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#Saperi
queerographies · 10 months
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[Sherocco][Titti De Simone][Sara Garbagnoli][Francesca R. Recchia Luciani][Porpora Marcasciano]
Il volume raccoglie le voci dell3 protagonist3 che hanno animato il Festival e restituisce l’intensità e la radicalità dei dibattiti, delle analisi e delle emozioni che hanno fatto di Sherocco un cantiere di pensiero critico
Cosa significa l’espressione “comunità LGBTQIA+”? Esiste davvero qualcosa che può fare da legame per un gruppo eterogeneo come quello formato dalle persone lesbiche, gay, trans, queer, non binarie? Le rivoluzioni del desiderio raccoglie le voci dell3 protagonist3 che hanno animato il Festival e restituisce l’intensità e la radicalità dei dibattiti, delle analisi e delle emozioni che hanno fatto…
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marcogiovenale · 1 year
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4 novembre, exp - caffè delle esposizioni, roma: incontro con epp & stalker su "trame. ratiche e saperi per un'ecologia situata" (tamu)"
4 novembre, exp – caffè delle esposizioni, roma: incontro con epp & stalker su “trame. ratiche e saperi per un’ecologia situata” (tamu)”
https://www.facebook.com/events/555833126543621 Evento di Libreria Trastevere, Tamu Edizioni e Carmine Conelli Ecologie Politiche del Presente (EPP) incontra Stalker a partire dai temi del libro Trame. Pratiche e saperi per un’ecologia situata (Tamu). Ne parlano: Daniela Allocca (EPP) Daniele Valisena (EPP) Lorenzo Romito (Stalker) Giulia Fiocca (Stalker) il libro Trame raccoglie, partendo da…
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crazy-so-na-sega · 8 months
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intenditore d'arte contemporanea
-@IlFlautoCinese
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lospeakerscorner · 11 months
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La Città del Sole di Tommaso Campanella
Una piéce e un seminario sulla filosofia di Tommaso Campanella e il vissuto dell’uomo: azioni, idee e fatti da concretizzare CITTÀ METROPOLITANA DI NAPOLI – Il sogno della ragione è il titolo della piéce che sarà rappresentata al Centro Stabile di Musica e Cultura Domus Ars in via Santa Chiara. Ispirato a La Città del Sole di Tommaso Campanella il nuovo progetto di Rosario Diana, primo…
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storiearcheostorie · 1 year
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ARCHEOMOSTRE / A tu per tu con Ramses II: a Roma riprodotta la mummia del "faraone immortale"
#ARCHEOMOSTRE / A tu per tu con #RamsesII: a #Roma riprodotta la #mummia del "faraone immortale" È la prima volta che una mummia viene riprodotta con materiali organici biocompatibili. @SapienzaRoma | @SaperiSapienza
Tra i più noti e celebrati faraoni dell’Egitto, Ramses II è anche uno dei quali conosciamo il vero volto. Era il luglio del 1881 quando la sua mummia fu rinvenuta, insieme a una cinquantina di altre, non già nel suo originario sepolcro – la monumentale tomba KV7 della Valle dei Re -, bensì nel nascondiglio reale a Deir el-Bahari, dove durante la XX Dinastia era stata traslata per metterla al…
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mucillo · 8 months
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Siamo orfani della nostra civiltà contadina, quella era un’altra cultura. Era la cultura contadina, montanara, di gente che aveva la 5 elementare ma che conservava conoscenza. Ho trovato una lettera di una mia zia che aveva la terza elementare: una sintassi impeccabile. Gente che oggi sembra non esistere più. Perché? Colpa della bestia nera, della televisione, di questa tv vuota che guida le coscienze. Io invece ricordo una classe popolare aveva una propria cultura, una cultura contadina che si è frantumata, sostituita da contenuti televisivi spesso vuoti. Chi aveva anche solo la terza elementare una volta però possedeva la sua cultura, la cultura parallela, la cultura contadina. Ne parlava lo stesso Gramsci che indicava due culture: quella egemone, accademica, e la cultura contadina dei poveri, che era una grande cultura […]».
