentino. Lo storico articola la sua ricerca soprattutto attorno agli ultimi due re, quelli sui quali si è scatenata la campagna di diffamazione gestita dai Savoia, usurpatori del loro regno. Al centro del libro, dunque, Ferdinando II, re delle Due Sicilie dal 1830 al 1859 (il “re bomba”, secondo la leggenda ingiuriosa creata anche dalla massoneria inglese) e il figlio Francesco II, spodestato da garibaldini e sabaudi nel 1860, dopo un solo anno di regno e aggredito e diffamato anche per avere rifiutato – lui, cattolicissimo – l’offerta del Piemonte di spartirsi lo Stato Pontificio. Non certo per pigrizia, ma perché non sapremmo dir meglio, riportiamo qui parte della recensione al volume di Michele Topa apparsa su un numero di questo giugno della “Civiltà Cattolica” (oggi, tutt’altro che “reazionaria”), a firma di padre S. Discepolo. Ecco, dunque: «Molti manuali di storia presentano Ferdinando II come un mostro, un boia incoronato, un tiranno senza freni, alla testa di un governo che era la negazione di Dio. Queste falsità furono orchestrate e diffuse da inglesi e piemontesi con fini machiavellici; ma poi furono sconfessate dagli stessi autori. Gladstone ritrattò, affermando che le sue lettere erano false e calunniose, che era stato raggirato e che “aveva scritto senza vedere”. Settembrini, autore di un infame libretto, confessò che fu “arma di guerra”. Ferdinando II, in realtà, secondo lo storico, fu un re onesto, intelligente, capace, galantuomo, profondamente amante del suo popolo. Il regno fu caratterizzato da benessere, fioritura culturale, artistica, commerciale, agricola e industriale. Poche le tasse, la terza flotta mercantile d’Europa, una delle più forti monete, il debito pubblico inesistente, l’emigrazione sconosciuta. Il miracolo economico del Sud Italia fu elogiato nel Parlamento inglese da lord Peel. L’industria era all’avanguardia, con il complesso siderurgico di Pietrarsa, che riforniva buona parte d’Europa, e il cui fatturato era dieci volte rispetto all’Ansaldo di Sampierdarena. Oltre al primo bacino di carenaggio d’Europa, Napoli ebbe la prima ferrovia d’Italia. 120 chilometri raggiunsero presto i 200 ed erano già pronti i progetti per estendere la ferrovia in tutto il regno. I prodotti come la pasta e i guanti erano esportati in tutto il mondo. Prima del crollo, il Regno delle Due Sicilie aveva il doppio della moneta di tutti gli Stati della Penisola messi insieme. Sono significative alcune cifre del primo censimento del Regno d’Italia: nel Nord, per 13 milioni di cittadini, c’erano 7.087 medici; nel Sud, per 9 milioni di abitanti, i medici erano 9.390. Nelle province rette da Napoli gli occupati nell’industria erano 1.189.582. In Piemonte e Liguria 345.563. In Lombardia 465.003». Continua la sua sintesi del libro di Michele Topa il recensore della “Civiltà Cattolica”: «Certo, c’era il rovescio della medaglia: un governo paternalistico, una polizia – nella bassa forza – corrotta, una forte censura. Erano però le caratteristiche dei governi del tempo ed erano avvertire solo dai ceti intellettuali. Ferdinando Il, se è attaccabile sul piano strettamente politico, non lo è su quello morale. Le repressioni del 1848, così enfatizzate, sono da considerarsi moderate in confronto con quelle di altri Stati o con il modo con il quale l’Inghilterra represse i moti coloniali. Ferdinando II graziò moltissime persone per i reati politici e di 42 condanne a morte non ne fu eseguita nessuna». Se così stavano le cose (e dati, cifre, documenti, starebbero a confermarlo) come mai il crollo del Regno del Sud davanti all’aggressione garibaldina? Continuiamo, allora, a trascrivere: «Causa prima della fine fu la prematura morte di Ferdinando II. Suo figlio Francesco II, mite, dolce, cavalleresco, mal consigliato e tradito dai suoi collaboratori comprati dall’oro piemontese, si trovò a combattere non solo contro Garibaldi, ma contro Vittorio Emanuele II (suo cugino), Cavour, la Francia, l’Inghilterra. Lo sbarco dei Mille avvenne sotto la protezione della flotta inglese e, nella decisiva battaglia di Milazzo, Garibaldi aveva sull’esercito napoletano la supremazia di 5 a 1. Il tradimento, la corruzione e l’inettitudine dei generali portarono Garibaldi a Napoli. Ma nella battaglia sul Volturno i napoletani ebbero la meglio, a Caiazzo i garibaldini furono sconfitti, a Capua travolti. Il mito dell’infallibilità di Garibaldi fu infranto, a stento riuscì a salvare la vita…». Ci permettiamo, poi, di rimandare pure a quanto scrivevamo al proposito, in una raccolta precedente, sui tre milioni di franchi oro versati in segreto ai capi dei Mille per comprare la resa dei borbonici (cfr. Pensare la storia, p. 258s). Ma che avvenne dopo? Ecco: «A Napoli, bastarono 62 giorni di dittatura garibaldina per distruggere le floride finanze e l’economia del Paese, che crollò industrialmente. Il disavanzo napoletano alla fine del 1860 era già salito a 10 milioni di ducati, nel 1861 a 20 milioni. Ben presto gli abitanti del Regno toccarono con mano quanto più duro fosse il nuovo regime. Molti divennero “briganti”. Per domarli, dovette intervenire un esercito di 120.000 uomini…». Adesso, siamo avvertiti: prima di ingiuriare qualcosa a qualcuno definendoli “borbonici”, conviene informarsi meglio. Così splendeva Napoli al tempo dei Borbone. tratto da: Avvenire, 20.5.2000 Storia della famiglia che fece prosperare le terre su cui regnava: fu la prima in Italia a volere la costruzione di ferrovie, ostelli per i poveri, cantieri navali e persino grandi fabbriche. Il napoletano, poi, era una delle lingue diplomatiche parlate in tutta Europa. Viaggiare nella storia mettendo da parte i libri. Si può da ieri, a Napoli e in altre città del Sud. È infatti iniziato il «Viaggio nella Memoria» di quel periodo che va