Tumgik
#la mia voce sale a Dio
yomersapiens · 1 year
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Viaggio Antonacci
È un'umidità che non ti lascia mai. Non smetti mai di avere freddo, neanche con il sole. Neanche con 14 gradi in un gennaio spaventosamente primaverile. Le coperte non sembrano mai del tutto asciutte. Non appena mi infilo nel letto minuscolo dove sono ospitato lo noto. Sembra di stare su un materassino gonfiabile, in mezzo al mare. Le rocce sono scivolose e le mie scarpe da ginnastica moderne potrebbero essere state un acquisto sbagliato. Certo i colori sono gradevoli. Il baffo rosa simbolo di vittoria padroneggia sopra un verde lime e il classico nero che mai abbandonerò.
Ho lasciato casa per venti giorni quasi. Non capitava da anni. Una volta sistemato Ernesto ho capito che potevo provare ad essere libero. Mi sono sentito solo e costantemente bagnato. Indossavo magliette messe ad asciugare durante la notte sul termosifone che parevano appena estratte da un ciclo rinfrescante dalla lavatrice. Il paesaggio della Murgia al mattino mi ha tolto il fiato. Nascosto in una caverna noto il passaggio delle coppie precedenti. Fazzoletti gettati ovunque. Involucri di preservativi nascosti tra ciuffi d'erba carichi di gocce di rugiada. Le gambe mi facevano male dal camminare e la schiena era sudata. Pensavo fosse ancora l'umidità e invece no, questa volta era la mia fatica.
C'era silenzio rotto solo dal saluto con alcuni passanti. Ho cercato riparo dal sole e l'ho trovato in una piega del torrente che spaccava in due la vallata. "Se non scivolo qua non scivolerò mai più" ho detto ad alta voce e adesso penso di avere ventose al posto delle Nike. Il cuore aveva bisogno di una pausa. La cassa toracica e i polmoni hanno discusso tra di loro, su chi avesse diritto a maggiore spazio. Ho sentito scricchiolii di assestamento. Di notte le gambe tremavano, per il freddo e per i chilometri. Mi sono chiuso in biblioteca quando ho potuto, ho elaborato la fine del manoscritto. Perché le mie storie iniziano tutte minuscole, quasi banali, e finiscono a prendere in giro divinità ed esseri astrali? "Perché ti credi anche tu un Dio" mi hai detto prima di addormentarti. Mi credo un Dio. Sicuramente uno meritevole di bestemmie e altari.
Si chiamano edicole votive e Bari ne è cosparsa come acne sul volto di un adolescente butterato. Ogni arco venera qualcuno. Cerco l'arco dedicato a me e non lo trovo. Anche qua non mi abbandona l'umidità e ora la sento più corposa, le scarpe che ho pagato non so quanto per essere alla moda e togliermi una decina di anni sono piene di tracce di sale. Le signore anziane guardano dalle finestre socchiuse delle case a piano terra. Mi hanno detto come si chiamano questi luoghi ma ho dimenticato. Ho dimenticato ogni volta la strada di casa e l'ho fatto di proposito. Volevo perdermi e trovare il b della matassa da solo. Nessun ristorante aveva posto e nonostante gli innumerevoli dolci mangiati in ogni pasticceria stavo morendo di fame. Vengo cacciato ovunque. Era troppo tardi per pranzare e troppo presto per il tramonto. Noto una di queste case, una coppia di anziani seduta a una tavola apparecchiata guarda svogliatamente il telefono. Quello di lei non prende bene ed è costretta ad allungare le braccia verso la porta d'uscita. Noto un cartello scritto a mano poggiato per terra "Da Carletto", decido di essere coraggioso e mi affaccio. Chiedo di spiegarmi che posto è questo, perché ci sono due tavoli apparecchiati e nessun commensale. Carletto mi invita ad entrare e dice che mi avrebbe sfamato. Gli dico di fare di me quello che vuole, sono il suo pozzo senza fondo. Vado a lavarmi le mani e noto uno spazzolino lasciato in bagno. Sono a casa di Carletto, un ristoratore in pensione da anni che accoglie affamati come me e li sfama con la cucina più onesta mai provata. I piatti in plastica mi ricordano un passato che ancora resiste al sud. Cambiare un'abitudine sembra impossibile. Carletto continua a portare cibo in tavola e io assaggio ogni cosa, anche del pesce crudo, andando contro ogni avvertimento di mia madre. Resto sulla sedia, incollato, a guardare le effigi sacre appese nella stanza di pochi metri quadrati. Entra un altro gruppo di persone, sono loro i veri invitati in casa di Carletto. Li fa sedere e l'accento barese mi riporta alla realtà. Parlo tre lingue e capisco due dialetti e ora sto schivando colpi d'ascia e sputazze e alitate, parole grosse, risate, non capisco nulla e sorrido. Prima di andare via Carletto ci tiene a mostrarmi una gigantografia della star del piccolo viale: un cane ovattato e peloso più simile a un alpaca. Mi dice che si chiama Lollo e che i turisti si fermano per fotografarlo. Non sono abituato a tanta ospitalità. Vorrei dare la colpa a Vienna ma ho capito che non è colpa sua, sono io ad essere cambiato. Mi domando perché Carletto non abbia una mia foto, forse gliela dovrei spedire, grande quanto quella di Lollo.
Forse mi sono sentito più libero in mezzo alle grotte, nascosto da tutto. Davanti al mare mi sento nudo. I pescatori del mattino mi guardano straniti, sono un elemento contrastante per loro. Ho gli occhi affamati, il naso che respira ogni goccia sospesa nell'aria, anche quelle cariche di odori nauseabondi. Le orecchie registrano le onde calme infrangersi sugli scogli. Non è il tirreno, lo noto dalla grazia con cui portano a termine il loro viaggio e perché il sole sta sorgendo dalla linea piatta dell'orizzonte.
È davvero così utopico pensare di poter vivere così? Con le giornate che non hanno più un nome, entrando in case di sconosciuti, in letti abbandonati per le vacanze, cercando un po' di pace tra gli studenti spaventati dalla riapertura delle facoltà, mescolandomi nei banchi di biblioteche millenarie. Parlando di idee, progetti, racconti, ricordi. Mi fa schifo pensare al denaro. I miei più cari amici scrivono nella chat che ci unisce da diverse parti del pianeta "È lunedì! Si torna a produrre!!!" ma produrre cosa? Vendite? Numeri in un computer? Risparmi per andare in vacanze sovraffollate una settimana all'anno? Fotografie interscambiabili da social network?
Durante il volo di ritorno non ho avuto paura. Io che non ho preso l'aereo per 12 anni convinto di essere inadatto al volo. Ho lasciato il sud che si è coperto di nuvole per l'occasione, per non mostrarsi bello come volevo ricordarlo. "Stai tornando verso il grigio, ecco un assaggio dei prossimi mesi". A venti minuti da Vienna arrivano le perturbazioni. Saltiamo. Ci agitiamo. Scosse e vibrazioni. Il capitano interviene per tranquillizzarci ma io proseguo a leggere il libro. Mi giro e vedo persone con la testa tra le mani che pregano una divinità che non farà nulla per loro. Alcuni pregano San Nicola, sicuro uno sta pregando Lollo. Sono indifferente. La morte non mi spaventa più? Mi spaventa la malattia. La lunga degenza. Le file infinite in ospedale. Mi spaventa il lunedì lavorativo dedicato al produrre. Mi spaventano i metri quadrati di un ufficio illuminato a neon. I pomodorini tutti uguali al supermercato. Mi spaventa ferire qualcuno. Far piangere. Ma morire non mi spaventa più.
Atterriamo e ritorno a casa mia dopo averla lasciata in affidamento a due ospiti. L'odore è diverso, hanno fumato dentro. Ovunque. È tutto pulito e ordinato ma noto delle piccole differenze, mi sento come gli orsi della favola di Riccioli d'oro. È il prezzo da pagare per essere stato libero: perdere il luogo che definisce l'inizio e la fine della mia personalità. Aggiusto i particolari cambiati. Apro le finestre. Accendo candele profumate. Resto con la giacca in casa e mi sento tranquillo come lo sono stato nelle ultime settimane. Come sul bus diretto nel nulla delle autostrade calabresi. Ho imparato a inserirmi in ogni contesto senza deturparlo, sono un elemento decorativo esterno che al massimo sorride e ti chiede un caffè.
Faccio colazione al buio, nel palazzo di fronte nessuno è sveglio. Le coperte puzzavano di pelle di fumatori, faccio finta di non pensarci. Il caffè lo ricordavo migliore ma l'ultimo che ho bevuto era in riva al mare prima di baciarci e dirci addio. Vienna si sta svegliando piano. La luce filtra intermittente tra le nuvole come un neon carico di gas esausto che vuole solo andare in pensione ed essere cambiato.
In ospedale la sala d'attesa è gremita di abitudinari come me. Li saluto e canticchio. Ho portato questo con me dall'Italia, canticchiare mentre aspetto. C'erano altoparlanti ovunque anche nelle stazioni più sperdute, nelle fermate del bus più isolate. Non luoghi, come lo è diventata casa mia da quando ho deciso di lasciarla in mano ad altri. Allora canticchio e mi sento a casa. Senza soldi, senza programmi per il futuro, se non andare a riprendere il mio gatto dalle sue vacanze. Riccioli d'oro ha mangiato la mia zuppa, dormito nel mio letto, usato il mio spazzolino e a me va bene così. Ho trovato altrettante caverne altrove e sono tutte uguali quando le riempi canticchiando un motivetto allegro.
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beppebort · 8 months
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È solo Cristo che rende appassionata la mia vita
(Ermes Ronchi giovedì 24 agosto 2023)
XXI Domenica Tempo ordinario - Anno A
In quel tempo, Gesù, giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?». Risposero: «Alcuni dicono Giovanni il Battista, altri Elìa, altri Geremìa o qualcuno dei profeti».Disse loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». (...)Dopo due anni e mezzo passati con Gesù, in cammino per sentieri e villaggi, i discepoli vengono coinvolti in una sorta di sondaggio d’opinione: cosa si dice in giro di me? L’opinione della gente è bella: Rabbi, sei uno che allarga i cuori, uno bravo, un innamorato di Dio, uno che guarisce la vita. Gesù lancia una seconda provocazione, stringe il cerchio: ma voi, voi dalle barche abbandonate, voi dei cammini con me, voi amici che ho scelto a uno a uno, che cosa sono io per voi? Le sue domande assomigliano a quelle degli innamorati: quanto conto per te? Che posto ho, che importanza ho nella tua vita? Gesù non ha bisogno della risposta dei discepoli per sapere se è più bravo degli altri rabbini, ma per sapere se si sono innamorati di una almeno delle sue parole, se Pietro gli ha aperto il cuore. Non è facile rispondere: il primo passo è quello di chiudere i libri e i catechismi, e di guardare dentro le mie esperienze. Come dire chi tu sia per me Signore? Sei il mio rimorso, la mia dolce rovina; voce che sale, dice e ridice, e non tace mai, vento nelle mie vele, disarmato amore. Sei un maestro d’ali. Il secondo passo per una risposta vera è uscire dall’ovile rassicurante e immobile delle frasi fatte; via dal prontuario delle affermazioni non sofferte, che sono la rovina della comunicazione della fede. Perdersi invece nei campi della vita: “in Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini” (Gv 1,4). La Vita è teologa, è la prima catechista. Pietro risponde: Tu sei il Messia, la mano di Dio, il suo progetto di libertà. Sei il figlio del Dio vivente, Colui che fa viva la mia vita, il miracolo che la fa potente, inesauribile e illimitata. La domanda adesso rimbalza fino a me: perché io gli vado dietro? La risposta è semplice: per essere felice. Cristo è stato l’affare migliore della mia vita. Che non vuol dire avere una vita senza problemi o ferite, ma più piena, accesa, appassionata, vibrante, proiettata: in avanti, attorno, in alto.Nella seconda parte del brano Gesù capovolge la domanda, in un bellissimo contrappasso: “Pietro adesso sta a me dire chi sei tu per me: sei pietra e su questa pietra.... La beatitudine di Pietro (beato te, Simone!) raggiunge noi tutti. Forse anch’io sono nella lingua di Gesù “kefà”, piccola pietra. Non certo una macina da mulino, ma una pietruzza solamente. Eppure, per lui, nessuna piccola pietra è inutile, nessun coccio è da buttare. Dio non adopera macine da mulino, ma pietre scartate; non ha scelto l’oro per fare le sue creature, ma la creta. Le sue sono mani di vasaio che premono per dare alla mia argilla la forma migliore, mani di orafo che preparano una carezza di luce da posare sulle mie ferite.(Letture: Isaia 22,19-23; Salmo 137; Romani 11,33-36; Matteo 16,13-20)© riproduzione riservata
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labiciclettagialla · 2 years
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mezzogiorno
È mezzogiorno, l’ora del sole più alto. Prendo la brocca per andare al pozzo, profittando del caldo torrido per recarmici senza essere vista da nessuno. Apro la porta e il calore del sole che batte e quello che sale dalla terra mi investono: sarà faticoso, ma ho bisogno di quest’acqua. 
M’incammino fra le strade deserte; la canicola del mezzogiorno fa tremare l’aria all’orizzonte e solo qualche cane osa – come me – sfidare il caldo alla ricerca di chissà quali avanzi di cibo. 
Arrivo al limitare del villaggio, dove si trova il pozzo; sono così intenta a pensare alle cose della mia vita, ai mormorii su di me che ormai mi sembrano essere suscitati dalle stesse case del paese (sono gli stessi mormorii che ormai mi hanno costretta a nascondere la mia vergogna sotto una coltre di solitudine e durezza), che mi accorgo solo troppo tardi che proprio là dove devo andare siede un uomo. Mi fermo, esitante. Lui alza lo sguardo e lo posa su di me: è troppo tardi per tornare indietro. Lotto dentro di me con il desiderio di fuggire; eppure ho bisogno di quell’acqua, e tornare dopo sarebbe pure peggio, potrebbe esserci molta più gente, al pozzo. E non posso nemmeno fare a meno di notare che, stranamente, quegli occhi sembrano quasi attendermi. 
