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#Israele stato razzista
marcogiovenale · 4 months
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non in nostro nome. lettera aperta al presidente sergio mattarella
Signor Presidente, noi sottoscritti cittadini e cittadine Suoi connazionali, impegnati nel mondo della cultura, dell’insegnamento, dell’associazionismo, ci permettiamo di ricordarLe la situazione in atto in Palestina: circa 30.000 vittime civili a Gaza, senza contare i presumibili 10.000 sotto le macerie. 70.000 feriti che non possono essere adeguatamente curati in ospedali distrutti da…
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Othman al-Libi in precedenza Amir Menashe (7 ottobre 1988) è un poliziotto presso la polizia di Tripoli mentre in precedenza era un poliziotto presso Israel Border Police mentre e un soldato israeliano nel ruolo di colonnello presso l'IDF e ha origini dalla Libia.
È attualmente single
Breve biografia
Amir Menashe nasce il 7 ottobre 1988 aTel Aviv in Israele da una famiglia ebraica libica che aveva anche un antenato arabo attraverso Hassan Ibn Alì, nipote del profeta islamico Muhammad e poi i suoi nonni si  uniscono all'organizzazione  terroristica Irgun, suoi genitori invece vissero in Israele e presero parte dell'IDF come militari per un breve periodo per poi scegliere il loro lavoro che piaceva tuttavia furono sempre discriminati dagli ebrei bianchi che li chiamavano "arabi" a causa del fatto che assomigliavano agli arabi fisicamente.
Amir subisce il bullismo nella sua infanzia perché non assomigliava agli ebrei bianchi askhenazi e si diploma nell'università di Tel Aviv nell'economia e si unisce nell'IDF (Israel Defense Force) come militare all'età di 18 anni e gli fu insegnato anche l'arabo avendo somiglianza fisica agli arabi.
Nel 2013, Amir si trasferisce nella città Kafr Qasim dove abita anche una piccola popolazione araba e ottiene il ruolo di colonnello.
Nel 2023, Amir fu mandato al confine per sorvegliare se arrivano pericoli di Hamas e accettò un alleanza con il neo fascista Felix Foster ma continuò a trattare quest'ultimo con diffidenza sia perché assomiglia fisicamente colui che aveva tentato di rapire e uccidere suoi nonni quindi non sarà mai affidabile per gli ebrei libici riguardo la protezione perché sa che non lo farà e sia perché supporta un partito che non gli piace per niente ed è razzista come il Likud.
Amir continuò ad avere un pessimo rapporto con il suo collega Jacopo Levi essendo un razzista di pelle bianca che continua ad offenderlo e discriminarlo per il suo colore della pelle e perché sembra un arabo.
Il 5 marzo, Amir termina il suo servizio militare presso l'IDF e inizia a lavorare come poliziotto presso Israel Border Police, nello stesso giorno fece un accordo con il suo alleato Felix Foster per questioni di sicurezza e se nota terroristi palestinesi attraversare la Libia.
Il 13 marzo, Amir si allea con l'ex leader tedesco Adolf Hitler ma solo su questioni di sicurezza e antiterrorismo.
Il 6 aprile, Amir si pente dopo aver visto le cattiverie di Abu Qasim Muhammad ed Ephraim Werner in Palestina che avevano strappato i diritti umani ai cristiani e arabi facendoli uccidere in modo atroce e persecutorio e venne lincenziato dalla polizia israeliana Israel Border Police perché non stava obbedendo nessun ordine e si stava ribellando, lui lascia il sionismo e l'ebraismo perché era stato ingannato dal fatto che Abu Qasim Muhammad ed Ephraim Werner fossero stati tolleranti ma non fu così e fuggì a Tripoli in Libia dove si converte all'Islam e inizia a servire la religione di Ismaele, l'unico vero Dio ed egli brucia i libri communisti,il Talmud e tutto ciò che riguarda l'ebraismo e inizia a parlare solo arabo e confessa che il sionismo lo aveva anche discriminato fisicamente perché assomiglia gli arabi nonostante lui ammette di appartenere al suo antenato Esaù e non è un discedente di Giacobbe.
Personalità:
Essere Bilancia ascendente Pesci significa avere predilezione per il lusso e le belle cose della vita. Dolce e gentile fino all'estremo, è incapace a dire di no. Il difetto maggiore, a parte la tendenza a eccedere nel mangiare e bere, sono le sue incertezze che lo rendono titubante nel prendere le proprie decisioni. Tra tutti i Bilancia, è molto probabilmente il più indeciso, e quando si trova di fronte a un bivio, oscilla come una foglia al vento. A volte capita che gli altri devono prendere una decisione al posto suo prima che sia troppo tardi.
Sentimentalmente, l'amore e l'empatia sono essenziali per le persone che presentano questo tema astrologico alla nascita, per cui sembrano sbocciare una volta che hanno incontrato la loro anima gemella. Per paura di rimanere soli tendono a fare amicizia alquanto velocemente, ma a volte con le persone sbagliate.
Informazioni:
Luogo di nascita: Tel Aviv,Israele
Luogo di residenza: Tripoli,Libia
Data di nascita: 7 ottobre 1988
Nazionalità: Libico
Etnia: Libico indigeno
Tribù: Esaù,Edom,Farisei,Khazaria e Quraysh
Professione attuale: Polizia di Tripoli
Professione in precedenza:
-Colonnello presso Israel Defense Force (2006-2023)
-Poliziotto presso Israel Border Police (2023)
-Poliziotto presso Polizia di Tripoli (2023-in corso)
Segno zodiacale: Bilancia
Partito politico che vota: Lybian Democratic party e Partito Nazionale Fascista
Religione:
-Ebreo ortodosso (1988-2023)
-Musulmano sunnita (2023-in corso)
Lingue: Arabo
Orientamento sessuale: Eterosessuale
Parenti:
Omar Menashe (nonno,deceduto)
Rachele El-Baz (nonna,deceduta)
Yusufu Menashe (padre)
Zubayda Amar (madre)
Prestavolto:
Barel Shmueli
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soldan56 · 2 years
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Anche durante il funerale continua l'oltraggio dei sodati israeliani IDF che strappano le bandiere dal carro funebre. #ShireenAbuAkleh Israele stato criminale e razzista.
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wolfman75 · 4 days
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«Un’apocalisse di corpi, ragazze denudate, mutilate». Abbiamo letto il rapporto Silent Cry / Grida dal silenzio. Crimini sessuali nella Guerra del 7 Ottobre a cura della Association of Rape Crisis Centers in Israel. Lo abbiamo letto con fatica e orrore: in esso sono riportate, crude e asciutte, le descrizioni esplicite rilasciate da decine di sopravvissuti, soccorritori, testimoni oculari degli stupri, delle torture, delle mutilazioni inferte alle vittime e degli omicidi compiuti da Hamas il 7 ottobre. Vittime, cioè madri e figlie, donne fatte a pezzi dallo stupro di massa dei terroristi.
A cinque mesi dal massacro di 1.200 persone e dal rapimento di altre 254 (cittadini israeliani e stranieri – donne, uomini, bambini, neonati e anziani portati nella Striscia di Gaza) oggi, vigilia dell’8 marzo e delle celebrazioni delle conquiste e dei diritti della donna, molte esponenti del mondo della cultura, della politica, delle istituzioni, del femminismo parteciperanno alla maratona oratoria organizzata dall’associazione Setteottobre a Roma per chiedere alle organizzazioni internazionali di riconoscere come femminicidio e stupro di guerra di massa le violenze commesse quel sabato nero su centinaia di israeliane.