dal 1734 al 1861 e che vide prima la nascita del Regno delle Due Sicilie, con la dinastia dei Borbone, e poi la sua fine con l’Unità d’Italia. Non cominciate a storcere il naso e a sbuffare, bambini. […] Provate invece a immaginare di studiarla da vicino. Come? Per esempio ammirando trecento soldatini da collezione: uniformi, bandiere, copricapi, armi bianche e da fuoco, generali e soldati semplici tutti in fila per voi al Palazzo Reale di Napoli, per spiegarvi la vita militare al tempo dei Borbone. Oppure visitando lo storico Bacino di Raddobbo per le navi da guerra, il primo mai realizzato in Italia, all’ex Arsenale Marittimo di Napoli, dove nel 1818 fu varato “Torquato Tasso”, il primo bastimento a vapore italiano. Lo potrete vedere anche voi perché sarà riportato a Napoli, recuperato dal fondo del mare. Sarà il simbolo di quella marina mercantile e militare che per tutto il periodo borbonico fu la prima in Italia per forza e mezzi e da cui è nata la moderna Marina Militare Italiana. E allora, che ne dite? La storia si fa interessante. Se poi pensate che questi sono solo alcuni esempi e che la manifestazione sui Borbone «Viaggio nella Memoria» dura fino a dicembre, potete credere che ci sarà da divertirsi. Andando indietro nel tempo, potremo scoprire nuove cose sugli antichi Romani che vivevano a Pompei ed Ercolano, le città che furono seppellite dalla cenere del Vesuvio nel 79 d.C. e che i Borbone fecero riportare alla luce. O ci basterà camminare per Napoli e anche per Caserta per scoprire palazzi, regge e strade che cinque re costruirono e che richiamavano viaggiatori anche dall’estero. Davvero ci sarà la possibilità di vedere e conoscere cose mai viste prima d’ora. I primati del Regno delle Due Sicilie. tratto da: realcasadiborbone.it https://ift.tt/2OCwlL9 Alla fine di questa ampia panoramica sulla storia politica, civile, culturale e sociale del Mezzogiorno italiano sotto il regno della Real Casa di Borbone delle Due Sicilie (1734-1860), può essere utile riassumere in maniera schematica i principali “primati” che segnarono in maniera profonda la civiltà e la società meridionale nella seconda metà del XVIII secolo e nella prima metà del XIX. Dal sintetico quadro, apparirà infatti evidente da un lato come positiva e costruttiva fu l’opera dei sovrani Borbone (e in special maniera, come abbiamo potuto ben vedere, di Carlo, Ferdinando e Ferdinando II), e dall’altro quanto fallace e sovente menzognera sia la “vulgata” risorgimentale sul “borbonismo” in Italia. A completamento di tutte le voci precedenti, ci limiteremo ad elencare, uno dopo l’altro, ogni singolo “primato”, almeno i più significativi. Al lettore lasciamo il giudizio in merito (si veda a riguardo: M. VOCINO, “Primati del Regno di Napoli”, Mele editore, Napoli; AA.VV., “La storia proibita. Quando i piemontesi invasero il Sud”, Controcorrente, Napoli; “La Civiltà del Sud”, numero unico, p. 5; G. RESSA, “Rilettura sintetica della storia del Regno delle Due Sicilie”, in www.duesicilie.org; N. FORTE, in https://ift.tt/2nB5Z0z). INDUSTRIA: Nell’Esposizione Internazionale di Parigi del 1856 fu assegnato il Premio per il terzo Paese al mondo come sviluppo industriale (primo in Italia); Primo ponte sospeso in ferro in Italia (sul Fiume Garigliano); Prima ferrovia e prima stazione in Italia (tratto Napoli-Portici); Prima illuminazione a gas di città; Primo telegrafo elettrico, in funzione dal 1852; Prima rete di fari con sistema lenticolare; La più grande industria metalmeccanica in Italia, quella di Pietrarsa; L’arsenale di Napoli aveva il primo bacino di carenaggio in muratura in Italia; Prima nave a vapore del Mediterraneo (il battello “Ferdinando I”); Prima Nave da guerra a vapore d’Italia (pirofregata “Ercole”), varata a Castellammare; Primo Piroscafo nel Mediterraneo per l’America (il “Sicilia”, 26 giorni impiegati); Prima nave ad elica (“Monarca”) in Italia varata a Castellammare; Prima Nave da crociera in Europa (“Francesco I”); Primo telegrafo sottomarino dell’Europa continentale; Primo esperimento di Illuminazione Elettrica in Italia a Capodimonte; Primo Sismografo Elettromagnetico nel mondo costruito da Luigi Palmieri; Prima Locomotiva a Vapore costruita in Italia a Pietrarsa. ECONOMIA: Bonifica della Terra di Lavoro; Rendita dello Stato quotata alla Borsa di Parigi al 12%; Minor tasso di sconto (5%); Primi assegni bancari della storia economica (polizzini sulle Fedi di Credito); Prima Cattedra universitaria di Economia (Napoli, Antonio Genovesi, 1754); Prima Borsa Merci e seconda Borsa Valori dell’Europa continentale; Maggior numero di società per azioni in Italia; Miglior finanza pubblica in Italia(*); ecco lo schema al 1860 (in milioni di lire-oro): – Regno delle Due Sicilie: 443, 2 – Lombardia: 8,1 – Veneto: 12,7 – Ducato di Modena: 0,4 – Parma e Piacenza: 1,2 – Stato Pontificio: 90,6 – Regno di Sardegna: 27 – Granducato di Toscana: 84,2 Prima flotta mercantile in Italia (terza nel mondo); Prima compagnia di navigazione del Mediterraneo; Prima flotta italiana giunta in America e nel Pacifico; Prima istituzione del sistema pensionistico in Italia (con ritenute del 2% sugli stipendi); Minor numero di tasse fra tutti gli Stati italiani; La più grande Industria Navale d’Italia per numero di operai (Castellammare di Stabia, 2000 operai); La più alta quotazione di rendita dei titoli di Stato (120 alla Borsa di Parigi); Rendita dello Stato quotata alla Borsa di Parigi al 12%; Minor tasso di sconto (5%); Prima città d’Italia per numero di Tipografie (113 solo a Napoli); Primo Stato Italiano in Europa, per produzione di Guanti (700.000 dozzine di paia ogni anno); Primo Premio Internazionale per la Produzione di Pasta (Mostra Industriale di Parigi); Primo Premio Internazionale per la Lavorazione di Coralli (Mostra Industriale di Parigi). GIURISPRUDENZA – ORGANIZZAZIONE MILITARE: Promulgazione del primo Codice Marittimo italiano; Primo codice militare; Istituzione della motivazione delle sentenze (Gaetano Filangieri, 1774); Istituzione dei Collegi Militari (Nunziatella); Corpo dei Pompieri; Prima applicazione dei principi della Scuola Positiva Penale per il recupero dei malviventi. SOCIETÀ, SCIENZA E CULTURA: Prima assegnazione di “Case Popolari” in Italia (San Leucio presso Caserta) Primo Cimitero italiano per poveri (il “Cimitero delle 366 fosse”, nei pressi di Poggioreale); Primo Piano Regolatore in Italia, per la Città di Napoli; Cattedra di Psichiatria; Cattedra di Ostetricia e osservazioni chirurgiche; Gabinetto di Fisica del Re; Osservatorio sismologico presso il Vesuvio (primo nel mondo), con annessa stazione metereologica; La più alta percentuale di medici per abitante in Italia; Più basso tasso di mortalità infantile in Italia; Prime agenzie turistiche italiane; Scavi archeologici di Pompei ed Ercolano; Officina dei Papiri di Ercolano; Primo Osservatorio Astronomico in Italia a Capodimonte; Prima cattedra di Astronomia; Accademia di Architettura, una delle prime e più prestigiose in Europa; Primo intervento in Italia di Profilassi Anti-tubercolare; Primo istituzione di assistenza sanitaria gratuita (San Leucio); Primo Atlante Marittimo nel mondo (G. Antonio Rizzi Zannoni, “Atlante Marittimo delle Due Sicilie”); Primo Museo Mineralogico del mondo; Primo “Orto Botanico” in Italia a Napoli; Primo Periodico Psichiatrico italiano pubblicato presso il Reale Morotrofio di Aversa da Biagio Miraglio; Primo tra gli Stati Italiani per numero di Orfanatrofi, Ospizi, Collegi, Conservatori e strutture di Assistenza; Primo istituto italiano per sordomuti; Prima Scuola di Ballo in Italia, annessa al San Carlo; Prima Città d’Italia per numero di Teatri (Napoli); Prima Città d’Italia per numero di Conservatori Musicali (Napoli); Prima Città d’Italia per numero di pubblicazioni di Giornali e Riviste (Napoli); Scuola pittorica di Posillipo (da cui uscì, fra gli altri, G. Gigante); Le celeberrime fabbriche di ceramica e porcellana, fra cui quella di Capodimonte; Teatro S. Carlo (il primo nel mondo), ricostruito dopo l’incendio del 1816 in soli 270 giorni; Scuola musicale napoletana (Paisiello, Cimarosa, Scarlatti); Successo mondiale (e tutt’oggi valido) della canzone napoletana; I grandi palazzi reali. Questi sono solo i “primati”, non certo tutte le attività avviate nel Regno e i progressi raggiunti in ogni campo, che abbiamo per altro già delineato in tutte le voci precedenti basti pensare, come già visto, alla scuola di arazzeria). Riteniamo superfluo, per concludere, fare polemiche. Ci basta sottolineare tre verità storiche tanto ovvie quanto inoppugnabili: alla luce di tutto quanto descritto in questo sito, 1) si può ancora continuare a credere alla “vulgata” risorgimentale che presenta il Regno borbonico come il più regredito e odiato d’Italia? 2) come si può spiegare il fatto che prima del 1861 non esisteva praticamente il fenomeno dell’emigrazione, e che dopo tale data sono emigrati quasi 20.000.000 di disperati? 3) tutto questo costituisce una spiegazione al tragico quanto eroico fenomeno della rivolta filoborbonica del 1860-1865? Appare evidente, oggi come non mai, la necessità di ripresentare agli italiani la loro storia secondo criteri di maggiore imparzialità. Non per spirito di sterile polemica, ma ad onore e servizio della verità storica. A servizio della memoria della identità culturale e civile di tutti gli italiani. * Cfr. F.S. NITTI, “La scienza delle finanze”, cit. in H. ACTON, “Gli ultimi Borbone di Napoli”, (1962) Giunti, Firenze 1997, p. 2. I tanti primati del Regno delle Due Sicilie: 52 primati del Regno delle Due Sicilie. Fonte: “ Le Industrie del Regno di Napoli” di Gennaro De Crescenzo https://ift.tt/2OADAD1 1735 Prima Cattedra di Astronomia, in Italia, affidata a Napoli a Pietro De Martino 1754 Prima Cattedra di Economia, nel mondo, affidata a Napoli ad Antonio Genovesi 1762 Accademia di Architettura, una delle prime e più prestigiose in Europa 1763 Primo cimitero italiano per poveri (il “Cimitero delle 366 fosse”, nei pressi di Poggioreale a Napoli, su disegno di Ferdinando Fuga) 1781 Primo Codice Marittimo, nel mondo, opera di Michele Jorio 1782 Primo intervento, in Italia, di profilassi anti-tubercolare 1783 Primo cimitero, in Europa, ad uso di tutte le classi sociali (Palermo) 1789 Prima assegnazione di “Case Popolari”, in Italia: San Leucio (presso Caserta) 1789 Prima istituzione di assistenza sanitaria gratuita (San Leucio) 1792 Primo Atlante Marittimo nel mondo (G Antonio Rizzi Zannoni, “Atlante Marittimo delle Due Sicilie”) elaborato dalla prestigiosa Scuola di Cartografia napoletana 1801 Primo Museo Mineralogico del mondo 1807 Primo Orto Botanico in Italia (a Napoli) 1812 Prima Scuola di Ballo in Italia, annessa al San Carlo 1813 Primo Ospedale Psichiatrico italiano: il “Reale Morotrofio” di Aversa 1818 Prima nave a vapore nel Mediterraneo, la “Ferdinando I” 1819 Primo Osservatorio Astronomico, in Italia (a Capodimonte) 1832 Primo ponte sospeso, in ferro, in Europa continentale (sul Garigliano) 1833 Prima nave da crociera, in Europa: la “Francesco I” 1835 Primo istituto italiano per sordomuti 1836 Prima Compagnia di navigazione a vapore nel Mediterraneo 1839 Prima ferrovia italiana: tratto Napoli-Portici 1839 Prima illuminazione a gas di una città italiana (terza in Europa dopo Londra e Parigi) con 350 lampade 1840 Prima fabbrica metalmeccanica d’Italia per numero di operai (1050): Pietrarsa, presso Napoli 1841 Primo Centro Sismologico, in Italia, presso il Vesuvio 1841 Primo sistema a fari lenticolari a luce costante in Italia 1843 Prima nave da