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#retorica
gregor-samsung · 11 months
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“ C'è una parte di Italia, la quasi totalità delle persone che avrebbero dovuto combatterlo sul piano politico e con una proposta alternativa di efficacia maggiore, che ha considerato Berlusconi non il capo di una coalizione opposta alla propria e poi il presidente del Consiglio di questo Paese; ma ha passato anni e anni a parlare di lui come di un essere spregevole, un pagliaccio, un corrotto, perfino un uomo basso (un nano), un puttaniere. Si è persa un'enorme quantità di tempo e di energie a creare formule sarcastiche per il nemico e quelli che aveva intorno. In fondo, la sequela di errori che sono stati commessi nei lunghi anni di dominio di Berlusconi deriva da questa doppia e insostenibile identità che gli si è attribuita: il mostro e il pagliaccio. Insieme. Erano tutti convinti che fossero due definizioni esponenziali, e nessuno ha immaginato che invece avrebbero potuto essere due pesi che si annullavano. Quindi, né l'uno né l'altro. Nessuno lo ha mai considerato un vero mostro, perché il disprezzo e la derisione ne abbassavano i connotati, neutralizzavano il senso della tragedia, lavoravano per renderlo poco credibile. E non si ha timore vero di chi si considera poco credibile. Se non si ha timore vero dell'avversario politico, non si mettono in atto delle strategie concrete, e alternative alla sua, per combatterlo.
Quando è comparso sulla scena, nel 1994, gli elementi per combattere Berlusconi c'erano già tutti: il conflitto di interessi - e soltanto su questo si sarebbe potuta concentrare tutta la discussione democratica; le idee e i programmi, che non solo erano distanti dalla sinistra, ma erano distanti dagli interessi della maggioranza degli italiani. A questo si è in seguito aggiunta la disinvoltura con cui ha fatto alleanze e ha promesso in cambio con leggerezza, per esempio, il federalismo rovinoso che chiedeva la Lega. In più si è aggiunto ancora il modo di pensare alla politica, di fare campagna elettorale e di promettere, che era facilmente contrastabile al confronto con i risultati ottenuti: la pratica del governo è stata mediocre, con leggi che se potevano essere gravi perché fatte ad personam, lo erano ancora di più (e su questo bastava concentrarsi) perché non erano vantaggiose per la comunità. Tutti questi elementi pubblici, politici, sarebbero bastati a fare un'opposizione chiara e senza nessuna collaborazione di qualsiasi tipo; e sarebbero bastati a organizzare una controproposta politica di altra qualità. Non erano questioni soltanto sufficienti; erano questioni decisive della vita democratica di un Paese; non erano concentrate su una persona, ma sulle regole della comunità. Ciò bastava a mettere in piedi una tale quantità di energia oppositiva da poter essere comparata a una rivoluzione. Le energie invece, sono state sbriciolate e spese a interessarsi di altro: atteggiamenti, gesti e modi di vestire e di parlare; e soprattutto processi, gradi di giudizio e condanne; in particolare, su alcuni eventi scandalosi della vita privata. Non ho mai creduto che si potesse lottare per tutte queste cose insieme. Ho pensato sempre che l'energia oppositiva, in un Paese, è limitata, va salvaguardata, va spesa con razionalità e precisione. La dispersione di energie oppositive in tutti quei rivoli sarcastici, pettegoli, intrusivi, ha tolto forza alla sostanza. La concentrazione su stupidaggini è stato il centro energetico del Paese che si è opposto a Berlusconi. L'unica medaglia al valore civile da sfoggiare, in questi anni, è stata quante volte avevi deriso Berlusconi, quante volte avevi riso di Berlusconi; quanti articoli avevi scritto contro di lui, quante volte avevi espresso pubblicamente il tuo odio. Berlusconi su di noi faceva l'effetto di un dittatore all'incontrario: entravi nell'elenco dei sospettati se non parlavi male di lui. Si è ridotto tutto a un esercizio retorico dell'opposizione, dell'estraneità: con ogni probabilità, questo fenomeno ha avuto luogo per combattere la paura della diversità, la paura verso il potere di quest'uomo, con una denigrazione sul piano personale che ne abbassasse il pericolo. Ma l'operazione di dissacrazione del mito ha soprattutto distratto dalla lotta politica, dal centro delle questioni. Dalla costruzione di un'alternativa più efficace che potesse piacere al Paese. “
Francesco Piccolo, Il desiderio di essere come tutti, Einaudi (collana Super ET), 2017 [1ª ed.ne 2013]; pp. 198-200.
