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#Storia d'Italia del '900
gregor-samsung · 1 month
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" La donna non ha contrapposto alle costruzioni dell'uomo se non la sua dimensione esistenziale: non ha avuto condottieri, pensatori, scienziati, ma ha avuto energia, pensiero, coraggio, dedizione, attenzione, senso, follia. La traccia di tutto ciò è sparita perché non era destinata a restare, ma la nostra forza è nel non avere nessuna mitizzazione dei fatti: agire non è una specializzazione di casta, ma lo diventa mediante il potere a cui l’agire viene indirizzato. L’umanità maschile si è impadronita di questo meccanismo la cui giustificazione è stata la cultura. Smentire la cultura significa smentire la valutazione dei fatti in base al potere.
La maternità è il momento in cui, ripercorrendo le tappe iniziali della vita in simbiosi emotiva col figlio, la donna si disaccultura. Essa vede il mondo come un prodotto estraneo alle esigenze primarie dell'esistenza che lei rivive. La maternità è il suo “viaggio”. La coscienza della donna si volge spontaneamente all'indietro, alle origini della vita e si interroga. Il pensiero maschile ha ratificato il meccanismo che fa apparire necessari la guerra, il condottiero, l’eroismo, la sfida tra le generazioni. L’inconscio maschile è un ricettacolo di sangue e di paura. Poiché riconosciamo che il mondo è percorso da questi fantasmi di morte e vediamo nella pietà un ruolo imposto alla donna, abbandoniamo l’uomo perché tocchi il fondo della sua solitudine. "
Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel.
(Libro elettronico; 1ª edizione: casa editrice "Rivolta Femminile", 1970)
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lamilanomagazine · 9 days
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San Marco, a Latina una delegazione della Rete delle Città Marciane
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San Marco, a Latina una delegazione della Rete delle Città Marciane. Ha fatto tappa a Latina la Peregrinatio della Lampada votiva e del Vangelo di San Marco. L'iniziativa è stata organizzata dall'amministrazione comunale, sulla base del programma del pellegrinaggio ideato dalla Rete delle Città Marciane, a cui il Comune pontino aderisce da ottobre scorso. Per l'occasione, il Vescovo di Latina, Monsignor Mariano Crociata, ha presieduto la celebrazione eucaristica nella cattedrale San Marco. L'evento è stato preceduto da un momento di accoglienza della delegazione da parte del gruppo scout Agesci Latina 1. Il rito religioso è stato animato dalla corale "San Marco", diretta dal maestro Mauro Bassi. La cittadinanza è stata invitata a partecipare all'evento, svolto alla presenza di una delegazione dei comuni della Rete delle Città Marciane che, oltre a condividere il culto del Santo Evangelista, hanno collaborato sinergicamente alla promozione culturale e turistica dei territori dell'associazione. Gli oggetti sacri, Lampada e Vangelo, provenienti dal comune di Afragola (Napoli), resteranno nel capoluogo pontino fino al 27 aprile, quando una delegazione dell'amministrazione comunale di Latina li consegnerà ad Osvaldo Congiu, sindaco di Ollastra, centro in provincia di Oristano, successiva tappa del pellegrinaggio. La presenza a Latina della delegazione della Rete delle Città Marciane, presieduta da Marco Rizzo, sindaco di Castellabate (Salerno), ha consentito al gruppo di visitare alcuni luoghi pontini dal 19 al 21 aprile. La delegazione è stata ricevuta in Comune per un saluto istituzionale da parte del sindaco Matilde Celentano, dopodiché gli ospiti sono stati accompagnati a visitare il Museo Cambellotti, dove era prevista anche la proiezione di un video sulla storia della cattedrale San Marco, messo a disposizione dalla Curia vescovile di Latina-Terracina-Sezze-Priverno. Il gruppo è stato poi ospite del Comune di Sonnino, altro ente aderente alla Rete delle Città Marciane. Il sindaco Gianni Carroccia ha guidato la delegazione nel piccolo centro ausono per una visita al Museo delle Terre di Confine. Durante il soggiorno, gli ospiti hanno avuto la possibilità di fare visita alla Casa del Martirio di Santa Maria Goretti a Borgo Le Ferriere e di godersi il lungomare di Latina, fino al lago di Fogliano. "L'iniziativa – ha affermato il sindaco Matilde Celentano - costituisce uno scambio di esperienze finalizzate all'interesse comune, delle diverse municipalità, di promuovere i propri territori. La Rete delle Città Marciane, composta da 24 comuni, distribuiti in sette regioni d'Italia, è una realtà associativa particolarmente dinamica e ramificata, in grado di fare da cassa di risonanza agli eventi". "Con estrema soddisfazione da qualche anno facciamo parte di questa grande famiglia delle città e dei paesi che hanno come patrono San Marco – ha dichiarato il sindaco di Sonnino Gianni Carroccia – La Rete è un collegamento importante di interscambio culturale, storico e sociale. Visitare e conoscere nuove città attraverso la Lampada ed il Vangelo di San Marco è un'esperienza unica e irripetibile". "Insieme alla Rete – ha aggiunto l'assessore Andrea Chiarato, delegato dal sindaco alle attività del sodalizio - abbiamo già condiviso il 900° anniversario di Castellabate, perla del Cilento, e l'incontro con il presidente della Camera dei Deputati Lorenzo Fontana. Nei prossimi giorni saremo in Sardegna, per prendere parte all'appuntamento di Ollastra. Il tema culturale di San Marco, comune agli aderenti alla Rete che ha supportato anche la candidatura di Latina a Capitale italiana della Cultura 2026, rappresenta per il territorio pontino una grande opportunità in vista del prossimo Giubileo". "L'amministrazione comunale - ha proseguito il sindaco Celentano - guarda con interesse alla sfida del turismo religioso. Non a caso, nel dossier della candidatura di Latina a Capitale italiana della Cultura 2026, è stata prevista una programmazione, studiata insieme alla Curia Vescovile. Latina, in quanto città finalista, parteciperà alla terza edizione di 'Cantiere città', un'iniziativa di valorizzazione dei progetti della candidatura, volta alla definizione degli strumenti metodologici e al rafforzamento delle competenze già emersi nel dossier. Con 'Cantiere città avremo la possibilità di sviluppare alcune progettualità, come ad esempio quello del turismo religioso, vista anche l'imminenza dell'anno giubilare". "La tappa a Latina del pellegrinaggio – ha concluso il sindaco Celentano - sarà utile al confronto con altre realtà che perseguono la promozione del territorio anche attraverso i percorsi religiosi".... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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personal-reporter · 9 months
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La leggenda della Sacra di San Michele
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La Sacra di San Michele è un'abbazia medievale che si trova sul Monte Pirchiriano, in Piemonte. È uno dei monumenti più famosi della regione e Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO. La Sacra di San Michele è stata costruita nel IX secolo e fu un importante centro di culto per secoli. Oggi è una delle mete turistiche più visitate del Piemonte. La leggenda della Sacra di San Michele narra che l'arcangelo Michele apparve al vescovo di Torino, Sant'Eusebio, e gli ordinò di costruire un santuario sul Monte Pirchiriano. Il vescovo obbedì e il santuario fu costruito. La leggenda narra anche che l'arcangelo Michele si sarebbe manifestato più volte sul monte, e che avrebbe compiuto molti miracoli. La Sacra di San Michele è un luogo ricco di storia e di leggenda. È un luogo che ha affascinato e continua ad affascinare le persone di tutto il mondo. La storia La Sacra di San Michele è stata costruita nel IX secolo dal vescovo di Torino, Sant'Eusebio. Il vescovo obbedì a un ordine dell'arcangelo Michele, che gli era apparso in sogno. L'arcangelo Michele ordinò al vescovo di costruire un santuario sul Monte Pirchiriano, una montagna che si trova a circa 900 metri di altezza. Il santuario fu costruito in un luogo strategico, sulla cima di una montagna che dominava la Valle di Susa. La Valle di Susa era una strada importante per i pellegrini che si recavano in Terra Santa. Il santuario divenne presto un importante centro di culto e di pellegrinaggio. Nel XII secolo il santuario fu ricostruito in stile romanico. Nel XIII secolo fu costruito il campanile, che è uno dei più alti d'Italia. Nel XIV secolo il santuario fu danneggiato da un terremoto, ma fu poi restaurato. Nel XVI secolo il santuario fu abbandonato dai monaci benedettini. Nel XVII secolo il santuario fu rioccupato dai monaci rosminiani, che lo restaurarono e lo ampliarono. Oggi la Sacra di San Michele è un importante monumento storico e un luogo di culto. È uno dei monumenti più visitati del Piemonte e Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO. La leggenda La leggenda della Sacra di San Michele narra che l'arcangelo Michele apparve al vescovo di Torino, Sant'Eusebio, e gli ordinò di costruire un santuario sul Monte Pirchiriano. Il vescovo obbedì e il santuario fu costruito. La leggenda narra anche che l'arcangelo Michele si sarebbe manifestato più volte sul monte, e che avrebbe compiuto molti miracoli. Una delle leggende più famose narra di una giovane donna di nome Alda che fu salvata dall'arcangelo Michele. Alda era una ragazza molto bella e gentile, e viveva nella Valle di Susa. Un giorno, Alda fu inseguita da un gruppo di soldati che volevano violentarla. Alda si rifugiò nel santuario di San Michele, e l'arcangelo Michele apparve e la salvò. L'arcangelo Michele scacciò i soldati e portò Alda in cielo. La leggenda di Alda è una storia di amore, di fede e di speranza. È una storia che ha affascinato e continua ad affascinare le persone di tutto il mondo. La Sacra di San Michele oggi La Sacra di San Michele è un luogo ricco di storia e di leggenda. È un luogo che ha affascinato e continua ad affascinare le persone di tutto il mondo. Oggi la Sacra di San Michele è un importante monumento storico e un luogo di culto. È uno dei monumenti più visitati del Piemonte e Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO. La Sacra di San Michele è un luogo che offre molto ai visitatori. È un luogo dove si può conoscere la storia, la cultura e la religione del Piemonte, dove si può ammirare la bellezza della natura e godere di un panorama mozzafiato, dove si può trovare la pace e la tranquillità. Se siete in Piemonte, non perdete l'occasione di visitare la Sacra di San Michele. È un luogo che vi lascerà senza fiato. Fonti - La Sacra di San Michele: storia, leggenda e culto di un santuario millenario, di Gian Paolo Zaccone - La Sacra di San Michele: una storia millenaria, di Davide Canavese - La Sacra di San Michele: un luogo di culto e di pellegrinaggio, di Pier Giorgio Gentile Read the full article
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IL '900 - di Gianpiero Menniti
IL TEMPO COME UN'ECO
«Quando leggiamo “ministro senza portafoglio”, ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega?» - Indro Montanelli, Controcorrente del 4 dicembre 1982.