guerra a vapore d’Italia (pirofregata “Ercole”), varata a Castellammare 1843 Primo periodico psichiatrico italiano pubblicato presso il Reale Morotrofio di Aversa da Biagio Miraglia 1845 Prima locomotiva a vapore costruita in Italia a Pietrarsa 1845 Primo Osservatorio Meteorologico italiano (alle falde del Vesuvio) 1852 Primo telegrafo elettrico in Italia (inaugurato il 31 luglio) 1852 Primo bacino di carenaggio in muratura in Italia (nel porto di Napoli) 1852 Primo esperimento di illuminazione elettrica in Italia (a Capodimonte) 1853 Primo viaggio di piroscafo dal Mediterraneo per l’America (il “Sicilia” della Società Sicula Transatlantica del palermitano Salvatore De Pace: 26 i giorni impiegati) 1853 Prima applicazione dei principi della Scuola Positiva Penale per il recupero dei malviventi 1856 Primo Premio Internazionale per la produzione di pasta (Mostra Industriale di Parigi) 1856 Primo Premio Internazionale per la lavorazione di coralli (Mostra Industriale di Parigi) 1856 Primo Sismografo Elettromagnetico nel mondo costruito da Luigi Palmieri 1859 Primo Stato in Europa per produzione di guanti (700.000 dozzine di paia ogni anno) 1860 Prima flotta mercantile e prima flotta militare d’Italia (seconda nel mondo) 1860 Prima nave ad elica (la “Monarca”), in Italia, varata a Castellammare 1860 La più grande industria navale d’Italia per numero di operai (Castellammare di Stabia, 2000 operai) 1860 Primo tra gli Stati italiani per numero di Orfanotrofi, Ospizi, Collegi, Conservatori e strutture di Assistenza e Formazione 1860 La più bassa percentuale di mortalità infantile d’Italia 1860 La più alta percentuale di medici per abitanti in Italia 1860 Prima città d’Italia per numero di Teatri (Napoli) 1860 Prima città d’Italia per numero di Conservatori Musicali (Napoli) 1860 Primo “Piano Regolatore”, in Italia, per la città di Napoli 1860 Prima città d’Italia per numero di Tipografie (113, in Napoli) 1860 Prima città d’Italia per numero di pubblicazioni di giornali e riviste (Napoli) 1860 La più alta quotazione di rendita dei titoli di Stato (120% alla Borsa di Parigi) 1860 Il minore carico tributario erariale in Europa 1860 Maggior quantità di Lire-oro conservata nei Banchi Nazionali (dei 668 milioni di Lire-oro, patrimonio di tutti gli Stati italiani messi insieme, 443 milioni erano del regno delle Due Sicilie) “Le Industrie del Regno di Napoli”. di Gennaro De Crescenzo Grimaldi & C. Editori, Napoli 2002 https://ift.tt/2nz7ige Il Regno di Napoli prima dell’unità d’Italia aveva delle fabbriche? Perchè oggi non guidiamo automobili costruite a Pietrarsa? Perchè non usiamo saponi Bevilacqua oppure orologi Marantonio? Perchè non indossiamo maglioni Sava? Quali erano i prodotti più in uso nell’Italia meridionale poco più di un secolo fa? Quali erano i produttori più famosi, e perchè sono scomparsi? Queste sono alcune delle domande cui tenta di rispondere Gennaro De Crescenzo nel volume “Le Industrie del Regno di Napoli”. Si tratta di interrogativi davvero stimolanti per le ricerche condotte dall’autore, che non si è proposto di risolvere una questione così complessa come quella dell’industrializzazione meridionale preunitaria, ma solo di recare un contributo utile all’approfondimento di un tema ancora molto attuale. De Crescenzo, infatti, ricostruisce parzialmente, nelle pagine del suo libro, la storia delle industrie della parte continentale del Regno delle Due Sicilie (i “Reali Domini al di qua del Faro”), in attesa di nuove ricerche relative alla Sicilia (“Reali Domini al di là del Faro”). Il periodo verso il quale concentra la sua attenzione è quello successivo alla rivoluzione industriale, che dall’Inghilterra introdusse la forma-fabbrica a noi più nota e cambiò per sempre il rapporto tra lavoro e vita in senso generale. Proprio negli anni che precedettero l’unificazione italiana la società meridionale, insieme con il resto della penisola, fu messa per la prima volta di fronte al problema dell’industrializzazione e della progressiva affermazione di nuove potenze industriali nelle zone più settentrionali dell’Europa. Le scelte fatte dalla dinastia borbonica intorno alla metà dell’Ottocento, con le tracce delle industrie che in quell’epoca nacquero o si consolidarono, costituiscono una base necessaria per ulteriori ricerche ed eventuali confronti sui problemi ancora irrisolti del Mezzogiorno d’Italia. Dalla consultazione di dati e documenti archivistici e dalla lettura di testi specialistici e settoriali dell’epoca, De Crescenzo trae fuori un quadro sintetico complessivo del tessuto produttivo meridionale della prima metà dell’Ottocento, dalla pasta alla ceramica e alla carta, dalle sete ai fucili, dalle lavatrici ai profumi. L’indagine dello scrittore napoletano permette anche di ritrovare e analizzare spunti interessanti di vita quotidiana, riferimenti a temi di grande attualità come la continuità tra passato e presente di alcune produzioni tradizionali, la modernità di scelte rispettose delle vocazioni del territorio o l’interesse architettonico-archeologico-industriale di strutture e siti superstiti. Il libro si chiude con un elenco di cinquanta primati del Regno di Napoli, dal 1735 al 1860, inseriti da De Crescenzo nel suo volume non senza una punta di sorniona polemica contro i sopracciò della storiografia e della cultura ufficiale, i quali sono soliti irridere quanti ricordano loro le glorie passate di un Mezzogiorno attivo e orgoglioso della propria forza, tanto diverso da quello attuale, improduttivo e depresso, che quegli stessi intellettuali hanno alacremente contribuito a forgiare. La Casa di Borbone, ovvero tre Regni e un Ducato. tratto da: in realcasadiborbone.it https://ift.tt/2OAtdzm Una nobilissima antica gloriosa famiglia La tradizione vuole che il ramo principale della Casa Borbone risalga all’VIII secolo dopo Cristo: il fondatore, Childeprando, era un fratello di Carlo Martello, e quindi prozio di Carlo Magno. In ogni caso, la certezza della documentazione storica la ritroviamo già nel IX secolo: i signori di Bourbon, vassalli del conte di Bourges, erano proprietari del medesimo castello (oggi Bourbon-l’Archambault) e un documento del tempo parla di un certo Aimar, fondatore, tra il 916 e il 922, del monastero di Souvigny, presso Moulins, definito “miles clarissimus”, mentre un altro del 936 parla di suo fratello Guido, conte di Borbone. Un altro documento del 953 parla di Aimone I, figlio di Aimar, e lo descrive come un uomo già abbastanza potente per ritenersi non più soggetto ai conti di Bourges e signore del feudo di Bourbon. A lui successero Archembaud I (980?