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#coppia al museo
umi-no-onnanoko · 1 year
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Gli inumati di Narde Resti archeologici di una coppia sepolta assieme, preservata al Museo dei Grandi Fiumi di Rovigo.
The buried of Narde Archeological remains of a couple buried together, preserved at the Museum of The Great Rivers, Rovigo.
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diceriadelluntore · 1 year
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Storia Di Musica #266 - Dead Can Dance, Aion, 1990
La copertina del disco di oggi, della serie di lavori che riprendono capolavori del Rinascimento, è un particolare de Il Trittico Del Giardino Delle Delizie di  Hieronymus Bosch, dipinto probabilmente tra il 1490 e il 1510 dal maestro nederlandese, conservato oggi al Museo Del Prado di Madrid. Il particolare è della sezione centrale, sulla Vita nel Giardino. A sceglierlo per quello che è il loro disco capolavoro sono stati un gruppo australiano, i Dead Can Dance. Si formano a Melbourne alla fine degli anni ‘70, e si ispirano alla new wave britannica di quei giorni e alle sonorità post-punk. Sono in quattro all’inizio: Paul Erikson al basso, Lisa Gerrard alla voce, Simon Monroe alla chitarra e alla batteria e Brendan Perry alla voce e alla seconda chitarra. Pubblicano un singolo, nell’agosto del 1981, The Fatal Impact, che esce in una compilation di una rivista specializzata, Fast Forward. Visto il successo scarso, decidono di andare a Londra. Passano mesi duri, fino a quando nel 1983 un loro demo arriva alla  4AD Records, un’etichetta indipendente  fondata nel 1979 da Ivo Watts-Russell e Peter Kent e che sarà fucina di talenti e del più sofisticato goth rock di quel periodo, avendo scoperto e prodotto  Bauhaus, Cocteau Twins, Modern English, Pixies, Throwing Muses, e i leggendari This Mortal Coil, una sorta di supergruppo con molti dei musicisti delle band dell’etichetta che pubblicherà tre dischi magnifici. I Dead Can Dance sostituiscono Monroe con Peter Ulrich e nel 1984 pubblicano Dead Can Dance: in copertina, una maschera rituale della Nuova Guinea con il nome in caratteri greci del nome della band, una musica che se parte dall’elettronica new wave si espande e diventa rarefatta, acquisendo dettagli e costruzioni che diventeranno iconici, soprattutto grazie alla voce magnetica di Lisa Gerrard. Partecipano al progetto This Mortal Coil, poi nel 1985 il primo disco notevole, Spleen And Ideal, in cui introducono archi, fiati, armonie che si rifanno alla musica gotica, contenuti mistici che troppo velocemente diventano “new age”, e da qui inizia un piccolo seguito di culto per la band, che è diventata ormai un duo Gerrard\Perry, compagni anche nella vita. Si trasferiscono in Irlanda, e lì compongono il primo capolavoro: The Serpent’s Egg (1988) è ancora più etereo e sognante, e un brano, The Host Of Seraphim, verrà usato a più riprese in documentari, trailer, altri brani addirittura campionati (The Chemical Brothers che usano un sample di Song Of Sophia per la loro Song To The Siren, nel loro disco Exit Planet Dust del 1995). Succede però che i due si separino come coppia, con la Gerrard che rimane in Irlanda e inizia a studiare le lingue slave, Perry che va in Spagna. Ma il loro binomio artistico continua, e le esperienze personali sono alla base del disco di oggi, il loro capolavoro. Lo intitolano Aion, una parola greca che vuol dire “forza vitale”, e nella mitologia greca è il tempo infinito, del susseguirsi delle ere, ma anche il tempo vitale e il destino a differenza di Chronos che è il Dio del tempo degli eventi, delle ritualità. Composto da 12 brani spettacolari, ha decine di influenze. Solo due brani sono in inglese, Black Sun e Fortune Presents Gifts Not According To The Book, il cui testo è una traduzione di alcune liriche del poeta spagnolo barocco del diciassettesimo secolo Luis de Góngora. Si aggiungono melodie medioevali e rinascimentali, strumenti antichi come la ghironda o la viola da gamba, sono capaci di creare una musica che sembra un gioco di aria e acqua nella breve ma stupenda The Garden Of Zephirus, polifonie vocali nella toccante Wilderness, i ritmi da mercato arabo della conclusiva Radharc, la ripresa di un Saltarello, una melodia tipica del Centro Italia Rinascimentale, ma su tutto domina la voce, da brividi, della Gerrard, che con naturalezza canta una glossolalia fatta di parole greche, latine, arabe, bulgare, gaeliche che sembrano una misteriosa nuova lingua nella spettacolare apertura del disco, The Arrival And The Reunion, accompagnata dal soprano maschile David Navarro Sust. Alcuni strumentali sono eccezionali e rimandano al tempo del dipinto di copertina, come Mephisto e la stupenda As The Bell Rings The Maypole Spins (il Maypole Spin è molto simile All’Intreccio delle tradizioni folkoristiche nostrale legate al Carnevale, e consiste nell’intrecciare serie di nastri colorati, seguendo un ballo ritmico, ad un palo). Ma il colpo da maestro è la ripresa di una canzone tradizionale mediterranea, The Song Of The Sybil, conosciuta soprattutto nel sud della Spagna come El Canto De La Sibilla e ad Alghero: canzone di genere apocalittico che la tradizione fa risalire addirittura a Eusebio da Cesarea, che scrisse, secondo Sant’Agostino, una Iudicii Signum, che il teologo da Ippona tradusse dal greco al latino nella sua Città Di Dio. I Dead Can Dance ne riprendono la versione in catalano, che è uno dei momenti clou delle celebrazioni della natività in molte zone della Spagna: qui la Gerrad sfoggia tutta la natura dolorosa del canto, in una prova vocale da brividi e indimenticabile. Il disco è acclamato dalla critica e rimane uno dei picchi di creatività di una band che toccherà il massimo successo con Into The Labyrinth (1993), che venderà 500 mila copie, record per un disco della 4AD. Rimangono un ascolto necessario, per la delicatezza delle scelte e la magia della loro musica, da assaporare con il tempo necessario per un viaggio spazio temporale, almeno ad occhi chiusi.
P.S. La rubrica salta la domenica prossima, e riprende martedi 21 per ritornare domenica 26, con due titoli per finire la serie di dischi con le copertina rinascimentali.
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erosioni · 3 months
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Ars gratia artis 1
Mi basta avere tempo. I pensieri partono e si accavallano e sovrappongono. Pensando a cosa dovrei o devo fare, e come, a cosa dovrei pensare di dover fare, a cosa ho già fatto e detto e come, se andasse e andrà bene. Se invece c’è abbastanza tempo l’ozio disperde i pensieri: questi. 
Gli altri pensieri si accavallano, come le gambe: distanza interposta che proietta in avanti, un raccoglimento che sbircia ai lati. Invece di coprire in stage un turno non mio preferirei essere seduta a fare l’aperitivo, oppure in battello come i turisti, oppure in un letto non mio. Ma forse va bene anche solo stare qui a pensare.
In ogni caso la guardiania chiede solo tempo, soprattutto in un tardo pomeriggio di sole estivo che svuota il museo. Mi lascia allora non sragionare e con me nel fresco delle sale rimane il torpore dell'ozio. Comincio a pensare a qualcuno con cui vorrei bere, oppure con cui vorrei dividere un letto fresco, magari in una stanza anonima di hotel vista lago. Forse dividerlo con più di uno. Con due. Una coppia. È un bel pensiero. Mi cullo per un po’ con l’idea del threesome, finché posso. Disaccavallo le gambe e cambio posizione.
Non possiamo usare il cellulare, fa poco professionale. Ammesso che stare seduti qui sia una professione. Comunque sono severi. Sbircio l’ora: il turno è ancora lungo. Apertura serale estiva, l’idea geniale di qualcuno in assessorato. Non sia mai che qualche erudito manchi l’opportunità di vedere la collezione di sassi arcaici del primo piano nel dopo cena. Dai: comunque sono soldi per le vacanze.