Il 22 aprile del 1909 nasceva Indro Montanelli.  Maestro d'indipendenza e di coraggio civile, ha avuto un solo padrone: il lettore. Lo ha rispettato senza mai adularlo.  Nell’unico modo possibile: facendo uso di quella sintassi fluida, comprensibile e lineare dettata dalla sincerità di pensiero. Nemico giurato dell’accademismo e dell’ipocrisia salottiera. Scrisse, tra le innumerevoli cose, una monumentale "Storia d'Italia", facendo perno su un linguaggio agevole e diretto.  Per farsi capire e per far capire anche al lettore sprovveduto. Testimone ironico, rigoroso e disincantato di un ‘900 vissuto intensamente.  Appassionato italiano, ha raccontato il Paese con la disperata coscienza di un innamorato deluso. Eppure, con lo sguardo ardente d’infatuata speranza per un popolo senza memoria. Sempre in buona fede e sempre "stecca nel coro” per vocazione professionale: è l'etica più profonda e difficile del giornalista. Lo sapeva. Ed ebbe a dire: «La mia eredità? Sono io». Aveva ragione. Tra le sue fragilità un'antica forma di depressione che lo costringeva a lunghi momenti d'isolamento.  Il male di vivere che si sconta vivendo.  Scomparve nel 2001, il 22 del mese di luglio. Un passo fuori dal "suo" tempo. Ricordava una frase di Sainte-Beuve: 
«Resta giudizioso e chiaroveggente fin nelle tue debolezze e, se non dirai tutto il vero, non dire mai il falso. Che la stanchezza non ti prenda mai, non ritenere mai di essere arrivato. Nell'età in cui gli altri riposano o rallentano, raddoppia di coraggio e di ardore; ricomincia come un principiante, corri una seconda e una terza corsa, fa’ che la verità stessa si avvantaggi della perdita delle tue illusioni».
Aggiungendo di suo: «Non so se ci sono riuscito, nel bene o nel male ho sempre tentato di vivere così».
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tarditardi · 4 years
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14 marzo 2020: Io resto a casa e ballo con Luca Agnelli. Sulla pagina Facebook del Bolgia di Bergamo, dalle ore 23, #iorestoacasaeballo #bolgia 
Sabato 14 Marzo 2020, dalle 23, in diretta streaming sulla pagina Facebook del Bolgia di Bergamo - https://www.facebook.com/bolgiaofficial/ e su quella di altre importanti realtà importanti del clubbing italiano, si balla.
La musica è quella di Luca Agnelli, top dj toscano che al Bolgia in carne ed ossa è venuto a portare il suo sound e la sua energia tante volte. L'iniziativa è "Io resto a casa e ballo", l'hashtag è #iorestoacasaeballo - Mentre c'è chi soffre davvero negli ospedali, mentre c'è chi si sacrifica e rischia la vita aiutando i malati, artisti e locali danno un piccolo contributo e provano a far divertire chi di solito il sabato sera fa tardi ballando con il sorriso.
Ballare a casa, da soli in casa, per ragazze e ragazzi, non sarà la stessa cosa. Perché è solo nei locali come il Bolgia che la musica aiuta ad incontrarsi e conoscersi, solo mentre si balla nascono amori ed amicizie che spesso non durano una notte, ma una vita intera. Sarà comunque molto meglio di scorrere semplicemente la timeline, arrabbiarsi o sonnecchiare.
#iorestoacasaeballo #bolgia
https://www.facebook.com/bolgiaofficial/
COS'E' IL BOLGIA DI BERGAMO www.bolgia.it media info http://lorenzotiezzi.it/bolgia-bergamo/
Quella che è iniziata a settembre 2019 è la 18esima stagione di musica elettronica, top dj & dintorni a Bolgia di Bergamo. 18 stagioni sono tante, e qui sono state tutte vissute con la stessa gestione.
Nella sua lunga storia, il Bolgia è infatti diventato un punto di riferimento per chi ama la musica house in tutti i suoi colori. Una disco senza aggressività e  senza 'esclusività', che punta tutto sulla musica, su ottimi dj e su un'atmosfera scatenata.
Impossibile citare tutti i top dj che si sono alternati al Bolgia. Sul sito del locale c'è un elenco parziale (https://www.bolgia.it/news/). Qui segnaliamo, in puro ordine sparso, almeno Jeff Mills, Ilario Alicante, Sam Paganini, Len Faki, Sven Vath, Amelie Lens, Charlotte de Witte, Marco Faraone, Nina Kraviz, Chris Liebing, Chris Liebing, Steve Aoki (…).
Quello che ormai è uno dei club più longevi d'Italia in assoluto, ha uno spirito tutto suo che ha attraversato e condizionato generazioni di clubber, uno spirito che sempre contraddistingue le notti del club e che va ben oltre la semplice musica e del nome del dj che per una sera si esibisce in console.
Spesso infatti (accadde ad esempio per Steve Aoki) i dj che suonano al Bolgia in breve tempo diventano star globali. Non accade solo perché il top club bergamasco è un bel trampolino di lancio. E' che al Bolgia non suonano solo dj star. La vera protagonista è la musica. Qui c'è sempre proprio quel sound che in un certo periodo fa ballare il mondo.
CHI E' LUCA AGNELLI https://www.facebook.com/djlucaagnelli
Luca Agnelli, toscano, dj, producer, remixer in continua evoluzione musicale, sempre alla ricerca di nuovi stimoli ed obiettivi, sperimentando sempre nuovi percorsi, reinventando nuovi linguaggi.
Eclettico, creativo, curioso, coinvolgente, dallo stile inconfondibile, trasmette passione ed adrenalina, fa sognare ed emozionare.
Techno è il suo suono ma si percepiscono le sue radici house.
E' fondatore di Etruria beat records, label internazionale che ha prodotto artisti del calibro di Andre Kronert, TWR72, Electric Rescue, Oliver Deutchmann, Locked Groove, 2000 and One, Dj Tennis, Bastiov, Dj Emerson, Mattias Fridell, DAST, Arnaud Le Texier, Dj Sodeyama, Kaiser, Nikita Zabelin, Reform, Dana Ruh, Pig&Dan, Toms Due, Kevin de Vries, Roberto Clementi e molti altri.
Ha prodotto musica per diverse rispettate etichette discografiche come Drumcode, Soma, Planet Rhythm, Safari, Tiptop Audio, Paranoid Dancer, Be as One, Truesoul, Desolat, Four Twenty, Dirty Bird, MBF oltre che naturalmente per Etruria beat.
A maggio 2014 è stato protagonista della copertina di Dj Mag Italia scelto attraverso un sondaggio dai lettori della rivista.
A novembre 2016 ha remixato il capolavoro "Porcelain" dalla leggenda vivente MOBY rilasciato su Drumcode.
Ha suonato nei più importanti clubs d'Europa come Cocoricò (Riccione), Amnesia (Ibiza), Boothaus (Koln), Fabrique (Milano), Cocoon (Frankfurt), Guendalina (Lecce), Spazio 900 (Roma), Privilege (Ibiza), Tini (Livorno), Input (Barcelona), Steam (Athens), Club Bahnhof (Koln), Unlocked (Palermo), All Time Clubbing (Bucharest), Cromie (Taranto), Goethebunker (Essen), Angels of Love (Napoli), City All (Barcelona), Panama (Amsterdam) Cavo Paradiso (Mykonos), With Love (Catania), Magazzini Generali (Milano), Komplex 457 (Zurigo), Egg (London), Penelope (Madrid), Gazgolder (Moscow), Rashomon (Roma), Mad (Losanne)) e molti altri.
special adv by ltc - lorenzo tiezzi comunicazione
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andreainthailandia · 5 years
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Una domenica a Palazzo: Phaya Thai Royal Palace, residenza reale nel cuore di Bangkok
Visto che in tanti mi chiedete informazioni su monumenti che siano fuori dai classici percorsi turistici ho deciso di condividere con voi la mia ultima scoperta. Chi legge il mio diario online sa bene che non mi tiro mai indietro quando si tratta di andare a passeggio per Bangkok; se poi invece che fare da guida ho la possibilità di essere guidato la cosa si fa decisamente più interessante... A questo giro è stata tutta colpa dell’invito degli studenti del corso d’Arte del Dipartimento di Italiano dell’Università Chulalongkorn, invito che si è rivelato pieno di piacevoli sorprese. Con la scusa di passare del tempo insieme, l'Università ha pensato bene di organizzare una passeggiata culturale in un angolo d'Italia in Thailandia.
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Un gruppo di studenti, qualche insegnante e diversi expat italiani. Appuntamento in una calda domenica di fine ottobre alla fermata dello Skytrain Victory Monument. Combinazione perfetta per andare alla scoperta di questo palazzo reale nel cuore di Bangkok che nessuno del gruppo aveva mai visitato prima. In realtà K. Neung Lohapon, la direttrice del Dipartimento di Italiano, il palazzo lo conosceva già molto bene visto che fa parte per di uno di quei luoghi che quasi per magia legano da secoli la Thailandia all’Italia.
Foto degli interni del palazzo
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Per 2 ore abbondanti la nostra guida ci ha raccontato nei minimi dettagli la storia del palazzo, alternando descrizioni in tailandese a racconti in un inglese forse meno comprensibile del tailandese stesso.
Per fortuna che gli studenti si sono improvvisati traduttori!