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toopatrolperson · 11 months
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marisartblog · 20 days
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Primer trabajo grupal de comunicación visual ✨️✨️
Primer proyecto de comunicación visual donde junto a mis compañeros abarcamos la retórica de la imagen, relaciones significado-significante y el análisis estético✍️
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ecleptica · 2 years
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retorica
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capra-persa · 6 months
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eristica /e·rì·sti·ca/
L'arte di argomentare con ragionamenti sottili e speciosi, prescindendo dalla verità o falsità di quanto si sostiene: rappresenta la degenerazione della dialettica nell'ultima fase dell'antica sofistica.
L’eristica è un’esasperazione della volontà di avere ragione. Sicuramente non è un’esasperazione cieca, l’eristica ci vede benissimo, in particolar modo, vede benissimo i propri interessi.
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catalogodeideas · 1 year
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"Sea pues retórica la facultad de considerar en cada caso lo que puede ser convincente, ya que esto no es la materia de ninguna otra disciplina. Cada una de las otras se refiere a la enseñanza y a la persuasión de su propio objeto, como la medicina respecto a lo saludable y lo nocivo para la salud y la geometría respecto a los números, y de modo similar las demás disciplinas y ciencias. La retórica en cambio parece que puede considerar lo convincente sobre cualquier cosa dada, por así decirlo. Por eso afirmamos también que el objeto de esta disciplina no se refiere a un género específico definido." (Aristóteles. Retórica. Alianza, Madrid, 1998. pp. 60-61).
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altrovemanonqui · 2 years
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LOCRIDE: 42 Comuni e un unico sogno, diventare Capitale Italiana della Cultura 2025.
Basta già il titolo per capire che soltanto facendo “rete” senza sterili campanilismi, pensando in grande e mettendo la cultura a fondamento di un progetto si può crescere e, da qui, fare turismo nella più stretta accezione semantica. Per contro, organizzando (dilettantisticamente, perché parlar di “amministrare” par troppa cosa) singoli ed isolati eventi ciascun paese può aspirare, al più, ad accogliere gli amici provenienti dai Comuni limitrofi… e sempre sperando che costoro siano automuniti!
Non vi bastino i giorni a venire per saldare il conto della vergogna per la vostra pochezza.
Amara terra mia!
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Interrogantes que se plantean en retórica. Esperando una respuesta del vacío, del incierto.
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loveint-diario · 2 years
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 “Vorrei pregarvi di avere pazienza verso quanto nel vostro cuore vi si prospetta irrisolto e di avere care le domande stesse… Vivete adesso le vostre domande. Così, forse, riuscirete, a poco poco, senza accorgevene, a giungere un giorno ad avere la possibilità di vivere le risposte.”
Rainer M. Rilke, Lettera a un giovane poeta
La pazienza è davvero la virtù dei forti? Allora perché sono soprattutto i deboli a doverla esercitare? La pazienza quando non indica una vera e propria rassegnazione, coincide con la decisione di attendere, dopo aver attentamente valutato l’impossibilità di agire in quel determinato momento. La pazienza è un’attesa del futuro, l’attesa di chi non può agire nel presente. Pazienti sono tutti coloro che devono sopportare una qualsiasi situazione che non hanno il potere di modificare. La pazienza è dei malati di cancro, dei malati cronici, di quelli in cerca di una diagnosi, dei loro caregiver, la pazienza è dei carcerati, dei prigionieri, di chi combatte una guerra personale o patriottica, la pazienza è dei migranti quando attendono un soccorso galleggiando su un gommone troppo carico nel bel mezzo del Mediterraneo e ci sono solo le stelle a guardare. Le domande sono quelle di chi non sa, di chi non può, di chi cerca la verità, di chi chiede giustizia.
La verità è vero, è un lavoro faticoso, richiede che si facciano ricerche accurate, indagini mirate, bisogna analizzare i dati e le prove raccolte, richiede riflessione giudizio anche, per scartare il superfluo e tenere il necessario, richiede di saper individuare l’importante, di riuscire a mettere insieme i pezzi per dare forma al mosaico nascosto, è insomma una faccenda complessa che vuole tempo, ma come nella scultura di Gian Lorenzo Bernini, quando il tempo solleva il suo velo e la scopre, la verità appare nuda e semplice.