Riportiamo questa bella intervista di Francesco Guccini, perché anche lui, come noi e come Carlo Petrini, riconosce nella cultura contadina e nei saperi tradizionali valori che dovrebbero guidare le nostre scelte e invece siamo perdendo, tanto che dobbiamo organizzare una giornata nazionale, anzi, mondiale per la prevenzione dello spreco alimentare, quando quella civiltà ci ha insegnato che il cibo è sacro e non si può sprecare.
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abr · 2 months
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Nei primi secoli del cristianesimo vi fu una diatriba a volte accesa sulla necessità o meno di studiare gli autori greci e romani (si pensi a san Girolamo o a sant’Agostino), durante il Medioevo e soprattutto nei monasteri prevalse una mentalità sostanzialmente aperta.
Bonifacio, apostolo della Germania, compose un’Arte della grammatica nella cui prefazione sosteneva che lo studio dei classici è indispensabile alla formazione religiosa. Ancora, Gerberto, divenuto poi papa col nome di Silvestro II (999-1003), che come direttore della scuola cattedrale di Reims riteneva «impossibile per i suoi allievi elevarsi all’arte oratoria senza conoscere le tecniche di elocuzione che si possono imparare soltanto leggendo i poeti». Insomma, da Gregorio Magno fino ad Alcuino, emblema del Rinascimento carolingio, fu tutto un susseguirsi di lodi verso la cultura classica.
Altro che secoli bui (...). Come l’eccezionale esperienza del Vivarium, il monastero fondato da Cassiodoro, che nel VI secolo «fornì le basi per una compiuta sintesi tra saperi pagani e sapienza cristiana». O il meno noto monastero di Eugippio, abate a Castellum Lucullanum vicino a Napoli, che già alla fine del V secolo consolidò la pratica di copiare e conservare i manoscritti antichi. Per arrivare a Rabano Mauro, che guidò l’abbazia benedettina di Fulda in Germania, autore di uno studio sull’arte del linguaggio e difensore della grammatica, e a (...) Alcuino, al quale si devono due trattati sulla retorica e sulla dialettica, ritenuti fondamentali per lo studio, ma anche per l’evangelizzazione.
Poi si spazia dall’elogio da parte di Agostino dell’aritmetica e dei numeri in quanto voluti da Dio come fondamento dell’ordine dell’universo alla passione di Boezio e di Gerberto per la geometria, per finire con l’astronomia di cui si è già riferito e con la musica, la «scienza del misurare ritmicamente secondo arte» ancora per sant’Agostino, autore di un trattato apposito, il De musica. Boezio poi la riteneva «connessa non solo con la speculazione, ma con la moralità». Un lungo percorso approdato nell’XI secolo a Guido d’Arezzo e alla sua codificazione delle note musicali.
via https://www.avvenire.it/agora/pagine/la-cultura-monastica-luce-del-medioevo
Come in tutte le rivoluzioni del pensiero, anche il cristianesimo rischiò nella sua infanzia l'implosione suicida causa massimalismo fondamentalista, cancellatore di tutta l'eredità del passato nel nome di una nuova ripartenza.
Mentre ad es. islam, blm, wokismo e ambientalismo ci cascano come pere e ne sono fatalmente vittime, il pensiero cristiano dopo qualche iniziale tentennamento - iconoclastia etc. - si salva da se sin dai primi tempi, lasciando tutti i freni fondamentalisti auto imposti alla ortodossia orientale e celebrando Dio per mezzo della CURIOSITA' DEL SAPERE, originando quindi dal suo interno e ponendo le premesse per tutto il successivo progresso positivo del mondo, dal capitalismo al liberalismo alla scienza.
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canesenzafissadimora · 2 months
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Vi auguro di essere eretici.
Eresia viene dal greco e vuol dire scelta.
Eretico è la persona che sceglie e, in questo senso è colui che più della verità ama la ricerca della verità.
E allora io ve lo auguro di cuore questo coraggio dell'eresia.
