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#Gilda Policastro
marcogiovenale · 21 hours
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25 maggio 2024, giornata pagliarani: il premio e gli incontri
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rideretremando · 5 months
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"Mi aveva colpito, al culmine dell'isteria social sul fatto del giorno, la dedica di una donna tra i miei contatti al suo compagno ovvero quanto si ritenesse fortunata ad averlo incontrato, perché lui, fra tutti i degni (cioè indegni) rappresentanti del patriarcato, si distingueva per probità e virtù. Naturalmente mi aveva fatto sorridere l'ingenuità della dichiarazione e mi aveva un po' indispettito l'arroganza, la presunzione manichea di riconoscere e sapersi accaparrare il grano, mentre il loglio toccherebbe alle altre. Queste altre, chi sarebbero. Io, per esempio. Credo di potermi dire emancipata, sono indipendente economicamente, non soffro di deficit affettivi conclamati, e vengo considerata persona dal carattere forte, a torto o a ragione. Questo anche anzi soprattutto vent'anni fa, quando ero in formazione come studiosa, cominciavo a guadagnare da poterci vivere certo senza fasti e avevo una famiglia ancora integra, genitori vivi etc. Eppure. Eppure avevo un fidanzato ossessivo, geloso, qualche volta violento. Per lo più con le cose, che usava sbalestrare sul pavimento o scaraventare contro il muro, ma qualche volta anche contro di me. Mi strattonava, per lo più. Piatti rotti, ogni tanto. Mi controllava il telefono? Sì. Mi permetteva di avere accesso al suo? No. Una volta finse di essere a Roma (abitava in un'altra città) intimandomi di tornare a casa (ero a cena con due amiche). Io gli obbedii. Non c'era nessuno ad aspettarmi al portone. Invece c'era, eccome, la volta in cui mi prese a calci. Uno solo, per la verità, ma con vistoso ematoma, formularmente. Perché lo racconto? Perché questo fidanzato non era affatto un troglodita paracadutato nella civiltà direttamente dalle caverne. Era un intellettuale, colto, raffinato, con una educazione affettiva nutrita di classici e poesia contemporanea. Ora ha un lavoro, una famiglia, figli, vedo dai social. Ma io perché sopportavo le sue scenate, ne subivo il controllo, le scariche di rabbia? Perché ero fragile, debole, vittima del patriarcato insieme a lui? La risposta è molto banale, e anche, mi rendo conto, pericolosa. Perché ero innamorata di questa persona. Non della violenza, logicamente. Non del controllo, che mi esasperava. Ma di tutti gli altri aspetti della sua vita e della nostra relazione che violenti non erano, e tutt'altro. Bianco bianco no, e nero nero nemmeno. Mi avrebbe potuto uccidere, in un accesso di ira? Non lo so, chi può dirlo. Posso dire perché me ne sono andata. Non per istinto di sopravvivenza, ma perchè le cose alle volte si aggiustano da sole, alle volte serve una spinta (una persona a me vicina con diplomazia churcilliana parlò con entrambi e ci convinse ad allontanarci perche insieme eravamo "un sistema instabile"). Lui trovò subito un'altra (che vidi, spero per puro accidente, con una stampella, in un'occasione pubblica). Con questo non voglio sostenere e rappresentare nessuna posizione e nessuna idea definita meno che mai assiomatizzare. Solo riflettere sul fatto che nessuno può dire se non in falsa coscienza ''io no''. Perché io sì, invece, e quasi tutti, nella vita affettiva, abbiamo avuto a che fare con la violenza (controllata, certo, ma forse è anche peggio perché se si ha questo potere, di tenerla sotto la soglia di rischio, si avrebbe anche quello di non lasciarle alcun margine, penso) e non necessariamente in un contesto estremo, retrogrado o patriarcale. La passione è violenta, le relazioni hanno sempre qualcosa di terrificante e patologico (citofonare Groddeck). Io, mio, tuo: moratoria anche su aggettivi e pronomi possessivi? Tutto da rifare, nel discorso soprattutto. La scompostezza, l'egolalia, l'accoramento emotivo e compulsivo. E togliersi i sassetti dalla scarpa, con la trave nell'occhio."
