Tumgik
Chapters: 1/1 Fandom: 방탄소년단 | Bangtan Boys | BTS Rating: General Audiences Warnings: No Archive Warnings Apply Relationships: Jeon Jungkook/Reader, Jeon Jungkook/Original Female Character(s) Characters: Jeon Jungkook, Original Female Character(s) Additional Tags: Starbucks, South Africa, Fluff and Smut Summary:
You and your boyfriend Jungkook are studying at Starbucks until he gets too bored and decides to change plans, still showing you that he's an excellent student tho.
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Da Starbucks con JK
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Sei nella stessa posizione da ore: gli occhi bruciano ogni volta che passi al rigo successivo, senti che il tuo collo potrebbe spezzarsi in due e cadere sul libro da un momento all’altro e le dita, seppur macchiate di ogni genere di inchiostro possibile, palesano un doloroso rossore. Non sai bene da quanto tempo te la stia prendendo con l’elastico per capelli, come se questo fosse la diretta causa del tuo stress, ma era l’unica opzione che non desse troppo fastidio al tuo compagno di studio o a chiunque altro non fosse in quella caffetteria con voi. E poi non ci tieni proprio a ricevere un’altra occhiataccia dal tipo di mezz’età tutto incravattato per bene; hai letto nel suo sguardo la voglia di infilarti la penna a scatto nella gola abbastanza chiaramente da non voler constatare se sia davvero in grado di mettere tale desiderio in atto.
Sei concentrata e nulla potrebbe distrarti dal tema che stai preparando per la classe di domani: né lo sguardo truce di un impiegato, né la porta cigolante del bagno che si apre e nè tantomeno la mosca che trova nel tuo braccio un ottimo appoggio dove riposare e riprendersi dalla giornata afosa che impazza al di fuori dello Starbucks e dalla sua benedetta aria condizionata. Ma qualcuno ci riesce. Lo stesso ‘qualcuno’ che si è alzato dal suo posto un paio di minuti fa e del quale non ti sei minimamente accorta di aver perso le tracce. Cominci a guardarti attorno e la piccola compagna alata vola via, indicandoti la via da percorrere con gli occhi per ritrovare quel idol che tanto ama andarsene in giro come se non fosse per niente conosciuto a livello mondiale. Gli avrai pur detto che il Sud Africa non è certo la Corea o l’Europa ma lui resta comunque una diamante tra un mucchio di zirconi. Perché paragonarlo ad un elefante non ti salterebbe in mente nemmeno per dar vita ad una metafora.
Ma Jungkook non riuscirebbe a passare inosservato nemmeno se lo volesse e molte volte, purtroppo, è proprio quello che succede. La sua aura sprigiona un’energia troppo forte per essere ignorata. Come ora, ad esempio. Si dirige verso il vostro tavolo reggendo entrambe le bevande con una mano ed un piattino con sfiziosi donuts iper-zuccherati con l’altra, eppure -nella banalità di quel gesto- noti il cassiere non staccargli gli occhi di dosso.
Le cannucce che regge nella bocca gli danno l’aria di un tricheco dai lunghi baffi ed è così che spieghi la curiosità dello staff ed allo stesso tempo la scomparsa delle rughe da tensione che ti si formano sulla fronte quando studi troppo.
“Si dice ‘baie dankie’, giusto?” E lo senti, il cuore, morire per due semplici paroline nella tua lingua madre che mai avresti pensato potessero farti questo effetto. Lo avrai detto trilioni di volte e sentito dire altrettante nella tua breve vita ma c’è qualcosa nel modo in cui lo pronuncia lui che lo rende speciale e gli dà un nuovo, dolce, adorabile significato. Pensare che fosse preoccupato per il modo in cui aveva risposto al dipendente dietro la cassa non rende il lavoro più facile per il tuo miocardio che con tenacia tenta di non ridursi totalmente in poltiglia.
“Baie dankie” ripeti non avvicinandoti neanche lontanamente alla sua tenerezza nel dirlo.
“Oh, l’ho detto male?”
“No, no, no! Intendevo sul serio dire ‘grazie’. A te. Per aver preso tutto questo.” Riposizioni gli occhiali da lettura sul naso, presa da un improvviso colpo di timidezza. “La tua pronuncia era impeccabile.” Come ogni qualsivoglia volta provi a fare qualcosa, da bravo Golden Maknae quale è.
“Merito della mia insegnante” replica orgoglioso spingendoti in giù gli occhiali in un gesto giocoso e che vuole andare ben oltre all’apparire un ragazzino combinaguai. “Basta studiare, su!” Traduce poi in parole concrete il messaggio subliminale. “Hai bisogno di una pausa. Mangia qualcosa.”
“Finisco soltanto questo paragra-” ma prima che tu possa continuare a sottolineare i punti salienti, ti ha già sfilato da sotto il naso l’evidenziatore per bilanciarlo sopra il suo orecchio adornato da cerchi argentati, provocatore come solo il peggior studente sarebbe. Hai smesso di minacciarlo con lo sguardo ormai da tempo; è ormai un paio di mesi che sembra esserne immune. In tutta risposta arriccia il naso per disarmarti completamente e mettere a tacere una volta per tutte ogni insorgente ribellione da parte tua. Ma, ora che ci pensi bene, hai ancora una freccia al tuo arco da scagliargli contro: carichi l’elastico tra il medio e l’indice e lo rilasci come con una fionda. La molla gli arriva sul petto e lo fa sobbalzare sulla sedia attirando come una calamita un’altra occhiataccia dell’uomo alle sue spalle che a malapena riesci a vedere per via delle spalle larghe di Jungkook.
Si strofina la maglietta nera nel punto in cui è stato colpito, massaggiandosi il pettorale come se gli avessi effettivamente fatto qualcosa. Non ci credi nemmeno per un secondo. E quella faccia sconvolta non dura più di un battito di ciglia che si trasforma ben presto in una smorfia vendicativa e diabolica. Fa eco dei tuoi gesti e carica lo stesso elastico tra le dita, puntando platealmente alla tua fronte. Non capisce quanto possa essere pericoloso: maneggiato da lui potrebbe perfino diventare pericoloso-da-pronto-soccorso. Fai perciò delle tue braccia una roccaforte e ti servi del tavolo per avere maggiore copertura, aspettando che il colpo arrivi. Perché sai quanto lui sia capace di farlo e di come non si faccia scrupoli.
Uno.
Due.
Tre.
Niente.
Arrivi fino a dieci prima di prendere coraggio per dare una sbirciatina fuori dalla barriera di muscoli che hai tirato su. Dalla breccia scorgi gli enormi occhi da cucciolo del tuo ragazzo a due centimetri dai tuoi, brillanti come una galassia di stelle calde ed eterne. Un paio di ciuffi scuri gli adornano la fronte ed il naso tocca quasi il tuo avambraccio e sebbene non riesci a vederlo, sai che si sia sporto sul tavolo per raggiungerti. Beh, che dire: sei grata che dietro di lui, a godere della vista, ci sia quel musone pinguino rompiscatole e non qualcun altro che avrebbe decisamente voluto apprezzarne meglio le rotondità.
“Non potrei mai fare del male alla mia insegnante” dice ruffiano inclinando il capo. “E poi la tua pelle è così delicata che ti resterebbe il segno fino a Natale.”
“Natale è tra due settimane” precisi con un sorrisetto che gli fai ben vedere ampliando di proposito il varco. Lo conosci abbastanza da sapere che intendesse alludere ad un periodo ben più lungo di quattordici miseri giorni per un tuo livido ben assestato.
“Aish, dimentico sempre che qui l’inverno è caldo ed il freddo arriva con l’estate!” Ruota gli occhi facendoti ridere del clima del tuo stesso Paese. “Sai cosa? Dovremmo approfittarne per fare un giro in spiaggia. É una bellissima giornata di dicembre e dovremmo passarla a bruciarci i piedi sulla sabbia e vivere nell’ansia di non scottarci sotto il sole cocente. E parlo specialmente di te.”
Ti convinci che la guerra sia finita ed esci dal tuo guscio, prendendo seriamente in considerazione quella proposta. Perfino la parte in cui torni a casa con lo stesso colore di un gambero arrostito.
“Se vai in spiaggia con quella maglia, attirerai tutta la luce del cosmo e ti verrà un’insolazione da paura.” Constati indicando il nero indumento del ragazzo, drammatizzando un tantino il tutto.
Sei genuinamente preoccupata per lui: devi riconsegnarlo alla HYBE sano e salvo. Non vuoi che ti vietino di averlo tutto per te, lì, in futuro. Non ci tieni proprio. Per questo sei sempre così severa con le lezioni d’inglese e super paranoica anche quando lui sembra non crearsi minimamente di questi tossici pensieri. Questo è un test da parte della compagnia per valutare se sia saggio fidarsi di voi e dell'anonimato che il suo nome pare ancora avere nel tuo Paese e nulla avrebbe mandato a monte i tuoi sforzi.
“Vorrà dire che me la toglierò, allora” rimbecca facendo spallucce, annientando la malizia con una falsa aria innocente. E tu in tutta risposta ti senti avvampare ma non è una battaglia che puoi lasciargli vincere.
Raccatti le tue cose dal tavolo e ficchi tutto dentro lo zaino che ti accingi a chiudere.
“Non ti stai dimenticando qualcosa?” E come se fosse anche diventato un mago professionista da tre secondi a quella parte, estrae l’evidenziatore giallo dal tuo orecchio. Non sai come abbia fatto a teletrasportarlo dal suo fino al tuo ma molti dei suoi gesti e comportamenti restano per te un mistero. E va benissimo così; alimentano l’ammirazione ed l’attrazione che provi nei suoi confronti.
Lo fa cadere all’interno e ti lascia serrare la zip, impegnandosi al meglio per ripulire anche la sua area e lasciare la superficie del tavolo pulita ed ordinata. Caricate così entrambi gli zaini sulle spalle, recuperate il cibo e le bevande con le mani libere e vi avviate verso l’esterno, lasciandovi dietro l’atipica struttura in legno chiaro che lo Starbucks di Camps Bay vi offre.
Attraversate con attenzione (tu per lo più) la strada e giungete ben presto sotto l’ombra delle palme di Camps Bay Beach, prendendo con piacere un grande respiro di aria calda e salata dopo aver nauseato il vostro olfatto con aroma di caffè e panna montata per tutta la mattina.
Passeggiate per non più di una decina di metri quando lui esordisce con un ‘Non mi piace così’ seguito da un broncio capriccioso.
Non capisci a cosa si riferisca ma ti fermi per dargli un’occhiata: magari ha davvero troppo caldo e, carico di libri sulle spalle com’è, non pensa sia la condizione l’ideale per una passeggiata di piacere. E concorderesti con lui se non fossi a conoscenza dei suoi disumani allenamenti tra prove e notti in palestra. Perciò dev’essere qualcos’altro.
Aspetti seguendo i suoi gesti con curiosità ed anche una punta di sospetto: non si può mai stare sicuri con con il signorino Jeon. L’improvvisato ingegnere approfitta della breve sosta per posare il donut sulla copertura bombata del suo americano in ghiaccio ed assicurandolo attorno alla cannuccia verde. Ti invita a fare lo stesso con lo sguardo, aiutandoti come può a sorreggere il tutto, dopodiché ti afferra la mano, un sorriso sornione stampato in faccia.
“Molto meglio” gongola compiaciuto del suo colpo di genio stringendola ancora di più e riprendendo a camminare. Quando tira su un sorso dalla cannuccia gli si appiattiscono le guance, risaltando le labbra, ed a questo punto non sei più sicura se sia più adorabile o solo sexy.
“Come dovrei fare adesso a mangiarlo, scusa?” Domandi scettica studiando la struttura zuccherina che ha ideato per voi.
“Mordi tutto intorno senza toccare il centro. Lasci quel pezzo per ultimo ed il gioco è fatto” dice da stratega. “Guarda, così!” Ti fa vedere addentando il donut e lasciando intatto il buco nel mezzo, proprio come aveva indicato qualche secondo prima. La punta del naso si ricopre della lucida patina di glassa ma non sembra curarsene e continua a masticare vistosamente, enfatizzandone la bontà. Se il suo scopo è quello di farti venire l’acquolina in bocca, bravo, ci sta riuscendo a perfezione.
Muovi la mano intrecciata alla sua per liberargli la faccia dall’appiccicume dello zucchero ma lui non ha alcuna intenzione di mollare la presa: resta aggrappato al tuo palmo aperto con le dita, permettendoti comunque, benomale, di rimediare almeno un pochino al dolce disastro che ha sul viso.
“Non te ne frega proprio niente di essere in pubblico, non è così?” Incalzi sforzandoti di non ridere e perdere credibilità. Ami il fatto che lì si senta al sicuro e così a suo agio da non preoccuparsi di probabili occhi indiscreti attorno a lui ma il tuo lato protettivo ti frena dal condividere apertamente questa sensazione.
“Non quando sono con te.”
“Non quando non siamo in Corea” lo correggi con una punta di amarezza che legge tra le tue parole come un libro aperto. “O in qualsiasi altro luogo in cui non vieni assalito ancor prima di mettere il tuo appiccicaticcio naso da donut fuori dalla porta di casa.”
“Saam met jou is my gunsteling plek om te wees” ti ammutolisce con l’esecuzione perfetta di una frase di senso compiuto nella tua lingua madre la quale, da quanto ne sai, non ha nemmeno cominciato a studiare. Ma, da straordinario studente quale è, non si ferma certo lì. “Ek is baie meer myself wanneer ek by jou is” prosegue quindi, barcollando tra le ultime parole, affidandosi alla sua memoria che di fatto non lo tradisce.
Tutto in te si ferma: dal respiro alla mano al lato del suo viso, dal processare quanto tu stia ascoltando all'assorbire il pieno significato di quanto ti stia confessando. 
Sbatti le palpebre e speri che questa sia una reazione sufficiente a fargli capire che sei viva a malapena. E vorresti con tutto il cuore che fosse sufficiente a fermarlo ma non lo è perché ciò che arriva dopo è ancora peggio e ti colpisce in pieno come un treno. E tu, povera illusa, che credevi che darti del suo posto preferito fosse il massimo che la cima del monte e che più in su non si potesse giungere.
“As ek weet wat liefde is, is dit as gevolg van jou.”
Se so cosa sia l’amore, è grazie a te.
E non appena coglie lo scintillio nei tuoi occhi, ti avvolge tempestivo tra le braccia, conoscendo la tua sensibilità come le sue tasche. Pensa tu sia così tenera quando ti emozioni che considera proteggere quella sensibilità con la propria pelle come un suo dovere e privilegio. La sicurezza che ti dà ha il sapore di labbra al kimchi, suona come dei ritornelli canticchiati al buio, ha il tepore dei biscotti al cioccolato di mezzanotte e l’odore di ammorbidente Downy.  E non riesci ad immaginarti una vita diversa da quella che hai da quando sei con lui. Il che non fa altro che farti piangere più forte.
“Scusami, credevo che l’effetto sorpresa ti avrebbe aiutata a non piangere!” Si giustifica isolando la sensazione di congelamento che avverte all’altezza dello stomaco causata dal frappuccino che gli stai involontariamente premendo addosso. Ti accarezza la testa con l’unica mano libera che ha a disposizione e ciò ti aiuta a riprendere fiato tra un singhiozzo e l’altro. Non sai cosa ti sia scattato dentro ma non sei riuscita ad evitarlo… nè tantomeno a rispondergli. Ma come si risponde ad una dichiarazione d’amore del genere? Cosa potresti mai dirgli che possa esprimere al meglio ciò che pensi?
“Avrei preparato un’altra frase ma a questo punto credo sia meglio conservarla per un’altra occasione” ironizza quel cretino del tuo ragazzo lanciandoti una fune per soccorrerti dalle sabbie mobili del pianto nelle quali sei affondata a piedi uniti. Ed aiuta. Ringrazi mentalmente la sua maglietta nera -che tanto hai criticato prima- per essersi resa utile ed aver asciugato un minimo le guance prima di tornare a volto scoperto.
“Mi hai fatto sporcare tutti gli occhiali” piagnucoli raggiungendo gli occhi al di sotto delle lenti per strofinarli. Qualsiasi cosa tu dica risulterà stupida: tanto vale giocarsi la carta dal vittimismo.
“Non volevo?” Si scusa ancora, ridendo della tua faccia rossa che, purtroppo per te, ha visto molte volte da quando state insieme. Privilegi da fidanzato.
“Oh, ma sei- sei in guai molto più grossi di- questi” dici a riprese gettando uno sguardo ai vostri bicchieri di plastica che a questo punto non racchiudono più un singolo cubetto di ghiaccio.
“Non pensavo che provare ad essere romantico mi portasse ad aver bisogno di un avvocato” scherza prima di fare un altro sorso all’americano non più ghiacciato.
“Avere una relazione amorosa con la tua insegnante potrebbe” rimbecchi.
“Non stavamo solo flirtando innocentemente?”
“Mi hai appena detto che mi ami e che ti senti più te stesso quando sei con me. Credo che questo vada un tantino oltre il semplice corteggiarmi.”
Jungkook resta ora in silenzio e storce le labbra in un’espressione pensierosa, cercando una risposta tagliente nell’aria attorno a lui.
“Se provi ad uscirtene di nuovo con qualcosa in afrikaans, giuro che ti lascio qui e torno a casa.” Piangendo. Ma questo era meglio non aggiungerlo.
“Non che io creda tu sia davvero capace di piantarmi in asso qui da solo ma… perché invece non mi dici tu qualcosa in afrikaans, mh?”
“Io?”
“Sì. È la tua lingua madre, ricordi?” E stavolta un’occhiata truce non gliela toglie nessuno.
Vorresti pensarci bene, dire qualcosa che non sia troppo scontato ma che rifletta bene cosa vorresti sapesse, una verità che magari hai fatto fatica a comunicargli apertamente fino ad ora ma che per te è sempre stata come una certezza alla base del vostro rapporto.
Passano un paio di secondi prima che tu prenda una decisione. I suoi occhi sono ancora incollati sulle tue labbra e ti piace leggerci dell’impazienza.
Dilati l’attesa prendendo il tuo (primo? Sul serio??) sorso di frappuccino e gustandoti ogni singolo granello di zucchero al suo interno prima di aprire bocca.
“As ek my lewe weer kan lewe, wil ek jou gouer vind.”
“E cosa vuol dire?”
“È la materia principale del tuo prossimo esame, faresti meglio a studiare” lo provochi prima di alzarti sulle punte per lasciargli un bacio sulle sottili e fresche labbra. E la fatica che fai per potertici allontanare è immane. Ma ci riesci, aiutata forse dal tuo senso di dignità appena rientrato da una vacanza oltreoceano.
“E tu a scappare” avverte Jungkook prima di scattare e costringerti ad affidarti allo spirito di sopravvivenza e cominciare a correre come una forsennata sulla spiaggia.
Lo zaino ti rimbalza da pazzi dietro la schiena e senti le scarpe affondare nella sabbia ad ogni passo. Proteggi il bottino di zucchero tra entrambe le mani ma questo non basta a prevenire che qualche goccia fuoriesca dal piccolo foro in alto. Ma non ti importa, continui a correre ed a ridere, cullata dalla certezza che Jungkook continuerà a guardarti le spalle e ad impegnarsi al massimo per raggiungerti come se stare con te fosse il più importante dei suoi traguardi.
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In sala di registrazione.