-1031?), Archembaud II (1034?-1078?), che si intitolò principe e conte di Borbone, Archembaud III (1078-1105), al quale sarebbe dovuto succedere il figlio Archembaud IV ma il titolo gli venne usurpato dallo zio Aimone II (1105-1116), cui seguì il figlio di questi Archembaud V (1116-1171), che riuscì a stringere legami di sangue con i capetingi: infatti sposò Agnese contessa di Savoia e sorella di Alice, moglie del Re di Francia Luigi VI. Prese parte alle crociate e vi si distinse, ma perdette in giovane età l’unico figlio, il quale lasciava alla figlia Matilde (1171-1215) – la cui madre era Alice di Borgogna – titoli e possessi. Dopo un primo infelice matrimonio, Matilde sposa un valoroso generale del Re Filippo Augusto, Guy de Dampierre, tanto valoroso che il loro figlio, Archembaud VI, detto Il Grande (1215-1243), col quale inizia la famiglia dei Borboni-Dampierre, si ritrovò molto ingranditi i suoi domini territoriali. Con il figlio Archembaud VII si ripropose il problema della successione: morì infatti crociato a Cipro, e lasciò due femmine, tutt’e due spose dei figli del Duca di Borgogna. Ereditò i titoli paterni prima Matilde II (1249-1262), poi la sorella Agnese (1262-1288). E qui avviene il grande evento, destinato a cambiare il destino della famiglia Borbone. La figlia di Agnese, Beatrice (1277-1310) va in sposa a Roberto di Clermont, sesto figlio di S. Luigi IX, Re di Francia. Inizia in tal maniera il ramo principesco dei Borbone, ormai imparentati col ramo principale dei capetingi, Re di Francia. E pertanto, discendenti diretti di S. Luigi IX e di Carlo Magno (da cui ereditarono il simbolo del giglio di Francia). Gli storici discutono ancora oggi se quell’Eude, zio di Ugo Capeto, fondatore della dinastia regale di Francia, fosse o meno un discendente di Carlo Magno. Per quanto molto fa pensare positivamente in tal senso, qualora anche si volesse propendere per la tesi negativa, è noto che la madre di S. Luigi IX, Bianca di Castiglia, discendeva per linea certa da Carlo Magno. Pertanto, è altrettanto certo – al di là di Eude e Ugo Capeto e al di là della incerta tradizione di Childeprando fratello di Carlo Martello – che il figlio di Beatrice e Roberto, Luigi I, nipote di S. Luigi, e con lui tutti i suoi discendenti, ebbero nelle vene il sangue del fondatore del Sacro Romano Impero, incarnazione storica dell’idea stessa della regalità terrena del mondo cristiano. La linea ducale. Il figlio di Roberto e Agnese, Luigi I (1310-1341) ebbe il titolo di Duca dal Re Carlo IV di Valois (si era intanto estinta la linea diretta dei capetingi). Ma non fu tale linea quella che ebbe il miglior destino. Occorre lasciarla e seguire invece quella del terzogenito di Luigi, Giacomo I (1342-1361), eroe di guerra con il figlio primogenito (morirono entrambi in battaglia), che ottenne i titoli di conestabile di Francia e conte di La Marche (e altri feudi). Gli fu erede il figlio Giovanni (1361-1393), anch’egli valoroso uomo d’armi, che sposò l’ereditiera della contea di Vendôme, che assegnò al secondo figlio Luigi (1393-1446), iniziatore della linea dei Borbone-Vendôme. Ricordiamo: Giovanni (1446-1478), il figlio Francesco (1478-1495), il figlio Carlo (1495-1537), che nel 1515 ottenne dal Re Francesco I il titolo di Duca trasmissibile agli eredi, il figlio Antonio (1537-1562), erede del Ducato e, per il matrimonio con Giovanna d’Albret, Re di Navarra. Un antico e glorioso Regno. tratto da: realcasadiborbone.it Gli Altavilla e la costituzione del “Reame” È il “Reame” per eccellenza. Il suo territorio si è delineato fin dai primissimi anni della sua costituzione sotto Ruggero II d’Altavilla, rimanendo immutato nel corso dei secoli, fino alla caduta nel 1861: a nord, il confine seguiva una linea che partiva da Civitella del Tronto sotto Ascoli ed arrivava a Gaeta passando per Leonessa, L’Aquila, sopra Pontecorvo e quindi giù fino al Mar Tirreno; a sud, il confine era il mare stesso, compresa la Sicilia. Dopo la caduta dell’Impero Romano, i territori del futuro Regno furono in parte sotto il dominio bizantino (Bassa Puglia, Calabria, Sicilia e Ducato di Napoli), in parte sotto il dominio longobardo (il Ducato di Benevento); nel IX secolo la Sicilia cadde in mano musulmana. Nei secoli successivi, specie nell’XI, la situazione geopolitica del Meridione precipitò in una tristissima frammentazione di piccoli potentati locali, mentre gli antichi domini bizantini e longobardi andavano via via sempre più perdendo il controllo della situazione. Si arrivò progressivamente in una sorta di “guerra di tutti contro tutti”, aggravata dalle continue incursioni saracene. In tale stato naturalmente il Meridione si impoverì e indebolì; chi ne seppe approfittare furono i normanni, guidati dalla audace famiglia degli Altavilla (Hauteville). Già intorno all’anno Mille erano giunti i primi avventurieri normanni, che si ponevano al servizio dei vari signori in guerra col signore rivale; in questa