Passa Martino, l’altro stagista. È alto, slanciato, con gli occhi scuri. La giacca gli sottolinea le spalle larghe. L’uniforme gli sta bene. Chi sa come starebbe senza. Mi fa un cenno di saluto annoiato e rispondo. “Tutto bene, Cami?” “Sì sì tutto bene, grazie, perché non andiamo a scopare nei cessi? Ho voglia di stare a quattro zampe davanti a te.” Questo mi limito a pensarlo ovviamente, in realtà annuisco sorridendo.
“Non c’è nessuno, vuoi uscire a fumare? Qui ci sto io…”. Forse anche meglio della scopata al cesso. Lo ringrazio con un altro sorriso e mi alzo. “Ti devo un favore” gli dico mentre esco dalla stanza, ma mi sa che sono troppo timida per fargli capire qual è il favore che gli farei per davvero.
Passando di fronte allo specchio dell’uscita mi vedo nell’uniforme della guardiania. Sembro un incrocio tra una hostess e una monaca: tailleur blu, camicetta bianca, gonna al ginocchio, calze velate. Definitivamente non da selfie.
All’esterno ci sono forse cinquanta gradi, ma è come stare fuori di galera. Mi rollo una sigaretta e aspiro con voluttà. Appoggiata al muro, mi slaccio il primo bottone della camicetta e socchiudo gli occhi. Non oso levarmi la giacchetta.
E faccio bene. “Signorina!” Sobbalzo come in un manga. Probabilmente ho l’espressione del gatto che ha mangiato il canarino. Ci mancava la direttrice, ma non era andata via? “Smetta subito di fumare e rientri! Lo sa che è proibito? Un po’ di professionalità, anche se è una stagista!” “Mi scusi, dottoressa” balbetto. Butto via la sigaretta. “Ma che fa? Sporca anche a terra? Andiamo bene! Raccolga quel mozzicone e lo metta nel cestino! Veloce…” Divento di tutti i colori. Sono proprio scema e ora la Bianchi mi prenderà in antipatia per sempre: è famosa per essere una super stronza con tutti. Mannaggia a me e a quando accetto di fare i turni degli altri.
Raccolgo il mozzicone e lo butto nel cestino. Mi giro e mi ritrovo faccia a faccia con la Bianchi, mi sta a cinque centimetri dal naso. I suoi occhi azzurri, vitrei, mi fissano come quelli di un serpente. Deglutisco e cerco di fare l’espressione docile.
Ora che cosa ho sbagliato? Ma non oso chiedere, mi limito a guardarla negli occhi con una lieve sensazione di smarrimento. Senza smettere di fissarmi, la Bianchi solleva le mani e mi chiude l’ultimo bottone della camicia. “In ordine, signorina… deve stare IN ORDINE…” Sento un tonfo al cuore. “S-sì mi s-scusi…” Non capisco il brivido che mi sale lungo la schiena. Questa stronza mi tratta come una merda e io mi eccito.
La seguo tutta remissiva mentre rientriamo. Ascolto il ticchettio dei suoi tacchi sul pavimento. Ma mi sono veramente eccitata? Do un’occhiata di sbieco al suo corpo. Ha il doppio dei miei anni, ma è una gran figa. “Scusa, ma stai veramente guardando il culo della Bianchi?” La mia voce interiore suona fintamente scandalizzata in mezzo ai pensieri che mi si accavallano in testa. “Sì” sono costretta ad ammettere. E sento pure le farfalle nello stomaco. Speriamo che mi lasci in guardiania dove posso finire di fare qualche fantasia su di lei in santa pace. Continuo a seguirla come un agnellino, ma con mia delusione passiamo davanti al desk dove c’è Martino. Lui mi guarda come dire “Povera”. Io non so più che espressione ho.
“Camilla…” mi riscuoto. La Bianchi si ricorda pure il mio nome? “Si chiama così vero?” Annuisco. “Mi segua in ufficio per favore. Martino: se c’è bisogno di ulteriore copertura in guardiania telefoni al mio interno, comunque non ci metteremo molto…”. Deglutisco e le farfalle nello stomaco si agitano anche di più. “Ma sei ansiosa o sei eccitata?” Non faccio in tempo a rispondermi che siamo nel silenzio dell’ufficio della Bianchi. Dovunque boiserie di mogano, libri e testine archeologiche. Sulla scrivania, enorme e piena di carte, un piccolo busto di qualche dea, ma non ho molta curiosità per i soprammobili, vista la situazione.
“Signorina, la nostra istituzione, anche se piccola, è famosa a livello internazionale per la sua serietà, per la sobrietà…” La ramanzina della Bianchi è cominciata. A quel punto mi rilasso. Cosa può succedere? Mi caccia? Non è certo il lavoro della mia vita. Mi scappa un sorrisetto di sollievo. “Che cos’è quel sorriso?” ruggisce la Bianchi “Lei mi sta sfidando?” Avvampo. “No, no dottoressa… mi dispiace, sono veramente dispiaciuta…”.
Mi si avvicina minacciosamente, rivedo quegli occhi freddissimi che mi trafiggono. Mi punta un dito al petto, mi fa quasi male. “I mocciosetti della tua età pensano di potersi permettere qualsiasi cosa, vero?” “Dottoressa i-io, mi dispiace…”. “Ora ti darò veramente una ragione per dispiacerti… ti piace aprirti la camicetta per farti vedere eh?”
Rimango spiazzata del tutto, forse più perché è passata al tu che per quello che dice. Mi afferra violentemente per il bavero della giacchetta. Ha una forza incredibile, nonostante sia alta come me. “Guardami bene, mocciosetta. Guardami…” Annaspo. Cado nel suo sguardo di disprezzo, poi abbasso gli occhi e li ritrovo nella sua scollatura abbondante. Ha un gran seno la Bianchi. Mi rifila un ceffone violentissimo. “Cosa guardi, mocciosetta?” Sono senza fiato: “A… a…” Mi arriva un secondo ceffone con il dorso della mano. Mi sale improvvisamente da piangere come da bambina.
“Mi guardi le tette? Ti fanno invidia? Tu certo hai ben poco in quel reparto!” Mi dà uno strattone alla camicetta e saltano tre bottoni. “Sei una puttanella maleducata e devi essere punita, lo sai?” Penso di avere il viso in fiamme e anche rigato di lacrime. Mi sento veramente umiliata e quel che è peggio riesco solo a balbettare cose incoerenti.
La Bianchi invece è una furia ma agisce in modo efficiente. Mi fa fare un mezzo giro su me stessa e mi spinge decisamente verso la scrivania. Sento che fruga in un cassetto. Qualcosa di metallico si chiude attorno ai miei polsi. Mi ha ammanettato questa stronza! Mi spinge e crollo a novanta gradi sulla scrivania mentre carte e libri finiscono a terra. Mi schiaccia la faccia contro il piano di vetro, tirandomi i capelli. Da quella posizione vedo gli occhi indifferenti della statuetta. Non capisco cosa sta succedendo, a parte che piango un po’ e mi tremano le gambe.
“Abbassiamo questa gonna ora, puttanella, vediamo che c’è sotto!” Cerco di divincolarmi, ma la Bianchi crudelmente mi sbatte la testa contro la scrivania. Sento un dolore fortissimo e trovo la forza di gridare. Mi sta addosso con tutto il peso. “Grida pure, mocciosetta, tanto è tutto insonorizzato qui…” “Per favore, per favore… no…” La gonna e i collant scivolano lungo le mie gambe e si afflosciano alle caviglie. “Lo sapevo, lo sapevo, hai delle mutandine davvero da quattro soldi. Tipico di voi mocciose: dove le prendi, al mercato?” Mi metto di nuovo a piangere perché non so cosa dire.
