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#segregazione
gregor-samsung · 5 months
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" Chiudo il libro, lo poso di lato, spengo la lampada e mi addormento finché, prima dell’alba, il rumore sordo di un’esplosione mi sveglia, seguita qualche istante dopo da una seconda, poi da un’altra e un’altra ancora. Non sto sognando. Faccio ben attenzione, sono proprio rumori di esplosioni e la loro intensità mi fa intuire la distanza tra me e il luogo da cui provengono i colpi. Sono abbastanza lontani, oltre il Muro. Da Gaza o forse Rafah. Il rumore dei bombardamenti varia molto in base alla vicinanza o alla lontananza dal luogo dell’esplosione. Il boato di questo bombardamento non è particolarmente intenso e il rumore non dà troppo fastidio, è piuttosto un suono sordo, profondo e pesante, come quello di un martello che batte su un enorme tamburo. Le bombe che provocano quel boato non scuotono l’alloggio in cui mi trovo, anche se le sue pareti sono di un sottile legno chiaro, non mandano i vetri in frantumi, anche se le finestre sono chiuse. Quando mi alzo dal letto e le apro, la stanza non è invasa da una densa nuvola di polvere soffice al tatto. Invece, al suo interno, si insinua l’aria dolce e fresca dell’alba. Continuo ad ascoltare, le mie orecchie si abituano al suono ripetitivo dei bombardamenti che suscitano in me una strana sensazione di vicinanza con Gaza, oltre a un desiderio di sentire quelle esplosioni da più vicino, di percepire le particelle di polvere degli edifici demoliti dai bombardamenti. L’assenza di tutto ciò mi fa comprendere quanto sia lontana da quello che mi è familiare e, soprattutto, quanto sia impossibile farvi ritorno. Prima di farmi sopraffare dall’ansia e dal terrore, torno a letto e mi addormento di nuovo. "
Adania Shibli, Un dettaglio minore, traduzione di Monica Ruocco, La nave di Teseo (collana Oceani, n° 118), 2021¹; pp. 117-118.
[Edizione originale: تفصيل ثانوي (Dettaglio secondario), Dār al-Ādāb editore, Beirut, 2017]
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boomerissimo · 10 months
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Sammy Davis Jr, fuga dal Rat Pack | Quella volta che tradì Frank Sinatra
Sammy Davis Jr: fuggire dal Rat Pack per ritrovare se stesso
Nero per caso? Sammy Davis Jr. si è scontrato con tutte le discriminazioni che venivano dal colore della sua pelle. Ma non ne avrebbe voluto nessuno. Visto che la sua identità non era abbastanza problematica, fece di tutto per complicarsi ulteriormente le cose. Né bianchi, né neri, né ebrei, nessuno sentiva Sammy Davis come una cosa sua. E a lui andava bene così. Lui era Sammy Davis Jr. un…
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deathshallbenomore · 1 year
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diceriadelluntore · 6 months
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Storia Di Musica #300 - Miles Davis, Live-Evil, 1971
Quando si ascoltò questo disco per la prima volta, i critici ebbero un profondo senso di smarrimento: Come bisogna definirlo? Cosa è? È jazz? È rock? È qualcosa di altro? In parte era lo scopo del suo creatore, in parte perfino a lui, genio incontrastato delle rivoluzioni musicali, qualcosa "sfuggì di mano", divenendo addirittura qualcosa di altro dalla sua idea primigenia. Questo è un disco che parte da un percorso iniziato qualche anno prima, quando Miles Davis e il suo storico secondo quintetto iniziano ad esplorare le possibilità che gli strumenti elettrici e le strutture della musica rock possono dare al jazz. I primi esperimenti con Miles In The Sky (1968), poi con quel capolavoro magnetico che è In A Silent Way (1969), il primo con la nuova formazione elettrica, la quale sviluppa a pieno quella rivoluzione che va sotto il nome di jazz fusion con il fragoroso, e irripetibile, carisma musicale rivoluzionario che fu Bitches Brew (1970, ma registrato qualche giorno dopo il Festival di Woodstock, nell'Agosto del 1969). Davis è sempre stato curioso e non ha mai avuto paura di guardarsi intorno dal punto di vista musicale, ne è testimone la sua discografia. E nell'idea che il jazz stesse morendo, era sua intenzione innestarlo di nuova vitalità contaminandolo con altri generi, non solo il rock, ma anche il funk, il soul, la musica sperimentale europea. A tutto ciò, per la prima volta nel jazz (e questa fu l'accusa più viva di eresia), il ruolo del produttore, del suo fido e sodale Teo Macero, è proprio quello di cercare tra le sessioni di prove le parti migliori, o come amava dire Davis "le più significative", e metterle insieme in un lavoro sorprendente e meticoloso di collage musicale, che in teoria elimina la componente espositiva solista del musicista jazz, ma che allo stesso tempo regala una nuova filosofia musicale ai brani, del tutto inaspettata. Decisivo fu, nel 1970, il compito che fu affidato a Davis di curare la colonna sonora del film documentario A Tribute To Jack Johnson, di Bill Cayton, sulla vita del pugile che nel 1908 divenne il primo pugile di colore e il primo texano a vincere il titolo del mondo di boxe dei pesi massimi, quando sconfisse il campione in carica Tommy Burns. Per questa ragione fu considerato una sorta di simbolo dell'orgoglio razziale della gente di colore all'inizio del ventesimo secolo, soprattutto poiché nel periodo erano ancora in vigore le leggi Jim Crow, leggi che di fatto perpetuarono la segregazione razziale in tutti i servizi pubblici, istituendo uno status definito di "separati ma uguali" per i neri americani e per gli appartenenti a gruppi razziali diversi dai bianchi, attive dal 1875 al 1965.
