Tumgik
#è tutto il giorno che va in giro a fare interviste
unwinthehart · 3 months
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Russel Crowe che ha proprio deciso di umiliare Travolta
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toscanoirriverente · 3 years
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Gennaro Acquaviva, è stato capo della segreteria politica di Craxi dal 1976 e poi suo consigliere politico a Palazzo Chigi. È quindi uno dei testimoni privilegiati di quell'autentico passaggio d'epoca, il rapimento di Moro e la fine della Prima Repubblica, sul quale si continua a riflettere. È un uomo e un dirigente politico schietto e diretto nelle sue posizioni. Cattolico, socialista, oggi presiede la Fondazione Socialismo e dedica il suo lavoro alla ricostruzione, con preziosi volumi, della vicenda del suo partito in quegli anni cruciali.
Quando inizia per te la fine della Prima Repubblica?
«Dopo Moro, il crollo è la conseguenza quasi obbligata. La Prima Repubblica finisce perché finisce il sistema che l'ha ordinata e che non si riesce a cambiare: sempre al governo un partito di centro e sempre all'opposizione una forza rappresentativa, grande e democratica, ma che non poteva mai andare al governo perché rimaneva comunista; e con i socialisti che non riescono a prendere i voti che gli servono.
La realtà che si costruisce nel '45-'48, è decisiva. Il Partito comunista rimane condizionato dall'Unione Sovietica con tutti i vincoli e le paure che persino e nonostante Berlinguer permanevano. Era un dato oggettivo: esisteva una parte della classe dirigente comunista del Pci che era in un rapporto di filiazione, di amicizia e di fraternità con il sistema dell'Est. Questa cosa permane, inevitabilmente. La sostanza è che questo rapporto blocca il sistema, nel senso che la democrazia è un sistema complesso che senza alternanza non sta in piedi. Una realtà che alla fine produce anche corruzione, inevitabilmente».
La democrazia dell'alternanza era la vera Seconda Repubblica?
«Secondo me Craxi in qualche maniera è un sostituto-prosecutore dell'opera di Moro indirizzata a favorire l'evoluzione del sistema politico che doveva indirizzarsi verso una democrazia dell'alternanza. Uno dentro e uno fuori, io all'opposizione e tu in maggioranza. Uno schema bilanciato. Non ce la fa il Pci a trasformarsi aiutato da Moro, nella prima metà dei Settanta.
Moro viene ucciso anche per questo, per averci provato pur dentro una Guerra fredda che ritorna. E la mano passa a Craxi. Perché Craxi ha la fortuna di incrociare il cambiamento della politica estera americana con gli euromissili. La forza di Craxi nasce nel '79, con gli americani che scoprono l'Eni-Petromin, per fare fuori Andreotti; con il Preambolo nel febbraio '80 per far vincere la linea anticomunista nella Democrazia cristiana. Diventa così, un po' casualmente, ma anche intelligentemente, l'uomo degli americani e di conseguenza l'uomo decisivo per tutti gli anni 80».
Secondo te perché Moro viene rapito? Perché lui e perché quel giorno?
«Perché è l'uomo che può cambiare il sistema "convertendo" i comunisti e portandoli al governo. Lo avevano ammonito duramente a non farlo più volte nel 1975, e poi ancora a giugno del 1976 durante il vertice mondiale a Portorico, quasi nessuno lo ricorda. L'Italia, e personalmente Moro presidente del Consiglio, vengono lasciati fuori della porta mentre i grandi dell'Occidente discutono proprio del "pericolo Italia"».
Schmidt in particolare glielo disse, era un socialista...
«C'è un preannuncio, oggi potremmo dire drammatico. Moro, per gli americani e per gli equilibri del tempo, è un rompiscatole. La Guerra fredda non era uno scherzo, c'erano l'Alleanza Atlantica e il Patto di Varsavia. Il Pci dentro la Nato dava fastidio a tutti. Non so chi, non so come, ma sono certo che le Br sono state manovrate, prevalentemente dal Kgb. L'infiltrazione sovietica nell'area della protesta violenta era evidente. Nel gruppo romano non lo so, non credo. Ma nelle Br in genere penso di sì. Bisognerebbe chiedere a Moretti».
Tu allora cosa facevi?
«Ero il capo segreteria della direzione e lavoravo con Craxi».
Mi racconti del tentativo di Signorile e del Psi?
«Signorile sa le uniche cose serie e le ha raccontate».
Formica e Signorile nelle loro interviste mi hanno detto che avevate avvertito in quei giorni sia Cossiga che Leone.
«Craxi lo disse anche ad Andreotti. Ne sono certo».
Signorile dice di essere rimasto sorpreso dal fatto che nonostante tutti sapessero dei suoi contatti, nessuno fu pedinato. Tu che idea ti sei fatto di quei giorni?
«C'è un episodio che non posso dimenticare. Freato una mattina viene in Direzione e porta a Craxi una lettera di Moro. Mancano quindici giorni alla morte. Io rimango lì perché ero ansioso di sapere.
Lo vedo uscire. Mi chiama Craxi e lo trovo che sta piangendo, nella sua stanza, con la lettera in mano. Ha le lacrime agli occhi e quasi butta verso di me questa lettera dicendo: "Adesso arriva quello della polizia e la deve sequestrare. Fai una copia". Naturalmente non c'erano le fotocopiatrici all'epoca. Chiamiamo un fotografo di corsa e facciamo un'istantanea del testo.
Dopo dieci minuti arriva Spinella, che allora era a capo della Digos. Immagina: io con questa lettera in mano, Craxi che piangeva come un cavallo. Consegno il testo come se fosse sangue di Gesù Cristo. Ma rimango basito dalla reazione del capo della Digos: prende la lettera, neanche la guarda e se la mette in tasca. Rimane in piedi nella mia stanza, non vede l'ora di andarsene. Mi dice solo: "Ma che caspita! Ma perché ci state a far perdere tempo! Ma che è sta roba! Insomma è tutto deciso, non c'è niente da fare, smettetela di rompere le scatole, di far perdere tempo a tutti". Prende e se ne va. Era un bravo poliziotto, sia chiaro.
Ma era evidentemente impregnato del clima di quei giorni, del mondo in cui operava. Che probabilmente lo aveva dato per morto il giorno stesso in cui l'hanno preso. Ma come? Tutti sapevano che Signorile incontrava degli emissari dell'autonomia e nessuno segue lui o loro? E Gradoli, il rubinetto dell'acqua, il lago della Duchessa? Quel giorno, con il depistaggio eseguito dalla banda della Magliana, si vede chiaramente che c'è qualche cosa sotto.
Andreotti e Cossiga erano oggettivamente nella condizione di chi pensava o era costretto a pensare che la ragion di Stato, ammesso che tale fosse, dovesse prevalere sulla prospettiva della liberazione di Moro. Andreotti, che era più cinico e duro, va avanti come se niente fosse, Cossiga vive una autentica sofferenza. Cossiga assiste alla tragedia, al calvario. Perché avviene questo? Non posso saperlo. Forse perché c'era stato Portorico. C'è la rinascita della Guerra fredda, dietro».
Sia Moro che Berlinguer avevano, come dici tu, rotto le scatole agli americani e ai sovietici.
«Sì, anche Berlinguer era nel mirino dei sovietici. E la storia dell'attentato in Bulgaria è vera. È un tempo di nuove relazioni anche tra Pci e Psi sulla politica estera. A parte Sigonella c'è il dibattito parlamentare nel novembre dell'83 alla Camera sugli euromissili con Craxi che dà quasi ragione a Berlinguer, perché dichiara attenzione all'emendamento per tornare a trattare senza installare automaticamente.
Anche se poi il movimento pacifista continua e si accentua. Napolitano in un convegno nostro sulla politica estera del 2002 lo ha ricordato come un grande momento di dialogo. Capisco che Craxi stava sulle scatole a tanta gente, che i socialisti apparivano dei supponenti e antipatici di natura loro, però quando erano in ballo gli interessi superiori, quelli della Nazione, ci si ritrovava».
Che ruolo ebbero i consulenti americani?
«A settembre del '79 vado negli Stati Uniti su invito del governo americano; mi fanno anche fare il solito giro degli uffici competenti. Il messaggio diretto per Craxi me lo dette un ambasciatore mentre mi salutava sulla porta, prima che partissi. "Dipende tutto da Craxi, glielo riferisca" mi disse.
Si chiamava George Vest, è stato un grande ambasciatore, ed allora era il capo dell'ufficio Europa del Dipartimento di Stato. Noi avevamo capito che non c'erano solo dei monoliti a Washington, c'erano dei partiti, nel potere, che prescindevano dalle presidenze democratiche o repubblicane. C'era continuità, comunque, nella gestione del rapporto con l'Urss, con l'Europa, con la Guerra fredda. Cossiga e Andreotti avevano delle entrature storiche di alto lignaggio ed erano visti da lì come interlocutori forti. Ma i loro universi di riferimento erano spesso diversificati.
Andreotti stava con un mondo più progressista, sembra assurdo ma era così. Ovviamente a parte Vernon Walters, il suo amico d'infanzia. Cossiga guardava dall'altra parte. E durante la vicenda Moro chiese un aiuto e gli mandarono quel tizio che sembrava preoccupato solo di gestire la morte di Moro, non di liberarlo. Perché?».
Il sacerdote Don Mennini andò da Moro ?
«Non ho prove ma probabilmente sì. Il canale vero della Santa Sede era però il cappellano delle carceri attraverso cui si cercò di imbastire una trattativa. E questi gli avevano quasi detto di sì, perché il canale era robusto. Erano più seri, più dentro e più discreti e probabilmente una parte di quelli che tenevano Moro con i soldi ci sarebbero stati. Anzi, sicuramente. E i soldi a Castel Gandolfo c'erano. Li hanno visti, non dico che li hanno contati, ma hanno visto la stanza piena».
L'incontro Craxi-Zaccagnini come fu? Tu c'eri?
«Ero fuori dalla porta, non sono entrato. Era domenica e Zaccagnini chissà perché venne quel giorno, non c'era nessuno. Craxi lo ricevette al Partito. Dovemmo passare dall'entrata posteriore, usare l'ascensore di riserva, perché non c'era il portiere. Zaccagnini era teso, provato.
Parlarono mezz' ora. Craxi illustrò la proposta dello scambio. Questo era il tema. Zaccagnini era andato a sentire, incuriosito e forse desideroso di agire. Quando esce, è commosso, quasi piangente, e quando siamo sulla porta io gli dico: "Tanti auguri e forza, ne usciremo". Gli do del tu, lui mi guarda: "È difficile, difficile".
C'è due giorni dopo un incontro formale. La Segreteria democristiana e la Segreteria socialista si incontrano a piazza del Gesù, stanno chiusi cinque ore anche perché Craxi vuole far vedere ai giornalisti che li tiene stretti, li tiene al tavolo. Finalmente escono tutti. Ma sono rabbuiati, incazzati, preoccupati. Cipellini, il presidente del gruppo Psi del Senato, quasi mi grida che si è rotto e aggiunge: "Dicevano in continuazione 'non si tratta, non si tratta'. E allora io gli ho ricordato la grazia a Moranino! Non vogliono assolutamente nessuno scambio"».
Pci e Psi, conflitto perenne ed eterno?
«C'è l'incontro delle Frattocchie nell'83. Fu un'occasione in cui i due partiti forse potevano recuperare un rapporto. Craxi non voleva farsi attaccare troppo in campagna elettorale, era già stato arrestato quello di Genova, Teardo. Il Pci, passato all'alternativa, non voleva litigare con i socialisti.
Stanno lì una giornata a discutere, fanno colazione insieme alle Frattocchie e durante la pausa poi si mettono a parlare più liberamente. Fanno un comunicato, alla fine, di rilancio del dialogo in cui si dice addirittura, dopo aver denunciato il concentrarsi di attacchi contro le giunte di sinistra: "Alcune delle iniziative giudiziarie in corso non possono non suscitare, in questo quadro, forti dubbi di strumentalizzazione.".
Craxi prende sottobraccio Reichlin e gli sussurra: "Perché non convinci Berlinguer a venire a Milano a trovarmi e lo porto io in giro un paio di giorni e gli faccio vedere come è davvero l'Italia di oggi? Come la gente sta bene, vive, lavora, sfrutta il prossimo, si arricchisce, stanno tutti come papi". Leggevano la società italiana in due modi molto diversi».
Quando morì Berlinguer Craxi come reagì?
«Siamo a Londra, una visita ufficiale alla Thatcher. Verso le dieci, dieci e mezzo di sera torniamo in albergo, nella hall ci sono tutti i giornalisti pronti a bloccare Craxi e lui si mette lì a parlare.
Da pochi giorni c'è stata la rottura sulla Scala mobile. Io me ne vado a letto perché non mi va di stare lì, ma immagino che abbia criticato duramente Berlinguer. Sono a letto, verso mezzanotte mi telefona con la voce strozzata dicendo: "Vieni qui, corri". Corro là pensando che stesse male. È ancora vestito e mi dice "Berlinguer sta per morire, ha avuto un malore mentre faceva un comizio, sto parlando col prefetto di Padova, mi sta richiamando per dirmi come sta.".
Era come impazzito, andava in giro per la stanza con le braccia alzate come un matto. Può darsi fosse anche preoccupato per quegli attacchi, ora sgradevoli. Ma era davvero addolorato, era uno come lui, della sua generazione, che se ne stava andando. Uno con cui aveva combattuto ma che stimava, sentiva dalla stessa parte. Craxi con la morte ha avuto sempre un rapporto difficile, si ritraeva nel giudizio. Anche quando doveva fare una commemorazione, per esempio di Nenni, quasi non riusciva a parlare, commosso e teso pensando al dopo».
I fischi a Verona. Condividesti la frase di Craxi che li rivendicò?
«Tecnicamente ha fatto una fesseria. Ha detto una cosa in cui credeva profondamente, anche con ragioni, che però era del tutto inopportuna. Su questo non c'è dubbio, io non l'avrei detta. Stiamo nella fase più brutta dei rapporti a sinistra. C'è lo scontro sulla Scala mobile, che divide anche la Cgil e quindi il Pci. Una cosa oggi incomprensibile perché poi, nel profondo, il Partito comunista era d'accordo sull'abbassare l'inflazione, come si faceva ad andare avanti col venti, venticinque per cento di aumento del costo della vita?
Era una situazione del Paese che il loro senso di responsabilità nazionale non poteva tollerare alla lunga e che avrebbe colpito i più poveri. Ma era Craxi a proporlo e Craxi era l'avversario. Craxi non avrebbe voluto mai rompere, fino all'ultimo tenta disperatamente di non rompere, non vuole rompere.
