Tumgik
#tenesti
demigoddessqueens · 2 years
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Writing ✍️ Updates
Been a bit on the vacation scene here and there, but I have a few updates that have been LONG OVERDUE since last
CR/Writing Drabbles
Gretacard Prompts
If you’re an Ever After fan, you’ll love this one ☝️
Stranger Things
Been following the Kas vs Vecna theories and I have some thots 👀 💭
Thor: Love and Thunder
The found family trope got to me, ok??
Alucard’s Amores
Compilation of some prompts I’ve received in the inbox for the classic blonde dhamphir
Dragon Age
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Ciliegia
Le cose che ti dico potrei dirle
a un qualunque innamorato, ma tu non sei Uno
e nemmeno innamorato, sei di tutti, pubblico e segreto insieme, non ancora
scoperto, inciso, definito, e ogni parola
su di te si svela insufficiente e un po' ridicola. Passasti
su questa terra, ed è nell'applicarsi a te che il verbo passato
si fa doloroso e assurdo più che alle rovine delle grandi città. Tu dovresti essere
il valore dell'eterno, se le cose avessero un senso. Ma tu dici che non ce l'hanno, che dobbiamo solo attendere
che questa vita passi per dimenticarcene e tornare nulla, e non sapere che tu manchi.
Ma nel tuo amore
così vivo, nel tuo piccolo seno freddo
di stella puntiforme, nei tuoi desideri al cielo, nel nome di Dio che trascorre
come un'abitudine d'infanzia nelle epistole,
nelle sensazioni e pregresse conoscenze che si svelano nel tuo sapere, casto
si offre un frutto rosso e zuccherino invitante, quel regalo
su cui potremmo costruire la vita: l'appoggio metafisico. Negato dalla logica, rigettato dall'orgoglio, brilla
oltre le palpebre chiuse, abbozza
un sorriso gentile, un sorso
nalla calura, un errore concesso.
Scrivere una poesia su di te, del tutto inutile, ma potente come l'istinto del respiro che fa annegare. Chiediamo pietà a quel tuo sapere
che ci tenesti nascosto ed era il nucleo
incandescente del tuo corpo
altrimenti oscuro alla memoria.
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greenbor · 1 year
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La cavalla storna
Nella Torre il silenzio era già alto. Sussurravano i pioppi del Rio Salto. I cavalli normanni alle lor poste frangean la biada con rumor di croste. Là in fondo la cavalla era, selvaggia, nata tra i pini su la salsa spiaggia; che nelle froge avea del mar gli spruzzi ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi. Con su la greppia un gomito, da essa era mia madre; e le dicea sommessa: “O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; tu capivi il suo cenno ed il suo detto! Egli ha lasciato un figlio giovinetto; il primo d’otto tra miei figli e figlie; e la sua mano non toccò mai briglie. Tu che ti senti ai fianchi l’uragano, tu dai retta alla sua piccola mano. Tu c’hai nel cuore la marina brulla, tu dai retta alla sua voce fanciulla”. La cavalla volgea la scarna testa verso mia madre, che dicea più mesta: “O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; lo so, lo so, che tu l’amavi forte! Con lui c’eri tu sola e la sua morte O nata in selve tra l’ondate e il vento, tu tenesti nel cuore il tuo spavento; sentendo lasso nella bocca il morso, nel cuor veloce tu premesti il corso: adagio seguitasti la tua via, perché facesse in pace l’agonia…”. La scarna lunga testa era daccanto al dolce viso di mia madre in pianto. “O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna; oh! due parole egli dové pur dire! E tu capisci, ma non sai ridire.  (Pascoli)
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yagobadstar · 1 year
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“Perché le Muse sono sempre inquietanti?” chiesi un giorno alla mia Musa.
Smise di tingersi le unghie dei piedi di indaco e rispose: “Perché ogni rivelazione, ogni ispirazione divina, ogni Daimon, ogni vocazione, lo sono per forza. Ti prendono con violenza, ti strappano di dosso le vecchie rassicuranti certezze, ti distruggono i sonni pesanti e senza colore riempiendoli di squarci di luce e tensione. Le Muse fanno parte di questa famiglia di guastatori, di sovversivi ribelli di ogni vuoto mentale, di nemici giurati di ogni mancanza di fantasia e passione. Certo che sono e che siamo inquietanti”.
“Per questo mi prendesti per il colletto, mi trascinasti giù dalla mia poltrona comoda, mi buttasti nel mare in burrasca, e mi tenesti sott'acqua con un piede elegante (non è vero che le sirene hanno la coda di pesce) finché non mi crebbero le branchie?”
“Dovetti farlo perché tu scrivessi 44 libri, ma soprattutto perché imparassi ad amare, che significa saper respirare anche in fondo al mare, se lì si trova chi ti fu destinata per regina. E comunque è sempre sotto la superficie che sono nascosti i tesori dei pirati. Le Muse non sono affogatrici, ma permettono di vivere accanto alle sirene. Bisogna scardinare un mondo precostituito per portare dentro l' universo”.
“E chi non sapesse scrivere, dipingere o suonare il clarinetto? Come fareste con lui per conquistarlo?”
“Non tutti nascono artisti, ma tutti possono fare arte della loro vita. Anche se non ti chiami Leopardi o Montale, Leonardo da Vinci o Mantegna, puoi fare della tua vita una poesia o un quadro, e questo è forse più difficile, ma possibile a tutti. Io ti avrei comunque insegnato qualcosa, anche se non avessi avuto nessuna dote, peraltro spesso immeritata”
“Cosa avrei mai potuto fare, ispirato senza capacità? Come avrei potuto esprimere ciò che ho dentro?”