Vi auguro l'eresia dei fatti prima che delle parole, l'eresia della coerenza, del coraggio, della gratuità, della responsabilità e dell'impegno.
Oggi è eretico chi mette la propria libertà al servizio degli altri.
Chi impegna la propria libertà per chi ancora libero non è.
Eretico è chi non si accontenta dei saperi di seconda mano, chi studia, chi approfondisce, chi si mette in gioco in quello che fa.
Eretico è chi si ribella al sonno delle coscienze, chi non si rassegna alle ingiustizie.
Chi non pensa che la povertà sia una fatalità.
Eretico è chi non cede alla tentazione del cinismo e dell'indifferenza.
Eretico è chi ha il coraggio di avere più coraggio.
Don Luigi Ciotti
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stunmewithyourlasers · 6 months
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Ma lo svilire le facoltà umanistiche 24/7 è un hobby puramente italiano o è international?
Perché lo capisco che un paese che produce pochi stem è messo male per ricerca, sviluppo economia ecc. Ecc.(oltre ad essere bellissime materie,quindi un peccato di per sé),ma non è manco possibile che ogni volta che si parla di qualcosa di umanistico o sanitario che non sia medicina in automatico è: scienza delle merendine, fabbrica di disoccupati e così via.
Gli esseri umani sono complessi e hanno tremila sfaccettature PROPRIE,è giusto studiare e produrre conoscenza in ambiti che anche in società gloriose e a cui guardiamo con gli occhi a cuoricino(roma/grecia) avevano dignità e grande spazio.
Prendo la più note delle facoltà dei kinder brioche per i meme:scienze della comunicazione.
Studiare i meccanismi comunicativi,i media, l'influenza e come plasmano la società può veramente essere considerata inutile solo perché non fa fare gli occhi a dollaro alle aziende?
Una società che svilisce gli ambiti della conoscenza,a prescindere da quali siano,è perduta.
Le persone che sono abbastanza intelligenti da non dividere in saperi di serie a e b sempre meno e sempre meno portate al dialogo perché a parlare con un muro non ci concludi granché.
Il resto delle persone sono sopite da non si sa cosa a sbraitare su un social x,fare la lotta tra poveri o ad essere wannabe imprenditori col 💎 in bio.
Ignoranti, violenti,intolleranti, più poveri materialmente e umanamente ma felici(?)
Mi piacerebbe dire che il ricambio generazionale salverà il mondo,ma quelli col diamante vanno dagli anni 90 in poi.
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shekyspeare · 7 months
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Ma koliko grijeha
o sebe
kao na staru vješalicu okačila
Ma koliko ti duša
čađava od njih bila
Ti opet abdestom crnilo saperi
namazom grijehe
sa sebe otresi
neka odlaze svakim pregibanjem
kao suho lišće
kad napušta oronulu granu
u kasnu jesen
što miriše na rastanak
rastani se i ti sa njima
ma koliko teško bilo
I isprati ih sa podsjetnikom
da kod tebe više bujruma nema
a umornu dušu napoji Kur'anom
osnaži dovom
i tako jaka kreni tamo gdje si prvobitno pošla
ka Njegovoj milosti
ka Njegovom Džennetu
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dottssapatrizia · 1 year
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Diffidiamo sempre di coloro che non hanno passione e valori. Guardiamo i fatti e non le parole. Non fidiamoci i di chi parla e straparla di se e solo di se!
Amiamo e scegliamo chi é generoso, chi sa donarsi, chi sa essere il ponte tra i due mondi: il visibile, palese ai nostri occhi, e l'invisibile, da percepire e da sentire.
Chi non sa essere generoso sta aspettando noi per nutrirsi delle nostre emozioni, dei nostri occhi, saperi, e colori. Deve nutrire il suo ego affamato perché la sua paura è il vuoto.
Di solito sono bravi narratori e si nascondono nell'ombra delle parole che dicono.
Uniamoci a chi ci offre la bellezza del mondo con coraggio, chi ci fa ridere e piangere senza giudizi.
