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#distribuzione generalista
marcogiovenale · 9 months
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pod al popolo, #15_ poesia riconoscibile, poesia ri-conosciuta, e postpoesia
Su Snaporaz il 20 luglio è comparso questo articolo di Gilda Policastro: “Siamo in troppi a farmi schifo”: i poeti e il loro pubblico https://www.snaporaz.online/siamo-in-troppi-a-farmi-schifo-i-poeti-e-il-loro-pubblico/ Il 3 agosto Fahrenheit (RadioTre) invita lei a parlarne, insieme a Elisa Donzelli e Maurizio Cucchi (il link che segue è già predisposto per far iniziare la trasmissione nel…
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rideretremando · 11 months
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LA RIVOLUZIONE PASSIVA CHE CI HA RESI TUTTI BERLUSCONIANI
Domani, 12 giugno 2023
Il 26 gennaio 1994 Silvio Berlusconi annuncia al pubblico la decisione di “scendere in campo”. Pochi in Italia credono nel suo destino politico, molti sono certi che si tratti di un fuoco fatuo. In un paese nato e cresciuto con partiti strutturati, sembra inconcepibile che un avventuriero, che ha messo in piedi un partito come fosse una catena di distribuzione alimentare, possa avere una qualche speranza di arrivare a palazzo Chigi. E si sbagliano.
Un errore che rivela quanto poca attenzione venisse prestata allora al peso del pubblico generalista da parte di chi si occupava di politica.
L’inventore della “tivù spazzatura”, com’era detta senza tanti giri di parole la televisione commerciale, aveva già fatto breccia nella mentalità degli italiani e delle italiane quando lui scese in campo. Proprio come la “Milano da bere”, che era già emblema di una società libera da “lacci e lacciuoli”, spregiudicata ed edonistica.
Homo novus in politica, Berlusconi non era un self-made man come recitavano i depliant di Forza Italia che trovavamo nelle buche delle lettere. Era parte dell’establishment della Prima repubblica, non solo perché amico personale di Bettino Craxi. Aveva ricevuto tanti favori dai politici prima che il pool di Mani Pulite guidato da Antonio di Pietro li atterrasse.
Nel 1984 la Corte costituzionale si era pronunciata per l’incostituzionalità di quello che passò alla storia come “decreto Berlusconi” che permetteva alle emittenti locali di trasmettere su tutto il territorio nazionale. Nel 1990, la legge che porta il nome del socialista Oscar Mammì codificò e regolò nel nome del nobile principio del “pluralismo” quello che era a tutti gli effetti un duopolio.
Quattro anni dopo, il Partito socialista avrebbe chiuso i battenti insieme agli alleati del “pentapartito” guidato dalla Democrazia cristiana di Arnaldo Forlnai.
La prateria d’opinione lasciata libera dai partiti era enorme e già usa al potere televisivo, quello che Giovanni Sartori avrebbe poi battezzato videocrazia. La scesa in campo del tycoon milanese era tutto fuorché un fulmine a ciel sereno e sarebbe stata tutto fuorché un fuoco fatuo.
Ciononostante, il 28 marzo 1994, giorno della vittoria elettorale di Forza Italia, rappresenta uno spartiacque. Una di quelle date che segnano, si potrebbe dire con le parole di Montesquieu, «un impercettibile passaggio da una costituzione a un’altra» pur senza alcun cambio di costituzione, perché ha effetti profondi nella vita di una società, mettendo in moto aspirazioni e timori, lotte tra «chi difende la costituzione che declina e chi porta avanti quella che sta prevalendo».
E in quelle lotte, che mai si sono spente, si formarono un nuovo linguaggio politico e nuovi leader, e vennero sconquassate generazioni e culture politiche. Berlusconi fu il Perón italiano.
Conquistò l’opinione pubblica mettendo la famiglia sul palco, la sua vita privata (costruita per la vendita del prodotto elettorale) nei depliant. Creando le condizioni per una permanente attenzione scadalistica da parte dei media che anni dopo l’avrebbe travolto. Coniando slogan tanto dirompenti quanto all’apparenza avulsi dalla realtà.
Berlusconi entrò in politica con parole di fuoco contro la partitocrazia, alla quale egli doveva molto; e contro il comunismo, che era già tramontato prima ancora della Bolognina.
Ma quegli slogan non erano avulsi dalla realtà, se si considera che Berlusconi era esterno alla classe politica (e poteva quindi tuonare contro la partitocrazia) e che l’idea di una democrazia sociale e di una responsabilità dell’economia verso il bene pubblico era ancora parte della cultura politica diffusa, che egli da liberista qual era identificava col “comunismo”. Nel linguaggio gramsciano quella di Berlusconi fu una rivoluzione passiva.