Gilda Policastro
Sempre bravissima.
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centroscritture · 6 months
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*A partire da domani 6 novembre ore 18".
Torna il format degli "Autoritratti" in un unico ciclo di incontri in cui sette autori viventi, diversi per generazione stile e poetica, ripercorrono la propria storia letteraria ricostruendone le ragioni e gli approdi testuali in opere già riconosciute come passaggi significativi del più recente panorama letterario, rimettendola al dialogo e al confronto diretto con la classe.
con Laura Liberale, Andrea Inglese, Marcello Frixione, Tommaso Di Dio, Gilda Policastro, Giorgiomaria Cornelio, Silvia Bre.
Tutto su www.centroscritture.it
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rpd-news · 9 months
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E il 25 agosto 2023 a Fumi della Fornace a parlare della mia ossessione preferita: mappe. Insieme a Gianluca D'Andrea, Marco Giovenale, Diletta D'Angelo, Tommaso Scarponi, Nicola Passerini. Per l'occasione mostrerò mappe inedite di assai grande formato realizzate negli ultimi tempi.
Scriveva Gilles Deleuze: «L’isola è il minimo necessario a questo ri-cominciamento. […] Non vi è una seconda nascita poiché ha avuto luogo una catastrofe, ma all'opposto c'è catastrofe dopo l'origine poiché vi deve essere, a partire dall'origine, una seconda nascita». Dialoghi e scenari per il mondo a venire: ogni pomeriggio, una serie di incontri in collaborazione con le Edizioni Volatili, per sondare - insieme a poeti, scrittrici, filosofe, divulgatori, architetti, curatrici e artisti - l’evidenza delle cose non viste, la necessità delle seconde nascite. Mappe, tragitti, segni non chiusi: un esercizio collettivo di immaginazione.
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24.08 | ore 17:30
L’evidenza delle cose non viste: immaginazione, corpi celesti e fondamenti invisibili
Con: Sara Gamberini, Ida Travi, Viola Lo Moro, Francesca Matteoni, Gilda Policastro,Mariagiorgia Ulbar.
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25.08 | ore 17:30
Segno non chiuso: mappa, carta, confine
Con: Gianluca D'Andrea, Marco Giovenale, Diletta D'Angelo, Tommaso Scarponi, Nicola Passerini, Roberto Paci Dalò.
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26.08 | ore 17:30
Dioniso errante: immaginazione ed ebrezza
Con: Adriano Conte Z. Ercolani, Davide Susanetti, Domenico Brancale, Emanuele Tartuferi
27.08 | ore 17:30
Riscrivere la fine: esercizi del possibile, fragili eternità
Con: Vanni Attili, Mario Lupano.
24–27 agosto 2023
I fumi della fornace. Festa della poesia
Valle Cascia (MC)
Per info e biglietti www.congerie.org
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garadinervi · 3 years
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Gilda Policastro, Per Carlo Bordini, «Le parole e le cose²», November 10, 2020 (image: Carlo Bordini, note, May 7, 2019)
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gianlucadandrea · 2 years
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Dall'inizio - Ultima puntata sull'Estroverso
Dall’inizio – Ultima puntata sull’Estroverso
Sull’EstroVerso l’ultimo puntata della rubrica che ho curato per 2 anni e 8 mesi con Gabriel Del Sarto. È stato un viaggio lungo ma prezioso, così bello che non finisce qui. Ad maiora! Dall’inizio, sempre. Di seguito i nostri ringraziamenti e l’arrivederci ai lettori Il più grande abbraccio a Grazia Calanna perché non esiste ospitalità più ospitale della sua. Attrazione, ancora Ma dimmi,…
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ilterzolivello · 2 years
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PENSIERO MADRE a cura di Federica De Paolis
un commento a PENSIERO MADRE a cura di Federica De Paolis, NEO Edizioni
17 SCRITTRICI. 17 RACCONTI. UNA DOMANDA. NEO Edizioni, 2016 Alla fine, dopo l’ultima pagina: “Ma che vuoi commentare” mi sono detto subito, come può un maschio immaginare anche solo l’idea di maternità? È sempre un bisogno di curiosità a prenderci la mano, a trascinarci, è il desiderio mai sazio dell’inesplorato, di quella sconosciuta essenza che in continuazione ci turba e ci attrae. Parto da…