Tu e Yoongi lavorate insieme nell’industria della musica da anni ormai. Hai ottenuto il tuo posto nella compagnia a qualche mese dal debutto dei Bangtan e, non occorre mentire a riguardo, all’inizio non eravate certo in ottimi rapporti, specialmente se si considera il fatto che ricoprivi il ruolo di produttrice come avrebbe voluto fare lui sin dall’inizio. Questo per anni ti ha fatto credere che dietro al suo tono freddo si celasse qualche sorta d’invidia o astio nei tuoi confronti ma, ora che lo conosci meglio, ti dai della stupida per aver anche solo pensato potesse essere quel tipo di persona. Così come ti dai della stupida per esserti presa una cotta per lui. Hai provato a dare la colpa a qualsiasi cosa: alla ridicola legge degli opposti, alla sua ammirevole professionalità, al timbro suadente, al fascino da cattivo ragazzo, allo stress accumulato per via delle scadenze troppo a ridosso del tuo compleanno, al meteo, agli ormoni, alla solitudine, al calcolo delle probabilità, a tutto. Eppure niente ti ha dissuasa dal guardarlo, al di là del vetro in sala registrazione, con occhi brillanti ma dalla smorfia assente. “Che dici, la abbassiamo di mezzo tono?” ti domanda in cuffia spezzando questa pessima abitudine che da mesi ti fa distrarre durante l’orario di lavoro. “Fammela ascoltare un’altra volta” rispondi premendo il tasto della console per far arrivare la tua voce alle sue orecchie. Speri di essere apparsa ai suoi occhi come una perfezionista. Non hai lavorato sodo, forse il triplo degli altri colleghi uomini, per apparire come la ragazzina poco professionale con la testa tra le nuvole. “Due” ti suggerisce coinciso riferendosi al numero di battute che si aspetta tu mandi indietro. “Concedimene almeno cinque, andiamo!” Ti lamenti in tono ironico, interpretando la rotazione dei suoi occhi al cielo come un sì. Mandi l’audio, Suga reinterpreta quelle cinque battute nello stesso tono ed alza la testa verso il vetro, una faccia inquisitoria che esclama ‘allora?’ “Se la abbassi di un altro mezzo tono, rischi di perdere troppo fiato prima della quarta. Joon e Hobi possono chiuderla per te ma non credo sia la scelta migliore per il pezzo, perderesti armonia. Dopotutto non è un cypher, non hai bisogno di quel tipo di flow” torni in te esprimendo ad alta voce il pensiero logico che ti passa per la mente. “Posso chiuderla.” “No, non puoi” lo contraddici schietta concedendo la tua attenzione visiva ai comandi in console. “Il tempo che hai non è sufficiente per prendere un respiro da 160 sillabe in 15 secondi.” La sua espressione sembra offesa -lo saresti anche tu se qualcuno ti dicesse che non puoi fare qualcosa- ma non lo ritieni il momento più opportuno per provare a scendere a patti. Vuoi che il pezzo sul quale apparirà il tuo nome nei crediti sia degno di essere collegato al tuo lavoro. “Proviamo così: marco il beat-” “Il beat è già costante.” Sembra che lo faccia per darti fastidio, non perché creda sia una cattiva idea. Il che riesce a farti alterare abbastanza da farti sollevare il sopracciglio. “Aggiungo delle note nella linea della Kick nella 1, 5, e 9″ continui imperterrita. Lo stai avvisando di quello che accadrà, non stai chiedendo il permesso. Se vuole fare lo scontroso, troverà pane per i suoi denti nella tua tenacia. “Dimmi come la senti e fai una prova.″ “Lasciami in tempo a 120 bpm. E aggiungi anche nella 13.” Il demo parte, Suga chiude gli occhi e comincia a rappare nel nuovo pattern musicale; lo vedi dare il meglio di sé, come sempre, e ora che il tuo lato professionale è soddisfatto, quello personale ritorna a galla per farti apprezzare anche il lato umano dell’artista. Qualche ora dopo avete concluso le registrazioni. Yoongi esce dalla cabina stringendo gli occhiali da vista in una mano e strofinandosi gli occhi con l’altra. Sono le dieci di sera, niente di troppo folle; avete decisamente avuto notti più lunghe. Prende posto nulla sedia girevole accanto alla tua, dà un’occhiata rapida ai file che hai copiato ed etichettato per lui sul suo laptop e chiude lo schermo.  “Hai fatto un buon lavoro oggi.” Una delle tante preconfezionate frasi coreane che includono nel pacchetto un senso di gratitudine non verbalmente espresso. Non te lo fai bastare. Vuoi la vendetta. “Ti ho fatto il culo a strisce, Min Yoongi” provochi con un sorrisetto. “Che linguaggio colorito per una signorina” ti prende in giro premendo sul pulsante dell’ironia. Mille volte avete parlato di quanto le etichette, specialmente in quella parte del mondo, siano assurde. Tante volte ti hanno fatta sentire come inadeguata solo perché dicevi parolacce quando eri arrabbiata o per esserti presentata in tuta da ginnastica a lavoro piuttosto che con una gonna o un vestito. Bisogna normalizzare la neutralità di genere, hai sempre affermato. Ed in lui hai trovato un alleato ogni santissima volta. Dio solo sa in quante occasioni abbiate preso in giro il sistema con battute del tipo ‘Ma guarda, oggi sei più truccato di me, che sono una ragazza! Quale scandalo per il Paese!’. Ridi del vostro comune senso dell’umorismo, il cuore indeciso se sciogliersi per il suo lieve sorrisetto o meno, e ruoti la tua sedia verso di lui, squadrandolo per davvero da cima a fondo. “Come mai così eleganti?” Ti viene spontaneo chiedere. “Devi andare ad un appuntamento, per caso?” Il fatto che tu dica queste parole con sarcasmo rivela una grande, gigantesca crepa nel colossale muro della carriera da idol. “Il tuo dentista ne sarà onorato!” “Perché, sarebbe un problema per te?” ti stuzzica riportando gli occhiali sul naso e completando l’outfit da professore. È ricoperto di nero dalla testa ai piedi, il lungo cappotto scuro disegna eleganti curve sulle spalle, il turtleneck morbido risalta in contrasto la linea spigolosa della mandibola, le lenti incorniciano un taglio degli occhi perennemente stanco ma al momento soffice, nonostante le parole pungenti. Non rispondi subito. La cosa ti crea dei problemi. “La compagnia lo sa?” “Sa che non mi importa, certo.” “Non è quello che intendevo ma immagino risponda comunque alla mia domanda.” “Non risponde alla mia, però” ribatte mettendo fine al vostro pingpong di battute.  “Fammi indovinare: ‘Perché dovrebbe’, giusto?” intona imitando la tua cadenza di città. La sicurezza che hai sfoderato durante la registrazione va a farsi benedire. Ti dai una spinta per ruotare la sedia girevole verso la scrivania e torni a fissare lo schermo del tuo laptop, improvvisando spostamenti di cartelle inutili. Lui resta una manciata di secondi a fissarti e poi si alza dal posto in un sospiro intenzionalmente rumoroso. “Tua madre non ti ha mai detto che passare tante ore davanti allo schermo fa male agli occhi?” “Senti un po’ da chi viene la predica” borbotti continuando ad occupare tempo e mente con mansioni fantasma. Mancano meno di una ventina di secondi prima che il file venga trasferito con successo sul drive ma il braccio di Yoongi spunta da dietro le tue spalle e chiude anche il tuo di laptop, guardandoti dall’alto con inespressività. “Prego” sillaba non appena incontra i tuoi occhi spalancati dalla sorpresa.  “Devo finire” si esprime non verbalmente il tuo corpo mandando la mano sul pc per aprirlo nuovamente e riprendere il lavoro. Il tuo orgoglio ferito vuole imporsi ma fallisce; a mezz’aria la tua intenzione viene fermata dalla mano di Yoongi che ti afferra per il polso e costringe la sedia a ruotare su se stessa fino a fermarsi una volta di fronte a lui. China il capo per raggiungere il tuo viso e non ti lascia scampo. Le vostre labbra si scontrano in un amaro impatto che fa del tuo labbro inferiore suo prigioniero; una dolce resa, la tua. Il polso soffre la stretta ma spera di non ritrovare mai più la libertà. La sua bocca è avvolta dalle fiamme dell’Inferno tra le quali la tua lingua si diverte a contorcersi in estasi, nutrendosi del sapore di caffè americano che incontra sulle papille gustative. Il fuoco divampa fino a raggiungere i tuoi organi interni; il cuore arde ed i polmoni si colorano di un nero carbone. Brucia, scotta, fa quasi male. Il poggiatesta ti impedisce di tirare indietro la testa per prendere fiato perciò l’unica opzione che ti resta è quella di muovere la mano verso il suo viso per scostarlo ma la sua presa te lo vieta diabolicamente. Ti sta impedendo di respirare di proposito. Prima che possa subentrare il panico però, il ragazzo si allontana di scatto. Ti osserva mentre inspiri come se fosse una questione di vita o di morte e ti sorride malefico. “Te l’avevo detto che un respiro da 160 sillabe non era un problema per me” commenta istigatore sciogliendo la presa sul braccio. “Ma ne riparliamo domani” chiude quella parentesi tornando con la schiena dritta e dirigendosi verso la porta. Recupera la tua giacca dall’appendiabiti e te la lancia con nochalance. “Andiamo a bere qualcosa” ti dice non facendola sembrare una proposta. “Abbiamo lavorato sodo, ce lo meritiamo.“ Non capisci cosa sia successo, la mancanza di ossigeno ha reso lenta la capacità di processare il tutto. I riflessi però rispondono al posto tuo, afferrando il copri abito e facendoti alzare in piedi per seguirlo.  Dopotutto la notte è giovane. 
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Chapters: 1/1 Fandom: 방탄소년단 | Bangtan Boys | BTS Rating: General Audiences Warnings: No Archive Warnings Apply Relationships: Bangtan Boys | BTS Ensemble & Original Female Character(s) Characters: Bangtan Boys | BTS Member(s)'s Significant Other, Original Bangtan Boys | BTS Child(ren), Kim Seokjin | Jin, Min Yoongi | Suga, Jung Hoseok | J-Hope, Kim Namjoon | RM, Park Jimin (BTS), Kim Taehyung | V, Jeon Jungkook Additional Tags: Domestic Fluff, Christmas Fluff, I Made Myself Cry, Family Reunions, Future Fic Summary:
It's Christmas Eve and BTS are celebrating the holidays together at Jimin's house.
That's all I can tell you without giving away too many spoilers. Enjoy the emotional ride ~ And grab your tissue maybe?? All this happiness could potentially make you cry. Jusayin'.
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Vigilia di Natale in famiglia
È la Vigilia di Natale. 
Fuori, con -5°C a desolare le strade, la neve stende un velo bianco anche sul giardino della famiglia Park, la quale ha gentilmente ospitato tutti i colleghi ed amici dell’uomo di casa per una cena a base di buon cibo ed animata compagnia. Seduti attorno al tavolo della sala da pranzo addobbata a festa, tutti gli invitati sono reclini sulle sedie chiedendo perdono al proprio apparato digerente. “Era davvero tutto buonissimo” commenta ancora sognante Jungkook sbirciando immediatamente sotto la maglia, probabilmente per assicurarsi che i suoi addominali siano ancora lì. A tutti scappa una risata a quel gesto tipico del ragazzo; le vecchie abitudini sono dure a morire.  “La mia bella mogliettina ha le mani d'oro, non trovi?” rimarca il biondo allungando il braccio alla sua destra per cingere le spalle alla sua dolce metà, arrossita per via dei complimenti ricevuti.  “Ma guardatelo come si pavoneggia!” esclama Namjoon scuotendo il capo con finto disappunto nel vedere Jimin baciarle la guancia. “È sempre così sdolcinato o lo fa solo perché ci siamo noi?” “Diciamo che è particolarmente ruffiano da sei mesi a questa parte” gli dà corda la cuoca in questione accarezzandosi il pancione con dolcezza. “Ma non ho preparato tutto da sola. Ti ringrazio ancora per il tuo aiuto, Yoongi” aggiunge con sincera gratitudine la Signora Park, ignara di scatenare con quelle sue parole sgomento in Taehyung. “Credevo ti avesse aiutato Jin-hyung!” commenta non smettendo di molleggiare le gambe per intrattenere la principessa di casa Kim; aveva soltanto un anno ma prometteva già di superare il suo World Wide Handsome padre in quanto a bellezza con quelle labbrucce rosa e le lunghe ciglia nere. “Papà Jin è proprio un pigrone, non è vero?” dice in tono infantile attirando l'attenzione della piccola che cerca di afferrargli il naso. “Pigrone! Pi-gro-ne!” sillaba distintamente l'ultima parola più e più volte sperando di poter sentire lo stesso dalla pargola. “Ya! Togli immediatamente le mani di dosso a mia figlia, disgraziato! Sei una cattiva influenza!” Lo minaccia gesticolando, pronto a fulminare con lo sguardo chiunque attorno a quella tavola avesse osato definirlo ‘cialtrone’. Peccato che fosse adorabile ogni qualvolta provasse a sembrare intimidatorio.  “Lascialo stare, Tae. O ti manderà contro la piccola armata che sta mettendo su” prende parola Hoseok aprendosi in uno dei suoi splendenti sorrisi. “Siamo a quota tre in cinque anni: hai intenzione di addestrarli ed assumerli come tua scorta?” tenta di smascherarlo il diabolico maknae, approfittandone della fervida immaginazione per creare nella sua testa una piccola cricca di agenti con tanto di tutina nera. “O magari vuole raggiungere quota sette e formare il prossimo gruppo di idol!” “Solo se comincia a partorirli lui!” Li interrompe la madre della fantomatica task-force con in viso una smorfia eloquente, tornando a far ridere tutti quanti prima di rispondere al broncio di Jin con un bacio volante degno di suo marito.  “Ironico come questa predica venga fatta proprio da voi” li richiama con un ghigno Yoongi sorseggiando del vino rosso e spostando lo sguardo in salotto, là dove i bambini pensano a giocare tutti insieme con le decorazioni dell'albero. Si sente più tranquillo nell'averli sott'occhio, specialmente conoscendo il temperamento delle sue due piccole mostriciattole. E non è che non si fidi della ‘marmocchia N°1’ del suo hyung; sta facendo un lavoro sublime nel gestirli tutti, fino ad ora. E per avere solo sei anni. Ciò non toglie che quattro occhi siano meglio di due, però. “Questo è molto ingiusto da parte tua, hyung” mugola corrucciato V. “Se avessi un figlio tutto mio, chi baderebbe ai vostri, uhm?” ammonisce da bravo zio, certamente il preferito da tutti i nipotini lì presenti. Non per niente è sempre il primo ad essere chiamato per dare una mano con il babysitting; il suo animo da eterno bambino gli ha sempre dato una marcia in più nell'andare d'amore e d'accordo con i più piccoli. “E poi si dà il caso che non tutti siano stati così fortunati da trovare l'anima gemella al primo colpo!” “E lo dici a me?” Fa brillante uso della sua auto-ironia il maestro della Tongue Technology, sollevando il calice in aria per brindare alla carte del suo civile divorzio. “Va bene, lasciamo stare anche la coppietta che è appena andata a convivere ed è quindi in prova” concede clemenza al più giovane del gruppo ed alla sua ragazza, i quali si scambiano un celebrativo batti cinque sotto al tavolo per gioire della grazia appena ricevuta. “Tu che cos'hai da dire in tua discolpa?” si rivolge ora ad al compagno di Hwagae Market, J-Hope. Le orecchie del ragazzo si colorano di rosso in una frazione di secondo. Non è in imbarazzo ma bensì quella è la sua reazione standard quando si parlava della sua fidanzata; sarà anche un ragazzo passionale ma in fondo è sempre stato un gran romanticone. “Noi… beh, ci stiamo provando” annuncia timidamente come se stesse confessando la sua cotta alla compagna di banco delle elementari. La combriccola si illumina con mugolii ed espressioni intenerite. “A proposito, come sta la tua Pequeñita?” lo stuzzica furbo Jungkook cercando di emulare la stessa pronuncia che aveva sentito da lui in numerose videochiamate durante i tour.  “Sta bene ma è un po’ stressata. Tre giorni fa è andata in Messico per poter passare del tempo con i suoi nonni ma questa mattina le hanno cancellato il volo di ritorno per via di un guasto al motore dell'aereo. È stato rimandato a stasera, dovrebbe imbarcarsi a breve perciò… con permesso.” E così dicendo si alza cordialmente dal posto estraendo il cellulare dalla tasca per dirigersi verso una delle numerose stanze da letto in cerca di quiete e privacy. “Quando torno parliamo del matrimonio!” Fa rapidamente capolino dalla porta puntando l’indice verso Namjoon, il quale smette di spiare dalla porta-vetro del salotto il suo unico, viziato, figlio di due anni che impacciato scambia tenere effusioni d'affetto con la piccola coetanea di casa Min. “Giugno è già preso, l'abbiamo prenotato per primi!” E scompare definitivamente lasciandosi dietro quella velata minaccia. “Matrimonio?” Esordisce confuso Jin a nome di tutti i presenti. “Di nuovo?” Lo spalleggia Jimin cercando di riportare alla mente il suo outfit durante la cerimonia civile avvenuta una manciata di anni prima. “Stavamo pensando al rito religio-”  “HEY, TU! ” Lo interrompe Yoongi rimproverando il piccolo erede del Dio Distruttore. “Vedi di comportarti da gentiluomo e datti una calmata. Hai solo due anni e già te ne vai in giro a dare baci sulle guance? A dieci che farai, le inviterai da te per un drink?”  “E tu invece che farai? Minaccerai tutti i pretendenti delle tue figlie come fai con il mio?” “Aaah, lascia perdere, hon’.” Placa l’animo altrettanto protettivo della sua quasi-due-volte-moglie posando teneramente una mano sulla sua gamba. “Sta solo facendo il papà iperprotettivo. Non è adorabile?” Prende in giro il convivente di vecchia data: hanno passato così tanto tempo insieme che avere ognuno la propria vita con i propri spazi risulta ancora tremendamente difficile. “Scusate se interrompo quest'imperdibile scenetta tra futuri consuoceri” incalza Jungkook, improvvisamente incapace di stare fermo sulla sedia, quasi come scottasse. “Quindi a giugno Hobi si sposa?” ne approfitta della sua assenza per ometterne l'onorifico. Prima ancora che qualcuno potesse chiedere spiegazioni riguardo la sua palese ansia, Jimin si lascia scappare un ‘oooh’ che preannuncia a tutti la sua “illuminazione” sul tema. “Questa estate voi due sarete in viaggio, giusto?” Domanda retorico indicando la coppietta felice. In sottofondo Suga mormora tra sè e sè, probabilmente qualcosa di simile ad un ‘il piccolo maknae è davvero diventato un uomo’; battuta degna di ogni ottantenne che si rispetti. “Andremo in Sud Africa a visitare i miei genitori” mette al corrente il resto della combriccola la ragazza, superando la sua timidezza. “Ed a coccolare i cuccioli di leone!” Canticchia JK felice come un bambino. “Come non detto” torna a commentare Yoongi finendo il suo vino. Da lì in poi una chiacchiera leggera porta il gruppo a ridacchiare e, perchè no, anche ad organizzare un fantomatico viaggio da intraprendere tutti assieme, più piccoli compresi. Jin non si lascia sfuggire l’occasione di rievocare i tempi in cui nessuno credeva che i delfini tornassero a galla per respirare, Jimin promette di fare del suo meglio per non essere in ritardo o perdere asciugamani in giro per l’oceano ed Hobi -di ritorno dalla sua chiamata- minaccia di pestare chiunque decida di abbandonarlo in autogrill. “Che ne dite di spostarci di là per aprire i regali?” svia dal canale dei ricordi V. “L’ultimo che arriva è un pigrone!” E come un fulmine si lancia verso il salotto, proteggendo e stabilizzando la testa della bambina con la mano. Il rumore delle sedie viene coperto dalle urla di protesta di Jin e dalla fragorosa risata di sua figlia che saldamente sobbalza ad ogni passo del giovane.