“Ecco, guarda quell' uomo laggiù, con la tuta sporca di terra: sta con amore coltivando rose da donare alla sua Musa (una mia cugina di secondo grado, credo), ha fatto solo la terza media, ma le sue rose sono le più belle e profumate del mondo, perché sono frutto di amore e destinate all'amore. Sempre una passione è radice e fonte di ogni ispirazione, vocazione, devozione. Quell'uomo non saprebbe scrivere una poesia più di una scimmia messa davanti a un computer, ma anche lui è un artista, e i suoi fiori sono la sua opera d'arte”.
“Esiste anche la Musa del giardinaggio e della floricoltura?”
Fu allora che mi prese per i capelli, mi abbassò la testa fino al suo piede destro, e disse: “Soffia sullo smalto, che almeno aprirai la bocca in modo utile; a proposito, l' indaco non ti pare un colore poetico per le unghie dei piedi? E prima di far lo spiritoso rifletti bene: esistono tante Muse quante servono al mondo
Per rendere il mondo colorato e bello, e ce ne sono di tutti i tipi. Non è colpa loro se spesso non sembrano aver molto successo, Ma di chi non sa dare loro retta”.
“Ci sono così tanti sordi al mondo?”
“Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire”.
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in-sicura · 4 years
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Molto probabilmente mi innamorai un pochino di te quando mi tenesti il posto.
Sai, nessuno lo aveva mai fatto per me.
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il-posto-a-tavola · 5 years
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Guardaci: c'è tutta, tutta la guarnigione riunita.
Tu aspetti la tua guarigione. Ti analizzi: i piedi, le gambe, il piano della tua visuale destra.
Aspettavamo tutti assetati. Tutti impostati, tristi, agguerriti, stupiti. Non c'erano stati segnali.
Sì, invece. Ce n'erano stati. C'erano segnali avanzati, che avevamo buttati via come si scacciano le mosche. Erano stati ignorati, riposti, diffusi col passaparola e ancora ignorati nuovamente, assente qualsiasi bisogno di ricordare.
Avevamo più fame che sonno. In effetti, mangiavamo in continuazione.
Io ero lontana. Sentivo solo la tua voce che da bassa e vivace era di un metallo atroce.
Lasciavo tutto inespresso.
Ero addolorata ma di quel male sordo, che si agita in un angolo tutto strozzato e solo, e si consuma. Ne parlavo poco e con pochi. Tenevo tutto chiuso per i miei specchi e coprivo spesso anche loro.
si mangiava roba prelibata, al tavolo della cucina.
chi arrivava, portava. chi tornava a casa per cucinare.
chi arrivava a casa per capire, e chi, invece, per guardare.
chi guardava cercava di capire.
a volte taceva. a volte, invece, lo carezzava come si carezza il pelouche che hai sul comò, da piccino.
io mi ci arrabbiavo: 'non è un bambino, e nemmeno un pelouche. in vita sua lo avete mai accarezzato? ed allora, lasciatelo stare'.
c'era viavai in continuazione. si aspettava tutti.
si puliva, si cambiavano panni, lenzuola di lino bianco, belle lenzuola candide di percalle stese al sole ad asciugare.
chiesi: 'perchè, al sole? non si fa prima, a stendere nella sala accanto alla lavatrice?'. 'no' - mi rispondevano - 'c'è l'energia del sole, il profumo della roba stesa fuori'. 
ci si muoveva un un loop veloce, costante. il divano cedeva, sotto il tuo bacino, se ti ci mettevi sopra.
il divano era come lì per assorbire, per farti riposare.
io non avevo immaginato che quel divano rosso di pelle un po' scuro, messo accanto all'ingresso e rivolto alla finestra, potesse servire un giorno a quello scopo.
la casa era lì, immensa. la casa stava lì, tutta enorme e compressa di cose da fare, di solitudini e di dialoghi, piena di conversazioni.
il divano rosso era pieno di voci. di volti seduti.
le tende bianche alle finestre si muovevano appena.
fuori c'era un bel sole e tra le piante del giardino c'erano un sacco di uccellini.
un uccellino si era incastrato nella stufa, al piano di sotto, e poi era uscito indenne dal tubo.
succedevano cose anche un po' strane, un po' magiche.
la cucina era piena di vasetti delle razioni e delle preparazioni alimentari. era pulita, ma durante quei giorni fu ordinata e assunse quasi un aspetto razionale.
io capii perchè la cucina era piena di vasetti e perchè erano troppi e perchè non volevano buttarne nemmeno uno.
venivano preparati cibi apposta in attesa della guarigione.
il cibo serviva per guarire. il cibo aiutava la guarigione.
il frigo era ovviamente grande e ben illuminato.
tuttavia era in attesa nell'aria qualcosa di trascurato, qualcosa... di indefinito.
si sapeva e non si capiva, si percepiva e non si vedeva.
si capiva che c'era qualcosa.
c'erano tracce. c'erano libri sul controllo del dolore.
c'era, in quella casa, chi non riusciva ad avere pace.
c'era, in quella casa splendente, chi si rintanava nel garage con poca luce del sole e progettava motociclette e altre cose.
c'era la solitudine, appollaiata sul tetto della casa, e una stanza assolata piena di documenti interessanti.
i documenti raccontavano la vita delle persone  perchè quelle persone li ritenevano importanti. i documenti erano ritenuti più importanti delle parole nelle relazioni.
'ho sempre tenuto di più alle cose importanti, piuttosto che ai sentimenti'.
questa fu una considerazione che facesti ma successe che poi furono proprio i sentimenti, a portare a te le cose.
Erano i sentimenti, a muovere le dita che ti sventagliavano ed erano i sentimenti a portare a te coppette colme: fragoline di bosco e batuffoli di acqua inumiditi per bagnarti le labbra.