Quando, due anni dopo, De Michelis gli porta la legge sulle pensioni, che avrebbe anticipato la riforma di dieci anni dopo, lui non lo aiuta. Sai perché? Perché non vuole tornare a litigare».
Quando è che Craxi capisce con Tangentopoli che è finita?
«Agli inizi degli anni 90 Craxi è sempre meno lucido. I cinque anni dopo il 1987 sono stati per lui anni difficili, soprattutto perché ha scelto di aspettare il suo turno, dopo la Legislatura "riservata" alla Democrazia cristiana. Certo non gli mancavano vitalità, combattività ed anche lucidità ma contemporaneamente aumenta il suo pessimismo "naturaliter".
Lui ha visto il gioco del potere mondiale al di là del sipario: tutto, dentro e fuori, il buono il cattivo. Ed è anche la condizione degli uomini. Allora questa fragilità umana rispetto al potere quasi lo demoralizza, nel senso che lo rende ancora più perplesso, io dico pessimista. Ma dopo il 1992 si sente anche abbandonato e tradito. E questa condizione lo porta a chiudersi ulteriormente; apparentemente è sempre se stesso, il battagliero, il leader che ha capito tutto e tutto domina. Ma dentro di sé ha profonde incertezze. Alla fine perde lucidità di analisi, travolto dagli avvenimenti e anche abbandonato da chi lui credeva più vicino. È la fase finale».
L'autocritica che i socialisti possono fare guardando la loro storia quale è?
«Noi avevamo l'occasione un po' fortunosamente di cambiare il sistema negli anni 80 e non l'abbiamo colta. Perché c'era una fase di decadenza dei due maggiori partiti, soprattutto i comunisti, e nessuno ci ha veramente aiutato a prendere i loro voti, a partire dai preti. Il campo era potenzialmente sgombro e noi avevamo il leader migliore che c'era sulla piazza.
Ed eravamo anche il gruppo dirigente più intelligente e più moderno d'Italia. Ma non avevamo i voti. Alla fine i recinti democristiano e comunista in fondo tengono, anche se ammaccati. Per me il momento decisivo è dopo la crisi del 1987, il punto più alto della confusione democristiana e della autorevolezza di Craxi.
Lui allora doveva avere la forza di dire: "Io sono il bene, questi sono il male. Io sono la nuova Repubblica, l'Italia moderna e ve l'ho dimostrato con il buon governo di quattro anni e questi mi vogliono mandare via". Purtroppo Craxi era innanzitutto un uomo di partito, nato nel partito e incapace di comprendere un'azione, una rivoluzione senza di esso. "Io contro i partiti! E come faccio? È la mia vita il mio partito"». Rinunciò ai voti, ma non a se stesso.
Sinistra DC + PCI --> PD Grandi motori autoinculanti, prima, durante e dopo Moro.
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gandol · 3 years
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Sembra passato un secolo da quando Andrea Crisanti, microbiologo dell’Università di Padova, nel giugno 2020, parlò a Un giorno da pecora della sua estrema riluttanza a rilasciare interviste: «Faccio fatica a parlare, soprattutto in tv». Seguirono un migliaio di interviste, ospitate, interventi, polemiche, alterchi, fino a quando al Corriere del Veneto, il 21 ottobre, confessò di essere stremato e annunciò il ritiro, o quasi: «Sono stanco e sovraesposto. Serve un giro di vite, limiterò di molto la mia presenza su giornali e tv». Il giorno dopo si presentava sorridente a Piazzapulita. Da allora, Crisanti, insieme al professor Massimo Galli, è stato forse l’ospite più invitato delle tv italiane
E questa introduzione da la misura del personaggio.
Ad aprile disse: a fine maggio ci sarà una nuova ondata. Non si è vista. «Non dissi così. Dicevo solo che era intempestivo aprire allora».
Dichiarazione:  "Di questo passo non è pessimistico pensare che a fine maggio ci sarà una nuova ondata, ma assai realistico".
Sì, quindi in pratica non l’ha detto ma l’ha predetto. Non è Cassandra, perché ella era sì profeta di sventura ma aveva ragione. Lei, sig. Crisanti, ha detto una cosa nascondendola dietro formule dubitative. Lei avrebbe detto che i Greci sarebbero arrivati dal mare o dalla Terra e poi vedendoli uscire dal cavallo avrebbe affermato: “Ecco! visto che i greci c’erano?” Ma fin qui andrebbe anche bene: le previsioni sono statistica, uno può anche avere i dati dalla sua, dare un’interpretazione formalmente corretta della probabilità, ma poi la cosa più probabile non si realizza.
I numeri dei decessi sono calati drasticamente ma per lei «non c’è niente da festeggiare». «Beh sì, non andrei orgoglioso di questi numeri. Dal 26 maggio a oggi ci sono state 7 mila vittime. Se mi avessero ascoltato ce ne sarebbe state molte meno».
Questo dato da dove arriva? Secondo le statistiche del ministero ci sono stati circa 1900 morti dal 25 maggio. Tirando fuori i dati a muzzo tutti possono dimostrare qualsiasi cosa.
Ma non ne stiamo uscendo comunque? «No, restiamo un Paese molto vulnerabile. In Germania i contagi aumentano, perché si fanno tamponi e tracciamento. Qui o se ne fanno pochi o troppi antigenici e pochi molecolari. Non ne ho idea».
L’idea non è sbagliata. Ma il problema è che la frase non significa nulla perché si chiude con un “non ne ho idea”. Come dire: “questo è un buon prodotto oppure è uno pessimo. A te la scelta”. Ma la dichiarazione rende impossibile una decisione posata, perché il valore dell’informazione trasmessa è zero.
Come non ne ha idea? Comunque su AstraZeneca gira un suo vecchio tweet: «Consiglierei AstraZeneca senza dubbio anche alle donne giovani». «Mai scritta questa cosa».
Che è una risposta da paraculo, avendolo lei detto e non scritto. Poi, sig. Crisanti, ha ragione sul fatto che i giornalisti non dovrebbero sintetizzare in un virgolettato un pensiero più complesso. Ma non è quello che sta sostenendo lei.
  Può capitare di sbagliare. «No».
L’unico modo che esiste, per non sbagliare mai, è non fare mai nulla. Oppure dire tutto e il contrario di tutto.
Avrà cambiato idea qualche volta. «No, non sono una banduerola».
Essere coerenti non significa non cambiare mai idea ma essere privi di contraddizioni. La banderuola non è incoerente, perché fa il suo lavoro, ovvero segnalare da che parte tira il vento.
Ma spesso si è contraddetto, come molti suoi colleghi. Anche il professor Galli ha ammesso di non avere indovinato le ultime previsioni. Lei non sbaglia mai? Non fa errori? «Quali errori? Me ne dica uno».
Per esempio il fatto di aver aspettato una morta legata al vaccino di Astrazeneca per attaccare tutto il mondo e guadagnare visibilità. Il discorso che lei aveva fatto il 7 aprile sostenendo che i vaccini sono statisticamente più sicuri di altri eventi a cui la gente si presta volentieri non era sbagliato per se. E’ sbagliato il fatto che oggi lei rinneghi quanto ha detto tre volte prima che il gallo canti; questo significa essere incoerenti.
A lei non viene in mente proprio niente? «No. Anzi, se mi avessero dato retta a febbraio, Lombardia e Veneto non avrebbero fatto quella fine».
Va bene, se lei fosse il Dio Imperatore Crisanti le cose andrebbero diversamente e vivremmo tutti nel regno di Utopia. E se mio nonno avesse avuto le ruote sarebbe stato un tram e io sarei andato a Milano senza pagare il biglietto.
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akire-onyxe · 3 years
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Scrivere le proprie emozioni i propri sentimenti non e semplice.
Ma ci proverò.....
Quanti dubbi o su di te quante domande mille curiosità che tengo per me. Ci conosciamo solo da due settimane e voglio provare a raccontarle in un modo o nel altro..
Il giorno che ti ho conosciuto.
Inizia bene questo anno l'ora più o meno sarà stata l'una di notte.... Ci siamo messi a palrare fino alle 6 di mattina e tu il giorno dopo lavoravi ma comunque avevi voglia di stare al telefono con me...
Nei giorni successivi abbiamo parlato tutti i giorni appena potevamo appena avevamo il tempo lo sfruttavamo per parlare per sentirci e più parlavamo più aumentava la voglia di vederci di viverci..
Una semplice videochiamata, avevo visto le tue foto che ci siamo mandati ma tu ai voluto farmi contare fino a 10 e appena mi ai detto guarda il telefono c'era la tua richiesta di videochiamata e li parti il batticuore...
La voglia di vederti era troppa piu parlavamo e più aumentava poi un giorno mi dissi "inizia la settimana delle belle cose" e sono state davvero belle inaspettate...
Avevi deciso di venire da me senza dirmi nulla di quando saresti venuto, avevi intenzione di farmi una sorpresa, ma grazie a una tua semplice domanda e a una mia confusa ma giusta risposta ho vinto e mi ai dovuto dire il giorno che saresti venuto e l'agitazione saliva sempre di più giorno dopo giorno...
Primo incontro
L'agitazione parte già dalla mattina il cuore a mille le ore che sembravano infinite ma poi arrivò l'ora prestabilita e con le farfalle nello stomaco ti incontrai...
Un abbraccio, un bacio dio quel bacio volevo che quel istante non finisse mai il cuore mi stava esplodendo dal petto... Decidemmo di andare in un piccolo centro commerciale e lì mi accorsi che conoscevi la mia città meglio di me...
L'agitazione pian piano si calmo ma la mia timidezza non riusiva ad andarsene era sempre lì anche se cercavo in ogni modo di nasconderla.
Giunti sul posto entrammo molto tranquilli in un negozio di tecnologia, siamo andati diretti alle tv e li ai fatto un piccolo gesto che per te puo magari non significare banale ma a me a fatto venire di tutto... Non avrei mai pensato che un tuo braccio sulla mia spalla potesse farmi interviste così tanto, di mia spontanea volta ti presi la mano e cercavo di stare più tranquilla possibile anche se davvero era difficile... E da lì piccoli baci innocenti abbassando le nostre mascherine...
Mentre cambiammo negozio mi presi in braccio una cosa che io odio ma che mi a fatto ridere piacere e impazzire per la pacca sul sedere...
Entriamo in negozio solo per fare un giro e fare come i bambini e tu li ai fatto un gesto un semplice piccolo gesto che mi a lasciata senza parole mi ai abbassato la mascherina così di punto in bianco e mi ai baciata lasciandomi di stucco. Li in quel istante in quel piccolo e inocente gesto ai rubato la mia anima ai rubato qualcosa di me...
E siamo giunti a fine giornata...
Il mio farti venire voglia di me nel mentre mi portavi a casa farti impazzire dio quanto mi piace semplicemente con dei baci sul collo...
Guanti vicino casa mia nessuno dei due voleva andarsene mille baci mille cose il tuo fare cento il mio fare mille... La voglia uno del altro la voglia di stare insieme.... Sei partito sono tornata a casa il tuo profumo che mi faceva stare in paradiso e poi la notte la telefonata e parlare tutto cio che era successo....
Passano ancora giorni ma non troppi ma sentavano infiniti la voglia di stare con te che non se ne va ma aumentava solamente.... Decidi di venire da te di passare ancora del tempo con te....
Secondo incontro
Mi alzo e rimango calma il piu possibile preparo biglietto e di te nessuna traccia ma decido di partire pensando "spero si svegli" e per mia fortuna ti svegliai..
Giunta da te mi portai dove di solito andavi per stare tranquillo in pace con il mondo e si mi è piaciuto come posto e davvero tranquillo bello speciale per certi versi li baci abbracci e scherzi...
Da lì decidemmo di andare in un posto isolato nascosto per fare cento per fare Mille per fare milione....
La voglia che aumentava la tua voglia di vendicare tutta la voglia che ti o messo la voglia di noi...
Mi vengono i brividi solo a pensarci...
Quel giorno era da tanto che non mi lasciavo andare era da tanto che non desideravo così qualcuno, i tuoi baci le tue mani sul mio corpo il tuo respiro su di me il tuo corpo sopra il mio..Finalmente ero tua finalmente eri mio eravamo una cosa sola solo al pensarci mi fa tremare il corpo...
E la tua frase che mi a mandato in tilt "dentro di te così sei completamente mia".... E lo sono stata e lo voglio essere ancora come io ti voglio mio completamente mio...
Non volevo andarmene non volevo finisse mai....
E i miei dubbi iniziano cosa pensi di me davvero non o nessun difettato daverro sono bella davvero mi vuoi davvero non mi usi....
Vedremo cosa succederà vedremo come andrà...
L'unica cosa certa è che non ti voglio perdere...