Mi avvicino e riconosco di avere davanti un giudeo. I sandali e i piedi sporchi di terra polverosa mi suggeriscono che sia un viandante che per qualche motivo ha scelto di percorrere la strada che attraversa la terra disprezzata di noi impuri samaritani. 
Che stesse cercando proprio me? Ma no, che dici, impossibile. 
Eppure mi chiede: “Dammi da bere”. Non è una domanda, è una richiesta, un ordine quasi perentorio al quale però, anche volendo, non mi sentirei mai di non rispondere. 
Ma come, lui, giudeo, chiede a me, misera samaritana di dargli da bere?
Mi accorgo di aver pensato ad alta voce. L’uomo mi risponde qualcosa che faccio davvero fatica a comprendere: 
“Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che di dice “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva”. 
Mi offre dell’acqua e non ha nulla con cui attingerla? E perché lui ha chiesto prima a me di dargli da bere? Forse perché sapeva che, misera come sono, l’unica cosa che posso ancora dare è solo un poco di acqua? È come se lo sapesse, che la mia vita ormai è soltanto questo: attingere acqua ad un pozzo deserto…
Ma che differenza c’è tra l’acqua del pozzo – che lui mi ha chiesto – e quella che lui sta offrendo a me? Che io stia parlando con qualcuno di grande? 
“Chiunque beva di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna”. 
Dammene di quest’acqua! Sento scattare qualcosa dentro di me, qualcosa che m’intriga e che mi fa sentire come se ci fosse una nuova possibilità anche per me, che ho fatto della continua ricerca di novità il senso della mia vita fino a perdere completamente la voglia di cercare qualcosa di più di un semplice appagamento passeggero. 
“Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui”. 
Tentenno; ecco perché non volevo incontrare nessuno al pozzo, per evitare di sottopormi per l’ennesima volta alla tortura di sentir giudicare la mia vita. Eppure, a differenza di tutte le innumerevoli altre occasioni, l’assenza di giudizio nei suoi occhi e un’inspiegabile sensazione di trovarmi di fronte a qualcuno profondamente radicato nella verità mi fanno cacciare indietro la voglia di scappare e mi spingono ad ammettere con estrema sincerità: “Io non ho marito”. 
Ed è così che, sempre più disarmata e messa a nudo da questo incontro inaspettato, mi trovo a farmi raccontare la mia vita da uno sconosciuto. Dev’essere un profeta, altrimenti non potrebbe dirmi tutte queste cose! 
Cominciamo a dialogare e mi pone domande e provocazioni sulla mia fede sul Dio dei nostri padri. Ma perché ne sta parlando con me che non sono nessuno, se non una semplice donna di Samaria? Che valore ha la mia vita perché lui mi dica tutte queste cose? Di fronte alle sue parole sul Padre e su un Dio che è Spirito, io non sono capace di dire altro se non
“So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa”. 
La sua risposta è sconvolgente: “Sono io, che parlo con te”. 
Per poco non mi cade l’anfora dalle mani che, per assecondare il mio stupore, smettono di stare chiuse come una difesa di fronte al petto, e si lasciano andare, aperte, ormai pronte ad accogliere questa nuova, grande novità. 
Il sole del mezzogiorno comincia a risplendere su di me con una luce diversa. E adesso capisco, in un modo che io stessa fatico a spiegarmi, che l’uomo che ho di fronte è il Dio che ho sempre atteso. Quel Dio che per un tratto della mia vita ho cercato si è messo in viaggio per venire lui a cercare me, ed era già qui, che mi aspettava, proprio nel luogo dove pensavo di non potermi più nascondere. Lui cercava me; questa è la cosa che mi stupisce più di tutte, come se, dopo una vita passata a sbagliare e ad accettare di identificarmi progressivamente con i miei errori, improvvisamente fosse arrivato qualcuno a dirmi che anche i desideri che avevo sopito nel mio cuore possono tornare a sgorgare dal pozzo non più inaridito che c’è dentro di me. Lui cercava me per chiedermi di dargli da bere: allora valgo ancora qualcosa, anche con la mia storia di fallimenti! E lui, sapendolo, mi ha chiesto di dargli l’unica cosa che potevo, della semplice acqua. 
Ma so che l’acqua di questo pozzo non placherò più nessuna sete ora che so che lui – che grande meraviglia – ne ha accesa una nuova dentro di me: sete che si potrà soddisfare solo di quell’acqua che lui mi ha promesso, un’acqua per la vita eterna. 
La sento questa sorgente che ritorna a zampillare dentro di me, è una meraviglia profonda, una gioia prorompente, la sensazione di aver ricevuto una grazia salvifica per la mia vita disordinata. È così che accetto di farmi rivelare in verità da quest’uomo che mai ha provato pena per la mia vita, ma che da subito mi ha fatto sentire degna di qualcosa di bello, di qualcosa di grande, nonostante tutto. Non è forse vero che mai nessuna terra, in fondo, è troppo arida perché possa mai fiorirvi qualcosa? 
Ora non m’importa più che arrivi altra gente a questo pozzo a mezzogiorno: che mi guardino pure, che mi giudichino pure, non ha più valore per me; da oggi la mia vita è cosa nuova. 
Guardo quest’uomo ancora una volta: fisso i suoi occhi che mi dicono “Vai”. Abbandono l’anfora ai piedi del pozzo e sento le gambe mosse dal nuovo desiderio del mio cuore spingermi verso le case. Io, la donna che prima fuggiva tutto e tutti, sto chiamando la gente della mia città perché venga a vedere chi mi ha donato qualcosa di troppo bello e troppo grande per non essere raccontato. Ancora non mi sembra del tutto vero, e forse nessuno mi crederà, ma non mi accontento più.
Gv 4, 1-30
Foto: la Via di Francesco, tra La Verna e Pieve Santo Stefano
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elkiar · 3 years
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“La mia voce sale a Dio e grido aiuto; 
la mia voce sale a Dio, finché mi ascolti
[...]
Ripenso ai giorni passati, 
ricordo gli anni lontani.
Un canto nella notte mi ritorna nel cuore: 
rifletto e il mio spirito si va interrogando”
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ilmerlomaschio · 3 years
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rossoscarlatto.net
Tatuata
"Allora hai deciso..."
"Sì".
"E se poi ti stancassi ? Volessi levarlo ? Non ti piacesse più..."
"Non credo...e in ogni modo, lo sai, non do peso al mio corpo, non mi guardo allo specchio..., non m'importa cosa ne penserò domani o fra vent'anni, ho solo bisogno di un segno..."
"Un segno...?"
"Devo segnare questo tempo...ricordarlo..."
"Ricordarlo ? Puoi farlo comunque...perché sulla pelle ?"
"Definitivo..., questa fuga non è con la testa nel sacco, so che sto fuggendo e da cosa..."
"Tu hai troppi uomini..."
"In questo periodo ? Sì...sempre... quando sono così..."
"Tu li usi..."
"E loro usano me...normale...".
"Non sei innamorata, è vero...?"
"Ho bisogno di sogni, lunghissimi, interminabili..."
.................
Ore 16.35. Sono in anticipo.
"Ciao..."
"Ho appuntamento alle 17.00..., posso aspettare ?"
"Accomodati, lui è di là...nel frattempo puoi guardare i cataloghi, hai già un'idea ?"
"No. Nessuna."
Il divanetto è molto piccolo, e davanti una tendina trasparente, nera su un vetro. Dietro intravedo un'ombra. E un rumore, quasi un ronzio. Forte, insistente. Che cosa succede di là ? Nessuno parla...solo il ronzio.
Sfoglio le pagine piene di simboli scuri, linee, curve, punte, e piccoli totem, simbologie di mondi passati, qualche animale, e piume, ali. Che fare ? Che tipo di segno sul mio povero polso ? Un sole ? Questo piccolo pesce ? Questa spirale appuntita ?
"Hai bisogno d'aiuto ?"
Lei è vestita di nero, come me. Al naso, sopracciglia, e labbro inferiore anelli e altri piccolissimi oggetti.
"Fra poco tocca a te... è quasi pronto..."
Arriva. E' qui vicino. Mi guarda. Lo guardo.
Alto. Magro abbastanza. Le maniche corte della maglietta blu, larga, scoprono ogni forma incisa, e incredibile, sulle sue braccia. E colori. Anelli ad ogni suo dito. E il viso. Rugoso, ma giovane, con occhi chiari e una bocca grande, non ben delineata. Senza barba.
"Ciao...che cosa posso fare per te...?"
Huuummm, che cosa puoi fare per me ?...devo dirtelo subito... o dopo?
"Credo che un occhio...forse...ma molto stilizzato...una forma semplice, pulita...non troppo grande..."
"Ok, vieni..."
Si muove piano e sparge in giro un po' del suo profumo di muschio. La sala degli orrori ora è davanti ai miei occhi. Arrivandoci senza sapere cos'è può essere scambiata per lo studio di un dentista. Ma la musica ovunque, e forte, i disegni alle pareti, le sue foto nudo con esibizione d'ogni piccola e grande opera d'arte, mi fanno sentire finalmente a casa.
"Siediti qui...vicino a me..."
Mi accomodo, un po' timorosa sulla poltroncina vicino al tavolo, dove lui sta disegnando il mio occhio. Con la matita su una velina trasparente.
"Così... ti piace ?"
"Sì.....va bene..."
Si alza. Più in là la poltrona da esecuzione, il patibolo, quasi un lettino, di pelle imbottita rossa. Mi allungo, e lui prende il mio polso. Non parla, e da un cassetto tira fuori un rasoio. In un attimo graffia via i pochi peli sul mio braccio fino alla mano. Io tremo, sono già spaventata.
"Posso... scappare... se...?"
"Scappare ? e dove...stai tranquilla... ci penso io... non sentirai male... non troppo...sopporterai...vedrai..."
La decalcomania ora è sul mio polso, bella disegnata, e blu.
"Ecco...questa è la giusta posizione... potranno vederlo bene, tutti..."
Comincio a sudare, la ghigliottina è lì davanti a me, e sta iniziando il suo ronzio terribile.
L'ago. Mio dio. L'ago.
Punge. Punge e colora la mia pelle. E lui preme, e striscia per seguire il tratto del suo disegno, il mio occhio.
Non voglio scappare. Sono immobile e senza respiro.
Il mio braccio sulla sua gamba, e lui curvato a tenerlo fermo. E incidere.
"Ti fa male...?"
La sua voce adesso è bassa, e lenta. Tutta la pelle del mio capo freme.
So che la mia spina dorsale sta iniziando a gioire. La sento.
Il piacere che sale dai miei fianchi sino alla nuca, e poi scende sino all'interno delle mie cosce.
Ancora immobile.
Ma con la mente sono già ad accarezzare la lampo dei suoi pantaloni, e tutta la meraviglia che gli sta sotto.
"Ti fa male...?"
Sì. Mi fa male. Tu sai che mi stai facendo male. E anche come.
Conosci il tipo di dolore che procuri alle tue vittime.
E sono certa che la tua erezione è già cominciata.
Non mi chiedi se voglio sospendere per un attimo. No. Non lo fai.
E io non vorrei. Non devi fermarti, ora. Non più.
Che bello. E' bellissimo. Non potevo immaginarlo, sai ? Proprio non ne avevo sospetto.
Il segno che lasci sulla mia pelle vergine, è il tuo segno.
Il passaggio di te, su di me.
Molto più di una prima penetrazione. Altro tipo di verginità persa.
Quella di un angolo della mia testa, che ti lascia entrare dentro di me, e modificare il mio corpo.
Perché ho sempre sfuggito ogni mostra di body art ?
Stupida. Molto stupida. Ora capisco il piacere infinito.
E ne sto vivendo solo una piccola goccia.
E il senso di potere. Gigantesco. Voglio coprire il mio corpo di segni. Non smettere mai.
Aaaahhh... il tuo ago...come spinge... e striscia....e colora...
Ancora. Non fermarti. Non smettere mai. Fammi bruciare, ancora.
E incidi. Segnami. E segnami ancora...
"Ancora... un po' di grigio...qui...è troppo vuota...questa forma..."
Sì...ancora. Grigio...azzurro...rosso...verde....Tutti i colori che vuoi. Riempi i miei pori. Senti che vuoti ? Senti che voglia di essere pieni... di te... e dei tuoi colori...?
Perché non mi tagli, ora ? Potresti...sai ? Non scapperei. No.
Qualsiasi lama nelle tue mani.
Oltre ogni pene, oltre ogni lingua e ogni mano.
Potresti farmi scoppiare, sai ? E sono già molto vicina. E la schiena mi trema.
E le gambe sono spalancate sai? Senti come sono bagnata ?
Allagata. Per te.
Potresti tirare fuori il tuo pene mentre continua il ronzio ?
Oppure allungare la tua terza mano, quella con le dita sensibili, e infilarmele tutte, una per una, e riempirmi ? Le sento già tutte dentro di me. Vuoi farmi venire ? Così ?
E allora anche la tua lingua. Ti prego. Non risparmiarti. Dammi tutto di te.
Lo prenderei, sai ? Il tuo tutto, e anche di più...
Ma...non hai ancora finito ? Allora anche tu non vuoi smettere. Ti piace.
Allora... sei sadico... è per questo che il tuo pantalone è così gonfio, qui proprio davanti a me ? E io sono masochista ? non so... Ma che piacere sottile... e inciso sulla mia pelle...
"Ti rifaccio questa riga... perché..."
Perché ? Hai capito quanto mi piace ? Grazie. Sei buono. Continua allora. Forse riesci a farmi venire. Mi piacerebbe sai ? Cosa direbbero quelli di là, che stanno aspettando, se ad un tratto oltre al ronzio del tuo ago, sentissero anche l'urlo ? Il mio urlo, quello più forte, e lungo. Quello che stai costruendo sulla pelle del mio povero polso. Lo vuoi ? Vuoi sentire il mio urlo ? E poi che faresti ? Lasceresti ogni cosa...? Smetteresti... per allargare le mie gambe ancora di più ? E affonderesti dentro di me ? Lo vorresti ? O forse è già troppo il piacere che senti nella tua mente mentre mi incidi... incidi il tuo segno su di me ?