C'erano i tuoi cappelli, sparsi per la casa. In bagno, nel tuo bagno, c'erano le tue cinture. C'erano appesi ancora i tuoi asciugamani e c'erano tutti incasinati i tuoi prodotti per la rasatura. Erano nel mobile del bagno che era sempre quello di quando ero piccola, e anche il bagno era sempre quello, uguale. Eri così: facevi cose nuove ma poi ci mettevi le cose di tempo fa', le conservavi. A volte, le riparavi ed a volte, invece, ne fabbricavi di nuove.
Era la morfina a farti sognare, o più belli erano i sogni che la musica ti procurava?
Mio. Cosa c'era di mio, nella tua casa. Tutto.
Tutti i miei libri.
Ti circondavi delle mie cose, riposte come nuove tra gli scaffali.
il libro che ti avevo prestato e che ti era caduto nella vasca da bagno, che si era rovinato e che io mi ero arrabbiata, era ricomparso nello scaffale, nuovo. Lo hai ricomprato?
Mio, era il posto a tavola che rimaneva vuoto perchè tu non mi chiamavi, però sì che mi aspettavi.
Mio era quel posto, quel posto riservato.
Mi hanno detto che un giorno eri molto affaticato e ti è caduto il volto rivolto verso il piatto.
L'ho saputo dopo, perchè non mi avevano avvisato.
Sì, per un po' siamo rimasti taciuti, ma poi accadde: parlammo.
Parlammo. 
Parlammo seduti e tu, con l'occhio bendato.
No forse non ero seduta. Tu sì, per forza.
Mi guardavi stranito ma ci tenesti subito a chiarire: non eri stranito per nulla, era solo l'occhio che se ne stava su una vista ad un piano diverso. Quindi se affrontavamo il problema, andava solo bendato e il problema vista era sistemato.
Chiaristi pure che non ce l'avevi più con tua madre.
Fu lunga: respirare e resistere senza perdere la rotta.
La definizione - la parola esatta - fu: mantenendo la testa ferma.
E' questa la parola esatta. La testa ferma resta lì dov'è. Non se ne va.
Ho imparato questa cosa, che non è una cosa, ma un atteggiamento, su un'isola, d'inverno.
Il tempo, su un'isola, scorre in un modo particolare e più semplice. Il tempo passa, e tu resti con te stesso, e pochi altri.
Eccoci. E' quando resti con te stesso, che succede tutto.
Succede che si vede dove va la tua testa.
Resta ferma? Passeggia?
Padre.
ti guardavo lentamente, disteso su quel letto bianco, con la coperta azzurra addosso, l'espressione stanca, viva, differente dalla sofferenza. Era un'espressione piena di pazienza. 
Ti guardavo e cercavo di capire cosa mi aspettava.
Chi mi avrebbe portato e tutto l'azzurro della tua coperta.
Cosa avresti detto. Che cosa avresti fatto.
Quale parola avresti scelto, dopo tutto questo tempo che non parlavamo veramente.
Padre.
Quale parola avresti pronunciato, e quale sarebbe stato il suo significato - quale significato avrei dovuto attribuirle.
Ti osservavo inquieta ma me lo ripetevo: sei lì dentro e sei vivace, il resto non da' pace. Meglio scansarlo.
Scansiamo tutte le idee che si accavallano e spingono no, si affollano, no. Le idee che arrivano e si abbattono su quel tuo occhio coperto da qualcosa di bianco
Le idee che come un violento 
No
Quelle onde che arrivano e si ammassano tutte insieme e ti devi proteggere
perchè lì sotto invece c'è la calma
sott'acqua, e cerchi di respirare
l'onda che arriva e poi tu sei fuori
Ecco. Mi serve questo.
Parlami tu, che io non so se ti dico cose che potrebbero farti inquietare. Quali parole devo scegliere. Che cosa devo dire e che cosa è meglio che ti dico dopo, no, ora, no, tra un po' 
Mi serve guardare quel tuo respiro e quella coperta azzurra e capire che adesso sei così.
Ma io ti ascolto.
se resta tempo
certo che resta
no che non resta.
debbo uscire.
Esco dalla stanza.
Respiro.
Si piange in un corridoio.
Si resta lì e ci si calma.
Non ti si spaventa. Non ci si spaventa?
Si resta fermi, con la testa.
Si cerca un punto di guarigione da tutti quei pensieri messi uno sopra l'altro che poi diventano un pensiero solo, immenso, e ti arriva tutto addosso.
Arriva l'onda.
Caccio la testa sott'acqua: passa.
Ora passa.
Passa, e poi rientro in quella stanza.
Sono qui, son rientrata. Dai, riparliamo.
Ti ascolto.
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Mi parli con la tua voce con la erre arrotata. Anche questa voce, la riconosco. Mi è familiare.
La voce dice e parla con sillabe nuove e sempre le tue musicali, di quando ero piccola e si girava in bici: sì, eravamo felici
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whileiamdying · 5 years
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LA DIVINA COMMEDIA
Inferno • Canto XIX
O Simon mago, o miseri seguaci che le cose di Dio, che di bontate deon essere spose, e voi rapaci
per oro e per argento avolterate, or convien che per voi suoni la tromba, però che ne la terza bolgia state.
Già eravamo, a la seguente tomba, montati de lo scoglio in quella parte ch’a punto sovra mezzo ’l fosso piomba.
O somma sapïenza, quanta è l’arte che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo, e quanto giusto tua virtù comparte!
Io vidi per le coste e per lo fondo piena la pietra livida di fóri, d’un largo tutti e ciascun era tondo.
Non mi parean men ampi né maggiori che que’ che son nel mio bel San Giovanni, fatti per loco d’i battezzatori;
l’un de li quali, ancor non è molt’ anni, rupp’ io per un che dentro v’annegava: e questo sia suggel ch’ogn’ omo sganni.