La Bianchi si piega su di me e mi sussurra: “Però hai un bel culetto, mocciosetta, va usato.” Inaspettatamente sento un brivido di eccitazione: mi sto bagnando. Comincia a sculacciarmi con la mano aperta. Sciaff. Grido e mi scuoto tutta, ma non mi azzardo più a ribellarmi. Sciaff. Sciaff. Continua con una mano durissima. “Per favore dottoressa noooo… bastaaa…” stavolta grido fortissimo, ma è inutile. “Ti stai eccitando, puttanella? Dimmi la verità?” Mi mordo le labbra per non rispondere, ma mi sto eccitando molto. Mi vergogno anche tanto, non credevo che una cosa del genere potesse essere eccitante.
Sento il sedere che pulsa, forse ci rimane anche il segno. Vorrei solo essere scopata adesso. “Sei proprio una troietta, vero, Camilla?” “Mhhh… sì sì…” Non so perché lo dico, forse per paura, ma in realtà mi fa piacere dirlo. Me lo fa ripetere diverse volte mentre mi sculaccia, è come se mi vedessi dall’esterno mentre mi umilia. “Sì, sono una troietta, una troietta, una troietta…”. Mi piace. Non ho più voglia di ribellarmi.
Mi spinge giù dalla scrivania. In ginocchio. Mi prende il mento e mi costringe ad alzare lo sguardo verso di lei. “Non mi dire che non l’hai mai fatto, mocciosetta…”. Non dico niente, mi vergogno e basta. La Bianchi si solleva la gonna. Sotto non ha nulla. È depilata. La sua vulva sembra un occhio indifferente. Mi prende la testa fra le mani.
Sento l’odore forte della sua eccitazione e in qualche modo sono felice che sia eccitata per una troietta come me. La lecco con desiderio, con passione, mentre mi passa una mano fra i capelli. A un tratto con soddisfazione sento che viene, viene per me.
Ora sorride. Io sono tutta bagnata, mi fa male il culo e sono anche ammanettata. Mi sdraio sul tappeto persiano esausta. “Che cosa vuoi veramente, Camilla?” “Voglio venire, ti prego, ti prego!” Non so da dove mi esce questa voce, sembro veramente una troia. Si piega su di me, mi abbassa le mutandine. La sua bocca raggiunge la mia figa. Vengo quasi subito con un mugolio. Vengo ancora e poi ancora. Sembra che non finisca mai. La Bianchi ridacchia: “Vedo che sei proprio una troietta, non mi ero sbagliata…”.
Tira fuori la chiave delle manette e mi libera. Istintivamente la abbraccio. Ci baciamo con la lingua. Ha il trucco tutto disfatto adesso, ma è molto affascinante lo stesso. “Hai imparato la lezione, Cami?” Annuisco anche se non so cosa ho imparato, a parte che mi piace essere sculacciata da donne mature. “Dietro quella porta c’è un bagno, datti una rinfrescata perché Martino è rimasto solo anche troppo…” Ora è di nuovo brusca. Sono un po’ delusa. Uffa: mi piaceva la Bianchi che mi faceva le coccole.
Mi ripulisco cercando di non guardarmi allo specchio. Ho la faccia di una tossica della stazione, i collant ovviamente sono smagliati, mi mancano bottoni alla camicetta. Quando esco, la direttrice è seduta alla scrivania, tutto è di nuovo in ordine. Mi avvicino alla porta: “Allora io vado, dottoressa…”. “Puoi chiamarmi Lucia quando siamo sole. Cosa che accadrà spesso nei tuoi prossimi turni, come puoi immaginare…” Il cuore mi batte un po’, cerco qualcosa da dire. Arrossisco mentre dico solo: “Ciao Lucia…”. Dio che frase stupida. Sono proprio scema. Speriamo che mi perdoni la goffaggine. Anzi no. No. Speriamo proprio che me la faccia pagare.
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Oggi sono andata a Napoli insieme al mio compagno e una coppia di amici. Abbiamo visto una mostra fotografica di David Bowie. Il mio compagno è rimasto per tutto il tempo con me ma era visibilmente scocciato, mentre loro due se ne sono andati dopo 15 minuti. Ma per tutta la giornata ho dovuto sorbirmi le lamentele di tutti per aver perso tempo lì. Okay forse ero l'unica fan di David Bowie realmente interessata alla mostra, ma dopotutto loro due se ne sono andati a fare un giro nel frattempo e il mio compagno poteva benissimo seguirli perché se restare con me significa poi rinfacciarmelo allora no grazie. Entriamo nel museo delle torture e mi sento dire "ma mica vuoi restarci per ore come prima?" e "certo che la tortura peggiore è visitare un museo con te". Mi sono sentita umiliata, li ho seguiti priva di entusiasmo che ormai era svanito, ho visto i vari strumenti di tortura senza fermarmi, non ho letto tutte le didascalie per non rimanere indietro. Mi sono pentita di essere uscita con loro, non vedevo l'ora di tornare a casa, ero stanca di sentirmi dire ogni tanto "ma mi spieghi perché ti fermavi lì impalata a guardare ogni foto? Neanche fossero opere d'arte" e il mio compagno che mi dava dell'egoista perché dovevo adattarmi a loro. Ho capito che forse è meglio che vado da sola a vedere delle mostre perché io voglio assaporare il momento o perdere tempo come dicono loro. Mi sono sentita incredibilmente sola.
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jacopocioni · 9 days
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Lo Struscio Fiorentino Domenica 12 maggio 2024: Struscio a Siena
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Foto di Daniela de Francesco La terza passeggiata dello Struscio Fiorentino del 2024 si è svolta presso Siena, quindi in trasferta. A questo LINK si può trovare tutto il programma 2024. Il gruppo dello struscio si è riunito presso piazza Gramsci a Siena alle 10.30 di Domenica, ed espletate le formalità di tesseramento e distribuzione auricolari ad opera dell’Alfiere Maggiore Umberto Panti e del Gabelliere Alfonso Fornabaio, si è introdotto nel cuore di Siena.
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Foto di Daniela de Francesco Al gruppo si è aggregato il senese Gianluca Bargagli che in collaborazione con il Priore e Narratore Cortese Franco Ciarleglio ci hanno illustrato alcune chicche sulle contrade e il palio. La giornata è stata splendida, calda e soleggiata, e ci ha permesso di lambire più contrade incrociando più volte il corteo dell'Oca che armato di bandiere e tamburi rendeva omaggio alle altre contrade. La lupa senese, palazzo Tolomei, piazza del Campo, la Torre del Mangia, la curva di San Martino, la curva del Casato, la Mossa, la via dei Pellegrini, sono solo alcune delle mete raggiunte.
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Foto di Gianni Degl’Innocenti Balsicci Alle 13.00 il riposo unito alla libagione presso il ristorante Pier Pettinaio ci ha permesso di rinnovare le energie. All'uscita del ristorante ci aspettava, con pazienza e una sempre presente sigaretta, Odoardo "Dodi" Piscini della Nobile Contrada dell'Aquila. Il "Dodi" ci ha accompagnato sino alla sede della contrada iniziando a spiegare, lungo la strada, lo spirito che anima il palio, ciò che c'è dietro e che va altre il puro atto formale della corsa. Attraverso aneddoti e un linguaggio forbito ha fatto percepire le ragioni di un'appartenenza e il mutuo soccorso dietro questa appartenenza. Nella sede della contrada dell'Aquila il "Dodi" ci ha fatto vedere il museo e la chiesa, ha illustrato i pali vinti e ci ha introdotto al linguaggio della contrada. Un piacere ascoltarlo, un uomo appassionato e competente. Due fuoriprogramma sono stati divertenti, il primo in cui l'Alfiere Maggiore Umberto Panti ci ha mostrato la persiana più piccola del mondo e l'altro una coppia di francesi che si sono aggregati agli strusciaioli acquistando anche uno dei nostri fazzoletti.
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Foto di Sopida Cioni
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Foto di Jacopo Cioni   Queste alcune fotografie del Mastro Iconografo Gianni Degl’Innocenti Balsicci:
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lamilanomagazine · 29 days
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Terramara. Al via la festa per i vent'anni del parco.