La costruzione del palazzo iniziò nel 1909 come progetto di ampliamento voluto da Re Rama V (Re Chulalongkorn – a cui è dedicata l’Università che ha organizzato la visita) dell’allora Bangkok. All’epoca la zona era ancora coperta di canali e risaie – poco più di un secolo dopo è considerata pieno centro della capitale tailandese. Il Re però poté godere della quiete del palazzo solamente per pochi mesi visto che morì poco dopo il suo completamento. Divenne così la residenza della Regina Madre di Re Rama VI. Dopo la morte della madre, Rama VI fece demolire quasi interamente il palazzo e lo sostituì con costruzioni che conservarono parzialmente l’originale stile liberty fondendolo con un più moderno stile coloniale. Alla morte di Re Rama VI, il fratello Re Rama VII, una volta salito al trono ne ordinò la trasformazione in Hotel Internazionale (nota curiosa – Rama VII fu l’unico sovrano della dinastia Chakri ad aver abdicato). Dell’originale struttura oggi rimane solamente il Phra Thinang Thewarat Sapharom (sotto potete vedere le foto di questa sezione del palazzo). Le altre parti della residenza reale sono un misto di stili architettonici che variano dall’Art Nouveau – con vetri dipinti e decorazioni a fiamma e conchiglia, con balaustre in ferro battuto e legno intagliato – al Neoclassico – con giardini che ci hanno descritto come all’italiana ma che di italiano non hanno nulla – ad uno stile nordeuropeo che vagamente ricorda quello austriaco dell’inizio del novecento - la caratteristica più evidente del Palazzo Phaya Thai è una torretta rotonda con un tetto conico rosso, che ricorda il castello delle fiabe dei fratelli Grimm. La torretta fa parte della sala del trono di Phiman Chakri, costruita da Rama VI al cui interno sono ancora visibili bellissimi affreschi sul soffitto in stile italiano. Appena messo piede nel palazzo la guida ci fa notare che anche i pavimenti sono italiani: Re Rama V era infatti innamorato del marmo di Carrara.
Foto degli esterni del palazzo
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Passeggiando per le varie parti del palazzo ci si imbatte in interessanti pannelli illustrati con didascalie ben scritte (e pertanto più comprensibili dell’inglese della guida) e informazioni curiose. Ho così scoperto che:
fino al secolo scorso i tailandesi avevano solo il nome: il cognome per indicare una persona venne infatti introdotto con il Surname Act del 1913 da Re Rama VI con annuncio dato proprio in questo palazzo;
Dusit Thani (thai: ดุสิตธานี), nome legato per me fino a questa visita alla catena di hotel, in realtà era un progetto creato da Re Rama VI per la creazione di una città in miniatura e micronazione per esplorare aspetti della democrazia. Fu il primo tentativo di realizzare un governo costituzionale in Thailandia e aveva sede proprio nel Phaya Thai Palace e nei dintorni della residenza (zona appunto ancora oggi chiamata Dusit);
fu proprio questo palazzo ad ospitare la prima stazione radiofonica della Thailandia, nel 1930, ovvero 6 anni dopo la messa in onda della prima trasmissione radiofonica in Italia;
una notte nella Suite dell’hotel Phaya Thai Palace costava 150 baht, pari a 1/3 dello stipendio allora ricevuto dagli architetti italiani Mario Tamagno e Annibale Rigotti (le cui opere sono ancora oggi visibili – ma non visitabili) qui a Bangkok;
una volta chiuso l’hotel il palazzo divenne sede dell’ospedale militare e poi importante scuola di medicina per la Royal Thai Army;
l’elegante caffetteria con interni neoclassici e a cui si accede solo togliendosi le scarpe che si trova davanti all’ingresso del palazzo (Cafe de Norasingha) fu il primo cafè in stile occidentale creato a Bangkok – è aperto tutti i giorni dalle 9:30 alle 19:00;
Il Dipartimento di Belle Arti ha inserito il Phya Thai Palace come sito del patrimonio nazionale tailandese solamente nel 1979
Foto della facciata principale del palazzo
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Una camminata di più di 2 ore non poteva che concludersi con una bella chiacchierata, rigorosamente in italiano ovviamente, fra noi italiani e gli studenti del corso d'arte della Chulalongkorn University proprio nell’elegante Cafe de Norasingha. Ed è proprio chiacchierando con gli studenti che hanno studiato in Italia per periodi più o meno lunghi che ho riconfermato che
il RISOTTO è di gran lunga il piatto della cucina italiana MENO AMATO dai tailandesi
e che, tanto per peggiorare le cose, dicono anche che il formaggio puzza!
Foto del Phra Thinang Thewarat Sapharom
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Per facilitarvi le cose, qui sotto trovate notizie e link per organizzare la visita al Palazzo Phaya Thai. Informazioni pratiche per il Palazzo Phaya Thai:
Sito internet: Phyathaipalace.org disponibile solamente in tailandese
Sito Museumthailand: pagina dedicata al Phaya Thai Palace
Indirizzo: 315 Phyathai Road Thung Phaya Thai Khet Ratchathewi Bangkok
Come arrivare: 10 minuti a piedi (circa 900 metri) dalla fermata della BTS Victory Monument – direzione Ratchawithi Road. Il palazzo si trova accanto all’ospedale Phramongkutklao Hospital.
Posizione sulla mappa: cliccare qui per aprire il percorso pedonale per raggiungere il Palazzo Phaya Thai su Google map.
Numero di telefono: 02-354 7987
Orario d’apertura: martedì e giovedì ore 13:30; sabato e domenica 9:30 e 13:30. Attenzione – l’orario è da intendersi come orario di inizio delle visite che sono obbligatoriamente guidate da un accompagnatore autorizzato. È necessario arrivare in anticipo. Per la guida in inglese si deve fare richiesta all’ingresso con un certo anticipo.
Biglietto: ingresso libero – è segno di cortesia lasciare una donazione
Codice d’abbigliamento e comportamento: abbigliamento decoroso, non sono ammessi pantaloncini corti, canottiere gonne corte e scollature vistose. Non è consentito scattare fotografie (ma si può chiedere e in genere le guide sono permissive), fumare, consumare cibo e bevande alcoliche o introdurre animali.
Durata della visita:  circa 2 ore.
Il riassunto dela visita lo potete vedere in questo breve video
youtube
Se non visualizzate il video potete cliccare su questo link per aprirlo su YouTube
Se vi state ancora chiedendo perché non era mai stato al Phaya Thai Palace, la risposta la trovate essenzialmente negli orari di apertura. Fino a qualche anno fa, per di più, il palazzo era chiuso al pubblico. Tutt’oggi gli orari limitati e la quasi completa assenza di informazioni in inglese rendono questa bella residenza reale una meta poco conosciuta dai turisti stranieri e anche tailandesi. Se pertanto volete vedere qualcosa di meno turistico e che sia per di più legato all'influenza avuta dal nostro paese sulla Thailandia non potete perdervi il Palazzo Phaya Thai!
Foto dell'interno del Cafe de Norasingha
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L'arte scuote dall'anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni Pablo Picasso
Foto della scala a chiocciola in ferro battuto (un nuovo termine imparato dagli studenti)
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corallorosso · 5 years
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I crimini (anche razzisti) dei soldati italiani nei Balcani e in Africa di Giovanni Giovannetti C'è una pagina della nostra storia nazionale che da quasi ottant'anni si fatica a leggere. Quella dei crimini, anche a sfondo razziale, compiuti dall'Esercito italiano in Africa e nei Balcani. Maggio 1941. Germania, Italia e Ungheria occupano la Slovenia, e la provincia di Lubiana viene annessa al Regno d'Italia. Ma temendo la resistenza sociale ben più di quella armata, il comandante supremo della Seconda armata d'occupazione generale Mario Roatta il 1° marzo 1942 emana la famigerata “circolare 3c” contro la popolazione civile slovena. Roatta dispone rappresaglie, incendi di case e villaggi, razzie, torture, esecuzioni sommarie, la cattura e l'uccisione di ostaggi, internamenti di civili e militari nel campo di concentramento nell'isola di Arbe (Rab) in Croazia e in quelli di Gonars in Friuli, Monigo presso Treviso, Chiesanuova di Padova o Renicci d'Anghiari in Toscana. Se possibile, queste misure saranno rese ancora più draconiane dalle circolari integrative del comandante dell'undicesimo Corpo d'Armata generale Mario Robotti, altro delinquente («si ammazza troppo poco», dirà), e dell'alto commissario per la provincia di Lubiana Emilio Grazioli (come Roatta è nell'elenco dei criminali di guerra italiani). 
I non umani 
E si badi, a usare la mano pesante con i civili non sono le Camicie nere di Mussolini ma uomini dell'Esercito fedele al re e alla corona, che vedono gli sloveni come dei selvaggi piantagrane, alieni e inanimati: uno sguardo deumanizzante, l'alibi per ogni sorta di arbitrio, come quello che oggi provoca una tutto sommato modesta indignazione per la morte di 200 esseri umani che annegano nel Mediterraneo. Stando all'ex partigiano e studioso del movimento di liberazione sloveno Tone Ferenc, nella sola provincia di Lubiana verranno «fucilati o come ostaggi o durante operazioni di rastrellamento circa 5.000 civili, ai quali vanno aggiunti i circa 200 bruciati e massacrati in modi diversi. 900 invece i partigiani catturati e fucilati. A loro si devono aggiungere oltre 7.000 persone in gran parte anziani, donne e bambini morti nei campi di concentramento in Italia. Complessivamente moriranno più di 13.000 persone su 340.000 abitanti, il 2,6 per cento della popolazione». A questo triste bilancio aggiungeremo l'incendio di 3.000 case, l'internamento di 33.000 persone, la distruzione di 800 villaggi. La Commissione di Stato jugoslava per l'accertamento dei crimini di guerra ha inoltre accusato Roatta e sodali di aver ampiamente disatteso la seconda Convenzione internazionale dell'Aja relativa ai prigionieri, ai feriti e agli ospedali; di aver disposto la fucilazione di partigiani fatti prigionieri e di ostaggi; di aver ordinato l'internamento dei componenti di intere famiglie e villaggi e di aver consegnato i civili incolpevoli ai tribunali militari; di aver ordinato che i civili fossero ritenuti responsabili di tutti gli atti di sabotaggio commessi nelle vicinanze della loro abitazione e che, per rappresaglia, si potesse sequestrare il loro patrimonio, distruggere le loro case e procedere al loro internamento. Sul fronte economico si registra la depredazione delle risorse slovene pianificato dall'Iri, l'Istituto italiano per la ricostruzione industriale sorto nel 1933. 