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gloriabourne · 5 years
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The one with the smell of rain
Nelle ultime ventiquattro ore era successo veramente di tutto. Erano successe così tante cose che Fabrizio aveva ancora qualche problema a rendersi conto che la sensazione di calore, data dalle dita di Ermal intrecciate alle sue, era reale. Non sapeva di preciso come, la sera precedente, fossero passati dal chiacchierare sul balcone a fare l'amore come se fosse l'ultima occasione per farlo. Davvero, Fabrizio non ricordava come avessero passato quel limite. Ma l'avevano fatto. Un attimo prima stavano sorseggiando vino mentre Ermal gli raccontava quali impegni lo avrebbero tenuto occupato il giorno seguente e ringraziava Fabrizio per averlo ospitato a casa sua, e l'attimo dopo erano uno tra le braccia dell'altro. Quando si erano svegliati quella mattina, quasi non si erano rivolti parola, un po' per l'imbarazzo e un po' perché non avevano avuto tempo, presi com'erano dai propri impegni. Erano riusciti a chiarire le cose solo dopo pranzo, e in realtà "chiarire" era un termine grosso. Semplicemente Ermal gli aveva preso la mano mentre erano seduti a tavola - esattamente come aveva fatto in quel momento, mentre fissavano il cielo grigio seduti in balcone - e Fabrizio aveva capito che sarebbe andato tutto bene, che qualsiasi cosa ci fosse tra loro non sarebbe finita lì. O almeno era quello che sperava. Però, era ancora difficile rendersi conto del fatto che il loro rapporto fosse davvero cambiato definitivamente. Fabrizio se ne stava in silenzio, aspettando che fosse Ermal a dire qualcosa e allo stesso tempo sperando che non lo facesse. Il silenzio tra loro era qualcosa di rilassante, mai pesante o imbarazzante e a Fabrizio piaceva la sensazione di poter stare bene con qualcuno rimanendo semplicemente in silenzio. "Beviamo qualcosa?" chiese Ermal voltandosi per un attimo verso di lui. "Mi sa che per questa sera abbiamo bevuto abbastanza" disse Fabrizio sorridendo. Avevano iniziato a bere appena Ermal era rientrato a casa di Fabrizio - dopo l'ennesima intervista della giornata - ed entrambi avevano perso in fretta il conto dei bicchieri. "Vero. Ma siamo giustificati, dovevamo festeggiare" rispose Ermal. "Festeggiare?" "Tra poco sono due anni da quando abbiamo scritto Non Mi Avete Fatto Niente, e guarda quanti traguardi abbiamo raggiunto!" Fabrizio sorrise felice vedendo quanto Ermal fosse entusiasta. Gli sembrava di essere tornato a Sanremo, la sera in cui erano stati proclamati vincitori di un festival in cui per un attimo anche loro avevano smesso di credere. Quella sera di febbraio, Fabrizio aveva visto la stessa luce negli occhi di Ermal. Forse era stato proprio in quel momento che si era innamorato di lui. "E poi..." disse Ermal incerto un attimo dopo. "Poi?" "Dobbiamo festeggiare ieri sera." Fabrizio sorrise rassicurato dal fatto che Ermal fosse convinto quanto lui che ciò che era successo tra loro fosse qualcosa da festeggiare, ma non poteva fare a meno di volere delle risposte. Per quanto lui non amasse darsi etichette, definire le cose, in quella particolare situazione sentiva il bisogno di avere delle certezze. Non riusciva nemmeno a spiegarsi perché, se questa sua necessità fosse data semplicemente dal fatto che stava invecchiando e che forse voleva più stabilità di quanta ne avesse avuta in passato, o se fosse Ermal a fargli desiderare delle certezze e dei limiti che non aveva mai creduto di volere. "Forse prima di festeggiare dovremmo parlare" disse Fabrizio. Ermal annuì. "Dovremmo. Ma possiamo evitare? Ti prego." Di fronte alle suppliche di Ermal, per Fabrizio era difficile resistere. Ma in quella situazione doveva almeno provarci. "No, Ermal, non possiamo. Lo sai anche tu." Ermal sospirò. "E va bene. Che vuoi che ti dica?" Fabrizio aggrottò la fronte davanti all'atteggiamento quasi scocciato del collega. "In che senso? Io voglio solo che parliamo di quello che è successo." "Ok, perfetto. E cosa vuoi sentirti dire?" "Io non voglio sentirmi dire nulla. Vorrei solo che tu mi dicessi cosa pensi, cosa provi" rispose Fabrizio sempre più confuso. Sembrava che Ermal temesse di dare una risposta sbagliata a quelle domande, come se Fabrizio lo stesse sottoponendo a un esame, e che quindi cercasse di capire i pensieri del più grande prima di esternare i suoi. "Non possiamo semplicemente goderci questo momento, senza troppe parole?" disse Ermal voltandosi verso di lui solo per un secondo, e poi tornano a fissare il cielo. Stava per piovere, ne era certo. E quasi ci sperava, come se la pioggia potesse essere in grado di lavare via quella conversazione prima che fosse troppo tardi. Ma in fondo, Ermal sapeva che la pioggia non sarebbe stata una soluzione. "Di solito, sei tu quello che vuole parlare" constatò Fabrizio. "Non questa volta." "Perché no?" Ermal rimase un momento in silenzio, poi si voltò verso Fabrizio e disse: "Perché se parliamo, si complicherà tutto. Io voglio che le cose tra noi rimangano semplici." Probabilmente se avesse visto la situazione dall'esterno, in quel momento Fabrizio avrebbe riso. Non riusciva a capire come fosse stato possibile, ma sembrava che lui ed Ermal si fossero scambiati i ruoli: improvvisamente era diventato lui quello che voleva certezze e cose stabili, ed Ermal era diventato quello che cercava di scappare, che voleva la libertà e le cose semplici. "Le cose tra noi non sono mai state semplici" gli fece notare Fabrizio. Ed era la verità. Fin dai loro primi incontri, durante la stesura della loro canzone, le cose tra loro erano state difficili. Parole non dette, abbracci, sfioramenti più o meno casuali... Tutto ciò che c'era stato tra loro non aveva fatto altro che rendere tutto complicato. E con il festival di Sanremo, l'Eurovision, le interviste fatte insieme, le speculazioni che c'erano state su di loro nell'ultimo anno e mezzo, la situazione era solo peggiorata. "Non così tanto, in realtà" rispose Ermal criptico. "Che vuoi dire?" Ermal lo guardò per un attimo, quasi studiandolo. "Quello che è successo ieri sera, lo rifaresti?" "Sì, certo." "Bene, anch'io. Non possiamo limitarci a questo? È così semplice." "Non c'è niente di semplice quando ci sono di mezzo i sentimenti." Ermal si lasciò sfuggire un sbuffo scocciato. "Invece è ancora più facile. Io so che sto bene con te, che mi fai sentire felice anche nelle giornate storte e che vorrei che fosse sempre così. Che altro c'è da dire?" Forse aveva ragione, forse non c'era nient'altro da dire. Eppure Fabrizio continuava a sentire il bisogno di chiarire le cose, di sapere con certezza fino a che punto poteva spingersi con Ermal, quali cose poteva fare e quali no. Non voleva rischiare di lasciarsi sfuggire un nomignolo carino di troppo e poi magari rimanerci male di fronte a un'espressione contrariata di Ermal, tanto per fare un esempio. Voleva - anzi, doveva - essere certo di quale fosse il limite oltre il quale non poteva spingersi. E proprio perché non sapeva quale fosse quel limite, rimase in silenzio. Il cielo era sempre più scuro, si era alzato finalmente un po' di vento e l'afa che aveva soffocato la città era sparita. Sembrava che si respirasse meglio, ma era solo apparenza. Era solo questione di tempo prima che scoppiasse un temporale e Fabrizio temeva che sarebbe stata questione di tempo anche per lui ed Ermal. Temeva che di quel passo, sarebbero scoppiati anche loro. Un tuono squarciò il silenzio e pochi attimi dopo le prime gocce di pioggia iniziarono a cadere. "È meglio se entriamo" disse Fabrizio con tono piatto, prima di alzarsi dalla sedia di plastica su cui era stato fino a quel momento e rientrare in casa. Solo in quel momento si accorse che le dita di Ermal non erano più intrecciate alle sue. Preso com'era dalla loro conversazione, non si era nemmeno accorto del momento in cui Ermal si era allontanato da lui. Sospirò, domandandosi silenziosamente se quella sarebbe stata l'ultima volta in cui avrebbe avuto le dita di Ermal tra le sue, se avesse davvero rovinato tutto con le sue assurde parole. Ermal lo seguì in casa lasciando la porta del terrazzo aperta, facendo in modo che il vento rinfrescasse la casa e sperando che rinfrescasse anche le sue idee. Capiva perfettamente il punto di vista di Fabrizio. Solo qualche anno prima, anche lui avrebbe visto quella situazione nello stesso modo. Ma le cose erano cambiate. Lui era cambiato. Aveva avuto una relazione lunga, che credeva sarebbe durata per sempre, e l'aveva vista distruggersi in un attimo, facendo crollare tutte le sue certezze. E ora era terrorizzato che sarebbe successo ancora. Ma se avessero lasciato le cose come stavano senza imporsi nulla, vivendo quel rapporto giorno per giorno, forse avrebbe fatto meno male. Ermal sapeva che non doveva lasciarsi sopraffare dalla paura, ma sapeva anche che non poteva imporsi di essere coraggioso. Rimasero entrambi in silenzio a fissare il cielo, mentre aspettavano che il temporale passasse e mentre decidevano quale sarebbe stato il loro futuro. Quando ormai la pioggia aveva iniziato a cadere più lentamente - segno che a breve avrebbe smesso di piovere - Ermal sussurrò: "Petrichor." Fabrizio si voltò verso di lui guardandolo confuso. "Cosa?" "È una parola inglese, indica l'odore della pioggia sulla terra asciutta. Esiste anche in italiano, petricore, ma è poco conosciuta" spiegò Ermal. Fabrizio si domandò per un attimo per quale motivo Ermal si fosse messo a parlare dell'odore della pioggia in un momento del genere, quando avevano ben altro di cui parlare, ma si limitò a rispondere: "Ah. Io l'ho solo sempre chiamato odore della pioggia." "In parole povere, è quello. Ma non è semplicemente l'odore della pioggia. È l'odore della pioggia sulla terra asciutta, solitamente dopo un periodo secco. Lo si sente spesso nei temporali estivi." "Ti sei mangiato un dizionario?" lo prese in giro Fabrizio, anche se in realtà gli piaceva quel modo di fare di Ermal un po' saccente, quel suo spiegargli anche le cose più difficili in modo così banale da farle sembrare semplici. Ermal sorrise. "No, solo la pagina di Wikipedia. La prima volta che ho letto questa parola, frequentavo l'università. Era in un libro di inglese e non avevo minimamente idea di cosa significasse e non riuscivo nemmeno a trovare una traduzione soddisfacente. Anni dopo, l'ho ritrovata in una canzone e così ho cercato un po' su internet. E ho trovato una pagina di Wikipedia che spiegava di preciso cosa significasse." Fabrizio, che aveva osservato Ermal durante tutto il suo breve racconto, tornò a fissare fuori. L'odore della pioggia - anzi, il petricore - gli aveva invaso le narici trasmettendogli quel familiare senso di pace che sentiva sempre dopo un temporale. "Come mai si sente solo in questo periodo? In inverno, non c'è mai questo odore quando piove" chiese curioso, voltandosi di nuovo verso Ermal. "Perché deriva da una essenza che viene prodotta da alcune piante durante i periodi di siccità e che viene poi assorbita dal terreno. Quando piove, questa sostanza si diffonde nell'aria insieme alla geosmina e produce questo odore. In inverno, è difficile che ci sia abbastanza siccità da fare in modo che si scateni tutto questo meccanismo" spiegò Ermal. Fabrizio avrebbe voluto che quella fosse la loro quotidianità: Ermal che gli spiegava le cose, lui che fingeva di capirle e che magari, quando le capiva davvero, fingeva di no solo per farsele spiegare di nuovo e sentire ancora la voce di Ermal. Ma forse avevano idee diverse su come dovesse essere il loro rapporto. "Sembra una cosa complicata" disse dopo qualche secondo, solo per paura di rimanere in silenzio. Un silenzio che, per la prima volta da quando si conoscevano, lo avrebbe fatto sentire tutt'altro che rilassato. "In realtà, non lo è. Non pensare a tutto quello che c'è dietro, pensa solo a quello che percepisci tu: odore di pioggia. Basta." "Se la metti così è semplice" rispose Fabrizio con un sorriso. Come facesse Ermal a fargli spuntare il sorriso anche di fronte a un discorso del genere, doveva ancora capirlo. Ermal si voltò completamente verso di lui, rivolgendogli la sua totale attenzione, e disse: "Fallo anche con me." "Cosa?" chiese Fabrizio senza capire di cosa stesse parlando. "Non pensare a tutto quello che c'è tra noi, a tutte le ricadute che potrebbe avere una nostra possibile relazione. Guardami e dimmi semplicemente cosa vedi." Fabrizio, in Ermal, ci vedeva un sacco di cose. Vedeva un collega, un amico, una persona su cui fare affidamento. Vedeva una luce da seguire, un porto sicuro nei giorni di tempesta, una spalla su cui piangere e qualcuno con cui ridere. Vedeva il sole nei giorni di pioggia, vedeva il mare anche nei suoi occhi scuri. Vedeva un sacco di cose che in una persona non aveva mai visto, e tutte quelle cose potevano essere riassunte in una sola. "Vedo la persona che amo." Ermal sorrise e annuì. "È la stessa cosa che vedo io quando guardo te. Vedi che avevo ragione: le cose possono essere semplici. Come l'odore della pioggia." "Il petricore" lo corresse Fabrizio. Ermal scosse la testa. "No. Petricore è una definizione difficile. Odore della pioggia è più semplice e soprattutto più chiaro. Così come dire che ti amo e che tu ami me è più semplice e più chiaro di qualsiasi altra definizione." Fabrizio sorrise e attirò Ermal a sé, stringendolo in un abbraccio. L'odore della pioggia non era più solo nell'aria, ormai l'avevano anche addosso e Fabrizio lo respirò direttamente dalla pelle di Ermal, mentre teneva la testa nascosta nell'incavo del suo collo. Respirava amore e pioggia. Niente di più semplice. E andava bene così.
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Capitolo 52 - Cervi, medagliette e microonde
Nel capitolo precedente: Angie accetta di uscire con Dave. Eddie la cerca ancora al telefono, è costretta a rivelare a Meg cosa è successo a San Diego e cerca di spiegare all’amica il suo punto di vista sulla faccenda e perché lo sta evitando. Grace e Meg hanno pianificato una serata assieme a casa di quest’ultima, per un caso Grace resta sola quando Stone chiama. Gossard si mostra come sempre molto affettuoso con lei, che ne sembra un po’ intimorita. Grace parla al telefono anche con Eddie e, non sapendo nulla del bacio tra lui ed Angie, pensa di scuoterlo un po’ facendolo ingelosire e raccontandogli dell’uscita tra lei e Dave. Eddie la prende malissimo. Grace se ne pente una volta che Meg le rivela a che punto sono davvero Angie ed Eddie. Quando la ragazza torna a casa è costretta dalle amiche a chiamare Vedder e dirgli la verità. Angie si decide, affronta Eddie e svela che Dave ha iniziato a uscire con la bassista delle L7 e che lei lo ha solo accompagnato a un loro concerto, pur di non farlo andare da solo, per evitargli imbarazzi. Eddie allora si scusa con Angie e le confessa quello che prova come mai gli era riuscito prima. Le amiche di Angie sentono tutto, avendola obbligata a usare il vivavoce.
Intensa fragranza usata in profumeria. Sette lettere. Inizia per M. Mughetto! No, sono otto. Mango... Magnolia... Boh? Stranamente sono riuscita a mettere le mani sulla copia del Seattle Times che ogni tanto entra in casa nostra prima che Angie, come al solito, faccia il cruciverba. Ora però mi sa che mi tocca chiedere aiuto alla mia socia, perché sono nella nebbia più totale.