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Terramara (MO). Al via la festa per i vent'anni del parco. Il Parco archeologico della Terramara di Montale compie vent'anni e per l'occasione si veste a festa e da giovedì 25 aprile propone al pubblico nuove emozionanti installazioni per rievocare l'età del bronzo ed esperienze di archeologia sperimentale riunite in un festival, degustazioni di panini gourmet e altre sorprese. La celebrazione del ventesimo compleanno si concentra in occasione del ponte del 25 aprile. Proprio quel giorno le due abitazioni ricostruite si rinnovano con un percorso sonoro (progettato dallo studio Delumen di Modena) che arricchisce la visita con un'esperienza sensoriale. "Che rumore fa una terramara?" I visitatori lo scopriranno entrando nelle case e ascoltando i rumori prodotti dalle attività dei loro abitanti e quelli dell'ambiente circostante. Nel weekend di sabato 27 e domenica 28 aprile "Il Parco in festival" propone una due giorni dedicata all'archeologia sperimentale con dimostrazioni e laboratori a cura di tutti coloro, italiani ed europei, che in questi vent'anni ne hanno condiviso il percorso, attraverso confronti, collaborazioni, scambi di esperienze. Tornerà la coppia dei Binggeli, gli straordinari archeometallurghi svizzeri che, oltre a essere autori di molte repliche in bronzo presenti nelle case ricostruite, hanno trasmesso agli operatori del Parco il know how necessario per proseguire e implementare le sperimentazioni e assieme a loro Il Tre di spade, composto dagli archeologi dello staff Federico Scacchetti, Luca Pellegrini e Andrea La Torre, che presenterà il processo di fusione del bronzo. Sarà presente anche Tiziana Aste che studia da anni le tecniche di tessitura su telai antichi. E parteciperà anche l'Università di Exeter, partner del Parco in diversi progetti internazionali, con tre ricercatrici esperte in tecniche di intrecci, filati e lavorazione del cuoio. Presenti anche i principali parchi archeologici dell'Italia centro-nord che si presenteranno al pubblico locale per coprire tutti gli aspetti delle produzioni dell'età del bronzo, con qualche incursione nei periodi precedenti: Parco archeologico di Travo (Piacenza), Archeoparc Val Senales dedicato a Oetzi, Parco archeo natura di Fiavè (Trento), Parco archeologico didattico del Livelet (Treviso), Parco archeologico e archeodromo di Belverde Cetona (Siena). E ancora tanti archeotecnici, per mettere in scena e far sperimentare ai bambini la realizzazione di frecce, la modellazione e cottura di forme ceramiche, la preparazione di alimenti, la tintura dei tessuti, la produzione di vetro e ambra, l'ascolto di suoni antichissimi. Due postazioni riproporranno la tavola dell'età del bronzo con preparazione di pane e formaggio e giochi di archeobotanica alla scoperta degli alimenti vegetali presenti nelle terramare (a cura delle Università di Bologna, dipartimento di Storia Culture e Civiltà, e di Modena e Reggio Emilia, Laboratorio di palinologia e paleobotanica dipartimento di Scienze della vita). Le dimostrazioni di archeologia sperimentale si susseguono durante l'intera giornata di apertura dalle 10 alle 19; i laboratori per bambini e ragazzi si svolgono ad orari più specifici, la prenotazione avviene direttamente all'ingresso del museo all'aperto. I posti disponibili sono molti perché tante attività si svolgono in contemporanea e si ripetono nel corso delle giornate per poter accogliere tutte le richieste. Il costo dei laboratori è già compreso nel biglietto d'ingresso, ridotto a 3 euro per tutti. Ad aprire e chiudere i festeggiamenti, dopo gli auguri delle istituzioni che si terranno alle 10.30 nel prato attiguo alla reception, ci saranno la banda di Marano sul Panaro, sabato mattina alle 11, e domenica dalle 18 la marching Wind Band dell'associazione Il Flauto Magico, grazie alla collaborazione del Comune di Castelnuovo Rangone. Ad assicurare street food tradizionale (gnocco, tigelle, borlenghi) ci sarà lo stand della Pubblica Assistenza di Castelnuovo a disposizione presso l'ingresso della Terramara. Il 1° maggio il "re del panino" Daniele Reponi chiude i festeggiamenti con "Un panino di auguri" per il compleanno del Parco: assaggi gourmet tra recupero della tradizione e insoliti abbinamenti, in collaborazione con Musa – Museo della Salumeria. Nelle giornate del 25, 27, 28 aprile e 1° maggio l'ingresso è ridotto a 3 euro per tutti (gratuito fino a 5 e oltre 65 anni). Il programma completo è disponibile sul sito www.parcomontale.it e sui social FB e IG @parcomontale.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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giancarlonicoli · 3 months
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18 feb 2024 19:43
UNA VITA A CACCIA DI PERICOLI (TULLIO) – RICORDI DI UN ARTISTA DALLO STILE PERTURBANTE E INIMITABILE: CALVINO, SCALFARI, BOCCA, ECO, CALASSO – “SONO FUGGITO DAL MONDO DELL’ARTE PER UNA FRASE CHE MI DISSE UN GIORNO IL GALLERISTA GIO’ MARCONI: “RICORDATI TULLIO CHE VALI SE LO DECIDIAMO IN TRE: IO, UN CRITICO D’ARTE E UN DIRETTORE DI MUSEO”. QUESTO MI FECE SCAPPARE. MI DISSI: “ANDRÒ A FARE IL PITTORE SUI GIORNALI”. E PER ANNI HO TROVATO LÌ UNO SFOGO ALLA MIA MANO, RESTANDO ESTRANEO A LUNGO AL MONDO DEL MERCATO” -
Zita Dazzi per Repubblica.it
Tullio Pericoli guarda la città dalle vetrate del suo studio pieno di luce, di colori e di tele in lavorazione. Sulla libreria ci sono le foto con gli amici di sempre, i libri con le loro dediche; sui tavoli, davanti ai cavalletti, centinaia di pennelli e di matite, gli attrezzi da lavoro di un artista che nella sua lunga vita ha saputo ritrarre uomini e paesaggi in uno stile inimitabile.
Alla mostra su Calvino alle Scuderie del Quirinale ci sono i libri con dedica che lui le inviava. Sulla pagina delle Cosmicomiche si legge “il più pericoliano dei miei libri”. Come vi eravate conosciuti?
«Nel 1979, il Corriere mi chiese un disegno per l’anticipazione di Se una notte d’inverno un viaggiatore. E così entrammo in contatto. Poi nel 1980, preparando una mostra alla Galleria del Milione a Milano di una ricerca che avevo fatto su Klee, pensai, per il catalogo, a una conversazione con Calvino sul “rubare” ad altri, pittori e scrittori. Gli scrissi, la cosa l’interessò, ci incontrammo e pubblicai la conversazione con il titolo “Furti ad arte”. Raccontavamo le nostre esperienze di “ladri”, lui citava Tolstoj, Stevenson, Borges, io appunto Klee e pochi altri».
Allora lavorava già per i quotidiani e i settimanali?
«Avevo cominciato al Giorno , poi Barbiellini Amidei mi offrì di andare al Corriere e venne con me il mio amico Pirella. Così nacque la coppia e “Tutti da Fulvia sabato sera”. Dimessosi Piero Ottone, ci dimettemmo anche noi e subito Scalfari ci chiamò a Repubblica ».
Che rapporto c’era con Eugenio Scalfari?
«Sapeva farti sentire parte di un gruppo, quasi una famiglia. Non posso dire che la nostra fosse esattamente un’amicizia, era comunque il mio direttore. Sapevo però che per qualunque questione, potevo fare riferimento a lui, sia per l’ Espresso , cominciato molto prima, che per Repubblica . Ci vedevamo sempre a cena da amici, quando veniva a Milano. Quando decisi di smettere di collaborare all’ Espresso , andai da Scalfari a spiegargli che volevo lasciare perché mi ero stufato sia di occuparmi di politica che di leggere i giornali. Fece un salto sulla sedia e chiese se ero impazzito. Non smisi: sulle pagine culturali di Repubblica rinacque Fulvia».