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fashionbooksmilano · 3 months
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Emilio Federico Schuberth
Moda e media ai tempi della dolce vita
Dorothea Burato
Electa, Milano 2023, 128 pagine, 17x24cm, ISBN 97888284317
euro 24,00
Il volume è l’esito di una approfondita ricerca sulla figura dello stilista di origini napoletane attivo a Roma a partire dagli anni Quaranta. Emilio Federico Schuberth si impone sul territorio nazionale e internazionale grazie soprattutto al sapiente uso di strategie di promozione del suo marchio attraverso il medium cinematografico e quello televisivo. Nel panorama della moda italiana, che si afferma a partire dal dopoguerra, Schuberth rappresenta una voce fuori dagli schemi: il suo atelier è stato una tappa obbligata per le dive del cinema, le soubrette del varietà e le donne più eleganti del jet set internazionale. Schuberth veste le più grandi dive del cinema, come Gina Lollobrigida, Sophia Loren, Martine Carol, Valentina Cortese, Alida Valli, Anna Magnani, Bette Davis e Gloria Swanson, sia dentro che fuori dallo schermo, recita in alcuni film e partecipa a trasmissioni televisive di grande popolarità come Carosello, Il Musichiere e La via del successo. Nel volume la storia dello stilista-star viene raccontata attraverso quattro macro-sezioni: la prima è dedicata alla biografia del sarto, fino ad oggi poco indagata; la seconda alla ricognizione del proficuo rapporto che Schuberth ha instaurato con il mondo del cinema in venti anni di attività, dalla partecipazione come attore in alcuni film, alla promozione del proprio marchio grazie alle più famose dive del cinema; la terza si focalizza sul lavoro di Schuberth come stilista al servizio del grande schermo; la quarta sezione è dedicata alle esperienze nell’ambito radiotelevisivo e all’uso strategico che lo stilista fa del neonato medium televisivo promuovendo le sue creazioni anche al pubblico di massa. Chiude il volume l’analisi del filmato promozionale Vedette 444, brillante analogia tra la creazione di moda e l’industria meccanica cui prende parte anche Schuberth. La ricerca, che incrocia materiale d’archivio con documenti audiovisivi e testimonianze di diversa origine, porta alla luce una figura imprescindibile per la conoscenza dello sviluppo del settore della moda che dal dopoguerra in avanti ha fatto la fortuna del Paese. Il materiale dell’archivio CSAC, nello specifico i figurini del Fondo Schuberth e le fotografie del Fondo Publifoto Roma, si è rivelato uno strumento di studio fondamentale per la ricostruzione dell’attività del sarto in oltre due decenni di attività e ha fornito un ricco repertorio di immagini e documenti per il libro. Ne è testimonianza l’album dei figurini di moda, in chiusura del libro, con una selezione di materiale particolarmente rappresentativo della vivacità e varietà che ha caratterizzato l’attività dell’atelier di Schuberth nei decenni centrali del Novecento. Lo studio, e dunque questa pubblicazione su Emilio Federico Schuberth, rappresentano quello che è il senso profondo di CSAC, ovvero la relazione imprescindibile fra le diverse forme d’arte, in cui si inserisce a pieno titolo anche la moda oltre che il cinema, e la comunicazione. Una visione inclusiva che abbraccia diversi saperi per fotografare il presente e il nostro passato recente. Il volume è il quarto di una serie di pubblicazioni e iniziative in collaborazione tra la casa editrice Electa e CSAC – Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma. Lo studio, e il prezioso lavoro di riordino e catalogazione di cui questa pubblicazione offre testimonianza, ha dato a CSAC l’opportunità di catalogare e digitalizzare tutti i bozzetti e le fotografie del sarto in modo da rendere fruibile il patrimonio del fondo all’esterno.