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redazionecultura · 6 years
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Open night con i docenti della scuola di scrittura creativa Molly Bloom
Open night con i docenti della scuola di scrittura creativa Molly Bloom
Appuntamento giovedì 4 ottobre al Monk di Roma con gli autori e i docenti della scuola di scrittura creativa Molly Bloom. Dalle 19, Leonardo Colombati ed Emanuele Trevi, insieme al Premio Strega Alessandro Piperno, agli scrittori Francesco Pacifico, Marco Lodoli ed Elena Stancanelli, e alla poetessa Gilda Policastro si avvicenderanno in letture e conversazioni attorno alla Scrittura, fornendo un…
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giuliomozzi · 7 years
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Complesso non coincide completamente con complicato
Complesso non coincide completamente con complicato
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L’attuale Biblioteca universitaria alessandrina di Fiammetta Palpati [Gli altri articoli della discussione in corso]. Provo a contribuire con una digressione a questo interessante dibattito innescato da Policastro, rilanciato da Mozzi e ripreso, nei suoi diversi addentellati, dai numerosi e rilevanti interventi. Molto interesse hanno suscitato in me – per ragioni anche personali – soprattutto i…
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letteratitudine · 2 years
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Proposti dagli “Amici della Domenica”, per l’edizione 2022 del Premio Strega, i libri di: Fabio Bacà, Dario Buzzolan, Alessandra Carati, Mario Desiati, Costanza DiQuattro, Maddalena Fingerle, Alessio Forgione, Giorgio Ghiotti, Alfredo Palomba, Antonio Pascale, Gilda Policastro, Eduardo Savarese
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marcogiovenale · 2 months
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online il nuovo numero di 'vocale', a cura di elisa longo
https://www.fangoradio.com/shows/301/3926 “In questa puntata ho lavorato con i suoni residui (materiali che avevo escluso in un primo momento, resti di ricordi, suoni di antichi canti che a contatto con la realtà esterna, distanti dai luoghi nei quali sono stati concepiti, variano di senso e prendono un altro significato, e poi ho usato ancora residui sonori di lingue straniere intercettate sui…
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rideretremando · 5 months
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Quello che scrive Gilda Policastro, nonostante l'autostima altissima, è sempre oro.
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pangeanews · 6 years
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“Non risolta. Non semplice. Molto sola. La condizione ideale per scrivere”: Gianluca Barbera dialoga con Veronica Tomassini
Con Veronica Tomassini non si scherza. La scrittura è tatuata sulla sua pelle. Ogni parola che pronuncia risuona di un’eco antica e lacerante. In lei vita e letteratura quasi non si distinguono. Ne consegue una qualità speciale dell’arte, un frizzio nella circolazione sanguigna delle sue opere. Basta leggersi “Sangue di cane” (Laurana, 2010) e “L’altro addio” (Marsilio, 2017) per rendersene conto. Veronica è una scrittrice nata, lo si avverte in ogni riga che scrive. Niente di studiato, tutto vissuto e sofferto fino in fondo. Una sofferenza che si fa arte; perfino in un’intervista.
Veronica, dopo la straordinaria accoglienza di “Sangue di cane” la tua carriera di scrittrice è decollata? O in questo Paese si resta sempre un po’ sospesi a mezz’aria? Puoi fare un bilancio?
Sì, è decollata, e si è fermata. “Sangue di cane” mi ha lasciato molti estimatori, lettori sparsi, qualche collaborazione. E nient’altro. Non ho comprato un attico nel centro di Roma. Al mio nome non salta nessuno sulla sedia, non mi stendono tappeti rossi nelle stanze dove si decidono i destini della letteratura.