Intanto però cominciava l’era dei ritratti. Quanti volti di scrittori, artisti, intellettuali sono emersi dalle sue linee, come scolpiti nella carta.
«Iniziai con una rivista di libri, L’ Indice e, allenatomi su quel mensile, ho poi finito a farli anche per Repubblica e molti altri giornali non italiani, tra cui il New Yorker e la New York Review of Books ».
Indimenticabili i ritratti di Giorgio Bocca, uno dei suoi più cari amici.
«Sì, lui è stato uno di quelli che ho sentito più vicino, sempre. Era molto rude, sincero, schietto, diretto. Un animo trasparente. Mi ha schiuso la porta verso nuove direzioni, strade che hanno aperto la mia mente. A casa sua ho conosciuto Calasso, Garzanti, Gae Aulenti. La nostra è stata un’amicizia lunga, profonda, vera. E un paio di settimane prima di morire mi chiamò Silvia Giacomoni, sua moglie, dicendomi che il Bocca voleva vedermi. Pranzammo insieme il giorno dopo, e fu un momento commovente e doloroso».
E Umberto Eco che amico era?
«Eco aveva addosso una corazza di cultura, di aneddoti, e di barzellette che impediva di andare oltre. La nostra è stata una amicizia personale e famigliare, anche se con alcuni limiti per via della sua ritrosia a parlare di sé».
Come mai ha frequentato più i giornalisti che gli artisti?
«In effetti sono stato più amico di editori e scrittori che di artisti, fatta eccezione per Emilio Tadini, un fratello, che mi mise in contatto con lo Studio Marconi, dove sono rimasto per dieci anni. Forse sono fuggito dal mondo dell’arte per una frase un po’ spavalda che mi disse un giorno Giorgio Marconi: “Ricordati Tullio che vali se lo decidiamo in tre: io, un critico d’arte e un direttore di museo”. Questo mi fece scappare. Mi dissi: “Andrò a fare il pittore sui giornali”. E per anni ho trovato lì uno sfogo alla mia mano, al mio voler disegnare, restando estraneo a lungo al mondo del mercato, anche se l’arte e la pittura sono il luogo mentale e materiale dove mi sento più a mio agio».
Bocca, Tadini, Eco, Calasso, Gregotti, Inge Feltrinelli. Tanti dei suoi più cari amici se ne sono andati.
«Sento molto la loro mancanza. A questa età più che vivere, si assiste alla propria vita. Come se mi sedessi su una sedia qui accanto e mi guardassi. Riguardi e giudichi quello che è, e quello che è stato. Sì, certe volte, c’è un po’ di malinconia. Allora frequentando gli amici frequentavo anche Milano. Oggi vedo mutare la città guardandola dalle mie finestre, come in un acquario. Anche perché mi trovo spesso smarrito nel mondo di oggi. Alcuni fatti — a parte le guerre — mi sconvolgono. Come è possibile che una nazione come l’America, esportatrice di modelli e mode culturali, condanni a morte e uccida in modo così crudele un essere umano, come ha fatto un mese fa?».
Dipinge tutti i giorni?
«Mi piace lavorare. È la mia fortuna. La pittura è un’attività mentale che richiede anche la partecipazione del corpo, una cosa straordinaria e bellissima. Sia nel disegno che nella pittura muovi il braccio, la spalla, senti che trasferisci qualcosa di te di molto profondo e fisico, questo mi dà un senso di benessere. Poi c’è il piacere della scoperta, perché usando materiali come colore, matita, pennello ti accorgi che in tutte queste cose c’è una vita, hai a che fare con qualcosa di vero che contiene un po’ di mistero. Ogni quadro — come succede agli scrittori con i romanzi — comincia in un modo e finisce in un altro, i personaggi ti prendono la mano. Non ho bisogno di guardare i paesaggi dal vero per dipingerli, sono ormai dentro la mia testa».
Il mondo dell’arte contemporanea le piace?
«Una volta era dominato soprattutto dal mercato, ma adesso è anche la “narrazione” (parola ormai impronunciabile) a decidere quali sono gli artisti che contano. Come ha ben scritto Dario Pappalardo su questo giornale a proposito della nuova edizione della Biennale, il direttore ha scelto artisti dal sud del mondo, in base all’appartenenza etnica, all’orientamento sessuale, artisti queer o disobbedienti.
Non c’è una parola che riguardi il valore in sé di un’opera. Una distorsione enorme. Michelangelo non fu scelto per il suo orientamento sessuale, ma perché era un grande pittore. Per chi fa il mio mestiere, questo è disorientante. Io in quanto artista, sono una piccola persona, un provinciale venuto da Ascoli Piceno. Non ho niente da raccontare. Non ho disobbedito e non ho fatto rivoluzioni. Però mi piace dipingere».
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carmenvicinanza · 8 months
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Carmen Herrera
Carmen Herrera è stata un’artista statunitense di origine cubana.
Una carriera durata settant’anni, caratterizzata da un impegno incrollabile e una determinazione straordinaria nel perseguire la sua visione.
Il suo stile geometrico, l’uso audace dei colori e l’abilità nel creare opere che sfidano la percezione visiva l’hanno resa una pioniera dell’arte astratta.
Mentre oggi è considerata tra le figure centrali dell’Astrattismo e del Minimalismo, per quasi tutta la sua vita è stata tenuta ai margini del sistema ufficiale dell’arte.
Ha visto riconoscere ufficialmente il suo lavoro solo a 89 anni, quando nel 2004, le venne dedicata una mostra alla Tribeca Latin Collector Gallery.
Oggi le sue opere si trovano nelle collezioni delle principali istituzioni di tutto il mondo, come la National Gallery of Art di Washington, la Tate Modern di Londra, il MoMa di New York e il Pérez Art Museum di Miami.
Nata a L’Avana il 31 maggio 1915, in una famiglia di intellettuali, suo padre, morto quando lei aveva due anni, era stato direttore esecutivo del primo giornale cubano post-indipendenza, El Mundo e sua madre, Carmela Nieto de Herrera era giornalista, scrittrice e filantropa femminista.
Ha iniziato a prendere lezioni private di pittura da bambina, ha frequentato la scuola superiore a Parigi e studiato architettura all’Universidad de la Habana.
Nel 1939 ha sposato l’attore e insegnante di inglese Jesse Loewenthal, con cui si è trasferita a New York, dove ha studiato all’Art Students League.
Nel 1948 la coppia si è trasferita a Parigi, dove è entrata nei circoli intellettuali del tempo.
Nonostante vendesse i suoi quadri sin da quando era ventenne, ha continuato a studiare e formarsi con artisti internazionali perfezionando sempre di più la sua vocazione all’astrattismo.
Il suo lavoro è caratterizzato da una geometria rigorosa, forme nette e l’uso di colori audaci, spesso limitati a bianco, nero e uno o due colori primari. Elementi che sono diventati la firma distintiva delle sue opere.
Tornata a New York nel 1953, sebbene fosse vicina ai più famosi astrattisti del dopoguerra, non veniva presa in considerazione perché era una donna e, in più, cubana.
Per questo motivo ha continuato, per decenni, a subire il rifiuto del mondo dell’arte.
Nonostante gli smacchi, ha continuato, inarrestabile, a dipingere, fino alla sua scoperta in tarda età, nei primi anni 2000.
Nel 1998, all’età di 83 anni, ha tenuto la sua prima personale al Museo di Arte Moderna di Lousiana, in Danimarca, mentre a New York, la città dove aveva vissuto per più di 50 anni continuando a essere considerata una cubana, la prima grande mostra è stata inaugurata solo nel 2004.