Fuor de la bocca a ciascun soperchiava d’un peccator li piedi e de le gambe infino al grosso, e l’altro dentro stava.
Le piante erano a tutti accese intrambe; per che sì forte guizzavan le giunte, che spezzate averien ritorte e strambe.
Qual suole il fiammeggiar de le cose unte muoversi pur su per la strema buccia, tal era lì dai calcagni a le punte.
«Chi è colui, maestro, che si cruccia guizzando più che li altri suoi consorti», diss’ io, «e cui più roggia fiamma succia?».
Ed elli a me: «Se tu vuo’ ch’i’ ti porti là giù per quella ripa che più giace, da lui saprai di sé e de’ suoi torti».
E io: «Tanto m’è bel, quanto a te piace: tu se’ segnore, e sai ch’i’ non mi parto dal tuo volere, e sai quel che si tace».
Allor venimmo in su l’argine quarto; volgemmo e discendemmo a mano stanca là giù nel fondo foracchiato e arto.
Lo buon maestro ancor de la sua anca non mi dipuose, sì mi giunse al rotto di quel che si piangeva con la zanca.
«O qual che se’ che ’l di sù tien di sotto, anima trista come pal commessa», comincia’ io a dir, «se puoi, fa motto».
Io stava come ’l frate che confessa lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto, richiama lui per che la morte cessa.
Ed el gridò: «Se’ tu già costì ritto, se’ tu già costì ritto, Bonifazio? Di parecchi anni mi mentì lo scritto.
Se’ tu sì tosto di quell’ aver sazio per lo qual non temesti tòrre a ’nganno la bella donna, e poi di farne strazio?».
Tal mi fec’ io, quai son color che stanno, per non intender ciò ch’è lor risposto, quasi scornati, e risponder non sanno.
Allor Virgilio disse: «Dilli tosto: “Non son colui, non son colui che credi”»; e io rispuosi come a me fu imposto.
Per che lo spirto tutti storse i piedi; poi, sospirando e con voce di pianto, mi disse: «Dunque che a me richiedi?
Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto, che tu abbi però la ripa corsa, sappi ch’i’ fui vestito del gran manto;
e veramente fui figliuol de l’orsa, cupido sì per avanzar li orsatti, che sù l’avere e qui me misi in borsa.
Di sotto al capo mio son li altri tratti che precedetter me simoneggiando, per le fessure de la pietra piatti.
Là giù cascherò io altresì quando verrà colui ch’i’ credea che tu fossi, allor ch’i’ feci ’l sùbito dimando.
Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossi e ch’i’ son stato così sottosopra, ch’el non starà piantato coi piè rossi:
ché dopo lui verrà di più laida opra, di ver’ ponente, un pastor sanza legge, tal che convien che lui e me ricuopra.
Nuovo Iasón sarà, di cui si legge ne’ Maccabei; e come a quel fu molle suo re, così fia lui chi Francia regge».
Io non so s’i’ mi fui qui troppo folle, ch’i’ pur rispuosi lui a questo metro: «Deh, or mi dì: quanto tesoro volle
Nostro Segnore in prima da san Pietro ch’ei ponesse le chiavi in sua balìa? Certo non chiese se non “Viemmi retro”.
Né Pier né li altri tolsero a Matia oro od argento, quando fu sortito al loco che perdé l’anima ria.
Però ti sta, ché tu se’ ben punito; e guarda ben la mal tolta moneta ch’esser ti fece contra Carlo ardito.
E se non fosse ch’ancor lo mi vieta la reverenza de le somme chiavi che tu tenesti ne la vita lieta,
io userei parole ancor più gravi; ché la vostra avarizia il mondo attrista, calcando i buoni e sollevando i pravi.
Di voi pastor s’accorse il Vangelista, quando colei che siede sopra l’acque puttaneggiar coi regi a lui fu vista;
quella che con le sette teste nacque, e da le diece corna ebbe argomento, fin che virtute al suo marito piacque.
Fatto v’avete dio d’oro e d’argento; e che altro è da voi a l’idolatre, se non ch’elli uno, e voi ne orate cento?
Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre, non la tua conversion, ma quella dote che da te prese il primo ricco patre!».
E mentr’ io li cantava cotai note, o ira o coscïenza che ’l mordesse, forte spingava con ambo le piote.
I’ credo ben ch’al mio duca piacesse, con sì contenta labbia sempre attese lo suon de le parole vere espresse.
Però con ambo le braccia mi prese; e poi che tutto su mi s’ebbe al petto, rimontò per la via onde discese.
Né si stancò d’avermi a sé distretto, sì men portò sovra ’l colmo de l’arco che dal quarto al quinto argine è tragetto.
Quivi soavemente spuose il carco, soave per lo scoglio sconcio ed erto che sarebbe a le capre duro varco.
Indi un altro vallon mi fu scoperto.
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imperfetto
il modo casuale con cui mi guardavi e poi ridevi senza rispondere quando ti chiedevo "cosa c'è?".
prendevi le mie mani tra le tue e dicevi "che manine piccole, cosa puoi fare con delle mani cosí?". ora non lo fai piú. perché?
mi tenesti a braccetto per una serata, io che ero un nessuno, timida e spaventata dalla vita come pochi. lo sono ancora.
e mi fermo perché alla fine è tutto un imperfetto, non esiste piú tutto questo. probabilmente l'ho rovinato io, con la mia paura di fare il primo passo che spesso sembra indifferenza, con le mie battute sarcastiche e autocritiche che uso per proteggermi, ma che probabilmente sembrano solo piene di superbia. con la mia "seduzione involontaria", come dice mia madre, che manda messaggi che io non voglio mandare e li manda a tutti, senza distinzioni. mi consolo pensando che hai trovato di meglio, che lei non ha tutti questi complessi inutili che ho io, che affronta la vita di petto, mentre io l'avrei sempre affrontata lasciandomi cadere, di petto. e sperando di morire nella caduta, ovviamente.