politica mercenaria brillarono gli Altavilla, che seppero presto creare una loro contea a Melfi nel 1043; da questo momento la loro espansione politico-militare fu costante (specie con Roberto il Guiscardo, che conquistò la Puglia e la Calabria), finché, intromessisi anche nelle guerre per la Lotta delle Investiture, seppero spregiudicatamente farsi riconoscere dai Pontefici come signori infeudati delle terre meridionali della Chiesa (nel 1091 cacciarono anche i musulmani dalla Sicilia). Infine, nel 1130, Ruggero II d’Altavilla (1101-1154) poté farsi proclamare, sebbene come suo vassallo, da Papa Anacleto II Re di Sicilia, Puglia e Calabria, poi con dominio anche su Capua, Benevento e Napoli. Era la nascita formale del Regno di Napoli, allora chiamato “Regno di Sicilia”. A Ruggero II successero: Guglielmo I il Malo (1154-1166), Guglielmo II il Buono (1166-1189), Tancredi (1189-1194), Gugliemo III (1194). Il “Reame”. La dinastia normanna venne meno con Costanza d’Altavilla, moglie dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Enrico VI di Hohenstaufen (il figlio di Federico I Barbarossa) e madre di Federico II di Svevia, il quale ereditò appunto, alla morte del padre nel 1197, oltre l’Impero, il Reame (era nato a Jesi e cresciuto a Palermo). Dopo la morte di Federico II nel 1250, luogotenente del Regno divenne il suo figlio naturale Manfredi come reggente al posto del fratellastro Corrado IV, il quale morì prematuramente nel 1254; Manfredi allora mantenne la reggenza a nome del figlio di questi Corradino di Svevia, ma poi nel 1258 ruppe con il nipote e si proclamò Re di Sicilia, riprendendo la politica antiecclesiastica del padre. Urbano VI prima e poi Clemente IV favorirono allora la discesa in Italia di Carlo d’Angiò (d’Anjou), fratello del Re di Francia Luigi IX (il Santo), il quale affrontò e uccise il ghibellino Manfredi a Benevento nel 1266. Senonché sopraggiunse allora Corradino, che vantava i diritti dinastici sul Regno; Carlo lo affrontò a Tagliacozzo nel 1268 sconfiggendolo; dapprima lo fece arrestare, ma poi lo fece decapitare a Piazza del Mercato a Napoli. In tal modo, Carlo poté tranquillamente assumere il titolo di Carlo I d’Angiò Re di Sicilia, dando inizio al dominio angioino – e quindi capetingio – sul Reame. A causa delle conseguenze della Guerra dei Vespri, perse la Sicilia nel 1282 a favore di Pietro III d’Aragona (che aveva sposato Costanza, figlia di Manfredi), che divenne Re di Sicilia (1282-1285). Il Reame è ora diviso in Regno di Napoli, agli angioini, e Regno di Sicilia, agli aragonesi. Il Regno di Napoli sotto gli Angiò e gli Aragona. Gli Angioni tennero la parte continentale fino al 1442, anno in cui Alfonso d’Aragona vinse definitivamente la guerra con gli angioni (scoppiata a causa del fatto che Giovanna II d’Angiò aveva dapprima nominato suo erede Alfonso e dopo aveva ritrattato nominando un suo lontano parente francese, Luigi d’Angiò) e conquistò in trionfo Napoli, unificando di nuovo il Reame. Dopo Carlo I, regnarono su Napoli: suo figlio Carlo II (1285-1309), Roberto il Saggio (1309-1343), Giovanna I (1343-1381), Carlo III di Durazzo (1381-1386), Ladislao di Durazzo (1386-1414), Giovanna II di Durazzo (1414-1435), Luigi III (1435-1438), Renato (1438-1442). Nel 1443 il Regno di Napoli venne conquistato, come detto, da Alfonso V d’Aragona (1443-1458), cui successe suo figlio Ferdinando I (1458-1494), il famoso Ferrante, che rimase solo Re di Napoli (e mai anche di Sicilia). Gli successe Alfonso II (1494-1495), momentaneamente spodestato da Carlo VIII di Francia; ma il Regno tornò subito agli Aragona con Ferdinando II (1495-96) e con Federico (1496-1501), finché, nel 1504, Ferdinando il Cattolico (Re d’Aragona, di Sicilia e di Spagna – per il suo matrimonio con Isabella di Castiglia), riunì il Regno di Napoli a quello di Spagna e Sicilia. Da questo momento, quindi, il Regno di Napoli (come quello di Sicilia) è a tutti gli effetti parte integrante del Regno di Spagna, e sarà governato per circa due secoli da un Viceré. Il Regno di Sicilia sotto gli Aragona. In Sicilia, successero a Pietro III (I come Re di Sicilia): Giacomo II (1285-1296), Federico II (1296-1336), Pietro II (1336-1342), Luigi (1342-1355), Federico III (1355-1377), Martino I (1377-1409), Martino II (1409). Nel 1412 il Regno di Sicilia venne unito al Regno d’Aragona: ne furono Sovrani: Ferdinando I (1412-1416), Alfonso il Magnanimo (1416-1458), Giovanni (1458-1479), Ferdinando il Cattolico (1479-1516). Con Ferdinando il Cattolico, marito di Isabella di Castiglia e fondatore con lei del Regno di Spagna, la Sicilia divenne parte unica con il Regno di Napoli del Regno di Spagna. Il Vicereame. Dal 1504 al 1713 il Regno di Napoli è di fatto unificato con il Regno di Spagna. Come è noto, alla morte di Ferdinando il Cattolico divenne Re di Spagna Carlo I d’Asburgo. Carlo (1500-1558) era figlio di Filippo il Bello d’Asburgo, a sua volta figlio dell’Imperatore del Sacro Romano Impero Massimiliano, e di Giovanna la Pazza, figlia di Ferdinando il Cattolico e Isabella di Castiglia. Egli si trovò pertanto ad ereditare nel 1516 il Regno di Spagna con tutti i suoi domini (fra cui i Regni di Napoli e Sicilia), e nel 1519 divenne anche Imperatore del Sacro Romano Impero col titolo di Carlo V, divenendo di fatto uno dei più importanti sovrani che la storia abbia conosciuto, anche perché i suoi immensi territori furono accresciuti alla conquista delle colonie americane. Abdicò nel 1556, lasciando al fratello Ferdinando il Sacro Romano Impero con il titolo imperiale, al figlio Filippo II il Regno di Spagna e tutti i domini ad esso connessi, compresi i Regni di Napoli e Sicilia. Carlo fu quindi a tutti gli effetti anche Re di Napoli e Sicilia. Gli successe come Re di Spagna suo figlio