Gli slogan di Forza Italia aggredivano quella che era una mentalità resiliente. Canovacci di una politica modellata sul Colosseo, che da allora le televisioni misero in scena ogni sera: un politica del “contro” che, scrisse Alessandro Pizzorno, aveva dismesso il giudizio politico per quello estetico, morale e sentimentale, imponendo fatalmente di stare “con” o “contro”, senza mai ragionare sulle questioni sostanziali e sulle vie migliori per attuarle o respingerle. La politica della ragione pubblica era finita.
E per questo, Berlusconi determinò non solo l’identità politica sua ma anche quella dei suoi avversari, costringendoli a imitarlo per combatterlo. Perfezionò una diade identitaria di successo, usata dalla Lega di Umberto Bossi contro i meridionali e poi da Matteo Salvini contro i migranti, fino alla presidenza del Consiglio di Giorgia Meloni. “Noi” contro “loro”, dove i “loro” di Berlusconi erano i giudici, le istituzioni e chi non stava dalla sua parte, quella della libertà contro lo statalismo.
Quello schema retorico populista non sarebbe più scomparso. Avrebbe allevato generazioni di leader di partito di lotta e di governo, a destra e a sinistra. Ha visto giusto Giuliano Ferrara che nel suo Il Royal Baby. Matteo Renzi e l’Italia che vorrà, scriveva che il «teatrino della Leopolda è l’equivalente digitale del cielo azzurro di Forza Italia». Stesso stile stessa politica stesso progetto.
Ferrara scriveva nel 2015, vent’anni dopo la svolta populista dell’allora capo di Fininvest. Il cui impatto restò persistente nonostante le parentesi dei governi tecnici che, da allora e a intervalli regolari, hanno messo in stand by il populismo consentendogli di rigenerarsi invece di indebolirlo.
Il 1994 fu difficile da digerire, soprattutto per quella generazione che, emersa dall’Italia fascista, pensava alla politica come a una sfera autonoma dai poteri tradizionalmente intolleranti dei limiti dello stato: quello religioso e quello economico.
La commistione tra gli affari di Berlusconi e i governi di Berlusconi non placarono mai le critiche, né del resto fu mai risolta, e preoccupò i due maggiori pensatori politici viventi, Norberto Bobbio e Giovanni Sartori. I quali faticarono a collocare Berlusconi nelle classiche categorie della politica.
Era un cesarista? Un despota? Un sultano? Un patrimonialista? O tutte queste cose insieme, indicative di una leadership che usciva dall’alveo dei partiti e di un uso del potere che mal tollerava limitazioni istituzionali, appellandosi direttamente alla “sovranità degli elettori”. Ai quali Berlusconi si rivolgeva dalle sue tivù e da quelle di stato, siglando con il pubblico contratti e accordi.
Nel 1994, Bobbio diede alle stampe l’Elogio della mitezza dove consegnava un’immagine di sé che è diventata iconica: l’intellettuale democratico è “uomo di dubbio e di dialogo”, un “mediatore” in consapevole ambivalenza tra il realista e l’idealista.
La mitezza, una qualità impolitica, era possibile solo se i diritti di libertà erano saldi. E così, Bobbio avrebbe speso gli ultimi dieci anni della sua vita (morì nel 2004) a lottare contro Berlusconi, proprio nel nome di quella mitezza che non aveva agio di godere perché avvertiva che l’Italia democratica era a rischio. Bobbio chiamò Forza Italia un “partito fantasma”, un “partito che non c’è” che violava la regola della trasparenza e della pubblicità: «Come vi si accede? Quali gli obblighi dell’iscritto?».
Giudicò i club di Forza Italia «comitati elettorali, cioè partiti alla vecchia maniera», e si chiedeva: «Ma composti da chi? Diretti da chi? Finanziati da chi? Una democrazia che si regge su una rete di gruppi semi-clandestini è davvero un’invenzione senza precedenti. Bella forza, Italia».
Gli faceva eco Sartori, meno militante ma non meno castigatore di Berlusconi. Sulle orme di Max Weber rispolverava la categoria del sultanato, una forma di dispotismo (e Contro i nuovi dispotismi era il titolo di una collezione di saggi bobbiani uscita nel 2004). Dispotismo e sultanato stavano a indicare l’anomalia della democrazia italiana, che sembrava non avere nei fatti un governo della legge. Il tempo avrebbe mostrato che non si trattava di una anomalia solo nostra.
anti-berlusconismo si consolidò in coincidenza con la proposta berlusconiana di riforma costituzionale. L’appello che lanciò Bobbio con Alessandro Galante Garrone, Alessandro Pizzorusso e Paolo Sylos Labini a votare contro la Casa delle libertà «per salvare lo stato di diritto», segnò una stagione politica nella quale la Costituzione divenne oggetto del contendere tra schieramenti politici, e che avrebbe segnato i successivi due decenni, con altri progetti di riforma, ultimo quello targato Renzi-Boschi. Da un berlusconismo a un altro, si potrebbe dire senza timore di essere faziosi.