che poi io e questi sentimenti negativi sul mio peso, sul mio fisico, sul mio valore come persona, non siamo ancora venuti ai patti e forse non lo faremo mai.
l'unica differenza di quando avevo sedici anni è che adesso riconosco il meccanismo della malattia, so quando sto ricadendo nella solita spirale e mi spaventa enormemente, perché quando inizio tocco sempre e solo il fondo.
ho capito come e perché alla fine, l'ho capito parlando con mia madre. sono ubriaca di felicità, al punto di essere dominata dalle mie emozioni, al punto da sbilanciarmi verso un calore che non ho mai provato, mai cosí intenso, e ne sono schifosamente terrorizzata. il problema è che ho vissuto la mia vita cercando il freddo, cercando rifugio nella razionalità, volevo essere solo una macchina senza emozioni perché la perdita di controllo non mi ha mai fatto sentire sicura, e quindi il rifiuto del cibo, l'ossessività per il massimo dei voti (che sentivo non essere mai abbastanza).
ma non si puó rifiutare le emozioni e l'ho capito ora, non si puó, e quindi sono ancora una volta sull'orlo del baratro, con la roccia alle mie spalle, e non saró mai pronta per gettarmi, perché alla fine è solo un salto, ma cambierebbe la mia vita radicalmente. e, indovina un po', mi fa una paura fottuta.
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breathe-deeply · 3 years
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18 gennaio 2021 (2:10)
Strano che mi sia resa conto di pensarti proprio alle 2:10. Forse tu neanche lo ricordi.. il 2 Ottobre di cinque anni, tre mesi e sedici giorni fa sarei venuta a casa tua per la prima volta e ci saremmo dati un bacio. Ricordo perfettamente tutto e, forse, è proprio questo il problema. Le lenzuola del tuo letto erano nere, tu ci stavi sopra rivolto con il viso al tetto, lanciavi una pallina da tennis e la riprendevi per poi lanciarla di nuovo, io ero seduta sul pavimento e ti toccavo i capelli mentre giocavi con questa pallina. Non ricordo però come sia nato il discorso "bacio", ma tu mi dicesti "ti darò un bacio solo se non gli darai importanza".. io, stupidamente, risposi con un semplice "va bene" anche se io ero già innamorata di te e questo bacio per me sarebbe stata la prova della realtà del mio sentimento.
Mi capita spesso di ripensarti e vorrei non farlo, perché non è così che doveva andare.
Tra meno di un mese sarà il mio compleanno. Ti ricordi cosa mi scrivesti in mezzo a tutte le varie dediche dei miei amici? "Al gesto mancato", non mi hai mai spiegato il perché ed io ho fatto viaggiare la mente per poterci arrivare da sola. Purtroppo hai sempre avuto il brutto vizio di lasciare le cose in sospeso. Magari volevi solo che io continuassi a pensarci e a pensarti, non mi stupirei.
Ripenso alla mia prima volta con te, a tutte le prime volte con te. A quante cazziate ho dovuto sopportare perché magari mi addormentavo da te il pomeriggio, perché avevi "bisogno" di me -in realtà non volevi stare solo, ed io ero quella più vicina a casa tua-, quando dovevo essere a casa alle 19:30 e tornavo alle 21 o saltavo danza perché a piedi non sarei arrivata in tempo a lezione. Fingere di andare al concerto di Ludovico Einaudi solo perché tu lavoravi in città, non ti sentivo da un mese e volevo solo vederti. Il tuo urlarmi "amore mio" quando entrai in camera tua e quell'abbraccio che ci fece finire sul tuo letto per poi farci uscire subito dopo per una passeggiata mano per mano in città. La mia migliore amica che ti contattava per "spronarti" a farmi visita quand'ero ricoverata in ospedale e tu che passasti davvero a farmi visita, rimanesti una ventina di minuti e mi tenesti la mano e sembrava tutto così romantico che la nonnina che era in stanza con me me lo chiese, sai?! Mi domandò se fossimo fidanzati e, no, non lo eravamo e mai lo saremmo stati.
Non lo siamo stati perché "non sei tu, sono io e lo faccio perché tu sei troppo buona". Nel frattempo, però, continuavi ad avere rapporti occasionali con me, a scrivermi quando avevi bisogno di compagnia.. un comportamento un po' da incoerente, non credi?
"Ti va di vederci? - Okay, ma in piazzetta sotto casa mia", quel pomeriggio mi dicesti che ci avevi pensato spesso ad un possibile "noi" e che avessi potuto tornare indietro ci avresti provato. Io ero già fidanzata, che cosa avrei dovuto risponderti? Che cosa avrei dovuto fare?
Sei stato un idiota.
Nonostante tutto, però, ci tengo a te. Vorrei sapere come stai, ma non voglio dartela vinta perché ti faresti strane idee. Ti basti sapere che ti penso ancora e, dopo tutte le lacrime versate negli anni passati ed il resto, mi è rimasto un bel ricordo di te. In fondo sarai sempre un bel ricordo, Francesco.
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nutellapond · 4 years
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La cavalla storna
Nella Torre il silenzio era già alto. Sussurravano i pioppi del Rio Salto.
I cavalli normanni alle lor poste frangean la biada con rumor di croste.
Là in fondo la cavalla era, selvaggia, nata tra i pini su la salsa spiaggia;
che nelle froge avea del mar gli spruzzi ancora, e gli urli negli orecchi aguzzi.