Filippo II (1556-1598); furono poi Re di Spagna (e quindi di Napoli e Sicilia, che, ricordiamo, erano direttamente governate da Vicerè di nomina regia): Filippo III (1598-1621), Filippo IV (1621-1665), Carlo II (1665-1700). Carlo II di Asburgo-Spagna morì senza eredi, e nominò suo successore Filippo d’Angiò, nipote di Luigi XIV, preferito a Carlo d’Asburgo-Austria; egli prese il titolo di Filippo V di Borbone, Re di Spagna; ciò provocò la Guerra di Successione Spagnola (1700-1713), che vide vincitore Filippo V, il quale, in cambio del riconoscimento internazionale del suo diritto sul Trono di Madrid, dovette cedere i Regni di Napoli e Sicilia agli Asburgo. Così, dal 1713 il “Vicereame” è di nuovo sotto il dominio asburgico, anche se questa volta si tratta degli Asburgo d’Austria: esso divenne quindi parte integrante del Sacro Romano Impero, ed ebbe come sovrano l’Imperatore Carlo VI. Peraltro, dal 1714 al 1720 la Sicilia fu data al Re Vittorio Amedeo di Savoia, ma poi tornò agli Asburgo. I Borbone delle Due Sicilie, restauratori del Regno. Nel 1734, per vicende storiche che descriviamo meglio alla voce dedicata a Carlo di Borbone (Re di Napoli e Sicilia dal 1734 al 1759), questi, figlio di Filippo V di Spagna ed Elisabetta Farnese, conquistò le Corone di Napoli e Sicilia, restaurando a tutti gli effetti un regno unito e sovrano. Dopo due secoli di dipendenza politica, il “Reame” divenne di nuovo una nazione libera sotto la dinastia dei Borbone di Napoli e Sicilia. Le voci della sezione storica di questo sito, che seguono la presente, descrivono brevemente ma in maniera puntuale come Carlo e i suoi discendenti seppero governare, riformare ed ammodernare il loro regno, conquistando quell’amore dei sudditi che nessun’altra dinastia ebbe nel corso dei secoli (se non in maniera minore), e che si manifestò apertamente durante gli anni dell’invasione napoleonica e durante quelli seguenti alla caduta del Regno in mano ai Savoia. Successori di Carlo di Borbone furono: Ferdinando IV (1759-1825), dal 1814 Ferdinando I delle Due Sicilie; Francesco I (1825-1830), Ferdinando II (1830-1859), Francesco II, che nel 1860 perse il Regno, conquistato dal Vittorio Emanuele II di Savoia. Con tale conquista, il Regno delle Due Sicilie smette di esistere in quanto regno sovrano e indipendente. Preso da: http://www.cogitoergo.it/la-verita-sul-regno-delle-due-sicilie/ https://ift.tt/2vJEEO7
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francesca-bosco · 7 years
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Ciao a tutti
In occasione del blogtour Panorami D’Inchiostro che oggi fa tappa alla nostra tavola, ho pensato di portarvi con me tra le pagine di un libro senza tempo ma soprattutto tra le stradine di una città sempre magica, protagonista di una tra le storie d’amore più belle mai raccontate.
Tatiana Metanova dormiva il sonno dell’innocenza, delle calde notti bianche di Leningrado, del giugno profumato di gelsomino. Ebbra di vita, dormiva il sonno dell’intrepida giovinezza. Non durò a lungo.
  È l’inizio dell’estate del 1941 quando alla radio il generale Molotov annuncia l’invasine della Russia ad opera della Germania. “Il paese vi chiama, […] La causa è giusta. Il nemico sarà annientato. La vittoria sarà nostra”.
È il 1941 che vedrà l’inizio della storia della dolce Tatiana e del suo Shura, tra le strade di una Leningrado senza forze, sotto un cielo che di bello vede solo il loro amore. In quest’occasione, vi porterò in quei luoghi complici di quell’amicizia diventata amore tra Tatiana e Alexander, segnati da una guerra illogica, che ancora oggi nascondono una magia senza tempo. Nell’intera trilogia, i nostri personaggi gireranno in lungo e in largo la città, io però mi soffermerò solo sui luoghi più significativi. Magari, se per puro caso vi trovate dalle parti di San Pietroburgo, fateci un salto!
  Iniziamo con uno dei monumenti più belli di tutta la città, protagonista  nel libro di una scena di svolta, spartiacque tra il sogno e quello che sarà una terribile certezza, l’assedio di Leningrado. Nonostante una gamba fratturata, Tatiana attraversa una silenziosa Leningrado per raggiungere Alexander d’istanza sulla torre di vedetta della Cattedrale di Sant’Isacco. In quest’occasione il legame tra i due protagonista si rafforzerà e la verità su quell’americano ufficiale dell’Armata Rossa verrà a galla in un salto nel passato.
La vista da lassù sarebbe stata davvero straordinaria, pensò Tatiana, se solo Leningrado non fosse stata sotto assedio. Tutte le luci erano spente e nel buio della notte non si vedevano neppure i dirigibili bianche che galleggiavano silenziosi nel cielo. L’aria era fredda e sapeva di acqua fresca.
  Un monumento mastodontico, dagli interni talmente ricchi artisticamente da richiamare ogni anno più turisti che fedeli. Durante il memorabile assedio di 900 giorni, il lato ovest della Cattedrale fu colpito dalle numerose bombe che devastarono la città, e ancora oggi porta i segni di quel massacro. Riuscì a resistere però fino alla liberazione avvenuta nel Gennaio del 1944.
  Tra Cattedrale di Sant’Isacco e il fiume Neva c’è Il Cavaliere di bronzo.
Non si può andare a San Pietroburgo e non visitare la statua, il più famoso monumento. Raffigurante Pietro il Grande, la sua magnificenza è perfettamente godibile dalla prospettiva del fiume Neva, che la costeggia. Nel nostro amato libro questa statua ha un ruolo particolare: oltre ad essere un punto di riferimento e presente come un guardiano silenzioso, nelle passeggiate dei nostri protagonisti sul fiume, il Cavaliere ha ispirato il poema epico di Puskin, Il cavaliere di bronzo del 1837. Un libro che sarà il primo regalo di Alexander alla sua Tatia, nonché la salvezza per quest’ultima nella traversata verso l’America.