Nessuno ha manifestato per loro. Nei giorni seguenti la mattanza, il grido delle femministe israeliane che pure da una vita combattono per i diritti delle donne di Gaza (Tempi ne aveva parlato qui e qui aveva raccontato la condizione delle donne sotto Hamas) è stato accolto da silenzio, minimizzazione quando non evasione e manipolazione dei fatti. Donne come Allison Kaplan Sommer, che ha lavorato dodici anni nella commissione delle Nazioni Unite contro ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne, si sono sentite completamente tradite «dalle organizzazioni dei diritti delle donne con cui ho lavorato per anni che hanno fallito nel condannare – o perfino nel riconoscere – lo stupro, il rapimento e altre atrocità commesse da Hamas il 7 ottobre».
Il suo podcast era stato rilanciato da Haaretz, il giornale della sinistra israeliana più citato quando c’è da attaccare Israele ma non quando le sue donne chiedono aiuto: «Oltretutto, i crimini, diversamente dalle violenze sessuali dei precedenti conflitti, erano stati filmati dai terroristi di Hamas e trasmessi sui social, così che l’orrore era subito emerso». Solo allora Un Women aveva cancellato un post sul massacro in cui si condannava la violenza ma senza nominare Hamas. Condanna che dall’ente delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere non è mai arrivata. E nemmeno dalle “sorelle” femministe e transfemministe che in risposta al 7 ottobre erano scese in piazza contro la potenza di Israele «colonialista e razzista tesa a cancellare il popolo palestinese». Ospite del programma di dibattito politico Paroles d’Honneur in Francia Judith Butler ha definito il 7 ottobre «un atto di resistenza armata» contro Israele.
Oggi l’Onu ammette che ci sono prove degli stupri commessi da Hamas, che ci sono «motivi ragionevoli» per ritenere che i terroristi abbiano commesso «torture a sfondo sessuale» e riservato altri «trattamenti crudeli e inumani» alle donne durante l’attacco. Ci sono anche «fondati motivi per credere che tale violenza possa ancora essere in corso», ha detto Pramila Patten, rappresentante speciale del segretario generale dell’Onu per la violenza sessuale in guerra inviata in Israele e Cisgiordania dal 29 gennaio al 14 febbraio. Il suo team, che non ha fatto sconti nemmeno al trattamento riservato dagli israeliani ai prigionieri palestinesi, ha raccolto le testimonianze degli ostaggi rilasciati e dai riscontri effettuati l’Onu si dice in possesso di «informazioni chiare e convincenti» che donne e bambini siano state sottoposte a stupri e torture e che gli abusi potrebbero proseguire sugli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.
La delegazione ha confermato le violenze in tre luoghi: nell’area del festival musicale Supernova, lungo la strada statale 232 che collega Gaza ai kibbutz, e al kibbutz Re’im. Il rapporto è naturalmente parziale e ammette che nei kibbutz Kfar Aza e Be’eri il ritrovamento, tra troppi cadaveri carbonizzati, di tutte quelle donne «svestite, legate e uccise» farebbe pensare a violenze e torture nonostante i primi soccorritori si siano dedicati a salvare i superstiti e non a raccogliere prove. Il Centro di Patologia Forense di Shura, base militare vicina a Tel Aviv, lo ha ribadito più volte: identificare i corpi delle famiglie trucidate a Kfar Aza e Be’eri in molti casi ha richiesto settimane.
Il 21 febbraio l’associazione dei centri antistupro d’Israele consegnava però alle Nazioni Unite un plico di circa 40 pagine. Bisogna leggerlo per provare disgusto e pietà per quanti in questi mesi si sono dedicati a distinguo partigiani o bollato l’inchiesta del New York Times, durata due mesi e dedicata proprio agli stupri del 7 ottobre, «propaganda filoisraeliana», «accozzaglia di testimonianze, non di prove», tentativo di «disumanizzare il nemico». Il rapporto dimostra chiaramente che non si è trattato di violenze casuali, isolate o sporadiche, ma di stupri frutto di una chiara strategia operativa. I modelli di “azione“ sono stati ripetuti, identici, in ciascuna delle zone di attacco: il festival Supernova, le case private nei kibbutz in prossimità di Gaza, e pure nelle basi dell’esercito israeliano. Le violenze si sono consumate anche durante il rapimento di 254 persone nella Striscia.
Molti degli stupri, subiti da donne ferite da armi da fuoco e coltelli, sono stati compiuti in gruppo, con la violenta partecipazione dei terroristi. Spesso lo stupro è stato perpetrato davanti a dei testimoni – mariti, familiari o amici – così da moltiplicare il dolore e l’umiliazione delle vittime e di chi voleva loro bene. Così al festival Supernova, dove i terroristi hanno dato la caccia a giovani ragazze e ragazzi in fuga, trascinandole per i capelli, uccidendo le vittime dopo o perfino durante lo stupro.
Numerose e diverse testimonianze danno conto delle stesse pratiche sadiche usate dai terroristi. Qui è d’obbligo l’avviso ai lettori più impressionabili di non proseguire nella lettura dell’articolo. Molti dei corpi delle vittime di crimini sessuali sono stati trovati infatti legati, i genitali brutalmente mutilati da coltelli e colpi d’arma da fuoco, in alcuni casi dall’inserimento di armi. I terroristi non si sono limitati a sparare; hanno tagliato e mutilato anche gli organi sessuali e altre parti del corpo delle vittime con coltelli, lame seghettate, taglierini.
Il rapporto «resta tuttora in una forma preliminare. Nei mesi e negli anni a venire, a seconda delle scelte dei sopravvissuti, potremmo essere in grado di fornire una storia più completa ed esplicita delle aggressioni sessuali del 7 ottobre», scrivono gli autori. Prove iniziali, raccolte secondo i princìpi etici dei centri antistupro e pertanto provenienti solo da fonti verificate, nonché scevre dalle informazioni e confidenze delle sopravvissute che ancora non hanno la forza di denunciare (o che riguardano le violenze ai danni di ostaggi che avranno il diritto di decidere se raccontare o meno la loro storia una volta liberati), ma che già avvalorano la tesi dello stupro sistemico. La violenza sessuale in guerra a breve e lungo termine non è materia da stoytelling: è codificata da parametri precisi, il trauma ha implicazioni fisiche e non solo psicologiche.
Ci sono le testimonianze dei sopravvissuti alla mattanza del festival e che hanno fornito gli stessi resoconti dai nascondigli: stupri collettivi, donne mutilate di arti superiori, o inferiori, mutilazioni degli organi genitali, gravi ferite della zona pelvica, ferite procurate durante gli stupri e culminate in omicidi.
Quelle dei medici legali che hanno analizzato i resti e dei soccorritori che hanno raggiunto le case dei kibbutz e dei villaggi nel Negev occidentale: donne spogliate nelle loro stanze o alla presenza dei parenti, segni di sperma, coltelli conficcati nei genitali. Quelle dei residenti che si sono assunti il compito di identificare i corpi dei vicini, corpi con organi intimi esposti e vestiti strappati. C’è chi ha filmato incredulo i ritrovamenti per avvalorare la propria testimonianza.