Jungkook è seduto sulla poltrona, in mano una tazza di caffè che spera possa aiutarlo ad affrontare il viaggio di ritorno con più energie, mandando k.o la lunga digestione che lo aspettava in agguato dietro l’angolo. Da quella posizione gode della vista migliore. Jin indossa uno striminzito grembiule bianco dalle rifiniture rosa e dà direttive esecutive alla sua miniatura di 4 anni, il quale promette di portare avanti con onore il tratto dalle spalle larghe e la voce acuta. Accanto a lui, la più grande si cala nella parte della manager pretenziosa, affiancata dallo zio e ‘co-proprietario’ Taehyung e dall’ultima principessa di casa Kim. O almeno per il momento. E seduta dietro un tavolo immaginario, la donna più paziente e sagace che il goffo hyung avesse mai potuto desiderare, finge di aspettare il suo ordine sorseggiando tè da una tazzina incorporea. Il gigante buono, proprio come ci si sarebbe aspettato da un intellettuale come lui, sfoglia un libro seduto sul pavimento, le gambe a fare da recinto al fagotto dal viso tondo e le fossette marcate. È immerso nella lettura ed il naturale tono basso della voce sembra avere un effetto soporifero sul suo ascoltatore preferito. Stremato forse anche dall’ora tarda, quest'ultimo sbatte lentamente le palpebre mentre osserva la sua mamma legargli un fiocchetto verde alla paffuta caviglia e poi si arrende, abbandonandosi ad un profondo sonno. E per fortuna non sembra esserci traccia del ‘ rumoroso gene’ del padre. Incapace di vivere in un mondo senza musica, Suga compone con la sua bionda protetta una semplice melodia alla tastiera giocattolo che hanno appena tirato fuori dalla scatola. Nessun tratto somatico li accomuna; la forma del naso, il taglio degli occhi, il colore dei capelli o della pelle. Ma il legame è lampante, naturale, oltre qualunque immaginazione o documento di adozione. Yoongi guida le grassottelle ditina sui tasti giusti, sorridendo del suo entusiasmo musicale. Poi comincia a dondolare le gambe a tempo e lei sembra gradire da morire il suo nuovo gioco con cui avrebbe presto mandato in tilt i delicati timpani canini di Holly. A competere in quanto a rumore ed effetti sonori, J-Hope si diletta nell’interpretare lo scagnozzo cattivo, recitando animatamente di rimanere ferito dalla sfavillante, argentata lama in plastica che ha appena sfiorato il suo fianco. E mentre la piratessa di casa Min chiede al padre ‘se può trafiggere lo zio Hobi’, una sentita protesta evade dalle labbra imbronciate della pianista, pregando la sorella di risparmiargli la vita. Inginocchiato appena sotto l’abete acceso di luci bianche, il principe -ora Re- di Busan ridacchia malefico delle malefatte del suo erede al trono, di glorioso ritorno da una missione sotto copertura per sgraffignare un bicchiere dal set di EatJin. Gli dà un leggero quanto fiero pat sulla testa e poi avvicina l’indice alle labbra, esagerandone l’espressione per coinvolgere al meglio l’ingenuo complice. Con l’innocenza che contraddistingue qualunque bambino di due anni, si avvicina a grandi, melodrammatici passi al pancione della mamma, toccandolo inizialmente con la manina ad emularla. Specchio del padre, fa poi segno di restare il silenzio prima di posare il bicchiere ed avvicinarci l’orecchio, curioso. Una smorfia confusa e di delusione si dipinge sul suo volto nel non ricevere alcuno stimolo uditivo, costringendo Jimin a correre in soccorso. Non appena comincia ad accarezzarlo anche lui, la futura sorellina pensa bene di rispondere al tentato approccio di comunicazione nell’unico modo per lei possibile: calciando. A questo punto i brillanti occhi del piccolo si trasformano in tenere lune crescenti, innescando una reazione a catena di sorrisi tra i genitori. E contemplando come incantato quel quadro dipinto con i colori della famiglia, Jungkook si strofina gli occhi prima che qualcuno possa bollarlo come ‘il sensibile Bambi’ per l’ennesima volta. “Stai bene?” gli sussurra una voce, la sua preferita, avvolgendolo in un tiepido abbraccio e spuntando da oltre la spalla per guardarlo in volto. “Benissimo” la rassicura prima di lasciarle un fugace bacio sulla guancia e farle segno di raggiungerlo sulla poltrona, cosa che lei fa molto volentieri. Posa il caffè sul tavolino per liberare le mani ed occuparle nel cingere la vita della futura convivente, guardandola con i suoi grandi occhi da cerbiatto. “Sono felice” confessa. “E se dovessi ricevere questo regalo ogni anno per il resto della mia vita, allora sarò l’uomo più fortunato del mondo.”
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Serata allo sport club
Ti sentiresti un pesce fuor d’acqua se non fossi lì con le tue amiche. Anzi, rettifichiamo: ti senti ancora un pesce fuor d’acqua ma la compagnia rende tutto più sopportabile. Non sei esattamente una tipa da sport club, in realtà non hai nemmeno idea di cosa si faccia, solitamente, in uno sport club. Startene seduta al bancone a guardare partite di calcio -o football o qualunque cosa avesse un torneo in azione nel bel mezzo dell’inverno- è un vero mistero per te. Ma non ti trovi lì per vivere una nuova esperienza o perché avevi urgente bisogno di un tetto sulla testa per ripararti dalla pioggia come invece fai di solito con caffetterie e musei vari. È il compleanno di una delle tue amiche più strette, quella che per un’inspiegabile quanto improbabile serie di eventi è talmente tanto diversa da te da spingerti a legartici ancora di più. Le piace assistere alle partite (anche quando durano dalle due alle tre ore e mezza) dal vivo, urlare a squarciagola per fare il tifo, indossare larghi maglioni con il logo delle sue squadre preferite e mangiare schifezze -preferibilmente hotdogs- senza alcun ritegno, nascondendo carboidrati e zuccheri in un profondissimo buco nero all’interno del suo stomaco. La scelta della location per la sua festa di compleanno non era stata dunque una sorpresa per nessuno, tra gli invitati. Fatto sta che ci hai impiegato più di un’ora per decidere cosa indossare quella sera: volevi confonderti con l’ambiente, non dare nell’occhio, non sembrare la tipica ragazza che non sa la differenza fra tennis e padel (e pur avendo letto degli articoli su Google, continua a non esserci alcuna differenza, a tuo avviso). Questo ti ha quindi portata ad optare per gonna in pelle e top azzurrino coperto da un largo e caldo cardigan scuro. Proprio per questo Ethel, la festeggiata, non si è fatta sfuggire la succosa occasione di prenderti in giro e rimarcare con adorabile sarcasmo quanto, pur mettendoci tutte le tue energie, tu abbia fallito nella missione sotto copertura.  “Grazie mille per essere venuta alla mia umile festa, Candile” ridacchia abbozzando un inchino e bilanciando perfettamente il bicchiere di birra nella mano pur di non perderne nemmeno una goccia. “Ah-ah, molto divertente” replichi con una smorfia slanciandoti in un abbraccio. “Buon compleanno, Dorito” la chiami con il suo nomignolo preferito dopo l’adrenalinica disavventura in ambulanza in pieno shock anafilattico. “E, per la cronaca, se volevi alludere alla modella di Victoria’s Secret, il suo nome è Candice”. Specifichi con animo da so-tutto-io, visto e considerato che probabilmente sarà la prima e l’ultima volta che potrai permetterti il lusso di sembrare informata su qualcosa, quella sera. A completare l’outfit ci vorrebbe una sfera di cristallo, pensi tra te e te con il mento abbandonato senza speranza sul palmo della mano. Eri sicura che Ethel sarebbe stata troppo impegnata con tutti gli altri invitati -ragionevolmente più simili a lei di quanto lo sia tu- per intavolare più di una manciata di conversazioni con te. Non la rimproveri di nulla, dopotutto sei tu quella che ha fatto cadere ogni argomento dopo due battute a stento, non sapendo cosa dire. Lasciata con la sola opzione di guardarti attorno con aria spenta, è esattamente ciò che fai. La maggior parte della clientela si comporta proprio come la tua amica: alza lo sguardo sullo schermo piatto che trasmette quello che credi sia rugby, urla qualcosa di offensivo e tecnicamente specifico, commenta l’azione con chi gli è accanto e prende un sorso della birra direttamente dalla bottiglia. Ti sposti allora con lo sguardo verso la parte opposta, in cerca di qualcuno che abbia gli occhi piantati su qualcosa di diverso da una tv da 55 pollici e, con sorpresa, lo trovi. La prima domanda che ti viene in mente è come tu abbia fatto a non accorgertene non appena messo piede in quel buio locale monocromatico: le uniche -e non si esagera nel dirlo- macchie di colore che non rientrassero nel grigio, nero, blu notte, grigio topo, nero intenso e blu oltremare erano il tuo maglioncino pastello e la sua chioma di un adorabile color pesca. O forse è rosa? Non riesci a capirlo bene, la mancanza di propria illuminazione non te ne fa essere certa. È lì con un gruppo di amici, proprio come te, con la sola differenza che lui sembra attirare l’attenzione perché avvolto da un peculiare, magnetico carisma, tu invece perché assomigli ad un festone glitterato appeso su una lapide; decisamente fuori contesto. Più lo guardi e più ti convinci che non sia il colore dei capelli a catturare la tua curiosità. Ha qualcosa nel modo di porsi, di ridere con i compagni, di impugnare la stecca, di concentrarsi solo ed unicamente sul suo obiettivo il quale, non c’è nemmeno bisogno di dirlo, tu non hai la minima idea di quale sia, nel biliardo. Inizialmente provi a dare una chance anche al resto del gruppo ma nessuno riesce a far spaziare i tuoi pensieri come quel ragazzo. Seguendo il suo gioco riesci perfino a carpirne qualche regola, stupendoti di tanto in tanto quando senti il suono della palla da biliardo andare in buca dopo un tiro ad angolo a scendere.  La tua ignoranza in materia ti rende nervosa, oltre che una completa stalker; non sai quanto il gioco durerà ancora e non sai se dopo quel match ne cominceranno immediatamente un altro. Speri solo che non vadano via. Che lui non vada via. Continui ad annuire a vuoto sperando che quella reazione centri qualcosa con la conversazione che sta avvenendo tra Ethel e quello che dovrebbe essere il tuo gruppo ma a quel punto, nella tua testa, avviene il fenomeno cinematografico che fa realizzare alla protagonista di essersi invaghita di un altro personaggio: la vista a rallentatore. Lo vedi ingessare la stecca non appena arriva il suo turno, piegarsi sul tavolo verde con sguardo affilato come se si fosse tramutato in una tigre nel bel mezzo di una battuta di caccia. Allinea la punta in traiettoria ed, appena prima di dare lo scatto con il braccio, alza lo sguardo verso di te per rivolgerti un ghigno che prendi in esame sotto seimila chiavi di lettura diverse. Ti pietrifichi sullo sgabello, per un attimo il torace ti si paralizza per la sorpresa. Non appena ha modo di registrare la tua reazione, senza toglierti lo sguardo di dosso, manda in buca la palla. Attorno a lui tutti i suoi amici si lamentano e disperano per la differenza di punteggio che sembra aver stanziato con quell’ultimo colpo, gesticolano e scuotono il capo come se avessero appena assistito ad una pioggia di monetine dal cielo. Lui continua a guardare te. Ti fissa negli occhi con la stessa intensità con cui lo hai visto programmare ogni suo tiro. Ma ben presto tutto questo finisce; la sua espressione penetrante si ammorbidisce, il taglio degli occhi si assottiglia lievemente dimostrandoti che quegli zigomi sanno essere anche dolci e delicati. E con la sola parte alta del viso ed un piccolo cenno della testa ti invita ad unirti alla partita. O quantomeno ad assistere più da vicino.  
“Va tutto bene?” Ti risveglia dallo stato di shock Ethel posandoti una mano sulla spalla. Continui con il tuo meccanico annuire col capo, unica forma di comunicazione che hai utilizzato da quando sei lì. “Sì, mi sono solo distratta un attimo” dici voltando la testa verso l’amica ma senza riuscire ad interrompere il gioco di sguardi. “Dovresti andare.” “Dove? A casa?” Ribatti confusa, ora costretta a focalizzare tutta la tua attenzione sensoriale verso la festeggiata. “No, davvero, sto bene. Stavo soltan-” “Intendo da lui” ti interrompe con una smorfia che la dice lunga. “Sul serio, apprezzo molto che tu abbia provato ad amalgamarti ma preferirei vederti divertire lì con loro piuttosto che annoiarti qui con noi. E lui sembra proprio il tipo capace di far divertire qualcuno” ridacchia senza risparmiarsi nemmeno un occhiolino degno di ogni zia invadente che puntualmente ogni Natale chiede dei tuoi fantomatici flirt. “Giuro che non me la prenderò” aggiunge in tono solenne spostando la mano dalla spalla al proprio petto. E questa per te non è altro che l’ennesima prova di quanto la vostra amicizia sia solida. Intenerita, ti allunghi per avvolgerla in uno dei tuoi coccolosi abbracci, le sussurri un grazie ricolmo di gratitudine e ti alzi dallo sgabello, controllando di non averci lasciato le radici su. 
Arrivi a metà strada e di colpo ti chiedi cosa diavolo tu stia facendo. Accettare inviti del genere da degli sconosciuti?  Lui, come se avesse letto i tuoi pensieri, ti viene incontro con un sorrisetto rassicurante. “Bel maglione.” Queste sono le prime parole che ti rivolge. E se di solito a farti sciogliere sono i complimenti, specialmente se legati allo stile, questa volta è totalmente colpa della sua voce; è meno intimidatoria di quanto lo sia la sua presenza. “Vieni, ti insegno a giocare” ti invita porgendoti la mano con il palmo rivolto in su, affinché tu possa liberamente decidere se accettare il contatto. Cosa che istintivamente fai al volo prima di avvicinarvi al tavolo da biliardo, mano nella mano. Nel frattempo la sua comitiva, come un branco ben organizzato, si raggruppa e annuncia all’altruista maestro l’unanime decisione di prendersi una pausa per bere qualcosa, lasciandovi da soli. Devono essere dei veri esperti nel gioco di squadra, pensi ironica nascondendo il tuo imbarazzo ed evitando i loro sguardi. 
“Cominciamo con le basi” introduce districando la vostra presa per darti una dimostrazione su quale sia la corretta posizione delle mani sulla stecca. “Credo di sapere come si fa” annunci trionfante, omettendo il fatto che tu l’abbia appreso dalle numerose occhiate rubate di poco prima. Alle tue parole alza un sopracciglio, sorpreso, e ti passa l’oggetto. Il tuo accentuato coraggio sembra piacergli. Ovviamente tra il dire ed il fare, lo sanno tutti, vi è di mezzo il mare. E tu non potresti esserne più contenta. China sul tavolo verde precedentemente settato per una nuova partita, organizzi la presa come meglio credi per poi voltarti a guardarlo per chiederne un parere. Ti sorride ma non è per niente canzonatorio nel farlo. “Quasi” dice arricciando il naso e raggiungendo il tuo fianco per sistemare la posizione delle dita. Le distanzia con delicatezza e questo va in contrasto con un mucchio di cose: la sua pungente colonia, le vene dell’avambraccio scoperto per via dalle maniche rimboccate, l’idea che ti sei fatta di lui fino ad ora.  “Adesso prova a colpire” ti incoraggia. Tutto, in te, trema. Ti lanci nel primo tentativo ma stecchi, non riuscendo a mantenere lineare una traiettoria che nella tua mente era perfetta. “Respira” ti senti dire in un soffio di voce; è evidente che non voglia deconcentrarti ma è inevitabile. Per questo finisci per tremare ancora di più e sbagliare per una seconda volta. Non era esattamente la prima impressione che volevi dargli, questo è certo. “Non credo sia un problema d’impugnatura” lo senti riflettere a voce alta e, con la tua autostima sotto ai piedi, in questo momento la prendi come un crudele sbandierare la tua causa persa ai quattro venti; mentre invece sta solo cercando di aiutarti. T’imponi di fare la fredda, ferita dell’orgoglio. Ma ti ferma prima.  “Riproviamo.” E basta una prima persona plurale per smontarti come un pezzo di lego: non è un “hai fallito, ritenta e forse sarai più fortunata” ma un “ci siamo dentro insieme, siamo una squadra, troveremo un modo per riuscirci”. Annuisci più determinata di prima puntando gli occhi sulla sfera bianca. Le dita sono posizionate alla giusta distanza l’una con l’altra, la presa è salda e poggi l’avambraccio sul bordo soprelevato del tavolo per darti più stabilità e scaricando lì il peso. “Aspetta un momento.” Cambia la sua visuale spostandosi dalla tua destra -e dunque da una posizione più frontale- alla sinistra, laddove le tue spalle sono rivolte una volta assunta la posizione di tiro. “Non posare il braccio qui” consiglia con spirito di osservazione. E così fai, finendo per mettere il peso sulle dita ancorate al velluto verde. “La tensione non va alla mano: a lungo andare ti comincerà a tremare e il tiro risulterà impreciso” ti corregge nuovamente. Il fatto di non riuscire a vederlo ti fa apprezzare ancora di più la sua voce. Dev’essere così concentrato, pensi. “Le spalle devono formare una linea retta con il gomito di tiro e la mano d’appoggio” tira fuori dal suo vasto bagaglio dell’esperienza quella nozione e tu ti senti sempre di più una studentessa invaghita del proprio professore. “E, bada, ho detto d’appoggio, non di sovraccarico” ridacchia brioso. Replichi sorridendo come un’ingenuotta in imbarazzo. E se già questo è motivo di rossore sulle tue guance, ciò che accade dopo ti fa andare a fuoco. “Devi abbassare il baricentro.” Le sue mani sono sulle tue spalle e le premono lievemente. La sinistra, come una scossa elettrica, viaggia lungo il tuo braccio, assicurandosi che non faccia carico sul tavolo. “La tensione va sui fianchi.” Forse in un’altra occasione, con un altro stato mentale, con un diverso insegnante, l’esperienza sarebbe stata diversa: avresti fatto più attenzione, avresti perfino evitato di ricordare ai tuoi polmoni di svolgere quelle che dovrebbero essere involontarie ed automatiche attività per eccellenza come inspirare ed espirare. Ma più respiri e più ti inebri del suo profumo, specialmente adesso che è così vicino e senti il suo fiato scardarti l’orecchio. Sei certa che, se non fossi in questo stato confusionale, sapresti apprezzare di più il fatto che ti stia effettivamente spiegando in termini tecnici cosa sia accadendo e che non è quindi uno squallido pretesto per ridurre a zero le distanze fisiche.  E se anche fosse? La risposta che ti salta in mente sorprende la te razionale. Le mani sono salde sui tuoi fianchi e sarebbe da ipocriti negare quanto questo ti causi pensieri poco casti.  “Adesso puoi spostarti in avanti o piegare lievemente le ginocchia, come preferisci.” Devi scegliere una delle due opzioni, in fretta. Di norma ti butteresti sulla seconda per mantenere una certa compostezza -per quanto possibile- però la tossica vocina torna a canticchiare nel tuo orecchio e ti ordina di mettere in atto la prima perché sai, così facendo, dov’è che andrà a spostarsi la sua mano subito dopo. E lui da bravo istruttore non delude le tue aspettative: il palmo si fa largo fino al tuo addome, là dove senti perfino rimbombare il cuore, e ti sorregge per evitare che tu possa sbilanciarti troppo in avanti. “È una posizione decisamente letale, finirai per distrarre i tuoi avversari a morte” dice proprio quando credevi non poter diventare più rossa di così. “Anche questa è strategia di gioco, no?” La tua vocina ha preso il controllo dei comandi sulla tua bocca e conosci quale sia la sua peccaminosa scaletta per lo show in corso. Il boost di sicurezza spinge in uno scatto il tuo gomito, la bilia schizza alla velocità della luce verso il centro, finendo per spaccare il triangolo colorato. E non ti preoccupa minimamente il fatto che quel rumore possa aver attirato l’attenzione degli altri clienti, Ethel compresa. Per te il tempo è fermo. “Migliori a vista d’occhio” si complimenta ancora alle tue spalle, avvolgendoti come un caldo cappotto in pieno inverno. Non vedi il suo sorrisetto compiaciuto ma riesci perfettamente ad intuirne la presenza dal tono della voce. “Imparo in fretta” poco modesta ma diretta. “O magari no” ci ripensi maliziosa guidando i suoi pensieri sullo stesso binario dei tuoi. Sei diventata la causa di un ennesimo sorrisetto scaltro e non potresti andarne più fiera. A malincuore abbandonate la posizione di gioco per rizzarvi sulla schiena. Gli passi la stecca lentamente, facendo di tutto pur di far sfiorare le vostre mani ancora una volta, dipendente ormai da quel tocco e dalle sensazioni che ti suscita. “Pensi di aver bisogno di lezioni private, d’ora in poi?” Ci prova con indiretta tenacia usando l’asta di legno come appoggio, posandoci su mani e mento. “Potrei” rispondi vaga emulando il suo sorriso sornione. “E com’è che dovrei chiamarti, Professore?” “Park” rivela allungando la mano davanti a sè. “Professor Park” puntualizza. "Ma per te posso fare un’eccezione. Puoi chiamarmi Jimin.”