"Ti piace ?"
"Sì...è bellissimo...sei stato bravo"
"Posso fotografarti ?"
Puoi fare quello che vuoi, lo sai.
Sei il mio cavaliere, ora... il cavaliere degli aghi.
E asciugami ora. Non posso uscire da qui, tutta bagnata.
"Torna, per ogni eventuale... io sono sempre qui...".
Sono troppo bagnata. Aspetta. Non mandarmi via, adesso, solo perché c'è qualcuno che deve entrare ora, e al mio posto.
"Ciao, ti aspetto allora..."
Esco. Ma piano. E i sogni sono ancora con me.
Sta piovendo una pioggia discreta, e non ho ombrelli da aprire.
Cosa faccio ? Vado subito in auto ? O forse è meglio camminare un po'. Sì magari sulla riva del mare. E' sempre bello in inverno, e con la pioggia tutto sembra più morbido.
La piccola ferita che brucia sotto la fasciatura... non stavo sognando, ora c'è un tatuaggio sul mio povero polso. Povero ? Superbo, come dice il mio amante migliore, "superba giornata amica mia".
E sono bagnata, è vero. E non solo di pioggia. Bagnata di me.
E ho voglia. La reprimo ? Perché...?
Ricordo una volta, da ragazzina...l'amore sulla spiaggia, sotto una barca capovolta. Era sera come ora. E le luci lontane da noi, passavano appena da sotto, giusto per farci vedere le nostre mani che si toccavano. E le risate. "Ci avrà visto qualcuno...? ...e se ci fosse qualcuno qui fuori...?" Nessuna paura allora. Ma adesso ? Mi infilerei sotto una barca capovolta per darmi piacere ? No. E non ci sono più le barche dei pescatori su questa spiaggia. Ora è un porto di lusso. Ma le panchine, quelle sì, ci sono.
Vado più in là, dopo l'ultimo lampione. Quella panchina isolata proprio vicino allo scoglio.
Eccola. Perfetta.
E la pioggia mi aiuta. Questa mano destra, così libera, che mi cerca. Se la lascio entrare sotto lo slip, potrà aiutarmi ? Sì. Penso di sì. Di solito è il mio letto il posto migliore, e meglio sotto il piumone d'inverno. Posso allargare le gambe nude e sentirmi tutta. Riconoscere ogni pelo, e bagnarmi le dita di miele. Ma ora arrivo subito e soltanto alla mia clito. E' qui, proprio qui sotto, e già mi fa male. La scopro, la apro, nel punto più impazzito di tutto il mio corpo. Da lì è impossibile tornare indietro. Quando arrivo su quella punta di piccolo cazzo infuocato, la testa mi scoppia.
E allora, sì. Mi lascio scoppiare.
E' stata una bella giornata.
E qui la pioggia è diversa dal solito. Calda, caldissima tra le mie cosce.
Dedicato ad Alex Tatu, tatuante in Sanremo.
FalcoSirene
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benzedrina · 3 years
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Martedì. Stanco. Mi sono svegliato tardissimo perché tutte le sveglie si sono perse nel cellulare che, contentissimo di farlo, si è scaricato di notte. Ho dormito con la finestra chiusa. Mi sono svegliato con il naso tappato più del solito e il cervello in confusione. Ho fatto colazione al volo, non c'era bisogno. In questi giorni faccio colazioni veloci. Un caffè. Due biscotti. Ho perso l'abitudine di fare una lunga colazione. F mi chiama, dice che è per strada, che è riuscita a scappare da casa sua in cui le hanno imposto una quarantena inutile per un contatto con un probabile positivo. Peccato che lei usi questo contatto come scusa per poter venire da me. Lunga storia fatta di padri fascisti e mamme insoddisfatte che riversano l'odio su una figlia innocente e di figli innocenti che vorrebbero solo vivere la loro vita. Scappa da me. Doccia veloce. Sale. Scopiamo con Bjork in sottofondo (Telegram/Post ndr). Alle 2 va via. Mi faccio un'altra doccia.
Pranzo con carne e spinaci e mela caramellata (sto provando diversi modi per usare le mele in contesti salati). L mi manda un messaggio, L'ho fatto, Cosa?, L'ho lasciato. Sta male. Sta malissimo. Era 2 anni che doveva farlo. Scendo e vado in libreria. È una piccola e lunga libreria. Una Mondadori qualunque. Le commesse hanno confidenza con me. Una di loro sa cosa potrebbe piacermi e me lo propone. Solitamente sono fumetti. Ogni volta che vado mi prepara una piccola chicca che o compro per me o regalo a qualcuno. Oggi non ero in vena di fumetti. È da qualche settimana che non sono in vena di fumetti. È un periodo in cui non sto disegnando. In compenso sto fotografando un sacco. Cerco un piccolo libro della Taschen su Lindberg. Hanno solo quello gigante. Prendo Ritratti di McCurry e Il mestiere di vivere di Pavese. Il secondo è un regalo. Per L. Le ho pure preso dei dolcetti che le piacciono. Chiedo di ordinarmi un libro. Araki by Araki sempre della Taschen. Ora vai a vedere perché la mia testa si sia fissata in questo periodo per Araki. Una ragazza che passa di lì si ferma. Mi fissa. Conosci Araki?, Certo, Grazie, Perché?, Nessuno dei miei amici lo conosce e tu sei la prima persona che lo nomina. La commessa inizia a farmi il pacchettino. Non so bene quando io abbia detto che Pavese era un regalo. Ero preso da questa ragazza con i capelli ricci e gli occhi vispi che mi fissava con sguardo incredulo, come se avessi formulato chissà quale formula magica. Che ti prendi di Araki allora?, Araki by Araki, Ah, no perché io ho Tokyo Lucky Hole, se vuoi te lo presto. Non ricordo bene il continuo. Forse ci siamo scambiati il contatto di Instagram. Ero preso da questo magnetismo che m'ha fatto suo. Sono bastati due occhi vispi e molta spigliatezza. Esco dalla libreria che manco volevo il pacchettino regalo perché dovevo scrivere una dedica.
Vado a casa di L. Lei è in doccia. La sorella mi scrocca da fumare. Dice che ha pianto tutto il pomeriggio per la rottura di L. L'ho abbracciata. L esce dalla doccia e mi viene ad abbracciare in accappatoio. Non mi da molti abbracci. Apprezza il regalo e il dolce. L guarda che ti conviene leggerlo tra un po', questo libro è molto tosto, è il suo diario, Ah bene. Le scrivo la dedica mentre lei si asciuga e si cambia di fronte a me. Di preciso non so quando abbia iniziato ad avere questa confidenza e mancanza di pudore con lei. Ci spogliamo e ci vestiamo nell'indifferenza generale dell'altro. L mi chiede se può passare dopo a casa. Certo, casa è sempre aperta per te. Mentre vado via propongo alla sorella di fare qualche foto in giro e usare lei come soggetto. Ovviamente accetta. Vado dai miei. Scrocco una cena e gioco a CTR con mio fratello. Era in videochiamata con altri suoi amici. Per loro sono un Dio nerd da quando feci vedere il livello raggiunto a un gioco. Ci passiamo più di 10 anni di differenza. In strada incrocio la cugina di L. Ehi che le facciamo di regalo?, Ah cazzo, Non so gi che le hai fatto l'hanno scorso?, Il vibratore, Ah è vero, e quest'anno che idea avevi? Ah boh, vabbè vieni a casa in sti giorni e decidiamo e porta l'erba, Ok. Potevo rispondere con "un libro" o "un altro vibratore" o potevo dirle che l'aveva fatto poche ore prima il regalo.
Torno a casa e L mi aspetta nel portone. Ha freddo e ha fame. 2 sofficini vanno bene? perché io ho già cenato, Va bene tutto. Mangia veloce e si butta sul letto. È legata sentimentalmente a un mio pigiama. Se non c'è quello, si incazza. È capitato che lo avessi addosso. Forse è stato quello il primo momento in cui mi sono spogliato davanti a lei. Le sistemo le coperte e mi metto sul letto con lei. In tutto questo l'unico discorso tra me e lei è stato nel portone. Perdo tempo. Lei è con gli occhi sbarrati che fissa il muro. Mi giro e l'abbraccio. Scoppia a piangere. Un pianto violento. Un pianto come lo scoppio di una granata. Mi stringe le mani. Si asciuga sulle mie maniche. Mi da calci. Crolla in modo selvaggio. Era un aspetto che mi mancava di lei. Finisce di piangere e mi parla. Dei motivi. Delle cose che sente. Delle cose che sentiva. Delle amicizie. Di questo nuovo ragazzo che le ha fatto provare cose che non sentiva dentro da tanto. Erano cose che avevo già sentito. L non parla molto di sé. Quando viene in questa casa e mi si mette accanto nel letto finisce per raccontarmi ogni singolo dettaglio della sua vita. Erano cose che avevo già sentito ma non con quel tono. Lo sai che sei bellissima così?, Così come?, Libera di quel peso che ti portavi dentro. Poi mi chiede di leggerle qualcosa. Non perché abbia una bella voce. Ho una voce quasi nasale e in un discorso articolato mi mangio qualche parola. Me lo chiede perché la mia voce la rilassa. Che mi leggi?, Dai ti va bene Bolaño? sono racconti tratti dalla raccolta Puttane Assassine, Non lo conosco. Una volta le ho letto Pavese, la luna e i falò. Un'altra volta qualche pagina de I Guermantes di Proust che avevo sottolineato. Penso che a qualunque età la lettura di qualcosa a letto provochi ricordi d'infanzia molto cari. Per chi ha avuto la fortuna di avere due genitori appassionati. I miei si scazzavano. Dopo qualche rigo appoggia la testa sul petto e crolla. Per onore personale ho finito tutto il racconto leggendolo ad alta voce (18 pagine). Dopo 1 ora si è svegliata, si è rimessa i suoi vestiti ed è andata via.
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erosioni · 3 years
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Il resto è QUI
Leggevo libri di magia e tutto quello che si trovava su Satana e sull’Anticristo. Ascoltavo gruppi strani (strani per quegli stronzi della mia scuola, ora sono considerati tipo Bach). Mi vestivo come capitava. Il ragazzo ideale da invitare alle feste dove ascoltavano il Blasco e gli Europe con le Timberland e le Clarks ai piedi. Però ero bravo in filosofia. Anche se non studiavo più un cazzo leggevo di tutto. Nietzsche, Bergson, Freud, Bataille, quello stronzo di Spengler, che neanche era in programma, e il professore di filosofia fascista era tutto contento di prestarmi. Avevo tutti cinque e sei di pietà e poi otto in filosofia.
Mi potresti spiegare Nietzsche? Io non ci capisco niente.
Era una ragazza molto carina. Me lo chiese durante l’intervallo. Penso che fosse la prima volta che una ragazza della mia classe mi diceva qualcosa di normale dopo le condoglianze di due anni prima. Famiglia ricca, proprietari terrieri. Ovviamente comunista. La guardai male. Lei e le sue amiche mi prendevano per il culo e non si sforzavano neanche di nasconderlo. Sicuramente me ne sarei pentito. 
Sono andato comunque a casa di A. per spiegarle Nietzsche un pomeriggio tardi. Avevo paura. Però alla fine cosa poteva farmi? Insultarmi, umiliarmi, c’era già mezza scuola che mi insultava. Forse voleva vedere Satana da vicino. Mentre parlavamo l’imbarazzo se ne andava un po’. Lei faceva la simpatica come se ci fossimo sempre frequentati. In effetti di filosofia non capiva una ceppa, ma aveva un sorriso che sapeva usare fin troppo bene per ottenere quello che voleva. Per esempio io non avevo idea di che cazzo ci facevo in una stanzetta tutta rosa con il poster di Che Guevara a parlare della morte di Dio. Poi lei mi ha baciato sulla bocca. Su un angolo, perché non me l’aspettavo. Non ti piaccio? Era come una vertigine. Non ho risposto. Il secondo bacio mi è venuto malissimo, per poco non abbiamo urtato i denti. Non avevo mai baciato nessuno, tanto meno S. con quella bocca sottile e sprezzante. 
Il corpo di A. era caldo e profumato di talco, di balsamo, di dio sa che. Persino la sua saliva aveva un gusto buono. Le sue mani si muovevano sul mio corpo dandomi i brividi. Era come la febbre alta solo che avevo anche il cazzo durissimo. Non riuscivo tanto bene a mettere a fuoco, solo a toccare le forme di quel corpo così caldo e morbido che mi toccava. Neppure con le mani sotto i vestiti. L’ha fatto lei. Mi ha infilato le mani sotto la maglia per toccarmi sul petto e mi ha strappato un mugolio. Allora ci siamo levati tutto, in fretta, e mi ha tirato verso il suo letto rosa a fiori rosa del cazzo. Si è sdraiata e io le sono andato sopra. 
Non avevo mai visto due tette vere da così vicino, ma questo l’ho pensato solo dopo. Mi ha guidato il pene dentro questo spazio caldo e bagnato e morbido che mi ero solo immaginato guardando le foto porno su Le Ore. Tra l’immaginazione e la realtà c’era un abisso. Sono stato sverginato sotto l’occhio severo di Che Guevara appeso al muro. Mi fa sesso pure oggi Che Guevara. Vorrei dire che è stata la più bella scopata della mia vita, ma no. Mentre mi muovevo dentro di lei, A. ha cominciato ad ansimare e ha chiuso gli occhi. Questo mi ha fatto impazzire. Sono uscito appena in tempo per venirle sulla coscia con un grido strozzato. Ma nooo cazzo! - si è arrabbiata lei –  cazzo! Non capivo neppure cosa volesse dire. Tanto ero coglione, pensavo si incazzasse perché avevo schizzato il letto rosa. – Scusa, scusami… ora cerco di pulirlo - La voce mi è morta in gola perché A. si è messa a ridere e io pensavo che stesse ridendo di me. E forse era anche così. Oppure rideva della situazione stupida. 