C’è l’inchiesta del New York Times sui 24 corpi abusati sessualmente a Be’eri e Kfar Aza, mani legate, biancheria abbassata, disseminati intorno alle case o appesi agli alberi, e ci sono i racconti spaventosi delle donne rilasciate da Hamas su quanto accade nei tunnel, dove i militanti di Hamas hanno trasformato donne e uomini in «burattini tirati da fili».
Dai nascondigli vicini alla strada 232 i sopravvissuti del Festival hanno assistito alle violenze di ragazze contemporaneamente stuprate da un uomo e mutilate da un altro, pugnalate durante le violenze, violentate anche dopo la morte. Segnalati più e più stupri di gruppo, commessi da otto, dieci, in un caso perfino dodici terroristi. I soccorritori parlano di bacini spezzati dalle ripetute violenze. Come di fratture delle ossa pelviche delle donne di tutte le età, dalle bambine alle anziane, violentate nei kibbutz davanti ai parenti, i cadaveri di madri e figlie accanto a quelli di chi inerme ha assistito alle violenze. I volontari raccontano di una coppia nuda, legato l’uno all’altra, lei stuprata, e di donne abusate con coltelli nelle parti intime.
Non sono stati risparmiati gli uomini, mutilati dei genitali, denudati e bruciati. «I colpi di arma da fuoco hanno preso di mira gli organi sessuali. Lo abbiamo constatato molte volte. I terroristi avevano un’ossessione per gli organi sessuali». Pallottole sparate al seno e ai genitali, insieme alla sistematica mutilazione di questi ultimi, ha spiegato Shari Mendes, che ha lavorato alla base Shura per identificare i cadaveri. Ci sono casi di amputazione dei seni con un taglierino, oggetti appuntiti inseriti nell’ano e seghette usate per le penetrazioni e altri scempi dovuti forse alla mancanza di tempo per uno “stupro completo”. «Il New York Times ha riferito di aver visto la foto del corpo di una donna con dozzine di chiodi conficcati nelle ginocchia e nel bacino».
Non erano venuti solo per catturare e uccidere. Hamas nega le violenze e le brutalizzazioni che pure i suoi accoliti hanno orgogliosamente filmato e diffuso. «Credevamo che la lezione del Kosovo, con lo stupro come arma di guerra tornato in auge anche nella civile Europa, fosse stata acquisita una volta per tutte, e che alle violenze contro le donne non dovessero mai più mancare il riconoscimento e la sanzione delle organizzazioni internazionali che si occupano di diritti umani in generale e delle donne in particolare», ha scritto Nicoletta Tiliacos sul Foglio. «Ma se sei israeliana per te non vale. Silenzio tombale».
Silenzio durante la manifestazione contro la violenza sulle donne del 25 novembre, silenzio durante quella del 24 febbraio a Milano, entrambe promosse da Non una di meno, che ha accusato Israele di genocidio “in continuità” con “femminicidi, lesbicidi e transicidi”. «Quelli commessi da Hamas, che come è noto reprime fino alla morte coloro che considera deviati sessuali? Macché. L’assurda accusa è rivolta contro Israele, paese in cui gli omosessuali palestinesi e iraniani hanno sempre trovato accoglienza e libertà».
Facendo seguito all’appello “Non si può restare in silenzio”, arrivato a diciassettemila firme che chiede di definire quelli del 7 ottobre come crimini contro l’umanità e di perseguirne i responsabili a livello internazionale, Setteottobre ha presentato formale richiesta di indagini all’ufficio del prosecutor della Corte penale internazionale dell’Aia. Oggi alle 18, a Piazza Santi Apostoli a Roma, si chiede un 8 marzo anche per le donne di Israele, un 8 marzo per le madri e figlie uccise quel sabato nero e per il rilascio di quelle ancora detenute insieme a uomini, bambini e anziani, nei tunnel di Hamas.
Fonte: https://www-tempi-it.cdn.ampproject.org/v/s/www.tempi.it/i-seni-amputati-col-taglierino-cosi-hamas-ha-stuprato-le-donne-israeliane/amp/?amp_gsa=1&amp_js_v=a9&usqp=mq331AQIUAKwASCAAgM%3D
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spettriedemoni · 3 years
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"La politica di questo governo israeliano è il peggio del peggio. Non ha giustificazioni, è infame e senza pari. Vogliono cacciare i palestinesi da Gerusalemme est, ci provano in tutti i modi e con ogni sorta di trucco, di arbitrio, di manipolazione della legge. E' una vessazione ininterrotta che ogni tanto fa esplodere la protesta dei palestinesi, che sono soverchiamente le vittime, perché poi muoiono loro, vengono massacrati loro.
La politica di Israele è segregazionista, razzista, colonialista. E la comunità internazionale è di una parzialità ripugnante. Tranne qualche rara eccezione, paesi come la Svezia e qualche paese sudamericano, non si ha lo sguardo per vedere che la condizione del popolo palestinese è quella del popolo più solo, più abbandonato che ci sia sulla terra perché tutti cedono al ricatto della strumentalizzazione infame della shoah. Tutto questo con lo sterminio degli ebrei non c'entra niente, è pura strumentalizzazione. Oggi Israele è uno stato potentissimo, armatissimo, che ha per alleati i paesi più potenti della terra e che appena fa una piccola protesta tutti i Paesi si prostrano, a partire dalla Germania con i suoi terrificanti sensi di colpa.
Io sono ebreo, anch'io vengo da quel popolo. Ma la risposta all'orrore dello sterminio invece che quella di cercare la pace, la convivenza, l'accoglienza reciproca, è questa? Dove porta tutto questo? Il popolo palestinese esiste, che piaccia o non piaccia a Nethanyau. C'è una gente che ha diritto ad avere la propria terra e la propria dignità, e i bambini hanno diritto ad avere il loro futuro, e invece sono trattati come nemici.
Ci sono israeliani coraggiosi che parlano, denunciano. Ma la comunità internazionale no, ad esempio l'Italia si nasconde dietro la sua pavidità, un colpo al cerchio e uno alla botte. Ci dovrebbe essere una posizione ferma, un boicottaggio, a cominciare dalle merci che gli israeliani producono in territori che non sono loro.
La pace si fa fra eguali, non è un diktat come vorrebbero gli israeliani. Io non sono sul foglio paga di nessuno, rappresento me stesso e mi batto contro qualsiasi forma di oppressione, è il mio piccolo magistero. Sono con tutti quelli che patiscono soprusi, sopraffazioni e persecuzioni e questo me l'ha insegnato proprio la storia degli ebrei. Io sono molto ebreo, ma non sono per niente sionista".