“Allora, ti stavo dicendo, mi presento al tavolo, solito saluto d'ordinanza con sorriso incorporato, chiedo alla tizia cosa prende e questa mi chiede, testuali parole, un cheeseburger senza formaggio e delle patatine” la porta della sua camera è aperta, mi affaccio con circospezione e la vedo al telefono. Ovviamente non ho bisogno di sapere con chi sta parlando, dalla sera in cui io e Grace siamo miracolosamente riuscite a convincerla a richiamare quel povero Cristo di Eddie ce ne sono state altre di chiamate, tutti i giorni. Per nostra sfortuna senza viva voce. Cazzo, quando ha aperto il suo cuore ad Angie io e Grace ci siamo sciolte in sospiri e aaaaaaw che per un pelo Vedder ci sgamava. Sono un'impicciona? Sì. Mi interesso alla vita sentimentale altrui per evitare di pensare al disastro della mia? Ebbene sì. Sono però anche genuinamente felice che alla mia amica le cose girino per il verso giusto come si merita? Eccome!
“Aspetta, rimango spiazzata per un attimo per il modo in cui si è espressa, poi rispondo: perfetto, allora le porto il menù Go-go con hamburger più patatine più bibita media a quattro dollari e novantanove. Va beh, in pratica non mi fa neanche finire di parlare e mi dice: No, no, io non voglio un hamburger. Voglio un cheeseburger senza formaggio” Angie dondola a destra e sinistra, cullandosi sulla sua sedia con le rotelline, mentre ascolta sorridendo la replica del suo bello.
“Esatto! Ahah stessa cosa che le ho detto io: quindi... un hamburger, signora? NO! Risponde lei seccatissima. Ho detto che non voglio un hamburger, ho chiesto un cheeseburger senza il formaggio! Ti giuro che urlava, mi sono vergognata per me, ma anche un po' per lei” Angie ruota un pelo di più sulla sedia e mi vede, facendomi un cenno.
“Ovviamente non mi sono scomposta e le ho detto: allora vuole pagare un dollaro in più per un cheeseburger, ma lo vuole senza formaggio?” Angie e io scoppiamo a ridere assieme mentre entro in camera sua schiodandomi dalla porta, poi continua “Eh sì, perché il menù col cheeseburger costa di più, è quella la cosa assurda! Se io prendo l'ordine come menù cheeseburger, anche se segnalo alla cucina di non mettere il formaggio, sarà sempre considerato un cheeseburger. Va beh, questa stronza sgrana gli occhi e mi fa: Sì, esatto! Era così difficile da capire? Ahahah eh, te l'avevo detto che era una stronza!”
“Il cliente ha sempre ragione!” esclamo io sedendomi sul suo letto.
“Ehi, tu e Meg avete detto la stessa cosa quasi contemporaneamente! Comunque, visto che il cliente ha sempre ragione e questa qua mi aveva appena dato della menomata mentale senza capire che l'unica ottusa era lei, le ho risposto: Assolutamente no, signora, un menù Marilyn con cheeseburger senza formaggio, patatine e bibita a cinque dollari e novantanove per lei? E quella: ecco, sì, adesso ci siamo, grazie. Ma vai a cagare! Eheh... aspetta un secondo, ok?” Angie se la ride con Eddie, poi gli dice di attendere e scosta solo leggermente il telefono dall'orecchio, rivolgendosi a me “Volevi dirmi qualcosa?”
“Intensa fragranza usata in profumeria, inizia per M, sette lettere” le domando mostrandole il giornale.
“Muschio” risponde subito senza battere ciglio. E' vero! Perché non mi veniva? La odio, cazzo.
“Sì, può essere, in effetti ci sta”
“Non può essere: è!” gongola per poi portarsi di nuovo il telefono all'orecchio “Cosa? La sapevi anche tu? La sapeva anche lui”
“Beh grazie a tutti e due, ma non tiratevela troppo!” ribatto lanciando un cuscino ad Angie, che però riesce a schivarlo, per poi raccoglierlo da terra.
“Purtroppo usata in profumeria, aggiungerei... Come perché? Il muschio è dannosissimo, sia quello sintetico che il muschio naturale... Beh, nel dubbio, tra estinzione totale di una specie animale e inquinamento, meglio non scegliere nessuno dei due e usare altre profumazioni, no? Come che animale? In che senso? Tu sai da dove deriva il muschio, vero?” parte un dibattito tra Eddie ed Angie di cui io sento solo una parte, anche se credo sia comunque la parte più consistente “Pianta? Ma che pianta? Il muschio non è una pianta! Cioè, sì, esiste anche la pianta, ma non è quello che si usa per fare i profumi. No! E' una secrezione animale, di un cervo per la precisione. Ma no, non ti sto prendendo per il culo, Eddie, giuro! Questi cervi hanno una ghiandola, una specie di sacchetto sotto la pancia che secerne questa sostanza, e la spargono nel loro ambiente per marcare il territorio, specialmente nella stagione degli amori... Ahahah no, Eddie, non è sperma di cervo!”
Non la tipica conversazione tra innamorati eh?
“Comunque credo che ora sia per lo più sintetico” commento io dopo aver finito di scrivere la risposta giusta nelle caselle.
“Tanto peggio, perché inquina e finisce pure nella catena alimentare.” risponde Angie sia a me che a Eddie “Come? Ahahah no, niente profumo al muschio in regalo per me, grazie. E niente regali in generale, me ne hai fatti già troppi... Sì invece... Sì invece... Eddie? Per favore... Dai...” ora torniamo più su conversazioni di coppia, Angie stringe sempre di più il cuscino e io penso sia giunta l'ora di togliere il disturbo e tornare di là. Va beh, o di continuare a origliare da fuori senza farmi vedere.
“Aspetta, Meg! Sì, ora glielo chiedo.” mi alzo e faccio per uscire, camminando all'indietro e facendo ciao ciao con la mano, ma Angie mi blocca “Allora vai a vedere i ragazzi domani sera a Portland?”
“Sì, il piano è quello. Quasi sicuramente verranno anche Grace e Laura”
“Sentito? Meg, Grace e Laura, un bel terzetto pronto ad acclamarvi e a lanciarvi i reggiseni”
“Ahahah io ho poco da lanciare!”
“No, Eddie, te l'ho già detto, non posso... Roxy m'incula, è pure un mercoledì, ci sono gli infermieri della scuola serale che finiscono prima... non posso chiedere un altro giorno”
Il nostro piccolo Romeo è impaziente, vedo. I suoi sogni si sono già infranti quando ha scoperto che Kelly aveva programmato per la band un giro promozionale di radio e interviste varie proprio nei due giorni di pausa tra i due concerti in Oregon e che c'era ancora da aspettare prima di rimettere piede qui a Seattle. Eddie ci ha provato a svicolarsi, spiegando che tanto lui non conta un cazzo nella band di Stone e Jeff e che potevano pensarci loro, ma a quanto pare non è bastato.
“E va beh, ci vediamo dopodomani, cosa cambia? Ma piantala, non cambia niente... Ahahah no!” sono ancora qui impalata nel bel mezzo della stanza di Angie, mentre lei giocherella col cuscino e vorrei tanto sapere a cosa si riferisce quell'ultimo no, ma tanto la mia amica non me lo dirà mai.
“Salutamelo, ok?” stavolta mi allontano veramente, fermandomi in corridoio perché, come volevasi dimostrare, i cazzi miei non me li so ancora fare.
“Meg ti saluta! Comunque pensavo a una cosa. Ahahahah no! Pensavo che se domani le ragazze vengono a vedervi... beh, sarà come un'ulteriore perdita della famosa scommessa... non credi? Ahahah non lo so, non conosco Portland, non so se ci sono discoteche anni Settanta, devi chiedere a Stone. No no, chiediglielo, sono sicura che se anche non ce ne fossero, farebbe in modo di allestirne una pur di farsi un'altra risata alle spalle dei perdenti! Eheh sì, sarebbe un momento imperdibile. Ah sì? Perché? Oh sì, certo, la mia presenza o meno fa sicuramente la differenza”
La telefonata dei piccioncini va avanti ancora per un po', con Eddie che presumibilmente le dice cose sempre più carine e lei che ci scherza su, non so se per il suo naturale imbarazzo o perché sa perfettamente che sono qui a origliare. Dopo averlo salutato, dissipa i miei dubbi.
“Meg!”
Taccio.
“Meg? Dai, tanto lo so che sei qui fuori”
“Uhm, stavo andando in bagno” ricompaio magicamente sulla porta, giusto in tempo per beccarmi una debole cuscinata.
“Certo...”
“Allora?” mi siedo di nuovo ai piedi del letto, in attesa delle confidenze di Angie, che mi illudo possa condividere senza che io debba tirargliele fuori con cavatappi.
“Allora Grace viene con voi domani sera?” Angie spegne subito ogni mia speranza.
“Sì, c'è anche lei”
“Sicura?”
“Certo, l'ho sentita stamattina e mi ha confermato che c'è. Perché?”
“Non lo so, è che non mi è sembrata particolarmente impaziente di rivedere Stone... o sbaglio? Cioè, è strano ma...”
“Aspetta un momento. Angela Pacifico che fa del gossip??”
“Ahahah vaffanculo Meg!”
“Chi sei? Cosa ne hai fatto della mia coinquilina?” mi alzo di scatto, indicandola con una mano tremante.
“Non sto spettegolando, faccio solo delle considerazioni su due amici”
“Considerazioni eh?” tiro giù il braccio e la guardo ridacchiando.
“Due cari amici a cui tengo. E mi sembrano carini insieme. E Grace mi sembrava molto presa all'inizio, invece adesso... mah... Insomma, secondo te c'è qualcosa che noi non sappiamo?” la nuova reginetta del gossip cerca di girarci attorno e io decido di starci. Anche perché una conversazione in più su Grace è un discorso in meno su di me e la mia vita sentimentale inesistente.
“Nah, secondo me è tutto normale. Grace aveva una cotta e Stone faceva il figo, adesso Stone non fa più il figo e lei è rimasta spiazzata, tutto qua”
“Più che altro Stone mi sembra super lanciato”
“Oh sì, effettivamente... Mi ricorda qualcun altro di nostra conoscenza” stavolta non posso fare a meno di stuzzicarla, ma lei alza gli occhi e continua.
“Per lui stanno già insieme in pratica, invece lei si è chiusa a riccio” certo, un atteggiamento di cui tu ti intendi parecchio, vero Angie? Stavolta mi trattengo.
“Vedrai che da domani sera il riccio si apre, fidati”
“Vorrei solo non soffrisse” la mia amica alza le spalle e si rigira il telefono tra le mani. Non è che lo stai dicendo a te stessa?
“Chi dei due?”
“Beh, nessuno dei due!”
“Quindi... niente profumo al muschio?” le chiedo dopo un po' e Angie ricomincia a dondolare sulla sedia.
“Ahah no, per carità!”
“Devo ricordarmi di dire a Eddie di prendertene uno alla frutta” le strizzo l'occhio e lei sbuffa facendo un giro di trecentosessanta gradi.
“Per favore...”
“Alla banana sarebbe perfetto”
“MEG!”
“Che ho detto?!”
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Beer-pong. Ventisei anni e ancora mi metto a giocare a beer-pong? Beh, Kim ne ha trenta e li organizza lui i tornei di questi giochi del cazzo, la cosa dovrebbe consolarmi. Ventisei anni, una relazione stabile, un progetto musicale serio, un conto in banca che mi paga le bollette senza arrivare alla fine di ogni mese con l'acqua alla gola... e mi risveglio nella vasca da bagno del mio bassista alle sei del mattino. Cazzo di mal di schiena! E perché cavolo sto ancora in questo condominio di merda? Bestemmio mentre insisto nel premere il pulsante per chiamare l'ascensore che tanto non arriverà mai, dopodiché mi rassegno alle quattro rampe di scale.
Trascino le mie vecchie membra fino alla porta del mio appartamento, ma quando infilo la mano in tasca in cerca delle chiavi la sensazione di freddo metallico è rimpiazzata dal nulla più totale. Non ci posso credere. Matt doveva trovarsela proprio adesso la ragazza? Tasto velocemente tutte le tasche della giacca e dei pantaloni e non trovo un cazzo e mollo un pugno alla porta.
“Cazzo” nello sferrare il pugno sento distintamente un tintinnio di chiavi e torno a cercare meglio in ogni fottuta tasca, ma non trovo nulla. Sferro un'altra botta alla porta ed ecco di nuovo il rumore. Mi metto a saltellare come un coglione davanti alla porta e ad ogni balzo corrisponde un tintinnar di chiavi, mi levo la giacca, la scuoto, stessa cosa. Ispeziono più a fondo le tasche e trovo, non il mazzo di chiavi, ma un bel buco in quella sinistra. Ecco risolto il mistero! Ora devo solo cercare di usare quel po' di lucidità che mi resta per individuare l'esatta posizione delle chiavi all'interno della fodera del giaccone ed estrarle. Mentre mi appresto a recuperarle, un altro rumore, stavolta non metallico, ma “umano”, attira la mia attenzione. Una voce, come qualcuno che canticchia, ma senza parole, mormorando, molto piano. All'inizio penso a qualcuno che magari canta mentre si fa la barba o si prepara, dopotutto per tutto il mondo è mattina. Però la voce, pur essendo flebile, si sente bene, in maniera chiara, e con un piccolo riverbero che fa pensare che la persona sia già uscita dal proprio appartamento. E allora perché non vedo arrivare nessuno? Mi incammino lungo il corridoio e sto ancora tastando la mia giacca quando, girato l'angolo, lo vedo: Vedder, seduto per terra, o meglio, seduto sullo zerbino delle ragazze, che scrive su un quaderno, con un sacchetto di carta appoggiato sulle gambe.
“Eddie?” lo chiamo perché lui non mi si fila proprio.
“Oh ehi, ciao Chris” Eddie smette di scrivere e mi saluta, come se fosse la cosa più normale del mondo.
“Che ci fai qui? Non dovresti essere in tour?”
“E' finito! Cioè, tecnicamente finisce il tre marzo, ma considerando che le ultime tre date sono qui a Seattle, praticamente abbiamo finito. Nel senso che abbiamo finito di girare” Eddie spiega candidamente, chiudendo la penna e infilandola nel quadernetto, per poi infilarsi il tutto in una tasca interna della giacca. Nel fare questo lascia intravedere la sua maglietta: bianca con su scritto Air Love Bone e la sagoma di un giocatore di basket coi capelli lunghi che somiglia più a Jeff che a Jordan. Ne ho una uguale pure io, ma blu.
“Non avete due concerti in Oregon?”
“Avevamo, abbiamo suonato a Portland ieri sera. Poca gente, ma bella atmosfera, gran concerto” Eddie annuisce a se stesso e non si schioda da terra.
“Avete suonato ieri? E quando sei tornato?”