Il disco di oggi somma tutte queste istanze, in maniera unica e per certi versi selvaggia, divenendo di fatto una sorta di manifesto che Il Signore Delle Tenebre ostenta alla sua maniera, cioè nel modo più sfavillante possibile. Live-Evil esce nel Novembre del 1971, ma è frutto di storiche serate live al The Cellar Dome di Washington DC, dove la band di Davis si esibì per diverse serate nel Dicembre del 1970, e una parte di registrazioni in studio sotto lo sguardo attento di Teo Macero, presso gli studi della Columbia di New York. Con Davis, nelle esibizioni al Cellar Dome, che come prima pietra dello scandalo usa la tromba elettrica, infarcita di pedali di effetti e di wah wah (amore trasmessogli da Jimi Hendrix) c'erano Gary Bartz (sassofono), John McLaughlin (chitarra elettrica), Keith Jarrett (piano elettrico), Michael Henderson (basso elettrico), Jack DeJohnette (batteria) e Airto Moreira (percussioni) e in un brano solo, come voce narrante, l'attore Conrad Roberts. Nelle sessioni in studio di aggiungono altre leggende, tra cui Herbie Hancock e Chick Corea (con lui nei precedenti dischi citati), Billy Cobham, Joe Zawinul e il fenomenale musicista brasiliano Hermeto Pascoal, la cui musica e i cui brani saranno centrali in questo lavoro. Tutto il magma creativo di queste idee sfocia in un doppio disco dalla forza musicale devastante, tanto che oggi alcuni critici lo definiscono un heavy metal jazz, che parte dalle origini più profonde ma sfocia in una musica caotica e sfacciatamente meravigliosa, trascinante e indefinibile, che gioca tutto sulle dissonanze, sugli ossimori, sui palindromi simbolici e musicali. E manifestazione più chiara ne è la copertina, bellissima, di Mati Klarwein, artista francese autore di alcune delle più belle copertine musicali, tra cui quella di Bitches Brew: lasciato libero di creare da Davis, pensò alla copertina con la donna africana incinta, come simbolo di creazione "primordiale", ma fu lo stesso Davis, a pochi giorni dalla pubblicazione, una volta deciso il titolo, che gli chiese un nuovo disegno, che accostasse il "bene" al "male" attraverso una rana. Klarwein in quel momento aveva una copertina della rivista Time che raffigurava il presidente Hoover, che fu presa come spunto per la rana del male, che campeggiò sul retro della copertina, e che vi faccio vedere:
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Musicalmente il disco si divide in brani autografi di Davis, che diventano lunghissime jam session di sperimentazione, di assoli di chitarra, sfoghi di batteria, con la sua tromba elettrica che giganteggia qua e la, che raccolgono quel senso di rivoluzione, anche giocata sulla sua storica abilità di comunicazione (Sivad e Selim, che sono il contrario di Davis e Miles, la seconda scritta per lui da Pascoal, languida e dolcissima), il medley Gemini/Double Image, scritta con Zawinul, e le lunghissime e potentissime What I Say, quasi una dichiarazione di intenti, Funky Tonk, rivoluzionaria e la chiusura con Inamorata And Narration by Conrad Roberts, che è quasi teatro sperimentale, e le altre composizioni di Pascoal, Little Church e Nem Um Talvez, musica che stupì tantissimo lo stesso Davis, che considerava Pascoal uno dei più grandi musicisti del mondo: il brasiliano, polistrumentista, arrangiatore, produttore, è una delle figure centrali della musica sudamericana, e essendo albino è da sempre soprannominato o bruxo, lo stregone. Tutti brani vennero "perfezionati" da Macero, e addirittura nelle ristampe recenti è possibile leggere nelle note del libretto l'esatta costruzione dei brani, ripresi dalle sessioni live e dalle registrazioni in studio. Di quelle leggendarie serate al The Cellar Dome, nel 2005 la Columbia pubblicò un inestimabile cofanetto, di 5 cd, The Cellar Door Sessions 1970 con le intere esibizioni del Dicembre 1970: le parti usate in Live-Evil sono nel quinto e sesto disco, nei precedenti ulteriori esplorazioni musicali da brividi, per una delle serie di concerti storicamente più importanti del jazz.
