" Stando alla testimonianza di chi ha avuto la fortuna di vederlo in teatro, il Totò che noi conosciamo, quello del cinema, non vale un decimo rispetto al comico caricato a molla sulle tavole del palcoscenico. Si racconta che, al momento del bis, prima di rientrare in scena, dicesse agli attrezzisti: «Adesso li faccio ridere con la A!». Entrava, improvvisava un paio dei suoi irresistibili lazzi e ritornava dietro le quinte mentre la sala si sganasciava a bocca spalancata: «Ah! Ah! Ah!».
Prima del secondo bis prometteva ancora: «Adesso li faccio ridere con la I!». Infatti, la platea: «Ih! Ih! Ih!». Al terzo bis era la volta della U. Entrava in scena di sbieco come un burattino di legno, snodato, e si arrampicava su per il sipario come uno scoiattolo. E gli spettatori: «Uh, Uh, Uh!».
Le risate con la A, con la I e con la U hanno sostanza ben diversa le une dalle altre: sono le reazioni emotive a tre differenti espressioni della comicità, o meglio a tre gag di natura diversa. In genere la risata con la A esplode al terzo ritorno di un tormentone o nella «chiusa» di un movimento comico a lunga durata con esplosione finale. La risata con la U è fulminante, quasi sempre provocata da una gag inattesa, da una caduta improvvisa, da una battuta a sorpresa. Quella con la I, invece, è più legata all’umorismo, alla finezza verbale o alla gag «buttata via», regalata ai pochi: arriva sempre con un attimo di ritardo e si espande nella sala per contagio, perché chi non ha capito subito l’arguzia la decifra attraverso lo scompisciarsi degli altri. "
Vincenzo Cerami, Consigli a un giovane scrittore. Narrativa, cinema, teatro, radio, Garzanti, 2002; pp. 173-174.
Andrea Pazienza after Totò, da una copertina del Male del 23 aprile del 1980 che ho scovato in rete e restaurato per l'occasione.
Ogni riferimento a fatti e personaggi venuti alla ribalta della politica nazionale dopo la morte prematura di Andrea Pazienza e di Antonio De Curtis in arte Totò è puramente causale.
Totò e Anna Maria Ferrero sul set di "Totò e Carolina"
E' uno dei film più censurati della storia del cinema italiano , nella versione che venne poi distribuita pare che fossero avvenuti 31 tagli e 23 battute modificate . Girato tra settembre del '53 e gennaio del '54 una volta montato venne presentato alla commissione di censura , pare che proprio il ministro degli Interni, Mario Scelba, si sentì scosso da tale pellicola .La commissione censoria ravvisa nel film oltraggio al pudore , alla morale , alla religione , alle forze armate e chiede decine di tagli . Non era ammissibile che un poliziotto decidesse di avanzare di grado solo per poter avere più soldi alla fine del mese , o che viva in una casupola ; non era concepibile che i comunisti fossero dei bonaccioni e i preti troppo concilianti ; che i primi cantino bandiera Rossa e aiutino il poliziotto a spingere la camionetta in avaria ; non era ammissibile che un poliziotto giocasse al lotto : queste solo alcune delle "inammissibilita " decretate dalla commissione censoria che chiedeva altrettanti tagli
Questo libro e la mostra che lo ha accompagnato con successo a Firenze cercano di riempire un vuoto nella cultura della moda italiana, o perlomeno di cominciare a farlo. In copertina del libro Luchino Visconti nel 1934 fotografato da Horst P. Horst. Una mostra e un libro promossi dal Centro di Firenze per la Moda Italiana, prodotti e realizzati per Pitti Immagine . Mostra Stazione Leopolda, Firenze 24 giugno - 31 ottobre 1993
Il prodotto Italian style è simbolo di tecniche artigianali, abilità produttive e conoscenze che spaziano dalla moda, all’industria automobilistica, fino alla cultura enogastronomica. Lo stile del Bel Paese, riconosciuto universalmente, è ricco di fenomeni sociali, a volte, inaccessibili agli stessi italiani, non sempre in grado di cogliere le varie istanze culturali che avvengono sotto i loro occhi. L’idea di Giannino Malossi è quella di ripercorrere, attraverso figure iconiche di stile, il mondo dell’eleganza maschile italiana. Un’analisi che spazia da Gabriele D’Annunzio a Nuvolari, da Curzio Malaparte a Pucci, da Montezemolo a Armani, alcuni tra i celebri esponenti della “Bella figura” italiana.
Stabilito che le disgrazie sono fatte per gli uomini, perché arrabbiarsi contro le disgrazie? Sarebbe come arrabbiarsi perché piove, o perché c’ è il sole, o perché si muore. La morte esiste, la pioggia esiste, la cecità esiste: e ciò che esiste va accettato. Disperarsi a che serve? A vederci meglio?
Totò: Bisogna adattarsi: prima per esempio leggevo molto. Ora mi faccio leggere. E poi proprio cieco non sono: da un occhio, sì, non vedo quasi nulla, ma dall’altro vedo la periferia. Posso anche recitare e, infatti, vede: continuo a lavorare, lavoro. Né questo mi rende infelice. Signorina mia, ciascuno ha da portare una croce e la felicità, creda a me, non esiste. L’ho scritto anche in una poesia: «Felicità: vurria sapé che d’è / chesta parola. Vurria sapé che vvo’ significà». Forse vi sono momentini minuscolini di felicità, e sono quelli durante i quali si dimenticano le cose brutte. La felicità, signorina mia, è fatta di attimi di dimenticanza.