“Che ore sono adesso? Uh le sette e mezza. Beh, qualche oretta fa”
“Eheh saltati sul van e schizzati a casa subito dopo il concerto? Non vedevate l'ora di tornare eh?” mi sa che soprattutto lui non stava nella pelle, o sbaglio? Non è che Eddie mi abbia mai parlato di queste cose, non sono la sua confidente o Jeff, però forse fra tutto sono uno di quelli, assieme ad Ament, che lo conosce un po' di più. E comunque non ci vuole un genio per capire che se, anziché a letto a dormire per smaltire la stanchezza del tour, è qui davanti alla porta di una ragazza, allora c'è qualcosa di grosso sotto.
“Beh, ehm, questo non lo so... Cioè, non so cos'hanno fatto gli altri, io sono... sono tornato da solo” Eddie perde per un secondo la sua apparente tranquillità.
“Da solo?”
“Sì”
“E come?”
“Autostop” risponde alzando il pollice.
“Autostop?”
“Sì”
“Cioè, tu hai mollato tutto e tutti e sei venuto in autostop fino a Seattle”
“I Village People mi hanno ispirato”
“Eh?”
“Do you want to spend the night?”
“Di che cazzo sei fatto, Ed?”
A quel punto mi spiega che si tratta della solita scommessa del cazzo di Stone e Jeff e che una parte dei nostri amici si è esibita nel parcheggio del Melody Ballroom. Conosco il posto. Ci ho suonato e ci ho visto pure i Fugazi. Mi ha sempre fatto sorridere pensare che li ci facciano anche i matrimoni e le feste dei liceali. Beh, complimenti alla versatilità e all'apertura mentale dei proprietari.
“E a un certo punto mi sono detto: che cazzo ci faccio qui? E ho chiesto a dei tizi che ho già visto ai nostri concerti qui se mi davano uno strappo” il motivo per cui ha avuto quest'illuminazione improvvisa è al di là di quella porta, entrambi lo sappiamo, ma nessuno sente l'esigenza di puntualizzarlo.
“E ci hai messo tutto questo tempo?”
“Non sono mica arrivato adesso...”
“Da quanto tempo sei su quel cazzo di zerbino?” gli domando quando finalmente trovo le dannate chiavi e cerco di tirarle fuori.
“No beh, qui da un'oretta. Facciamo due”
“E perché?”
“Perché era troppo presto”
“Quindi ti sei fatto scaricare qui e poi ti sei accorto che era l'alba?”
“No, non mi sono fatto lasciare qui”
“E dove?”
“A Pike Place” risponde come se fosse la cosa più ovvia e io fossi un coglione a chiedere.
“A Pike Place” ripeto facendo sì con la testa, assecondandolo come si fa coi pazzi.
“Dovevo prendere delle cose” aggiunge afferrando il sacchetto di carta e appoggiandolo a terra alla sua sinistra.
“Ma non hai trovato chiuso?” chiedo scettico.
“Le panetterie aprono presto”
“Ah” assecondare sì, questa è la strategia migliore.
“Ho mangiato qualcosa, ho preso un caffè, ho comprato qualcosina per Angie e poi sono venuto qui”
“In autostop”
“Ahahah ma va, in tram!” ancora una volta mi risponde come se fossi io il coglione e forse non ha tutti i torti.
“Sono arrivato e quando stavo per suonare il campanello mi sono reso conto che erano tipo le cinque del mattino”
“Come recita un altro pezzo dei mitici Village People”
“Uhm sì, ma cosa c'entra?” domanda improvvisamente serissimo e io gli scoppio a ridere in faccia. Con Eddie non capisci mai se è serio o se ti prende per il culo ed è un aspetto che mi piace nelle persone. Di certo l'ha capito che anch'io non sono del tutto a posto, forse dalla prima volta che l'ho portato fuori a bere. O da quando mi sono materializzato al mini market e l'ho portato via a fine turno dicendogli che gli avrei fatto vedere come trascorrono i venerdì sera le rockstar locali. E abbiamo passato la nottata a bere e inseguire i miei cani, o meglio, i cani di Susan nel bosco.
“Ahah niente niente! Allora ti sei parcheggiato qui, giusto?”
“Sì...” risponde ancora scettico “In attesa di un orario più umano”
“Beh dai, le sette e mezza mi sembrano acceettabili” mi avvicino e faccio per suonare il campanello, ma Eddie mi blocca prendendomi per il polso.
“No!”
“Perché no?”
“Non ho sentito rumori, non si è ancora svegliata. Ormai aspetto che si svegli” faccio marcia indietro e mi immagino Eddie con l'orecchio incollato alla porta in attesa del rumore del cicalino del microonde o dello sciacquone del cesso e mi faccio un sacco di risate, internamente. Non voglio ferirlo!
“E la tua roba?”
“Che roba?”
“Le tue cose, i tuoi bagagli”
“Oh avevo solo uno zaino, è sul van. Jeff me lo porterà, credo”
“Credi?”
“Beh, penso di sì”
“Ma... hai detto agli altri che tornavi a casa, vero?”
“Mmm... aspetta... ah sì, l'ho detto a Mike” allora sì che stai in una botte di ferro, amico.
“Era lucido quando gliel'hai detto?”
“Sembrava di...” mentre Eddie inizia a descrivere lo stato apparente di Mike nel dopo concerto di ieri, ecco che la porta a cui era appoggiato si apre di scatto e lui cade giù all'indietro a peso morto, ma capisco che è ancora vivo quando termina la frase dal pavimento di casa di Angie “...sì”
“Che cazz... Eddie? Chris?” la ragazza ci guarda uno ad uno incredula, mentre lega la cinta della sua vestaglia rosa.
“Ciao dolcezza! L'ho trovato sul tuo zerbino. Non ha la medaglietta, però sembra ben nutrito” scherzo, mentre Eddie è ancora a terra.
“Ciao Angie!” esclama con un certo entusiasmo ammirandola dal basso in tutta la sua... confettosità? Esiste? Mah...
“Eddie! Che ci fai a terra, tirati su” Angie gli tende la mano e lui accetta l'offerta, si aiuta aggrappandosi alla maniglia e si alza.
“Sono caduto” ahah sì, che ci sei cascato con tutte le scarpe mi pare evidente.
“Fatto male?” chiede lei perplessa.
“Nah”
“E' proprio così al naturale, fidati. Ehi Eddie, attento” lo avviso indicando il sacchetto di carta che sta quasi per calpestare.
“Oh cazzo, grazie Chris” recupera il sacchetto e lo stringe come se fosse un neonato da cullare.
“Cos'è?” chiede lei sempre più confusa, calcolando anche che si sarà appena svegliata e come prima attività della giornata le tocca avere a che fare con due deficienti.
“La colazione!” risponde Vedder tutto soddisfatto di sé.
“Oh... grazie... beh, facciamo colazione allora” Angie indica l'interno del suo appartamento e io capisco che si è fatta una certa ed è ora di levare le tende, visto e considerato che ho pure recuperato le mie cazzo di chiavi di casa.
“Ottima idea” Eddie le lancia uno sguardo sornione, ulteriore segnale che è arrivato il momento di levarsi dal cazzo.
“Beh, allora io vado eh?”
“Non fai colazione con noi?” mi chiede lei in maniera apparentemente innocente. L'occhiata di Eddie mi basta per trovare la risposta.
“No, grazie, dolcezza, ma ho troppo sonno. E alla sola idea di ingerire ancora qualcosa di solido o liquido sento le mie budella chiedere pietà”
“Mmh ok, ci vediamo allora”
“Ciao Chris!” Eddie mi saluta e sparisce nell'appartamento.
“Buona notte ragazzi... Cioè, buongiorno... Insomma, avete capito”
“Notte Chris”
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“Che ci facevate qui fuori a chiacchierare? Ho sentito dei rumori e-” richiudo dopo essermi accertata che Chris cammini dritto a sufficienza per arrivare al suo appartamento e non appena mi giro vengo travolta da Eddie che mi inchioda alla porta abbracciandomi.
“Scusa se ti abbiamo svegliata”
“N-no, ma no! Ero... ero già sveglia”
“Mi sei mancata”
“Oh, ehm, anche tu” rispondo e spero tanto che il colluttorio che ho usato ieri sera sia davvero ad azione prolungata come sostenuto in etichetta perché Eddie sta praticamente respirando sulle mie labbra strofinando il naso contro il mio.
“Da morire...” è sempre più vicino e io non so dove guardare, se guardare, se chiudere gli occhi, se baciarlo, se aspettare che lo faccia lui, se stare zitta e godermi il momento.
Ma io sono zitta...
Beh zitta nella tua testa, cretina che non sei altro!
Ma è impossibile non pensare, anche il pensiero di non pensare è qualcosa che pensi in fondo, no?
Ma perché pensi a queste cazzo di cose mentre Eddie ti sta torturando in questa maniera? E le mani? Dove cazzo le hai messe le mani?
Aspetta, ce le ho... sospese, a mezz'aria, praticamente lo sto abbracciando coi gomiti.
Coi gomiti? Che cazzo sei un meccanico con le mani sporche di grasso?! Sembri il pastore del presepe della nonna, quello che si stupisce, con le mani alzate al cielo.
Riesco a smettere di litigare con me stessa per un attimo e ad appoggiare le mani sulle spalle di Eddie, che deve percepire il gesto come un segnale di via libera e mi bacia.
Dave Gahan non si vede né si sente, idem per i suoi compagni di band, lo zio Tom Jones non si fa vivo, di Sonny e Cher neanche l'ombra. Per un attimo mi sento quasi un'adulta, almeno finché non sento partire le nacchere e Phil Spector butta letteralmente il trio delle Crystals sul palco senza tante cerimonie.
He kissed me in a way that I've never been kissed before
He kissed me in a way that I wanna be kissed forever more
Il concerto non finisce neanche quando Eddie si stacca dalla mia bocca per un secondo e mi guarda negli occhi, come se cercasse qualcosa. Forse sta cercando di capire se in questo momento sono su questo pianeta o no e sa già che chiedermelo direttamente non servirebbe a molto. Quello che trova deve piacergli perché sorride mostrando bene le sue cazzo di fossette... come se avessi bisogno di altri stimoli! E mi bacia di nuovo. Stavolta sono piccoli baci che piano piano si spostano dalle labbra alla guancia, per poi indirizzarsi giù verso il collo. Una delle sue mani invece risale dai fianchi, mi sfiora forse sì, forse no, forse l'ho sognato, il seno, mi solletica, qui sì, sono sicura, le braccia anche attraverso uno strato non indifferente di pile, mi accarezza la guancia e si infila tra i miei capelli, mentre sul collo decide di affondarci anche i denti.
Devo fare qualcosa.
Ma non voglio!
Ma devi, non vedi che ti stai impanicando? Vuoi aspettare di avere la testa che giri, vedere i puntini e cascare giù lunga tirata per terra?
E' così piacevole però...
E se gli viene in mente di fare qualcosa di più piacevole?
Magari...
Angie, cazzo, torna in te!
“Cosa c'è nel sacchetto?” riesco a chiedere dopo un po'.
“Uhm?” mormora Eddie senza staccarsi dal mio collo.
“Nel sacchetto, che hai portato...”
“Te l'ho detto... prima... la colazione” risponde seguendo il percorso di prima all'inverso, tra un bacio e l'altro.
“Ovvero?”
“Brioches” rivela prima di stamparmi un bacio sul naso.
“Alla crema?” domando improvvisamente davvero interessata all'argomento e non solo usandola come stupida scusa per spezzare questo momento piacevolissimo.
“E al cioccolato.” annuisce lui in maniera deliziosa, quasi infantile “Le ho prese stamattina prestissimo per te, appena sono arrivato a Seattle”
“A proposito, quando sei arrivato?”
“Presto” e mi racconta del suo viaggio in autostop e delle tappe che lo hanno portato fino a casa mia. In tutto questo io sono ancora tutt'uno con la porta. E con Eddie, che non ha la minima intenzione di mollarmi. Ha fatto tutto questo casino... per me? Per vedermi qualche ora prima del previsto?
Beh, è messo veramente male se fa l'autostop di notte per vederti con gli occhi incollati, la doccia ancora da fare e i denti da lavare, i capelli tirati su a caso col mollettone.
“Gli serve una scaldatina allora”
“Eh?”
“Dico, bisognerà scaldarle un pochino...”
“Che cosa?”
“Le brioches, saranno fredde adesso”
“Ah! Eheh beh, sì” perché arrossisce? Ma soprattutto quante mani ha? In teoria ne ha una ancora tra i miei capelli mezzi raccolti mezzi no e un'altra sul mio fianco sinistro, ma io mi sento accarezzare ovunque.
“Mangiamo adesso? Tra un'oretta scarsa devo essere a lezione” cerco di tornare alla ragione.
“Oh... devi proprio?” e tu devi proprio guardarmi così?
“Eh... sì, c'è il monografico su Renoir e oggi il prof spiega il passaggio al sonoro, che è una parte importantissima che c'è pure nell'esame, quindi...”
“Ok” molla la presa, ma mi prende la mano portandomi verso la cucina, dove il sacchetto ci aspetta sul tavolo. Mi stavo giusto chiedendo dove lo avesse messo.
No, non è vero, non te lo stavi chiedendo per un cazzo.
Allora?! La piantiamo di battibeccare qua dentro? Sto cercando di restare cosciente e non perdermi neanche un secondo di questa cosa. E poi adesso si mangia.
Le mani di Eddie sono sulle mie spalle mentre tiro fuori il l'incarto all'interno del sacchetto, lo apro velocemente e viene fuori che ha comprato una montagna di brioches allettanti.
“La colazione è per tutto il condominio?” gli chiedo sogghignando.
“No, solo per noi” la presa sulle spalle si fa più stretta e un bacio tanto veloce quanto rovente mi viene stampato sulla guancia.
“Facciamo che ne scaldo quattro, ok?”
Eddie non mi risponde e si limita a un altro bacio sull'altra guancia e io non so se ci arrivo a vedere La Chienne.
“Le scaldi nel microonde?” mi fa mentre sistemo il piattino con le brioches nel fornetto.
“Sì, ma per poco e a bassa potenza se no... ehm, se no diventano dure... come i sassi e immangiabili” e pensandoci sono un po' come me, che a furia di baci e carezze e abbracci, come quello di adesso, stretto, da dietro, coi riccioli di Eddie che mi fanno il solletico sul collo, mi irrigidisco come un baccalà e divento completamente inutile.
“Mi fido di te” mi sussurra nell'orecchio.
Io invece no, non mi fido, perché mi vuoi chiaramente morta.
Quando sono pronte, estraggo il piatto fumante dal microonde e praticamente schizzo in sala, lo appoggio sul tavolino e mi siedo sul divano, pensando così di essere al sicuro. Al sicuro da cosa non si sa. Ma non faccio altro che cadere dalla padella nella brace perché Eddie mi raggiunge, si china su di me e mi bacia di nuovo, con una certa decisione, ancora prima di toccare il divano sedendosi accanto a me. La decisione si concretizza nello buttarmisi praticamente addosso e come previsto credo di essere entrata in modalità stoccafisso, perché Eddie si stacca da me quasi subito.