Le è stata poi dedicata una retrospettiva nel 2009 presso la IKON Gallery, a Birmingham, in Inghilterra e nel 2016 ha esposto al Whitney Museum of Art e alla Lisson Gallery.
La consacrazione definitiva è avvenuta nel 2019 con una mostra al MoMA di New York, seguita nel 2020 da una mostra al Museum of Fine Arts di Houston.
Il regista Alison Klayman, le ha dedicato il documentario The 100 Years Show, presentato in anteprima all’Hot Docs Film Festival di Toronto nel 2015.
Nel 2019 è stata nominata Honorary Royal Academician alla Royal Academy of Arts di Londra.
Carmen Herrera è morta il 12 febbraio 2022, a 106 anni, nella sua casa studio di New York, dove aveva vissuto e lavorato dal 1967, in gran parte col marito, deceduto nel 2000, prima di vederla finalmente trionfare nel mondo dell’arte.
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gcorvetti · 8 months
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Già Sabato?
Come vola il tempo, il tempo è tiranno ecc ecc, quante frasi sul tempo conoscete? C'è chi ha speso anni a studiare il tempo, ma esiste il tempo? Secondo alcuni studiosi no, almeno come lo intendiamo noi, il trascorrere delle giornate, mesi e anni, non ha niente a che vedere ne con l'orologio ne con il calendario semplicemente perché l'abbiamo inventato noi per darci come sempre un punto di riferimento. Se pensate che agli animali non frega un cavolo se sono le 13 o le 5 di mattina quando lo stomaco è vuoto vengono a rompere le palle che vogliono mangiare, si anche oggi fortuna sono riuscito a riaddormentarmi. Notizie del giorno : è morto Napolitano, ex presidente della repubblica (2 volte), una vita in politica, comunista fino alla caduta dell'URSS, come tutti e come è di logica, ma io lo ricordo per alcune cose che non sono belle che in questo momento non le ricordo, poi non mi è stato mai simpatico, come Ciampi per dirne uno. Leggo una notizia ma forse la trovo solo io divertente, Nick Cave risponde personalmente sul suo sito alle domande dei fans, rispetto massimo per Mr Caverna uno con gli attributi quadrati, nell'articolo inseriscono due risposte una ad una ragazza italiana con problemi ad accettare il suo corpo, risposta intelligente da parte di Nick, l'altra ad un tizio belga e qua che mi viene da ridere Nicola gli dice "Se hai 40 anni fatti crescere i baffi da attore porno anni 70 impara a suonare la chitarra e vai avanti fino ai 60" :D hahahahah
Caro Nick, mi verrebbe di scriverglielo direttamente, ho i baffi e suono da una vita (la chitarra appunto), sta cosa funziona solo se ti chiami appunto Nick Cave.
Salutando il tenebroso australiano, oggi sono 188 anni dalla morte di Enzo, per gli amici catanesi per tutti Vincenzo Bellini (all'anagrafe Vincenzo Salvatore Carmelo Francesco Bellini), che ha avuto vita breve ma intensa ed è morto male. E' inutile scrivere la vita del compositore etneo la trovate online, mi ha sempre però colpito il fatto che è partito per studiare, per poi finire a Parigi dove morì. Un talento tutto siculo che venne più volte lodato in patria e all'estero, un precursore, a mio modesto parere, anche se è stata più la sua musica a portarlo lontano e non la sua voglia di uscire da una città labirinto chiusa mentalmente, che poi non ho idea di come potesse essere Catania agli inizio del 1800, ma è sempre la mia città. A lui sono dedicati il teatro dell'opera (mi sembra ovvio), il giardino pubblico chiamato Villa Bellini che è uno dei più grandi in Europa e con una biodiversità floreale non da poco, il liceo musicale sopracitato, il museo e casa, una bellissima statua in una piazza centrale, dalla sommità lui guarda lontano, eccola
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Cosa aggiungere di più quando ti senti orgoglioso di un personaggio storico di questo calibro? Niente.
Oggi però è anche, tornando al tempo, il solstizio d'autunno, più o meno, perché se noi siamo legati a quello che ci dice il calendario la natura no, ha i suoi tempi e per esempio già un paio di settimane fa ho iniziato a vedere foglie gialle ovunque, qua in Estonia dove l'estate non è arrivata e il prossimo inverno è previsto rigidissimo che significa temperature medie sui -20°, se mi dite che avete freddo a 8-10 sopra lo zero vi invito a casa mia, così mi aiutate a spalare la neve.
Comunque, l'altro giorno la piccoletta mi aveva invitato oggi a contattarla che in zona c'è una coppia di tedeschi amici suoi e magari ci si fa un giro, non c'ho voglia, così le ho scritto, anche perché non c'è un cazzo di intrattenimento in questa città. Però una cosa che ho notato su FB che sono nati o magari c'erano anche prima non so, dei centri culturali ovunque, i famosi kuulturiklubi (non è una trovata di marketing che lo scrivono con la K ma perché nell'alfabeto estone la C non esiste, come Z per esempio). Questo perché? Perché l'anno prossimo Tartu, l'alveare dove vivo, è città europea della cultura, quale cultura non lo so, quella dell'alcol ? Quella del razzismo e campanilismo ? O la cultura culinaria inesistente ? Vorrei saperlo. Una città dove non ci sono eventi, se non uno ogni tanto giusto per spezzare la monotonia, o sono monopolio di posti specifici come il teatro o il museo, nel privato non c'è niente, stando ai miei gusti però quindi è relativo. Ho affrontato questo discorso in passato e lo affronterò più in profondità in futuro, quindi per ora mi fermo e vedo cosa c'è da fare oggi, a occhio pulire la casa (rottura di palle).
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personal-reporter · 1 year
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Mille Miglia 2023
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L’attesa è quasi finita per la Mille Miglia, la corsa più bella del mondo riservata ad auto storiche con partenza da Brescia, la città della Leonessa. Nata nel 1927, dopo una serie di edizioni da leggenda e un lungo periodo di stop, la Freccia Rossa, come è nota fra gli appassionati, fece il suo ritorno in calendario nel 1987, quando fu vinta da Alessandro Nannini, unico pilota professionista presente nell’albo d’oro. Sono cinque le tappe della corsa per l’edizione 2023, ricca di sorprese e novità per tutti gli appassionati. La partenza è prevista nella mattina di martedì 13 giugno con la bandiera a scacchi che verrà calata in viale Venezia a Brescia, poi le vetture costeggeranno il lago di Garda per toccare successivamente città ricche di storia ed arte come Verona, Ferrara, Lugo e Imola, fino al traguardo di Cervia - Milano Marittima. Nella seconda frazione, che si terrà mercoledì 14 giugno, il grande corteo si dirigerà su Roma, il punto più a sud del percorso, poi transiteranno da San Marino, Senigallia, Macerata, Fermo e Ascoli Piceno, con da qui un  taglio verso il Lazio e la sfilata finale prevista all’arrivo  in via Veneto a Roma. Giovedì 15 giugno gli equipaggi partiranno da Roma verso la Toscana e, dopo il pranzo in gara a Siena, si proseguirà verso Pistoia per scollinare il passo dell’Abetone ed entrare poi in Emilia Romagna, toccando Modena e Reggio Emilia fino al traguardo di Parma. Si rientrerà poi in Lombardia venerdì 16 giugno, giorno della quarta tappa dove il gruppo, partito da Parma, si dirigerà verso Stradella e Pavia e da qui in Piemonte con i passaggi ad Alessandria per il pranzo, Asti e Vercelli. L’ultimo tratto vedrà  il ritorno in Lombardia e l’arrivo, da Novara, in centro a Milano,  che ospiterà l’ultima notte di gara. Sabato 17 giugno il gran finale vedrà il saluto a Bergamo, città Capitale della cultura 2023 assieme a Brescia, e i passaggi in Franciacorta, ad Ospitaletto e Gussago, con l’arrivo  a Brescia e il circuito cittadino prima della passerella sulla pedana di viale Venezia e del pranzo di chiusura. Il vernissage finale si terrà in serata con la notte bianca della Freccia Rossa, la 1000 miglia the Night che concluderà la settimana. Saranno 405 gli equipaggi ammessi alla manifestazione che daranno la caccia alla coppia formata da Andrea Vesco e Fabio Salvinelli, vincitori delle ultime due edizioni, nel 2021 e nel 2022, a bordo della Alfa Romeo 6C 1750 SS Zagato, immatricolata nel 1929. Inoltre quest’anno la Mille Miglia festeggerà i 100 anni dalla fondazione dell’Aeronautica militare, toccando luoghi simbolo della forza armata alata, che sono gli aeroporti di Ghedi, Cervia Pisignano e Piacenza San Damiano, della chiesa della Patrona dell’Arma a Loreto, del Museo di Vigna di Valle a Bracciano e del Palazzo dell’Aeronautica in piazza Novelli. Read the full article
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umi-no-onnanoko · 1 year
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19 notes · View notes
Il Bargello riallestisce la sala Islamica con tappeti del '500
(ANSA) – FIRENZE, 20 APR – Al via, al Bargello di Firenze, il riallestimento della sala delle Maioliche e della sala Islamica che annovererà tra le opere esposte anche una coppia di preziosi e rarissimi tappeti egiziani mamelucchi risalenti alla prima metà del Cinquecento, acquistati di recente dallo Stato per la collezione del museo.    Il riallestimento delle sale, collocate al primo piano…
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Lo sapevi che anche Roma ospita l’influenza etrusca racchiusa nell’incantevole Museo Etrusco di Villa Giulia?