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È mercoledì, il tuo giorno preferito della settimana. Lavori non-stop, hai ancora un paio di giornate impegnative come quelle davanti a te ma questo non cambia i fatti. Mercoledì è il tuo giorno preferito per un singolo, semplicissimo motivo. Kim Motivo Taehyung abbassa il finestrino dello scintillante SUV nero, accogliendoti con un sorriso pieno di vita. Spesso ti domandi da dove ricavi tutte quelle energie una volta calato il sole, senza però trovare una risposta che compiaccia la tua cronica stanca logica. “Uh, auto nuova, vedo!” fai notare accarezzandone il telaio. Non sei mai stata una patita di automobili ma sai apprezzare qualcosa di bello quando ce l’hai davanti. “L’ho presa per noi!” esclama compiaciuto allargando le braccia e facendoti cenno con il capo di salire a bordo. “Andiamo!” sollecita euforico. “Sono sicuro che questa notte sarà fantastica!” Ed è il suo animo da eterno bambino con gli occhi da sognatore che ti spronano a saltare sulla vettura alla velocità della luce: in serate come quelle, ogni secondo passato con lui è importante. Raggiungete il luogo che avete ribattezzato come vostro, un’area tranquilla, lontana dal mondo, dallo stress, dai pensieri oppressivi. L’inverno è alle porte e la temperatura fuori comincia a mostrare le prime linee blu sul termometro. Per sicurezza ti sei portata dietro la giacca ed una coperta da condividere; dopo l’ultima volta in cui ha rischiato l’ipotermia, non avresti mai più commesso l’errore di crederlo una persona previdente. Taehyung imposta il freno a mano, sgancia la cintura di sicurezza e prima di uscire ti regala uno dei suoi migliori sguardi, di quelli rassicuranti che sanno promettere il mondo, che ti fanno sentire protetta anche nell’esplorare il nuovo, che ti fanno venir voglia di essere curiosa di tutto ed avere paura di niente. Chissà quand’è che gli confesserai che sei irrimediabilmente innamorata di lui. Afferri la tua roba e ti accingi verso il cofano anteriore; speri con tutto il cuore che il motore abbia lasciato una minima traccia di calore. Prima che tu possa piazzartici sopra, Tae ti ferma per il braccio. Ha le mani così calde, noti sciogliendoti al suo tocco per una marea di ragioni. “Seguimi.” Anche in capo al mondo, pensi tu. “Devo mostrarti una cosa” aggiunge. Non senti nemmeno i piedi muoversi, non hai ancora rivolto un singolo sguardo a quello che ti sta attorno; sei concentrata sulla sua mano che, con le dita lunghe da pianista, circonda il tuo avambraccio, in quale miracolosamente regge ancora tutto il necessario per quella vostra settimanale, breve, gita fuori porta. Non appena apre il portabagagli e preme un pulsante al suo interno, i sedili posteriori collassano su se stessi, spostandosi verso la parte interna della vettura; il SUV si trasforma in un’accogliente nicchia che profuma ancora di concessionaria. Sollecitata dalla sua mano, segui le direttive dell’improvvisato Presidente del Comitato di Benvenuto e ti pieghi sulla schiena per scivolare nella piccola alcova e sistemartici più comodamente possibile, a pancia in su. E stai per commentare il fatto che da lì non si possano vedere chissà quali stelle quando, giostrando con un altro comando, il biondo ti stronca sul nascere: il tettuccio scivola lentamente all’indietro aprendo al tuo sguardo la possibilità di viaggiare tra milioni di luci, lo stesso luogo che innumerevoli volte avete fantasticato di visitare insieme. Ti si stende accanto, entrambe le vostre gambe penzolano fuori dall’auto dandovi l’impressione di lievitare per davvero, in assenza di gravità. Le spalle sono l’una contro l’altra e senti la mano, quella più vicina a lui, tremare senza alcun controllo. Sei pronta ad incolpare il freddo, semmai dovesse accorgersene. “Ci pensi mai?” rompe il silenzio un paio di minuti dopo aver cominciato a mappare il cielo con lo sguardo. “A cosa?” La sua domanda è troppo vaga e la tua mente troppo fantasiosa per azzardare una risposta. “A quanto ci sia ancora da vedere, là fuori. Da esplorare.” Lo senti sognare ad ogni aperti ed a voce alta e la cosa ti sorpende; di solito parlate di sciocchezze, di qualcosa che possa distrarvi, chi dai propri impegni e chi dai sentimenti. Perchè dovresti voler esplorare altro, un qualcosa di nuovo, se non riesci nemmmeno a prenderti quello che hai già davanti a te? Ti volti a guardarlo, desiderosa di più: più di uno sguardo fugace, di un punzecchiarsi in modo infantile, di un cuore sempre sul punto di esplodere. I tuoi occhi incontrano il profilo più elegante e delicato su cui si siano mai posati. Come fatte di schegge di vetro, le iridi brillano della stessa luce delle stelle, l’arco di cupido come un letale scivolo ti conduce verso le labbra, rosee e serie. “No” sentenzi avvilita rivolgendo la tua attenzione verso l’alto, verso qualcosa che forse ti avrebbe dato più soddisfazione. Le sue sopracciglia calano, esprimendo una confusione tendente al disappunto. Non sei sicura se averlo deluso o meno con quella coincisa risposta ma la tua frustrazione ha appena deciso di infischiarsene. Cala nuovamente il silenzio e  ti sta bene così.
“Mi toccherà farti ricredere” torna a dire dopo un po’, puntellando il peso su di un gomito e sollevandosi lievemente con il busto per arrivare alla coperta che avevi momentaneamente accantonato alla tua destra. “Dato che sei l’unica con cui vorrei farlo, dovrò trovare un modo per convincerti a venire con me” dice coprendoti ed assicurandosi che perfino le gambe a penzoloni siano ben avvolte per evitare di farti prendere freddo. “Non vole-” tenti di scusare in qualche modo la precedente freddezza ma Taehyung non sembra interessato ad ascoltare le tue giustificazioni. Non ti ha detto quelle cose per farti sentire in colpa o passare per la vittima. Lui è così: non fa mille giri di parole, è sincero, è estremamente diretto. Dannatamente persuasivo. Si china sul tuo viso lentamente, studiando ogni possibile micro-cambiamento del volto, guardandoti con la stessa intensità che aveva fino ad allora rivolto unicamente agli astri. Non hai troncato la frase perchè te lo abbia impedito con  un bacio, come accade nei film. Non hai interrotto il flusso delle parole perchè sei stata fisicamente costretta a farlo. Lui è rimasto lì, a meno di un soffio dalle tue labbra, a fissarti e basta. E tu sei paralizzata. “Ci vieni con me?” Senti la sua voce profonda grattare fino in fondo al tuo stomaco nonostante ci sia un che di infantile nel suo tono; un mix che solo Kim Taehyung sa mettere in piedi. Ma per quanto rimarresti a crogiolarti nelle sue suppliche per ore e ore, decidi sia il momento di prenderti il pezzo di cielo che ti spetta e sul quale hai fantasticato ed espresso desideri per troppo tempo. Allunghi il collo quanto basta per far stampare le tue labbra sulle sue, delicatamente. Sei sicura che riesca a percepire la tua agitazione ma, inaspettatamente, anche tu senti la sua. Entrambi realizzate, in quello stesso istante, che tra voi due le cose non sarebbero mai più state le stesse e questo vi spaventa. “Ci penserò su” mormori tentando con tutte le forze di ricomporti per poi veder vanificare i tuoi sforzi appena un secondo dopo, non appena si riavvicina per riscattare un altro bacio, ora più sentito. La sua innata curiosità si riversa anche il quel pianeta pieno di mistero e sul quale mai aveva messo piede prima, desideroso di esplorarne ogni suo angolo più remoto. Non sai quante stelle cadenti ti ci siano volute per arrivare a quel punto ma sai per certo che queste ti abbiano solo illuminato il cammino per guidarti verso l’alieno con il quale ora lasci le orme per la prima volta.
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Incontri che lasciano il segno - Parte 1
È un giorno come un altro nella Grande Mela; seppur Taehyung si trovi negli Stati Uniti per lavoro, il giovane artista non si è trattenuto dal ritagliarsi del tempo per sé stesso. Ha chiesto al suo manager di accompagnarlo al MoMA, il principale museo moderno del mondo, nella speranza di poter sfruttare al massimo la sua permanenza in suolo americano. Perché non importa quante volte ci sia già stato: è sempre pronto ad osservare con occhi nuovi, più maturi e critici tutta l’arte che lo circonda.  Si trova al quinto piano; Dipinti e Sculture. Di fronte a sé uno di quei quadri che più frequentemente cattura la curiosità dei turisti sta appropriandosi dell’attenzione del ragazzo, intrappolando i suoi occhi grandi e brillanti nel famoso vortice di pennellate azzurre della Notte Stellata.  Immerso com’è nell’opera, non si accorge nemmeno dell’inusuale desolazione del museo, anzi. Quella rara quiete lo spinge ulteriormente tra le braccia di quella luna che sembra essere così calda se comparata allo spettro cromatico del dipinto. L’idea del suo manager che lo aspetta nell’area cafè non gli mette fretta, onestamente. Sa che in realtà gli sta lasciando lo spazio di cui ha bisogno per ricaricare le batterie e ne è molto grato. Ciò che invece riesce a sfilarlo pian piano dalla stretta di Madre Arte è la figura di una donna che si trova alla parete adiacente alla sua. Una ragazza vestita da donna, si corregge mentalmente. La sua postura, i capelli raccolti, gli abiti tanto formali da sembrare quasi un’uniforme, la tracolla in cuoio che sembra aver visto molte generazioni prima della sua: tutto sembra voler raccontare una storia più antica della reale età. E Taehyung adora le storie; lo riporta ai tempi in cui sua nonna era ancora lì con lui per raccontargliele.  La nuca scoperta dall’acconciatura rivela una pelle bianca ma sofferente; un lieve rossore sembra volersi arrampicare fin laggiù, il che porta lo sguardo di Taehyung alla radice del problema. Non reggerà ancora per molto, pensa soffermandosi sulla spilla da balia che con ben poche aspettative teneva assieme i pezzi della borsa. Era un rimedio dell’ultimo secondo, un piccolo cerotto su una ferita che necessitava dei punti di sutura; ma questo lui non poteva saperlo. Spinto a compassione, Taehyung lascia il padiglione per raggiungere le scale e salire di un altro piano, anche questo reso vivo da più personale che visitatori, per fare poi ritorno nell’ala dei dipinti una manciata di minuti dopo. È convinto di trovarla ancora lì; ha come l’impressione che siano simili sotto quel punto di vista.
“Tieni” trova il coraggio di dire dopo averla affiancata. Nella mano tiene una borsa di tela con sopra stampata l’opera di Van Gogh ed il logo del museo. La ragazza posa dapprima lo sguardo sulla mano tesa per poi alternarlo al viso delicato ma dagli occhi che ha come l’impressione possano diventare taglienti da un momento all’altro, a tradimento. Emette un’aura del genere.  “Ho notato la tua borsa, prima. Ci devi tenere dentro molti libri.” Azzarda ad ipotizzare sia una studentessa di qualche università privata, forse cattolica. Non è un grande fan degli stereotipi ma qualcosa in lui lo spinge ad investigare. “In verità è tutto peso del mio lavoro” replica lei accettando il premuroso dono. Non si sbilancia con ringraziamenti palesi o verbali, semplicemente accetta la borsa con un calmo sorriso gentile. “Vieni spesso qui?” chiede lei sfilandosi la tracolla dalla spalla e passandola a Taehyung che, colto alla sprovvista, si ritrova a reggere la vecchia borsa cadente mentre tenta di non dare a vedere la sua sorpresa.  “Ogni volta che posso” le confessa reggendo con entrambe le mani l’oggetto. La vede aprire la borsa di tela ed incoraggiarlo ad infilarne lì la vecchia e così fa. Certamente è più comodo che trasferire ogni singolo oggetto da una all’altra. Sembra esserci abituata. “Quindi sei un esperto” suppone la giovane riprendendo in spalla la matrioska di borse. “Se vieni qui ogni volta che puoi e sai come raggiungere il negozio senza guardarti intorno né consultare la mappa, allora devi davvero sapere tutto di questo posto.“ “Non sono un esperto. Direi più… un appassionato frequentatore.” E sta davvero scegliendo di non soffermarsi sul dato principale dell’intera faccenda: come fa a sapere quanto tempo ci abbia messo a trovare il negozio? Che lo stesse osservando ancora prima che lui potesse accorgersi di lei? E se l’avesse riconosciuto?  Ma le ore passate nel museo lo hanno reso un’uomo più rilassato e gli hanno fatto abbassare la guardia. O forse il fascino che quella ragazza sta inspiegabilmente esercitando su di lui sta in realtà conducendo l’intero gioco, esattamente come se lui fosse l’ammaliato marinaio e lei un’incantevole ed imprevedibile sirena.  “Mi prendo il tempo necessario per osservare tutte le opere e-” “Quindi tu hai visto tutte le opere del museo?” viene interrotto da quell’intervento che Taehyung mal interpreta come ammirazione. “Beh, sì” conferma alzando le spalle. “Non vado mai via prima di averle viste tutte, anche se per pochi secondi.”  Non sa bene cosa lo abbia portato a dire quelle cose, non ha intenzione di vantarsi o risultare arrogante ma, alla fin fine, riesce a trovare una giustificazione per le proprie parole: non ha mentito per fare una bella figura -qualsiasi cosa questo significhi- ma ha semplicemente riportato i fatti. Non a caso il suo manager era pronto ad una pausa caffè lunga ore. “Scommetto invece che te ne sia sfuggita una.” “Come, scusa?” replica cortese. “No, non è possibile. Ho stampato l’elenco di tutte le opere presenti in questo museo, lista scaricabile dal sito ufficiale” puntualizza con un tono saccente da primo della classe. “Non posso aver saltato qualcosa. Vedi?” dice recuperando il foglio dalla tasca della giacca di jeans. “Ho la spunta accanto a tutto.” E mentre il suo dito scorre sulla pagina, seguito a ruota dallo sguardo attento del giovane, sulle labbra dell’ipotetica studentessa si modella come creta fresca un sorrisetto sottile. “Seguimi” lo incita con semplicità disarmante ignorando il suo cartaceo frutto di accurate ricerche. A questo punto non può tirarsi indietro. La segue lungo l’intero quinto piano, le resta a due gradini di distanza per le scale e si assicura di voltare il capo in ogni direzione una volta raggiunto il secondo livello, alla disperata ricerca di quel fantomatico qualcosa che lei sostiene si sia perso durante il tour. Niente. Quando la sconosciuta si ferma davanti ad una stanza con le mani legate dietro la schiena, Taehyung capisce che è lì che è nascosta la risposta.  “Ma... questa è Gowda.” Lo dice con ovvietà ma è molto confuso dal tutto. O forse è solo deluso. Si aspettava di doversi inoltrare in chissà quali anfratti del museo, scoprire di segrete nicchie o nascosti angoli con opere delle dimensioni di un tappo di bottiglia o roba del genere. E invece l’aveva portato davanti ad una delle più gigantesche, ben esposte e facili opere da trovare. Non riesce a capire. Ci dev’essere qualcosa che gli sfugge, ne è sicuro. “È l’ambiente costruito con elementi provenienti da case demolite a causa della modernizzazione nella sua terra natia.” “Qualcuno ha davvero fatto i compiti.” replica alla breve quanto coincisa descrizione senza mostrarsi particolarmente colpita. Di nuovo. “Io però mi riferivo ad altro.” Così dicendo si inoltra nella scena, supera stipiti, infissi di finestre e tavole di legno e conduce Taehyung davanti al soggetto di tanto mistero. “Un estintore.” Lo deve ammettere, se non fosse sotto l’effetto di chissà quale inspiegabile stregoneria che lo porta a gravitare attorno a lei, a quest’ora l’avrebbe già considerata una svitata; una di quelle personalità così fuori di testa da vedere cose anche laddove non ce ne siano. “È dunque questo il tuo occhio analitico da critico d’arte?” Commenta sarcastica. Qualcosa nella sua espressione suggerisce a Taehyung che quello fosse il suo di modo per manifestare la propria di delusione, proprio come lui poco prima aveva utilizzato il tono piatto nella sua voce in due semplici parole. N’è infastidito, in tutta franchezza. Tra i due quello ad avere più motivi per essere deluso non è certamente lei! In più si permette il lusso di giudicarlo? È una situazione davvero frustrante per l’artista. “Non c’è nulla da... analizzare. È solo un comune estintore. Tutti gli edifici devono averne almeno uno per una questione di sicurezza. E sono certo che in luoghi come i musei ce ne siano almeno dieci per piano. E questo è solo uno dei tanti. Non c’è nulla qui che faccia pensare sia nient’altro di diverso: non è equamente distante dalle altre opere, non è in un punto ben illuminato, non ci sono linee di fermo sul pavimento, non ha una targhetta con il titolo o il nome dell’artista, non è sul sito.” ribadisce irritato infine percependo le briglie della magica attrazione cominciare la frenata. “Hai presente gli stereogrammi?” La sente dire di punto in bianco in quello che interpreta come un disperato tentativo di cambiare discorso. “A volte ci vuole un po’ di tempo e pazienza in più per arrivare a vederci le immagini che nascondono. Guarda meglio: una targhetta c’è, dopotutto.” Lo incoraggia indicando il pezzo di carta legato al collo dell’estintore. Non sa perché lo stia facendo, perché stia continuando ad assecondarla ma segue il suo suggerimento e si sporge verso l’oggetto focalizzandosi sul foglietto. “ ‘Questo estintore è stato revisionato come richiesto dal codice antincendio di New York City 906.2.1.2.’.” “C’è altro?” “ ‘Ultima ispezione: 11 marzo’.” prosegue. “Effettuata da?” “Arthur H.” “Adesso hai un nome.” rivela l’improvvisata guida passando la borsa da una spalla all’altra, non sapendo quanto le sue ultime considerazioni l’avessero messo in una posizione di attacco. Ecco la goccia che ha fatto traboccare il vaso della sua pazienza; non ha più voglia di farsi prendere in giro come un idiota. “Ma questo non significa nulla! Potrebbe perfettamente essere un normalis-” “Arthur Hidalgo-Jiménez.” lo sovrasta con la voce interrompendo la sua sterile polemica. “Arturo, in realtà.” si corregge azzeccando perfettamente i suoni caldi e spigolosi della lingua latina. “È uno dei rappresentanti più emblematici delle correnti concettuali nell’arte della seconda metà del Novecento. La sua è un’arte che si muove lungo percorsi del tutto inediti, fondendo in maniera totale la sua esistenza con il suo essere artista. Jiménez è l’espressione più radicale dell’intellettuale che cerca di rinascere da un passato ingombrante. Figlio unico di immigrati portoricani, inventa il concetto della scultura sociale, capace di condurre ad una società più corretta; pensa che ogni uomo sia un artista e che se ciascuno utilizzasse la propria creatività, allora saremmo tutti esseri liberi. L’11 marzo è il giorno in cui i suoi genitori arrivarono negli Stati Uniti e 906212 è il numero della barcone su cui viaggiavano. È stato lui stesso a richiedere che la sua opera fosse messa a caso nel museo, senza una particolare luce o alcun pannello appeso al muro con la sua storia in bella vista. Voleva far arrivare gli osservatori alla più grande delle verità: tutto è arte se si hanno gli occhi per ammirarla. Arturo non era nessuno prima di diventare un artista, non sentiva di avere spiccate abilità nel disegno, nella pittura o nella scultura ma voleva comunque trasmettere qualcosa; aveva un messaggio da mandare a tutti coloro i quali non hanno mai creduto in sé stessi, a chi ha ricevuto solo porte in faccia, a chi non ci ha nemmeno mai provato per paura di fallire. Adesso pensi di riuscire a dirmi perché credi abbia scelto proprio un estintore?” “Perché spegne il fuoco. Potrebbe… essere il simbolo della società odierna che con cinismo soffoca le fiamme degli artisti emergenti o di chiunque cerchi di brillare, degradandoli a qualcosa di totalmente ordinario. Perché, se messo in un museo, nessuno avrebbe fatto caso a lui. Nessuno l’avrebbe considerato un vero pezzo d’arte.” “Se non qualcuno con gli occhi aperti ad essa. È facile trovare approvazione e supporto quando si è già qualcuno. Ma quanto è difficile arrivare a quel punto? Partire dall’essere nessuno e trovare quel qualcuno disposto a spendere quel minuto in più pur di vedere l’arte per quella che è e non per quello che dovrebbe essere secondo l’opinione pubblica.” Si sente così superficiale e stupido. Ogni parola che la ragazza gli rivolge sembra prenderlo a pugni nello stomaco, risvegliando uno strano mix di emozioni in lui. Prova un senso di vergogna, è deluso da sé stesso: da quand’è che ha smesso di apprezzare l’arte, farlo per davvero, coglierla in ogni cosa? Allo stesso tempo però quel discorso lo fa sentire paradossalmente meglio. Se dovesse paragonare quella sensazione a qualcosa, la descriverebbe come quando si tira via un dente cariato: si é in uno stato di dolore dormiente fino a quanto non comincia far male, tanto, per via di qualcosa. L’unico modo per stare meglio é estrarlo; un dolore che porta però al sollievo. Si sente così. Subito dopo arriva il processo di immedesimazione, come accade con i testi delle canzoni. Fa di quelle frasi delle strofe che rende sue, in quanto applicabili alla sua vita in tutto e per tutto. Non é sicuro lei sappia del suo lavoro, di cosa faccia per vivere, ma in fondo non gli importa. Trasforma il suo discorso in musica che starebbe ad ascoltare per ore. Con cuore e mente in tempesta, Taehyung é troppo occupato per badare alla sua espressione, la quale sembra essere fissa -e dunque imbambolata- sul viso della ragazza da un po’ ormai. Ed é costretto a rimangiarsi tutto: l’avrebbe seguita ovunque, anche se avesse deciso di mostrargli un tubo di scappamento nel bel mezzo di una mostra d’auto d’epoca. Perché ne é ammaliato. Troppo timido ed insicuro per dire innamorato.  “Goditi il museo” lo risveglia bruscamente dai suoi pensieri la giovane donna dopo un breve attimo di silenzio. “Te ne vai?” Domanda con voce quasi infantile non disturbandosi nemmeno di mascherarne la delusione.  “Ho del lavoro da fare” spiega in breve tornando a far balzare sulla spalla la nuova borsa piena, per l’appunto, di materiale. “Sono sicura che saprai goderti il giro, anche senza la lista.” La vede finalmente sbilanciarsi in un sorriso che sembra più genuino che beffardo, seppur nella maniera più cordiale possibile. “Ti auguro una buona giornata, appassionato frequentatore.” Esce di scena così, di punto in bianco, lasciando spiazzato il giovane. Ricordava sul serio tutto ciò che aveva detto, parola per parola? Deve essere una attenta ascoltatrice, pensa sempre più ammaliato. Taehyung si volta per vederla andare via, troppo scombussolato per realizzare quanto successo. Perde il contatto visivo con la sua classica quanto eccentrica figura quando svolta nel corridoio. Se si concentra riesce addirittura ad ascoltare i suoi passi, scendere per le scale. È tutto cosi’ surreale, come quel silenzio in cui lo ha lasciato. Non gli ho chiesto nemmeno il suo nome, realizza tra sé e sé. È rimasto davanti alla rossa scultura per altri quindici minuti buoni dopo la loro separazione nel tentativo di recuperare il tempo perso, di riconnettere i pensieri. E non mi ha nemmeno detto grazie... apertamente, aggiunge. Ma la cosa lo fa sorridere.  Tira fuori dalla tasca il suo cellulare, apre la fotocamera e mette a fuoco l’estintore, scattandone una foto per poi pubblicarla su Twitter. Non ci mette nessuna didascalia, descrizione o emoji, la posta e basta sotto l’hashtag ‘TaeTae’ perché si sente più Kim Taehyung che V, ora come ora.  Sulla via verso la caffetteria, continua ad usare il cellulare, questa volta per cercare su Google qualche informazione in più su Arthur Hidalgo-Jiménez. Gli unici risultati che vengono fuori sono un paio di profili Facebook e altri siti random che poco hanno a che vedere con quanto gli é stato raccontato. Decide di aggiungere la voce ‘arte’ alla ricerca ma il risultato non cambia molto. Dovrebbe sentirsi preso in giro ma, no, non é affatto cosi’.  Si sente ispirato. Nuovo. Felice. 