Il disco verrà considerato il capolavoro che è solo dopo anni, in un periodo, quello degli anni '70, dove Davis accettò apertamente di sfidare la critica con la sua musica. Da allora però, per quanto in parte ancora enigmatico e "difficile", è considerato l'ennesimo pilastro della leggenda Davis, in uno dei suoi capitoli musicali che ebbe più fortuna, poichè buona parte dei fenomenali musicisti che contribuirono a questo disco erano in procinto, o già alle prese, con esperienze musicali che partendo dalla lezione del Maestro, ne approfondiranno i contenuti, e ne esploreranno i limiti: sarà quest'ambito che legherà le altre scelte di Novembre e questo omaggio, che come i precedenti numeri miliari (1,50,100,150,200,250) è dedicato al formidabile uomo con la tromba.
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vintagebiker43 · 1 month
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Il campione della segregazione degli studenti stranieri nelle scuole italiane perchè - a suo dire - potrebbero avere difficoltà con la lingua italiana.
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belladecasa · 9 months
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Mi fa troppo ridere tornare a casa mia perché i miei genitori non sono normali ed essendo io loro progenie sono caratterizzata da simile insanità che nel momento in cui ci relazioniamo si estrinseca in gesti e conversazioni abbastanza surreali e nonsense
Io oggi: mamma mia il semi permanente mi stressa troppo bastaaa bastaaaa (segue sproloquio sulla cura del corpo socialmente imposta alle donne)
Mamma: Sofi tu sei troppo sofisticata devi essere più flessibile
Si avvia in camera mia e apre il comodino, trova quello che è in realtà un vibratore ma non ha una forma fallica, non si capisce a cosa serva, perché appunto io sono troppo sofi-sticata (capito il gioco di parole?? Ehehe che dite? Non fai ridere piantala? Ok :( )
Lo prende in mano e fa: cos’è questo?
Io: è un mouse
Lei: ok *confusa probabilmente perché non sa cosa sia un mouse lo rimette a posto*
Mi ha troppo ricordato una scena di quando ero a liceo e ovviamente mi facevo le canne per cui compravo i miei decini di erba/fumo sentendomi già Pablo Escobar e li nascondevo in giro per la mia stanza. Lei però non si fa mai i cazzi suoi ed è impossibile nasconderle qualcosa quindi una volta mi trovò il fumo ma avendo avuto un’adolescenza di segregazione dal padre-padrone non ha vissuto le piccole trasgressioni adolescenziali. Per cui una volta arrivò col fumo in mano chiedendo confusa: ma che sta cosa???
Io: ah boh che schifo è strano
Lei: *confusa dalla consistenza indefinibile lo rimette dove stava*
Ora di pranzo; ovviamente in casa mia la televisione è sempre accesa (anche di notte) per diktat di mio padre perché sia mai che rimanga solo con i suoi pensieri o si sforzi a dialogare eccessivamente con noi. Al telegiornale fanno un servizio sul concerto di Travis Scott sold out a Roma
Papà: ma chi è questo?
Io: Boh
(davvero non ho idea di chi sia né se l’ho scritto bene, percepisco solo che vada di moda)
Aggiornamento in tempo reale:
Mamma: ma se mi candido me lo scrivi un discorso da sindaco così poi me lo imparo a memoria?
Io: ma certo che ce vole a scrive ste cazzate retoriche
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criptochecca · 2 days
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Ma sta segregazione comunque 😭
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heresiae · 10 months
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quindi, fatemi capire, solo perché era pubblicizzato come "hijab friendly" significa che, secondo loro, nessun altra avrebbe voluto andare?
un giorno in un parco acquatico senza doversi preoccupare se il costume copre come si deve, di non fare movimenti che possano attrarre attenzioni indesiderate, di divertirsi si, ma sentirsi comunque vulnerabili (e questo è universale) e potersi sentire a proprio agio con qualsiasi cosa addosso, perché non sempre riusciamo a fottercene del giudizio altrui e andare al parco acquatico con una canotta e un pantaloncino, o un costume intero, perché oddio, che problei hai a metterti un bikini?
dove devo firmare?
vorrei un termine che significhi l'opposto di segregazione ma con gli stessi connotati negativi, perché quelli che abbiamo ora ne hanno solo di positivi.
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palmiz · 1 year
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📰 Corriere del Ticino • 28 MARZO 2023
📃 "COVID, LA PIÙ GRANDE TRUFFA SANITARIA"
📁 "A livello mondiale le percentuali di mortalità COVID sono dello 0,15% delle persone che si sono infettate, circa 150 su 100.000, il che corrisponde a una normale influenza stagionale (0,10 e 0,20%). Ne consegue che il 99,85% degli infetti superano la malattia e ne diventano immuni. L’età media dei decessi COVID- 19, spesso con più patologie pregresse, supera in tutti i paesi gli 80 anni, ovvero l’età che corrisponde alla normale aspettativa di vita. [...]"
⁉️ "Quindi come si giustificano le misure draconiane adottate dalle autorità?