Siamo continuamente sommersi da fakenews, in un regime di parziale libertà di parola e di stampa, nel quale le notizie vengono spesso confezionate in modo che la forza dell’immagine dia loro credito e risonanza, in una realtà appositamente manipolata. Siamo sommersi da una retorica che ha completamente reciso il legame tra chi parla e ciò che dice, creando, come diceva Michel Foucault ne Il coraggio della verità, un vincolo costrittivo e di potere tra ciò che viene detto e coloro ai quali si rivolge, tanto che questi non sembrano essere disturbati dalla sfuocatura del velo come accade quando, in alcune circostanze, le Carte dei Diritti, le Costituzioni, i Decreti e le Leggi, contano meno delle decisioni di chi ha il dovere, e la responsabilità, di garantire e difendere queste Leggi e questi Diritti.
Ecco perché quando cerchi la verità per chiedere giustizia “se guardi da vicino però_ ti accorgi che qualcosa stona_ che ci sono tipo dei glitch_ come se ci fossero altre immagini_ frammenti_ nascoste sotto”.
È Zerocalcare che scrive e disegna in Strati, La storia che nessuno vuole raccontare, uscita su L’Essenziale questo febbraio, la storia di Ugo Russo, un quindicenne ucciso a Napoli a colpi di pistola da un carabiniere, dopo che aveva tentato di rapinarlo con una pistola giocattolo. Sembra una storia semplice con fatti chiari e precise responsabilità, ma come mostra l’autore in questa storia ci sono dei glitch, dei frammenti stonati che richiedono di riflettere meglio sui dati raccolti. Perché un carabiniere che presta servizio a Bologna e si trovava in vacanza con la sua fidanzata, era armato? Perché il corpo di Ugo viene trovato a qualche metro di distanza dall’auto, dentro la quale si trovava il carabiniere come se, dopo il colpo alla testa che lo ha ucciso e quindi da morto, avesse tentato di fuggire?
Zerocalcare racconta una di quelle storie dove la verità si confonde nei dettagli di spazio e di tempo, le versioni sono più d’una e la giustizia ha i suoi percorsi lunghissimi. Una di quelle storie che non interessa a nessuno, di quelle che facilmente cadono nella disattenzione o nella banalità del pregiudizio del sapere già, per cui parole come camorra o mafia, sono esplicative di tutto, i fatti sono inquadrati dentro un modello che tutti pensano di conoscere e che permette loro di distinguere ciò che è bene da ciò che non lo è, di separare i buoni dai cattivi, ma soprattutto di mantenere intatta la retorica dei buoni, senza il bisogno di mettere in discussione chi siano questi i buoni e chi questi cattivi. Perché, conclude l’artista, “una storia senza buoni e cattivi non sappiamo nemmeno raccontarla”. Una storia, poi, dove i buoni li facciamo diventare i cattivi così possiamo metterli in prigione e i cattivi li facciamo diventare buoni, così hanno il potere di esercitare la giustizia, è impensabile. Del tutto distopica. Per raccontarla abbiamo bisogno della fantascienza, di sguardi visionari, di chi nell’illusione ottica vede sia il vaso sia il profilo degli amanti.
Durante questi anni, per far fronte a quello che mi stava accadendo ho dovuto anche io attraversare il cammino impervio della ricerca, l’incertezza della malattia, la stasi della prigionia, la confusione di immagini velate e di testi criptati. Quando mi sono rivolta alla giustizia, prima in Italia dove non hanno voluto accettare la denuncia, e dopo in Spagna dove ho visstuto per un paio d’anni e dove l’agente di polizia del tutto candidamente mi disse: “Signora, con tutte le denunce per stalking che abbiamo di donne che subiscono minacce di morte, benché la violazione della privacy sia un reato, ma chi vuole che indaghi su una denuncia per qualcuno che non le ruba denaro, non minaccia di farle del male e non posta le sue foto. È solo qualcuno che la guarda. Lo ignori e vada avanti con la sua vita, prima o poi si stancherà e la lascerà in pace.”
Era il 2017. La storia non era proprio una di quelle che non interessa a nessuno, era ancora meno, sembrava che non ci fossero nemmeno i presupposti per definirla una storia. Ero giusto una donna che voleva difendersi da un uomo che abusava del suo potere. Nessuno mi stava rubando dei soldi, non c’erano immagini piccanti e nemmeno insulti o minacce. Tutto normale insomma, come normale mi sembrò per non perdere la speranza, cominciare a frequentare la pazienza.