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Di ritorno in hotel dopo una mattinata fuori
Apre la porta con il peso del proprio corpo che, a questo punto della giornata, tratta più come se fosse un sacco di sabbia che è costretto a portarsi addosso per via di chissà quale penitenza da scontare. Da aggiungere a quello vi sono inoltre svariate borse di carta piene di vestiti, accessori, souvenir e altre sciocchezze varie che senza pensarci due volte lancia sul divano della stanza d’hotel in cui alloggiate per la vostra vacanza insieme. Anche tu hai in mano un paio di buste ma, seppure siano solo un terzo rispetto a quelle che ha trasportato lui, ti fanno bruciare le braccia come durante i peggiori degli esercizi muscolari mattutini.  “Abbiamo raccimolato un bel bottino!” Esclami con un entusiasmo nato non sai nemmeno tu come, chiudendoti la porta alle spalle con un colpo di tallone. “Dovrebbe esserci tutto! Se siamo fortunati non avremo bisogno di fare compere anche domani!” “Non si é mai parlato di domani, infatti.” Dice lui inespressivo. Ti é chiaro come in Sole che quella sua frase sia un modo diretto per stroncare il tuo piano sul nascere. O magari semplicemente avvisarti che ci saresti andata, eventualmente, ma da sola.  Una volta appurato questo, Yoongi si lancia a stella marina (morente) sul letto king size, infischiandosene del sudore, dello smog o del cappello di lana che ha addosso.  “Dicevo solo che siamo stati bravi, tutto qui...” mormori tra te e te mettendo un broncio che lui non vedrà mai, visto che ha già gli occhi chiusi, ad un passo dal mondo dei sogni. Quindi ora senti l’impellente bisogno di essere fastidiosa con lui. “Ti concedo dieci minuti, dopodiché dovrai alzare il culo e cominciare a prepararti; abbiamo un pranzo al quale andare.” “Non ti sento, sto dormendo.” “La tua parte dormiente é molto reattiva. Sono sicura riferirà il messaggio a chi di dovere.” “Ma perché mi odi tanto, che cosa ti ho fatto?” Si lagna come un bambino capriccioso. “Anche in hotel hanno cibo, sai?” “Oh, ne sono ben consapevole” replichi alzando gli occhi al cielo. “Sai cosa non hanno al ristorante dell’hotel o al servizio in camera però?” “Un pretesto per tormentarmi?” azzarda sarcastico. Lo prederesti a pugni. “Un raro e paziente esemplare di Jung Jungkook che ci aspetta al tavolo con i suoi grandi occhi da cerbiatto puntati sulla porta, ecco cosa.” Lo conosci come le tue tasche, sai bene che poche persone al mondo possono scalfire la pigrizia di Yoongi. Ma lo sguardo perso del maknae é in grado di sciogliere anche il suo, di cuore di ghiaccio. Anche quando gli piace tanto sottolineare quanto lui, in realtà, non ne abbia uno. Che ragazzaccio. "Sopravviverà” ti spiazza sprofondando ulteriormente le spalle nel materasso. Ti lascia talmente senza parole da far calare un imbarazzante silenzio nella stanza. Dura però poco. Un grande sospiro abbandona -assieme alla sua apparente anima e voglia di vivere- la sua bocca. “Adesso ho la sua pietosa immagine marchiata a fuoco nelle palpebre, dannazione” brontola tenendosi le tempie come se ad infestare la sua testa ci sia un terribile incubo. Ed immediatamente a te torna il sorriso. “Ricordami perché stiamo uscendo a pranzo con lui.” “Perché é uno dei tuoi migliori amici e l’altro giorno gli hai resettato il profilo della Play” gli fai da promemoria. Come al solito.  “Per sbaglio” puntualizza in sua difesa. “Sì, sì, va bene, per sbaglio. Ma devi comunque farti perdonare.” “Stai dicendo che devo anche pagare io?” “Sei milionario, Suga.” “Beh, anche lui.” “Sta’ zitto e datti una mossa” tagli corto colpendogli un piede, il quale si muove come se fosse davvero quello di un cadavere. “Dovremmo approfittarne, é una giornata magnifica, fuori splende il Sole!” Provi a cavalcare ancora una volta l’onda dell’ottimismo indicando la finestra aperta. “E cosa dovrei fare, scusa? La fotosintesi?”  Nulla da aggiungere. Lo fissi e basta, immobile ai piedi del letto, uno sguardo arreso al suo essere sempre così tagliente e sarcastico. E la cosa peggiore é che adori questo di lui. Vorresti ridere perché, in fondo, é una bella battuta ma sarebbe come ammettere di aver perso la battaglia verbale quindi non ti rimane che tentare, invano, di nasconderlo. “Dai, forza, tirati su!” lo esorti in breve con un sorrisetto galeotto. “Perché invece non vieni tu, qui, per un po’?” Fa pat-pat con la mano sul posto accanto al suo; é impressionante vedere come la sua voce possa acquisire delle sfumature morbide e gli effetti rilassanti pur partendo da qualsiasi tono alterato. É un richiamo al quale non puoi resistere, per quanto ci provi.  “Non ci vengo perché altrimenti non ci alzeremmo più, ne sono certa.” Ed é quella stessa frase a far scattare Yoongi come una molla, ricaricato di una misteriosa energia chiamata ‘se c’é una qualche possibilità di non uscire più dalla stanza, la coglierò al volo (sorry not sorry, Jungkook)’. Si mette a sedere in un lampo, ti afferra per i fianchi e ti trascina sul letto, utilizzando -a suo dire- ‘tutte le energie rimaste’. “Non é una bella premessa” lo prendi in giro non disturbandoti nemmeno a spostare le gambe da sopra le sue. “Per cosa?” ti provoca lui chiudendo nuovamente gli occhi come se stesse davvero tornado a ricaricare le batterie dopo l’immane sforzo.  “Niente” commenti angelica. A far compagnia al tuo sorrisetto spunta anche il suo. Con un braccio ti avvicina a lui, portandoti a posare la testa sulla sua spalla. “Pervertita” si fa beffa di te senza rimorso alcuno posando la guancia sul tuo capo. Ormai sei nelle sue grinfie, c’é ben poco tu possa fare.  Forse saremo un po’ in ritardo, pensi. Sorry not sorry, Jungkook.
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Tè bollente.
Lavori nella caffetteria nel quartiere più rinomato della città da ormai tre anni; tu ed i tuoi colleghi andate d’amore e d’accordo, il capo si fida abbastanza da lasciarti studiare lì in santa pace dopo la chiusura e puoi dire di conoscere tutti i clienti abituali con loro relativi ordini quotidiani. Puoi anche dire di conoscerne alcuni più di altri, ad esempio.  “A me serve un macchiato per il tavolo tre” ti si avvicina Grace, la tua amica energica ed ironicamente intollerante al caffè. “Mentre a te serve questo” dice estraendo dalla tasca posteriore dei jeans un tubicino di mascara e facendoti un occhiolino furbo con le sue lunghe ciglia nere. “ ‘Tè bollente’ a ore sei” annuncia prima di lanciare il cosmetico nella tua direzione, costringendoti ad afferrarlo al volo per puro riflesso. Sai perfettamente che sta parlando di Namjoon; l’enigmatico ragazzo che puntualmente si presenta lì ormai da mesi, sempre alla stessa ora, da solo, reggendo una montagna di libri e taccuini tra le braccia. Lo stesso che ti porta inconsciamente a farti carina ogni mattina ed incasinarti le ordinazioni dalle dieci e mezza in poi. Grace gli ha affibbiato quel nomignolo da quattro mesi o giù di lì; quell’appellativo non deriva tanto dalla sua ricorrente richiesta al bancone quanto da, beh, dal suo ovvio carisma che sembra trascinarsi dietro come un’irresistibile scia di colonia alla menta. Non è un caso se tutta la clientela, al suo ingresso, sembra gelarsi tra le fitte trame del tempo, rendendo l’intera scena degna di un film. Ed è così che accade anche quel martedì; il ragazzo fa il suo ingresso in negozio stringendo i libri sotto il lungo cappotto color cioccolato e nascondendo il mento nel collo alto del maglione a causa della temperatura pungente all’esterno. I suoi capelli sono della stessa tonalità della neve fresca e questo non fa altro che far risaltare, aiutato dall’indumento bianco, il rossore delle sue guance.  E mentre lui entra in scena con la sua ormai tipica ripresa a rallentatore, tu sei l’imbecille che regge un mascara tra le mani, impalata come uno stoccafisso a fissare il vuoto a rivivere in loop nella tua mente l’episodio del martedì precedente in cui, passando per i tavoli con lo scopo di raggiungere il retro, gli hai urtato una spalla facendogli versare la bibita addosso. Un battito di ciglia e sei di nuovo lì, al tavolo undici, china sulla sua maglia bagnata, a tamponargli il petto con la salvietta a pochi, pochissimi centimetri dal suo viso. E forse è stata la tua fervida immaginazione, speranza, disperazione, quello che ti pare, ma non ti è sembrato che l’abbia esattamente… odiato. Diciamo che hai avuto modo di ipotizzarlo nel momento in cui con lo sguardo hai seguito la macchia, colata lungo tutto l’addome e -forza di gravità sempre sia lodata- più giù.  Ma le cose sono strane tra voi da allora. Ti saresti aspettata dell’imbarazzo ma non è affatto così, anzi! Tutto il contrario. C’è una tensione nell’aria che rende l’atmosfera particolarmente elettrica; ti sta davanti come se fosse in grado di leggere i tuoi pensieri e li proseguisse nella propria mente, condividendone il finale. I suoi occhi non sono più cordiali e riservati come lo erano prima ed il suo tono di voce è diventato così basso e profondo che temi poterci annegare dentro. I movimenti sono più lenti e calcolati e tu sei sempre la prima a distogliere lo sguardo ogni qualvolta le vostre dita si sfiorano nella consegna dell’ordine. Saresti rimasta così, assorta, per altre due ore se non fosse stato per quella santa della tua amica, la quale ti passa davanti con in volto lo sguardo più severo che tu abbia mai visto su di lei. È una delle cose che più adori della vostra amicizia. Non hai bisogno di sentirla parlare: sai già che ti sta incitando -seppur in modo abbastanza minatorio- a svegliarti e mostrare una briciola di coraggio per farti avanti, specialmente visti gli ultimi aggiornamenti su cui costruite castelli mentali da giorni una volta giunte a fine turno. Spingi a forza l’oggetto in tasca e ti ricomponi, appena in tempo per fingere disinvoltura al suo arrivo al bancone. “Tè bianco bollente senza zucchero” articoli a testa bassa con la gola secca e la bocca impastata anticipando le sue parole nella speranza di ridurre la sua riaposta ad un semplice ‘sì’ che sei sicura di poter reggere senza sentirti ribaltare gli organi. “Da portare via” annuncia con sorpresa lui palesemente in cerca di una tua qualsiasi reazione in relazione alla novità.  “Oh” reciti sommessamente colta alla sprovvista; i tuoi pensieri cavalcano liberi per la mente cercando di convincerti che quelle parole siano un messaggio in codice che preannuncia la sua interruzione nel frequentare la caffetteria. Hai creato troppo disagio tra voi e, come se non bastasse, lo hai anche stupidamente confuso per… altro. Non aggiungi nulla; batti lo scontrino e ti metti a lavoro, consegnandogli il tè una manciata di minuti dopo. Lo vedi pagare ed andare via così com’è entrato, i libri sotto il braccio sinistro, il mento sotto il maglione ed in camera lenta. Il martedì più lungo della tua vita. I clienti sembravano non finire mai e hai perso tutta la tua parlantina che ti ha portata ad avere la fama da super-amicona di turno. Grace ti ha chiesto fino allo sfinimento cosa fosse successo con ‘Tè Bollente’ ma hai rifiutato di condividere con lei le tue paranoie, lasciandola a bocca asciutta proprio come te. La caffetteria è finalmente vuota e ora che anche la tua amica e collega si è convinta a tornare a casa, sei libera di metterti a studiare per l’esame di fisica della prossima settimana. A casa tua c’è troppo rumore tra vicini patiti di heavy metal e treni ad alta velocità ad ogni ora; sei estremamente grata per il tuo capo.  Stai cercando le chiavi nella tasca frontale del grembiule per chiuderti a chiave all’interno quando la campanella annuncia l’ingresso di qualcuno che chiaramente non sa leggere il cartello appeso alla porta. “Mi dispiace, siamo chiusi” informi con svogliata cordialità prima di alzare la testa e sentirti gelare il sangue nelle vene. E tutti sanno che non c’è nulla di meglio di un bel tè bollente per risolvere un problema come quello.  “Speravo di poterne avere un altro” chiede ignorando completamente le tue parole. “Ho aspettato là fuori tutto il pomeriggio, non mi sento più le mani.” “Aspettato cosa?” “Che ti mettessi a studiare.” “Come fai a sapere-” “Che c’è, solo tu sei autorizzata a fissare la gente?” La conversazione ti lascia in uno stato confusionale. In una manciata di parole ti sta dicendo che, sì, sa che spesso lo guardi assorta e che anche lui, proprio come te, ti ha guardata mentre eri distratta. E non sai bene come reagire a queste informazioni. Quindi, presa dal panico, sputi fuori tre singole sillabe. “Siediti.” Avverti i suoi movimenti; senti i libri cadere sul tavolo, sempre lo stesso, che ora realizzi essere quello con la miglior vista sulla zona bar. Il pavimento stride sotto la sedia e da qui deduci si sia messo lì ad aspettare come da te ordinato poco prima. Ascolti il suo respiro racchiuso tra le mani nel tentativo di scaldarsi e, da brava stupida, pensi che non sia l’unica cosa a farlo in quella stanza. E non stai parlando dell’acqua messa a bollire per il tè. Sei certa ti stia guardando armeggiare con tazze e cucchiaini, lo avverti con ogni fibra del tuo corpo e resisti dall’alzare la testa per dimostrarti di avere ragione. Per i primi trenta secondi. Poi cedi. Ti è capitato di perdere il controllo delle tue azioni e pensieri prima d’ora, da ubriaca. Ma quanto sta accadendo ora non è neanche lontanamente paragonabile ad una sbronza. Non stai perdendo la presa sui gesti poco a poco, non te li senti scivolare lentamente via dalle mani assieme a proprietà di linguaggio ed elaborazione degli eventi. Associ quella frazione di secondo ad una spina strattonata in un colpo solo dalla presa della corrente, spegnendo ogni tua scintilla di raziocinio rimasto. I vostri sguardi si sono davvero, per la prima volta, incontrati, concatenati. Le tue mani si aprono, frantumando la tazza nel lavandino ed aggiri il bancone a passi decisi come se stessi per affrontare una qualche guerra con un nemico altrettanto impulsivo. Namjoon scatta in piedi non curandosi troppo della sedia che si è lasciato cadere alle spalle. Gli afferri il volto con entrambe le mani e nel tuo tocco non vi è alcuna gentilezza o premura, lo fai come se fossi arrabbiata con lui per chissà quale assurda ragione. Neanche lui sembra voler riservarti la stessa premura, abbrancando in primo luogo la vita per poi migrare dietro la schiena, costringendo il tuo corpo ad aderire completamente al suo. Percepisci il suo calore anche attraverso lo spesso maglione; è davvero bollente, pensi. Le braccia salgono per avvolgersi attorno il collo, passando per il soffice sentiero dei capelli che stringi come se non fossero parte del suo corpo; non riesci a capire se la tua sia frustrazione che trova finalmente uno sbocco o se sia paura possa di nuovo chiedere d’avere il tè da portare via e sparire dietro la porta ancora una volta. È irrazionale, sì, ma dopotutto anche ció che sta accadendo lo è, secondo la tua testa bacata. Fatto sta che non vuoi sentire nemmeno una parola uscire dalla sua bocca; a tuo modesto parere deve solo fare una cosa, ora come ora. O forse un paio.  Sanno davvero di tè bianco, ti ritrovi a scoprire il sapore di quelle labbra che giorno dopo giorno hai visto bere dalla tazza che hai preparato per lui. E ci hai fantasticato per notti intere prima di avere finalmente una risposta. Le mani che mille volte hai visto voltare fragili e leggere pagine di carta stanno adesso percorrendo la tua schiena, coprendola quasi per intero con una sicurezza che gli fa gonfiare le vene degli avambracci. Il suo viso però è ancora freddo, contrastando alla perfezione la tua temperatura molto simile a quella della fiamma olimpica lasciata accesa per giorni.  Benchè non ci sia alcuno spazio tra di voi, in te cresce la voglia di averlo ancora più vicino; non c’è colla che possa unirvi più di quanto non lo siate già ma è qualcosa che il tuo corpo desidera ed è quello che cerchi di ottenere aggrappandoti alle sue spalle, famelica. Hai smesso di respirare aria fresca da un po’ ma ti senti più che soddisfatta nel tener vivo il circolo vizioso che passa da una bocca all’altra, assolutamente. Secondo la teoria della lettura del pensiero citata poco prima, il ragazzo sposta la sua attenzione sul collo, dandoti la possibilità di riprendere ad ossigenare il cervello. Alzi la testa per lasciargli più spazio ma in quel gesto coraggioso che è aprire, seppur di poco, gli occhi, lo sguardo cade sulla videocamera di sicurezza posizionata nell’angolo destro del locale.  Preferiresti essere licenziata piuttosto che interrompere tutto perciò senza far parola della cosa, afferri in un pizzico il maglione del giovane e cominci a trascinarlo verso la porta che dà sul retro. È vero, non hai chiuso a chiave la porta d’ingresso, non ne hai avuto il tempo. Ma non te ne preoccupi più di tanto; sei convinta che Namjoon sia il solo ad ignorare il cartello con su scritto “chiuso” in caratteri cubitali.