L’abolizione dei diritti naturali e costituzionali, la segregazione in casa, il divieto delle visite in ospedale, case anziani e istituti, il certificato COVID, il lasciar morire le persone ricoverate senza la possibilità di abbracciare i propri cari, il divieto dei funerali, le misure di distanziamento, le mascherine, i tamponi per accedere a scuola e lavoro… [...] La società è stata vile con la sua gioventù, costringendola alla segregazione e al ricatto, spingendola a vaccinarsi ed esponendola a grossi rischi (miocarditi, infertilità, mortalità), malgrado che il rischio per i giovani fosse pari a 0. [...]"
"Per spingere al vaccino, sono state sistematicamente bandite la prevenzione, le cure precoci, la possibilità di usare farmaci a basso costo, efficaci e noti da decenni. [...] Le autorità ci hanno mentito sulla protezione del vaccino: per stessa ammissione dei produttori sappiamo che i test sulla trasmissibilità non sono stati effettuati e nemmeno quelli sulla cancerogenesi e sulle donne in gravidanza… I contratti con i fornitori di siero anti COVID sono secretati, perché? Le autorità hanno spinto persone sane, donne incinte, giovani e bambini a vaccinarsi esponendoli alle incognite di un siero genico sperimentale, per di più senza una vigilanza attiva. [...] Chiediamo verità e giustizia affinché tutto questo non succeda mai più."
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La psicoanalisi ha smascherato le credenze umane nei confronti degli idoli e degli ideali di ogni specie. Sotto la sua onda d’urto anche i sentimenti più altruistici e solidaristici si sono rivelati solo povere maschere che ricoprivano l’avidità originaria della pulsione. Al fondo della natura umana non si incontrano buoni sentimenti, ma solo una spinta pulsionale che afferma sé stessa. All’origine della vita – come sosteneva già Hobbes – non c’è l’amore ma la guerra di tutti contro tutti. E se allora l’amore, di cui la retorica di ogni tempo si è riempita la bocca, non fosse che una impostura? Se l’essere umano al suo fondo volesse solo potenziare il proprio Ego, se la natura stessa dell’inconscio fosse profondamente criminogena, se la pulsione avesse di mira solo il suo proprio soddisfacimento, come spiega Freud, come potrebbe mai esistere un amore altruistico? Un atto di donazione di sé stessi verso l’Altro capace di prescindere dal narcisismo? Come può esistere un amore che non sia solo rivolto a noi stessi?
L’odio è più antico e originario dell’amore, scriveva Freud. È sotto i nostri occhi una escalation individuale e collettiva dell’incultura dell’odio, dell’anti-amore, del rifiuto, della segregazione, del respingimento dell’Altro in qualunque forma esso appaia. L’odio è una risposta difensiva finalizzata a salvaguardare la vita in pericolo, esposta, come direbbe sempre Freud, alla natura straniera e ostile del mondo. Se dimenticassimo questa verità ridurremmo l’amore ad una marmellata di buoni sentimenti o, più precisamente, per usare una categoria della psicoanalisi, ad una rimozione dell’odio. Ma proprio perché il primo movimento dell’uomo, il più originario, è quello della chiusura, dell’arroccamento e della paura nei confronti del mondo “straniero e ostile”, la possibilità dell’amore non può prescindere da questo carattere primario e dominante dell’odio. Ecco perché siamo così colpiti dai gesti di amore altruistico. Ci stupiamo forse sempre meno dell’orrore – che non ha limiti – e sempre di più dei gesti di amore e di solidarietà. Nondimeno è evidente, non solo agli psicoanalisti, che anche dove c’è amore serpeggia sempre una ambivalenza affettiva: io ti amo, ma poiché tu hai introdotto in me il seme della mancanza – poiché tu mi manchi proprio perché ti amo –, tu mi fai paura, io non mi posso fidare di te, tu sei pericolosa per la mia identità, ergo, ti odio.
L’amore è una vera alternativa all’odio solo quando sa assumere con slancio la dimensione della mancanza che l’esperienza dell’amore apre in noi. Si tratta di un movimento contro-natura: amo chi mi rende mancante. Come è possibile? La condizione dell’amore è quella di stabilire un rapporto di amicizia con la propria mancanza. Solo se si accoglie la nostra mancanza si può amare, ovvero sentire la mancanza di chi amiamo. Eppure ci sono amori che finiscono nell’odio e nella distruzione. Molto spesso sono gli amori più idealizzati, amori che hanno escluso l’insopportabile amando solo la bella immagine dell’Altro e non il suo fondo più insopportabile. Poi accade fatalmente che, in un momento o nell’altro, l’insopportabile faccia inaspettatamente irruzione e tutto frana, cade, si dissolve e di quell’amore non resta più nulla. Gli amori che finiscono nell’odio sono quelli che hanno cancellato l’insopportabile, che hanno amato solo l’immagine ideale dell’Altro, ovvero l’immagine che corrisponda alla nostre attese. Per questo Lacan diceva che un amore degno di questo nome sa amare tutto dell’Altro, dunque anche la sua parte più insopportabile. È un insegnamento che travalica il piano della vita amorosa e che investe ogni forma di legame umano: l’odio subentra all’amore quando l’idealizzazione lascia il posto alla delusione e questo accade tanto più facilmente quando l’infatuazione per l’Altro vorrebbe ricoprire i suoi limiti. Diversamente gli amori che durano sono gli amori che sanno condividere l’insopportabile, ovvero ciò che è veramente impossibile condividere.