Con su la greppia un gomito, da essa era mia madre; e le dicea sommessa:
"O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna;
tu capivi il suo cenno ed il suo detto! Egli ha lasciato un figlio giovinetto;
il primo d'otto tra miei figli e figlie; e la sua mano non toccò mai briglie.
Tu che ti senti ai fianchi l'uragano, tu dai retta alla sua piccola mano.
Tu c'hai nel cuore la marina brulla, tu dai retta alla sua voce fanciulla".
La cavalla volgea la scarna testa verso mia madre, che dicea più mesta:
"O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna;
lo so, lo so, che tu l'amavi forte! Con lui c'eri tu sola e la sua morte
O nata in selve tra l'ondate e il vento, tu tenesti nel cuore il tuo spavento;
sentendo lasso nella bocca il morso, nel cuor veloce tu premesti il corso:
adagio seguitasti la tua via, perché facesse in pace l'agonia...".
La scarna lunga testa era daccanto al dolce viso di mia madre in pianto.
"O cavallina, cavallina storna, che portavi colui che non ritorna;
oh! due parole egli dové pur dire! E tu capisci, ma non sai ridire.
Tu con le briglie sciolte tra le zampe, con dentro gli occhi il fuoco delle vampe,
con negli orecchi l'eco degli scoppi, seguitasti la via tra gli alti pioppi:
lo riportavi tra il morir del sole, perché udissimo noi le sue parole".
Stava attenta la lunga testa fiera. Mia madre l'abbraccio' su la criniera.
"O cavallina, cavallina storna, portavi a casa sua chi non ritorna!
a me, chi non ritornerà più mai! Tu fosti buona... Ma parlar non sai!
Tu non sai, poverina; altri non osa. Oh! ma tu devi dirmi una una cosa!
Tu l'hai veduto l'uomo che l'uccise: esso t'è qui nelle pupille fise.
Chi fu? Chi è? Ti voglio dire un nome. E tu fa cenno. Dio t'insegni, come".
Ora, i cavalli non frangean la biada: dormian sognando il bianco della strada.
La paglia non battean con l'unghie vuote: dormian sognando il rullo delle ruote.
Mia madre alzò nel gran silenzio un dito: disse un nome . . . Sonò alto un nitrito.
Giovanni Pascoli
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finishdayoubegan · 6 years
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È passato un giorno senza te
Un giorno falso
Un giorno stanco
Un giorno silente
Passato
A non rallegrarsi di una stretta di mano
Di una parola o di un
Abbraccio perso nei giorni
E le tue cartoline che conservo
Nei cassetti piangono la tua assenza
Dei giorni andati che lascio
Solitari verso l’oblio della memoria
Mi tenesti la mano ma io non seppi
Che cercare di stringerla e
Toccare i tuoi fianchi come fossero
Dei cuscini su cui ci si addormenta da piccoli
È l’eremo della mia vita il tuo sorriso
Disgregato ormai nei giorni che passano
E che non torneranno
Mai.
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demigoddessqueens · 2 years
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Made a lil thing in picrew with the stereotypical love struck pink hue
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itgetsbetterproject · 5 hours
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📚 QUEERBOOK 2024 is hereee! We made a book by and for LGBTQ+ youth! 🏳️‍⚧️🏳️‍🌈
Last year, we asked LGBTQ+ youth: what's your idea of a "queer utopia?"
Not gonna lie - with more than 150 bills introduced in 35 states in 2023 that aimed to restrict student access to inclusive and diverse books and other library materials, the theme felt pretty radical.
And you DELIVERED. With the help of our Youth Voices (amazing queer youth activists from across the country), we compiled your amazing submissions of poetry, short essays and letters, visual art, photography, and more into Queerbook 2024. Like a yearbook, it captures what queer youth are feeling, going through, and hoping for - right here, right now across the U.S.
It's also no accident that it's the perfect small-ish size to stash in your locker or backpack so you can crack it open any time you're looking for some queer connection. :3
Read some more about the book and grab your own limited-run copy of Queerbook 2024 now here.
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daniela--anna · 4 years
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Il corpo umano è una macchina di bioingegneria straordinaria e perfetta,
e come ogni macchina,
per funzionare, ha bisogno di una adeguata quantita' di carburante.
Questo lo troviamo infatti nell'aria, nell'acqua, nel cibo.
Il cibo in particolare, può fornire nutrimento complesso che comprende proteine, grassi e carboidrati.
Ma oltre a questi il nostro organismo ha bisogno anche di vitamine e minerali.
Queste sostanze sono dette “micronutrienti” perché devono essere assunte in piccole quantità, ma sono indispensabili per il buon funzionamento dell'organismo ed eventuali carenze possono portare a problemi di salute.
Per quanto riguarda le vitamine, il loro nome significa “amine della vita”:
le vitamine sono infatti molecole indispensabili per le funzioni vitali.
L'organismo le utilizza per crescere e per svilupparsi e ognuna ha funzioni specifiche:
la vitamina A, ad esempio, è importante per la vista,
la vitamina D è importante per la salute delle ossa,
l'acido folico (o vitamina B9) è importante per il metabolismo degli aminoacidi e per il corretto sviluppo dei bambini durante la gravidanza
e le vitamine del gruppo B intervengono nel metabolismo energetico, ovvero in quelle reazioni che rilasciano energia. L’organismo non è in grado di produrle e devono venire assunte attraverso la dieta.
Ecco perché il cibo non deve essere solo un piacere,
ma se scelto con cura, diventa il primo efficace metodo di cura e prevenzione a favore di buona salute e benessere a qualunque età.
Anche sotto aspetto
è davvero emozionante riflettere sul dono della vita, su come siamo fatti e su ciò che ci è stato dato per goderla al meglio.
Tutto intorno a noi, dal micro al macro, rivela una sapienza straordinaria, che essendo stata usata con amore,
ha permesso il miracolo della creazione.