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Viaggio on the road insieme
“Mi dispiace che sia sempre tu quella a guidare” commenta a testa bassa Jimin tamburellando le dita sulle gambe. “A me invece no, per niente!” lo rassicuri a cuor leggero, sorridendo serena come non mai.  Siete in giro da ormai un paio di giorni, avete intrapreso quel viaggio con l'obiettivo di godere l’uno della totale compagnia dell’altro fino all’ultimo secondo. Non vi capita spesso di trascorrere del tempo di qualità da soli, lontani dalle mura dello studio di registrazione o la sala prove della compagnia perciò questa nuova avventura vi elettrizza molto. Non menti quando dici che non ti pesi; è vero, hai una grande distrazione seduta proprio accanto a te (e non è l’ideale quando si sta guidando) ma confidi nel tuo auto-controllo. Inoltre ti piace potergli dare l’occasione di rilassarsi un po’. “Sarai stanca; dovremmo fermarci da qualche parte, fare una sosta, mangiare qualcosa, roba così” continua lui nell’altruistico tentativo di darti un minimo di tregua.  “Non è affatto una cattiva idea, sai? Cominciavo ad avvertire un certo languorino, in effetti…” ne convieni, tentata dall’ipotesi di trangugiare patatine prendendole direttamente con la bocca dalle mani di quel Santo fidanzato che viaggia con te. Lo sa quanto odi la sensazione di unto perciò non hai dubbi sul fatto che lo farebbe per te. Ti stai già immaginando la scena leccandoti i baffi quando con la coda dell’occhio lo vedi sbloccare il cellulare. “Cerco un ristorante, allora” annuncia. A quel punto rimani semplicemente senza parole dinanzi al disastroso sgretolamento del tuo umile sogno ad occhi aperti. In sottofondo anche la musica proveniente dalla radio sembra zittirsi per un momento.  “Un ristorante” ripeti atona. “Siamo sulla superstrada e tu cerchi un ristorante.” “... no?” E fa ben attenzione per porre quanto più tono retorico-interrogativo in quelle due uniche lettere. “Pensavo stessi parlando, che ne so, di prendere al volo un paio di schifezze in autogrill, non che facessimo una pausa pranzo da due portate, caffè, ammazza caffè e dessert.” “Ma le schifezze non sono salutari.” “Neanche guidare durante l’abbiocco da digestione lo è” fai notare prontamente. “Oh, hai ragione!” spalanca gli occhi in realizzazione. “Ma posso darti il cambio! Così potrai riposarti!” Si offre volontario sciogliendo il tuo cuore in poltiglia e facendoti dunque sentire ancora peggio per via delle parole che stai per dirgli.  “Tesoro mio, io ti amo tanto -e lo sai- ma...” “Cosa?” “Tu e la guida…” no, devi cambiare approccio. È troppo sensibile. “Ci sono tante, tantissime cose che sei in grado di fare e che -infatti- fai alla perfezione…” “Stai cercando di dirmi che non sono un bravo guidatore?” curva le labbra in un broncio da bambino. I suoi occhi sono così tristi che ti sembra di aver appena spento una stella nel cielo. Per l’appunto. “No, no, è solo che… guido da più tempo di te e la strada è piena di pericoli.” “Okay, stai dicendo che non so guidare” persiste spostando lo sguardo su un punto impreciso del cruscotto, le sopracciglia chiuse al centro della fronte. “Nononono, davvero, non è questo!” neghi nel panico. “Ascolta, tu sei sempre molto galante e premuroso e... fai un mucchio di cose per me. Lascia che sia io a fare qualcosa per te questa volta, mh?” “Ma... tu fai molte più cose per me di quante io ne faccia per te” ti dice a spalle strette. “Ti ringrazio molto per le tue adorabili parole ma non credo proprio. Lo apprezzo ma non condivido.”  “Sono serio!” comincia con estrema convinzione. “Mi massaggi sempre le spalle quando dico di essere stanco, ogni volta che sono a casa prepari i miei piatti preferiti, non appena noti che sono giù di morale vieni prontamente a coccolarmi, quando il pomeriggio mi addormento sul divano mentre aspetto che faccia effetto la maschera per il viso, mi copri con una coperta per non farmi prendere freddo e a volte butti via anche la maschera perché passo troppo tempo a dormire e mi si è praticamente seccata in faccia. Quando ti svegli prima di me fai sempre molta attenzione a non fare rumore per non svegliarmi e non ti lamenti mai quando sono in ritardo o posticipo un appuntamento a causa dei miei impegni. Spesso la sera, dopo qualche concerto, resti in camera con me a leggere anche se preferiresti andare in giro e sei super paziente quando prendo il monopolio del bagno con le mie lunghe docce calde. Mi sorridi sempre anche nei tuoi giorni no, mi supporti quando ne ho bisogno al di là dei problemi che puoi avere a lavoro, mi tieni la mano durante le scene più spaventose nei film, mi dici che sono bello anche quando ho il viso gonfio dal sonno, porti sempre un paio di cerotti in borsa perché sai che mi faccio male continuamente e rassicuri mia madre quando sono in tour e non ho molto tempo per chiamarla.” E continuerebbe all’infinito se non lo fermassi nella sua cascata di elogi. Hai sempre fatto questo genere di cose per lui non perché volessi apparire la fidanzata perfetta; in realtà non hai mai fatto nulla di proposito. Tutte le tue scelte ed azioni sono condizionate da un solo, unico, fondamentale motivo. Lo ami, tanto. E prenderti cura delle persone a cui tieni ti riesce in modo naturale, con una spontaneità che non credevi Jimin potesse carpire anche nelle più piccole cose. “Sei davvero...dolce. Non credevo facessi attenzione a tutti questi dettagli” sussurri con voce mielata, desiderando come non mai di essere alla guida di un’auto in grado di prendere vita e continuare da sola il tragitto fino a destinazione senza la tua minima assistenza. Perché stai cercando con tutte le fibre del tuo corpo di mantenervi entrambi in vita, su quella superstrada. “Non sono dettagli per me.” Ed è esilarante come continui a parlare con il broncio, come se il tuo non auto-riconoscere le tue proprie doti lo offenda personalmente. “Ti serve questa mano?” Ti domanda indicando la destra, quella che sarebbe occupata a manovrare le marce se sono quell’auto non avesse il cambio automatico. Scuoti il capo allungandola a palmo aperto verso di lui, il quale la accoglie ben presto nella sua. “Il prossimo autogrill è a 13 minuti” comunica scorrendo con il police sulla mappa del cellulare. “Patatine BBQ?” “Nah, quelle vegetali andranno bene” suggerisci come perfetto punto d’incontro tra il tuo sogno croccante ed il suo piano di non morire d’infarto prima dei trent’anni. “Quindi da lì in poi guiderai tu, giusto?” Semplicemente si volta a guardarti, lo sguardo nuovamente rinvigorito di frizzante allegria. “Puoi contare su di me!”
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Quando rimanete chiusi nella sala prove
“Dobbiamo venirne a capo.” “Non penso di potercela fare; ho solo due neuroni svegli.” “Ah, sì? E gli altri due stanno facendo bei sogni?” “Sono troppo stanco anche per offendermi.” “No no no no, è completamente assurdo. N-non è possibile!” “E invece…” “Come diavolo abbiamo fatto a non accorgercene?” “Credo che il fatto di esserci addormentati con la luce spenta abbia giocato un grande ruolo in questa disgrazia.” “Per quando hai detto che sono previste le prossime prove?” “Sempre per giovedì mattina alle 10:15. Non è che la risposta cambia se me lo chiedi ogni due minuti…” “Giovedì… GIOVEDÌ. Quindi ne sei proprio sicuro. È TRA DUE GIORNI, SANTA MISERIA!”  “Non urlare, qui rimbomba tutto!” “Forse non capisci la gravità della situazione: siamo intrappolati in una stanza senza finestre, senza cellulari, senza cibo, senza niente di niente fino a gio-ve-dì.” “Non sarebbe la prima volta che passo la notte a dormire sul pavimento di una sala prove con il rantolio dello stomaco a farmi da ninnananna.” “Non mi sembra il momento di ripescare dal cilindro dei ricordi le tue memorie da trainee, Jin.” “Era un incubo allora quasi quanto lo sia adesso. Ironica la vita. Già.” “Non mi starai mica entrando in depressione…” “Io volevo solo provare la coreografia. Sono venuto qui per migliorarmi, per essere un bravo artista… e sono stato punito. Castigato per essere caduto in tentazione; perché la carne è debole.” “Modestam-” “Sono stato abbindolato. Ingenuamente adescato con la promessa di uno stufato di kimchi.” “Sei troppo stanco anche per evitare le mie scarpe, giusto?” “E adesso guardaci: stesi come cadaveri in una stanza a prova d’intruso. Fino a giovedì, quando ritroveranno i nostri corpi smunti e-” “Si accorgeranno della nostra mancanza. Verranno a cercarci.” “Chi? Chi verrà a cercarci? Quel branco di ragazzini ingrati? L’ultima volta che li ho lasciati a casa da soli hanno “dimenticato” di mangiare. Per tre giorni. Quando sono tornato la prima scena alla quale ho assistito è stata quella in cui si stavano giocando l’ultimo pacco di gallette di riso a sasso, carta, forbici. In mutande.” “Solo perché sapevano fossi via! Questa volta è diverso, non li abbiamo avvertiti di nulla. Vedrai che si preoccuperanno!” “Mi domando chi sarà il primo ad accorgersene. Sarà forse il mio fedele compagno di stanza che si chiude in studio per settimane? La fatina danzerina che arriverebbe in ritardo perfino ad una manifestazione a sostegno della puntualità? Il duo letale dopo il campionato di Overwatch? O magari il gigante buono che si perde nel tragitto salotto-cucina…” “Hobi! Confido in lui! Sì, sarà lui a trovarci!” “È fuori città. Nazione. Continente.” “Non sei d’aiuto.” “A quanto pare nessuno lo è.” “Non voglio morire qui dentro.” “…”  “Devi proprio fare quel rumore?” “Non sto facendo niente; sono i primi sintomi della pazzia.” “Sono abbastanza sicura sia tu.” “ ‘Sono abbastanza sicura che ci sveglieremo in tempo.’ ” “Ti dico che sei tu. Con le labbra. E non usare le mie parole contro di me.” “Ora che ci penso, potrebbe anche essere l’arrivo della vecchiaia.” “Vuoi sul serio che venga lì a prenderti a pugni? Perché lo faccio vol-” “Forse. In fondo, cosa abbiamo di meglio da fare?” “Stai perdendo il senno. Mi stai davvero chiedendo di picchiarti?”  “Non proprio; non credo riusciresti mai a deturpare questo viso perfetto.” “Fossi in te non ci scommetterei.” “Però puoi comunque provare ad avvicinarti: magari trovi un altro modo per zittirmi, dato che il presunto rumore con le labbra ti dà tanto fastidio.” “... wow. Sei un abile manipolatore, lo devo ammettere.” “Ammaliatore, prego.” “Ma sai una cosa? Giovedì… non è poi così lontano se si considera questa nuova prospettiva.”
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Quando si comporta da scemo 
Festeggiate l’arrivo dell’estate trascorrendo il pomeriggio fuori, andandovene liberamente in giro per il quartiere. Passeggiate mano nella mano fregandovene di tutto e tutti, specialmente del fatto che, prima o poi, entrambi i vostri palmi cominceranno a sudare. Butti l’occhio sulla tua per controllarne -appunto- lo stato ma involontariamente lo sguardo cade invece sulla sua, marchiata da quei tatuaggi che lo ancorano con umiltà al suo percorso, cicatrizzando la sua gratitudine verso le Army in modo indelebile. Il tuo cuore è diviso tra l’opzione di sciogliersi per la dolcezza o andare a fuoco per via dell’aspetto rude che donano alle sue dita. Decidi che fa già troppo caldo per infierire ulteriormente sulla tua temperatura corporea; niente bollenti spiriti. “Non sentirai caldo vestito così?” Lo squadri scettica, indicando col capo il mare oscuro che ricopre la sua tuta sportiva. "Sei la quarta persona che me lo chiede oggi” rivela lui giocherellando con la cerniera della giacca. “Se volevate che mi spogliassi, bastava dirlo” scherza abbassandola in un unico scatto e tirando fuori una spalla, imitando alla perfezione uno dei tanti ‘incidenti’ in cui è solito incappare Jimin durante le loro esibizioni. Sei sicura che se il diretto interessato fosse stato lì con voi in quel momento, avrebbe certamente dato un ceffone dietro la nuca al tanto simpatico maknae che adora prenderlo in giro.  Scoppi a ridere ma ti senti in dovere di difendere il tuo amico assente ricorrendo ad una debole pacca sulla spalla scoperta; la tua assoluta delicatezza nel farlo diverte anche lui al punto da strappargli un sorriso a trentadue denti.  “Stupido, non è per quello! È che hai i pantaloni lunghi, la giacca, sei tutto in nero che è un colore-” “ALTALENE!” urla lui trascinandoti per la mano verso i giochi ed interrompendo nel modo più ingenuo possibile la piccola lezione di fisica che si sarebbe altrimenti tenuta da lì a poco.  Sai bene che con lui avere una relazione “normale“ non è mai stata tra la lista delle opzioni perciò non ti stupisce vederlo catapultarsi sull’altalena e chiederti con voce fanciullesca di spingerlo come se non fosse un’uomo adulto e cresciuto e dalla massa muscolare due volte più voluminosa della tua. Lo fai contento assecondando il suo desiderio ma è palese il fatto che non si stia sforzando per niente pur di aiutarti durante il processo. “Potresti anche muovere un po’ le gambine e darti un minimo di spinta, eh!” fai notare con difficoltà e sforzo nella voce e -soprattutto- nelle braccia.  “Sì, potrei” asserisce con poche parole lui non cambiando però i fatti. E con la stessa rabbia con cui vorresti prenderlo a pugni, riesci a spingerlo più in alto. Lo fai dondolare per un paio di minuti prima di lasciar perdere e sventolare bandiera bianca, deltoidi e bicipiti in fiamme. Jungkook se ne accorge, non percependo le tue mani sulla schiena una volta tornato indietro, ed allora decide di tirarsi su, in piedi sulla tavola di legno. La sua agilità ti fa sbattere le palpebre più volte, incredula. Lo vedi stirare le braccia ancora più in alto, avvinghiando le mani attorno alle catene per farne un nuovo punto di slancio e... capovolgersi. Come un diamine di ginnasta o acrobata da circo. Il panico ti scorre frenetico nelle vene nel vederlo a poco meno di un paio metri dal suolo appeso a due catene che ora sembrano così instabili ai tuoi occhi. Non riesci a trattenere un sussulto.  Lui dal suo canto sembra vivere il giorno più spensierato della sua vita, sorridendo come intenerito dalla tua materna preoccupazione. Noti che si sia assicurato alla trave principale con le gambe, spingendo il polpaccio contro il bicipite femorale, poplite a contatto con la sbarra -per fortuna in acciaio rinforzato. Una dannata scimmia.  “Mi farai prendere un infarto!” Sbotti ancora con la mano sul petto. “Ti picchierei se non fossi così instabile!” E sei sincera. Perché dev’essere sempre così spericolato? “E chi lo dice che sono instabile?” Ti provoca azzardando qualche lieve oscillazione ma fermandosi subito dopo aver incassato uno dei tuoi letali sguardi minacciosi. “Hai mai visto Spiderman?” domanda cambiando di punto in bianco atteggiamento. Ti domandi perché adesso abbia su la faccia da ruffiano. “Lo prendo per un no” deduce dal tuo silenzio. “Avvicinati”. Fai come chiesto, mantenendo però il broncio da fidanzata offesa che non ci tiene per niente ad accompagnare il proprio ragazzo al pronto soccorso con la testa spaccata in due. Non ha nemmeno la faccia arrossata nonostante sia a testa in giù; cominci a credere che non sia umano. I suoi capelli sfiorano appena la tua fronte standogli così vicina. “Mmh...” mugugna storcendo la bocca in una smorfia poco convinta. “Sei più bassa di quanto ricordassi.” “Sai cosa? A casa ci torni da solo” ti irriti aggrottando la fronte, pronta a fare dietrofront e mollarlo lì a ciondolare come un primato con quale sembra condividere il quoziente intellettivo. E senti perfino di fargli un complimento pensandola così. “Dai, ti sto solo prendendo un po’ in giro!” ridacchia malefico allungando un braccio per afferrarti la maglia. “Vieni, sali.” “Io non salgo in piedi sull’altalena.” “Ti aiuto io” ti incoraggia allargando le braccia. “Dovresti usare le mani per reggerti, imbecille! Se cadi ti spacchi la testa e non te la riattaccano nemmeno con una sparachiodi!” “Ma... io non cado” si difende come se stesse palesando la più scontata delle ovvietà. “Avanti, ti tengo io.” Non sai nemmeno tu perché stai acconsentendo a quella follia. Metti un piede sull’asse, afferri prima una catena e con l’altra mano accetti il sostegno di Jungkook, spingendoti su con uno slancio traballante. Ti aiuta a trovare l’equilibrio tenendoti per la vita ed in un certo senso ti senti davvero salda, al sicuro. “Visto? Facile!” E sai che quello è uno dei suoi modi indiretti per farti un complimento. “Se, se. E adesso?” Mantieni in vita il ruolo da stizzita focalizzandoti però sul suo viso che adesso sembra aver preso un po’ di colore.  Si assicura che tu abbia la stabilità necessaria per mantenerti da sola e muove le mani sul tuo viso che mai è stato incorniciato così prima d’ora. Ti bacia sulle labbra prima delicatamente; senti la punta del naso sfiorarti il mento ed è tutto così… strano. Non appena il bacio trova la sua intensità però non ci pensi più; non ti importa se sia il labbro inferiore quello che stai assaporando o se la punta delle tue dita stiano sfiorando le sue orecchie piuttosto che le tempie. Lasci semplicemente che il bacio ti porti in un’altra dimensione. Ma la preoccupazione che qualcosa possa accadere e farlo precipitare giù non ti concede questo lusso. E Jungkook se ne accorge.  “Torniamo a casa.” sussurra contro le tue labbra lasciandoti qualche goffa carezza data la la posizione ‘insolita’.