Si dovrebbe allora aggiungere che se l’amore è amore non di qualcosa dell’Altro, ma di “tutto”, nulla
consentirà mai agli amanti di fare o di essere un tutto, di coincidere l’uno con l’altro. Ciascuno sarà infatti
confinato al non-tutto come verità ineliminabile di ogni rapporto. Il mito platonico dell’androgino non dice la verità sull’amore: ricostruire l’intero non può mai essere la meta dell’amore. Piuttosto quando amiamo facciamo esperienza di perdere l’intero, di conoscere la nostra insufficienza e la nostra vulnerabilità. L’amore da questo punto di vista non ricompone la sfera, non sana la ferita ma la apre perché ci costringe a incontrare la mancanza.
Ma se non possiamo aspirare a una totalità – è quello che accade invece nei regimi totalitari dove la massa ama e si sente amata dal suo leader, sentendosi un “tutto” – allora l’amore può essere una vera alternativa all’odio e non solo la sua fatale prosecuzione. L’amore scade nell’odio solo quando apre la ferita che avrebbe dovuto illusoriamente chiudere, ma se l’amore, invece, è la ferita, se è l’esperienza della mancanza, non è nel ritrovamento dell’intero, ma nella sua perdita che esso può realizzarsi. L’amore diventa così un grande antidoto ad ogni forma di odio, perché ci rende possibile fare amicizia con la nostra mancanza.
Il punto è che Freud non coglie la verità più profonda del messaggio cristiano. Egli riduce l’amore per il
prossimo ad una contraddizione insanabile: perché dovrei amare lo sconosciuto? Lo straniero? O, addirittura, chi non sopporto? E come dargli torto? Ma il limite del suo ragionamento consiste nel non intendere che il “prossimo” – come spiegherà invece Lacan – è innanzitutto la parte più dissonante di me stesso. L’amore suppone sempre l’accettazione di questo “prossimo interno”, di questo insopportabile che porto dentro di me. Allora colui a cui dichiaro il mio amore non è più la rappresentazione ideale di me stesso, lo specchio narcisistico che rende amabile la mia stessa immagine, ma diviene l’incontro con ciò che non intendo, che non posso avere e che non sono. La non coincidenza è, infatti, il senso più profondo di ogni legame d’amore. Per questo non c’è amore senza libertà, senza rispetto per la libertà dell’Altro. E per questo la violenza non fa parte dell’amore ma è la sua profanazione più estrema. Ogni amore ci espone al rischio di perdere una parte di noi stessi più che – come pensava Platone – di ritrovarla. Ma questo rischio comporta una gioia ineguagliabile che rende l’amore il più potente anti-depressivo in circolazione: esso introduce, infatti, una pausa, una tregua nel dolore infinito del mondo. Un nascondiglio? Un riparo? Una tana? Quando facciamo esperienza dell’amore facciamo esperienza di una interruzione nell’orrore insensato che accompagna l’esistenza. La mia esistenza, una volta amata, non è più alla deriva, non è più “di troppo”, ma si trova, come direbbe Sartre, voluta sin nei suoi minimi dettagli, “chiamata”, “attesa”, “salvata”. È tantissimo.
Massimo Recalcati
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gregor-samsung · 1 year
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“ In America Latina la tribù bianca si è imposta durante la conquista con la strage dei popoli indigeni e l’imposizione della “civiltà cristiana”. In questi ultimi trent’anni, i gruppi fondamentalisti cristiani e le Chiese evangeliche provenienti dagli Usa vi hanno trovato terreno fertile. Oggi il “suprematismo bianco” sta penetrando in quasi tutti gli Stati dell'America Latina. Forse il caso più eclatante è proprio il suo trionfo in Brasile. “Siamo in un Paese,” afferma la filosofa brasiliana Djamila Ribeiro, “che a lungo ha negato l’esistenza del razzismo. Il Brasile è stato uno degli ultimi ad abrogare la schiavitù (1888) che era alla base dell'economia brasiliana. Gli schiavi liberati non hanno avuto né terra né diritti. Il governo invece ha favorito l’immigrazione europea per lo ‘sbiancamento’ della popolazione brasiliana e a questi ha dato terreni. Il Brasile non aveva la segregazione legale come negli Usa, ma aveva e ha ancora una segregazione di tipo istituzionale. La popolazione povera è povera perché nera.” È in questo scenario che le Chiese evangeliche Usa sono riuscite a penetrare nel tessuto brasiliano e a diventare talmente forti da silurare il governo di Dilma Rousseff, per eleggere l’ex militare Jair Bolsonaro, che sta portando avanti una politica omofoba, sessista e xenofoba. Bolsonaro ha venduto il Brasile alle multinazionali che stanno massacrando l’Amazzonia. E, da buon seguace di Chiese fondamentaliste e negazioniste, non ha