Comunque volevo solo scappare. Da quella stanza, dallo sguardo di lei. Mi sentivo più nudo che nello stanzone della leva. Lo sguardo degli altri ti brucia. Ho cominciato a raccogliere i miei vestiti, incazzato. Lei diceva: dai, ma dove vai, scemo. Ce l’hai una sigaretta almeno? Non ce le avevo le sigarette. Lei era ancora mezza svestita. Mi ha detto quasi con indifferenza, ma con una certa soddisfazione: allora non è vero che sei gay. (Ovviamente non ha detto “gay”, mocciosi, ha detto “frocio” nel volgarissimo dialetto locale, ma qui vi accontenterete di questo doppiaggio del cazzo, tipo Netflix). Ecco tutto. Volevano solo sapere se ero un mostro e quanto ero mostro. Sapevo che giravano voci sul mio conto, ma sentirselo dire in faccia è un’altra cosa. È vero che tu sei una gran troia però, avrei dovuto rispondere, se fossi stato meno avvilito, meno giovane e meno coglione.
Invece ho solo detto in dialetto: portami tua sorella. Portami tua sorella. Come dicono i mocciosi di dieci anni quando litigano. Altre risate. Mi sono tappato in casa come se avessi commesso un omicidio. Neppure mio padre con le minacce è riuscito a farmi alzare dal letto. Mi passavano davanti immagini rapidissime. Le tette di A.. La bocca di S.. Lo sguardo di Che Guevara. La riga di sangue e sborra sulla ceramica bianca del cesso. Il mio corpo. Il mio corpo nudo. Il mio corpo a pezzi. Sulla ruota. Mangiato dai vermi. Inculato. Nudo. Il sapore della lingua di A.. L’avevo vista veramente nuda? Rosa, ton sur ton. La sborra sulla coscia. Finivo per masturbarmi.
Lunedì sono tornato in classe. O così o mio padre minacciava di chiamare il medico e farmi ricoverare. Mi girava la testa perché avevo bevuto prima di entrare. A. era indifferente come al solito. Non era cambiato niente né in meglio né in peggio. Era una cosa triste, ma non terribile. Solo molto triste. Forse lo sapevano tutti o nessuno. Pensavo a Nietzsche che scriveva: “È terribile morire di sete nel mare. Dovete proprio mettere tanto sale nella vostra verità, così che non possa più spegnere la sete?” e contavo i giorni dall’esame di maturità. Dal momento che me ne sarei andato di lì. A. mi aveva rivelato quanto è diverso fare sesso con una ragazza e anche che mi piaceva farlo. Se per farmi i cazzi miei dovevo imparare a essere “normale” potevo farlo. Non sarebbe stato un sacrificio. Certo non nella mia scuola, ormai, ma potevo. Potevo. (continua).
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eyeathenenoctua · 3 years
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#AstroSanremo Måneskin raggiunge la vittoria della 71 edizione del festival di #Sanremo2021 con la luna attraversando la costellazione dell’Ofiuco nel cielo reale
Måneskin, è una parola danese traducibile in italiano come chiaro di Luna. È una band di rock italiana dal 2016 composta da 4 integranti nati tutti a Roma:
Damiano David (voce) Roma, 8 gennaio 1999
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Plutone grado 1 dell’Ofiuco
2. Victoria De Angelis (basso) Roma, 28 aprile 2000
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Hygiea grado 1 dell’Ofiuco
Plutone grado 4 dell’Ofiuco
Chirone grado 8 dell’Ofiuco
3. Thomas Raggi (chitarra) Roma, 18 gennaio 2001
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Plutone grado 6 dell’Ofiuco
Ceres grado 15 dell’Ofiuco
Chirone grado 16 dell’Ofiuco
4. Ethan Torchio (batteria) Roma, 8 ottobre 2000
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Plutone grado 3 dell’Ofiuco
Chirone grado 5 dell’Ofiuco
Hygiea grado 1 dell’Ofiuco
A proposito del significato del suo nome, e questa posizione di Plutone, Chirone, Hygiea e Ceres nella costellazione dell’oficuco nei temi natali dei 4 integranti della band, trovo interesantissimo e molto importante ritornare al tema natale dell’eclisse di sole che abbiamo avuto l’ultimo 14 diciembre del 2020 alle 17:16 con il sole e la luna congiunti nel grado 15 della costellazione dell’ofiuco nel cielo reale:
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La band si presentó all’edizione 71 del festival di Sanremo questo marzo 2021 con la canzone “Zitti e buoni”
Vediamo insieme il testo:
Loro non sanno di che parlo
Voi siete sporchi, fra', di fango
Giallo di siga fra le dita
Io con la siga camminando
Scusami, ma ci credo tanto
Che posso fare questo salto
E anche se la strada è in salita
Per questo ora mi sto allenando
E buonasera, signore e signori
Fuori gli attori
Vi conviene toccarvi i coglioni
Vi conviene stare zitti e buoni
Qui la gente è strana tipo spacciatori
Troppe notti stavo chiuso fuori
Mo' li prendo a calci 'sti portoni
Sguardo in alto tipo scalatori
Quindi scusa mamma se sto sempre fuori, ma
Sono fuori di testa, ma diverso da loro
E tu sei fuori di testa, ma diversa da loro
Siamo fuori di testa, ma diversi da loro
Siamo fuori di testa, ma diversi da loro
Io ho scritto pagine e pagine, ho visto sale poi lacrime
Questi uomini in macchina non scalare le rapide
Scritto sopra una lapide, in casa mia non c'è Dio
Ma se trovi il senso del tempo risalirai dal tuo oblio
E non c'è vento che fermi la naturale potenza
Dal punto giusto di vista, del vento senti l'ebrezza
Con ali in cera alla schiena ricercherò quell'altezza
Se vuoi fermarmi ritenta, prova a tagliarmi la testa perché
Sono fuori di testa, ma diverso da loro
E tu sei fuori di testa, ma diversa da loro
Siamo fuori di testa, ma diversi da loro
Siamo fuori di testa, ma diversi da loro
Parla, la gente purtroppo parla
Non sa di che cosa parla
Tu portami dove sto a galla
Che qui mi manca l'aria
Parla, la gente purtroppo parla
Non sa di che cosa parla
Tu portami dove sto a galla
Che qui mi manca l'aria
Parla, la gente purtroppo parla
Non sa di che cazzo parla
Tu portami dove sto a galla
Che qui mi manca l'aria
Ma sono fuori di testa, ma diverso da loro
E tu sei fuori di testa, ma diversa da loro
Siamo fuori di testa, ma diversi da loro
Siamo fuori di testa, ma diversi da loro
Noi siamo diversi da loro
Vediamo adesso il tema natale della serata finale del festival di Sanremo questo 06 marzo del 2021 iniziato alle 20 nella regione d’Imperia in Italia 
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Come possiamo vedere anche qui, nodo nord, Juno e la Luna (nel grado 17) erano anche nella costellazione dell’ofiuco nel cielo reale… senza dubbio è stata una sera dove gli effetti di questo eclisse di sole nella costellazione dell’ofiuco si sono manifestati con una purezza letterale che mi ha lasciato emozionata durante giorni! 
Parlare di Ofiuco, è parlare della Medusa. Ricordiamo che Atene ha dato ad Asklepios il sangue della medusa per usarlo nelle sue guarigioni. Parlare della Medusa e di Atene, è parlare del nostro sguardo che giudica quello che è diverso da noi, quello che non capiamo, quello che non conosciamo o riconosciamo e  che gli attribuiamo un significato negativo nella nostra vita, con la conseguenza elementare di escludere tutto quello che giudichiamo come una minaccia per la “armonia collettiva” o individuale. 
Maneskin è stata propio questa medusa che ha detto in faccia al popolo italiano con un messaggio diretto che sono STANCHI DEI GIUDIZI, dello sguardo italiano che pietrifica con suo giudizio tutto quello che esce dalle dagli stereotipi di apparenza adeguata costruita nella loro  narrativa da generazioni… zitti e buoni e il grido di una gioventù che non vuole saperne più delle critiche delle pecore che continuano zitte e buone compiendo le norme per paura, per ignoranza o perche hanno uno standard di moralità inflessibile o scollegato del senso organico di evoluzione.
Infatti è MERAVIGLIOSO vedere come letteralmente questa medusa esprime nel suo testo queste parole:
“prova a tagliarmi la testa perché
Sono fuori di testa, ma diverso da loro E tu sei fuori di testa, ma diversa da loro Siamo fuori di testa, ma diversi da loro Siamo fuori di testa, ma diversi da loro Parla, la gente purtroppo parla Non sa di che cosa parla Tu portami dove sto a galla Che qui mi manca l'aria Parla, la gente purtroppo parla Non sa di che cosa parla Tu portami dove sto a galla Che qui mi manca l'aria Parla, la gente purtroppo parla Non sa di che cazzo parla Tu portami dove sto a galla Che qui mi manca l’aria”
Le serate per me, hanno avuto una tintura molto Ofiuco, un richiamo del cuore alla trasformazione, a reinterpretare, a riguardare, ad essere consapevoli del nostro sguardo, dei nostri giudizi capaci di far diventare a qualcuno in Medusa, o di pietrificare a qualcuno con la nostra mente analitica. Il giudizio abita nell’ossevatore che siamo ognuno di noi. Non vediamo il mondo com’è ma come siamo noi. 
Vediamo anche le parole che ci ha regalato Achille Lauro su questo…
Sono il Pop.
Presente, passato.
Tutti, Nessuno.
Universale, censurato.
Condannato ad una lettura disattenta,
Superficiale.
Imprigionato in una storia scritta da qualcun altro.
Una persona costruita sopra la tua persona.
Divento banale, mi riducono ad un'idea.
Antonomasia di quelli come me.
Rinchiudere una persona in un disegno.
Ma io ero molto di più.
Il pregiudizio è una prigione.
Il giudizio è la condanna.
Dio benedica gli incompresi.
Sono il Glam rock.
Sono un volto coperto dal trucco.
La lacrima che lo rovina.
Il velo di mistero sulla vita.
Sono la solitudine nascosta in un costume da palcoscenico.
Sessualmente tutto.
Genericamente niente.
Esagerazione, teatralità, disinibizione.
Lusso e decadenza.
Peccato e peccatore,
Grazia e benedizione.
Un brano che diventa nudità.
Sono gli artisti che si spogliano,
E lasciano che chiunque
Possa spiare nelle loro camere da letto e in tutte le stanze della psiche.
Esistere è essere.
Essere è diritto di ognuno.
Dio benedica chi è.
Italia e la medusa in facia. Guardala. Dio benedica gli incompresi. Dio benedica chi è. 
Maneskin: la generazione con Plutone e Chirone in Ofiuco
https://www.youtube.com/watch?v=XD77aMyCv0Q
Io c'ho vent'anni
Perciò non ti stupire se dal niente faccio drammi
Ho paura di lasciare al mondo soltanto denaro
Che il mio nome scompaia tra quelli di tutti gli altri
Ma c'ho solo vent'anni
E già chiedo perdono per gli sbagli che ho commesso
Ma la strada è più dura quando stai puntando al cielo
Quindi scegli le cose che son davvero importanti
Scegliamo oro o diamanti, demoni o santi
E sarai pronto per lottare, oppure andrai via
E darai la colpa agli altri o la colpa sarà tua
Correrai diretto al sole oppure verso il buio
Sarai pronto per lottare, per cercare sempre la libertà
E andare un passo più avanti, essere sempre vero
Spiegare cos'è il colore a chi vede bianco e nero
E andare un passo più avanti, essere sempre vero
E prometti domani a tutti parlerai di me
E anche se ho solo vent'anni dovrò correre
Io c'ho vent'anni
E non mi frega un cazzo, c'ho zero da dimostrarvi
Non sono come voi che date l'anima al denaro
Dagli occhi di chi è puro siete soltanto codardi
E andare un passo più avanti, essere sempre vero
Spiegare cos'è il colore a chi vede bianco e nero
E andare un passo più avanti, essere sempre vero
E prometti domani a tutti parlerai di me
E anche se ho solo vent'anni dovrò correre
Per me
E sarai pronto per lottare, oppure andrai via
E darai la colpa agli altri o la colpa sarà tua
Correrai diretto al sole oppure verso il buio
Sarai pronto per lottare, per cercare sempre la libertà
C'hai vent'anni
Ti sto scrivendo adesso prima che sia troppo tardi
E farà male il dubbio di non essere nessuno
Sarai qualcuno se resterai diverso dagli altri
Ma c'hai solo vent'anni
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olstansoul · 3 years
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Sacrifice, Chapter 37
Pairing: Wanda Maximoff & James Bucky Barnes
La cena proseguiva a gonfie vele e Wanda non se lo sarebbe mai aspettato visto che non aveva mai avuto occasione di poter invitare a cena un ragazzo. Aspettate, chiariamo... invitato a cena è esagerato, piuttosto è stata sua madre a costringere James a rimanere ma in fondo l'ha fatto per una buona causa. Non aveva smesso di piovere e se James se ne sarebbe andato, sicuramente sarebbe tornato a casa completamente bagnato per colpa della pioggia. La tavola era completamente imbandita di cose buone, cose che a pensarci bene la mamma di Wanda non aveva mai cucinato prima.
Clint era seduto a capotavola, la mamma di Wanda alla sua destra e di fianco a lei c'era il piccolo Pietro. Mentre di fronte a loro c'erano Wanda e James. Una perfetta cena di famiglia, se non fosse per il fatto che era ancora troppo presto e che per entrambi sarebbe stato troppo imbarazzante lo stesso. Il vassoio e la pirofila andavano avanti e indietro mentre ognuno prendeva la propria porzione di cibo e intanto si scambiavano chiacchiere e aneddoti.
"Tu James come vorresti proseguire una volta finito il liceo?"chiese la mamma di Wanda rivolgendosi al ragazzo di fronte a sé.
Sua figlia la guardò, non voleva che gli facesse delle domande scomode perché se l'avrebbe fatte sicuramente si sarebbe vergognata ma a James non pesava tanto.