25/01/24
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schizografia · 2 months
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L’esperienza del linguaggio è un’esperienza politica
In che modo sarebbe possibile cambiare veramente la società e la cultura in cui viviamo? Le riforme e persino le rivoluzioni, pur trasformando le istituzioni e le leggi, i rapporti di produzione e gli oggetti, non mettono in questione quegli strati più profondi che danno forma alla nostra visione del mondo e che occorrerebbe raggiungere perché il mutamento fosse davvero radicale. Eppure noi abbiamo quotidianamente esperienza di qualcosa che esiste in modo diverso da tutte le cose e le istituzioni che ci circondano e che tutte le condiziona e determina: il linguaggio. Abbiamo innanzitutto a che fare con cose nominate, eppure continuiamo a parlare a vanvera e come capita, senza mai interrogarci su che cosa stiamo facendo quando parliamo. In questo modo è proprio la nostra originaria esperienza del linguaggio che ci rimane ostinatamente nascosta e, senza che ce ne rendiamo conto, è questa zona opaca dentro e fuori di noi che determina il nostro modo di pensare e di agire.
La filosofia e i saperi dell’Occidente, confrontati con questo problema, hanno creduto di risolverlo supponendo che ciò che facciamo quando parliamo è mettere in atto una lingua, che il modo in cui il linguaggio esiste è, cioè, una grammatica, un lessico e un insieme di regole per comporre i nomi e le parole in un discorso. Va da sé che ciascuno sa che, se dovessimo ogni volta scegliere consapevolmente le parole da un vocabolario e metterle altrettanto coscienziosamente insieme in una frase, noi non potremmo in alcun modo parlare. Eppure, nel corso di un processo secolare di elaborazione e di insegnamento, la lingua-grammatica è penetrata dentro di noi ed è diventata il potente dispositivo attraverso il quale l’Occidente ha imposto il suo sapere e la sua scienza su tutto il pianeta. Un grande linguista ha scritto una volta che ogni secolo ha la grammatica della sua filosofia: sarebbe altrettanto e forse più vero il contrario, e cioè che ogni secolo ha la filosofia della sua grammatica, che il modo in cui abbiamo articolato la nostra esperienza del linguaggio in una lingua e in una grammatica determina fatalmente anche la compagine del nostro pensiero. Non è un caso che l’insegnamento della grammatica si faccia nella scuola elementare: la prima cosa che un bambino deve apprendere è che quello che fa quando parla ha una certa struttura e che a quell’ordine deve conformare la sua ragione.
È dunque solo nella misura in cui riusciremo a mettere in questione questo assunto fondamentale, che una vera trasformazione della nostra cultura diventerà possibile. Dobbiamo provare a ripensare da capo che cosa facciamo quando parliamo, calarci in quella zona opaca e interrogarci non sulla grammatica e il lessico, ma sull’uso che facciamo del nostro corpo e della nostra voce mentre le parole sembrano uscire quasi da sole dalle nostre labbra. Vedremmo allora che in quest’esperienza ne va dell’apertura di un mondo e delle nostre relazioni con i nostri simili e che, pertanto, l’esperienza del linguaggio è, in questo senso, la più radicale esperienza politica.
16 febbraio 2024
Giorgio Agamben
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valentina-lauricella · 3 months
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Attraversando il canneto
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Non ho mai avuto paura di contaminarmi, non ho capito se perché mi sento invulnerabile o già contaminata. Abbandonare il buon gusto e il buon senso e immergermi nei loro opposti, non costituisce un problema per me. Arrivo al punto: un Autore mi invierà un suo romanzo, basato su fatti che egli dice reali, perché io ne faccia una recensione. Sono stata io, per prima, a chiedere informazioni su uno, in particolare, dei fatti narrati nel libro.
E il fatto è questo: che Leopardi avrebbe dettato una poesia dall'aldilà. Oh, chiamarla poesia è uno sproposito: si tratta di pochi versi, in rima da filastrocca. Vero è che la modalità di trasmissione usata, il bicchierino che si muove sulle lettere, non è delle più comode, e per la sua macchinosa lentezza non incoraggia a dettar poemi.
Sento già la mia stessa voce che dice: scappa finché sei in tempo, non sprecare la tua intelligenza (quale?) in un campo che Leopardi avrebbe biasimato e da cui non può derivargli onore.