Criminali in divisa Che dire di più? In applicazione delle severe disposizioni di Roatta, la notte tra il 22 e il 23 febbraio 1942 Lubiana è posta in stato d'assedio e i Granatieri di Sardegna capitanati da Taddeo Orlando, affiancati da collaborazionisti slavi, rastrellano per settimane con «metodo deciso» migliaia di civili (un quarto degli uomini validi «prescindendo dalla loro colpevolezza» dirà Orlando) e 878 di loro vengono internati nei campi di concentramento. Altri rastrellamenti avverranno tra il 27 giugno e il 1° luglio – con il fermo di 17mila civili – e dal 21 al 28 dicembre, con l'arresto di oltre 500 persone; tra loro donne, vecchi e bambini. Pochi, i più fortunati, li deporteranno in alcune città del nord Italia. Ma in questa “strategia della snazionalizzazione” – come l'ha chiamata Davide Conti – sono 33mila gli sloveni internati in duecento lager in Italia e sul posto, a morire di freddo, stenti, tifo e dissenteria (per Robotti erano «inconvenienti igienici»). Come si legge in una relazione del 9 settembre 1942 di Roatta a Robotti, «si tratterebbe di trasferire, al completo, masse ragguardevoli di popolazione e di sostituirle in posto con popolazioni italiane». Altri rastrellamenti seguiranno nei centri più importanti del Paese. «Dicono che donne e bambini e vecchi, a frotte, o rinvenuti nei boschi o presentatisi spontaneamente alle nostre linee costretti dalla fame e dal maltempo, sono stati intruppati, e avviati (tra pianti e pianti e pianti) ai campi di concentramento». Lo si legge al giorno 25 settembre 1942 del Diario di don Pietro Brignoli, cappellano militare del secondo Reggimento Granatieri di Sardegna. ...l'ispettore e i loro tirapiedi interrogano i prigionieri e li torturano flagellandoli, bastonandoli, colpendoli al basso ventre, infliggendo bruciature o esponendo i testicoli alla corrente elettrica (non mancano i casi di stupro su alcune detenute). Quando i detenuti vengono consegnati al Tribunale speciale di guerra, a reggere la pubblica accusa trovano il tenente colonnello Enrico Macis, altro “criminale di guerra”, altro vessatore impunito (dal novembre 1941 al settembre 1943 questo Tribunale sentenzierà la morte di 83 civili e partigiani). Macis non manca poi di manifestare il suo compiacimento per le deportazioni: come scrive il 26 aprile 1943, «nello scorso anno le autorità militari con apprezzato senso di opportunità avevano rastrellato la città ordinando l’internamento di tutti gli uomini dai 18 ai 35 anni».... Passata la guerra, a Macis verrà conferita la qualifica di “Partigiano combattente”. Non bastasse, nel 1946 l'ufficio informazioni dello Stato maggiore dell'Esercito gli commissionerà uno studio sui problemi di carattere giuridico in ordine ai crimini di guerra. Come affidare ad Al Capone uno studio sul consumo illegale di alcolici... dopo la liberazione, ritroveremo i torturatori Messana e Verdiani non in galera, non silenziosamente pensionati, ma l'uno dopo l'altro a occuparsi di antimafia alla guida dell'ispettorato di pubblica sicurezza per la Sicilia, ovvero a depistare indagini e a coltivare relazioni con latifondisti, mafiosi, monarchici e banditi come Salvatore Giuliano. In totale, 109.437 jugoslavi verranno deportati nei campi di concentramento fascisti in Italia. Ad Arbe, Carlo Alberto Lang, capitano medico incaricato di un sopralluogo, segnala che tra il settembre e l'ottobre 1942 in trenta giorni muoiono 209 persone, di cui 62 bambini sotto gli 11 anni. E al medico provinciale che segnala i numerosissimi casi di «dimagrimento patologico ... il generale Gastone Gambara (altro “criminale di guerra”) il 17 dicembre 1942 cinicamente replica quanto fosse «logico e opportuno che campo di concentramento non significhi campo di ingrassamento, in quanto “individuo malato = individuo tranquillo”». Non fosse arrivato l'8 settembre, tutto questo avrebbe assunto le dimensioni del genocidio. 
L'Italia si auto assolve 
Nel dopoguerra, in quell'Europa divisa in due, in Italia si enfatizzeranno, decontestualizzandole, la diaspora dalmata-istriana e le foibe, mentre si minimizzeranno, sino alla rimozione, le violenze compiute dall'esercito italiano nei confronti della popolazione civile slovena, dalmata, montenegrina, croata, greca, russa e albanese, in aggiunta alle violenze già a referto in Libia (100mila vittime su 800mila abitanti: un genocidio) e in Etiopia (nel Corno d'Africa tra il 1935 e il 1943 si contano 300mila vittime). Calerà il silenzio anche sui bombardamenti di natura terroristica compiuti dalla Regia aeronautica italiana sulla città basca di Durango il 31 marzo 1937 (morti 289 civili) e su Barcellona in Catalogna tra il 16 e il 18 marzo 1938 (670 morti) durante la Guerra civile spagnola. Sono atti criminali non inferiori a quello tedesco e italiano del 26 aprile 1937 su Guernica (quattro settimane dopo la strage di Durango), a torto ritenuto il primo atto di terrore dal cielo deliberatamente compiuto contro la popolazione civile. Insomma, brandendo il paradigma dell'“italiano buono”, benevolmente assunto dall'opinione pubblica, sui nostri crimini cala l'oblio e l'Italia si auto assolve, cancellando dal senso comune (e dai testi scolastici) la memoria dei nostri omicidi e ogni traccia dei nostri campi di morte.
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giancarlonicoli · 3 years
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2 ago 2021 18:48
ITALIA, UN PAESE DI PARA-GURI - INDRO MONTANELLI ERA DAVVERO BRAVO, IL PIÙ BRAVO GIORNALISTA DI TUTTI I TEMPI, ANCHE A SPARARE BUGIE, ESAGERAZIONI, FURBIZIE, DOPPI E TRIPLI GIOCHI, INCOERENZE, SMANIE DI PROTAGONISMO E STREGONERIE VARIE. E LA SORPRESA DEL LIBRO DI CORVISIERI È CHE CI SI RITROVA L'INTERO ‘900 ITALIANO, DAL FASCISMO ALLA RESISTENZA, DAI CRIMINI DI GUERRA ALL'ANTISEMITISMO, DALLA MAFIA ALL'ENI ALLA ROTTURA CON BERLUSCONI, CHE NEL TORNEO DI BUGIE, ANCHE RISPETTO A MONTANELLI RISULTA UN BEL COMPETITOR
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Filippo Ceccarelli per il Venerdì di Repubblica
In definitiva gli italiani hanno un ottimo rapporto con le bugie. Non solo le perdonano e le dimenticano, ma le apprezzano e alcune se le tramandano pure come cose preziose, a patto che siano utili ai loro fini, ben dette, meglio inventate, comunque a tal punto ricamate e romanzate da recare addirittura una verità non così lontana da quella autentica.
Si fa oggi un gran parlare di fake-news, espressione sospettamente anglosassone, ma da secoli gli italiani promuovono i bugiardi, li esaltano, li votano purché siano bravi e simpatici - e Indro Montanelli era davvero bravo, il più bravo giornalista di tutti i tempi, e a suo modo ea volte anche imprevedibile e simpatico nei suoi tratti cavallereschi - ma a volte no.
Nessuno d'altra parte è perfetto, anche se nel suo caso il successo della perfezione giornalistica dipendeva anche dal suo essere un bravissimo e simpatico bugiardone, come del resto molti alti spiriti con varie sfumature sostennero (Croce, Montale, Bauer, Ernesto Rossi, lo stesso Longanesi che di Indro fu l' impresario), come già ampiamente dimostrato da storici di vaglia (Sandro Gerbi e Raffaele Liucci) e come lui stesso ammiccando riconosceva.
Così, per il ventennale della morte la santificazione bibliografica montanelliana sembra normalmente ben avviata. Ma siccome gli anniversari non servono solo a giocare sul sicuro e sull'agiografico è opportuno e magari anche sano segnalare il volume di Silverio Corvisieri, Un cattivo maestro: Montanelli tra mito e fake news (Bordeaux, pp. 315 pagine, euro 18), che con meticolosità documenta invenzioni, balle, esagerazioni, furbizie, versioni contraddittorie, omissioni, acrobazie, doppi e tripli giochi, incoerenze, smanie di protagonismo e stregonerie varie.
E la sorpresa è che ci si ritrova l'intero novecento italiano, dal fascismo alla resistenza, dai crimini di guerra all'antisemitismo, dalla mafia all'Eni al Vajont, fino a piazza Fontana, al maschilismo e alla rottura con Berlusconi, che nel torneo di bugie, anche rispetto a Montanelli risulta un bel competitor.
Ma allora? Allora niente. Allora, seppure esausti e un po' sgomenti, viene da pensare che l'unica chiave che apre la mente e un po' anche il cuore sulla figura di Montanelli, sul giornalismo ieri e oggi e in fondo sulla storia d'Italia, è l 'inesorabile ambiguità che noi italiani, tutti o quasi, ci portiamo dietro e davanti da sempre.
Quell' ambiguità che consente di stupirsi davanti alla più inimmaginabile faccia tosta e al tempo stesso commuoversi dinanzi a descrizioni da applauso. Va da sé che un saggio è molto più impegnativo che imbrattare una statua. Che poi, se la pulisci, torna come prima: bruttina, ma forse perfino trascurabile. Tutto del resto è relativo, a partire dai monumenti.