"Pensavo all'Harvard, c'è fisica lì..."
"Oh, bene! Farai solo i tre anni oppure continuerai con altri due? Insomma è un po' lontano da qui"
"Credo che per ora mi concentrerò su ciò che ho scelto, poi deciderò se continuerò o meno...tu Wanda?"chiese lui.
Ma la ragazza non aveva sentito nulla di ciò che era stato dato detto, era davvero contenta per James certa che avrebbe potuto continuare i suoi studi anche lontano dalla città di New York. Ma il solo pensiero che magari lei non sarebbe riuscita a scegliere se continuare con l'università o meno la spaventava così tanto da non pensarci nemmeno ad essa.
"Wanda?"la richiamò di nuovo il ragazzo affianco a sé.
"Cosa?"
"Chiedevo solo quale università vorresti frequentare..."chiese lui guardandola con ancora la forchetta in mano.
Wanda si riprese un secondo poi iniziò a parlare anche lei.
"Credo...credo che andrò alla Juilliard"
"Alla Juilliard?"chiesero tutti e tre sorpresi.
Clint era sorpreso, sua madre lo era anche lei ma non sapeva di questa decisione improvvisata della figlia e James, diversamente da tutti e tre, la guardò con un sorriso di orgoglio.
"Si...alla Juilliard, è quella più vicino casa e..."disse lei iniziando a spiegare perché di questa scelta presa improvvisamente.
"Non me ne avevi parlato, come mai?"chiese invece sua madre curiosa.
"Beh...era perché...ci stavo pensando, solo che poi è successo quella cosa e..."
"Quindi studierai arte, musica e spettacolo?"
"Si, quello...sempre se ne avrò possibilità"disse lei abbassando la voce alla fine ma James la sentì lo stesso.
"Ehm...Clint, mi passi il sale?"continuò lei non badando al fatto che ora tre quarti delle persone sedute a tavola erano in silenzio. Tranne per Pietro, che era concentrato a guardare la TV.
"Si..."
La cena da quel momento proseguì e nessuno dei quattro ritornò sull'argomento consapevoli del fatto che a Wanda poteva dare fastidio. Ma più che fastidio era rabbia. Rabbia perché sapeva che, forse, non avrebbe potuto continuare i suoi studi come voleva e come aveva sempre desiderato.
"Magda, la prego si faccia aiutare..."disse James vedendo che la mamma di Wanda si era caricata di stoviglie.
"No, James faccio io...e poi dammi del tu"disse lei facendolo ridere.
"Veramente mamma, va a riposarti è stata una giornata pesante per te..."
"Ne sei sicura?"le chiese sua madre e lei annuì.
Vedendo che sua madre si andò a sedere sul divano insieme al piccolo Pietro ed a Clint lei andò in cucina iniziando a riempire il lavello da solo un lato con dell'acqua e del sapone per i piatti. Si alzò le maniche della sua maglia e prese il grembiule intrecciandolo dietro per poi fare un fiocco sul davanti. Quando vide che l'acqua era a metà decise di chiuderla e iniziò a lavare i piatti ma fu presto interrotta.
"Lascia che ti dia una mano..."disse la voce di James dietro di lei.
Si girò e vide che lui si stava alzando le maniche della sua felpa e che si stava avvicinando arrivando proprio di fianco a lei.
"James, non preoccuparti faccio da sola..."
"Voglio solo ricambiare il favore di avermi invitato a cena"
"Frena, frena, frena... tecnicamente non sei stato invitato, mia madre ti ha costretto solo perché non voleva che tornassi a casa con l'influenza e se le dicevi di no, non so come sarebbe andata a finire..."
"Mi avrebbe chiesto altre dieci volte di rimanere?"
"Chiedertelo? Lei non la conosce quella parola...ti avrebbe supplicato fino a quando non avresti detto di sì"
"Testarda, capisco da chi hai preso"
"Si...ma se fossi stata io ad invitarti certamente non ti avrei fatto lavare i piatti"
"E cosa mi avresti fatto fare?"
"James che domande! Ti avrei fatto cucinare...cosi avrei potuto vedere in anteprima se sei capace di fare una torta"
"Mancano solo due settimane al tuo compleanno, lo sai? Poi quando bisogna fare qualcosa e vuoi che sia fatta bene non c'è bisogno di pressare"
"Io sto solo cercando di farti superare le tue paure"
"La paura di cucinare non è una vera paura"
"Allora di cosa hai paura?"
"Beh...ce ne sono tante ma potrei dire quella di non realizzarmi, vedere che quelli che sono stati i sacrifici di una vita non verranno mai ripagati"
"È bello sapere che ci tieni così tanto, a qualsiasi cosa in modo che tutto sia perfetto proprio come lo vuoi tu"disse lei sinceramente guardandolo e lui sorrise con lo sguardo abbassato.
"Tu, invece? Non hai paure?"chiese lui.
"Beh, dire la paura di morire è quasi scontato nel mio caso..."
"Non è scontato"disse lui guardandola in modo serio.
E Wanda non osò contraddirlo, vedendo per la prima volta che quello che lui stava dicendo era la verità e sentendo che a lei ci teneva davvero.
"...ho paura dell'acqua. Anche se è una paura che è uscita fuori da poco...quando ero piccola, ero solita andare al lago, non ricordo neanche dov'era ma so solo che nuotavo così tanto che mia madre doveva prendermi con la forza per farmi uscire dall'acqua. Ora...ora quasi ogni notte ho lo stesso incubo, sogno di stare su una scogliera così alta e di buttarmi ma non riesco a risalire in superficie perché non riesco a muovere gambe e braccia...e per questo che..."
"Non c'è bisogno veramente, non mi va di vederti stare male"
"No, no sto bene...solo...voglio trovare un modo per sconfiggere le mie paure ma non riesco neanche a pensare che possa esserci"disse lei tirando su col naso.
"Vedrai che ci sarà"disse lui e mise la sua mano sulla sua.
Erano bagnate entrambe ma comunque sentirono insieme una strana sensazione. Strana ma bella.
Finirono di lavare i piatti e vedendo l'orologio appeso in cucina James si rese conto che era tardi quindi prese il suo zaino e la sua giacca e insieme a Wanda si diresse alla porta di casa.
"Grazie per essere venuto"disse lei.
"È stato un piacere davvero, certo non mi aspettavo di restare così tanto e neanche di cenare qui ma...è stato bello"disse alla fine guardandola.
"È stato bello anche per me"
Era proprio vero che gli sguardi potevano dire molto di più delle parole, che gli occhi erano lo specchio dell'anima. In questo momento sembrava che tutti e due stessero comunicando qualcosa che nessun'altro sapeva.
"Ci...ci vediamo domani?"chiese lei titubante mentre giocava con gli anelli fra le sue dita.
"Si"
"Ti prego fa che questo duri per sempre"pensò lei.
"Vuoi aprirmi la porta o..."
"Si, scusa è che ehm...ero sovrappensiero"
"Hai pensato per un nanomillessimo di secondo a come salutarmi?"
"...si, okay? Si...ho pensato a quanto è imbarazzante per me perché...non sono abituata a questo tipo di situazioni, non ho mai avuto un ragazzo come te qui a casa mia. Non che mi dispiace...solo che tu ecco..."
James neanche troppo stanco delle mille parole che stavano uscendo dalla bocca della castana, si avvicinò a lei e le baciò l'angolo della bocca. Lo guardò scioccata e non ebbe il coraggio di fare altro oppure di ricambiare. Ricambiare lei? Ci sarebbe voluto un po' di tempo...
"Allora a domani..."disse lei aprendogli la porta e vedendo che lui stava uscendo.
"A domani"disse lui, stava per chiudere la porta quando però uscì con solo la testa al di fuori e gli urlò dietro qualcosa.
"James...quando torni a casa, mandami un messaggio"
"Non dovrebbe essere il contrario?"chiese lui appena la vide fuori la porta preoccupata.
"No, è uguale, fallo e basta...buonanotte"gridò lei e chiuse la porta di casa alle sue spalle facendo ridere James.
Salì le scale per dirigersi in camera sua come una furia e appena chiuse anche quella porta, si poggiò con le spalle su di essa chiudendo gli occhi.
"Oh mio Dio. Non ci credo!"disse ad alta voce ma senza farsi sentire troppo.
"Non è possibile, ho baciato James Barnes...cioè non l'ho baciato, lui mi ha baciato ma non è stato neanche un bacio. Okay, calma Wanda, calma...respira perché sennò finisce male..."disse lei parlando da sola e così si sedette su letto ma finì col stendersi sopra.
"Oddio non ci posso credere! Non ci posso credere!"disse lei alzandosi dalla felicità dal letto per poi sedersi di nuovo sulla sedia della sua scrivania.
"Non ci posso credere"disse di nuovo lei ma stavolta con un tono sorpreso.
Aveva appena notato che sulla sua scrivania c'era il libro che James portava con sé ogni volta che dovevano incontrarsi e anche se da un lato poteva servirle dall'altro non poteva toglierlo a lui. Decise di chiamarlo, anche se pensava che se ne sarebbe pentita poi visto che non avrebbe azzeccato neanche una parola dopo quello che era appena successo.
"Ciao, James senti...sono Wanda ovviamente, hai dimenticato il tuo libro di fisica qui da me, ora non so se sei già tornato a casa ma...credo di si, visto che ha iniziato di nuovo a piovere. In ogni caso te lo porto domani a scuola, così potremo metterci d'accordo quando dobbiamo vederci la prossima volta, fammi sapere e...buonanotte"
"Okay...ho il diritto di avere una doccia"disse lei staccando e poggiò il suo telefono sulla scrivania.
Sarebbe servita più a chi, come sua madre, aveva trascorso una giornata pesante ma non a Wanda cui il ricordo di pochi minuti prima, se non un'ora fa, ancora si rifletteva nella sua testa. Nulla sarebbe servito per farle dimenticare quel bellissimo ricordo che ora faceva parte di sé, anche perché non avrebbe voluto dimenticare, piuttosto ricordare senza andare in escandescenze. Ma purtroppo o per fortuna andava sempre peggio, questo dipende dai punti di vista. Uscì dalla doccia e asciugò il suo corpo con l'asciugamano, si vestì col suo pigiama e iniziò a spazzolare i suoi capelli poi spense la luce e uscì dal bagno chiudendo la porta dinanzi a sé.
"Vedo che sono molto lunghi" e subito scattò per colpa della voce alle sue spalle che si rivelò essere quella di James, ovviamente.
"Oh mio Dio"disse lei mettendosi una mano sul petto.
"Non volevo spaventarti!"
"Era ovvio che lo facessi. Cosa ci fai qui?"
"Ero venuto a prendere il mio libro di fisica... me l'ero dimenticato"
"Ti avevo chiamato chiedendoti se avrei potuto tenerlo io così da dartelo domani a scuola...dove l'hai cacciato quel cellulare?"
"Batteria scarica"disse lui e lei sbuffò.
"Essere inutile..."
"Ehi, guarda che mi offendi"
"Prenditi questo e ora vai via, ci vediamo domani a scuola e buonanotte"disse lei alzandolo con un braccio e buttandogli addosso il libro.
"Come vuoi che me ne vada se c'è in corso la tempesta di Zeus e Thor insieme?"chiese lui indicando la finestra mezza aperta dove si sentivano i tuoni.
"Beh, te ne torni come sei arrivato"
"Prima non volevi che me ne andassi!"disse lui mentre lei lo spingeva.
"Prima era prima ed ora è ora"
"Che significa?"
"Wanda tutto a posto?"la voce di sua mamma fece girare tutti e due di scatto verso la porta.
"Non osare parlare, non voglio sentire neanche il tuo respiro"disse lei puntandogli un dito contro e lui come risposta fece il segno della zip sulle sue labbra.
"Si, tutto a posto...perché?"
"Abbiamo sentito dei rumori strani, va tutto bene?"
"Si, era solo...era solo un rospo"e a quell'affermazione James rise.
"Un rospo? Perché dovrebbe esserci un rospo in camera tua?"
"Ho aperto un po' la finestra ed è entrato uno..."
"Perché hai aperto la finestra?"
"Avevo leggermente caldo..."
"Ma è dicembre"
"Si, lo so che è dicembre...mamma veramente è tutto okay...ora è morto"
James non finiva di trattenere le lacrime dalle risate ma non doveva scoppiare, non in questo momento.
"Okay...buonanotte"
"Notte..."disse Wanda e prima ancora di avvicinarsi a James aspettò che sua madre si allontanasse del tutto.
"Cosi io sarei il tuo rospo?"chiese lui mentre lei lo continuava a guardare male.
"Devi andartene James, non posso permettere che mia madre ti veda qui"
"Ma già mi ha visto"
"James, sono seria!"
"Va bene, me ne vado...ma se avrò l'influenza sarà per colpa tua e voglio solo che tu lo sappia, non ero venuto qui solo per il libro di fisica"disse lui mentre prendeva la via per tornare passando però dalla finestra.
"E allora per cosa?"chiese lei.
Lui senza troppe esitazioni si avvicinò a lei e le prese il viso con entrambe le mani. E per una seconda volta nell'arco di una sola serata Wanda riuscì a toccare il cielo con un dito, riuscì a sentirsi viva solo con un suo bacio.
"Va bene, va bene..."disse lei staccandosi ma James non gli diede peso.
"...resterai qui, ma all'alba ti voglio fuori dalla mia stanza"
"All'alba? Per chi mi hai preso? Per un gallo? Prima il rospo poi il gallo, la tua camera è una fattoria e non lo sapevo?"
"James non ti conviene vedere la faccia di mia mamma appena svegliata e incazzata"
"Okay...afferrato, all'alba"
"Chissà perché ma se faccio subito il nome di mia madre, ti spaventi. Come mai?"
"Non lo so dimmelo tu..."
"Che forse mia madre ti ama e che sono io quella che continua a minacciarti?"
"Le minacce sono più intriganti"
"Scordatelo che ti faccia minacce intriganti stavolta"disse lei andando a chiudere la finestra.