(Moni Ovadia)
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corallorosso · 3 years
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Moni Ovadia: "Politica Israele infame e senza pari" "La politica di questo governo israeliano è il peggio del peggio. Non ha giustificazioni, è infame e senza pari. Vogliono cacciare i palestinesi da Gerusalemme est, ci provano in tutti i modi e con ogni sorta di trucco, di arbitrio, di manipolazione della legge. E' una vessazione ininterrotta che ogni tanto fa esplodere la protesta dei palestinesi, che sono soverchiamente le vittime, perché poi muoiono loro, vengono massacrati loro". A dirlo all'Adnkronos è Moni Ovadia, commentando l'escalation di violenza in Medio Oriente che è sfociata in una lunga notte di bombardamenti tra Israele e la Striscia di Gaza. "La politica di Israele è segregazionista, razzista, colonialista -scandisce l'attore, musicista e scrittore di origine ebraica- E la comunità internazionale è di una parzialità ripugnante. Tranne qualche rara eccezione, paesi come la Svezia e qualche paese sudamericano, non si ha lo sguardo per vedere che la condizione del popolo palestinese è quella del popolo più solo, più abbandonato che ci sia sulla terra perché tutti cedono al ricatto della strumentalizzazione infame della shoah". Moni Ovadia spiega ancora meglio: "Tutto questo con lo sterminio degli ebrei non c'entra niente, è pura strumentalizzazione. Oggi Israele è uno stato potentissimo, armatissimo, che ha per alleati i paesi più potenti della terra e che appena fa una piccola protesta tutti i Paesi si prostrano, a partire dalla Germania con i suoi terrificanti sensi di colpa". "Io sono ebreo, anch'io vengo da quel popolo -incalza l'artista- Ma la risposta all'orrore dello sterminio invece che quella di cercare a pace, la convivenza, l'accoglienza reciproca, è questa? Dove porta tutto questo? Il popolo palestinese esiste, che piaccia o non piaccia a Netanyahu. C'è una gente che ha diritto ad avere la propria terra e la propria dignità, e i bambini hanno diritto ad avere il loro futuro, e invece sono trattati come nemici". (...) ADN Kronos
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k-erelle · 3 years
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PER NON DIMENTICARE
Moni Ovadia
attore, scrittore , musicista di origine ebraica.
Non c'è nessuno scontro, perché non c'è paragone tra la forza dell'esercito israeliano e quella della resistenza palestinese. Parliamo di un'aggressione vera e propria e di una superiorità soverchiante da parte di Tel Aviv. Da anni Israele occupa illegalmente le terre dei palestinesi e sottopone a continue e quotidiane umiliazioni quel popolo nell'indifferenza della comunità internazionale. Quello di Israele è un governo razzista e segregazionista; se non fosse per le elezioni direi anche fascista. Vogliono cacciare i palestinesi dalle loro case, cancellare la loro identità culturale, e lo stanno facendo forti della compiacenza di gran parte delle potenze mondiali, compresi paesi arabi come Egitto, Giordania e Arabia Saudita. Quello palestinese è il popolo più solo e indifeso del mondo.
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I governi di USA e UE, salvo rare eccezioni, sono composti da ipocriti perché accettano il ricatto degli israeliani sulla Shoah. Io sono ebreo, so cosa è stata la Shoah, e per questo mi domando come si possa legittimare la politica cattiva e sadica del primo ministro Benjamin Netanyahu nei confronti dei palestinesi. Israele continua a giocare il ruolo del povero, piccolo paese indifeso, ha invece uno degli eserciti più potenti del mondo e l'appoggio incondizionato di USA  e UE, mentre la Cina se ne lava le mani. Uno dei suoi pochi nemici storici, la Siria, sarà fuori gioco per 50 anni. Dell'Iran non parliamo: ogni volta che alza la voce, Israele la fa pagare ai palestinesi.
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La legge sullo stato nazione prevede che in Israele siano titolari di pieni diritti solo i cittadini ebrei, ovvero i figli di madre ebrea. I palestinesi, invece, no. Eppure sono almeno 1,8 milioni. Quella del governo israeliano nei confronti dei palestinesi è, come rilevato di recente anche da Human Right Watch, una politica di apartheid sotto alcuni punti di vista non troppo diversa da quella praticata in Sudafrica.
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La pace si può fare solo tra eguali: finché gli israeliani non si ritireranno dalle terre occupate, finché cioè non verrà ristabilita la legalità internazionale, non si potrà iniziare nessun vero negoziato di pace.
( nelle foto uccisione di Mohamed Al Durrah, palestinese, 12 anni , da parte di soldati israeliani nel 2000)
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aitan · 3 years
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“La politica di questo governo israeliano è il peggio del peggio. Non ha giustificazioni, è infame e senza pari. Vogliono cacciare i palestinesi da Gerusalemme est, ci provano in tutti i modi e con ogni sorta di trucco, di arbitrio, di manipolazione della legge. È una vessazione ininterrotta che ogni tanto fa esplodere la protesta dei palestinesi, che sono soverchiamente le vittime”, perché alla fine sono loro ad esser massacrati.
Lo ha detto Moni Ovadia un paio di giorni fa all’agenzia di stampa Adnkronos, commentando i bombardamenti di Gaza.
E io di Moni Ovadia mi fido (anche se non ascolto in modo acritico nemmeno lui).
“La politica di Israele è segregazionista, razzista, colonialista e la comunità internazionale è di una parzialità ripugnante.”
“La condizione del popolo palestinese è quella del popolo più solo, più abbandonato che ci sia sulla terra perché tutti cedono al ricatto della strumentalizzazione infame della shoah”.
“Oggi Israele è uno stato potentissimo, armatissimo, che ha per alleati i paesi più potenti della terra e che appena fa una piccola protesta tutti i Paesi si prostrano, a partire dalla Germania con i suoi terrificanti sensi di colpa”.
“Io sono ebreo, anch’io vengo da quel popolo. Ma la risposta all’orrore dello sterminio invece che quella di cercare a pace, la convivenza, l’accoglienza reciproca, è questa? Dove porta tutto questo? Il popolo palestinese esiste, che piaccia o non piaccia a Netanyahu.”
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vadaviaaiciap · 4 years
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L’inverosimile martirio di Rula
di Max Del Papa7 Gennaio 2020
Fra tanti martiri presunti, una a denominazione di origine controllata: è Rula “Lula” Jebreal, estromessa dal Festival di Sanremo per colpa dell’intolleranza della stampa sovranista, fascista e razzista. Perché, si capisce, la Rai è cosa della sinistra e Sanremo è cosa della Rai.
Il martirologio l’ha naturalmente aperto Repubblica, trasformando un’opzione, discutibile, in un diritto piovuto dal cielo: Rula Lula sull’Ariston ci doveva andare, perché la sua è la faccia dei diritti sociali. Ma quale politica, qui si resta umani e invece, per colpa del becero canaio sovranista, Sanremo sarà meno civile, meno colto, meno ricco, meno bello, meno informato, meno solidale, meno equo, meno presentabile, meno accogliente, meno europeista, meno democratico. Veramente, l’infame stampa sovranista si è limitata a porre un paio di questioni: che curriculum ha una che di spettacolo, di canzonette non si è mai occupata per finire al Festival delle canzonette? E davvero avremmo dovuto subire i suoi pistolotti monodimensionali, unidirezionali?
La conferma è arrivata a stretto giro di posta: Rula Lula voleva invitare nientemeno che Michelle Obama per discutere di diritti delle donne. Una che usava selfarsi con il famigerato Weinstein, considerato un maiale d’oro, quello che abusava delle donne mentre ne costruiva le carriere. Una che, quando non trova un insulto abbastanza sanguinoso, ti definisce “maschio bianco”, come a dire il peggio della schiuma, della rogna. Una che, se la contraddici, parte con stridori ultrasonici e non ti fa più dir niente. Una che, pur con doppia o tripla matrice, palestinese israeliana naturalizzata italiana, su Israele nutre convinzioni lievemente preoccupanti.