La villa fu incaricata da Papa Giulio III del Monte nel 1550 e fu realizzata da architetti e artisti tra i quali più famosi Giorgio Vasari, Michelangelo, Taddeo Zuccari. La Villa è diventata così suggestiva a partire dal 1889 quando quest’ultima fu scelta come sede per il Museo Nazionale Etrusco che ospita opere davvero inestimabili. Per l’inaugurazione del Museo fu inoltre realizzato un tempo etrusco-italico ancora oggi posto al centro dei giardini della Villa.
Una delle opere che stupisce il visitatore è lo straordinario SARCOFAGO DEGLI SPOSI, capolavoro realizzato in argilla cotta, ritrovato nella necropoli della Banditaccia di Cerveteri. L’opera rappresenta dunque una coppia di sposi novelli abbracciati, che mostrano tutta la loro dolcezza e il loro amore per dimostrare che chi si ama nel quotidiano, lo farà anche dopo la morte.
Per scoprire tutte le altre opere, devi assolutamente venire a visitarlo a Roma, pernottando nel b&b più adatto a te! Ci trovi nel centro storico di Roma, a pochi passi dai principali monumenti (e anche da Trastevere!); potrai trovare affittacamere e b&b a prezzi super economici!
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michelangelob · 2 years
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Eleonora di Toledo e Cosimo I de’ Medici in mostra a Palazzo Reale a Pisa
Eleonora di Toledo e Cosimo I de’ Medici in mostra a Palazzo Reale a Pisa
Da ieri 14 ottobre, il Museo Nazionale di Palazzo Reale a Pisa, ospita la mostra “Eleonora di Toledo e Cosimo I de’ Medici, giovane coppia nobilissima e bella” che proseguirà fino al 17 dicembre 2022, giorno della morte della duchessa consorte avvenuta a Pisa nel 1562. Il percorso espositivo è stato allestito in occasione dei 500 anni dalla nascita di Eleonora di Toledo, figlia del viceré di…
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rivapaolo · 6 years
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Marcinelle: ritorno al futuro
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"Ora mi sento integrata, ma appena arrivati ne abbiamo passate. Nei locali, c'erano i cartelli con su scritto Vietato l'ingresso ai cani e agli italiani". Rosetta ricorda con trasporto, scavando nella sua memoria di emigrante. Gaetano, marito ed ex minatore, le sta seduto accanto e contribuisce al racconto. A un certo punto, l'energica signora si rivolge direttamente alla persone che le stanno di fronte, quasi ammonendole: "Mi raccomando, non fate oggi queste cose che noi abbiamo subito allora". 
Ad ascoltarla, all'ingresso del Bois du Cazier di Marcinelle, una quindicina di persone. Seguono le parole della coppia con grande attenzione, in religioso silenzio,. Alcuni perché non conoscevano così bene la sorte che è toccata a tanti nostri connazionali. Altri perché l’esperienza di Rosetta e Gaetano l’hanno vissuta in prima persona. Il gruppo di visitatori è infatti un mix composito di storie e provenienze che, accanto a una nutrita componente bergamasca, conta anche membri nati in Marocco, Camerun, Sierra Leone e Bolivia. E così, in un luogo tanto importante per la memoria italiana ed europea da essere diventato sito Unesco, gli immigrati di oggi si ritrovano di fronte agli emigrati di ieri.
“L’idea è cercare le costanti della mobilità umana, scoprire le connessioni tra il passato e il presente, senza dimenticare le specificità dei diversi momenti storici”, spiega con entusiasmo e competenza Giancarlo Domenghini, da anni attivo nel campo dell’immigrazione e oggi educatore della cooperativa RUAH e collaboratore della Diocesi di Bergamo. È lui uno degli artefici di questo incontro, inserito nel programma del viaggio formativo Ritorno al futuro, promosso dall’ufficio Pastorale Migranti della Diocesi di Bergamo in collaborazione con la missione cattolica italiana a Bruxelles, la cooperativa impresa sociale RUAH e altre realtà del territorio orobico.
“Proposte come questa - continua Giancarlo - le facciamo da ormai 15 anni e, col passare del tempo, si sono aggregati anche cittadini stranieri residenti sul nostro territorio che si considerano soggetti attivi e non destinatari passivi di progetti e servizi”. Il viaggio, che ha toccato anche le istituzioni UE e i quartieri più multiculturali di Bruxelles, è parte di un percorso di formazione più ampio: “è un’esperienza - conclude - che completa benissimo la parte teorica, perché punta molto sulle emozioni”. 
E di emozioni al Bois du Cazier se ne provano parecchie e intense. In questa ex miniera di carbone, diventata il simbolo delle sofferenze degli italiani che nel secondo dopoguerra hanno scelto di lasciare la povertà del nostro paese per cercare una vita più degna altrove, l’8 agosto 1956 un incidente ha causato la morte di 262 minatori. Le vittime erano di nove nazionalità diverse, tra le quali quella italiana era di gran lunga la più rappresentata con 136 uomini mai più tornati in superficie. Per fare memoria di quel gravissimo episodio, causato da un errore umano, ma soprattutto dalle pessime condizioni di lavoro e dalle carenze delle norme di sicurezza, oggi vi è un museo e, al suo interno, un monumento di marmo bianco che ricorda la tragedia. Il gruppo di Ritorno al futuro, vi depone davanti una corona di fiori e poi si ferma per un momento di preghiera. Prima quella cattolica e poi quella musulmana. 
Quindi la visita prosegue lungo un percorso che illustra il lavoro in miniera, ma anche la vita degli immigrati. La prima tappa è una ricostruzione delle baracche di lamiera nelle quali vivevano i primi italiani arrivati subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Lo stupore è generale tra i nuovi italiani. Per Mhmaed, che è arrivato nel nostro paese dal Marocco dieci anni fa, “è tutto nuovo”. Lo stesso per il suo connazionale Hussein. Sulla medesima lunghezza d’onda anche il camerunense Blaise, ormai da tempo residente in provincia di Bergamo. Dopo aver ascoltato attentamente la guida, confessa: “Non sapevo niente di questa parte di storia”. Non è questione di italiani o stranieri, secondo Giancarlo. “Il nostro passato migratorio l’abbiamo rimosso. I nostri giovani non sanno più nulla delle valigie di cartone con cui si partiva, anche dalle nostre valli. Del resto, io stesso, molto di quel che so ora, l’ho scoperto solo negli ultimi anni”. 