Che cosa c’è che non va nell’editoria italiana?
L’editoria italiana soffre di insicurezza, ha bisogno di conformarsi. È fatta di numeri. Di copertine kitsch a volte, con una promozione molto facile tipo: “foto social di merda con accanto tazzine di merda” (cito lo scrittore Marco Drago). Non è per forza e sempre così, vorremmo sperare.
Già, Drago non le manda mai a dire. Ho intenzione di intervistarlo prossimamente. Qual è il genere di storie che ti piace raccontare e che vorresti raccontare in futuro? Certo, “Sangue di cane” e “L’altro addio” indicano una rotta precisa, ma vorrei che fossi tu a parlarne…
La mia narrazione devia spesso, come il mio sguardo, nei luoghi dove gli altri lo tolgono. Dove per gli altri cade l’ombra, spesso per me si rivela la luce. Una luce magnifica, eloquente. Amo i perdenti, per questo li racconto. Lo sono anch’io. Ma ammetto che è una lunga narrazione tristemente biografica, nel senso: non racconto che di quel che so, che ho vissuto. Dopo “L’altro addio”, ho finito un romanzo che ho definito “della giovinezza”, ancora inedito. Racconto gli anni ’80, la periferia, la piazza, l’eroina, e un gruppo di adolescenti vivere su cumuli di immondizia, dentro giorni chiamati deserti, in condomini popolari, abbaini con cani ringhiosi a latrare, vecchie auto carbonizzate, falansteri, con rampe buie e maleodoranti, cardi e agavi che si gettano verso il mare. Era la mia adolescenza.
So che stai scrivendo qualcosa di totalmente nuovo rispetto ai temi cui ci hai abituati. Puoi parlarcene?
Sto scrivendo un romanzo sull’amore, nel mio blog personale. La storia di un abbandono. Alla fine è il solito assedio, piccoli inferni vecchi e nuovi. Alla fine è sempre tranche de vie. Non so fare altro che raccontare la mia vita, mentendo. Negli ambienti editoriali, pare, che vada moltissimo questa storia del sentimentalismo. Autori che non mi dicono nulla ma che vendono centinaia di migliaia di copie. Allora qualcuno ti dice: buttati sul sentimento. Io dico: non ho fatto altro.
Esiste secondo te anche un problema di critica letteraria? Che opinione hai del fare critica oggi?
La critica oggi? Difficile domanda. I grandi critici come Giovanni Pacchiano o Angelo Guglielmi sono il mio solo riferimento. Ma è un problema mio credo, non frequento molto la critica più “giovane”. Però, ecco, mi viene in mente Gilda Policastro, brava e severa, la cito giù anche tra le scrittrici che sento prossime.
Sulla sua lapide Oriana Fallaci ha voluto che venisse inciso: “scrittore”, e non “scrittrice”. Che ne pensi? Non ritieni che a volte le donne si marginalizzino da sole? Nelle professioni io non ho mai distinto fra uomini e donne ma fra bravi e meno bravi e sinceramente una domanda simile non te la porrei nemmeno, se non fosse che ho l’impressione che spesso siano le donne a volersi differenziare…
La letteratura femminile: e subito penso a certe riviste da fotoromanzi, a qualcosa da ricamo e cucito. Una sottodimensione, un genere. Siamo scrittori. Sono d’accordo. Io preferirei – come Oriana Fallaci – definirmi uno scrittore. Non abbiamo sesso, uomini, donne, li conteniamo tutti, nella nostra memoria che deve aver viaggiato parecchio, quando ancora non ci chiamava per nome. Non un genere, o altrimenti come nelle declinazioni latine andrebbe bene un neutro. Noi siamo il mondo che raccontiamo.
Che persona sei, nel privato? E quanto il fatto di essere una scrittrice influisce sulla tua esistenza?