Ora, la becera informazione sovranista sa benissimo di essere in clamorosa minoranza, sbeffeggiata e attaccata da quelli che ben pensano, e che sono maggioranza ragliante nei media e soprattutto in Rai. Dunque, la infame informazione sovranista sa di non poter presumere più che tanto da se stessa; non è colpa – o virtù – sua se la Rai è ritornata sui suoi passi, una volta verificata l’insofferenza di sempre più spettatori che, sui social, promettevano: Sanremo a questo punto non lo guarderò più. Semplicemente, la Rai si è fatta due conti. E ha capito che il gioco propagandistico non valeva la candela. Ma non c’è stato, garantito, alcun lavaggio del cervello, quella se mai è roba da progressisti illuminati: trattavasi di opinioni in assoluta libertà, che se mai si sono trovate a posteriori rappresentate da commentatori apoti, cioè che non se la bevono.
E nessuno dei luridi maschi bianchi si è permesso offese o volgarità di sorta sulla santina dem: domandarsi, ricordare, fa parte del gioco democratico, anche se per molti il gioco democratico ricorda un po’ il vecchio slogan di Michele Santoro (Michele chi? Ma sì, un teletribuno che ebbe le sue stagioni, anche se ormai il mar dell’olbio s’è sovra lui richiuso): “comunque la pensiate…” (purché d’accordo con me). Le prefiche Repubblicane sono scatenate. Ma, se a quanto pare non sapremo mai cosa ci siamo persi senza Rula Lula, in compenso possiamo immaginare cosa ci siamo risparmiati (anche in termini di cachet, visto che l’interessata, di solito così garrula, s’è guardata bene dal rivelarlo).
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pangeanews · 4 years
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“Imperium”: storia del “Mein Kampf” americano e di Francis Parker Yockey, il folle profeta dell’Eurasia
Seduto in un pacifico giardino di Wiesbaden, Germania, siamo nell’ottobre del 1946, tra le macerie di strade ulcerate dalle bombe, uno sconosciuto americano di nome Francis Parker Yockey, inviato lì dal governo degli Stati Uniti d’America per lavorare alla revisione dei documenti prodotti dal tribunale per i crimini di guerra, appunta su un taccuino: “L’ambizione a governare le anime: ecco la più forte di tutte le passioni… Chi non si farebbe accoltellare volentieri, pur di essere Cesare?”.
*
Strani sentimenti, potremmo pensare, soprattutto se appuntati da un americano assunto per vagliare i dettagli del massacro compiuto da un dittatore ben più terribile di Cesare. Ma la mente di Francis Parker Yockey si era già fissata (o meglio, ossessionata) su alcuni obbiettivi ad alto rischio: Wiesbaden era parte di questi. Benché assunto per giudicare i criminali di guerra nazisti “di secondo piano”, Yockey (che all’epoca aveva 29 anni) atterrò in Germania con un altro intento: aiutare quegli stessi nazisti che avrebbe dovuto perseguitare.
*
Quattordici anni dopo, nel giugno del 1960, si sarebbe suicidato in una fredda cella di San Francisco, il corpo vestito soltanto con biancheria intima e stivali stile SS: un nazista americano che non ha accettato di affrontare un esame psichiatrico e tanto meno un processo che lo avrebbe costretto a svelare i nomi dei suoi contatti. Tra i giornali dell’epoca, il “San Francisco Chronicle” ricorda l’uomo dai molti passaporti come “una figura centrale della nuova forma che ha assunto il fascismo”. Oggi Yockey è ricordato come il padre del negazionismo riguardo alla tragedia dell’Olocausto.
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Laureato nel 1941 alla Notre Dame Law School, studi anche alla Georgetown University, Yockey si era unito, da giovane, a gruppi di estrema destra americani, durante e dopo la Seconda guerra. Tra le attività di cospirazione, Kevin Coogan (occorre leggere: Dreamer of the Day: Francis Parker Yockey and the Postwar Fascist International) elenca quella di aiutare le spie naziste tedesche sbarcate sulle coste americane e messicane proprio mentre gli Usa erano in guerra con la Germania.
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Ricordato nella sua città natale, Ludington, nel Michigan, come un giovane di talento, rampollo di una buona famiglia cattolica, Yockey era intellettualmente dotato: pianista concertista da adolescente, marxista convertito al nazismo al college, secondo lo storico conservatore Arhur Herman (in The Idea of Decline in Western History), “un autodidatta brillante, folle”. Il modo in cui un noto attivista filo-nazista sia stato inviato per lavorare durante i processi ai crimini di guerra è uno dei tanti colpi di scena di questo strano e inafferrabile uomo. Esistono prove, ad esempio, che mentre si trovava a Wiesbaden, Yockey tentò di aiutare i criminali nazisti, condividendo documenti governativi sotto segreto con avvocati tedeschi. Tra gli imputati che lo riguardavano ricordiamo Otto Ohlendorf, generale delle SS tedesche responsabile, in Ucraina e nel Caucaso, della morte di 90mila persone.
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Ma la vera e duratura fama di Yockey si consolida dopo il soggiorno in Germania. Nel 1947 Yockey iniziò a viaggiare, irrequieto, stabilendosi in una piccola locanda sulla costa irlandese. Lì scrisse un libro di 600 pagine, Imperium. Nel libro si postula la necessità di un impero europeo transnazionale nazista che, nell’immaginazione di Yockey, si sarebbe esteso “dai promontori rocciosi di Galway agli Urali”. Nello stesso momento, in formule inquietanti, due forze speculari generano opposte profezie: Yockey scrisse Imperium proprio mentre George Orwell, isolato dal mondo, in un’isola scozzese, poco lontano da lui, scriveva 1984.
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Fin dalla sua pubblicazione, Imperium ha ispirato generazioni di attivisti di estrema destra, antisemiti, teorici di matrice razzista (perfino alcuni politici), che sognano un impero “eurasiatico”, basato sui principi collettivisti razziali. Senza dubbio, Imperium è il libro antisemita più influente con il Mein Kampf e con I protocolli dei Savi di Sion. Originariamente pubblicato nel 1948, Imperium è dedicato “All’eroe della Seconda guerra mondiale”. Il libro esprime una visione del mondo neonazista, con un tono severo, impersonale, aspro e gelido. Yockey, tra l’altro, mette in discussione il “Liberalismo” come “del tutto negativo: non è una forza formativa, ma una forza che disintegra… Il liberalismo è debolezza… Il liberalismo è una fuga dalla durezza, un ripiego nella femminilità, il passaggio dalla Storia al gregge, dalla realtà all’utopia degli erbivori”.
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Poi c’è la visione aristocratica, neo-spengleriana, scritta in termini quasi mistici: “Sopra ci sono gli uomini di razza – sotto, quelli senza razza. I primi sono travolti dall’azione e dagli eventi del grande ritmo cosmico, i secondi dalla Storia. I primi sono i materiali della Storia nobile, i secondi sono sopravvissuti a ogni Cultura e quando la quiete riprende il dominio dopo il turbine degli eventi, sono la grande massa”.
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Yockey scrisse Imperium sotto lo pseudonimo di Ulick Varange, che per lui simboleggiava l’incontro tra Irlanda e Russia. Lo scrittore era abbastanza scaltro da non menzionare Hitler né il Nazionalsocialismo nel libro, limitandosi a parlare di “Socialismo Prussiano” e di “Rivoluzione europea del 1933”. Il messaggio fondamentale di Imperium era assicurare i più fanatici tra i nazisti che il loro sogno non era vano né distrutto, che “il Giorno” sarebbe tornato se i nazisti non si fossero piegati al bieco statalismo.