“Tutto ok?”
“Eh? Sì”
“Qualcosa non va?”
“No, perché?”
“Sicura? Sembri strana” continua con quei suoi occhi indagatori azzurro oceano che visti dal basso e da così vicino sembrano ancora più profondi.
“No, è che... beh, è tardi e-”
“Troppo?”
“Beh, non è proprio così tardi, ma...”
“No intendevo... io, troppo? Troppo veloce?”
“NO!” gli urlo praticamente in faccia e quasi lo spettino. Gli spunta un ghigno sulla faccia e a questo punto sono più che certa che sappia perfettamente l'effetto che ha su di me “Ehm, no, non è quello, è che... davvero, ho lezione e non posso...”
“Hai ragione, scusami.” Eddie mi da un bacio piccolo piccolo sulle labbra che mi lascia con la voglia di averne altri dieci mila subito e si risiede “E poi le brioches si raffreddano” aggiunge con un sorriso fossettato, mentre ne prende una alla crema.
Io no, non credo di correre questo pericolo invece.
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yesiamdrowning · 6 years
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uno scrittore geniale che non avremo mai più.
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Nella primavera del 1999 mandai una cugina siculo-canadese esperta di pop svenevole e di mondanità in una libreria di Barnes & Noble a Montréal a caccia dell'autografo di uno scrittore. Il mio scrittore vivente preferito presentava una ristampa del suo primo successo editoriale, e anche se abitavo letteralmente dall’altra parte del mondo, mi sono accorto che volevo comunque un autografo vero e proprio su un suo libro vero e proprio da poter mettere su un mio ripiano vero e proprio. Dato che in quel momento guadagnavo una miseria (non che ora io guadagni chissachè, ma non poco quanto allora) non potevo andare di certo di persona alla presentazione, e mi vergognavo anche un po’ d’essere tra i pochi a farne nome in un periodo in cui i miei compagni del liceo, mi ricordo, stravedevano per autori come Isabella Santacroce o Alessandro Baricco. Mia cugina, invece, a prezzo di un certo sacrificio ha vuotato l'amaro calice di non poter proporre ai suoi amici la presentazione di un nuovo libro di Wilbur Smith, primo nelle vendite già allora, e ha accettato di andar al mio posto. La Ragazza dai Capelli Strani (Girl with Curious Hair, in orginale suona anche meglio) era stata, nel 1989, la prima memorabile raccolta di suoi racconti. La messa in fila di una decina di perle. Da quella volta, quel libro, verrà ristampato in almeno altre cinque o sei occasioni soltanto in Italia - sempre dalla Minumum Fax. Il giorno dopo l’appuntamento era a un’ora improbabile su MSN (per qualcuno di voi come dire l’Alto Mesozioico). Le ho chiesto un resoconto della serata: “Il posto era pieno che non ci si poteva  muovere… e poi è arrivato lui“ “Com’ era vestito?” “Mmmh.. aveva una specie di camicia da matematico? Anzi, aveva una camicia da prof di matematica, hai presente, con le maniche corte?“ “Ma aveva pure le penne nel taschino?“  “No, niente penne!”. “😛” “😁” “E poi che altro? Che mi dici? Portava la bandana?“ “Sì una grande bandana… si  sta facendo crescere i capelli ha detto. Sudava un casino. Sembra la versione intellettuale del cantante dei Blind Melon” “Shannon Hoon?” “Si” “Ma Shannon Hoon mica porta la bandana!” “Se è per questo è pure più figo” “😄” “😝”. “Ma vi ha letto qualche cosa?” “Si, per circa mezz’ora…” “Ed è stato molto terrificante? Voglio dire, tu c’hai capito qualosa?” “Guarda che è stato grandioso… ma nella parte delle domande e risposte è stato più divertente. E’ serio ma è un tipo in gamba davvero“. “Perché? Cos'è successo?”. “Okey, allora, per esempio, uhm… c'era un ragazzo… e gli fa questa bella domanda su “che effetto fa sapere che fra i tuoi coetanei e per un sacco di lettori più giovani, tu sei un po’ un mito, e se ne sei consapevole, e che effetto fa esserne consapevole se lo sei eccetera”, e tra il pubblico c'è stato un mormorio come dire: Giusto, bella domanda, e allora lui, David, ha detto una cosa del tipo: “Non lo so se ne sono consapevole, ma sono un po’ scettico su tutta questa concezione… e poi ha parlato di DeLillo e Thom Pynchon e di come c'era questa specie di amore-odio totale per loro quando la sua generazione faceva l’ università, e delle inimicizie tra i fan di Capote e quelli di Kerouac prima… e di come queste situazioni siano un po’ rock, almeno nella misura dell’inutile rivalità tra gli Stones e i Beatles… è  stato divertente, davvero, bella testa!”. “E il libro te lo sei fatto firmare?”  “Ah, no, scusa… c'era una fila e non finiva  più… avevo un impegno e quindi sono andata via…  e in ogni caso sarebbe stato troppo strano… cioè, andavo lì e gli dicevo? Ciao sono la cugina di un ragazzo italiano che non è potuto venire, non ho mai letto nulla di tuo ma per piacere mi firmi questo… mi sono sentita un’imbrogliona, una crocerossina fuori luogo, mi sono vergognata insomma… ma ti ho preso una copia eh…”. “Ma che me ne faccio ora di una copia in originale senza autografo quando già posseggo la versione in italiano senza autografo?” me lo tenni per me. Ci sono altre cose insolite in questa storia, però: 1) Un lettore italiano di poco più di 2O anni che vuole per sé l'autografo di uno scrittore vivente scoperto quasi per un puro caso tra un disco degli AFI e uno dei Type O Negative 2) Un gran numero di persone che si va a suppare un tizio americano che presenta una ristampa dopo una manciata di libri dai titoli volutamente antipatici (Una Cosa Divertente Che Non Farò Mai Più, Brevi Interviste Con Uomini Schifosi, Il Rap Spiegato Ai Bianchi) e un monolite di oltre 13OO pagine fatto di trame, sottotrame e note a piè di pagina chiamato Infinite Jest che qualcuno ha definito il suo capolavoro. 3) Un gran numero di canadesi, che nella mia testa immagino freddini e austeri come Leonard Cohen, che emette mormorii di approvazione quando qualcuno lascia intendere che uno solo fra loro è straordinariamente intelligente, pieno di talento e spiritoso 4) Una cugina lasciata con un CD di Natalie Imbruglia che, in mezzo a questo pubblico, si trova a pensare al cantante dei Blind Melon e fare a sua volta mormorii d’approvazione. 5) Un gruppetto di intellettuali che, assai propabilmente nascosti tra i presenti nell’aspetto di altri scrittori e aspiranti tali, tollera qualcuno con una bandana in pubblico senza che sia Little Steven. La spiegazione delle suddette stranezze è che David Foster Wallace godeva di un grande e insolito affetto da parte di molti fra coloro che costituiscono  quella che viene chiamata educatamente “la cricca dei lettori”. Come spiegarlo? Non è solo il fatto che Wallace producesse della buona narrativa - ovvio è   così, ma in un certo senso questo è un aspetto marginale. E non è nemmeno il fatto che fosse divertente e innovativo e geniale nel riuscire a rendere attraente diverse cose notoriamente stracciapalle come i numeri o la noia (leggetevi il bellissimo Il Re Pallido) e dotato in maniera leggendaria dei vari strumenti di cui bisogna un romanziere per fare il proprio lavoro (empatia, intuito, perspicacia, abilità di connessione, aver-letto-tutto-quel-che-esiste-sulla-faccia-della-terra). Non  ha poi molta importanza cosa facesse - se scrivesse un reportage sulla campagna elettorale di un senatore, oppure un libro sull’idea d’infinito nella matematica, o un articolo sulle navi da crociera, o sull'uso del linguaggio al giorno d’oggi, o sul tennis, o le storie di molta gente che non esiste  affatto, e che fa cose che non sono successe davvero. La narrativa era una delle varie cose che David Foster Wallace faceva con il cervello, senza timore di mescolare quello che gli americani chiamano highbrow e lowbrow, la cultura alta e quella popolare, o di essere divertentissimo e serissimo nel giro di due pagine, ma i suoi fan hanno imparato da subito a tenere d'occhio attentamente tutto quello che produceva - che fosse un saggio, un'introduzione, metà conferenza o perfino un'intervista in radio, proprio come di solito si fa con le “rockstar”. Perché quando una voce è tanto voluminosa, la si vuole sentire in qualsiasi  forma. David Foster Wallace era un'intelligenza generosa - ed è a questo che  volevo arrivare in fondo. E su di me fa un effetto che Capote non è mai riuscito a fare. Né DeLillo. Mentre David mi fornisce tutte le informazioni di cui ho bisogno, con tutta la  precisione che mi serve per capire come stanno le cose, di cosa è fatta la nostra modernità e, nel mentre, riesce comunque ad aver una risonanza tale da ricondurmi a me stesso. Ricondurmi alla mia vita vissuta, alle mie esperienze affettive più autentiche, alle mie paure, e al mio singolare (ma, senza ombre di dubbio, condiviso) destino. E d'altra parte, ciascuno troverà o ha già trovato un proprio modo di leggerlo, non c'è dubbio. E’ in questo senso che Wallace è a tutti gli effetti uno scrittore di culto, come Erlend Loe o Azar Nafisi, oppure Wers Anderson e David Lynch nel cinema: sembra che stia parlando soltanto a voi. Se ve ne ho parlato attraverso un aneddoto è perché, se in parte è difficile scindere le persone che non ci sono più dai ricordi che ce li hanno fermati nella memoria, se devo esser onesto, è anche perché Wallace è il genere di scrittore di cui si preferisce non parlare o scrivere; in questo senso mi ricorda Charms. Quando si cerca di dire qualcosa di più riguardo a Charms mi pare sempre di vedere da qualche parte, con l'occhio della mente, Daniil stesso che fa smorfie. Wallace era un grande produttore di smorfie e in modo particolare i suoi saggi ne sono ancora pieni: verso la crudeltà, la vanità, la prepotenza emotiva e, più di ogni altra cosa, della  volgarità intellettuale degli uomini. Forse è poi per tutto questo che, dietro la  timidezza dello sguardo, la spiccata rapidità nell’incontro dialettico (”Una spiegazione lunghissima per una domanda innocua”, ironizzava in un’intervista) o la lettura illuminante di ogni fottuto avvenimento, provava un dolore al quale non ha saputo  resistere. David Foster Wallace si è tolto la vita impiccandosi nella sua casa di Claremont, in California, dieci anni fa, il 12 settembre del 2OO8. Aveva compiuto 46 anni, e specie negli ultimi tempi, aveva dato a tutti l'impressione di essersi liberato dai demoni che lo tormentavano fino da quando era bambino, e di avere trovato la serenità, se non addirittura la felicità con la moglie, che era solito chiamare con nome e cognome: Karen Green. Non per vezzo, ma come elemento rivelatorio di sé, del  suo carattere e anche del suo sguardo sull'esistenza: in quel modo di rivolgersi per esteso alla donna amata, c'era di certo un misto di ironia e affetto, ma anche, soprattutto, l'esigenza di comprendere e definire con minima precisione ogni elemento dell'esistenza, anche il più intimo. Non una Karen a caso, Karen Green. Quando venne ospite delle Conversazioni Letterarie, nel 2OO6, a Capri, la sera catturò un'enorme cavalletta che aveva fatto fuggire gli altri scrittori inorriditi e gliela regalò. Come si fa a non voler bene a uno così?
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fannyinfinity · 6 years
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My one bad habit was to watch you sad and feel a little bit at home
Warning: (ma come si pubblica una cosa su tumblr? Boh, tanto è in italiano quindi non la legge nessuno) Ambrollins (Seth Rollins/Dean Ambrose), Angst, Fluff, Rating: R 
Note a caso: Per @deanandseths, ma non finisce qui perché Seff mi fa pena e, insomma, ad un certo punto succedono cose. Ringrazio @ambrosingaround perché le ho allegramente rubato parti di headcanon. 
Seth fece scorrere malvolentieri il dito sulle canzoni della playlist del telefono, odiandole una più dell’altra. Odiando moderatamente anche se stesso per averla creata, quella maledetta playlist. All’inizio aveva pensato di metterci solo le tracce dei viaggi insieme a Dean, quelle che gli avrebbero ricordato i primi tour insieme – Dean seduto accanto a lui che teneva svogliatamente gli occhi chiusi sotto gli occhiali da sole, Roman da qualche parte dietro di loro con le cuffie più grandi della sua testa – e poi era inevitabilmente finito sulle canzoni devastanti che gli strappavano via il cuore e glielo ricacciavano nel petto più o meno integro. Meno.
Ci aveva infilato, così, tanto per, anche la canzone che Renee non smetteva di canticchiare dopo il suo matrimonio super segreto con Dean – anzi, no, con Jonathan.
Seth premette così forte contro lo schermo del cellulare che quasi non lo incrinò.
Erano in bus, diretti verso Parigi, l’ultima dannata tappa di quel tour che era sembrato un inferno.
Un inferno perché l’estate si stava avvicinando, anche se era solo maggio, e, nonostante nessuno sapesse nulla di certo, forse Dean sarebbe riuscito a tornare per SummerSlam. E, sebbene ci fossero ancora parecchie questioni da chiarire, Vince era abbastanza positivo sul fatto che Dean sarebbe tornato come alleato di Seth. Contro chi, non era noto, ma sarebbe tornato al suo fianco. E, se la cosa fosse riuscita a SummerSlam, sarebbe stato magnifico.
Quando gli era stato comunicato, Seth aveva annuito e aveva risposto che, sì, sarebbe stato davvero magnifico. E poi non ricordava granché, ma sapeva di aver ascoltato la canzone di Renee per un inquietante numero di volte.
E in quel momento Seth si trovava seduto vicino a Finn con i Mayday Parade nelle orecchie che gli cantavano:
“And all I know is that I want it more than yesterday
If I was waiting, I was waiting for just one little spark
You are the brightest I’ve seen, you are the best side of me
And just for when we’re apart I’ve got a piece of your heart”
e non riusciva a stare seduto né a respirare. Voleva solo arrivare in quella stupidissima città - “la città dell’amore” aveva ridacchiato una voce anonima dietro nelle retrovie, accennando alla possibile storia tra qualcuno e qualcun altro, fare quello show e tornare negli Stati Uniti.