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vegiamilan · 5 years
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LE VIE DI MILANO, STRANEZZE E CURIOSITÀ Partendo dal centro non si può non ricordare che la parte orientale di Piazza del Duomo, quella dove si trova l'abside della cattedrale e il Palazzo della Veneranda Fabrica si è chiamata sino ai primissimi anni del '900 Piazza del Camposanto dato che per secoli fu lì presente un cimitero. Poi, senza un apparente motivo il nome fu cancellato e una piazza con una storia secolare scomparì per sempre dalla toponomastica meneghina. *** Non lontano, tra Largo Augusto e via Larga si trova il Verziere, senza indicazione alcuna che indica se si tratta di una via, una piazza, uno slargo, un largo; semplicemente Verziere. Sino ad inizio del XX secolo era uno dei principali mercati ortofrutticoli di Milano, esistente dal 1766, insieme agli altri delle vicine Piazza Fontana e delle bancarelle presenti per secoli in Piazza del Duomo. Il nome stesso indica un luogo ove si vendevano le "verzure". Sino al 1870 circa mantenne il suo nome originale di Contrada di Porta Tosa, dopo assunse il nome definitivo di Verziere. Un tempo era una piazza lunga e molto larga, poi ristretta negli anni 40 e primi 50 per la realizzazione del primo tratto della "racchetta" una strada ad alto scorrimento che doveva tagliare tutti i quartieri a sud del Duomo. Lo stesso Largo Augusto era parte integrante del Verziere e la sua colonna dominava il mercato e le bancarelle. Poco lontano dal Verziere si trova la Via Bergamini, che non indica una ricca famiglia ma come ci dice il Sonzogno: «Della contrada dè bergamini dirò che in essa stanno i venditori di caci freschi e di altri latticini, così chiamati dalle mandrie da essi possedute e da noi detti bergamini» (Vicende di Milano rammentate dai nomi delle sue contrade a sia origine di questi nomi. Milano, 1835). In pratica si trattava di gruppi di pastori della Val Brembana e della Val Seriana che settimanalmente scendevano a Milano, in Piazza Fontana, a tenere il loro mercato dei prodotti di latte di pecora. Il soprannome derivava dalla loro provenienza dalla provincia di Bergamo. Indossavano orgogliosamente una sorta di divisa da bergamino, cappellaccio e mantello di lana grezza verde scuro, zoccoli di legno, lunghi bastoni per governare il gregge, ma al contempo indossavano anche eleganti panciotti con la catenina in oro dell'orologio in bella vista. Quasi sempre avevano legato in vita pure il grembiule da lattaio! I bergamini iniziarono ad occupare Piazza Fontana in coincidenza del trasloco del mercato del Verziere dalla piazza al luogo che poi prese il nome di Verziere. Furono i potenti vescovi della vicina curia milanese che vollero, nel 1766, lo spostamento del mercato, che rendeva difficile l'ingresso al palazzo dell'Arcivescovado. Quando infine il Verziere si spostò... lo spazio fu occupato dai Bergamini che iniziarono ad usare Piazza Fontana come loro "quartier generale di Milano". Molte delle famiglie di bergamini si installarono definitivamente a Milano, aprendo negozi e bancarelle e rivendendo prodotti caseari e latte prodotti da loro parenti che invece continuavano a passare i canonici 4 mesi sugli alpeggi e il resto del tempo a fare transumanze e a produrre formaggi da portare poi a Milano. Oggi la Via Bergamini si apre dall'ampia Via Larga, ma sino agli sventramenti mussoliniani la via si apriva da un crocicchio di strade, Via San Clemente, Via Larga, Via Sant'Antonio, Piazza Santo Stefano e appunto Via Bergamini. La strada continuava in linea retta sino a sbucare di fronte all'Ospedale Maggiore in Via dell'Ospitale, oggi Via Festa del Perdono. *** Poco più a sud si trova una lunga e antica strada che connetteva la Cerchia dei Navigli con la Cerchia dei Bastioni, la Via San Barnaba. Collegava tramite un ponte sulla cerchia l'Ospedale Maggiore con il suo cimitero principale. Quando le fondamenta, le cantine e i sotterranei dell'ospedale furono riempiti all'inverosimile di ossa dei morti, si decise la costruzione di un cimitero oltre la cerchia e in piena campagna. Di allora. Venne costruito un nuovo Foppone, come erano chiamati allora i cimiteri. Il Foppone di San Michele venne costruito nel 1696 e nel giro di nemmeno un secolo fu riempito di oltre 150.000 defunti. La strada che collegava l'Ospedale Maggiore col suo cimitero si chiamava Strada del Foppone, sino al 1850 circa, poi prese tutta il nome di Strada di San Barnaba. Per oltre 300 anni il cimitero, fu chiamato o Foppone di San Michele, o vista la sua struttura circolare "La Rotonda". Solo alla fine degli anni 20 del XX secolo venne aperta una nuova strada che collegava i Bastioni con il costruendo Palazzo di Giustizia di Porta Vittoria. La nuova strada passava esattamente lungo il lato esterno della "Rotonda". La strada divenne Via Enrico Besana, patriota che combattè in tutte e tre le Guerre di Indipendenza, fu alto ufficiale Garibaldino e giornalista per i due principali quotidiani di Milano e d'Italia dell'epoca, La Perseveranza e il Corriere della Sera. Per un motivo inspiegabile il Foppone di San Michele divenne in breve tempo La Rotonda della Besana, facendo diventare l'Enrico Besana una donna e rinominando un cimitero plurisecolare con un titolo errato e assolutamente senza alcun senso. lla foto si vede la Via Enrico Besana appena realizzata e il muro perimetrale esterno del Foppone di San Michele ancora senza alcun accesso aperto verso la nuova strada. *** Quando nel 1923 il governo di Mussolini distacca il quartiere del Lorenteggio dal Comune di Corsico e lo aggrega al Comune di Milano si pone il problema di rifare la toponomastica dei 4 borghi che componevano storicamente il territorio del Lorenteggio. Tra quelle vie che presentavano omonime con quelle di Milano ci fù la piazza antistante alla stazione di San Cristoforo. Venne ribattezzata Piazzale Albania. Dal 1923 sino alla caduta del Fascismo le cose non cambiarono, poi, nel 1946 si procedette ad una lunga pagina di revisione della toponomastica per "liberare" Milano dalle non poche vie, strade, piazze e larghi intitolati a gerarchi fascisti o ad avvenimenti legati o cari al regime. Senza un motivo ben chiaro Via Principe Umberto, strada che da Piazza Cavour risaliva verso Piazza della Repubblica (allora Piazza Fiume) che aveva tale intitolazione sin da quando venne tracciata nel 1865, divenne Via Albania. Notare che il Principe Umberto a cui era intitolata la via non era l'aspirante al trono d'Italia sconfitto dal referendum e morto poi in esilio, bensì colui che divenne Re d'Italia come Umberto I°, visse a lungo a Milano e venne ucciso a Monza da Gaetano Bresci. Per non creare confusione Piazzale Albania al Lorenteggio dovette così cambiare nome e per non scontentare i vicini albanesi il nome fu mutato in Piazza Tirana... Ma l'erraticità dell'Albania non finì qui. Infatti dopo nemmeno 5 anni Via Albania mutò ancora di nome, venendo intitolata, pare definitivamente, a Filippo Turati. Il toponimo Albania sparì così definitivamente dalle mappe milanesi. Negli stessi anni dell'immediato Dopoguerra cambiarono nome molte strade, come detto: Corso del Littorio divenne Corso Giacomo Matteotti, Corso Costanzo Ciano riprese il suo nome originario di Corso dei Plebisciti, allo stesso modo Via Larga tornò a chiamarsì così dopo che dal 1936 al 1946 divenne Via Adua; Piazza Predappio venne rinominata con un toponimo usato sino agli anni 20 per indicare l'area sul retro della prima Stazione Centrale, sita nell'odierna Piazza della Repubblica, Piazza Guglielmo Miani. Via Eliseo Bernini, Legionario di Fiume e Fascista della primissima ora, venne assassinato dai comunisti a Turro e gli venne dedicata una via nel quartiere. Nel Dopoguerra venne ribattezzata Via Popoli Uniti. Vittime del cambio di toponomastica furono anche alcune vie e piazza dedicate ad eventi antecedenti al Ventennio ma comunque ad esso legati: Piazzale della Stazione Centrale diventò nel 1931 Piazza Fiume, per diventare Piazza della Repubblica nel 1946. Via degli Arditi ritornò nel 1946 al suo vecchio nome di Via Cerva, dovuto alla presenza di una osteria con una cerva come simbolo. Clamoroso fu il cambio di nome ad uno dei luoghi più antichi di Milano, Piazza Mercanti, che dal 1935 circa divenne Piazza Giovinezza, così come il tratto nord di Via San Marco venne ribattezzato Via Marcia su Roma! *** Uno dei cambi di nome più rilevanti vista l'importanza delle strade in oggetto fu quello della tratto di strada lungo la Cerchia dei Navigli tra le attuali Piazza Cadorna e Corso di Porta Ticinese. Originariamente il tratto lungo la Cerchia aveva questi nomi partendo da nord: Strada del Foro, Strada di San Gerolamo, Strada del Ponte dei Fabbri, Strada delle Signore Bianche sotto il Muro. Per alcuni secoli i nomi rimasero invariati sino a quando la strada dedicata alle Signore Bianche, per via di un vicino monastero, venne intitolata alla Vittoria per celebrare la sconfitta dell'Imperatore Lodovico per mano dei cittadini milanesi, guidati da Marco Visconti, avvenuta il 13 settembre 1329 proprio all'incrocio tra la Strada delle Signore Bianche e la Strada del Borgo di Cittadella (oggi Corso di Porta Ticinese) Nel 1865 la Via della Vittoria si vide estendere il suo toponimo anche alla Strada del Ponte dei Fabbri, alla Piazza della Vittoria e al Ponte degli Olocati, sino al Ponte di San Vittore. Pochi anni dopo anche la Strada del Foro sparì e prese il nome di Via di San Gerolamo. La Cerchia nel frattempo era stata interrata proprio nel tratto tra il Castello e la metà di Via Vittoria. Nel 1907, subito dopo la morte di Giosuè Carducci, Premio Nobel per la Letteratura, la Via San Gerolamo diventò Via Carducci. Nel 1910 fu il turno di Via Vittoria che diventò Via Edmondo De Amicis, deceduto due anni prima. *** Altra strada erratica di Milano è quella intitolata al matematico ed astronomo Francesco Carlini. Dal 1890 circa la Via Carlini collegava Piazza Andrea Doria (l'attuale Piazza Duca d'Aosta di fronte alla Stazione Centrale) con la sponda destra della via Ponte Seveso, dove allora scorreva l'omonimo torrente. Quasi in contemporanea lungo la Via Carlini e la vicina via Ponte Seveso (oggi Via Fabio Filzi) sorgeva l'industria Pirelli. Quando nel 1932 il Senatore Giovanni Battista Pirelli morì la via dove si trovavano ancora alcune piccole parti dell'azienda (spostatasi nel 1906 alla Bicocca), venne a lui reintitolata dopo pochi anni, come appare