Quando gli domandano, cosa ha dovuto imparare dal suo lavoro, risponde sornione: "la pazienza, in questo mestiere si aspetta sempre, è un mestiere fatto di attese il resto non è difficile". La sua propensione alla semplificazione non è una nota a margine. Nella pazienza c'è quel confine di resa che Marcello doveva allenarsi ad adoperare, quella saggezza sottile, che che ha alimentato con l'instancabile perseveranza di chi ha sempre osservato, intrapreso, voluto e sentito di essere nel posto giusto, nel giusto momento. La pazienza, era quel laconico confine da dover imparare a tracciare, quell' estensione del tempo in cui la tolleranza doveva respirare, il giusto peso del tempo da sopportare, lo spazio per l'accoglienza alla lucida lotta alla noia, per lui, che fermo e paziente proprio non ci sapeva stare e per questo Marcello, paradossalmente era il suo stesso contrapposto della sua ben più nota pigrizia. Paziente non lo era affatto, con il tempo lo è diventato, ci si è piegato, ha accolto questa virtù nel bene e nel male allenandosi alla pazienza, imparando il gusto di un'attesa voluta, subita, distillata, mutata in un tempo scandito, certamente più opportuno che non avrebbe mai saputo cedere alla noia, solo per il semplice diletto di farlo. Nella pazienza, c'è la ricerca dell'attesa, la resa alla solitudine, così detestabile per lui, tanto quanto un saggio confine fatuo. Nell'allenamento alla pazienza, c'è la forza motrice morale che gli permette di fare pace con quella solitudine, con quel confine.
“Per favore, sii paziente con me. A volte quando sono tranquillo è perché ho bisogno di capire me stesso. Non è perché non voglio parlare. A volte non ci sono parole per i miei pensieri.”