Vi racconto un fatto: poco più di un anno fa, agli inizi del mio periodo d'interesse per Leopardi e lo spiritismo (strana combinazione), m'imbattei in un libro che, a quanto diceva la quarta di copertina, avrebbe riportato, fra le altre, una comunicazione di Leopardi fatta tramite la voce di una medium, nel corso di una delle sedute di un circolo medianico. Pur bruciando di curiosità, prima di acquistare il libro, ritenni opportuno consultare lo stesso Leopardi (1), per evitare di mancargli di rispetto, leggendo qualcosa che lui non approvasse.
Lui mi disse che ricordava quella seduta, e la fatica che aveva dovuto fare per farsi largo nella mente della medium, e mi spiegò la sua sensazione inviandomi l'immagine di un posto abituale e caro per la medium stessa, un canneto presso uno specchio o corso d'acqua, attraverso il quale lui doveva procedere spostando le canne, senza però spezzarle.
Considerai la spiegazione un implicito permesso di leggere il libro, che difatti acquistai.
Qualche tempo dopo la sua lettura, mi venne la curiosità di vedere la faccia della medium, e così ne cercai il nome su Internet: aveva un profilo Facebook. Lo guardai: l'immagine di copertina era un canneto, identico a quello inviatomi nella mente da Leopardi.
In oltre un anno si sono verificate tante di quelle coincidenze che non le distinguo né le enumero più. Se le avessi raccontate a uno psichiatra, mi avrebbe già prescritto un antipsicotico.
(1) Vi prego di prendere tutto ciò che racconto con le pinze, esattamente come faccio io stessa: dagli avvenimenti accaduti non deduco nulla, non "credo" in nulla. Guardo il tutto dall'esterno, con una punta di divertimento e d'ironia. Sono acerrima nemica della ciarlataneria, di chi vuol creare confusione sui saperi per trarne vantaggio, con furbizia, viltà o piccineria intellettuale. Penso perciò di poter rimandare l'assunzione di un antipsicotico a tempo indeterminato.
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occhietti · 10 months
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La nota più difficile è la gioia, quella che da più tempo abbiamo scordato la parola più difficile da pronunciare la più incompresa.
Non provare a comandarla, la gioia non è un dispositivo da attivare. Chiedi la misura della gioia a un albero, impara dai fiori, osserva la terra. Torna indietro, fino al preciso momento in cui hai rotto il suo patto.
Cosa è successo? Come sei precipitato? Chi ti ha chiuso nelle cantine buie della malinconia? Frana, da tutti i tuoi saperi riapri le stanze.
- Gianluigi Gherzi - da "Alfabeti della gioia"
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gregor-samsung · 2 years
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“ Il 9 ottobre 1963, circa 300 milioni di metri cubi di roccia precipitarono nella riserva d’acqua della Valle del Vajont, provocando un’onda gigantesca che superò gli argini della diga e distrusse la cittadina di Longarone, uccidendo circa 2000 persone. Il disastro del Vajont è tra gli eventi piú tragici della storia del secondo dopoguerra in Italia; ciò nonostante, fu rimosso dalla memoria collettiva nazionale. A parte i lavori di pochi storici (Reberschak e Mattozzi 2009; Reberschak 2013), non ve ne sono tracce nella narrazione ufficiale del cosiddetto miracolo economico degli anni Sessanta. È stato grazie al lavoro di Marco Paolini, attore e autore di teatro, che alla fine degli anni Novanta la vicenda del Vajont è entrata a far parte della memoria collettiva del Paese, grazie a un monologo di due ore trasmesso dalla televisione pubblica. Evidentemente, la storia del modo in cui la modernità e la crescita economica si erano materializzate in una valle remota del Nord Italia grazie all’arroganza di una potente azienda idroelettrica e alla complicità dello Stato non erano adatte alla narrazione generale di un’Italia che finalmente diventava una società ricca e moderna. La storia del disastro del Vajont è un esempio da manuale della logica del Wasteocene. Nel nome del progresso e di un superiore «bene comune» (Roy 1999), alcuni luoghi ed esistenze vengono sacrificati, letteralmente messi al lavoro per il benessere di altri. Le wasting relationships che trasformarono una valle remota in una macchina idroelettrica non soltanto produssero vite di scarto – l’immenso cimitero di Longarone –, ma scartarono anche saperi e memorie. Saperi, sí, perché gli abitanti del posto tentarono piú volte di allertare le autorità riguardo ai prevedibili rischi che sarebbero derivati dalla diga, ma vennero ignorati o ridicolizzati. Fu una battaglia tra competenza scientifica ed esperti professionisti da una parte e la gente comune di una valle alpina dall’altra. La partita era persa fin dall’inizio.