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La reputazione di Imperium negli ultimi settant’anni ha attraversato fasi distinte. La prima è nascosta, clandestina, quando il libro fece scalpore nella diaspora neonazista del dopoguerra, soprattutto in Europa e in Sud America. Imperium è stato, allora, grido di battaglia e incoraggiamento. La seconda ondata di “yockeyismo” si è verificata in seguito al suicidio di Yockey, nel 1960, con un ritorno neofascista e un rigurgito antisemita. Era l’epoca in cui George Lincoln Rockwell, volubile capo del Partito nazista americano, divenne improvvisamente una celebrità mediatica. Copie di Imperium iniziarono a circolare in certi ambienti repubblicani. La terza ondata accadde durante gli anni Settanta e Ottanta, con la crescita deplorevole di quell’assurdità che è la negazione dell’Olocausto. La quarta fase è quella attuale, un’Idra complessa. L’era online ha visto una ondata di interesse, a livello mondiale, intorno ai libri razzisti del XX secolo: in questa lista spicca, ovviamente, il ‘capolavoro’ di Yockey… Gli scritti di Yockey hanno un effetto significativo anche per gli attivisti e i politici di estrema destra europei e russi di oggi, alcuni dei quali affermano che lo stesso Yockey, a metà anni Cinquanta, divenne filo-russo, una volta che comprese la letale politica antisemita di Stalin. Così, figure politiche come Vladimir Zhirinovskij e Aleksandr Dugin possono, più o meno apertamente, sostenere varianti di quella vecchia ideologia. E molti russi di destra ora abbracciano il sogno pan-europeo postulato da Yockey con una parola d’ordine recente: Eurasia.
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Negli anni Cinquanta saturi di Guerra Fredda fu proprio Yockey, ex studente di geopolitica alla School of Foreign Service di Georgetown, ad esortare i compagni neonazisti di tutto il mondo a “giocare la carta russa”: “Usiamo la Russia contro la leadership degli ebrei americani… solo così l’Europa potrà realizzare la propria liberazione dai pericoli della democrazia ebraica imposta con le baionette americane”. Le bizzarre categorie di Yockey sono ora poste in rilievo. Al di là di tutto, queste dichiarazioni sembrano suggerire che Yockey, l’oscuro nazista dai molti pseudonimi (tra cui Richard Hatch, Franz Ludwig Yorck, Ulick Varange), fosse coinvolto in intrighi politici clandestini. Nel 1953 Yockey incontrò il presidente egiziano Gamal Abdel Nasser. Come mai? Odio condiviso per Israele, naturalmente. L’Egitto stava diventando una specie di “seconda Argentina”, accogliendo un vasto afflusso di SS in fuga. Snello, azzimato, americano, Yockey, grazie ai suoi amici nazisti, consegnò personalmente a Nasser i piani per una “bomba al cobalto” di nuova concezione che sperava sarebbe stata usata contro lo stato ebraico. Pur non dicendo alcuna parola pro o contro l’Islam, Yockey sapeva che molti nazisti si erano convertiti. Come Johann von Leers, già alle dipendenze di Goebbels presso il Ministero della propaganda. Trasferitosi in Egitto, von Leers divenne Omar Amin von Leers, si impegnò nel Ministero dell’informazione egiziano, diffondendo l’odio verso gli ebrei in quella nuova terra.
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Gli attuali eredi di Yockey sono i “campioni dell’Occidente” via computer, seduti su morbide poltrone, che si abbandonano a fantasie di guerre civili e razziali, intrise di odio ebraico, coltivando una visione falsificata e distorta della storia. Un esercito in malafede che non inganna nessuno. Eppure, ciò che pareva stabile ora diventa instabile. Il saggista John J. Reilly scrisse, nel 2002: “La vita di Yockey si è intersecata con le forze e le idee del XX secolo, spesso oscure. Ciò non significa che non fossero potenti e che non potrebbero ripresentarsi nel XXI secolo”. Il tempo dirà quanto le profezie di Yockey, che mentre moriva il fuoco sulle città tedesche, nel 1947, scriveva, “Nel bene o nel male i monarchi stanno arrivando”, siano esatte.
Anthony Mostrom
*L’articolo è stato pubblicato in forma estesa su “Los Angeles Review of Books”
**In copertina: particolare dal “Giudizio universale” di Giotto, in Padova
L'articolo “Imperium”: storia del “Mein Kampf” americano e di Francis Parker Yockey, il folle profeta dell’Eurasia proviene da Pangea.
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marcogiovenale · 4 months
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intervista a francesca albanese sul suo libro "j'accuse"
Intervista audio di Federico Raponi a Francesca Albanese, relatrice speciale dell’ONU e giurista, presenta il suo libroJ’ACCUSE. Gli attacchi del 7 ottobre, Hamas, il terrorismo, Israele, l’apartheid in Palestina e la guerra (2023)Roma – Sala delle Bandiere del Parlamento Europeo, giovedì 11 gennaio 2024https://tuttascena1.wordpress.com/2024/01/10/francesca-albanese-jaccuse/
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paoloxl · 4 years
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Crediamo sia oggettivamente impossibile riuscire a prevedere i futuri sviluppi della situazione di crisi mediorientale dopo l’attacco terroristico che ha portato all’assassinio del generale iraniano Soleimani. Queste stesse riflessioni al momento della loro pubblicazione potrebbero già essere state superate da evoluzioni oggi solo ipotizzabili.
Per non ripetere banalità o rincorrere la ridda di voci di "analisti internazionali" e di “esperti dell’area mediorientale" che stanno intasando i media ufficiali, incominciamo a sviluppare questo breve ragionamento dicendo che il punto fermo di contesto da cui partire è che, una volta ridimensionato dalla crisi il peso dell’egemonia politica ed economica mondiale statunitense, ci troviamo davanti a un modificato quadro complessivo di formazione di blocchi locali e internazionali che si compongono e si scompongono in una geometria variabile in relazione alla comunanza e alla tattica coincidenza di interessi appunto locali, tattici, di sopravvivenza, di desistenza e di difesa da un comune nemico. Un esempio per tutti: il sultano terrorista Erdogan che corre in difesa del governo "legittimo" di Sarraj contro l’avanzata del generale Haftar (vicino ai “fratelli musulmani” egiziani) sostenuto invece da Putin, che si accordano per chiedere una tregua mentre presenziano all'inaugurazione del nuovo gasdotto “Turkstream” che collega Russia e Turchia bypassando l'Ucraina per rifornire il mercato europeo. Ciò anche in un contesto di spartizione degli enormi giacimenti di gas e petrolio, per i quali la “concorrenza” tra i blocchi e singoli potentati locali e internazionali è spietata, di cui l’intera aerea mediorientale dimostra essere disseminata (solo negli ultimi anni sono stati scoperti nuovi giacimenti di fronte alla costa di Gaza, in Egitto, in Iran).  
Questi processi di aggregazione si pongono sempre nella direzione della difesa di una supremazia  nazionalistica (p.e. Turchia, Iran, Israele) tranne il tratto, il respiro veramente imperialistico strategico ben definito soprattutto della Cina, unica vera superpotenza economica ormai affermata che non gioca di rimessa o per coprire proprie debolezze interne, ma che ha tracciato una proiezione e sta perseguendo una strategia precisa di allargamento della propria influenza e di accaparramento di risorse e mercati dall’Africa al Medioriente al Sud-America.