voluto fare nulla per bloccare la pandemia da Covid-19, portando il Brasile al disastro sanitario. Nel Paese confinante, la Colombia, gli accordi di pace tra il governo e le Farc sono falliti perché evangelici e cattolici fondamentalisti vi si sono opposti asserendo che quegli accordi difendevano aborto, omosessualità… Altrettanto in Bolivia, dove i militari e i gruppi religiosi fondamentalisti hanno compiuto un colpo di Stato contro Evo Morales, il presidente della Repubblica, reo di aver dato centralità politica, culturale ed economica ai popoli indigeni, da sempre schiacciati. E hanno organizzato il colpo di Stato con la Bibbia e il Crocifisso in mano. Ma nelle elezioni del 18 ottobre 2020, i cittadini hanno dato la maggioranza assoluta (il 53 per cento) al Movimento per il Socialismo (Mas), eleggendo Luis Arce, ex ministro di Morales, come presidente della Repubblica. Lo stesso sta avvenendo in Centro America. In Costa Rica, nel 2018, il pastore evangelico Fabricio Alvarado ha vinto le elezioni presidenziali con una piattaforma a favore dei “valori cristiani” contro l’aborto e a favore del neoliberismo. Nel Salvador, il presidente della Repubblica, Nayib Bukele, al suo insediamento ha invitato il pastore evangelico argentino Dante Gebel, molto legato ai pastori ultraconservatori degli Usa, a guidare la preghiera. Un deputato ha presentato una mozione in Parlamento per imporre la lettura obbligatoria della Bibbia in tutte le scuole. Sono solo alcuni esempi di un movimento che potremmo chiamare l’“internazionale cristo-neo-fascista, neo-liberale e patriarcale”. In America Latina è la reazione della tribù bianca in difesa della propria supremazia: utilizzare il “Vangelo della prosperità” per legittimare il neoliberismo imperante. “
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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acrosstheuniverse02 · 5 months
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Elliott Erwitt [Elio Romano Erwitz], fotografo staunitense (26/7/1928-29/11/2023)
Nessuna scelta può dare il giusto rilievo a questo grande fotografo. Grazie di tutto
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[*] Mother and baby 1953 - NY
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[*] Smoke break - NYC (1955)
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[*] California (1955)
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[*] Marylin Monroe - NY (1956)
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[*] Provenza (1955)
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[*]
"Qualche volta ho fatto foto che forse erano utili. Segregazione razziale, Guerra fredda… Ma non l’ho fatto in modo premeditato. Le fotografie non si preparano, si aspettano. Si ricevono."
https://guardache.wordpress.com
https://24hoursinthelifeofawoman.tumblr.com
http://photojunkie.livejournal.com
https://artslife.com/2023/11/30/morto-elliott-erwitt-il-poeta-della-fotografia-in-bianco-e-nero/
http://www.faciepopuli.com/post/122092510694/elliott-erwitt-provence-1955
https://biografieonline.it/biografia-elliott-erwitt
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diceriadelluntore · 4 months
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Falsi ortopedici
Capita a tutti di citare erroneamente. capita anche di credere vera una citazione o un aforisma legati a qualche personaggio che si ammira. Io che ne scrivo tante, ne sono certo, avrò fatto qualche errore di valutazione. Qualche volta però mi capita di incuriosirmi e verificare: per esempio una molta bella e famosa dice
Volevo scriverti, non per sapere come stai tu, ma per sapere come si sta senza di me. Io non sono mai stato senza di me, e quindi non lo so. Vorrei sapere cosa si prova a non avere me che mi preoccupo di sapere se va tutto bene, a non sentirmi ridere, a non sentirmi canticchiare canzoni stupide, a non sentirmi parlare, a non sentirmi sbraitare quando mi arrabbio, a non avere me con cui sfogarsi per le cose che non vanno, a non avermi pronto lì a fare qualsiasi cosa per farti stare bene. Forse si sta meglio. Forse no. Però mi e venuto il dubbio, e vorrei anche sapere se, ogni tanto, questo dubbio è venuto anche a te. Perché sai, io a volte me lo chiedo come si sta senza di te, poi però preferisco non rispondere che tanto va bene così. Ho addirittura dimenticato me stesso, per poter ricordare te.
Attribuita nientemeno a Kierkegaard nel suo Diario di un seduttore. Ebbene, grazie anche ad una mia splendida amica lettrice, ho constatato che nel libro non esiste niente di tutto ciò, e la citazione è costruita prendendo parti diverse da altri libri.