Poiché, come nel caso di Perón, con Berlusconi venne inaugurata una nuova forma di politica. Berlusconismo è oggi una categoria politica e una ideologia, un modo di fare politica e di gestire l’immagine del leader politico. Designa anche una concezione del ruolo dello stato e delle istituzioni come meno distanti, nell’illusione che ciò convenga a tutti. Una specie di trickled-down della politica, con una vicinanza tra società e stato ottenuta direttamente dal leader.
Quando venne eletto Donald Trump, nel 2016, commentatori e giornalisti americani non ebbero difficoltà a incasellarlo come un esempio di berlusconismo, il patrimonialismo nell’età del capitalismo finanziario.
Nadia Urbinati (troppo buona)
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alessandrovilla1982 · 2 years
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Essere consapevoli della propria disabilità è un qualcosa che fa molto male specie quando, davanti allo specchio, ti rendi conto di come ti vedono gli altri che spesso non sanno che sei pienamente cosciente di quello che sei e che rappresenti per la società generalista. Io ho sempre desiderato avere qualcosa di concreto da poter condividere offline con gli altri ma il più delle volte mi sono trovato a sognare con la musica in cuffia e, spesso, esprimendomi attraverso la scrittura di testi di canzoni che, qualche volta, hanno avuto la fortuna di essere prodotti e messi in distribuzione da chi ha voluto credere in me senza chiedere niente in cambio. Hey Joe”, interpretato da Matteo Lendo Lenotti, è un brano che ho voluto scrivere per lanciare l'ennesimo messaggio. Questa volta, a far da protagonista dello scenario del brano è proprio la musica stessa ed il valore che questa può avere nella vita di chiunque ed, in modo particolare, per coloro che si trovano, per un motivo o per l'altro ai margini sociali. Chi fa musica, consapevole o meno che sia, ha un impatto importante nella vita di coloro che la ascoltano e, soprattutto nei soggetti fragili, è un qualcosa che da forza. Con estrema umiltà, vorrei tanto che “Hey Joe” si imponesse – quindi - nel panorama musicale come una sorta di inno per tutte le persone che si identificano nei panni colui che ha fatto del fantomatico “Joe” del caso il proprio mito e punto di riferimento e, per coloro che si trovano al posto di Joe, a vivere con gioia la consapevolezza di essere in grado di poter, in qualche modo, colorare la vita grigia di qualcuno: in questo caso con la musica ma si è volti a pensare che sia effettivamente così in ogni contesto. Presenterò in anteprima mondiale il brano (con uscita prevista per Lunedì 23 Maggio 2022, distribuito da ITALIAN WAY MUSIC) Venerdì 6 Maggio, ospite di SAMMY VARIN nel programma in onda sulle frequenze di RADIO LIBERTÀ. Grazie a NINA ART per il disegno raffigurato nella copertina del brano e grazie allo staff di PIANETA MUSICA ERBA per avermi fatto vivere la musica su e giù dal palco assieme a loro.🎵🎶 https://www.instagram.com/p/Cc6Fj24s5D1/?igshid=NGJjMDIxMWI=
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antonio-giangrande · 7 years
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Cultura e cittadinanza attiva. Diamo voce alla piccola editoria indipendente.
Cultura e cittadinanza attiva. Diamo voce alla piccola editoria indipendente.
Collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo”. Una lettura alternativa per l’estate, ma anche per tutto l’anno.
L’autore Antonio Giangrande: “Conoscere per giudicare”.
"Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Dante, Inferno XXVI.
La collana editoriale indipendente “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” racconta un’Italia inenarrabile ed inenarrata.
Intervista all’autore, il dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.  
Cosa racconta nei suoi libri?