Appena finì lo trovò già steso sul letto, con una gamba stesa su di esso e l'altra poggiata sul pavimento. Fece un respiro profondo pensando che questa sarebbe stata la prima volta con cui avrebbe dormito con un ragazzo. E per quanto si sentisse a disagio, con James pensava e credeva di non poterlo essere, visto che sì non era la prima volta. Si avvicinò al suo letto e ci salì sopra a cavalcioni, mettendosi poi sotto le coperte subito dopo. Si girò verso di lui e lo guardò.
"Non hai freddo?"chiese lei e contemporaneamente spense anche le luci.
"No, non tanto"
Lei si rigirò dal lato del muro e mise un braccio sotto il cuscino e con l'altro teneva stretta a sé la coperta. Solo dopo anche James si stese e se in un primo momento le rivolse le spalle subito dopo si girò anche lui. Riuscì a sentire l'odore dei suoi capelli e senza accorgersene, anche se aveva tutte le buone intenzioni per farlo, poggiò una mano sul fianco di Wanda che a quel gesto spalancò gli occhi. Le piaceva sentire la sicurezza che gli trasmetteva James, perché solo con lui si sarebbe sentita al sicuro. Si alzò prendendo il plaid che aveva ai piedi del copriletto e lo aprì in modo che anche James stesse al caldo durante la notte. E poi, contro le sue aspettative, prese la mano che James aveva poggiato sul suo fianco e la portò vicino a lei in modo che l'avesse stretta e lui si avvicinò di più a lei, per quanto le coperte glielo potevano permettere, mettendo inoltre il suo viso più vicino al collo di lei, invaso dal profumo del bagnoschiuma e dai lunghi capelli.
Sarebbe stata la prima notte dove entrambi erano privi di incubi, ma solo di sogni che presto sarebbero diventati realtà
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alessyamid · 5 years
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È ancora la terza ora, piove e ho anche sonno. Non riesco a distogliere lo sguardo dal suo banco. I sensi di colpa mi stanno assalendo. Spero che stia bene e che da un momento all'altro entri in classe come se non fosse successo nulla.
È uno di quei desideri impossibili a cui pensi "magari quando ci perdo le speranze succede" e che, alla fine, non si avvererà mai.
Il ticchettio dell'orologio e lo scroscio della pioggia sono ipnotici e potrei addormentarmi sui libri da un momento all'altro. La voce del professore si confonde tra tutti gli altri rumori, passa in secondo piano, sembra quasi sparire...
Mi sento osservato e vedo che un mio compagno dal primo banco mi sta fissando. Appena si rende conto di essere stato notato, esce di corsa dalla classe.
Nessuno ci fa caso, nemmeno il professore. Tutti rimangono impassibili dinnanzi a quella scena.
Cerco di raggiungerlo, riuscendo a vederlo di sfuggita tra i corridoi mentre sale le scale. Sento il suo respiro, è terrorizzato, spaventato, come una preda che sta per essere catturata dal predatore... Privo di ogni speranza.
Giunti al tetto finalmente si ferma ma si fa prendere dal panico, come se avesse realizzato di aver raggiunto un vicolo cieco. Veniamo investiti dall'acquazzone.
"E-ehy! Da cosa stai scappando?"
Indietreggia verso la ringhiera. Anche se è difficile distinguere le lacrime, credo proprio che stesse piangendo.
"Da te!"
Il sangue mi si gela nelle vene. Cerco di sussurrare qualcosa, come se potesse sentirmi, ma mi anticipa.
"Farò la fine di quella povera ragazza. Oh, ti prego, non farmi del male!"
Si raggomitola su ste stesso, attendendo la sua fine. Mi avvicino, ma mi limito a sporgermi dalla ringhiera per guardare le abitazioni dall'alto.
Sarebbe questa la mia punizione, eh? Posso nascondere a lungo i miei scheletri nell'armadio ma prima o poi escono fuori a lacerarmi l'anima.
A spezzarmi
e ricompormi,
pezzo dopo pezzo,
finché il senso di colpa sarà tale da indurmi a farla finita. E allora che senso ha? Che senso ha vivere odiando se stessi?
È come essere morti fin dal principio.
È una battaglia persa in partenza.
Mi sporgo maggiormente per guardare verso il basso. Non sarebbe più semplice...?
Sento sussurrarmi all'orecchio dal ragazzo.
"Lo meriteresti"
La tentazione è forte, non posso far altro che arrampicarmi, è l'unica soluzione.
Guardo il cielo. Qualcuno mi salverà da lassù? Forse Dio? Chi vuoi che ci creda! La mia vita dipende solo da me.
Eh già, mi sono buttato,
e sto precipitando,
Sempre più vicino la fine di tutto questo...
Ora sono di nuovo in classe, è suonata l'ora e tutti sono usciti dall'aula. Ha smesso di piovere e i raggi del sole mi riscaldano il volto.
Il ragazzo al primo banco è davanti a me che cerca di svegliarmi.
"woah ti sei svegliato. Ti va di fare merenda insieme?"
Il professore mi sta osservando. Forse è meglio che vada, prima che cambi idea sull'astenersi dal farmi una nota.
"ma si, certo!"
È tutto normale, nessuno mi guarda, nessuno mi giudica,
Nessuno scappa da me.
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app-teatrodipisa · 4 years
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IL LIBRO LIBeRO — Irene Bendinelli
Salpammo all'alba.
Eravamo uno sparuto gruppo di curiosi spiriti all'avventura, fermamente intenti a emulare le leggendarie imprese del multiforme eroe Ulisse. Il cielo sopra di noi conservava ancora il respiro lento delle ultime luci stellate della notte, mentre stralci dorati di un nuovo giorno si preparavano a indicarci la rotta.
Eravamo privilegiati spettatori di uno scenario mai visto prima: maestoso, bellissimo, come tante rose tee da poco sbocciate in una meraviglia di colori! Il nostro giardino fiorito era lievitato, sollevato da schiumose onde del Mare-Oceano-Mari.
Cavalcammo, come intrepidi indiani nelle vaste praterie americane, verso spazi aperti, immensi, nell'infinità delle acque salate. Nessuno ci avrebbe potuti fermare! Eravamo più forti di mille eroi della mitologia greca, più coraggiosi di tutti i soldati del mondo riuniti in battaglia e più liberi di centomila palloncini sospesi nell'aere.
Il vento a favore ci guidava come un caro padre che prende il figlio per mano e lo conduce verso i sentieri della sua vita futura. Sostenuti dalla forza di Eolo, ci sentivamo padroni dell'universo, dei mari, delle terre, dell'aria e della miriade di stelle lassù.
Continuava a navigare fiera e sicura la nostra imbarcazione in legno, con tre gonfie vele bianche issate: erano tre morbide nuvole di ovatta, calate sulla linea dell'orizzonte. Intanto gli spruzzi d'acqua e sale ci rinfrescavano, permettevano di farci sentire sui volti tutta la carica esplosiva dell'estate e sancivano l'unione tra noi marinai e le creature marine. Ci sentivamo anche noi come dei pesciolini.
– Esploratori seguaci di Nemo, sgargiante bandiera a strisce bianche e arancioni, all'arrembaggio! Il tesoro dell'isola è già nostro!
Niccolò era completamente assorto in quell'avvincente lettura, che non si era distratto neanche da suoni e suonetti provenienti dal telefono mobile. A capofitto tra quelle pagine sfogliate con vivo interesse, aveva la possibilità di diventare un ottimo marinaio a bordo del vascello Poseidone.
– Agli ordini, capitano! - rispose la ciurma al completo, mentre il Mare-Oceano-Mari riempiva l'anima.
La direzione era quella giusta, puntando ancora per diverse miglia a Nord. La freschezza di quell'acqua salata, sempre più chiara e limpida, ci rinfrescava anche i pensieri, che viaggiavano leggeri leggeri, sorretti da quelle tre gonfie vele bianche.
Da marinaio semplice avevo ancora tanto da imparare, ma la passione e la curiosità non mi mancavano certamente, così controllare la nave, svolgere la regolare manutenzione e talvolta provvedere alla distribuzione del cibo nella cambusa erano attività che non mi spaventavano minimamente. In tutto questo, non perdevo mai di vista il nostro saggio ed esperto capitano Hogart, pronto a guidarci nell'impresa e a risolvere qualsiasi genere di situazione: gli imprevisti, per lui, erano semplicemente nodi di velluto da sciogliere grazie a piccole mani dalle dita elastiche.
Niccolò interruppe la lettura e si osservò le mani. Anche le sue, come quelle descritte nel romanzo, erano mani piccole, con dita peraltro elastiche, proprio perché lui era ancora un bambino. Sarebbe voluto entrare in quella storia, Niccolò, far parte di quella ciurma, aiutare il capitano Hogart a sciogliere i nodi degli imprevisti e dimostrare agli altri marinai, a se stesso, ma soprattutto ad alcuni suoi compagni di classe che aveva coraggio da vendere, anche se a scuola appariva spesso introverso. Le sue, erano ancora mani misurate per impugnare le penne e le matite, morbide per proteggere un cucciolo di gatto e delicate per assemblare in mille diverse costruzioni i mattoncini Lego. Sarebbero diventate capaci, però, non troppo tardi, di ammainare le vele, manovrare il timone, sfidare la forza dei venti e utilizzare tutti gli attrezzi del mestiere marinaresco.
Il sole, intanto, si preparava a troneggiare nel centro della volta celeste. Splendido splendente si sarebbe fatto alto, una palla infuocata, luccicando ininterrottamente sulle creste lievi di quella meraviglia che era il Mare-Oceano-Mari. E l'acqua si sarebbe ancor di più riscaldata e la vita a bordo del vascello Poseidone si sarebbe illusa di stare pigramente in vacanza.
Uno stormo di gabbiani, saziato dall'abbondanza di pesci, decollò veloce dalla superficie azzurra screziata di bianco ai chiari riflessi sconfinati del cielo, diretto verso una mèta ben precisa, per vivere una nuova stagione in un'altra terra.
Un'isola accogliente stava aspettando anche i nostri marinai.
Si delineò di lato alla loro vista un curvilineo profilo di un timido scoglio, col capo di poco alzato e ricoperto da una rigogliosa vegetazione. Mentre la distanza dal veliero all'isola si riduceva, mentre si annullava la presenza di uomini e animali nei paraggi, ardeva il desiderio di approdarvi, la frenesia di corrervi a piedi nudi e di scoprirne il fatidico tesoro. Pirati e galeotti si erano sfidati, su altri mari e in altre epoche, per appropriarsi di gemme e monete in quantità; temerari cercatori d'oro si erano spinti per secoli oltre quelle acque, per nobilitare ogni volta di più le loro imprese; sognatori di altri tempi – e forse anche di questi – erano cresciuti con il sale della fantasia e la speranzosa convinzione di far rotta all'isola di Utopia.
Poche erano le carte nautiche che segnalavano la presenza di quell'isola, a differenza di molte che la ignoravano completamente, indicando al suo posto una qualsiasi corrente acquatica. Ma poiché il mistero si infittisce se un'antica pergamena polverosa viene scovata per caso in una rimessa, trovano invece il loro senso la curiosa esplorazione, l'audace avventura e l'entusiasmo della partenza.
Il capitano Hogart, da vero capitano, fu il primo a scendere dall'imbarcazione, per assicurarsi che su quella terra, emersa dai fondali marini, non si nascondessero insidie. Soltanto pappagalli dai grandi becchi gialli e dalle ampie piume variopinte, appesi sulle legnose fronde di contorte mangrovie, intonarono un acuto saluto di benvenuto.
“Ci siamo!” pensò Niccolò. “Vediamo ora cosa succede.”
I marinai, con la gioia che sarebbe esplosa nei loro petti se non fosse stata contenuta dalle divise a righe bianche e blu, seguirono fedelmente il loro capitano. Parevano una fila ordinata di formiche in processione, caute e silenziose, ma ancor più attente e curiose, alla ricerca di cibo, di briciole di pane. L'ultimo della ciurma, col viso florido e raggiante per la fierezza del compito assegnatogli, issò sulla sponda orientale della riva l'alta bandiera del Poseidone: un tridente grigio rivolto in su, sostenuto dalla possente mano destra del dio Nettuno, protettore di tutti i mari e della loro piccola compagnia.
– Ricordate il richiamo dell'eroe Ulisse ai suoi compagni di viaggio! Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza! – rimbombò così potentemente la voce di Hogart, da far volare via in un istante tutti i pappagalli che li avevano accolti.
“La conoscenza, la conoscenza!” pensai.
Da tre mesi della mia vita mi trovavo a bordo di una nave, che già consideravo come una seconda casa, io che da piccolo non volevo più uscire dalla vasca durante il bagnetto e che giocavo a ore sulle pozzanghere come fossero laghi da attraversare. Avevo imparato tanto finora: ogni uscita in mare aperto era una sfida con me stesso e con la natura, ogni gesto da compiere un esempio di solidarietà verso gli altri, ogni nubifragio una prova da superare per crescere, ogni porto raggiunto una sicurezza da custodire con affetto.
Mentre tali pensieri mi rimbalzavano nella mente, i miei piedi marciavano allineati a quelli degli altri marinai alla scoperta di quell'isola. L'aria era talmente intrisa di un silenzio paradisiaco, che si riuscivano a percepire i respiri affannati e i battiti accelerati dei nostri cuori.
Li avvertiva anche Niccolò quei respiri e quei battiti, che filtravano da quei luoghi fantastici alla cameretta reale del bambino, grazie alle pagine ingiallite di quel romanzo, appartenuto da generazioni alla sua famiglia.
L'isola, con una superficie grande quanto mille uomini in cerchio, odorava di essenze rare, di dolci profumi fruttati e di fresche fragranze floreali. Il lungo viaggio assolato sul Mare-Oceano-Mari trovava il suo meritato riposo all'ombra di nodose mangrovie, di maestose palme verdeggianti e di piante dai fiori tropicali mai visti prima, che infondevano pace e serenità.
Quell'isola era tutta per loro, per quei prodi marinai!