Entrambi con i piedi per terra, vi accingete a rimettervi in cammino e rincasare. Ma il tuo personale adulto-mai-cresciuto decide di non aver dato ancora il meglio di sé e così si ferma accanto ad un cavalluccio a molla e lo spinge con un piede, facendolo oscillare. Alterna uno sguardo divertito tra te ed il gioco, imitandone inizialmente il movimento unicamente con il capo.  “Sei un cretino” commenti nascondendo un sorriso tra le labbra strette. “E se faccio così?” Dice prima dare il meglio di sé in un’interpretazione total-body. “Sei un cretino due volte” ti lasci andare questa volta in una risata briosa. “Ma un cretino adorabile” puntualizzi. “Non occorre che tu mi faccia ridere, non sono più preoccupata” assicuri, convinta che stia facendo tutto pur di farti lasciare alle spalle l’ansia da sospensione in aria. “D’accordo. Allora appena torniamo a casa guardiamo Spiderman.” “Ci sto.”
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Quando vuole rimanere da solo con te.
Un’altra esibizione è andata a buon fine ed i ragazzi raggiungono uno alla volta il backstage, seguiti da un paio di membri dello staff che li aiutano con unità respiratorie manuali a riprendere possesso di un ritmo cardiaco più umano; perché sì, la coreografia è così intensa.  “Guardalo come scorrazza felice” dice Jin stuzzicando il primo ballerino e  tamponandosi il sudore della fronte con un fazzoletto che ha deliberatamente rubato dalle mani della truccatrice andatagli in contro come una furia a fine spettacolo. “Ha fretta, la gazzella innamorata. Sa chi c’è ad aspettarlo là dentro” gli dà manforte V mentre con un cenno della testa indica la porta verso la quale il suo coetaneo si sta dirigendo a passo spedito. Ed è proprio con la voglia di vederti negli occhi e nel cuore che Jimin si precipita dietro le quinte; sembra quasi essersi dimenticato d’aver appena sostenuto un’esibizione da togliere il fiato. In tutti i sensi. Non appena entra nella stanza, la prima cosa che vede è la tua figura balzare in piedi dal divano battendo le mani. Non sai mai darti un contegno quando si tratta di mostrare quanto tu sia orgogliosa di loro. E benché abbia duemila motivi per restare senza fiato in quel momento, il principale resti sempre tu; sarebbe disposto a giurarlo davanti alla Corte Suprema se necessario. È così bella. Glie lo leggi in faccia che è questo ciò che pensa e per un attimo senti le guance riempirsi di lusinghiero imbarazzo. È ancora fermo all’ingresso a consumare con gli occhi le tue gambe scoperte dal vestitino quando alle sue spalle sopraggiunge Hobi, il quale gli scompiglia i capelli per ‘riportarlo al mondo reale’ e ti rivolge uno dei suoi soliti sorrisi brillanti e contagiosi. “Ce l’hai fatta!” Esclama contento avvicinandotisi. “Ti abbraccerei ma, sai, sudore!” Si scusa ridacchiando e toccandosi la maglia visibilmente umida. Con un gesto della mano gli fai capire che non te la prenderesti mai per una cosa del genere e, seguendo i movimenti del gruppo, anche voi vi accomodate sul sofà. Nella stanza impazza un clima di generica giovialità; tutti tra Bangtan e staff chiacchierano e commentano ironicamente la performance, focalizzandosi soprattutto sull’espressione sempre impeccabile di Jin, il quale non perde occasione di ribadire quanto perfetti siano i suoi lineamenti. Ma in quel quadro, qualcosa sembra fuori posto. Palesemente infastidito, Jimin ti siede accanto muovendo lo sguardo da un lato all’altro della stanza ed agitando la gamba nervosamente come in attesa da un’eternità.  “Tutto bene?” provi a chiedere sottovoce posandogli una mano sul ginocchio nel tentativo di fermare il frenetico tremolio.  “Voglio stare con te” confessa mantenendo il tuo stesso volume per non farsi sentire dagli altri.  “Ma-” “Solo con te” si affretta a specificare prima ancora che tu possa anche solo pensare a come replicare. E la combo delle sue parole con l’intensità del tono della voce non ti aiuta di certo a farlo. Resti immobile, ammutolita, per un paio di secondi anche stordita. Quando realizzi di avere ancora la mano sulla sua gamba, la ritiri di scatto per non recitare il ruolo di diavolo tentatore della situazione. Perché non è affatto il caso che ora ti metta a pensare quanto Jimin sia attraente in quelle vesti: i capelli tirati all’indietro ad esporre la fronte ed il sudore a bagnargli l’attaccatura fino ad arrivare alle basette, le labbra colorate da una seducente tinta dall’effetto volumizzante, la canottiera bianca che lascia intravedere muscoli messi a dura prova, il tutto tenuto assieme da un mucchio di pelle argentata e cinghie che come una provocante imbragatura gli mettono in risalto la vita stretta.  Dannazione, ti ammonisci scuotendo fuori dalla tua testa quei pensieri. Devi dire qualcosa, una qualsiasi, prima che possa mal interpretare il tuo gesto. “Ti assicuro che condivido a pieno il tuo desiderio” chiarisci alzando lo sguardo sul suo, apparentemente però ancora troppo avido della tua pelle in vista per ricambiarlo. “Ma Jimin, per amor di Dio, dobbiamo darci un contegno. Credi che sia facile per me frenare l’istinto di sganciarti una ad una quelle fibbie con i denti? No, non lo è. Te lo assicuro. Quindi, per favore, cerchiamo di collaborare e ne usciremo vivi. Forse.” sputi fuori in un vomito di parole che sei comunque costretta a sussurrare in una frazione di secondo, neanche stessi cercando di rubare il lavoro alla rap line. Avresti una carriera, da quanto vedi. “Dobbiamo andare via da qui. Il più presto possibile” mette fine alla chiacchierata lui, sforzandosi poi d’intrattenerne una più disinvolta col resto del gruppo. 
Del tempo passa tra cambio d’abiti, rimozione trucco e saluti/ringraziamenti generali. Tu e Jimin vi ricongiungete una volta saliti in auto; lui è interamente avvolto nel suo cappotto lungo e nasconde il viso dietro un paio di occhiali da sole. Non c’è il rischio che qualcuno possa vedervi insieme lì ma la precauzione non è mai troppa. Vi dirigete verso l’hotel; la tensione sessuale nell’aria si taglia con un coltello ma nessuno dei due si azzarda a dire una parola.  Ti manca il respiro, vivi sul filo del rasoio, l’ansia ti si spande nello stomaco come il peggiore dei veleni. Ma questo non ti impedisce - in un totale anarchico, impavido, provocatorio, incosciente gesto- di sistemare la gonna in vita, portandola in modo inevitabile ad accorciarsi ulteriormente di un paio di centimetri. E grazie all’apertura data dagli occhiali di cui riesci a servirti da quella prospettiva, hai la certezza che se ne sia accorto. 
Quando la carta viene passata sul lettore e la porta della stanza finalmente si apre, il veleno torna per farti assaggiare gli effetti della sua corrosione. Ma non è una cosa della quale ti devi ancora preoccupare per molto.  Avanzate a stento di due passi, fai giusto in tempo a chiuderti la porta alle spalle prima di venire sollevata di peso per la vita. Le sue labbra si avventano addosso alle tue come farebbe un sommozzatore in cerca di aria nuova ritornando in superficie dopo infiniti minuti di apnea. Cerchi sostegno avvinghiandoti con le gambe appena sopra il suo bacino ma senti che c’è qualcosa di strano. Grazie al cielo la tua mente, già a mollo nella serotonina, opta per la filosofia del ‘vedere per credere’ piuttosto che quella dell’ipotizzare a vuoto milioni di opzioni. Le mani s’infilano sotto le spalle del cappotto per sfilarlo ma la tua stretta impedisce all’indumento di cadere. Ma allo stesso modo tu non hai intenzione di mollare la presa quindi ti ritrovi in una situazione di stallo in cui vuoi sbarazzarti dei suoi abiti ma non vuoi staccarti da lui. Per fortuna ci pensa lui a risolvere il problema; si muove dalla posizione iniziale per raggiungere la parete a voi più prossima, comprimendoti tra il muro e il suo corpo. La tua schiena riceve il contraccolpo ma non te ne lamenti, non a parole almeno: i denti pensano bene di riferire il messaggio mordendo il suo labbro inferiore, ricambiando la ‘violenza’ subita. Lui non ne sembra offeso, tutt’altro. Fatto sta che ora, aiutato dalla fisica, è libero di usare le mani non più per sorreggerti, ma per liberarsi del pesante soprabito e rivelare la piccola sorpresa che aveva tenuto nascosta ai tuoi occhi ma non ai tuoi sensi. La pelle lucida dell’harness riflette sinuosa la fioca luce che s’insinua nella stanza attraverso le tende e le parti di metallo sembrano arroventarsi a contatto con la tua pelle in ebollizione. “Hai detto che volevi sganciarle una per una, no?” ripete le tue stesse parole accostandole ad un eloquente ghigno. Leggere la sorpresa nei tuoi occhi al riconoscere l’indumento indossato durante la performance lo esalta. Vorresti chiedere come abbia fatto a tenerla, darti della stupida per non averlo dedotto prima, complimentarti con la sua mente perversa per aver architettato l’intero piano nell’ombra ma, onestamente, tutte queste opzioni sono mute di fronte alla possibilità di baciarlo e basta. Ma ogni promessa è debito perciò fai scivolare le mani dalla nuca ispida fino alla parte frontale, dove sul collo brilla una delle fibbie incriminate, e cominci ad aprirla. “Ah-ah” ti ammonisce dispettoso lui, allontanando lievemente il viso e quindi fermandoti nel fatidico intento. “Hai anche detto che l’avresti fatto con i denti.”  E lo sguardo che ti rivolge è tutto un programma, la malizia reincarnata.  E lo ami. Ami quel diavolo vestito da angelo.
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Quando non trovi le parole ma  in realtà non servono.
Il servizio fotografico per un nuovo progetto pubblicitario è appena terminato per Namjoon, il quale decide di aspettare che anche il resto del gruppo concluda con i propri scatti singoli nel cortile dell’edificio. Normalmente impiegherebbe quei minuti di buco per controllare le mail e fare un giro sui vari social media ma dal momento che anche tu sei lì, straordinariamente nello stesso luogo e continente, la sua scaletta cambia automaticamente. Siete quindi entrambi seduti su una panca in granito, lui più in alto, sulla spalliera, e tu appena accanto ai suoi piedi, che di tanto in tanto posi la testa sulla sua gamba quando il calore dei raggi del sole ti contagia con una punta di sonnolenza.  Non avete il bisogno di distrarvi con vaghe conversazioni o vuote chiacchiere per godere della reciproca compagnia; a volte vi basta semplicemente stare insieme e… nient’altro. Solo Dio sa quante ore avete trascorso così, in silenzio, a leggere dei libri nella calma solenne di un salotto o di un aereo. Entrambi ricaricate le vostre batterie così. Lasci dunque che la quiete vi culli e porti la vostra mente in posti più lontani e sereni. Ma per te pensare ad un luogo del genere è troppo difficile perché quelle sensazioni non riesce a trasmettertele uno spazio fisico quanto accuratamente riesca a fare una certa persona. Quando alzi la testa per entrare in quello stato di totale pace, il tuo sguardo incontra una visione angelica; con il volto rivolto verso il cielo e gli occhi chiusi, Namjoon risplende di un bagliore caldo e puro. La luce si fa spazio tra ogni singolo capello che gli cade sulla fronte, delinea il profilo del naso e fa scintillare il resto del gloss sulle labbra facendole apparire ancora più piene e soffici. L’ombreggiatura del trucco contrasta il riflesso del sole sugli zigomi lineari, l'undercut nel suo taglio di capelli che noti risalire dalla nuca ispida fino alla basetta, quella così vicina ad uno dei due piccoli nei gemelli che gli decorano il profilo destro come fossero impercettibili macchie d’inchiostro sulla tela liscia della sua pelle color miele in stagioni soleggiate come quelle. Ed intanto che il viaggio visivo prosegue, scendendo verso una valle fatta da vene giugulari e stessa incisura, qualcosa cambia: le guance si riempiono e colorano di rosa mentre il loro volume va a mutare la forma degli occhi, ora più sottile. Un’ adorabile fossetta fa capolino due centimetri più in là dall’angolo interno delle labbra; ed anche se sai che quella più marcata si trova sul lato sinistro, quello che ti è nascosto dalla prospettiva, è come se la vedessi comunque.  Perché, proprio come accade per i vostri momenti di totale armonia, non occorre che facciano rumore.  Perché come tu sei riuscita a percepirla sul suo viso senza vederla, lui ha sentito la tua attenzione ad occhi chiusi.  “Io… vorrei ci fosse una parola in grado di descrivere appieno quello che provo per te.” tiri fuori in un sospiro, incantata. A volte i sentimenti che nutri per lui sono così improvvisi ed intensi da lasciarti senza fiato, in un limbo di assente adorazione e gratitudine, quindi non poterli manifestare o descrivere in maniera tale da fargli giustizia ti sfibra. Stai ancora riflettendo in una serie infinita di pensieri su quanto ti accade dentro quando prende parola. “ ‘Kilig’.” dice tornando serio e facendoti l’immenso regalo di ricercare e concatenare la tua mano alla sua, costringendoti a manifestare una maggiore presenza mentale dopo il viaggio sulle rosee nuvole dell’amore. Ma per quanto ti sforzi, non riesci proprio a coglierne il significato. “È una parola in tagalog, una delle lingue principali delle Filippine” risponde ai tuoi muti dubbi portando le vostre mani vicino alle labbra per baciare il dorso della tua, accarezzandola subito dopo con il pollice.  Il fatto che non si sia ancora sbilanciato nel guardarti solitamente presagisce un certo imbarazzo da parte sua. Oppure, come in quel caso, un restio aprirsi e permetterti di andare oltre la sua comfort-zone.  Ami la rarità di quei momenti perché è proprio questa a renderli speciali.  “È l'eccitante e sublime trasporto che provi quando ti accade qualcosa di bello, come baciare qualcuno per la prima volta” rivela tentando d’improvvisarsi stoico con quella definizione degna di un dizionario. Peccato che tu percepisca la sua agitazione nella voce e nella stretta che tiene ancora vicino al viso.  Lo ascolti in religioso silenzio, un po’ perché senti sia la cosa giusta da fare ad un po’ perché il tuo respiro è bloccato nei polmoni e si rifiuta di uscire fuori. “Magari non descriverà appieno tutto quello che provo ma… è ciò che ci va più vicino.” Lo palesa mentre con sguardo nel vuoto annuisce con il capo, gesto che compie quando è davvero convinto che quanto affermato sia una verità assoluta. “Joonie…” è tutto ciò che riesci a replicare mentre ruoti il tuo corpo nella sua direzione, rimpiangendo di non esserti seduta sulla spalliera alla sua stessa altezza. “Non lo dico tanto per dire” mette in chiaro, incosciente di darti il colpo di grazia decidendo di guardarti negli occhi una volta per tutte. Una scossa che ti fa tremare le gambe. “Lo dico perché è quello che sento.” E le sue iridi brillanti sono solo una tra i milioni di conferme che hai a riguardo. “E mi dispiace se non sono il tipo di fidanzato che lo dimostra dandoti il bacio del buongiorno ogni mattina o sbandierandolo ai quattro venti con continue effusioni d’affetto.” “Non dirlo nemmeno per scherzo” lo fermi prima che possa esordire con altre stupide scuse senza senso. Abbandoni la tua posizione per sopraelevarti, mettendoti a sedere al suo fianco, spalla contro spalla. In canale visivo non viene interrotto nemmeno per un secondo, come se fosse proprio quello a mantenere viva l’intera conversazione. E forse lo è davvero. “Non hai niente di cui scusarti. Se sono innamorata di te è perché amo il modo in cui mi ami” prosegui portando la mano destra, quella libera, sulla sua guancia calda. “Dio, Namjoon, tutte le volte che parlo con te è come se facessimo l’amore! Non so neanch’io come diamine faccia a sopravvivere a tutte le nostre chiacchierate!” E capisci dalla sua espressione sorpresa di aver deragliato il dialogo verso binari pericolosi, a volte anche sconnessi. Quindi ti impegni al massimo per poter tornare sulla pista principale. “Il punto è… che amo questa testolina e tutto quello che c’è dentro, che siano idee brillanti o dubbi esistenziali.” Le mani compattano ulteriormente la morsa e durante il vostro ennesimo silenzio Namjoon avvicina la propria fronte alla tua, facendole incontrare in una tenera e profonda connessione. E ti va benissimo così, anche se non c’è nessun bacio o abbraccio. Rimanete in quella posizione per i cinque secondi più eterni che tu abbia mai sperimentato peró poi, a malincuore, sei costretta a privartene, avendo udito un applauso provenire dall’interno dell’edificio: il photoshoot era terminato. “Dovremmo rientrare” mormori sommessa sorridendo prima di interrompere il contatto ed alzarti dalla panca per dirigerti verso la porta.  Avanzate non più di tre passi prima che lui possa bloccare bruscamente i suoi piedi e tirare la tua mano all’indietro, costringendoti a voltarti di scatto nella sua direzione.  Accade in un lampo. Il tuo viso è incorniciato dai suoi grandi palmi, i corpi sono compressi l’uno contro l’altro e le lingue si muovo libere ad all’unisono in una danza che ti sta lentamente uccidendo pur facendoti sentire ogni secondo più viva.  Frenare quell’impulso è impossibile. “Kilig” ripeti contro le sue labbra da attenta studentessa quale sei. “Assolutamente” ti spalleggia orgoglioso. “PICCIONCINI, È ORA DI ANDARE!” Urla Jin facendo capolino dallo stabile seguito dal resto del gruppo, battendo le mani come se stesse davvero cercando di scacciarne uno stormo dal proprio giardino. “La gente qui ha fame, cerchiamo di darci una mossa, su, su! Voglio tutti sulle auto entro due minuti, l’ultimo che arriva paga per tutti.” Ed a quelle parole Jimin supera tutti come una cometa, sapendo di essere lui quello sempre in ritardo per qualsiasi cosa. L’intera scena vi fa scoppiare a ridere, riportandovi con i piedi per terra nella maniera meno brusca possibile. O almeno così credevi. Il rapper a quanto pare non ha la stessa fretta: infatti non si smuove di un millimetro se non per scuotere la testa e sorriderti furbo. “Ha detto due minuti, no? Saranno soldi spesi bene. Benissimo.”