“Tu stesso producesti i miei reni; mi tenesti coperto nel ventre di mia madre.
Ti loderò perché sono fatto in maniera tremendamente meravigliosa. Meravigliose sono le tue opere, come la mia anima sa molto bene."
(Salmo 139:13-16 del Re Davide)
📝Per approfondimenti:
📌
https://www.jw.org/it/biblioteca-digitale/riviste/g201105/Siamo-fatti-in-maniera-meravigliosa/
📌https://www.supradyn.it/vitamine-e-minerali/
📌https://www.supradyn.it/vitamine-e-minerali/vitamine-a-z/
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seaunknown · 7 years
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21 Febbraio
Ti ricordi di quel 27 Maggio? No, non mi riferisco a cosa successe quella notte, quello lo so benissimo che te lo ricordi. Mi riferisco a noi stanchissimi che dopo una notte in bianco prendemmo l’autobus per andare a Firenze. Ti ricordi di me che mi sentii male? E ti ricordi di te che non ti staccasti un attimo da me, e mi tenesti sempre la mano? Ti ricordi di tutte le volte che mi hai sussurrato “Amore, stai bene?”, “Amore, hai bisogno di qualcosa?”, “Amore sono preoccupato”, o semplicemente un “Amore”? Che senza aggiungere altro parlava più di cento parole messe insieme. Tutt’ora mi chiedo come una sola parola possa significarne così tante, mi chiedo che sensazione si provi a sentirsela dire dalla persona che si ama, perché io non me lo ricordo più e la paura di non saperlo mai più, fidati, è tanta. Ti ricordi di noi dormire  abbracciati l’uno tra le braccia dell’altro perché troppo stanchi? Io si, lo ricordo benissimo, in autobus durante il viaggio di ritorno… Ho anche una foto.
In realtà ne ho tante di foto, ma preferisco non guardarle perché quando ci capito per sbaglio poi sto male per un’altra settimana. Ti ricordi di tutte le volte in cui io avevo freddo e tu mi prestavi la tua felpa… non hai idea di come stringessi quel pezzo di tessuto, cullata dal tuo profumo (adesso non sai quanto pagherei per averlo di nuovo).
Però stanno piano piano svanendo tutti i bei momenti passati insieme lasciando spazio solo a lacrime, notti in bianco, giornate passate senza la minima cognizione spazio-temporale. Buttata semplicemente sul letto per ore, ore delle quali mi rendo conto solo dopo che sono trascorse. 
E poi Traviata, quella cazzo di opera con la quale ci siamo conosciuti. Un pretesto come un altro, ma non posso comunque fare a meno di pensare a te ogni volta che l’ascolto. Il ricordo di quel primo atto passato a guardarti dall’ordine opposto di palchi, e del quale conservo solo te perché la musica era ormai diventata un sottofondo alla tua immensa bellezza. 
Da un mese sono più morta che viva, e pur continuando a respirare mi sento affogare ogni ora, ogni minuto, ogni secondo e ogni attimo che passo senza di te. 
Ti ricordi circa il 20 Giugno? Eravamo al mare con Gemma, la mia canina, poi ci siamo stesi sotto quello scoglio; tu eri sdraiato e io giocavo con i tuoi riccioli bagnati. Non so come spiegarlo, ma finalmente una volta nella mia cazzo di vita mi sentivo al posto giusto. Ecco, tu mi facevi sentire giusta, in qualsiasi momento. Con te non mi sono mai sentita né troppo né troppo poco; sempre e solo GIUSTA. 
E pensare che anche i periodi bui con te lo sembravano un po’ di meno; eri la mia stella polare, e adesso non riesci nemmeno a guardarmi negli occhi. Me ne sono accorta…ti guardo e fai di tutto per non spostare lo sguardo nella mia direzione…davvero ti ammiro tanto perché non so come fai. Io non ci riuscirei. Te lo prova il fatto che mi ero ripromessa di non scriverti e di non parlarti più ma non ce la faccio. Quanto ho resistito? Poco più di una settimana. Non riesco a fare niente senza che qualcosa mi ricordi di te. Anche con il percorso mentale più articolato e magari insensato, arrivo a te, e credimi se ti dico che è tanto veloce quanto involontario. Vorrei dimenticarti è un mese che lo dico ma non ci riesco. E no, non è vero che non è il momento o che non voglia o chissà quale cosa, la verità è che non ci riesco, non ce la faccio, non riesco a immaginarla una vita senza di te. E magari potrai pensare che stia esagerando ma ti assicuro che non è così. 
L’unica cosa per la quale ho la forza di alzarmi dal letto è il violino e quando studio non riesco a non immaginarti seduto sul letto che mi ascolti. Quando suono il concerto di Mendelssohn non riesco a non immaginari davanti a me che dirigi e mi guardi proprio in quel punto dove il solista ha scritto “semplice” e il direttore deve guardarlo per riprendere il ritmo “Allegro molto vivace” che caratterizza quel pezzo. Alle prove d’orchestra vedo direttori e non sei tu, faccio brani e non ci sei tu ad ascoltarli. A fine studio mi rilasso suonando concerti a caso ma non ci sei tu ad ascoltare quella prima acciaccatura La-Fa di Tchaikovsky, non sei tu che senti una serie di terzine e ottave in Si minore. Non sei tu ad esserci e io senza te non esisto più. 