Roma 21/06/2022 h 08:27pm
Capitolo 4 La nuda verità
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zero-gravity001 · 2 years
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Estaba durmiendo; me pare y me quedé viendo al techo; me sentí y me quedé viendo a la nada. Salí al baño y en vez de orinar agusto empecé a sentir una extraña sensación de vacío en mí y eso que solo estaba orinando, me puse reflexivo. Lo curioso, es que ni estando en mi mejor momento escribiendo trabajos finales me puse así de reflexivo! Y recordé lo que dijo Albert Camus; somos como sififo: un ensayo Filosófico dónde hacer reflexión a la vida contemporánea del hombre, una vida llena de reproducción y cotidianidad a coste de nada! Y tal vez ahí es donde nos hace recordar que somos humanos. Las pequeñas cosas pueden traer grandes pensamientos o grandes reflexiónes. Las ideas si cambian al mundo.
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marcogiovenale · 17 days
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oggi, 11 aprile, a milano: giovanni anceschi su tomás maldonado
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gregor-samsung · 10 months
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“ Il dialetto gaddiano, il romanesco del Pasticciaccio tanto spesso avvicinato a quello pasoliniano, entra in un rapporto ludico complesso con la lingua, con i suoi differenti livelli, e nel gioco quello che conta è la scrittura, l'artificio della scrittura come suprema abilità di maneggiare (e magari di distruggere, ma dall'interno) il registro del simbolico, la comunicazione (e la tradizione) letteraria. Al contrario il romanesco pasoliniano vuole prima di tutto essere puro suono, nasce indifferente ai significati, esterno alla comunicazione, posto al servizio di un progetto di ipnosi, di trance. È un dialetto "brutto", rigorosamente privo di tensioni formali, tutto concentrato sulla propria noia. Se nei primi racconti di Alí l'artificio letterario tradizionale, inteso come abilità ed eccezionalità linguistica, era ancora ben presente, col dialetto dei romanzi passa in secondo piano e ci sembra di leggere semplici registrazioni vocali. La letterarietà dell'operazione si è spostata, ha cambiato scopo. L'« intervento dello scrittore in quanto tale »* non si indirizza piú al perfezionamento interno della scrittura, ad esibire gli artifici, le astute scelte, a molare e render "bello" il pezzo testuale; ma punta piuttosto all'effetto finale, pratico, del testo: non interessa la tenuta estetica ma il potenziale di fascinazione che il testo può produrre. Perciò i romanzi pasoliniani, nonostante le apparenze spesso alessandrine, possono anche mostrare rozzezze, e trascuratezze di scrittura. Il romanesco non è affatto un registro "d'arte", viene adottato e trascritto in una chiusa brutalità che lavora efficacemente come un suono addormentatore. Tale vistosa modifica della letterarietà testuale chiarisce le profonde differenze tra l'operazione dialettale romana e il precedente friulano. Nel Friuli il dialetto funzionava come metafora della dimensione immaginaria ma conservava tutti i segni "letterari" del gergo ermetico. L'immaginario era messo in gioco per via di metafora, proprio attraverso la strumentazione raffinata dell'artificio: la cantilena ipnotica del fantasma era prima di ogni altra cosa una scrittura, un'elaborazione testuale, e fingeva abilmente di essere il suo contrario, l'oralità liberata di un registro pre-linguistico. Ora invece l'esperimento pasoliniano è diverso, molto piú radicale. Ora il dialetto dei romanzi, appiattito nella ripetizione, è letteralmente quella oralità dell'immaginario. Se volessimo servirci di una sottile distinzione potremmo dire che il friulano era una « scrittura », il romanesco è invece una « trascrizione » del fantasma.** Certo, anche nel caso del romanesco il dialetto è prima di tutto linguaggio, quindi interno alla generale dimensione della comunicatività; ma Pasolini ne fa un uso così speciale, così limitato (fatto di formule, di indifferenza, quasi di cecità linguistica), che il salto dal dialetto-linguaggio al dialetto-fantasma è facilissimo. Il romanesco, così ridotto e impoverito, è una catena di significanti, senza semantica, e una tale catena non riesce neppure a localizzarsi come sistema di opposizioni, di simboli, di segnali riconoscibili e produttori di senso: insomma, il puro significante di questo dialetto non riesce a diventare organizzazione, griglia simbolica dentro la quale ordinare le cose. “
*Si veda la dichiarazione pasoliniana: « Per assumere nel romanzo il colloquio in dialetto occorre perciò un intervento dello scrittore in quanto tale molto piú accentuato e dichiarato che in una pagina scritta nell'italiano letterario ». Cfr. F. Camon, Il mestiere di scrittore, Milano, 1973, p. 107. **Ci serviamo di una distinzione enunciata da Lacan, a proposito dei suoi seminari, nella Postface a J. LACAN, Le séminaire livre Xl. Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse, Paris 1969, pp. 251-254.