Lo scartò con trepidazione. Dentro c’erano tre libri: una raccolta di Puskin dal titoli Il cavaliere di bronzo e altre poesie […]. “ Il cavaliere d’inverno era di mia madre. Me lo diede poche settimane prima che venissero a prenderla.” Tatania non sapeva cosa dire. “ e tu, hai mai letto Puskin?”. “ Si, l’ho letto,” le prese la carta dalle mani e la gettò via. “ Il cavaliere di bronzo è il mio poema preferito.”” Anche il mio,” esclamò Tatania, guardandolo meravigliata. “ ‘ Vi fu giorno terribile, D’esso è recente la memoria… D’esso, amici, per voi imprenderò a narrare. E sarà triste il mio racconto.’ “” Lo citi come una vera russa.” “ Sono una vera russa.”
  Ora spostiamoci nel quinto Soviet, dove abitava Tatiana insieme alla sua famiglia. Paullina Simons nel 1998 è tornata in quei luoghi e ha raccontato poi come ancora, a distanza di anni, la città vivesse sotto una forma di incantesimo, per certi versi immutata: edifici fatiscenti, famiglie che vivono in appartamenti comuni e campi aridi bombardati a tal punto che nulla è cresciuto neanche a distanza di 50 anni. Il tutto raccontato in Six days in Leningrad.
“Dove abiti, Tania?” “Vicino al parco Tauride, all’angolo tra la Greceskij e il Quinto Soviet. Sai dov’è?”. Lui annuì. “Vivi con i tuoi genitori?”. “Naturalmente. Con i genitori, i nonni, mia sorella e il mio gemello.” “Tutti in una stanza?” domandò Alexander senza una particolare intonazione. “No, ne abbiamo due!” esclamò lei contenta.
601181 01.01.1942 На улице Ленинграда после налета фашистской авиации. Великая Отечественная война 1941-1945 годов. Борис Кудояров/РИА Новости
  Un piccolo accenno alla fabbrica Kirov è doveroso. La struttura che ha visto nascere l’interessa tra i nostri protagonisti. Una giovane Tatania lavoratrice instancabile e il paziente Alexander che all’inizio della loro storia, l’aspetta alla fine del turno di lavoro alle porte della fabbrica, per condurla a casa. Sono quelli momenti indimenticabili che mi hanno fatto innamorare del soldato ancora di più.
Prima di uscire dalla fabbrica Tatiana si strofinò le mani e il viso finché non tornarono rosa, poi si spazzolò i lunghi capelli e li lasciò sciolti. […] Diede un’ultima occhiata allo specchio e si chiese se dimostrava dodici o tredici anni. Era la sorella minore. Alexander era alla fermata dell’autobus. “ Mi piacciono i tuoi capelli, Tania”.
    È il titolo del libro conclusivo della trilogia, non potevo non dedicargli un posticino speciale. È dove Tatia e Alexander festeggiano il compleanno di lei, sotto gli occhi della statua di Saturno che divora il figlio. È dove all’ombra di Marco Aurelio potevano godersi la vista della Neva, la cattedrale dei Santi Pietro e Paolo al di là del fiume. È Il Giardino d’Estate. L’eleganza formale del giardino continua ad essere, a distanza di anni, il suo punto forte, grazie in particolare al Palazzo d’Estate situato all’angolo nord-orientale.
“ Mi piace guardare questo fiume”, sussurrò Alexander. “Specialmente durante le notti bianche. In America non esiste niente del genere.”
    Se escludiamo la travolgente storia che Paullina Simons ci racconta, il suo Cavaliere d’inverno è anche un attenta testimonianza di quelli che furono gli anni più difficili di una delle città più belle al mondo. Ogni pagina nasconde un angolino di Leningrado, ora San Pietroburgo, ognuno con una storia da raccontare. I luoghi sopra citati sono quindi solo una piccola parte di una vasta, bellissima mappa. Non mi stancherò mai di consigliare questa seria e se me lo concedete, vorrei concludere il post con la scena e il luogo più significativo di tutto il libro. Chi lo ha letto potrà capire benissimo.
Siamo in una delle zone più eleganti di quella che era la capita imperiale della Russia. L’Ermitage è uno dei musei più grandi ( se non il più grande ) e prestigiosi al mondo. Il museo si trova nel barocco Palazzo d’inverno di Elisabetta I. Secondo una delle tante stime fatte sui musei di San Pietroburgo, potrebbero essere necessari undici anni per ammirare in un minuto di tempo ogni pezzo in mostra nei cinque edifici del museo. Durante il grande assedio nazista alla città, il museo venne completamente svuotato: nell’estate del 1941 le valli dei monti Urali videro viaggiare più di un milione di opere d’arte in treni allo scopo di salvarle dalla guerra.
  A noi amanti del Cavaliere, l’Ermitage ricorderà sempre e solo un’unica cosa: “Ricorda Orbeli…”
Dopo il gelato comminarono sul lungofiume della Neva, diretti a ovest verso il tramonto. Avevano appena superato il bianco splendore del palazzo d’Inverno, quando Tatania vide un uomo sull’altro lato della strada. Si fermò di colpo, stupita dal suo atteggiamento. Stava in piedi fuori dal museo dell’Ermitage e i suoi occhi erano pieni di rimpianto e disperazione.
“Chi è quel tipo?” chiese.
“Il conservatore dell’Ermitage.”
“Perché guarda le casse in quel modo?”
“Perché contengono la passione della sua vita. Non sa se rivedrà di nuovo quei tesori.”
Tatiana avrebbe voluto consolarlo in qualche modo. “ Deve aver più fede, non credi?”
“Sono d’accordo, Tania” le sorrise. “ Deve avere un po’ più di fede. Finita la guerra, rivedrà i suoi amai capolavori. “
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Una passeggiata nella Leningrado di Il cavaliere d'inverno Ciao a tutti In occasione del blogtour Panorami D'Inchiostro che oggi fa tappa alla nostra tavola, ho pensato di portarvi con me tra le pagine di un libro senza tempo ma soprattutto tra le stradine di una città sempre magica, protagonista di una tra le storie d’amore più belle mai raccontate.
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enrico66m · 3 months
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Prendi due paghi tre - Video 21 from Enrico Mattioli on Vimeo.
Le tragiche avventure del commesso Leopoldo Canapone – Una satira sul consumismo – Ordina a [email protected] - Scarica da stradebianchelibri.com/mattioli-enrico---prendi-due-paghi-tre.html La recensione: laltrariva.net/prendi-due-paghi-tre/
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