già nelle mappe del 1937. La Via Carlini venne così spostata in Cittastudi, una piccola traversa che collegava Via Golgi con Via Via Visconti d'Aragona. Si trovava nei pressi dell'Istituto Nazionale dei Tumori, fondato nel 1925 e che proprio negli anni 30 ebbe un importante sviluppo, tanto che già negli anni '40 la via viene letteralmente inglobata dall'INT e si ritrova come viabilità interna dell'ospedale. Viene così deciso di rispostare l'erratica Via Carlini per la terza volta. Questa volta si arriva nella zona sud-ovest, lungo l'asse del Lorenteggio, precisamente una piccola strada che collega Via D'Alviano con Via Pietro Redaelli. *** Numerose sono le omonimie nella toponomastica di una città vasta come Milano. Alcune di queste danno una ragione al perchè talune strade siano indicate con "nome e cognome" e non solo col "conognome". Abbiamo infatti una Via Melchiorre Gioia perchè esiste una piccola Via Flavio Gioia nella parte sud di Cittastudi. Così come ci sono una Via Enrico Forlanini e una Via Carlo Forlanini, una Via Andrea Ponti, una Via Ettore Ponti e una Via Giò Ponti e per breve tempo, in un momento di caos toponomastico negli anni 80, anche una Piazza Giò Ponti poi rapidamente scomparsa. C'è una conosciutissima Via Alessandro Manzoni e un Vicolo Piero Manzoni dal 1995, mentre è molto più complicata la storia se andiamo ad analizzare i toponimi di coloro che hanno cognomi derivanti dall'aver avuto antenati che esercitarono la professione di fabbri: Via Cardinal Ferrari, Via Gaudenzio Ferrari, Via Giuseppe Ferrari, Piazza Paolo Ferrari, Via Virgilio Ferrari, Via Ercole Ferrario, Via Rosina Ferrario Grugnola, Via Galileo Ferraris, Via della Ferrera, Via Ferreri, Via Ferrero, Via Ferrieri, Via Wolf Ferrari. Un pochino meglio con Via Benigno Crespi, Via Daniele Crespi, Via Gaetano Crespi e Via Pietro Crespi. Ci sono anche strade che eccellono in lunghezza: Via Fratelli Camillo e Giannino Antona Traversi. Viale Barbaro di San Giorgio Ramiro. Via Ambrogio da Fossano detto il Bergognone. Via Andrea Fortebraccio detto Braccio da Montone. Via Paulucci di Calboli Fulcieri. Piazza Emanuele Filiberto di Savoia Duca d'Aosta. Via Vittore Ghislandi detto Fra Galgario. Piazzale Governo Provvisorio di Lombardia. Lorenzo d'Andrea d'Oderigo detto Lorenzo di Credi Piazza Luigi di Savoia Duca degli Abruzzi. Piazzale Martiri della deportazione. Via Tommaso di Cristoforo Fini detto Masolino da Panicale. Via Giacomo Medici del Vascello. Piazza Melozzo di Giuliano degli Ambrosi detto Melozzo da Forlì. Via Pier Francesco Mazzucchelli detto il Morazzone. Via Alessandro Bonvicino, detto Moretto da Brescia. Via Orlando Vittorio Emanuele. Via Paolo Caliari detto il Veronese. Via Piero di Giovanni Bonaccorsi detto Perino del Vaga. Via Piero di Benedetto de' Franceschi detto Piero della Francesca. Via Bernardino Betti detto il Pinturicchio. Via Agnolo Ambrogini detto Poliziano. Piazza della Resistenza Partigiana. Viale delle Rimembranze di Lambrate. Viale delle Rimembranze di Greco. Via Angelo Beolco detto Ruzzante. Largo San Dionigi in Pratocentenaro. Piazza San Giovanni Battista alla Creta. Via San Giovanni Battista de La Salle. Via fratelli Giuliano e Antonio Giamberti detti Sangallo. Piazzale Santorre di Santarosa. Via Santuario del Sacro Cuore. Via Reggimento Savoia Cavalleria. Via Giovanni Battista Salvi detto il Sassoferrato. Piazza Andrea Meldolla detto lo Schiavone. Via Sebastiano Luciani detto del Piombo. Via Quinto Settimio Fiorente detto Tertulliano. Via Andrea di Michele di Francesco di Cione detto Il Verrocchio.
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gregor-samsung · 7 months
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" Abbiamo sempre saputo e sappiamo che l’avanzata delle classi lavoratrici e della democrazia sarà contrastata con tutti i mezzi possibili dai gruppi sociali dominanti e dai loro apparati di potere. E sappiamo, come mostra ancora una volta la tragica esperienza cilena, che questa reazione antidemocratica tende a farsi più violenta e feroce quando le forze popolari cominciano a conquistare le leve fondamentali del potere nello Stato e nella società. Ma quale conclusione dobbiamo trarre da questa consapevolezza? Forse quella, proposta da certi sciagurati, di abbandonare il terreno democratico e unitario per scegliere un’altra strategia fatta di fumisteria, ma della quale è comunque chiarissimo l’esito rapido e inevitabile di un isolamento dell’avanguardia e della sua sconfitta? Noi pensiamo, al contrario, che, se i gruppi sociali dominanti puntano a rompere il quadro democratico, a spaccare in due il paese e a scatenare la violenza reazionaria, questo deve spingerci ancora più a tenere saldamente nelle nostre mani la causa della difesa delle libertà e del progresso democratico, a evitare la divisione verticale del paese e a impegnarci con ancora maggiore decisione, intelligenza e pazienza a isolare i gruppi reazionari e a ricercare ogni possibile intesa e convergenza fra tutte le forze popolari. È vero che neppure l’attuazione coerente di questa linea da parte dell’avanguardia rivoluzionaria esclude l’attacco reazionario aperto. Ma chi può contestare che essa lo rende più difficile e crea comunque le condizioni più favorevoli per respingerlo e stroncarlo sul nascere? "
Brano tratto da Via democratica e violenza reazionaria, articolo di Enrico Berlinguer pubblicato il 5 ottobre 1973 su Rinascita, periodico politico-culturale del Partito Comunista Italiano.
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purpleavenuecupcake · 7 years
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Afghanistan: "Talebani avanzano, italiani in prima linea"
Afghanistan: "Talebani avanzano, italiani in prima linea" Rapporto Milex, spesi 7,5 miliardi di dollari. Situazione “molto critica”. In un Afghanistan dove i talebani sono tutt'altro che sconfitti, ma al contrario guadagnano terreno ogni giorno, è "molto critica" la situazione anche nell'ovest del Paese dove sono schierati i militari italiani: i quali, per fronteggiare l'"insorgenza", sono "tornati in prima linea". È quanto si legge nel rapporto "Afghanistan, sedici anni dopo", redatto dall'Osservatorio Milex, che si occupa soprattutto di spese militari. E quelle sostenute dai vari Paesi per la guerra in Afghanistan ammontano finora a 900 miliardi di dollari, di cui 7,5 li ha sborsati l'Italia. In un anno, dal novembre 2015 al novembre 2016, la percentuale di territorio strappato o conteso dai talebani al governo di Kabul sarebbe passata dal 28 al 43 per cento. Diversi distretti sono stati riconquistati anche nelle quattro province occidentali sotto il controllo del comando militare italiano, quelle di Farah, Badghis, Herat e Ghor, dove si continua a combattere. E la risposta dei soldati italiani, "ordinata dalla Nato - scrive Milex - è stata il ritorno in prima linea, a tre anni dal ripiegamento nella base di Herat". E dunque, "dall' inizio del 2017, piccoli contingenti denominati “Expeditionary Advisory Package” sono tornati al fronte, non per combattere ma per supportare in loco (non più da remoto come avvenuto negli ultimi anni) le contro-offensive dell'Esercito afgano. A queste attività prendono parte anche forze speciali (i Rangers del 4º Alpini a supporto dei commandos afgani) ed elicotteri da attacco A-129 Mangusta, a protezione del personale italiano". Gli italiani - si legge ancora nel rapporto - sono attualmente un migliaio e costituiscono il secondo contingente straniero, dopo quello americano. Costo di quella che viene definita "la piu' lunga e cara campagna militare della storia d'Italia", dal novembre 2001 e tenendo conto solo delle "spese ufficiali", 7 miliardi e mezzo di dollari, su un totale di 900 dell'intera coalizione internazionale e "a fronte di 260 milioni investiti in iniziative di cooperazione civile". Alto il numero delle vittime civili del conflitto: circa 35.000, secondo un dato "molto sottostimato" e che non tiene conto delle "vittime indirette, dovute alle precarie condizioni di vita legate al conflitto" calcolate in 360 mila dalla Brown University americana. Secondo la missione Onu Unama "negli ultimi sette anni (2009-2016) è triplicato il numero dei bambini rimasti uccisi e sestuplicato quello dei bambini feriti". Il rapporto Milex contesta, poi, i progressi che sarebbero stati fatti dalla popolazione nei 16 anni di presenza delle truppe straniere: "a parte un lieve calo delll'analfabetismo (dal 68% al 62%) e un modestissimo miglioramento della condizione femminile (limitato alle aree urbane maggiori)", l'Afganistan "ha ancora oggi il tasso più elevato al mondo di mortalità infantile, tra le più basse aspettative di vita del pianeta ed è ancora uno dei Paesi più poveri e corrotti del mondo". Il business della droga "dal 2001 è rifiorito" ed il fatto che da questo Paese la gente vuole scappare lo dimostra il fatto che "tra i richiedenti asilo in Europa negli ultimi anni, gli afgani sono i più numerosi dopo i siriani". "Se la soluzione militare di una sconfitta dei talebani appare ormai poco realistica, si fa sempre più strada negli ambienti diplomatici internazionali la convinzione che essi vadano considerati come imprescindibili interlocutori per la pacificazione del Paese", osserva Milex, secondo cui "l'alternativa al dialogo con i talebani e alla loro inclusione in un governo federale e multietnico (accompagnato dal ritiro delle truppe Usa e Nato) è solo il prolungamento indefinito di una guerra sanguinosa che nessuno ha la forza di vincere che sprofonderà l'Afghanistan in una situazione di caos e instabilità sempre maggiori". Foto: askanews Read the full article
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personal-reporter · 9 months
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La leggenda della Sacra di San Michele