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Rinaldo Rinaldi, Pier Paolo Pasolini, Ugo Mursia Editore (collana Civiltà letteraria del Novecento - Profili N. 40), 1982¹; pp. 145-46.
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vorticimagazine · 1 month
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La retorica di Aristotele: Ethos, pathos, logos
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Questa volta, Vortici.it vuole compiere con voi lettori un viaggio curioso nel mondo della comunicazione, spronati anche dalla confusione che regna ultimamente in questo campo per diverse ragioni. Ci siamo chiesti: quali sono gli ingredienti di un buon discorso? Quando esponiamo le nostre idee, per iscritto o a voce, tendiamo a voler persuadere gli altri. Chi ci ascolta deve capire il nostro punto di vista e persino accettare le nostre argomentazioni. La retorica consiste proprio in questo, indurre gli altri ad adottare il nostro punto di vista. Dunque chi meglio di Aristotele (Stagira 384-83 a. C. - Calcide 322 a. C.), può spiegarci cos'è la retorica?
La retorica di Aristotele consiste in tre categorie: pathos, ethos e logos. Il filosofo greco è a tutti noto, fu uno dei più grandi pensatori dell’antichità e di tutti i tempi. Aristotele può essere considerato il primo Scienziato nelle Scienze della Comunicazione, grazie all’individuazione delle tre grandi categorie di variabili (pathos, ethos e logos) che rendono un messaggio persuasivo ed efficace.
Il pathos, l’ethos e il logos sono i tre pilastri fondamentali della sua retorica. Oggi queste tre categorie sono considerate le tre diverse modalità per convincere un audience su un argomento, su una credenza a cui aderire o su una conclusione in particolare. Sebbene ogni categoria sia unica, padroneggiarle tutte e tre aiuta a coinvolgere il pubblico a cui ci stiamo rivolgendo. La Retorica di Aristotele Scritto nell’ultima parte della sua vita il suo trattato sulla Retorica, raccoglie le riflessioni concernenti la retorica da lui sviluppate nel corso della propria esistenza. Pervenutoci in tre libri, è il testo di riferimento principale, data la sua peculiare capacità di intrecciare temi di natura politica, giuridica, etica, psicologica e linguistica. Noi ovviamente ci interessiamo di quest’ultima, poiché ci occupiamo di comunicazione. Pathos (πάθος) Pathos significa “sofferenza ed esperienza”. Secondo la retorica aristotelica, questo concetto si traduce nell’abilità dell’oratore o dello scrittore di evocare emozioni e sentimenti nel pubblico. Il pathos è associato all’emozione e mira a simpatizzare con il pubblico, facendo appello all’immaginazione di quest’ultimo. Infine, il pathos punta a entrare in empatia con il pubblico. Quando si fa leva sul pathos, i valori, le credenze e la comprensione dell’oratore si mescolano e sono comunicati ai destinatari per mezzo di una storia. Il pathos è molto utilizzato quando gli argomenti da esporre sono oggetto di controversia. Dato che gli argomenti trattati sono solitamente privi di logica, il loro successo risiede nella capacità dell’oratore di riuscire a entrare in empatia con il pubblico. Per esempio, se la discussione riguarda l’illegalità dell’aborto, l’oratore utilizzerà parole “vivide” per descrivere i neonati e l’innocenza della nuova vita, in modo da evocare tristezza e preoccupazione nel pubblico. L’ethos (ἦθος) La seconda categoria, ethos, significa “carattere, comportamento” e proviene dalla parola greca ethikos, che significa morale e la capacità di mostrare la propria personalità che si basa sulla morale. Per oratori e scrittori, l’ethos è costituito dalla credibilità e dalla similitudine con il pubblico. L’oratore deve essere degno di fiducia e deve essere rispettato in quanto esperto della tematica trattata. Affinché gli argomenti siano efficaci, non basta fare un ragionamento logico. Per poter diventare credibile, il contenuto deve essere anch’esso presentato in modo da trasmettere fiducia. Secondo la retorica