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Scenate di gelosia sotto copertura
C’è una certa tensione nell’aria e non ti fai problemi a puntare il dito contro Taehyung per questo. Nonostante sia in corso una videochiamata e non vi troviate fisicamente insieme nella stessa stanza, capisci dal modo in cui incupisce le sopracciglia che qualcosa lo disturba. “Sei nervoso per il concerto di domani?” lanci la prima vaga ipotesi mentre finisci di sistemare il maglioncino nella gonna.  “Le prove sono andate bene” dice comprimendo risposta diretta e spiegazione in una manciata di parole.  “D’accordo, allora cosa c’è?” Vai dritta al punto fermando i tuoi preparativi e mettendoti seduta sul letto d’albergo in cui alloggi. Siete entrambi in Giappone, ad Osaka; V è nel bel mezzo di un tour e tu l’hai seguito ben volentieri, approfittando del suo fantastico lavoro per coronare il sogno di visitare la terra del Sol levante, patria del sake, degli anime e di Godzilla. Ma la compagnia aveva messo in chiaro fin da subito quali fossero le condizioni: avreste dovuto prendere voli separati ed alloggiare in hotel diversi per non destare sospetti, trascorrendo quindi del tempo insieme unicamente dietro le quinte del palco.  Ed è allora che ti si accende la lampadina sulla testa. “Non sarà mica per-” “È stupido” borbotta a confermare la tua teoria che non ha nemmeno bisogno di ascoltare fino alla fine. Anche solo il sentire quella sciocchezza, seppur dalle tue labbra, gli fa ribollire il sangue.  “È una questione di sicurezza” lo correggi con fare materno. Pagheresti tutto l’oro del mondo per potergli accarezzare la testa e modellargli a forza con le dita un sorriso sulle labbra come fai di solito quando vuoi tirarlo su di morale. “Lo sai che qui in Giappone vi conoscono anche i muri; siete più esposti. Dovresti essere contento anche solo per il semplice motivo che vi lascino andare in giro, seppur sotto scorta.” “Ma è la tua prima volta in Giappone e speravo di… ah, lascia perdere” scuote la testa e ruota gli occhi al cielo. Se avessi il potere di vedere il livello di scocciatura riempire le sagome dei tuoi interlocutori come se fossero dei recipienti, adesso quello di Taehyung sarebbe all’altezza delle tempie.  Da lontano c’è poco che tu possa fare se non limitare i danni. Perciò prendi in considerazione le sue ultime parole e sorvoli sull’argomento. “Quindi dov’è che andrai questa sera?” cambi tema sfoggiando un bel sorriso incoraggiante e, speri, anche contagioso. “Così bello, poi! Devo preoccuparmi?” scherzi stuzzicandolo.  Perché chiaramente scherzi. Stai scherzando. Da brava burlona quale sei. Scherzi?  Sì, scherzi. Devi tornare in te, non sei quel tipo di fidanzata. Ma devi anche essere sincera con te stessa e non comportarti da ingenuotta: sai benissimo che il tuo ragazzo attiri occhiate furtive ovunque vada come se fosse una calamita vivente per la malizia. Con ragione, non puoi certo biasimare nessuno. Ma se si mette anche in tiro è finita. Il collo della camicia che conduce lo sguardo sul pomo d’Adamo, i capelli scuri tenuti lunghi che gli solleticano la nuca, il viso pulito, la pelle che brilla di una perfezione disumana.  Faranno meglio a mettere l’ambulanza tra le chiamate rapide, pensi ingoiando bile a vuoto.  “Farò un giro per Sakurabaschi, credo” alza le spalle e recupera un copricapo da un angolo fuori dall’inquadratura. Di bene in meglio. “Tu hai deciso dove andare?” ti rigira la domanda fissando un punto preciso nello schermo ossia le tue gambe scoperte. “Dotonbori!” esclami eccitata solo al pensiero. “Bancarelle, luci al neon, street food. Mi conosci; ci vado a nozze con luoghi del genere!” “Se succede qualcosa, qualsiasi cosa, ch-” “ ‘Chiamami’. Lo so” lo rassicuri come se stessi avendo quella conversazione con i tuoi genitori apprensivi. “Se ti perdi-” “ ’Chiamami’ ” ripeti cantilenante trovando la scena estremamente divertente.  “Se qualcuno di sospetto ti si avvicina, tu cosa fai?” Quiz dei quiz, Signore e Signori. “Gli chiedo se ha da accendere?” ti fai beffa di lui improvvisando la più seria delle espressioni. Esci però immediatamente dal ruolo sghignazzando per la sua smorfia esilarante. “Ti chiamo.” dici tra le risate. “Tae, davvero, non è la prima volta che viaggio o esco da sola. Posso farcela. Adesso devo andare. Ci sentiamo più tardi, va bene?” E con la promessa di un riscontro notturno di bilancio, terminate la videochiamata e ti accingi ad afferrare le tue cose ed uscire: direzione quartiere di Dotonbori.
La tua serata procede divinamente: hai gustato il delizioso okonomiyaki, hai comprato braccialetti coloratissimi ed altri oggetti caratteristici lungo la via ed ora sei in una sala giochi tentando di chiedere una grazia alla dea bendata e farti vincere a quanti più giochi possibili. Hai puntato un peluche a forma di fragola dagli occhioni super ‘kawaii’ che pensi sarebbe perfetto da abbracciare di notte, in mancanza della tua calda e coccolosa scelta numero uno, e per farlo tuo hai bisogno di accumulare punti.  Passi dagli sparatutto agli arcade, dalle slot Pachinko -tipici ‘flipper verticali‘ giapponesi- ai simulatori di guida; tutto. Riesci finalmente ad accumulare il numero di punti che ti serve per portare a casa il meritato morbido compagno. Ti avvicini dunque al bancone della zona premi sul quale vi è appoggiato coi gomiti un dipendente del posto. Gli mostri lo scontrino con su riassunto il numero di quanto accumulato con tanta fatica e, cordiale, gli sorridi, non sapendo spiccicare una parola di giapponese. Sei sicura sappia almeno un minimo d’inglese; tutti i dipendenti nelle zone turistiche solitamente lo conoscono. Ma tu non sei una che dà per scontato nulla e, per ciò che serve in quel momento, la comunicazione verbale non è essenziale. Dopotutto devi semplicemente indicare il premio che pende proprio sulla tua testa; non è difficile. Ed è esattamente ciò che fai un secondo dopo. Il ragazzo gentilmente annuisce e lascia la propria postazione per raggiungerti dall’altro lato. Sei sicura che l’abbiano scelto così alto e carismatico per attirare più clienti e raggiungere i peluche senza l’ausilio di scalette o altri utensili.  Ottima strategia di marketing, ne convieni. Quello che non ti aspetti però è che cominci a fare il finto tonto. Il giovane infatti si posiziona esattamente dietro di te, ignorando qualsiasi forma di spazio personale, ed alza il braccio per afferrare il pupazzo sbagliato, appena accanto alla tua bramata fragola. A disagio ma senza abbandonare la tua educazione, tenti di stirare ulteriormente il tuo, di braccio, per indicare quello corretto ma imperterrito continua a ‘sbagliarsi‘, questa volta puntando quello immediatamente sulla sinistra. Data la differenza d’altezza di una certa rilevanza, senti il suo respiro sulla fronte, a riprova della sua inopportuna vicinanza. Per non parlare di ciò che accade alle tue spalle.  Deve essere un patito delle flessioni, ti viene da pensare in automatico. Ora: non sei un’esperta della millenaria tecnica del flirt ma non ci vuole certo Sherlock Holmes per capire che è esattamente questa la sua intenzione. Quello che nessuno dei due sa -e si aspetta- però è che qualcuno abbia deciso assolutamente in maniera casuale di cambiare destinazione, quella sera. Sta passeggiando tranquillo per le luminosissime vie di Dotonbori, chiacchierando di tanto in tanto con i suoi bodyguard in borghese, quando di punto in bianco è costretto a fermare i suoi passi, mettendo sull’attenti la propria compagnia. Fissa la scena fin dall’inizio; è quasi sicuro di poter sentire il sangue ribollirgli nelle vene. Mette le mani in tasca con un autocontrollo che dimostra grande classe. Al suo fianco la scorta, al corrente della vostra relazione, suda freddo. Qualcuno lo incoraggia addirittura a proseguire, premendo sul tasto del ‘se attira troppo l’attenzione rischia di essere scoperto’. Ed assalito. Ma questo non lo palesa. L’unica voce che riesce ad udire in quel momento Taehyung è quella del mostriciattolo verde che gli suggerisce in un infido sussurro di prendere a pugni il marpione. Quando si decide ad intervenire per le guardie non c’è nulla da fare. Si muove troppo in fretta e lo stanno ormai guardando tutti: restare impalato nel bel mezzo di una strada trafficata e sempre in movimento porta a questo. La gente è incuriosita da ciò che spinge il bizzarro ragazzo dalla bellezza fuori dalla norma ad immobilizzarsi di colpo. Dal nulla spunta così alle tue spalle una terza mano, afferrando la fragola di stoffa e sganciandola dal piccolo rampino lentamente, quasi a rallentatore, a sottolinearne la facilità del gesto. Riconosceresti quelle dita lunghe anche al buio. Per questo il tuo cuore salta più di un paio di battiti. Lo scambio di espressioni che avviene tra i due esseri elfici capaci di guardarsi negli occhi fa gelare l’aria.  “Le piace la fragola” dice in un giapponese impeccabile Taehyung passandoti l’oggetto ma senza interrompere la seconda conversazione, quella visiva e decisamente più eloquente, con il nativo. Il registro basso e la totale piattezza nell’intonazione rendono la frase di una gentilezza gelida ed intimidatoria: solo lui può conciliare due cose diametralmente opposte come quelle così bene. Tu, nella tua ignoranza linguistica e nello shock generale, non cogli il significato di quelle parole. Ti limiti ad accogliere tra le tue mani il premio, sfiorando di proposito le dita di V con massima discrezione e disinvoltura. Speri che basti a placare il suo animo già tormentato dalle contrattuali restrizioni da parte dell’agenzia. Tra i due avviene un ultimo scambio di battute e dopo un appena abbozzato inchino, il dipendente ritorna dietro al bancone, salutandoti con un amaro e forzato sorriso.  Non riesci a metabolizzare come -o meglio ancora cosa- sia successo; sei ancora lì a dividere il peluche con Taehyung, impegnata a ricevere dai suoi lineamenti tutti i segnali possibili per intercettare qualsiasi stato d’animo. Ma la maggior parte dei dati che ti sopraggiungono sono quelli relativi alla sua dannatissima potenza attrattiva. Perché dev’essere ancora più bello quando cela i suoi sentimenti?  “Davvero molto carina” esordisce ora calmo fissandoti dritto negli occhi per tre solidi secondi; secondi che bastano a farti tremare dentro. Ripone ancora una volta le mani nelle tasche dei pantaloni e poi indica con un cenno della testa la fragola. Ma tu sai benissimo che quel complimento è riferito a te e che sta solo cercando di arginare le conseguenze che comunque appariranno sui tabloid la mattina seguente, sottintendendo un falso soggetto. Se questo è il modo in cui dobbiamo comunicare quando siamo in pubblico, tra le righe e vie per traverse, allora così sia, ti dici. “Grazie. È un regalo per una persona speciale.” “Sono sicuro che lo adorerà” si sbilancia con un amaro sorrisetto, consapevole del fatto che dovrà aspettare l’indomani per averlo, quando vi incontrerete dopo il concerto. E l’interazione sta durando troppo per sembrare ancora casuale, ne sei ben cosciente. Devi porre fine a quella scena subito. “Devo... andare” annunci a malincuore. “Ho una chiamata urgente da fare” lo avverti velatamente. “Grazie mille per l’aiuto” concludi infiocchettando la farsa con un riverente inchino al quale lui ricambia titubante, a disagio. È triste pensare a quanta differenza intercorra tra le vostre effusioni d’affetto nell’intimità della vostra vita privata e quella pubblica. E leggi lo stesso identico pensiero anche nei suoi occhi non appena li rincontri fugacemente dopo il saluto, prima di voltarti ed incamminarti verso l’hotel.
“Sei un uomo morto, Kim Taehyung.”  “Ah, non me lo ricordare! Sono spuntati già i primi video in rete.” “Cosa?! Di già? Sei serio?!” “Serissimo. Ma pare l’abbiano presa come un ‘è così gentile da aiutare una straniera in palese difficoltà con la lingua’, quindi penso mi daranno solo qualche decina di ergastoli.”   “Mi dispiace averti causato questi problemi.” “Non è colpa tua.” “Giusto, giusto... è colpa tua.” “COSA?! Come sarebbe a dire che è colpa mia?!” “Non dovevi andare dalle parti di Sakurabaschi?” “Ho... cambiato idea.” “Mmh. Così. All’improvviso.” “Certamente! E poi, ferma lì, non eri tu quella che doveva chiamarmi se qualcuno di sospetto ti si avvicinava?” “Non ne ho avuto il tempo! E poi… non l’avrei definito ‘sospetto’.” “...” “Sto scherzando, TaeTae. Ti amo tanto!” “Io sarò anche un uomo morto, ma stai pur certa che verrai giù all’inferno con me!” “Che fai, io ti dico che ti amo e tu mi rispondi che trascinerai il mio corpo negli inferi? Dov’è finita la galanteria?” “L’ho lasciata appesa al gancio di quella sala giochi.” “Aaah, che scenata memorabile! ‘Le piace la fragola’. Boom! Wow. Da togliere il fiato!” “Prendermi pure in giro, avanti!” “Guarda che dico sul serio! Credo di aver rischiato l’infarto.” “Questo è quello che succede quanto ti fai troppo carina e te ne vai in giro da sola.” “Disse la celebrità internazionale, visual, cantante e ballerino del gruppo di idol più famoso del mondo, modello ed all’occorrenza anche attore. E che per altro mette su le camice come quelle per ‘fare un giro in città’. Certo.” “A proposito, sarebbe ora che mi togliessi tutto e mi infilassi finalmente il pigiama per and-” “Non farti problemi.” “In che senso?” “Fai pure. Spogliati.” “Q-Qui? Adesso?” “Che c’è, ti vergogni?” “No! Tzè, che razza di domande. No! Certo che no. Sei la mia fidanzata, pensi che mi vergogni a-- a-”  “...  Sei l’uomo con più sfaccettature che io abbia mai incontrato nella mia vita.” “E le ami tutte, vero?” “Assolutamente. Adesso va’ a dormire però. Hai un concerto ed un’infinita ramanzina da affrontare domani: avrai bisogno di energie. Buonanotte, honey bear.” “Buonanotte.  Abbracciati quel pupazzo finché puoi perché conto di spodestarlo molto presto!”
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Quando dividete il milkshake
È una domenica pomeriggio d’agosto e fuori fa troppo caldo per permettersi il lusso di uscire di casa senza un buon motivo. “Voglio un milkshake” sbuffi capricciosa spalmata sul bancone della cucina cercando sollievo nel freddo marmo bianco. Ma la verità è che sei in quella posizione ormai da mezz’ora; nessun centimetro quadrato è nemmeno lievemente fresco a questo punto. Jimin, quell’angelo fatto uomo del tuo fidanzato, afferra il cellulare e con sorrisetto intenerito dal tuo broncio avvia l’app per ordinare d’asporto.  "Che gusto vuoi?” “Sei serio?!” Trilli con gli occhi luminosi come scintille tirandoti su, riassumendo una postura più simile ad un umano che ad una spugna di mare. “Mmmh… magari fragola? Non vorrei esagerare…” pensi ad alta voce ignorando le smorfie contrariate di Jimin che fanno da sfondo ai tuoi ragionamenti da salutista saltuaria. Ma non si azzarda a contraddirti. Un giorno gli sarebbe spuntata un’aureola, ne sei sicura.
I quindici minuti più lunghi della tua vita. Ti sei piazzata dietro la porta d’ingresso nella speranza che nel videocitofono salti fuori la sagoma dell’eroe senza mantello che è il fattorino con in mano il Sacro Graal di ogni estate afosa che si rispetti. Sei grata che il posto sia abbastanza vicino da non permettere ai drink di sciogliersi come neve al Sole durante il tragitto. Quello poteva essere considerato più come un servizio in camera che come uno a domicilio, dopotutto. “È qui, è qui!” salti sul posto eccitata premendo a caso tutti i pulsanti nel tentativo di aprire il portone ad accorciare i tempi. 
“Allora...” comincia tirando fuori dal sacchetto il primo milkshake. “Fragola per te e cioccolato per me!” annuncia vittorioso parandoti il bicchiere davanti. Nei suoi occhi l’orgoglio di averti reso felice. E lo sai perché brillano almeno quanto i tuoi in quel momento d’estrema euforia. “Sei il migliore!” Canticchi stritolandogli un braccio in una stretta quanto rapida morsa a causa del caldo e del sudore che sei sicura di avere addosso. Lui si limita a prendere i meritati complimenti e ridacchiare con quella melodiosa voce che se fosse per te classificheresti come primo suono più rilassante dell’intero universo. Ti butti a capofitto sulla tua bevanda, tirando su il primo sorso un po’ goffamente a causa della pressione esercitata dalla densità del milkshake sulla cannuccia. La tua espressione -ed impazienza- non fanno che tener viva la melodia della risata di Jimin, il quale continua a guardarti come se fare ciò gli fosse più di sollievo che cominciare a bere e rinfrescarsi.  Passa una ventina di secondi in quella posizione, mescolando distrattamente la sua bomba di cioccolato con la cannuccia e fissandoti, assorto in chissà quale pensiero. Poi comincia a bere anche lui. E adesso che la foga è andata scemando e cominci a rinfrescarti, i tuoi sensi tornano vigili e plachi la tua esaltazione. Con la coda dell’occhio rubi furtiva qualche immagine e cominci a seguire il movimento della sua mandibola, la quale ne rimarca gli angoli ogni volta che butta giù un sorso. Lo sguardo non può che arrendersi e percorrere quel peccaminoso cammino passando dalla gola e risalendo ancora verso le labbra che carnose avvolgono l’estremità del tubicino di plastica, rendendo il tutto soffice ed allo stesso tempo caldo. Pericolosamente caldo.  E solo Jimin era in grado di scatenare certe sensazioni in te. Proprio a causa di questo suo dualismo, accorgendosi del tuo ormai-non-tanto-furtivo sguardo, sfodera il lato adorabile ed apprensivo e smette di bere. “Hai cambiato idea? Vuoi assaggiare questo al cioccolato?” Ti domanda con occhi grandi e che ti prometterebbero la Luna se solo gli palesassi il desiderio di possederla. Presa con le mani nel sacco, pur di uscire dignitosamente da quella imbarazzante scena che ti fa sentire come una sorta di pervertita, annuisci e bevi dal suo bicchiere che ti sta gentilmente reggendo sotto al naso.  Non hai mai avuto dubbi a riguardo: quello al cioccolato è più buono e gustoso di quello alla fragola ma non sei sicura che sia tutto merito del cacao. È come se riuscissi a percepire il suo sapore lì dentro. E la cosa non aiuta a placare i bollenti spiriti. Avverti la sua attenzione su di te, sei sicura abbia captato qualcosa, lo vedi troppo preso. E troppo vicino.  La tua mente, non riuscendo a filtrare più nulla e decidendo di mettere in prima linea il fissarlo imbambolata, passa in secondo piano l’azione base di bere, costringendo la tua gola a difendersi e cominciare a riprendere le redini della situazione facendoti andare di traverso il milkshake e quindi tossire. Un disastro. Non ti ci abituerai mai.  “Tutto bene?” comincia tempestivamente a darti delle leggere pacche dietro la schiena lui, mutandole in piccole carezze una volta assicuratogli di essere viva tramite un breve cenno della testa. “Ah, sei proprio distratta!” Sospira sforzandosi di non riderti in faccia. Resti muta, sperando di sprofondare in un buco nero e non venirne fuori finché lui non abbia scordato l’accaduto, ma dopo un paio di secondi ti sorprende con delle parole che non ti aspetti. “Distratta come al solito ma stranamente ordinata“ ti prende in giro rimuovendo il coperchio dal proprio milkshake ed intingendo la punta del proprio indice all’interno per poi usarlo come un pennello e spalmarlo sulle tue labbra. Impietrita e confusa resti a fissarlo, sbattendo le palpebre più velocemente del normale. “Ecco fatto!” esclama soddisfatto come se avesse appena creato chissà quale opera d’arte per poi mettere il dito in bocca per liberarsi del residuo. “Adesso sì che ho una buona scusa!” Commenta calando una maliziosa maschera sul suo viso e chinandosi sul tuo, puntando le labbra come bersaglio. Sei abbastanza sicura che il cuore ti sia già esploso nella cassa toracica quindi non speri nella collaborazione di nessun organo interno oramai. Jimin, declassato ufficialmente da angelo a figlio di buona madre, sbaglia di proposito la mira e va a baciare la zona appena sopra le labbra, l’arco di Cupido, migrando successivamente verso l’angolo destro facendo sempre molta attenzione a non coprire ancora il punto focale e facendoti quindi fremere ogni singolo maledettissimo millimetro perché a questo punto tutto quello che vuoi è sentire caldo. Senti le sue labbra piegarsi in un ghigno, appropriarsi del controllo della situazione e, dannazione se ce l’ha.  Ma quando finalmente si decide ad intrappolare il tuo labbro inferiore tra le sue, Dio, sei in un paradiso di fiamme. Perché è così che ci si sente ad avere a che fare con lui. Ed i milkshake restano lì sul bancone, a sciogliersi, mentre a nessuno dei due importa nulla.
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