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La Sacra di San Michele è un'abbazia medievale che si trova sul Monte Pirchiriano, in Piemonte. È uno dei monumenti più famosi della regione e Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO. La Sacra di San Michele è stata costruita nel IX secolo e fu un importante centro di culto per secoli. Oggi è una delle mete turistiche più visitate del Piemonte. La leggenda della Sacra di San Michele narra che l'arcangelo Michele apparve al vescovo di Torino, Sant'Eusebio, e gli ordinò di costruire un santuario sul Monte Pirchiriano. Il vescovo obbedì e il santuario fu costruito. La leggenda narra anche che l'arcangelo Michele si sarebbe manifestato più volte sul monte, e che avrebbe compiuto molti miracoli. La Sacra di San Michele è un luogo ricco di storia e di leggenda. È un luogo che ha affascinato e continua ad affascinare le persone di tutto il mondo. La storia La Sacra di San Michele è stata costruita nel IX secolo dal vescovo di Torino, Sant'Eusebio. Il vescovo obbedì a un ordine dell'arcangelo Michele, che gli era apparso in sogno. L'arcangelo Michele ordinò al vescovo di costruire un santuario sul Monte Pirchiriano, una montagna che si trova a circa 900 metri di altezza. Il santuario fu costruito in un luogo strategico, sulla cima di una montagna che dominava la Valle di Susa. La Valle di Susa era una strada importante per i pellegrini che si recavano in Terra Santa. Il santuario divenne presto un importante centro di culto e di pellegrinaggio. Nel XII secolo il santuario fu ricostruito in stile romanico. Nel XIII secolo fu costruito il campanile, che è uno dei più alti d'Italia. Nel XIV secolo il santuario fu danneggiato da un terremoto, ma fu poi restaurato. Nel XVI secolo il santuario fu abbandonato dai monaci benedettini. Nel XVII secolo il santuario fu rioccupato dai monaci rosminiani, che lo restaurarono e lo ampliarono. Oggi la Sacra di San Michele è un importante monumento storico e un luogo di culto. È uno dei monumenti più visitati del Piemonte e Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO. La leggenda La leggenda della Sacra di San Michele narra che l'arcangelo Michele apparve al vescovo di Torino, Sant'Eusebio, e gli ordinò di costruire un santuario sul Monte Pirchiriano. Il vescovo obbedì e il santuario fu costruito. La leggenda narra anche che l'arcangelo Michele si sarebbe manifestato più volte sul monte, e che avrebbe compiuto molti miracoli. Una delle leggende più famose narra di una giovane donna di nome Alda che fu salvata dall'arcangelo Michele. Alda era una ragazza molto bella e gentile, e viveva nella Valle di Susa. Un giorno, Alda fu inseguita da un gruppo di soldati che volevano violentarla. Alda si rifugiò nel santuario di San Michele, e l'arcangelo Michele apparve e la salvò. L'arcangelo Michele scacciò i soldati e portò Alda in cielo. La leggenda di Alda è una storia di amore, di fede e di speranza. È una storia che ha affascinato e continua ad affascinare le persone di tutto il mondo. La Sacra di San Michele oggi La Sacra di San Michele è un luogo ricco di storia e di leggenda. È un luogo che ha affascinato e continua ad affascinare le persone di tutto il mondo. Oggi la Sacra di San Michele è un importante monumento storico e un luogo di culto. È uno dei monumenti più visitati del Piemonte e Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO. La Sacra di San Michele è un luogo che offre molto ai visitatori. È un luogo dove si può conoscere la storia, la cultura e la religione del Piemonte, dove si può ammirare la bellezza della natura e godere di un panorama mozzafiato, dove si può trovare la pace e la tranquillità. Se siete in Piemonte, non perdete l'occasione di visitare la Sacra di San Michele. È un luogo che vi lascerà senza fiato. Fonti - La Sacra di San Michele: storia, leggenda e culto di un santuario millenario, di Gian Paolo Zaccone - La Sacra di San Michele: una storia millenaria, di Davide Canavese - La Sacra di San Michele: un luogo di culto e di pellegrinaggio, di Pier Giorgio Gentile Read the full article
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IL ‘900 - di Gianpiero Menniti
«Quando leggiamo “ministro senza portafoglio”, ci viene sempre un dubbio. Che glielo abbia rubato qualche collega?» 
  - Indro Montanelli, Controcorrente del 4 dicembre 1982 -
Il 22 aprile del 1909 nasceva Indro Montanelli.  Maestro d'indipendenza e di coraggio civile, ha avuto un solo padrone: il lettore. Lo ha rispettato senza mai adularlo.  Nell’unico modo possibile: facendo uso di quella sintassi fluida, comprensibile e lineare, dettata dalla sincerità di pensiero. Nemico giurato dell’accademismo e dell’ipocrisia salottiera. Scrisse, tra le innumerevoli cose, una monumentale “Storia d'Italia”, facendo perno su un linguaggio agevole e diretto.  Per farsi capire e per far capire anche al lettore sprovveduto. Testimone ironico, rigoroso e disincantato di un ‘900 vissuto intensamente.  Appassionato italiano, ha raccontato il Paese con la disperata coscienza di un innamorato deluso. Eppure, con lo sguardo ardente d’infatuata speranza per un popolo senza memoria. Sempre in buona fede e sempre “stecca nel coro” per vocazione professionale: è l'etica più profonda e difficile del giornalista. Lo sapeva.  Ed ebbe a dire: «La mia eredità? Sono io». Aveva ragione. Tra le sue fragilità un'antica forma di depressione che lo costringeva a lunghi momenti d'isolamento.  Il male di vivere che si sconta vivendo.  Scomparve nel 2001, il 22 del mese di luglio. Un passo fuori dal “suo” tempo. Ricordava una frase di Sainte-Beuve:   «Resta giudizioso e chiaroveggente fin nelle tue debolezze e, se non dirai tutto il vero, non dire mai il falso.  Che la stanchezza non ti prenda mai, non ritenere mai di essere arrivato.  Nell'età in cui gli altri riposano o rallentano, raddoppia di coraggio e di ardore; ricomincia come un principiante, corri una seconda e una terza corsa, fa’ che la verità stessa si avvantaggi della perdita delle tue illusioni.» Aggiungendo di suo:  «Non so se ci sono riuscito, nel bene o nel male ho sempre tentato di vivere così».
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tarditardi · 7 years
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Al Siren Festival a Vasto, in luoghi splendidi come Porta San Pietro e Giadino d’Avalos, prende vita Siren Festival (Sirenfest.com): un sacco di elettronica e rock di qualità - ingresso una sera 40 euro, abbonamento 60. Tutto di qualità, chic e da non perdere. 
VENERDI 28 LUGLIO
– Baustelle, Apparat, Allah-Las, Cabaret Voltaire, Ghali, Jenny Hval, Giorgio Poi,
Emidio Clementi/Corrado Nuccini, Andrea Laszlo De SImone, Francobollo, Colombre
SABATO 29 LUGLIO
– Trentemoller, Ghostpoet, Arab Strap, Carl Brave x Franco126, Noga Erez, Daniel Miller,
Populous, Lucy Rose, Gazzelle, Gomma, Zooey
Sotto le bio di alcuni degli artisti coinvolti
ANDREA LASZLO DE SIMONE Andrea Laszlo De Simone è un'anomalia.È un solista, prima di tutto. Ma è anche una band di sei elementi.È un cantautore, ma cosa significa nel 2017 essere un cantautore?"Uomo Donna", il suo primo vero e proprio album, uscirà il prossimo 9 giugno per 42 Records, anticipato dai singoli "Uomo Donna", "Vieni a Salvarmi" e "La guerra dei baci", tutti e tre anticipati da tre videoclip particolarissimi ed evocativi seppur nella loro semplicità. "Uomo Donna" è un disco particolarissimo e che vive di contrasti: c'è la canzone d'autore italiana, appunto, e la psichedelia, Battisti e i Radiohead, i Verdena e Modugno, l'influenza di quella che negli anni '70 veniva chiamata Library music e un tocco post-moderno che lo rende nuovo anche nel suo essere volutamente classico.
COLOMBRE
Pulviscolo
è il primo album di Colombre, progetto che inaugura l’esperienza da solista di Giovanni Imparato – già voce, chitarra e autore dei brani della band indie-pop Chewingum eco-produttore del disco Sassi di Maria Antonietta – uscito il 17 marzo per l’etichetta Bravo Dischi. 25 minuti e 36 secondi, 8 tracce dai titoli brevissimi (1, massimo 2 parole) per unalbum che ti conquista immediatamente. Pochi attimi dal primo ascolto e subito ti viene voglia di cantare insieme a Colombre.Nella prima settimana di uscita il secondo singolo "Blatte" feat. IOSONOUNCANE è entrato nella top 10 della Viral50 di Spotify e Colombre è subito schizzato al primo posto della Social Indiex,la classifica degli artisti indipendenti che creano più engagement sui social network.Il nome Colombre è un omaggio al racconto di Dino Buzzati (Il Colombre), una favola moderna – protagonisti un marinaio e un mostro marino – che parla dell’incapacità di affrontare le proprie paure, di tuffarsi nelle ignote profondità del mare per scoprire cosa ci lega all’immobilità. Ed è proprio l’immobilità ciò da cui fugge Imparato/Colombre che in queste 8 tracce mette a fuoco alcuni episodi significativi della propria storia recente, vuota il sacco e decide di aprirsi al futuro.
FRANCOBOLLO
Distorto, infantile, energico, malizioso. I Francobollo sono tutto quello che si è sempre desiderato per Natale, ma che non si ha mai avuto il coraggio di chiedere. I membri della band, che si sono conosciuti a scuola a Lund, in Svezia, hanno suonato e registrato prima di fondare la band per gruppi come Slow Club, LA Salami e Mystery Jets.  Ugualmente a loro agio nei minuscoli club come nei più grandi festival, i Francobollo sono stati capaci di conquistare  con incredibile facilità un vasto pubblico grazie alla loro potenza live. Il produttore Charlie Andrew, vincitore di un Mercury Prize e di un Brit Award, è rimasto talmente colpito dopo un concerto da proporre alla band di inaugurare la sua etichetta Square Leg Records. E’ nato così 'Long Live Life' - l'album di debutto di Francobollo, che sarà pubblicato il 14 luglio,  proprio con l'obiettivo di creare un lavoro capace di catturare e trasmettere l’energia incontenibile dei loro live.
Acclamati da NME, DIY, Clash Magazine, Line of Best Fit e numerosi altri media non c’è dubbio che nei prossimi mesi ne sentiremo molto parlare!
GAZZELLEOcchiali da sole, occhiaie da solo. Zenzero e zucchero filato. Con la felpa sporca della sera prima. Gazzelle è di Roma e Superbattito è il suo disco di esordio. Un disco ammiccante e catchy. Sexy pop.Prodotto per Maciste Dischi da Igor Pardini e Flavio Pardini presso Il Cubo Rosso Recording di Roma, con la supervisione artistica di Leo Pari. Masterizzato da Andrea Suriani presso l’Alpha dept. studio di Bologna
GIORGIO POIIl suo disco d’esordio “
Fa Niente”
uscito nel febbraio 2017 per Bomba Dischi/ Universal non smette di raccogliere entusiasmanti riscontri testimoniati non soltanto dalle innumerevoli uscite sulla stampa specializzata e sul web ma soprattutto da un crescente seguito di spettatori durante il suo primo giro di concerti.             Ora Giorgio Poi è pronto per affrontare una lunga e calda estate live in giro per l’Italia. Con Matteo Domenichelli al basso e Francesco Aprili alla batteria, compone un infallibile trio di musicisti che sa catturare il pubblico con maestria, in un continuo andirivieni tra la forma canzone e l’esplorazione del suono.