Rifiutare la memoria del Vajont significò cancellare quella tragedia dalla narrazione storica dominante, ma anche addomesticarla. Mentre l’invisibilizzazione cancella ogni traccia di che cosa / chi è stato scartato, l’addomesticamento della memoria è forse una strategia piú sofisticata per continuare a riprodurre wasting relationships. Nei casi come quello del Vajont, addomesticare la memoria significa organizzare una certa versione della storia che non rivela le ingiustizie né lascia spazio alla rabbia sociale: piangere la perdita di vite umane può essere accettabile, ma lo si deve fare senza alcuna implicazione politica. Perciò il disastro del Vajont fu rappresentato semplicemente come uno sfortunato incidente, e il suo ricordo avrebbe dovuto portare pace e coesione, non rabbia e conflitto. Ricordando la propria esperienza, Carolina, sopravvissuta alla tragedia, ha spiegato questo processo di addomesticamento della memoria: Le istituzioni hanno fatto e fanno di tutto per dividere i buoni dai cattivi superstiti. I buoni sono quelli che raccontano del dolore, quelli che commuovono chi li ascolta, ma poi sanno fermarsi lí, sanno stare zitti e lasciare alle istituzioni il compito di raccontare i fatti e rendere cosí la memoria innocua in modo che non disturbi i poteri economici che ancora mettono al primo posto il profitto rispetto alla vita umana. I cattivi sono quelli che cercano giustizia e che lottano affinché i loro morti siano un monito ai vivi per non dimenticare mai di cosa sia capace l’uomo in difesa del profitto. I cattivi sono quelli che puntano il dito contro il sistema che privilegia i soldi alla vita umana (Vastano 2017). La giornalista Lucia Vastano (2008) ha raccontato la storia del cimitero delle vittime del Vajont in un modo che mi pare confermi meravigliosamente la mia idea dell’addomesticamento della memoria quale wasting relation istituita con mezzi diversi. Nel 2003, l’amministrazione comunale di Longarone decise di trasformare il vecchio cimitero di Fortogna, dove erano sepolte le vittime, in un monumento ufficiale alla memoria. Il vecchio cimitero venne raso al suolo, cancellando ancora una volta i ricordi e i simboli riuniti lí dai sopravvissuti, compresa la lapide della famiglia Paiola (sette morti, di cui tre bambini) sulla quale era inciso: Barbaramente e vilmente trucidati per leggerezza e cupidigia umana attendono invano giustizia per l’infame colpa. Eccidio premeditato (Vastano 2008, p. 157). Nel nuovo cimitero, il ricordo delle vittime fu organizzato in geometrici blocchi di marmo con la sola incisione dei nomi dei defunti: il lutto deve essere addomesticato, la logica del Wasteocene non può essere messa in questione. Se un episodio tragico rende lo scarto di vite umane troppo evidente per poter essere nascosto, va visto come un incidente e non come l’epifania del Wasteocene, la prova del fatto che il sistema si fonda sullo scarto di umani e non-umani, delle loro vite, del loro sapere e anche delle loro storie. “
Marco Armiero, L’era degli scarti. Cronache dal Wasteocene, la discarica globale, traduzione di Maria Lorenza Chiesara, Einaudi (collana Passaggi), 2021. [Libro elettronico] [Edizione originale: Wasteocene. Stories from the global dump, Cambridge University Press, 2021]
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