In questi giorni, mi è capitato di rileggere un post che sostiene questo:
Anni fa, uno studente chiese all'antropologa Margaret Mead quale riteneva che fosse il primo segno di civiltà in una cultura. Lo studente si aspettava che Mead parlasse di armi, pentole di terracotta o macine di pietra. Ma non fu così. Mead disse che il primo segno di civiltà in una cultura antica era un femore rotto e poi guarito. Spiegò che nel regno animale, se ti rompi una gamba, muori. Non puoi scappare dal pericolo, andare al fiume a bere qualcosa o cercare cibo. Sei carne per bestie predatrici che si aggirano intorno a te. Nessun animale sopravvive a una gamba rotta abbastanza a lungo perché l'osso guarisca. Un femore rotto che è guarito è la prova che qualcuno si è preso il tempo di stare con colui che è caduto, ne ha bendato la ferita, lo ha portato in un luogo sicuro e lo ha aiutato a riprendersi. Mead disse che aiutare qualcun altro nelle difficoltà è il punto preciso in cui la civiltà inizia. Noi siamo al nostro meglio quando serviamo gli altri. Essere civili è questo.
L'autore è qualche volta sconosciuto, altre volte Ira Byock, un medico scrittore americano. Dato che sono in vacanza, mi sono messo a cercare un po' di notizie, poichè secondo me questa affermazione è altamente improbabile che l'abbia detta l'antropologa Margaret Mead.
La prima evidenza della frase appare in un libro del 1980, Fearfully and Wonderfully Made, del chirurgo Paul Brand e di Philip Yancey, in cui dice "reminded of a lecture given by the anthropologist Margaret Mead, who spent much of her life studying primitive cultures".
La storia però cambia quando un articolo di Forbes durante la pandemia (del Marzo 2020) cita lo stesso episodio: How A 15,000-Year-Old Human Bone Could Help You Through The Coronacrisis di Remy Blumenfeld:
Years ago, the anthropologist Margaret Mead was asked by a student what she considered to be the first sign of civilization in a culture. The student expected Mead to talk about clay pots, tools for hunting, grinding-stones, or religious artifacts. But no. Mead said that the first evidence of civilization was a 15,000 years old fractured femur found in an archaeological site. A femur is the longest bone in the body, linking hip to knee. In societies without the benefits of modern medicine, it takes about six weeks of rest for a fractured femur to heal. This particular bone had been broken and had healed.
L'aggiunta è questa datazione del reperto osseo, e l'articolo continua suggerendo pratiche di condivisione di aspetti gioiosi e comunitari nei periodi di segregazione sociale imposto dal Covid19. L'articolo diviene virale e diffonde sul web lo stesso misterioso passo.
Tuttavia, pur ammettendo che in una determinata occasione non documentata Margaret Mead abbia detto come sopra, ad una domanda specifica "When does a culture become a civilization?", l'antropologa rispose così:
Well, this is a matter of definition. Looking at the past we have called societies civilizations when they have had great cities, elaborate division of labor, some form of keeping records. These are the things that have made civilization. Some form of script, not necessarily our kind of script, but some form of script or record keeping; ability to build great, densely populated cities and to divide up labor so that they could be maintained. Civilization, in other words, is not simply a word of approval, as one would say “he is uncivilized,” but it is technical description of a particular kind of social system that makes a particular kind of culture possible. (Bene, questa è una questione di definizione. Guardando al passato abbiamo definito civiltà le società quando hanno avuto grandi città, elaborata divisione del lavoro, qualche forma di conservazione dei documenti. Questi sono i fattori che hanno fatto la civiltà. Una qualche forma di organizzazione ( il senso di script è questo N.d.t.), non necessariamente il nostro tipo di organizzazione, ma una qualche forma di organizzazione e di conservazione dei documenti; capacità di costruire grandi città densamente popolate e di dividere il lavoro in modo che potessero essere mantenute. La civiltà, in altre parole, non è semplicemente una parola di approvazione, come si direbbe ad un altro “è un incivile”, ma è la descrizione tecnica di un particolare tipo di sistema sociale che rende possibile un particolare tipo di cultura. - fonte Talks with Social Scientists, a cura di Charles F. Madden, Southern Illinois University Press, 1968).
Che non è affatto la stessa cosa. Ci sono poi altre questioni, ancora più profonde: tra tutte, è "la cura medica" il fulcro della umanità? Non è che quella esigenza, in quel contesto storico preciso, era necessariamente più sentita e ben accolta?
Probabilmente non saprò mai se davvero Margaret Mead ha raccontato la storia del femore. Ma sono certo che ha scritto questo:
La natura umana è incredibilmente malleabile, tale da adattarsi accuratamente, con aspetti contrastanti, a condizioni culturali in contrasto (Sesso e temperamento in tre società primitive, Il Saggiatore, 1967, pag 184)
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fucktheglorydays · 1 year
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DOCUMENTARY | PUNK IN AFRICA
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La storia del movimento clandestino punk sudafricano a partire dagli anni ‘70 in poi. In un’epoca in cui in Sudafrica l’apartheid fu messa in discussione con violente ripercussioni, la guerra civile esplodeva in Mozambico e in Zimbabwe avvenivano massacri, ci fu una generazione di ragazzi, che cercò di sovvertire il conservatorismo e l’apartheid, ispirati da ideali politici, dalla cultura giovanile, da visioni antisistema e dalle sonorità tipiche delle band americane ed inglesi. Diretto da Keith Jones, ‘Punk In Africa’ esplora le origini della scena punk multirazziale sudafricana, mostrando in quali condizioni si trovava il panorama culturale del paese, dopo tre decenni di apartheid e segregazione razziale, quando formare una band con bianchi e neri era una scelta rischiosa e totalmente fuorilegge. Il film è un meraviglioso montaggio di filmati, poster, flyer DIY e interviste ai membri di band come i like National Wake, Wild Youth, Safari Suits, Power Age, Screaming Foetus, Gay Marines, The Rudimentals e tanti altri. Non finisce qui, perché il documentario mostra anche quello che verrà dopo: la seconda ondata di musica influenzata dal punk, dagli anni ‘90 fino ad oggi. Uguaglianza, pace e anarchia - buona visione.