GOMMAGomma sono Ilaria, Giovanni, Matteo e Paolo e suonano un post-punk cupo ed emotivo, ricco di suggestioni nineties. Nascono in provincia di Caserta a inizio 2016 e in pochi mesi registrano e pubblicano un disco:
Toska
, il risultato delle loro vite e delle loro contaminazioni musicali, cinematografiche e letterarie. Un esordio che vuole offrire un punto di vista genuino e istintivo sul mal d'essere contemporaneo elargendo storie da periferia dell'anima e che li ha catapultati su alcuni dei palchi più importanti d'Italia, affascinando pubblico e critica. Toska è l'album d'esordio dei GOMMA uscito il 17 gennaio 2017 per V4V-Records in collaborazione con Controcanti.
LUCY ROSE
Giardino D'Avalos
Lucy Rose arriva in Italia per presentare il suo nuovo album Something’s Changing.
Something’s Changing uscirà il 14 luglio su Communion Records/Caroline. L’album sarà accompagnato da un breve documentario che racconta il tour dell’anno scorso di debutto in America Latina. Il viaggio, organizzato in maniera indipendente da Lucy con l’aiuto dei sui fan sudamericani, è stato di grande ispirazione per l’album, e il film è un racconto intimo di come tutto è successo. Navigando sulle intuizioni dei suoi viaggi, Lucy si è posta l’obiettivo di fare il terzo album in modo dolce e, attraverso l’amico di un amico, è entrata in contatto con il produttore di Brighton Tim Bidwell, e nel suo studio casalingo ha trovato il luogo ideale per esplorare la sua intimità e tirar fuori delle nuove canzoni.
L’album è stato fatto in diciassette giorni. I maggiori contributi sono stati dati dal bassista di Tim, Ben Daniels, dal batterista Chris Boot, e dagli ospiti Elena Tonra dei Daughter, Marcus Hamblett dei Bear’s Den e Emma Gatrill dei Matthew and The Atlas.
POPULOUSDopo ‘Night Safari’, disco che ha definitivamente consacrato Populous come uno degli artisti e producer più interessanti a livello internazionale,ora arriva
‘Azulejos’
, nuova avventura elettronica di Populous in uscita il 9 giugno per La Tempesta (in Italia) e per Wonderwheel Recordings (nel resto del mondo).L’album è stato interamente composto a Lisbona ed è la sintesi del nuovo viaggio sonoro di Populous, un ponte ideale fra i ritmi sensuali della cumbia sudamericana e l’elettronica europea.Mixato da Jo Ferliga degli Aucan il disco vanta anche un featuring con Nina Miranda degli Smoke City.Andrea Mangia aka Populous e` un producer e dj salentino che ha esordito nel 2003 sulla berlinese Morr Music.Autore di jingle televisivi e colonne sonore, sound designer per il web, musei e sfilate di moda. Ha lavorato per Imperial, IKEA, Vogue, Vivienne Westwood, Carhartt, Nissan, Wired, Skoda etc.Ha prodotto e collaborato, tra gli altri, con Teebs, Clap! Clap!, Dj Khalab, Blue Hawaii, Lukid, John Wizards, Simon Scott/Slowdive, Sun Glitters, Larry Gus, Giardini Di Miro`.Nel 2010 vince il “Premio 2061 - La musica elettronica italiana del futuro”.Nel 2014 pubblica “Night Safari”ottenendo  consensi unanimi da parte di critica e pubblico (con brani regolarmente trasmessi da radio cult come NTS, KEXP, Le Mellotron).Nel 2016 vince il premio di “Miglior artista” all’Italian Quality Music Festivals.
EMIDIO CLEMENTI/CORRADO NUCCINI- QUATTRO QUARTETTI
Giardino D'Avalos
Ci vuole coraggio a decidere di prendere un classico letterario del ‘900 - i “Quattro Quartetti” del poeta e critico letterario statunitense T.S. Eliot - e reinterpretarlo in maniera completamente inedita. Negli anni sono tantissimi gli autori che hanno provato a rielaborarlo e altrettanti sono gli attori che ne hanno fornito una loro interpretazione, ma nessuno aveva provato a fondere l’elemento ritmico già presente nelle parola di Eliot con un tessuto musicale inedito, composto per l’occasione e che prova a far convivere trame sonore vicine alla musica ambient con suggestioni etniche e improvvise impennate chitarristiche. Un lavoro che è a sua volta un vero e proprio disco che ha senso anche come opera a sé pure per chi non possiede alcuna confidenza con il poema di Eliot, qui declamato alla perfezione da Emidio Clementi su una traduzione Garzanti del 1994.Emidio Clementi e Corrado Nuccini sono due figure cardine della musica italiana. Il primo ha attraversato da protagonista tre decenni con il suo lavoro con i Massimo Volume, El Muniria e Sorge. Ha scritto tre romanzi (La notte del pratello, L’ultimo dio e Matilde e i suoi tre padri). Insegna scrittura creativa all’Accademia delle Belle Arti di Bologna. Corrado Nuccini è uno dei fondatori dei Giardini di Mirò vera e propria colonna della musica indipendente italiana, molto apprezzata anche al di fuori dei confini nazionali e i suoi progetti collaterali - Nuccini e Vessel - hanno avuto ottimi riscontri di pubblico e critica. L’album di questo progetto è stato pubblicato a marzo da 42 Records.
ZOOEYIl duo di Bordeaux residente a Londra, composto da Matthieu Beck e Marie Merlet, ha pubblicato il bellissimo debutto The Drifters. Un lavoro  che si muove tra echi di Stereolab, Beach House  Brian Wilson, e rimandi al Bill Callahan periodo Smog (c’è una cover del buon Callahan, Let’s Move To The Country). Una miscela di pop sognante e soft, con pennelllate elettroniche leggere, tocchi di tropicalismo anni ’60 e echi di persian disco. Un esordio brillante di cui sentiremo parlare!
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arotimeloni · 7 years
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Questo pomeriggio strane creature e spiriti fiabeschi ci hanno accompagnato in un bosco magico e surreale,quello di @pontecardona che attraverso un sentiero tra la natura ci riporta indietro nel tempo,fino all'epoca romana,qui infatti passava l'antico acquedotto romano della Formina che,fatto costruire dall'imperatore Cocceio Nerva nel I secolo dopo Cristo,ha rifornito di acqua la città di Narni fino ai primi anni del '900. In prossimità del ponte poi cade il centro geografico d'Italia che grazie al lavoro di alcuni volontari sta tornando a risplendere. Il centro non poteva trovarsi in un posto migliore,tra il verde unico della macchia mediterranea,in un luogo ricco di storia e tra persone orgogliose del territorio in cui vivono,consapevoli che difendere il proprio patrimonio culturale è l'unico modo per crescere. La bellezza di questo posto e la storia che si sviluppano intorno ad esso lo confermano il centro della nostra stupenda penisola. (at Ponte Cardona Centro D'italia)
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gregor-samsung · 1 year
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“ Sarebbe pazzesco da parte nostra collocare le Brigate rosse in una sfera di autonoma e autarchica purezza rivoluzionaria che si illuda di muovere le masse a far saltare le strutture politiche che le contengono; e sarebbe ancor più pazzesco che loro vi si collocassero. La loro ragion d’essere, la loro funzione, il loro «servizio» stanno esclusivamente nello spostare dei rapporti di forza: e delle forze che già ci sono. E di spostarli non di molto, bisogna aggiungere. Di spostarli nel senso di quel «cambiar tutto per non cambiar nulla» che il principe di Lampedusa assume come costante della storia siciliana e che si può oggi assumere come costante della storia italiana. Operazione di puro potere, dunque; che si può soltanto svolgere in quell’area interpartitica in cui, al riparo dai venti ideologici, il potere ormai vive. Non si vuole con ciò escludere che l’esistenza delle Brigate rosse sia appunto «pazzesca»: ma quando dalla pazzia comincia ad affiorare un metodo, è bene diffidarne: come Polonio di quella di Amleto (ma non ne diffidò abbastanza: e così non sia di noi). E il metodo è proprio dall’affaire Moro che comincia ad affiorare. Che quella delle Brigate rosse sia una follia non priva di metodo, tutti lo dicevano e lo dicono. Ma è dalla vicenda di Moro, e attraverso le sue lettere, che si comincia a intravederne il disegno. Come Polonio, Moro, prigioniero e condannato a morte, ha cercato e poi seguito il filo del metodo in quello che dapprima gli sarà parso un labirinto di follia. E già nella prima lettera a Zaccagnini si ha l’impressione che ne abbia scoperto il capo, quando dice: il Partito Comunista «non può dimenticare che il mio drammatico prelevamento è avvenuto mentre si andava alla Camera per la consacrazione del Governo che m’ero tanto adoperato a costruire». E nella seconda: «Il Governo è in piedi e questa è la riconoscenza che mi viene tributata… Ricorda in questo momento – deve essere un motivo pungente di riflessione per te – la tua straordinaria insistenza e quella degli amici che avevi a tal fine incaricato – la tua insistenza per avermi Presidente del Consiglio nazionale (del partito), per avermi partecipe e corresponsabile nella fase nuova che si apriva e che si profilava difficilissima». Ed è da notare come, al tempo stesso che si considera così atrocemente ripagato dal governo che si era tanto adoperato a costruire, da quella operazione, da quella «fase nuova», tenda a prendere distanza: non artefice, ma «partecipe»; non responsabile, ma «corresponsabile». Il punto di consistenza del dramma, la ragione per cui a Moro si deve in riconoscimento (in «riconoscenza») la morte sta appunto in questo: che è stato l’artefice del ritorno, dopo trent’anni, del Partito Comunista nella maggioranza di governo. E le Brigate rosse non solo gliene fanno esplicita imputazione nei loro comunicati, ma ne danno con funebre ardimento la solenne e simbolica rappresentazione facendo ritrovare il suo corpo tra via delle Botteghe Oscure, dove ha sede il Partito Comunista Italiano, e piazza del Gesù, dove ha sede la Democrazia Cristiana “
Leonardo Sciascia, L'affaire Moro - con aggiunta la Relazione Parlamentare, Adelphi (collana Piccola Biblioteca Adelphi n° 332), 2012¹⁴ ; pp. 138-140.
[1ª edizione: Sellerio, 1978]
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