Niente di ciò che faccio è più fine a se stesso e niente più è per te, semplicemente perché tu non ci sei più. Ti immagino anche quando faccio la doccia, proprio come quella sera prima di vedere “Il Concerto”, ah maledetto film…spero sempre che tu sia fuori ad aspettare che io esca dalla doccia per darmi un bacio dolce, ma poi tutto d’un botto ritorno al mondo reale, e la verità mi porta sempre più in basso intrappolandomi in un abisso di tristezza e rimorsi. Scusami se sono così vigliacca da scriverti queste cose su un messaggio, scusami se sono così vigliacca da mandartelo a quest’orario improbabile che mi da la certezza che non mi risponderai subito e il tempo per metabolizzare una risposta che so già che mi distruggerà. Scusa per averti chiesto la felpa l’altro giorno, non avevo freddo, stavo morendo di caldo ma avevo bisogno del tuo profumo, quello vero e non la boccetta di deodorante uguale al tuo che porto sempre con me. Sapevo che non me l’avresti mai prestata…e so anche che questa teoria del “tentar non nuoce” mi sta portando all’auto distruzione. Scusa per averti chiesto quell’ultimo bacio, del quale adesso non nego certamente il bisogno, speravo che avrei potuto baciare di nuovo quelle labbra, forse per l’ultima volta. Mi fa tanta paura questa parola….L’ultima volta che ci siamo visti, l’ultima volta che ci siamo abbracciati, l’ultima volta che le nostre labbra si sono incontrate. Mi da tanto la sensazione di attimi passati e che non torneranno più. Perché l’ultima è l’ultima. Non come l’ultima sigaretta, quella sappiamo tutti che è una balla grossa quanto l’amore che provo per te, ma l’ultima per davvero. Penso che sia giunto il momento di porre fine a questa cosa, e la chiamo cosa perché non è realmente niente, alle mie sofferenze nello scriverla, e alle figure di merda che sto facendo, abbassando tutti i miei muri con l’unica persona con la quale dovrei renderli ancora più forti per non crollare ogni volta. Per quanto sarò in grado di aspettarti senza crollare di nuovo, io lo farò. Credo che per dire a una persona “ti aspetto”, ci voglia un coraggio assurdo; a mio parere ancora più del “ti amo”. Infondo nella vita si ama tutti: si ama i parenti, io amo mio fratello, amo mia mamma, amo mio padre, amo anche te (e ormai non ho più paura di ammetterlo). È un sentimento più comune, lo si prova tutti i giorni e può manifestarsi in miliardi di modi, io posso amare la musica anziché l’arte, anziché qualsiasi altra cosa. Una cosa che non capita quasi mai di fare, è aspettare; a partire dalle cose più futili come aspettare l’autobus, aspettare che una persona risponda dall’altro capo del telefono. In fondo, chi è che ha voglia di aspettare un autobus, o il treno? Nessuno.
Beh io credo di amarti così tanto da decidere di aspettarti come se tu fossi l’ultimo treno per la felicità. Questo scritto risale all’anno scorso. Inutile dire che non è cambiato niente.
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Non tornammo più sull’argomento
però ti piansi addosso, questo è certo,
e poi mi tenesti la testa tra le mani
mentre dormivo
stanca di che, poi?
Vomitai delusioni
e respirai l’amore
che avevi paura di darmi
e già mi davi,
e respirai l’amore
che avevo paura di non poter ottenere mai
e che tu
già mi davi.
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martinaina · 7 years
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Quel giorno, me lo ricordo come fosse ieri, mi portasti all'ospedale, preoccupata, perché secondo te avevo la mano rotta, per i troppi pugni al muro. Aspettai parecchio, ascoltando anche battutine idiote che mi fecero salire ancora di più la voglia di farmi del male, ma poco dopo mi visitarono, mi dissero che la mano era a posto e che la botta l'aveva fatta gonfiare, mi guardarono le braccia, sconvolti chiedendomi cosa mi era successo e perché l'avevo fatto, non seppi rispondergli, mi chiesero se avessi voluto parlare con una psichiatra, dissi di sì, conoscendo bene le conseguenze di quell'azione. Arrivò e mi chiese di farle vedere le braccia, mi domandò cosa c'era che non andava. Rimasi un po’ in silenzio pensando alla risposta che avrei dovuto darle. Dopo averle spiegato la situazione mi disse che avrebbe potuto ricoverarmi per qualche giorno, per vedere se la situazione sarebbe potuta migliorare. In quel momento caddi, caddi più a fondo di quel che già non ero. Iniziarono a scendermi le lacrime, venni da te di corsa, con le lacrime agli occhi, ti raccontai tutto, mi facesti sedere sulle tue gambe e mi tenesti stretta a te, mi guardasti per un momento con quegli occhi azzurri che danno sicurezza, come per dirmi “sono qui, sarò qui sempre, non ti lascerò da sola. Ne usciremo insieme”. Mi prendesti le mani e io ti guardai con occhi imploranti aiuto e tu mi abbracciasti, così forte, quasi da rompermi le ossa, ma ti giuro che in quel momento mi aggiustasti il cuore. Mi sentii al riparo, da tutti e tutto, come se niente potesse, in qualche modo, ferirmi. Mi sentii presa in considerazione, amata. Si è il termine giusto da usare, “amata”, perché forse non lo sono stata abbastanza nella mia vita, ma tu, mi hai fatto sentire amata in quel momento, come nessuno mai aveva fatto. Adesso vorrei tornare lì, esattamente in quel momento, per dirti quanto ho bisogno di te, per farti rendere conto di che ruolo hai nella mia vita, vorrei tornare indietro, anche solo un secondo per dirti che mi manchi, che per un momento nella mia vita sono stata davvero felice. Ecco, quello è il ricordo più bello che ho, un ricordo che forse non tornerà più, ma io lo custodirò come qualcosa di speciale, perché lo è, proprio come te. Tu questo probabilmente non lo leggerai mai, l'ho scritto su questo social apposta, per poter dire ciò che veramente penso a qualcuno. Ciao ma, ti voglio bene. -tua Marti
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