This is the striking story of the hidden, underground and banned punk movement in Southern Africa from the 70s onward. During an era in which apartheid was being challenged in South Africa with violent repercussions, civil war burned across Mozambique and massacres occurred in Zimbabwe, a vibrant, progressive generation looked to subvert conservatism and apartheid, galvanized by politics, youth culture, anti-establishment themes and the sounds of American and British punk bands. Directed by Keith Jones, ‘Punk In Africa’ examines the beginnings of the multiracial South African punk scene, aiming to show what the country’s cultural landscape was like after three decades under apartheid and segregation, when starting a mixed race band was totally illegal and a risky proposition. The film is an amazing montage of show footage, DIY fliers and interviews to members of bands likeNational Wake, Wild Youth, Safari Suits, Power Age, Screaming Foetus, Gay Marines, The Rudimentals and many more. This isn’t over, because it also documents what came after: a second wave of punk-influenced music in the 1990s that continues today. Equality, peace and anarchy - enjoy it.
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charlievigorous · 2 years
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Ho lasciato passare qualche giorno prima di “dire la mia” sulla dipartita della Regina inglese. Non che l’argomento fosse di mio interesse ma in molti mi avete chiesto un parere e quando certe notizie diventano così “invadenti”, cariche di luoghi comuni, di esagerazioni e ipocrisia, allora qualcosa devo dirla. Se poi il coro (di politica e mass media) è unanime, tanto per cambiare, sento proprio il bisogno di esternare il mio dissenso e proporre qualche riflessione lontana dal pensiero unico.
In questo caso l’ha già fatto meglio di quanto avrei potuto fare io, Nicolò Govoni, un instancabile attivista che da tempo si batte per i diritti umani e che è a stretto contatto con chi quotidianamente subisce le decisioni e i capricci dei governanti occidentali. Nessuno quindi meglio di lui può portare una testimonianza diretta sulla questione, con una giusta spolveratina sul passato (che troppo spesso dimentichiamo o non conosciamo affatto).
Sottoscrivo anche le virgole e ringrazio Nicolò per il suo impegno.
“Credo fermamente che la vita umana, e così la sua fine, meriti rispetto, proprio in quanto umana. Ma la morte non dovrebbe rendere nessuno intoccabile, neanche i sovrani. Soprattutto i sovrani. Questa è una foto della Regina Elisabetta ad Aden, nel 1954. Negli anni a seguire la Corona ha governato il Sud dello Yemen, al tempo una colonia britannica, deportando e uccidendo oltre 200.000 yemeniti per soffocare i moti indipendentisti. Al contempo, in Kenya, l’impero creava veri e propri campi di concentramento per estinguere la ribellione dei Mau-Mau. Pochi anni dopo, in Nigeria, partecipava al genocidio/olocausto di oltre 3.000.000 di Ioro, così da impedire l’indipendenza del Biafra e proteggere i propri interessi petroliferi nella regione. Al contempo, come se non bastasse, tramite l’Operazione Legacy distruggeva per sempre le prove dei propri crimini coloniali, e in Canada approvava l’istituzione di scuole residenziali colpevoli di aver indottrinato, abusato e assassinato centinaia di bambini indigeni negli anni. Per completare il tutto, la Corona ha bandito la presenza di lavoratori appartenenti a minoranze etniche a Buckingham Palace fino alla fine degli anni ’60.
Anche questo è il lascito della Regina Elisabetta. Un lascito di violenza coloniale e saccheggio, di segregazione razziale e di razzismo istituzionalizzato. Ed è per questo che, mentre il mondo intero celebra e osanna il sangue blu, è di un altro sangue, quello rosso, che voglio fare memoria: il sangue delle vittime.
Per favore ricorda che la Regina Elisabetta non è stata un residuo del colonialismo. Ne è stata parte attiva.”
by Matteo Gracis
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blacklotus-bloog · 2 years
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La visibilità è meravigliosa. Tuttavia comporta degli svantaggi, se si inciampa lo si fa in maniera pubblica. Il modo di cadere fa la differenza, ci sono donne che suscitano una risata e altre dinanzi alle quali ci si toglie il capello. Non esiste segregazione di genere solo tra uomini e donne ma anche all'interno del mondo femminile. L'ideale di sorellanza di Jane Austen è un vago ricordo oggi.
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ALISON WOLF - Donne Alfa
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