«Sono un centinaio di saggi di inchiesta composti da centinaia di pagine, che raccontano di un popolo difettato che non sa imparare dagli errori commessi. Pronto a giudicare, ma non a giudicarsi. I miei libri raccontato l’indicibile. Scandali, inchieste censurate, storie di ordinaria ingiustizia, di regolari abusi e sopraffazioni e di consueta omertà. Raccontano, attraverso testimonianze e documenti, per argomento e per territorio, i tarli ed i nei di una società appiattita che aspetta il miracolo di un cambiamento che non verrà e che, paradosso, non verrà accettato. In più, come chicca editoriale, vi sono i saggi con aggiornamento temporale annuale, pluritematici e pluriterritoriali. Tipo “Selezione dal Reader’s Digest”, rivista mensile statunitense per famiglie, pubblicata in edizione italiana fino al 2007. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi nei saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali di distribuzione internazionale in forma Book o E-book. Canali di pubblicazione e di distribuzione come Amazon o Google libri. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche. I testi hanno una versione video sui miei canali youtube».
Qual è la reazione del pubblico?
«Migliaia sono gli accessi giornalieri alle letture gratuite di parti delle opere su Google libri e decine di migliaia sono le pagine lette ogni giorno. Accessi da tutto il mondo, nonostante il testo sia in lingua italiana e non sia un giornale quotidiano. Si troveranno, anche, delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato».
Perché è poco conosciuto al grande pubblico generalista?
«Perché sono diverso. Oggi le persone si stimano e si rispettano in base al loro grado di utilità materiale da rendere agli altri e non, invece, al loro valore intrinseco ed estrinseco intellettuale. Per questo gli inutili sono emarginati o ignorati. Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il più fortunato a precederti. In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è? Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il culo. Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante tracce lasci del tuo percorso. Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero sono convinti di avere già le risposte. Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”».
Qual è la sua missione?
«“Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente…Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati. Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili”. Citazioni di Bertolt Brecht. Rappresentare con verità storica, anche scomoda ai potenti di turno, la realtà contemporanea, rapportandola al passato e proiettandola al futuro. Per non reiterare vecchi errori. Perché la massa dimentica o non conosce. Denuncio i difetti e caldeggio i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per migliorarci e perché non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che abbiamo ereditato dai nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e qualcuno deve pur essere diverso!»
Perché è orgoglioso di essere diverso?
«E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta...” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso...” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista mondiale».
Dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie. 099.9708396 – 328.9163996
Leggi i libri e le inchieste su www.controtuttelemafie.it
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Vedi i video ed iscriviti sui canali youtube: Antonio Giangrande - Associazione Contro Tutte le Mafie – Malagiustizia - Telewebitalia 
Scegli i libri di Antonio Giangrande su Amazon.it o su Lulu.com o su CreateSpace.com o su Google Libri
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marcogiovenale · 1 year
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[r] rinascono i pompieri | ovvero: va bene non ereditare l'anarchia, ma addirittura entrare in seminario... / differx. 2021
[r] rinascono i pompieri | ovvero: va bene non ereditare l’anarchia, ma addirittura entrare in seminario… / differx. 2021
Diciamo che quando nel 2002-2004 io e altri abbiamo iniziato a pubblicare alcune cose, e nel 2005-2007 (anche con Roberto Cavallera e Riccardo Cavallo) abbiamo moltiplicato i blog di materiali sperimentali, nel 2006 fondato gammm, e nel 2009 pubblicato Prosa in prosa, eccetera, insomma, ecco, è un po’ come se avessimo rovesciato non pochissimi altari (e altarini) delle iconiche & malinconiche…
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marcogiovenale · 2 months
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"libri e diversità": una puntata di 'pendodeliri', di antonio pavolini, dedicata a un intervento di giulio mozzi
Antonio Pavolini – nei Nuovi pendodeliri – in dialogo con le riflessioni di Giulio Mozzi in tema di editoria pubblicate (anche) qui: https://slowforward.net/2024/02/25/feltrinelli-dal-produttore-al-consumatore-giulio-mozzi-2024/ ___
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marcogiovenale · 3 years
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rinascono i pompieri | ovvero: va bene non ereditare l'anarchia, ma addirittura entrare in seminario... / differx. 2021
rinascono i pompieri | ovvero: va bene non ereditare l’anarchia, ma addirittura entrare in seminario… / differx. 2021
Diciamo che quando nel 2002-2004 io e altri abbiamo iniziato a pubblicare alcune cose, e nel 2005-2007 (anche con Roberto Cavallera e Riccardo Cavallo) abbiamo moltiplicato i blog di materiali sperimentali, nel 2006 fondato gammm, e nel 2009 pubblicato Prosa in prosa, eccetera, insomma, ecco, è un po’ come se avessimo rovesciato non pochissimi altari (e altarini) delle iconiche & malinconiche…
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marcogiovenale · 2 years
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la situazione in poesia / differx. 2022
la situazione in poesia / differx. 2022
https://slowforward.files.wordpress.com/2022/03/marco-giovenale_-la-situazione-in-poesia_-2022.mp3
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