A partire da questo presupposto, che certamente non sminuisce l’aggressività delle forze locali in campo o dell’alter ego occidentale, il dato inoppugnabile che emerge è che, al di là della propaganda imperialista e del supporto e della complicità soggettiva o oggettiva delle "grandi democrazie" europee, l’assassinio terroristico mirato di un altissimo rappresentante politico/militare dello stato iraniano, e la stessa particolare eclatante mediaticità e spettacolarità della sua esecuzione, rappresentano un violento strappo dei fragili equilibri e un salto di qualità dell'intervento USA nell'area mediorientale. Ancor più per il ruolo assunto nel tempo da Soleimani non solo di direzione militare ma di interlocutore di peso e mediatore tra le potenze presenti nell’area.
Un salto di qualità che rappresenta un passo in avanti nella strategia di aggressione all’Iran già ben delineata durante la campagna elettorale per le presidenziali USA dal terrorista megalomane Trump, passato dalla pretestuosa negazione dall’accordo sul nucleare prima, all'imposizione di arbitrarie sanzioni poi, per arrivare ai numerosi bombardamenti sulle postazioni iraniane schierate contro l'ISIS e le bande di ispirazione qaidista. Attacchi anch’essi mirati e compiuti stracciando la tanto decantata e agitata strumentalmente "legalità internazionale".
Un pesante e multiforme segnale coerente con questa strategia, probabilmente accelerata dall’imprevedibile incapacità e dalla personalità del presidente USA, allo stesso tempo diretto alla ricerca di riverberi positivi sulla politica interna dopo la grave richiesta di impeachement, e di deterrenza e riposizionamento nell’area mediorientale nei confronti delle potenze Russia e Cina che si stanno spartendo il controllo diretto o indiretto della medesima area.
Dopo una campagna elettorale fortemente caratterizzata dalle promesse di disimpegno dai fronti di guerra per dedicarsi a perseguire il corto respiro del sovranismo xenofobo e razzista e del protezionismo economico, Trump tenta di riprendersi un ruolo internazionale riassunto dallo slogan "America First". Un criminale atto terroristico mirato dunque anche al consenso elettorale per l’avvicinarsi delle elezioni, per assecondare l'industria delle armi e il partner sionista continuamente impegnato in azioni contro le truppe iraniane dislocate in Siria. Peraltro, Israele potrebbe essere, in questa fase, il soggetto/oggetto discriminante e di rottura della stabilizzazione cercata da Russia, Cina e Iran proprio per evitare che si saldino i reciproci interessi e rappresentare l’elemento di provocazione scatenante.
Un attentato terroristico che quindi può rappresentare la miccia per un escalation di atti di guerra fino alla deflagrazione di un confronto militare diretto, ad ora, non concretamente voluto dagli attori in campo come possiamo ben desumere dalla risposta iraniana con il lancio missilistico su postazioni militari statunitensi in Iraq, altrettanto mediatico e spettacolare, ma volutamente innocuo e dimostrativo.
Se invece Usa, Arabia Saudita e Israele da una parte, Iran, Russia e Cina (in una posizione più defilata) dall'altra fermeranno l’escalation di ritorsioni come parrebbe in questo momento, il risultato di questo allarme rosso rinforzerebbe comunque Trump che vuole imporre sanzioni sempre più pesanti all’Iran e rappresenterebbe il tentativo di riportare, con arroganza e spregiudicatezza, l'imperialismo americano al ruolo guida delle potenze capitalistiche occidentali, ma avrebbe anche l'effetto di compattare la controparte irachena e soprattutto iraniana nel tentativo di estendere la propria area di influenza e controllo di risorse esportando la propria "rivoluzione reazionaria" e oscurantista. In questo contesto, da par suo, cerca di inserirsi, rilanciando un proprio ruolo sul campo, il blocco imperialista europeo in eterna formazione tra le spinte centrifughe e le contraddizioni dettate dagli interessi dei singoli stati presenti, l’attenzione al “padrino” statunitense ancora presente in forza in territorio europeo, soprattutto italiano, con basi, armi (anche nucleari) e divisioni militari.  
Ma i giochi di guerra imperialistici da entrambe le parti stanno avvenendo mentre tutta l'area è attraversata da una crisi economica che ha fatto emergere un altro soggetto: il proletariato arabo in lotta dal Libano, all'Iraq, all'Iran che si è preso con forza la ribalta pagando in questo lo scotto di centinaia di morti e di incarcerati.
Senza approfondire in queste riflessioni la volontà genocida del dittatore Erdogan nei confronti dell’eroico popolo curdo e il tentativo di annientare il loro processo di autodeterminazione e la speranza di trasformazione sociale, va ricordato che, anche in questo caso, l’elemento analitico pregresso è che la causa fondante dell’impoverimento complessivo di quest'intera area geografico-politica è stato determinato dalle diverse guerre imperialiste di rapina che si sono succedute.
Dalla Libia, oggi luogo di scontro e di contrapposizione e di riassetto per il possesso dell'area (petrolio e situazione disumana dei migranti da utilizzare come leva di ricatto), allo Yemen dove si ripropone la guerra settaria sunniti-sciiti per coprire (guerra per procura) evidenti interessi di controllo geopolitico, all'Iraq, ricordando a chi non ha memoria che le bombe USA hanno fatto collare l'economia irachena in una situazione pre-industriale, seguita dalla guerra che ha devastato la Siria voluta, sostenuta e fomentata dalle potenze capitalistiche anche europee per abbattere Assad scoprendo poi che stavano invece finanziando il nascente stato islamico e le sue bande di assassini.
La crisi del modo di produzione ha accentuato questo processo di impoverimento generale portando a una divaricazione violenta sempre più evidente tra i bisogni di sopravvivenza e l'aspirazione a una qualità migliore della vita e i diversi governi/regimi fortemente caratterizzati da un'impostazione autoritaria/militare se non teologica fondamentalista.
La nostra massima solidarietà va alle masse e ai proletari che stanno insorgendo in tutta la fascia mediorientale e a tutti coloro che con la lotta stanno imponendo ai loro governi/regimi una possibile trasformazione sociale.
Questi uomini, donne, ragazze e ragazzi proletari e proletarie che sfidano con coraggio truppe in armi, incarcerazioni, torture e assassinii sono la speranza che in Medioriente si possano mettere in moto dei processi di trasformazione della società in senso anticapitalista mettendo al bando sfruttamento di classe, povertà, discriminazione sessuale, fame e guerra, abbattendo padroni di ogni genere laici o religiosi che siano, potenze imperialiste di ogni provenienza.
PER UNA SOCIETA’ SENZA CLASSI! CONTRO LE GUERRE IMPERIALISTE!
C.S.A. Vittoria
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rpallavicini · 6 years
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A forza di islam a tutti i costi, le strade di Londra diventano antisemite - La Verità
A forza di islam a tutti i costi, le strade di Londra diventano antisemite – La Verità
Agghiacciante.  Ben titolano quelli de La Verità: A forza di islam a tutti i costi, le strade di Londra diventano antisemite.
Non bisogna tollerare gli intolleranti ed i razzisti. Ma i razzisti qui sono quelli che hanno appeso questi manifesti!