La sorpresa, però, lascia presto spazio a reazioni, riflessioni e paragoni. “Sto trovando molte analogie con la mia esperienza e, soprattutto con quella di mio fratello”, dice Mhamed. “È arrivato nel 1991 e, all’inizio, viveva in un buco di appartamento con una ventina di altri immigrati: non avevano alternative. Io ho fatto meno fatica. Anche se trovare casa per uno straniero è difficile ancora oggi. Ho un contratto e un buon stipendio, ma in molti si sono rifiutati di affittare a un marocchino come me”. 
A colpire Hussein è, invece, la distanza tra le promesse che venivano fatte agli emigrati prima di partire e la realtà che si ritrovavano ad affrontare. Dal 1946 in poi, molti degli italiani reclutati nei piccoli centri della provincia sono arrivati in Belgio senza sapere nulla delle fatiche del lavoro in miniera, convinti di trovare condizioni di lavoro e alloggio dignitose, che invece Bruxelles non è stata in grado di garantire per molti anni. “Li hanno ingannati, come è capitato a me. Dieci anni fa sono arrivato a Bergamo con un visto e un regolare contratto. Ma non c’era nessun lavoro ad aspettarmi. Ero solo, senza nulla. Ci ho messo un po’, ma per fortuna dopo sei mesi ho trovato un lavoro vero e ho cominciato a rialzarmi”, dice con un certo orgoglio. 
Il dialogo potrebbe continuare per ore, in un continuo gioco di specchi tra flussi migratori diversi, avvenuti in condizioni economiche, legislative e sociali diverse, ma simili nei sentimenti che hanno fatto nascere nei loro protagonisti. La partenza del volo che riporterà il gruppo in Italia, però, incombe e, così, tocca ancora a Giancarlo tirare le conclusioni: “Venire qui non è un’operazione nostalgica, è il tenere viva una memoria che parla al presente. Per me, pur nelle differenze, Marcinelle e Lampedusa si trovano sulla stessa linea di senso. Riscoprire l’una serve a capire l’altra”. 
LA STORIA DI RANIERO
“Quante gallerie ho scavato? Non lo so, ho perso il conto. Troppe”. Gaetano La Valle è partito col fratello da un paese in provincia di Cosenza per raggiungere uno zio che stava in Belgio e “voleva un po’ di sangue vicino”. Da allora è diventato minatore a Marchienne-au-Pont, uno dei tanti centri minerari della Vallonia, nella zona di Charleroi. “Il mio era uno dei lavori più pesanti, con la perforatrice sulla spalla. Dovevamo costruire le gallerie, nella pietra. Più metri facevo e più soldi prendevo. Riuscivamo a farne sei metri al giorno circa, con turni su tutte le 24 ore”. Questa è stata la sua routine per 20 anni esatti. “Son arrivato nel 1957 e - ride - mi ricordo ancora quando cercai di chiedere informazioni per arrivare a Charleroi ma, non sapendo una parola di francese, nessuno capiva dove volevo andare”. 
Sua moglie, la signora Rosetta Ameruso, è arrivata in Belgio qualche tempo dopo, nel 1961. “Il primo settembre”, ricorda. “Non ero mai uscita dal mio paesello prima di allora e quando son giunta mi son detta: Ma dove sono finita? All’inferno? Poi, piano piano, ci siamo integrati”. Il marito grazie al lavoro, lei facendo le commissioni legate alla vita quotidiana da casalinga. “Ma guardi che ho lavorato più io di mio marito! Quando aveva il primo turno, mi svegliavo all’alba per fargli trovare la colazione pronta e quando rientrava a mezzanotte lo aspettavo con la cena calda, appena fatta”, rivendica con ironia e orgoglio.  
Oggi lei e il marito fanno parte dell’associazione Amicale des Mineurs des charbonnages de Wallonie, che è composta dagli ex minatori e dai loro parenti e lavora per tener viva la memoria di quei giorni. Portano le loro testimonianze, organizzano iniziative e accompagnano i visitatori del museo del Bois du Cazier di Marcinelle, proprio come capitato al gruppo bergamasco di Ritorno al futuro. A fare da collegamento tra le miniere vallone e le valli orobiche è un altro ex minatore, al cui nome Gaetano sorride felice. È Lino Rota, nativo del comune di Nembro, in val Seriana. Dopo una vita passata sottoterra in Belgio è rientrato a casa e, lì, ha fondato un piccolo museo della miniera e dell’emigrazione che collabora con l’Amicale des Mineurs des charbonnages de Wallonie. È così che lui e Gaetano si sono conosciuti. 
“Noi però, a differenza di Lino, non abbiamo mai pensato di rientrare stabilmente in Italia. Ci siamo sempre tornati per le vacanze e basta. I figli son andati a scuola qui e adesso il maschio ha un’officina tutta sua e la femmina un buon posto in un laboratorio di analisi”. È per loro che hanno stretto i denti e affrontato quelle fatiche che, oggi, riescono a raccontare col sorriso. “Ci siamo dovuti adattare”, dice Rosetta. “C’era chi ti guardava di traverso e chi ti offendeva, ma io ho sempre risposto col sorriso. Ora mi sento integrata: non vedo nessuna differenza tra me e un belga. Certo, per farmi accettare mi son dovuti aprire verso gli altri. Certi italiani non ce l’hanno fatta a fare questo passo. Ora non mi va di piangere sul passato, ma è giusto ricordare che ne abbiamo passate tante e le abbiamo superate tutte con dignità. Adesso siamo tutti europei, ma allora non era mica così”. 
L'EMIGRAZIONE ITALIANA IN BELGIO
Tra il 1946 e il 1955, oltre 170mila italiani hanno lasciato il nostro paese alla volta del Belgio e delle sue miniere. A spingerli è stato il cosiddetto patto uomo-carbone e cioè un protocollo firmato dal primo ministro De Gasperi e dal suo omologo belga Van Acker che prevedeva l’invio di manodopera in cambio dell’acquisto di minerale a prezzi vantaggiosi. 
In un’Italia in ginocchio dopo la Guerra, con l’economia da far ripartire e masse di giovani senza lavoro e prospettive, in molti scelsero di partire. Soprattutto dalla Sicilia, dall’Abruzzo e dal Veneto. Molti non resistettero e furono oltre 50mila i rimpatri nei primi sei anni dell’accordo. Quelli che rimasero, invece, crearono delle grandi comunità italiane nei centri dei principali bacini carboniferi, attorno a Charleroi, a Mons, a Liegi e nel Limburgo fiammingo. 
La realtà che si ritrovarono ad affrontare era però ben diversa dalle allettanti condizioni di lavoro descritte nei manifesti rosa con i quali erano stati reclutati i lavoratori lungo tutta la penisola. Il Belgio, anch’esso uscito provato dal conflitto, non era pronto per accogliere un numero così elevato di lavoratori e gli italiani si ritrovarono spesso a vivere in pessime condizioni, a volte in vere e proprie baracche in precedenza riservate ai prigionieri di guerra. Vi era poi una certa ostilità da parte dei belgi e il termine macaronì, con cui venivano apostrofati i nuovi arrivati, ne è la testimonianza. 
C’era poi il drammatico capitolo delle le condizioni di lavoro che, soprattutto in Vallonia, erano dure e poco sicure all’interno di miniere vecchie di secoli e dotate di sistemi di sicurezza arretrati. L’incidente di Marcinelle rese tutto questo evidente, ma prima di quel tragico 8 agosto 1956, a partire dalla firma del patto uomo-carbone, avevano già perso la vita altri 539 minatori italiani. 
Questo articolo è stato pubblicato sul numero di giugno 2018 di Scarp de' tenis ed è stato reso possibile da “Reporters in the Field”, un programma sostenuto dalla Robert Bosch Foundation in collaborazione con n-ost.- This research was enabled by “Reporters in the Field”, a program by the Robert Bosch Foundation hosted together with the media NGO n-ost.
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