Credo di non essere una persona in riga, non so come dire. Sono una donna che cerca ancora qualcosa, non risolta. Non semplice. Molto sola. Non so come io sia così sola, perché. È una condizione giusta per scrivere. Non me ne compiaccio. Affatto. La noia è un problema per me. La noia è diventata forse anche la ragione della mia scrittura. La scrittura: la mia compagna; dove tutti abdicano, abbandonano, si arrendono, lei vince, dimora, resta. Nella mia vita non dico quasi mai (quando mi è possibile) cosa io faccia, quale sia il mio mestiere. Che poi scrivere è un mestiere? No, è uno status, un modo di guardare e raggiungere le cose. Non voglio essere sempre straniera, così nella mia controllata socialità, fatta di luoghi umili e una umanità vera e primitiva, io non dico nulla, voglio essere come gli altri, non diversa, straniera. E la scrittura ti rende un po’ diversa, un po’ straniera.
Da che cosa dipende il valore di un’opera letteraria secondo te? Dalla lingua? Dalle tematiche. Da cosa?
Da tutto questo insieme ma con un fattore ics: la potenza della parola. La parola deve risuonare come un’eco tremenda, persino dentro un’apparente innocuità.
Lo scrittore ha un qualche tipo di etica da rispettare o non ne ha nessuna?
L’etica è una consapevolezza morale. La moralità è un concetto ameno applicato alla scrittura.
Qual è la tua idea di letteratura e quali sono i cinque libri della tua vita?
La scrittura non deve normalizzare, consolare. La scrittura non è democratica. È la spada che rompe il ghiaccio. Deve inchiodarci alle nostre vulnerabilità. Nelle cose minime, deve intercettare l’inaudito. O il settimo cielo di cristallo. I miei cinque libri, profetici (non per forza i più amati): “I Demoni” di Dostoevskij (Dostoevskij e i russi li metterei tutti); “Il riposo del guerriero” di Christiane Rochefort; “Le ambizioni sbagliate”, Moravia; “L’ottavo giorno della settimana” di Marek Hlasko; “Tropico del cancro” di Henry Miller.
E gli scrittori italiano che ami di più? Di oggi e di ieri…
Buzzati, Pratolini, Moravia, Levi, Pavese. Il neorealismo. Oggi ce ne sono di bravi: Giulio Mozzi, Dario Voltolini, Andrea Carraro, Gaetano Cappelli. Demetrio Paolin. Ivano Porpora. Ma sono anche amici, dunque non so. Tra le donne: Grazia Verasani, mi piace Loredana Lipperini (nel suo esordio), Alessandra Sarchi (metto in ordine sparso, non di importanza), Viola Di Grado. Yasmin Incretolli. Claudia Durastanti. Francesca Marzia Esposito. Gilda Policastro. Tiziana Cera Rosco (poetessa meravigliosa). Letizia Di Martino (vi invito a leggerla su Facebook, meriterebbe un grande romanzo). Cristina Caloni. Dimenticherò qualcuno senz’altro. Sono amici e scrittori che stimo, tutto insieme. (Ah, ci sei tu, Gianluca Barbera).
Ne sono lusingato. Ti piace il cinema? I tuoi cinque film più significativi?
Sì, ma lo frequento poco. Dove vivo (una piccola città di provincia) ci sono solo multisale e produzioni americane. Amo i film francesi, da ragazza vedevo Truffaut, non sapevo chi fosse Truffaut, ma mi piaceva. Le atmosfere giallognole e intimiste dei film francesi. Dunque, direi i film di Truffaut intanto. “La signora della porta accanto”; “Bella di giorno” di Bunuel; “Anonimo Veneziano” di Enrico Maria Salerno; poi da sentimentale quale sono: “L’amante” di Annaud; “Lezioni di piano” di Jane Campion.
Da anni scrivi sul “Fatto Quotidiano”, un giornale molto connotato. Hai la più ampia libertà o devi rimanere all’interno di paletti ben precisi? E come è nata la tua collaborazione con “Il Fatto”?