“But I want the whole damn thing”
Una gomitata seguita da un ‘Va tutto bene?’ fecero quasi sì che Finn venisse scaraventato giù dal sedile, ma prendersela con lui non aveva senso. Prendersela con chiunque non fosse lui stesso non aveva senso.
Gli lanciò un’occhiata, a Finn, e si chiese se a lui capitasse mai di farsi schifo. Avrebbe quasi voluto domandarglielo a voce alta, ma si limitò a rispondergli che, sì, era tutto a posto, scusa se sono stato un compagno di viaggio tremendo, poi tornò a fare il compagno di viaggio tremendo ricacciandosi le cuffiette nelle orecchie e pescando la canzone più deprimente nel bouquet che la playlist gli proponeva.
Avrebbe desiderato qualcosa che dicesse: “Ti sei finto il più grande degli amici mentre l’uomo di cui eri innamorato viveva la sua luna di miele quando invece speravi soltanto che gli andasse male qualcosa, poi gli si è fottuta la carriera”, ma quelle canzoni purtroppo non le producevano più, solo lagne con ‘mi manchi, torna qua’ – e a Seth comunque bastavano per ridursi ad un miscuglio di risentimento e dolore.
    Dopo lo show Seth declinò qualsiasi proposta di fare qualcosa a Parigi (Roman gli aveva addirittura chiesto se gli andasse di vedere la Tour Eiffel con lui, ma Seth avrebbe preferito spararsi ad un piede) e si ritirò in albergo.
Era molto meglio stare da solo in una camera mediamente lussuosa a ripensare a tutti i propri errori.
Al fatto che per mesi – o per anni? – si era sentito uno stupido adolescente, aveva tentato di fare la prima mossa, finendo solo per rafforzare quella che era diventata la grande amicizia di cui tutti parlavano. A volte si sorprendeva a guardare su YouTube quegli stupidi video tipo “tot WWE Superstar con cui Seth Rollins va d’accordo e tot che invece odia” e c’erano sempre lunghe descrizioni coronate da stupide foto su tutti gli anni di affetto che avevano unito lui e Dean Ambrose. E invece no. Perché magari quell’idiota di Dean Ambrose poteva essere stato contento di aver trovato un amico all’interno del business, qualcuno che poi era diventato suoi fratello, poi la sua nemesi e poi di nuovo suo fratello, invece Seth aveva trovato solo un tarlo che gli scavava il cuore ogni giorno di più.
“But I want the whole damn thing”
E se avesse potuto, dio, avrebbe bruciato tutto il merchandising dello SHIELD e i progetti per le future reunion, anche se nelle interviste diceva sempre con aria estatica che gli sarebbe piaciuto averne un’altra.
Stava andando tutto bene in quel momento: Seth poteva finalmente lavorare da solo, seguire le storyline decise per lui, avere giusto qualche interazione con Roman e fine della storia. Fine dell’esistenza di Dean Ambrose nella sua vita.
I Mayday Parade gli risuonavano nuovamente nelle orecchie e il senso di colpa gli divorava ancora il petto.
Non aveva mai nemmeno saputo se Dean si fosse mai accorto di qualcosa. Se lo avesse semplicemente preso per scemo quando si faceva troppo appiccicoso. O forse no, perché Ambrose pareva giocare allo stesso gioco. Forse faceva tutto parte di quella che doveva essere la loro grande amicizia, quella cosa indefinita che ai primi tempi dello SHIELD, quando Seth pensava ancora di poter avere una speranza, Roman invidiava loro perché lui invece si sentiva solo, nonostante i legami familiari con mezzo roster.
“So here's your song. It's twisting me
I'd give anything to make you scream
And I'll just smile, and make believe I don't feel a thing
That doesn't work for me”
E poi quella cosa se n’era andata lentamente via, sostituita dalla finzione e dal dolore che Seth si divertiva ad infliggersi, quando Dean si era innamorato di Renee. Per lui non era cambiato niente, certo, perché così aveva il suo migliore amico e la sua anima gemella, mentre Seth era solo stato grato del fatto che Dean fosse una persona riservata.
Avrebbe voluto smettere di parlargli, tagliare i ponti in ogni modo possibile, quando aveva saputo del matrimonio. Saputo. Con un fottuto messaggio. Per quanto una persona potesse essere fuori di testa, nessuno mandava un sms – che poi, chi diavolo usava ancora gli sms? – per annunciare un matrimonio. Avvenuto, per giunta. E invece quell’idiota di Dean lo aveva fatto, dopo la sua stupidissima cerimonia improvvisata. Gli aveva mandato un messaggio dicendogli che era successo, che era tanto felice ed era ancora più contento di poter condividere la notizia con lui.
E, se Seth fosse stato uno stronzo, probabilmente sarebbe uscito ad ubriacarsi e avrebbe tradito Sarah con un tizio attraente qualsiasi, giusto per provare a se stesso che di Dean non gli importava, che avrebbe potuto avere chiunque. Poi, insomma, c’era Sarah, che, sì, era legata alle sue aspettative un po’ ossessive su come sarebbero dovute essere le cose: lui, soddisfatto della propria carriera, accompagnato da una ragazza radiosa e innamorata di lui, da un cagnolino e, ad un certo punto, dei bambini. Non era sicuro che fosse quello che volesse (a parte il cane), ma era quello che si immaginava quando pensava alle persone che lo avevano ispirato. O anche solo a Roman, che sembrava così felice di ciò che stava ottenendo dalla vita.
Ed era quello che stava costruendo anche Dean, no? Prima o poi gli avrebbe mandato un messaggio per dirgli che Renee era incinta, chissà.
O forse no, visto che alla fine Seth aveva davvero smesso di parlargli. Nel momento più viscido possibile, oltretutto: subito dopo il suo infortunio.
Era sparito dalla circolazione. Non lo aveva mai chiamato, non aveva mai pensato – anzi, ci aveva pensato ogni giorno – di andarlo a trovare, non aveva risposto alle sue telefonate o ai suoi messaggi, finché Dean aveva smesso anche solo di provarci.
C’era stata una puntata di Raw in cui, mentre si cambiava dopo il suo match, Renee era andata da lui e, con una punta d’imbarazzo, gli aveva chiesto gentilmente se poteva fare una chiamata a Dean o qualcosa perché si sentiva un po’ “fuori dal giro”.
La parola “abbandonato” era rimasta sospesa nell’aria, anche se entrambi sapevano che era quello che Renee voleva davvero dire.
Seth aveva annuito con un sorriso ed era tornato ad occuparsi dei suoi vestiti.
Non aveva mai telefonato. Renee non gli aveva più parlato.
“This is the memory 
This is the curse of having 
Too much time to think about it 
It's killing me 
This is the last time 
This is my forgiveness 
This is endless “
E, oh, Seth era felice. Faceva male come una coltellata, ma finalmente Dean provava quello che lui aveva provato per anni. Era solo. Con i fan che chiedevano continuamente del suo ritorno e lo osannavano, con una moglie che lo adorava, ma era solo.
Solo come Seth.
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crosmataditele · 6 years
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I 10 peggio dolci di Natale
1) Pandoro semplice. In casa in genere se ne comprano dai trenta ai cinquanta, più un’altra ventina che arrivano regalati, con la scusa che costano poco e ci puoi sempre fare colazione la mattina. Risultato: ingrassi sette chili in un mese, casa tua con tutto lo zucchero a velo che ti cade in giro pare Roccaraso, stai sempre con le mani azzeccate di zucchero che poi vai spargendo sulla tastiera, per tutta casa e sul pesce quando vai al cesso e bevi sei litri di latte al giorno perché quello il pandoro e buono ma ti intofa in canna che è una meraviglia.
2) Pandoro abbuffato. O farcito. In commercio ne esistono circa seicento varietà, dal mango alla ciliegia, dalla nutella al cane sudato, ma in casa qualcuno dice hey sparagniamoci i soldi, adesso il pandoro ce lo abboffiamo da soli, col risultato di creare un’enorme e tremolante torre di Babele composta da: pandoro tagliato storto, panna per cucinare buona giusto per i tortellini, nuttella pezzottata del todis e avanzi di marmellate varie trovate in fondo al frigo e rimesse in circolazione dall’imminenza della pezzentamma indotta dalla seconda rata dell’Imu.
3) Pandoro vero. Te lo manda un cugino che fa il carabiniere a Villafranca e che spera, tornato giù, di estorcere un prestito a te, il più miserrimo tra i parenti. Egli millanta di averlo scovato in una antica pasticceria veronese, dove si fa ancora il Pan D’Oro (lo pronuncia così, con l’apostrofo). Esso si compone sostanzialmente di seicento grammi di burro rancido e trecento di strutto di bassa qualità mischiato a ossa umane e residui di farina fatta con interiora animali. O almeno così pare dal sapore.
4) Panettone. Non piace a nessuno e quindi si compra solo per regalarlo ai parenti e agli amici che teniamo sul cazzo e vogliamo veder soffrire. Come per il Pandoro semplice, in casa vige la regola nessuno compri merendine finché non finiamo questo ben di dio di panettone, col risultato che da quel giorno la tua colazione dura tre quarti d’ora come minimo: il tempo di togliere i ventiseimila pezzetti di cedro candito che fanno schifo al cazzo e che insistono su ogni singolo millimetro quadrato del maledetto dolce di chi gli è stramorto.
4) Dolci tradizionali napoletani. Hanno la curiosa caratteristica di fare schifo praticamente a tutti, però si comprano uguale perché insomma quella pure è tradizione. Particolarmente odiato dai bambini il mostacciuolo, che da fuori sembra cioccolattosissimo, poi lo assaggiano e te lo risputano in faccia offesi come scimmie. Molto apprezzati gli struffoli, soprattutto dalla casa che continua a restituirtene pezzi muffosi e azzeccosissimi per mesi. La straordinaria durezza dei susamielli e dei roccocò li rende adattissimi a chiavarseli vicendevolmente in faccia durante il tradizionale appiccico con rinfaccio trentennale della notte Santa.
5) Il Parrozzo. Ogni anno uno zio malvagio di Pescara ti invia questo fantastico dolce abruzzese. Esso si capisce quanto faccia cacare già dal fatto che tanto lo apprezzava quel borioso scemo buono a nulla di D’Annunzio, del quale chissà perché le genti d’Abruzzo van tanto fiere (come se noi ci vantassimo di Mastella, per dire). Esteriormente, l’infame manufatto si presenta a forma di cupola di cioccolato, che però ha uno spessore di 0,0000000000000000000000000000001 micron, per un totale di due grammi di cioccolata in seicentomila parrozzi. La leggenda vuole che da quando cent’anni fa gli abruzzesi iniziarono a prepararlo, da allora abbiano aperto solo una tavoletta di cioccolata Perugina e ancora stiano usando quella. L’interno, all’assaggio, è composto di mastice, sburro, farina e essenze aromatiche tipo petrolchimico.
6) Il castagnaccio col trucco. Una vecchia prozia fattucchiera ogni anno esce dalla tomba e ti manda questo tubo profumatissimo e grondante grasso al quale ogni benedetto Natale non riesci a resistere. E ogni anno ti dimentichi che la zia janara ha la pessima abitudine di dimenticarsi di dire che lei, il castagnaccio, lo confonde nella preparazione, col sanguinaccio. Quando te ne ricordi è troppo tardi, ti rendi conto di aver ingerito una quintalata di plasma di scrofa e passi capodanno e l’epifania a vomitare nella pace degli angeli. Da ripetersi ogni dicembre.
7) Gli omini di pan di zenzero. Difficilmente la natura permette che nasca qualcosa che faccia completamente schifo al cazzo, con l’ovvia eccezione del libri scritti dalle femmine, ma nel caso degli omini di pan di zenzero fa volentieri un’eccezione. Siccome finora non hanno fatto parte della nostra tradizione culinaria, non esiste una vera ricetta, ma la fantasia della moderna massaia italica è riuscita ad accoppiare l’insulsaggine delle forme a una varietà infinita di sapori inusuali quanto sgradevoli e a una consistenza che varia dal truciolato di scarto alla merda di cane, in un tripudio di fastidiosità gastronomica senza pari.
8 ) Il Panforte. La nobile e antica città di Siena è riuscita, nel corso dei secoli, a rovinarci la vita in vari modi, tipo i dischi di Gianna Nannini o le interviste sulla gravidanza di Gianna Nannini, o i testi delle canzoni di Gianna Nannini scritti da scrittrici femmine amiche di Gianna Nannini, senza dimenticarci i video di Gianna Nannini. In quest’arte sublime però eccelle il tipico dolce senese, il famoso Panforte. Viene venduto con l’apposito carrello elevatore a forchetta perché una confezione larga sei centimetri pesa circa tre quintali e contiene in uno spazio ristretto praticamente TUTTI gli ingredienti che TUTTO IL MONDO trova sgradevoli in un dolce. In genere te lo porta a casa un’amica che studia a Siena (nessuno ci abita davvero a Siena, a parte Gianna Nannini, ci studiano soltanto) e, col fatto che si è fatta trecento chilometri per venirti a salutare, te lo devi mangiare per forza. E’ in quel momento che capisci che hai veramente troppi amici.
9) La Frutta. Non rientra propriamente nei dolci, purtuttavia essa non può mai mancare su ogni desco natalizio che ambisca ad arricordarsi le feste. Tra i frutti più tipici citeremo il manderino nelle sue più squisite varietà, dall’ammarrato al marcio al molto marcio al putrefatto; non potrà mai mancare la pruna, dal sapore intenso e dalle proprietà lassative che fanno virare la conversazione a tavola dall’appiccicatario allo scatologico con descrizioni di cacate, sciorde e altre cose belle da dire a tavola mentre mangi il purè. Regna sovrano su tutti Sua Maestà Il Dattero, frutto di merda dall’aspetto merdoso e dall’inconfondibile gusto di diabete,da solo capace di cancellare un intero universo di sapori gradevoli e sostituirli con con l’aroma di palle sudate di cammello.
10) Il Turrone. Ce ne esistono molte varietà, da quello bianco e tuosto che ti sfracanta i denti a a quello mollo e azzeccoso che si attacca al ponte e te lo zuca via; in un modo o nell’altro quello che non si è pigliato il governo dei tecnici va a finire che glielo devi dare al tuo dentista. Data però la forma oblunga e il fatto che arriva a tavola quando siete ormai in pieno coma calorico, esso si presta a molti, simpatici usi alternativi, tipo sfilarlo in culo al vostro vicino di sedia quando si alza urlando e comm te piace!, oppure i più piccoli ci possono giocare a baseball usando il turrone come mazza e una noce come palla. Quelli più abili possono tranquillamente usare una nucella, ma in quel caso vedete dove la menate che qua si fa presto a chiavarsela in un occhio, ricordatevi che quello passare un guaio è un attimo.