di Aristotele, l’ethos è particolarmente importante per stimolare l’interesse di chi ascolta (o di chi legge). Il tono e lo stile del messaggio diventano la chiave dell’interesse. Inoltre, il carattere è influenzato dalla reputazione dell’oratore, che dipende dal messaggio. Ad esempio, parlare al pubblico come un pari, invece di trattarlo come personaggio passivo, incrementa le probabilità che le persone si sentano parte attiva degli argomenti trattati. Il logos (λόγος) Logos significa parola, discorso o ragione. Nell’arte della persuasione, il logos è il ragionamento logico che si cela dietro le argomentazioni dell’oratore. Fa riferimento a qualunque tentativo di fare appello all’intelletto, ad argomentazioni logiche. In questo senso, il ragionamento logico è di due tipi: deduttivo e induttivo. In sintesi l’ethos è la credibilità che ogni oratore dovrebbe possedere. Il pathos è la componente che fa emozionare il pubblico. Il logos è il mezzo di persuasione basato sui contenuti e sugli argomenti. La caratteristica fondamentale del comunicatore di oggi è (o dovrebbe essere aggiungiamo noi) l'imparzialità. Essere consapevoli di queste tre strategie della retorica aristotelica può esserci utile per comunicare in maniera efficace da un lato e dall’altro individuare meglio i messaggi che mirano alla persuasione mediante l’inganno … Sarebbe proprio bello se potessimo utilizzare al meglio queste tre strategie antiche certamente, ma a pensarci bene modernissime, poiché ci aiuterebbe a ritrovare uno spirito critico ahimè in noi sbiadito, smarrito, o peggio a volte ignoto… con le dovute eccezioni. Scoprite la nostra rubrica Storia Vuoi approfondire il nostro saggio? La retorica di Aristotele, Ethos pathos logos: leggi un articolo de "La Discussione"... Immagine di copertina: Wikipedia Read the full article
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arleth-h · 2 months
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No me vuelvas a buscar, ni en la sombra, ni en la tempestad, ni en el abismo, ni en la oscuridad.
Sumérgeme en el cielo, en tu caos, y déjame libre en tus teorías y el mar.
-Arleth
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erickleyton · 2 months
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Introducción a la Retórica Poética
I. Supuesto
No vuelvas donde un día fuiste feliz, es una trampa de la melancolía, todo habrá cambiado y ya nada será igual, ni tan siquiera tú.
No intentes buscar los mismos paisajes, ni a las mismas personas, no estarán, el tiempo juega sucio, y se habrá encargado de destrozar todo aquello que un día te hizo feliz.
No regreses al lugar donde un día fuiste feliz, retenlo siempre en tu memoria, tal como era, pero no regreses.
No vuelvas al pasado, ya lo conoces, la vida sigue y hay nuevos caminos que recorrer, nuevos lugares que visitar y otras personas que nos esperan.
Créditos Al Autor.
II. Persuasión
Me gusta volver a los lugares donde fui feliz, me gusta atrapar la melancolía y cambiar su libertad, por mi felicidad.
Son tantos los paisajes que se dibujan en las personas, que nunca veras dos iguales, a veces sucios, los limpio de tiempo, para construir nuevas alegrías.
Me gusta regresar a los lugares donde fui feliz, para sacarlos de mi memoria y guardarlos allí, donde siempre pueda regresar.
Vuelvo al pasado mientras regreso al futuro, porque el presente me espera.
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psycomix-fallaciae · 2 months
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www.fallaciae.cards 👈 Citare il giudizio di un'autorità è sufficiente a chiudere la discussione? O forse è solo un punto di partenza? Questa #fallacia è nota come argumentum ab #uctoritate, collegata alla fallacia ad #verecundiam, 👑 come ben sanno i possessori 😎 delle #carte delle #fallacie a #fumetti (#fallaciae e #fallaciaebis)  #retorica #logica #logicalfallacies #argomentazione #dibattito #auctoritate #verecundiam
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