Non conosco giornale più libero de “Il Fatto Quotidiano”. Ho lavorato molti anni in una redazione siciliana. Quando arrivai nella redazione de “Il Fatto”, non riuscivo a credere che potessi raccontare la verità, qualcosa di prossimo alla verità. I miei pezzi non vengono toccati di una virgola. Mi sono permessa di scrivere quel che non avrei mai immaginato di poter scrivere, senza alcuna genuflessione al potere, senza proteggere nessuno. E non ero abituata a questo. Ho cominciato a scrivere per “Il Fatto” con i Forconi, con la rivoluzione siciliana dei forconi, rivoluzione mancata. Ricevo una telefonata: era Marco Travaglio. Mi chiede: cosa ne dici di scriverci qualcosa? Così di punto in bianco. Ovviamente io ero nel pallone, ma ho risposto: sì, va bene, sarà fatto. Ed è cominciata una collaborazione bella e significativa che dura tutt’oggi. Sono stata gratificata da loro, spesso. Ricordo una telefonata di Antonio Padellaro, all’indomani di un pezzo che raccontava di sbarchi e immigrazione. Voleva omaggiarmi della sua stima. Per me era impensabile anche soltanto sognare una cosa del genere. E anche in questo caso, mi devo ripetere: non ero abituata.
Sei molto presente fu Facebook. Potresti farne a meno o come per molti è diventata una necessità, una parte imprescindibile della tua vita?
Sì, sono molto presente e, malgrado spesso non ne possa più, non potrei farne a meno, il mio lavoro è fatto anche di questo. Relazioni e comunicazione. Molte occasioni importanti sono arrivate attraverso Facebook. Mi contattano sui social, come se fossero le pagine bianche.
Sei di origini siciliane, ma quanto ti senti siciliana e quanto ti senti altro?
Mia madre è siciliana. Mio padre è umbro. Mia nonna era abruzzese. Mi sento senza radici, sempre fuori la porta. Oggi vorrei farne un vezzo. Essere a parte di tutto eppur fuori. Non sapere parlare il dialetto. Avere memoria di luoghi e epoche in cui non sono mai stata. Non perderci la ragione, magari.
Quanto per te la vita è fatica e sofferenza e quanto è serenità e felicità?
Serenità e felicità molto poca. Ma gioia segreta a brani, un anticipo di qualcosa che ispira consolazione. Qualcosa di molto dolce. Quando la incontro, alla fine di una disperazione. Alla fine di una disperazione si schiude un rinnovato significato. Una luce ti avverte: abbi pazienza, non ti è dato sapere del tutto. E intanto scrivo e mi nutro di questo. Mi nutro della nostalgia e scrivo. La scrittura è anche un affare di saprofagi. La nostalgia è già un lutto. Il requiem su un fatto, un’assenza. Lo scrittore è il risultato di molteplici assenze.
Cosa è per te il male e come si manifesta? E il bene? Secondo te sono così strettamente legati o uno potrebbe stare senza l’altro?
Il male si manifesta con la paura. Con le fobie, le paranoie, il pregiudizio. Tutte fragilità che si consumano come brace, ma su se stesse. Non producono, non seminano. Ripiegate, energie che muoiono senza santificare. Il male non lo devi guardare troppo a lungo, si dice così no? L’abisso: non lo guardare e lui non guarda te. Quando certe volte mi assalgono i pensieri che non sono miei, pensieri strani, ottenebrati, dico tra me: Dio trasformali in preghiera. Il bene è il luogo dove tendiamo tutti, santi e malfattori. Ci piaccia o meno. È lì che dobbiamo andare.
So che hai problemi col cibo. Da cosa dipende. Puoi parlarcene o non te la senti?
Dipende da molte cose, da una sindrome autoimmunitaria, da una vocazione adolescenziale, dalla paura, dalla solitudine. Solitudine a grappoli, da raccogliere, o covoni di pianto da trasformare in gioia, biblicamente. Quando leggo i passi delle Scritture realizzo che niente che ci appartenga non sia già stato annunciato nel libro della vita e ogni nostro passo contato, ogni lacrima conservata nella Sacra Otre. La difficoltà ad alimentarmi è il mio cruccio antichissimo, ho il terrore di perdere peso, lo perdo facilmente. Soffro di dolori cronici, la mia vita è condizionata da questo, anche la mia vita sociale (che praticamente non esiste). Devo imparare ad accettare, a viverci insieme con i miei mostri, renderli creature, disorientarli, arrivare persino ad amarli. Chiedere casomai talvolta: perché? Cosa vi ho fatto mai? Accettarli. E d’improvviso capisci che ognuno ha un compito assegnato, croci che ci spettano, che hanno un senso, il crogiolo del dolore, è Siracide. L’uomo provato dal crogiolo del dolore è un uomo benedetto.