Perché l’unico stato mediorientale a NON essere razzista è proprio Israele. E solo Israele.
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abr · 6 years
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(...) Amena Khan, trentenne britannica (...) influencer con mezzo milione di abbonati su Instagram, è musulmana e porta il velo da quando aveva vent' anni. Prendendo per la prima volta una donna velata come testimonial di uno shampoo, L' Oréal Paris esibiva un atteggiamento inclusivo, attento alle minoranze (...).  Ma (un) sito (...) ha esaminato l' attività passata della modella nei social media, e ha trovato la macchia. (...) Nel 2014 Amena Khan ha scritto tweet di grande violenza contro Israele, definito uno «Stato terrorista» secondo la retorica di chi se ne augura la scomparsa. Travolta dalle critiche, a soli quattro giorni da quel momento di ecumenismo pubblicitario la donna ha rinunciato alla campagna cancellando - invano - i tweet (...).  «Sono profondamente dispiaciuta per il contenuto dei tweet che ho scritto nel 2014 e per la rabbia e il dolore che hanno causato. Promuovere la diversità è una delle mie passioni, non discrimino nessuno. Con grande rammarico mi ritiro dalla campagna perché il dibattito che adesso la circonda distoglie dai sentimenti positivi e inclusivi che ne erano all' origine». L' Oréal Paris certo non l' ha trattenuta, anzi: «Il nostro impegno è verso la tolleranza e il rispetto nei confronti di tutti i popoli. Siamo d' accordo con la decisione di Amena». (...) Nell' agosto 2017 L' Oréal Paris scelse (...) una modella transgender nera, la deejay e attivista britannica Munroe Bergdorf. In quel caso fu il Daily Mail a trovare su Facebook questa frase (...) rivolta a tutti i bianchi: «La maggior parte di voi non si accorge neppure o rifiuta di riconoscere che i vostri privilegi e successi come razza sono costruiti sulle spalle, il sangue e la morte della gente di colore». Munroe Bergdorf venne accusata di «razzismo anti-bianchi», licenziata, e poi assunta dalla piccola casa concorrente Illamasqua.
dal Corriere, via http://www.dagospia.com/rubrica-29/cronache/diverse-ma-non-troppo-amena-khan-39-volto-musulmano-39-165554.htm
Certo che l’Oreal se le sceglie ben mirate ... 
Non mi piace il rivangare i tweet del passato ma cmq. resta una GRAN BELLA NOTIZIA: finalmente sonori calci in chiulo a qualcuno (dei tantissimi) anti-razzisti ma solo pro razze e idee che piacciano alla gente che piace.
 Chissà che sia l’inizio di un trend, finalmente anti razzista e pro-diversity per davvero, non pro-omogeneizzati sia nei colori che nei cervelli. 
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ostricacida · 7 years
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La persona che ha creato la fan action è un anti che l'ha fatto solo perchè stanca di tutte le bandiere lgbt. Non dubito l'importanza del movimento sia chiaro ma se parti con queste premesse di ripicca è ovvio che avrai poco seguito...poi in europa ed uk dove blm non centra nulla in quanto il razzismo non è solo per via del colore della pelle ma ha altre sfumature nazionaliste in italia allora dovrebbe sventolare per i rifugiati?! In più visto che è così sentito perchè in usa nessuno l'ha fatto?
Hanno da scartavetrare i coglioni a noi qua in europa per una bandiera magari anche non vista considerato che è nera con delle scritte bianca appallotolata per un movimento nato in america di un problema di polizia e politico tutto loro. Nessuno ha considerato che harry non sapesse neppure cosa ci fosse stato scritto nella bandiera e per non fare figure di merda (ricordiamo quella del tweet)abbia evitato di sventolare cose a caso a differenza di quella lgbt facile da riconoscere e non sbagliare?
Fondamentalmente era questo che temevo, che un’iniziativa del genere fosse stata messa in piedi soltanto per controbilanciare il supporto alla comunità LGBTQ. E questo non vuol dire che io non supporti un movimento che voglia, in questo caso, più rappresentazione per i fans di colore, è che davvero non ha uno scopo sincero. Tra l’altro, sono convinta che sia stato propinato all’audience sbagliato in un contesto sbagliato.Più che l’episodio del tweet, che fortunatamente era innocuo, Harry ha affrontato non poche critiche quando prese un martello gonfiabile con la bandiera di Israele sopra e lo sventolò durante il WWA Tour, proprio durante il periodo dei bombardamenti a Gaza. Quindi è del tutto logico che con il senno di poi Harry non voglia farsi portavoce di un movimento che non conosce a fondo, rischiando di scadere nell’ipocrisia nella migliore delle ipotesi, o in incidenti del tipo appena citato nella peggiore.Ribadisco, è un’iniziativa che avrebbe avuto molto più senso negli Stati Uniti, ma che è impregnata di talmente tanti risvolti politici - di cui sono sicura che Harry non sia a conoscenza - che sono contenta che lui non abbia rischiato di prenderne parte. Ma questo, per la millesima volta, non vuol dire che H sia razzista o che non ami incondizionatamente i suoi fans di colore.
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corallorosso · 3 years
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LA FOTO DA VOMITO DELLA DESTRA ITALIANA Eccola qui, tutta assieme nella stessa foto, la destra italiana. Letta, Salvini, Boschi, Taiani, tal Cioffi in rappresentanza di Di Maio, assenti fisicamente ma idealmente presenti Meloni e Renzi. Tutti uniti a festeggiare le bombe di Netanyahu che fanno strage a Gaza, tutti uniti a sostenere l’apartheid feroce di Israele verso il popolo palestinese, tutti uniti a considerare democrazia e libertà l’oppressione violenta e razzista di un sistema di potere israeliano che ebrei liberi e antifascisti coraggiosamente condannano e combattono. La destra italiana si rivela sempre al momento del bisogno, stava con la Francia che occupava l’Algeria, stava con gli Stati Uniti che devastavano il Vietnam, stava e sta con le guerre umanitarie occidentali che hanno provocato milioni di morti e decine di milioni di profughi, che naturalmente la destra italiana rifiuta di accogliere. La destra italiana è sempre stata un cane fedele della NATO e ora accoglie con gioia le bombe atomiche che vengono installate nel nostro paese. La destra italiana si definisce euro-atlantica e con questo vuol dire che il suo patriottismo tanto sbandierato finisce là dove comincia il patriottismo USA. La destra italiana ha tante correnti e conflitti di potere, ma sta assieme negli affari che contano e nella fedeltà ai padroni, per questo oggi un banchiere la unifica al governo. La destra italiana ogni tanto fa finta di dividersi per raccattare voti, ma di fronte alla guerra di Israele contro i palestinesi sta tutta a fianco della soldataglia israeliana che bastona i bambini. La destra italiana oggi accusa di antisemitismo chi sta con il popolo palestinese oppresso, ma non ha problemi ad avere tra le sue fila chi vuol dedicare strade e piazze a Giorgio Almirante, sostenitore delle leggi razziali. La destra italiana oggi copre il 99% del Parlamento, per questo la finta democrazia del nostro paese trova naturale schierarsi con uno stato la cui “democrazia”è la stessa del Sudafrica, quando vi comandavano i bianchi. Conservate questa foto da vomito, lì c’è un quadretto di nemici della libertà dei popoli e nostri. Viva la resistenza palestinese. Giorgio Cremaschi
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