La costa orientale era contornata da un'innumerevole varietà di conchiglie, alghe, ricci e legnetti, adagiati su basse dune sabbiose, mentre la zona a Ovest era battuta da forti venti impetuosi, che si infrangevano su dure e ripide falesie, come se due stagioni naturali si contendessero il controllo di quella dispersa roccaforte.
Nel mezzo stavano loro, i coraggiosi marinai, in equilibrio tra estate e inverno, tra caldo e freddo, nel protetto spazio centrale dove terra, roccia, fiori e frutti convivevano in armonia. Non c'erano tracce di tesori, di bauli, di gemme e di ori, ai quali la ciurma non pensava già più, felice com'era di starsene lì tranquilla e beata. Nel cuore di quell'isola svanivano i rancori e le paure, le ansie e i  problemi, sostituiti dalla calma quiete delle anime, dalle perfette solitudini ritrovate e dall' intramontabile desiderio di libertà mai sopito. Altre isole avrebbero raggiunto, altre avventure avrebbero vissuto, altre storie avrebbero raccontato, ma quella era l'isola alla quale non avrebbero più rinunciato, l'isola del Poseidone, dove ognuno si sentiva libero. Come vento libero.
Niccolò sentì entrare, dalla finestra aperta della camera, un soffio d'aria fresca. Era l'imbrunire di una sera alla fine di aprile, era la briosa brezza di quell'isola, sostenuta e tramandata dall'eco esplosivo della letteratura che aveva trasformato le pagine del libro in onde di libertà, amata libertà.
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come-stellecadenti · 4 years
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oggi mi sento male come non mi sentivo da tempo. non so dove sbattere la testa, vado avanti, vado indietro, passato e futuro si intrecciano si mescolano e il mio presente è nebuloso, è freddo ma anche accogliente come veleno celato dal miele. qui a Torino il tempo sembra essere quello londinese, ed io mi sento piena del vuoto di te, mangio biscotti a non finire, vorrei stare da sola e non vedere nessuno come facevo un tempo e invece anche oggi, chiaramente, ti ho incrociato in corridoio, ed è stato fulmineo e inaspettato. ancora di più vedere come mi salutavi tranquillo. non sono nei tuoi pensieri non sono nei tuoi pensieri non sono nei tuoi pensieri, ed io, mi distruggo per te. perdo la bussola, assillo le mie amiche con ore di telefonate dove l’argomento sei solo tu, e dimmi, a cosa serve tutto questo? a che è servito? sto bene un giorno e poi. risprofondo in me. mi perdo, sto male. sto male da far schifo. oggi proprio non avevo neanche la forza di pensare. ora però mi sono costretta, ho messo su la mia musica, Beach house e musica francese che mi ferisce il cuore, forse ascolto pure la nostra canzone così, tanto per spargere sale sulle ferite e sentire di più il dolore, che tanto ormai è solo la mia canzone vero? hai sminchiato anche questo. hai sminchiato tutto porcaputtana. ed io mi chiedo come posso ancora amarti e aspettarti, nel profondo, se non ti ho mai neanche davvero avuto. ma non è vero neanche questo, ti ho avuto eccome, tu eri mio ed io ero tua, ed era bellissimo era fottuttamente bellissimo sentire di appartenere finalmente a qualcuno,e poi mi chiedo, quando mi dicevi che ero innamorata di te e non lo volevo ammettere, alllora me lo dici me lo dici perchè ai fatto quello che hai fatto? perchè mi hai lasciata sola perchè hai reciso tutto in modo brutale e soprattutto perchè hai lasciato che materialmente lo facessi io?? ancora più spregevole. tu sei spregevole. sei cattivo con me ed io non capisco per quale motivo visto che io ti ho amato soltanto. e solo te volevo, solo te. come sempre, mi sento rifiutata rigettata non capita. eppure te l’avevo detto, che è la cosa che mi ferisce di più. e questo tu hai fatto. ed io? ti guardo in faccio e rido anche con te, come la chiami questa forza o estrema stupidità? dovevo scendermene giù, tornare a casa, allontanarmi il più possibile da te, ma questo mi faceva impazzire. mi fa impazzire anche adesso l’idea, pensa tu come sto messa. e dunque, sto male e mi crogiolo nel mio dolore. e Dio solo sa quanto io stia soffrendo. e nessuno capisce, nessuno ha nemmeno lontanamente idea di cosa senta io sottopelle adesso. e cosa vorrei a parte te adesso? qualcuno capace di leggermi dentro. che mi vedesse. vedesse davvero intendo. qualcuno con cui poter guardare le stelle, in silenzio. che devo ritornare a fare tutto da sola e mi fa impazzire questo perchè non voglio non voglio sono stanca della solitudine e della mia compagnia e della voce perenne nella mia testa, e impazzisco vedi, sto impazzendo, sto impazzendo!!! e cosa devo fare? come devo reagire alla tristezza, al dolore, alla mia perdita che ho sempre costantemente sottomano senza poterla afferrare più? 
mi sento in una cosa più grande di me. e infatti, affogo.
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fxan · 4 years
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Ecco come tutto è iniziato..
Sono un ragazzo che a prima vista sembra avere tutto ciò che più si può desiderare dalla vita. Mi chiudo in palestra ore ed ore, e quando non sono in palestra mi alleno a casa. Sono uno studente universitario, ho preso in prestito il sogno di qualcuno e studio per realizzarlo.. Sono il ragazzo che non noti perché sempre incappucciato dalla testa ai piedi, che vedi raramente in giro, mai in mezzo alla folla. Vengo notato in poche occasioni, quando talmente ubriaco inizio a mettere quella maledetta maschera..
Ho passato gran parte di questi anni a stare occasionalmente con ragazze per una sera. Il giorno dopo resettavo tutto. Ero arrivato al punto da ubriacarmi tutti i giorni, chiamare qualcuna a caso e andare. Per poi vestirmi, accompagnare la ragazza e scomparire. 
Ho ricominciato a fumare.. solo per occupare le ore vuote della mia vita. Queste ore, così vuote perché mi sento così solo. Anche in mezzo agli altri, anche in mezzo agli amici. Nessuno riesce a capire il mio punto di vista, nessuno riesce a capire che questo mondo è così sbagliato, ed io non riesco a trovare le cose belle. Non riesco a cogliere le gioie, sono sempre così razionale.. vedo sempre tutto così “nero”.
Era un giorno di novembre, il 5. 
Da un mese ho iniziato a scrivere un diario, ho bisogno di mettere giù i miei pensieri..
La mia testa viaggia.. lo fa velocemente.. troppo velocemente. A volte non riesco a focalizzarmi su quello che penso, perché già arrivano altri pensieri, come se soffocassero la mia mente.. e mi sale il panico, l’ansia.. Per questo ho ricominciato a fumare, ed ho iniziato a mettere giù due righe.
5/11
Ho fatto un sogno.. mi vien da piangere. Ero con una ragazza, la conosco solo di vista..
Lei è bellissima, mi luccicano gli occhi quando la vedo. È più grande di me.
Il sogno era “La Storia da sogno”, era tutto perfetto. Sono un paio di notti che sogno di stringerla in vita, la stringo forte a me.. ho paura. Mentre la stringevo, lei mi accarezzava ed io poggiavo il capo sul suo grembo. La fissavo dal basso della mia prospettiva in quel momento. Era così.. rilassante. Adoro sognare, sognare di poter trovare davvero qualcuna così..
Ho paura di conoscere questa ragazza.. ho paura di rimanere deluso. Poi non credo avrebbe occhi per me.
φῶς, una ragazza che veste un po’.. hard, per dirla così. Lei non fa nulla di sbagliato però.. per il resto non la conosco proprio. Pur vestendo hard, pur essendo la più bella, pur potendo avere il mondo sotto i piedi.. lei è bella, attenta a come si muove, per non mostrare troppo.. attenta a chi si avvicina, non è una ragazza facile. Questo è il bello di lei, per questo i miei occhi hanno un posto speciale riservato a lei.
Vorrei invitarla a prendere un caffè.. non voglio uscire a bere con lei, non voglio portarla in macchina ed arrivare solo ad una cosa.. ne ho abbastanza di questo. Ormai senza bere non farei nemmeno questo.
Voglio sedermi solo con lei, un pomeriggio, con una tazza di caffè davanti.. vorrei sentirla parlare, di lei, della sua vita, vorrei sentire cosa le passa per la testa. Vorrei vedere con i miei occhi.. per una volta vorrei che fosse come è nei miei sogni la notte.
È quasi amore, non per lei.. come potrei già. È amore per il mio sogno.
Mi sveglio e mi rattristo.. nel momento in cui mi sveglio sono felicissimo e tranquillo. Pian piano la mia espressione cambia, diventa.. triste. Realizzo che era tutto un caz*o di sogno.
Dovrei scriverle? Non vorrei.. non mi rapporto in questo modo. Di persona credo che sarei troppo intimorito da quanto è bella.. poi c’è sempre questa paura di rimanere deluso. 
Alla fine.. è più bello un sogno, lì tutto è perfetto. La realtà è così triste. 
Se dovessi averne l’occasione.. le racconterei di questi sogni. Non mi crederebbe mai. Ormai non esistono più queste cose.. verrei solo deriso. 
Dai cazzo, cosa dovrei fare?
Ieri sera finalmente ho mangiato. Stamattina però.. ho una fitta allo stomaco. È come se la gola stesse cercando di allargarsi, per accingersi a vomitare. Che sensazione del cazzo.. mi tremano le mani. Sto provando a fumare per calmarmi, ma non passa. Dovrei tornare a dormire? Magari continuo quel sogno..
Se solo avessi.. un’occasione. Potrebbe essere solo un sogno che lei sia disposta a passare un pomeriggio così. Oramai le ragazze sono interessate solo ad uscire la sera, bere, girare in qualche macchinone. È morto il romanticismo.. ed un ragazzo come me è sbagliato tra queste generazioni. Chissà se anche lei ama leggere o scrivere.. o magari guarda serie.. o addirittura anime, impossibile.
Niente.. oggi non me la levo dalla testa.
Vorrei solo che una dannata volta.. io possa fare queste cose.. e quando sto per tirarmi indietro, qualcuno mi tirasse un calcio, giusto per non darmi modo di negarmi queste occasioni. 
Posso prendere tutte le mazzate del mondo in palestra.. ormai dopo tanti anni sono abituato. Fin dal primo giorno però.. non mi sono mai tirato indietro ad affrontare qualcuno più forte, più esperto, qualcuno che mi facesse male. Non mi sono mai tirato indietro dal prendere un pugno in pieno volto.. o a prenderli nelle costole. Li ho sempre affrontati.. d’altronde tutto quel dolore fisico mi fa stare solo meglio.
Come posso però aver paura così tanto.. di rimanere deluso. Forse perché è l’unico bagliore di luce che ho?
Un’occasione di contattarla ci sarebbe.. quando mi sono svegliato, ho preso il telefono e mi è uscita una sua foto.. dopo un po’ ha pubblicato una storia. Guarda caso.. 
Le volevo dire che è molto più bella quando sorride.. dio se è bella.
Ho le palpitazioni.. il cuore in gola.. non riesco a scriverle.. cos’è questa sensazione? È come se la conoscessi da sempre.. 
Dannato sogno. Sono in uno stato pietoso, come potrebbe mai avere occhi per me? Mi tremano le mani.
Voglio scriverle.. lo voglio davvero.. voglio premere invia e non pensarci.. fallo.. fallo!
Che nervi.. Se mi prendesse anche in giro? Morirei dentro.. non ho la minima idea di che tipo sia.. che può mai succedere per un messaggio, male che vada non mi risponde.. 
Ma cosa diavolo mi prende? Cosa dovrei fare? Ho la testa un casino, ho ancora quel sogno vivido davanti agli occhi.. è come se fosse stato un sonno profondo.. lunghissimo e bellissimo.
Sono rimasto così traumatizzato in passato? Ho avuto molte ragazze.. forse troppe.. ma solo per una notte. C’è stata solo una volta.. in cui ho provato qualcosa di più.
Non ho mai avuto questi problemi, vado e mi prendo ciò che voglio. Perché mi sta succedendo questo?
Caz*o.. CAZ*O! Vorrei urlare.. urlare che sono un coglione. Ho preso il telefono alla prima e ho premuto invia. Voglio morire.
Forse mi ha risposto.. c’è una notifica sul telefono. Non riesco a guardare. E ora che faccio? Ecco.. lo sapevo, sono un coglione. Che caz*o mi hai fatto fare.. Ero sul divano a fumare per i fatti miei.. maledizione.
Ha risposto “Grazie”. Devo continuare a risponderle? Non lo so.. sinceramente forse è meglio se mi fermo qui.. magari se proprio voglio.. le parlo di persona. Credo sia meglio.
Vorrei continuare a parlare, ma voglio sentire la sua voce.. così sensuale e così rilassante allo stesso tempo. 
Ah, non te l’ho detto? Una volta ci ho parlato.. era ad una festa in piscina.. non credo di essermi fatto notare in positivo però..
Sono arrivato molto tardi alla festa.. con un joint in una mano, e ho iniziato a berci del Gin vicino. Ho continuato a fare questo fin quando poi mi sono spogliato davanti a tutti e mi sono buttato in acqua. 
Lei non fuma. In quel momento non beveva, comunque sembra una ragazza molto.. moderata ecco, per quanto si faccia notare per la sua bellezza.
Chi lo sa, forse i suoi occhi hanno un po’ di spazio per me.
Comunque non le ho risposto.. mi ha riscritto lei. Sta portando avanti il discorso.. caz*o, era davvero solo un sogno? Perché avrei sognato proprio lei poi.. sembra uno scherzo.
Continua a rispondere.. anzi fa proprio conversazione.. forse sono un po’ troppo esplicito, ma l’ho notata da almeno un anno.. vorrei dirlo.
La cosa va avanti da un po’ di ore.. mi fa piacere. Sei un coglio**, ma stamattina mi hai aiutato. Mi aiuta scrivere..
Vorrei passare proprio del tempo con lei.. Anche ora mi ha dato proprio.. non so come dirlo, alla fine non la conosco.. ma sembra fatta come dico io.