Se dovessi fare un viaggio lungo un anno, che Paesi o continenti vorresti attraversare prima di ogni altro?
Andrei in Provenza, finirei lì – se potessi – i miei giorni, guardando oltre un davanzale il bluette e l’azzurro violaceo dei campi di lavanda al tramonto. Un cielo carta da zucchero, un uomo capace di amarmi, che mi perdoni, mi assolva e mi faccia dimenticare l’imperfezione, la stoltezza delle cose finite. Leggerei, scriverei, lavorerei le maglie, pregherei. Sarei amata da qualcuno.
Un’ultima domanda. Se dovessi dare una definizione di te come scrittrice con una frase lapidaria, come ti definiresti? E in quanto scrittrice come vorresti essere ricordata?
La lapide: qui dove finisce l’attesa e l’inganno. Per cosa vorrei essere ricordata? Non lo so, per le pietre di scarto che ho raccontato. Più che altro vorrei essere ricordata per loro, gli assenti che mi assediano, i bevitori, i profeti delle panchine, i legni storti. Gli imperdonabili. La vestale degli imperdonabili, andrebbe bene anche come lapide.
Be’, davvero una scrittrice forgiata nella carne e nel sangue. Ammetto che questa intervista mi ha lasciato il segno. E credo che sarà lo stesso per molti lettori. Non ho altro da aggiungere. Vi lascio alle vostre meditazioni. Alla prossima.
Gianluca Barbera
L'articolo “Non risolta. Non semplice. Molto sola. La condizione ideale per scrivere”: Gianluca Barbera dialoga con Veronica Tomassini proviene da Pangea.
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cutulisci · 6 years
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8. Il corpo è tutto. Un biglietto da visita, un tramite, un perimetro, un confine, uno spot, un bluff, un limite, un cruccio, un impedimento. Il corpo può essere malato e parere sano o viceversa. Il corpo si flette, si tende, si accuccia, si torce, il corpo salta, il corpo si ferma, nell’immobilità della morte o anche del riposo. Il corpo russa, piscia, rutta. Il corpo ama, il corpo lecca, spinge, respinge, si piega, accoglie. Il corpo è ricettacolo del male ma l’anima non è sempre veicolo del bene, nemmeno per i cattolici osservanti. Il corpo è scoperto, esposto, sfigurato, il corpo può essere scuoiato, squartato, spellato, curato, protetto, lavato, medicato. […] Il corpo è sconosciuto, il corpo svela sempre un particolare nuovo, il corpo è asimmetrico, vivo, caldo. Il corpo si raffredda subito, si rattrappisce, il corpo minimamente sollecitato, reagisce. Il corpo è capace di sopportare i dolori più atroci, il corpo oltre un certo limite di dolore non sente. Il corpo di un morto è come un burattino scongelato. Etc., come potendo continuare.
"Esercizi di vita pratica" di Gilda Policastro. Una nota di Giusi Montali
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giuliomozzi · 7 years
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Un cuore intelligente, appunti su critica e scrittura.
Un cuore intelligente, appunti su critica e scrittura.
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[Altri articoli sullo stesso argomento] di Demetrio Paolin Scriptor, non doctor. Questa breve glossa di Benvenuto da Imola al verso 27 del canto X del Paradiso mi è venuta in mente leggendo i diversi contributi che, qui su vibrisse ma anche su altri siti e social network, sono apparsi dopo la pubblicazione dell’articolo di Gilda Policastro sull’eutanasia della critica e delle due recensioni della…
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