Però voglio vedere con i miei occhi.. che tipo è, cosa vuole dalla vita, i suoi sogni.. i suoi difetti.
Voglio vedere tutto di lei.
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smokingago · 5 years
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Ho bisogno del mare perché m’insegna:
non so se imparo musica o coscienza:
non so se è onda sola o essere profondo
o sola roca voce o abbacinante
supposizione di pesci e di navigli. 
Il fatto è che anche quando sono addormentato 
circolo in qualche modo magnetico 
nell’università delle acque.
Non sono solo le conchiglie triturate 
come se qualche pianeta tremante 
partecipasse lenta morte, 
no, dal frammento ricostruisco il giorno, 
da una raffica di sale le stallattiti 
e da una cucchiaiata il dio immenso.
Ciò che m’insegnò prima lo custodisco! È aria,
vento incessante, acqua e arena.
Sembra poca cosa per l’uomo giovane
che giunse a vivere qui con i suoi incendi,
e tuttavia il battito che saliva
e scendeva al suo abisso,
il freddo dell’azzurro che crepitava,
lo sgretolamento della stella,
il tenero dispiegarsi dell’onda
sperperando neve con schiuma,
il potere quieto, lì, determinato
come un trono di pietra nel profondo,
sostituì il recinto in cui crescevano
ostinata tristezza, oblio accumulato,
e bruscamente cambiò la mia esistenza :
diedi la mia adesione al puro movimento.
Pablo Neruda
@avvisoimportante
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ilmerlomaschio · 4 years
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DUE ORE
acquari72
SECONDA ORA
Ho le gambe che tremano dallo sforzo di restare aperte. Mi sembrano ore che mi sta succhiando le labbra della vagina. Ed io ho solo voglia di venire. 
Anche le braccia iniziano a farmi male. Ma più che altro la mia voglia è  di toccarlo per sentire i suoi muscoli che si notano sotto la maglietta.
Si perché  in un attimo di pausa per riprendere il respiro si è tolto la felpa, per mettere in mostra il busto coperto da una canotta nera aderentissima, che mostrava muscoli possenti e addominali scolpiti.
Mi è  venuta la bava.  E le mie mani prudevano dalla voglia di toccarlo.
L'ho pregato di slegarmi, prometendogli di fare tutto quallo che voleva... ma non c'è stato verso. Mi ha risposto che per il momento mi voleva così, sottomessa a lui e a ripreso a leccarmi.
Lingua piatta che partiva dal buchino del sedere per poi finire sul clitoride.
Lingua tesa a punta che la spingeva dentro la mia caverna mimando la penetrazione.
Lingua giocosa che mi lappava il nocciolo del godimento, duro come pietra.
Mi contorcevo dal desiderio, non riuscivo ne a stare ferma ne a star zitta.
Mi teneva ferma con le mani poggiate sull'inguine e con i pollici mi sfregava il monte di Venere.. ..
Gemevo in modo vergognoso.
Se solo fossi stata più lucida mi sarei vergognata a morte, ma al momento il mio unico pensiero era raggiungere il piacere.... lo anelano come l'aria che respiravo e sapevo che ciò era malato. 
Che un estraneo potesse fammi sentire cosi era impensabile fino a due ora fa. Invece adesso non vedevo quale era il problema.
L'importante era godere, godere, e godere ancora!
Leccava, succhiava e lappava, senza vergogna. Mi stava mangiando la figa bevendo tutti i miei umori. E dai suoi grugniti sembrava gradire anche lui.
- Ohh! Si brava troia... così... bagnati tutta .. mi stai facendo scoppiare il cazzo.... non ho mai assaggiato niente di più buono... il tuo nettare è  come il miele più pregiato..... mi sta intossicando come la droga più letale..- e avanti così con altre sconcezze  che non facevano altro che eccitarmi di più.
Anche il seno mi faceva male. Tanto che cercavo di abbassare le braccia e tentare di accarezzarmi i capezzoli  con gli avambracci. Era l'inferno e il paradiso insieme.
Gemevo.. gemevo a più non posso. .alzavo i fianchi andando incontro alla sua lingua per cercare di più.
- Ti prego... ti prego ...-  l' imploravo con voce fioca nella speranza che riempisse il vuoto che avevo dentro. E dopo tanto pregare infilo tre dita dentro muovendole veloci avanti e indietro. Facendomi godere ancora di più.
-Si .... finalmente!- esplosi in un grido di approvazione.
Quelle dita che si muovevano mi regalavano il paradiso e l'onda del piacere cresceva e si propagava dal ventre per arrivare a tutte le mie terminazioni. Anche le punte dei piedi si tesero nell'attesa.
E quando con il pollice spinse forte sul clitoride e le dita si spinsero tutte dentro e si piegarono verso l'alto per arrivare al punto G, tutta la tensione accumulata , esplose in un estasi sublime.
Vedevo stelle da pertutto con gli occhi chiusi. Il fuoco dentro sembrava non finire mai.
Il piacere mi stava squagliando le ossa e i brividi erano incontrollabili.
Per la prima volta da quando ho scoperto il sesso ho fatto esplodere il mio piacere in modo evidente bagnandogli tutta la mano con i miei umori. Lesto le porta alla mia bocca  e mi impone di leccare.
Il mio sapore salato era buonissimo e questo gesto  lascivo mi fece eccitare di nuovo. 
Si alzò in piedi e si tolse i pantaloni.
La sua erezione spunto fuori.
Non aveva biancheria e la sua bestia punto' dura e spavalda verso di me.
Mi struscio con il sedere fino al bordo del letto, sollevò le gambe appoggiandosele sulle spalle e con una unica spinta potente entrò dentro di me tutto insieme.
Benché fossi ben lubrificata sentii le mie carni aprirsi ed accoglierlo, per poi attaccarsi e lui è non mollarlo più.
Divino... ancor meglio delle sue mani. Finalmente il vuoto che sentivo si era riempito e non volevo che se ne andasse via.
Guardandomi in faccia, tirò le anche indietro per uscire, per poi rientrare ancora più potente e più a fondo.
Una... due.. tre .... Quattro stoccate  a cadenza regolare, che mi fecero vedere le stelle.
Una... due.. tre .... Quattro stoccate  a cadenza regolare, che mi fecero vedere le stelle.
La mia carne ogni volta si chiudeva e si apriva al suo passare.
Si attaccava a lui e ci restava come un polipo con le sue spire che non molla la presa.
Era devastante,  mi rendevo conto di ogni piccola variazione nei movimenti.
Cinque.. sei... sette.. Otto... continuava a pompare sempre allo stesso ritmo, con calma, e io non volevo che smettesse mai.
Ad un certo punto si fermò dentro spingendo fino al parossismo. Eravamo con i bacini attaccati tanto che non si vedeva dove finiva uno e iniziava l'altro.
Mi afferrò per le caviglie e dopo averle fatte scendere dalla spalle le piego ad angolo e le appoggio all'interno dei suoi gomiti. Uno per braccio. In modo tale da tenermi aperta ed esposta ai suoi occhi. Così poteva vedere tutto.
Ricominciò a muoversi ... nove ... dieci.... undici.... Tenevo il conto per non perdermi nel regno della lussuria.  Il sudore copriva i nostri corpi facendoli scintillante alla luce della luna... dodici... tredici...
Lo sentivo crescere dentro sempre più... Non credevo che potesse aumentare ancora di volume. Le mie membra non si staccavano più lo artigliavano e si muovevano con lui, erano in simbiosi.
Il fuoco divampava e io non vedevo l'ora di bruciarmi. Improvvisamente si fermò e continuando a rimanere dentro prese a ruotare i fianchi.. prima a destra e poi a sinistra.
Oddio...
Non avrei resistito ancora per molto. Con questo movimento strofinata il suo pube con il mio.
Ed  iniziai a gridare di piacere. Piegandosi su di me, mi mise la mano destra sulla bocca per soffocare le mie grida.
E mi ritrovai con una gamba più su. Questa nuova posizione fu la mia fine.
Un nuovo orgasmo esplose,  sconquassandomi tutta. Il piacere mi avvolse nelle sue spire e nella foga morsi la sua mano. Un sapore ferroso finì nella mia bocca quando gli procurati una lacerazione della pelle. Ma non me ne importo perché  troppo presa ad assaporare quelle sensazioni sublimi.
Lui continuò e muoversi in circolo. Ma lo sentivo che ormai stava arrivando, era grosso sempre di più, finché con un grugnito di soddisfazione e un fremito in tutto il corpo riverso' tutta la sua essenza dentro di me. 
Ero ancora con le mani legate in alto e le gambe allargate a più non posso sopra i suoi bracci, scivolo' lungo il mio busto schiacciandomi le tette e si avvicina all'orecchio, il tutto tenendo ancora il suo cazzo dentro.
- brava bambina.... dammi un attimo e inizia il secondo round- mi dice.
Fisso quel volto coperto dal passamontagna cercando di trovare un segno.
Qualcosa che me lo possa far riconoscere. Ma invano.
Abbassa il viso e sento la stoffa di lana graffiare la pelle della guancia e del collo. Fino a posarsi sui seni.
Ne affera uno in bocca e comincia a succhiare in un punto sopra alla mammella. Lecca e succhia, un dolce dolore parte dal punto in cui ha appoggiato le labbra e capisco che quando avrà finito mi lascerà un bel segno.
Va avanti per minuti o ore. Ormai il tempo per me non ha più nessun significato.
Mentre mi muovo dal dolore che aumenta man mano che lui succhia sempre più forte, abbasso le braccia per spostarlo. Ma lui lascia le mie gambe, che posso finalmente allungare,  e con la destra le riafferma e le riporta in alto. -Devi stare ferma!- Mi intima, mentre con la sinistra mi afferra il seno, portandosi questa volta il capezzolo in bocca.
Lo morde tanto forte che urlo dal dolore.
Per poi leccarlo e succhiarlo senza sosta.
La stessa cosa fa con l'altro. E nel frattempo il suo attrezzo è  ritornato duro e riprende a muoversi nella mia passera.
Sussulto dalla sorpresa.
- Ma come così presto!? - domando incerta.
Per tutta risposta lui sogghigna e inizia a tartassarmi come un forsennato.
- Prima ti ho solo assaggiato. Adesso facciamo a modo mio!-
E così dicendo aumenta ancora di più la velocità.
Non avevo mai avuto un amante così. 
Lo vedo andare dentro e fuori velocissimo.
Dondola i fianchi e non esce mai del tutto.
Un martello pneumatico con il cazzo. E io me lo godo tutto.
Alzo le ginocchia e pianto bene i piedi sul materasso. Se proprio devo subire voglio godere al massimo.
Oddio!...  oddio!...  Nella stanza si sentono solo i nostri gemiti e la pelle bagnata che struscia.
E il terzo orgasmo non tarda ad arrivare, sale ed è più potente del primo.
Non so cosa mi faccia quest'uomo. Dovrei ribellarmi e cercare di scappare. Ma i miei sensi me lo impediscono. Adesso anch'io vado in contro alle sue spinte per raggiungere il massimo godimento. Con la mano libera mi afferra le guance e mi fa aprire la bocca.
Tiene le labbra leggermente distanti in modo da non toccarmi e ci ficca la lingua dura a punta, per poi farla uscire fuori veloce.
È come quella di un serpente pronto a colpire.
E inizia a imitare quello che sta facendo nella mia figa.
Il mio corpo traditore continua a muoversi con lui.
Mi sento annegare nel piacere.
Sto impazzendo.
Godo talmente tanto che non ho più ritegno, mi muovo, mi agito, gli vado incontro con il corpo, sfrego il seno contro il suo petto scultoreo per trovare piacere anche li.
Ed eccolo finalmente.
Spirali di piacere invadono la mia essenza e una marea di sensazioni fantastiche invadono il mio corpo.
Lui continua a martellarmi senza cambiare ritmo, il sudore gronda da tutti i pori.
Ha il fiato affannoso come un maratoneta, ma continua nella sua impresa. Lo sento ingrossarsi, le mie pareti arpionarsi a lui e stringerlo.
- Dio.. si ... cazzo ... si.... stringimelo stringimelo.... - E così dicendo anche lui gode. Con un grido animalesco pieno di soddisfazione.
Si stacca e si sdraia di fianco a me.
Siamo rilassati.
Non credevo possibile che si potesse godere così tanto con un uomo.
Lo vedo mettersi su un lato e slegarmi le mani. Che velocemente abbasso per massaggiarle e lenire il dolore dovuto alla posizione scomoda.
Lui mi guarda e con un sorriso beffardo si alza dal letto per poi rimettersi i pantaloni.
- Sei la migliore che abbia avuto! - E con questa parole va via.
Allibita e meravigliata mi avvolgo nelle lenzuola. E con un sospiro mi rilasso.
Anche lui è il migliore che abbia mai avuto! Penso mentre chiudo gli occhi e mi addormento.
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Ho bisogno del mare perché m’insegna: non so se imparo musica o coscienza: non so se è onda sola o essere profondo o sola roca voce o abbacinante supposizione di pesci e di navigli. Il fatto è che anche quando sono addormentato circolo in qualche modo magnetico nell'università delle acque. Non sono solo le conchiglie triturate come se qualche pianeta tremante partecipasse lenta morte, no, dal frammento ricostruisco il giorno, da una raffica di sale le stalattiti e da una cucchiaiata il dio immenso.
Ciò che m’insegnò prima lo custodisco! È aria, vento incessante, acqua e arena. Sembra poca cosa per l’uomo giovane che giunse a vivere qui con i suoi incendi, e tuttavia il battito che saliva e scendeva al suo abisso, il freddo dell’azzurro che crepitava, lo sgretolamento della stella, il tenero dispiegarsi dell’onda sperperando neve con schiuma, il potere quieto, lì, determinato come un trono di pietra nel profondo, sostituì il recinto in cui crescevano ostinata tristezza, oblio accumulato, e bruscamente cambiò la mia esistenza : diedi la mia adesione al puro movimento.
Pablo Neruda
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