Amleto de Silva
p.s. ovviamente io sono Team Pandoro.
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axorgath · 4 years
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🎹PLUMP MOMO🎹
🎶Nome: Roxana Jishmann
🎶Alias: Plump Momo
🎶Data di nascita: 21/01/1992
🎶Luogo di nascita: Kassel,Germania
🎶Età: 28
🎶Occupazioni: Cantautrice, chitarrista, pianista,tastierista
🎶Genere: femmina
🎶Specie: scoiattolo nero
🎶Orientamento sessuale: pansessuale
🎶Religione: Jiruismo
🎶Origini: tedesche
🎶Colore degli occhi: rosso ciliegia
🎶Colore dei capelli: bianco crema
🎶Colore pelliccia: nero con macchie bianche
🎶Altezza: 1.85m
🎶Peso: 77kg
🎶Gruppo sanguigno: B
🎹Carattere🎹
Il carattere di Roxana non è uno dei più particolari.
È molto gentile con il prossimo,adora aiutare chiunque e si arrabbia molto difficilmente.
È l'unica del gruppo che cerca di rispondere a più fan possibili sui social,ad aiutarli nel caso di difficoltà e offrire supporto psicologico.
Allo stesso tempo si comporta da sorella maggiore con tutti i suoi amici, è parecchio estroversa e simpatica, quindi ne ha molti,anche non famosi come lei.
Roxana non spicca molto in capacità di ragionamento, risultando spesso molto impulsiva nelle cose che fa.
Al contrario,ha una mente imprenditoriale non indifferente,sa sempre come guadagnare soldi,cosa fare per arricchirsi senza truffare o sudare nessuno.
Non è violenta,e vanta di non aver mai picchiato nessuno in tutta la sua vita,al contrario le piace usare il dialogo e se proprio non c'è nulla da fare,la fuga.
Oltre ad essere una polistrumentista,adora anche cucire e creare vestiti, infatti ha una linea di moda tutta sua "Plump Momo" appunto.
È testimonial di molte aziende di cosmetici,e alcune di queste possiedono prodotti cosmetici creati da lei.
🎹Storia🎹
Roxana nasce a Kassel il 21/01.
Figlia di madre giapponese e padre tedesco,on viveva in un ottimo clima familiare,e anche se la madre cercava di darle un infanzia migliore possibile, notò fin dalla tenera età che c'era qualcosa che non andava nella sua famiglia.
Mentre la madre le dava tutto l'amore e l'affetto che lei potesse desiderare, regalandole una vita normale, d'altra parte il padre la odiava.
La faceva spesso sottostare a tutte le sue regole,non poteva uscire di casa,doveva per forza sbrigare le faccende di casa, altrimenti lui l'avrebbe semplicemente picchiata
Ma non succedeva spesso tutto questo,dato che il padre era spesso fuori
La sua infanzia fu il secondo periodo più bello della sua vita.
La madre la portava sempre in giro con lei,le lasciava molte libertà,e a volte la viziava.
Giocava con i suoi amichetti ed era sempre energica e socievole.
Questo la renderà molto popolare tra tutti i bambini del vicinato e successivamente tra quelli dell'asilo.
Il padre invece non si trovava mai a casa.
Alle elementari continuò ad essere popolare tra i bambini,e diventò famosa tra tutti i bambini per la sua bellissima voce,e per il fatto che in quel periodo stava iniziando a suonare il pianoforte e la tastiera e quindi suonava e cantava spesso canzoncine in classe
Era premiata anche dai maestri per la sua voglia di fare e per il fatto che coinvolgesse anche gli altri bambini nelle attività.
Anche quel periodo fu molto tranquillo
Alle medie cominciato i veri problemi col padre
Nacque suo fratello minore,Rubi,e il padre cominciò a stare più tempo a casa per stare col figlio
Ma col padre a casa comincerà piano piano a notare delle cose.
La madre era spesso piena di lividi ed era evidente fosse infelice e impaurita,seguiva ciecamente gli ordini del marito e non parlava più quasi mai.
In più il padre era spesso nervoso,e ad un certo punto cominciò ad abusare anche lei sia fisicamente che psicologicamente,danneggiandola lentamente a livello mentale.
Nel periodo delle superiori, Roxana perse completamente tutto quello che la contraddistingueva.
Non era più una ragazzina allegra e solare,energica e loquace, sempre piena di vita.
Al contrario,era diventata depressa,triste e incredibilmente timida.
Aveva paura del mondo,aveva paura di essere toccata perché pensava che poi l'avrebbero picchiata.
Usciva di casa solo per andare a scuola,era visibilmente dimagrita e non parlava.
A casa non si muoveva dal letto,e raramente faceva altro.
Le uniche sue fonti di gioia in quel periodo furono due:
La musica, perché continuò a cantare e suonare, imparando anche la chitarra e il basso,e iniziò a sviluppare il desiderio di formare una band.
Il suo fratellino,che amava alla follia,e nonostante lo facesse anche il padre,lei cercava di tenerlo più lontano possibile da lui,e proteggerlo
Finché non arrivò il divorzio dei suoi genitori, quando aveva 18 anni.
L'accordo dei suoi genitori era che lei doveva stare con la madre e il fratello col padre.
Lei non riuscì a cambiare l'accordo in nessun modo, così si separerà da lui per sempre.
Si trasferì con la madre a Londra,e due giorni dopo il suo arrivo  andò a sbattere contro un ragazzo,e lo fece cadere per le scale della metro.
Questo ragazzo si chiamava Kyong-Jin,che diventò fin da subito il suo migliore amico.
Un giorno Roxana scoprì che sapeva cantare e suonare il basso, quindi gli propose l'idea di formare una band con lei.
Lui accettò,anche se l'idea era molto acerba e mancavano la maggior parte delle cose,come ad esempio un nome.
Successivamente si diplomerà.
All'età di 20 anni,si era completamente ripresa dal trauma del padre,e lei e Kyong-Jin andarono a convivere,ma stavano abbandonando il loro sogno.
In quell'anno,la sorella di Kyong-Jin se ne andrà a studiare in un altra nazione,ma prima di andarsene dirà loro che la band stava per avere una svolta.
Un giorno infatti si trovarono d'avanti alla porta di casa un ragazzo,quelli che diventerà il loro batterista Chad.
L'arrivo di Chad nella band nel 2009 sarà la ciliegina sulla torta dato che sarà lui a dare il nome e il concept.
Così nacquero i "Saturn's Other Rings" (abbreviato in "Sol!") ,una band alternative indie-rock che si contraddistingue per i video musicali animati da Chad,cui Chad farà il batterista insieme ai suoi compagni,Momo come voce e chitarrista e Yong come voce e bassista.
Grazie all'avvento dei social i Sol! diventarono molto popolari.
Tre anni dopo la band avrà un boom per via dell'arrivo di Kira nella band,anche se inizialmente Momo e Yong non volevano,ma dopo l'insistenza di Chad,cedettero.
Da quel momento diventò la sorella di tutti i membri della band,che considerava la loro famiglia.
Negli anni seguenti, Momo verrà inviato insieme al resto della band a diversi podcast e interviste,che renderanno il personaggio di Momo più chiaro.
Momo infatti diventerà famoso per via del fatto che sia sempre gentile ed educata con tutti,ma allo stesso tempo non si risparmia battute divertenti di ogni tipo
Nel 2018, attraverso i social scoprì suo fratello,e dall'ora lo va a trovare almeno due volte all'anno.
Nel 2020 ripresa da un blocco artistico, farà uscire con il resto della band l'album "Sentimental".
🎹Curiosità🎹
🎶Il suo nome "Plump Momo" è l'unione di due cose
"Plump" letteralmente "paffuta"
E Momo,che non è "pesca" ma bensì il dio greco del sarcasmo,e il nome gli fu dato da Chad
🎶È considerata una delle ragazze più carine del mondo.
🎶Ha una medusa domestica.
🎶Ha scritto interamente da sola i suoi primi due album.
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sangha-scaramuccia · 5 years
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Sesshin – maggio 2019
Riporto i brani estratti dal notiziario n. 89 Anno 22 Gennaio 1997/2528, utilizzato dal maestro Taino per il teisho.
Nel pomeriggio di sabato, dopo il tè, c'è stata la riunione dell'associazione di Scaramuccia per l'approvazione del bilancio e la discussione della proposta fatta dal maestro Taino di uscire dal UBI. Cosa centriamo con una associazione che sembra trovare uno dei principali motivi di essere nel gestire i soldi dell'8 per mille? Non era con questi scopi che era nata, così diventa sempre più una chiesa che non si differenzia dalle altre. Del tema si parlerà ancora, per adesso Keiko, Shido e Myozen sentiranno chi all'interno dell'UBI è favorevole a un cambio dell'associazione e vedranno che spazi ci sono.
Nel commento del teisho il maestro Taino è tornato sul tema dei buddisti come costruttori di chiese e apparati che non hanno al centro il discorso del risveglio, dell'illuminazione, unico motivo di essere di questa pratica.
Paolo Shōju
Teisho della sesshin di aprile (sabato 4/5/2019). Testo tratto dal:
Notiziario di SCARAMUCCIA  n. 89 Anno 22 Gennaio 1997/2528
E poi, in settembre, c'è stata la riunione dei maestri buddisti occidentali, in Germania al Kamalashila Institute che è vicino a Bonn. Sarei andato già nel 1994 in Francia, più vicino e con intorno dei bei posti per arrampicare (!) ma si teneva in luglio e i miei impegni me lo hanno impedito. Questa volta voglio proprio andare a vedere chi sono gli insegnanti di buddismo d'Europa e così, dopo aver sentito che andare in treno e in aereo costa troppo e si è costretti agli orari stabiliti, si va in automobile con Kiyoka, navigatore e secondo pilota.
Martedì 17, verso le 19:00 l'arrivo a Trento malgrado le allarmanti notizie sul traffico autostradale sentite alla radio prima di partire. Non sono solo accattoni, come ho sempre pensato, ma anche incompetenti al limite della disonestà.
...
A Trento dopo una deliziosa cena con Bruna e Andrea, si fa zazen al Centro Sattva con tutti gli allievi di quella città. Dormiamo nel centro stesso. Mercoledì 18, partenza prima delle 7 e via verso Bolzano, Innsbruck, Munchen e su su verso Bonn che è appena 1500 chilometri da Scaramuccia. Sono le 18,00 quando, con qualche giro di troppo, dalla campagna umbra arriviamo direttamente in Tibet. L'Istituto Kamalashila è una costruzione di quattro piani, circondato da bandiere tibetane e addobbato, all'interno di fotografie di lama, di deità e quanto altro di tibetano ci può essere.
È un bel posto con uno stupa imponente, di fronte al quale faremo la foto di gruppo il terzo giorno di riunione. Dopo la cena c'è una riunione informale fra i presenti, che non sono ancora tutti quelli previsti. Gli italiani soltanto Maria Angela Falà, rappresentante dell'UBI e Paljin Tulku, del Centro Mandala di Milano.
Giovedì 19 è una giornata intera passata a discutere (in inglese). Vi chiederete: di che? Si potrebbe dire che ci arrampichiamo sugli specchi e io non dovrei trovarmici male. In effetti, dopo che ci siamo presentati dicendo ognuno da dove proviene: paese, tradizione, maestro, ecc., e avere sentito una relazione delle due precedenti riunioni, Dharamsala e Francia, si stenta ad andare avanti perché una ragione specifica per riunirsi non c'è. O c'è, in quanto è anche interessante vedere tutti coloro che si dedicano alla diffusione (?) del buddismo e sapere chi sono e come lo fanno. Anche per imparare, se possibile, a farlo meglio. Il punto è proprio questo, che io faccio rilevare, constatando, come ormai avviene in qualunque ambiente, la differenza fondamentale fra il maestro di Scaramuccia, ma anche la guida di Scaramuccia, il coltivatore di Scaramuccia, il comunista di Scaramuccia... e tutti gli altri. Insomma quelli che sono presenti al Kamalashila sono tutti preti, alcuni laici altri ordinati, ma tutti di mentalità pretesca e missionaria.
Lo dico con simpatia, senza alcuna venatura critica o malevola, solo una constatazione. E come i preti di qualunque religione, solo io a dire che il buddismo è solo illuminazionismo e non religione, tendono a vivere del proprio mestiere. Potevano capire quello che io gli dicevo? No! È stato però molto importante andarci per capirlo io! Per fare un intervento nel quale ho detto che da parte di alcuni cercatori della via o seguaci del Dharma ho constatato lo stesso atteggiamento che è ormai molto diffuso fra gli allievi, non in particolare quelli di Scaramuccia, che partecipano ai corsi di taici, shiatsu, reiki, arrampicata, macrobiotica, erboristeria, ecc. ecc. . Ovvero, imparare una tecnica per poi diventare a loro volta insegnanti. Sarà che mancano i lavori tradizionali, oppure che non si vogliono più fare o, ancora, che si vuole arrotondare lo stipendio con qualche altra entrata? È tutto giustissimo! Però, e per me questo però è fondamentale, c'è una incolmabile differenza fra chi è cercatore della via e chi è cercatore di un titolo.
Se ripenso a quando sono partito per il Giappone, e come posso non pensarci? la mia unica aspirazione era di capire, sgamare o satorare?, e solo successivamente, anche per quanto avevo imparato nel monastero: i Quattro Voti, l'esempio del maestro, l'ordinazione, ecc. ho deciso di tornare in Italia e mettere a disposizione quanto avevo appreso. Dopo però, solamente dopo!
Il viaggio in Germania ha anche reso possibile di estrinsecare quanto avevo sentito subito, tornando in Italia dal Giappone nel 1973, ma che non riuscivo a esprimere bene. Non capivo perché tante persone, alcune che venivano a Scaramuccia, ma tante negli altri centri zen o tibetani, volevano diventare monaci. Ci sono dei luoghi dove sono state fatte ordinazioni a migliaia e io non capivo il senso di questa ricerca di titoli per poi andare a fare i missionari del buddismo. Infatti a Scaramuccia, dopo una prima esperienza, le ordinazioni non ci sono state e qualcuno è andato di soppiatto in Giappone, per farsi ordinare da qualche prodigo osho-san, e così ritornare in Italia a fare il maestro.
Per concludere su questo argomento, non facile, ritengo che un cercatore della via, a differenza di chi cerca il titolo di reiki, di taici, di ingegnere o un altro qualunque, da usare com'è giusto per lavorare, debba avvicinarsi alla pratica di liberazione con un atteggiamento che definisco puro, ovvero senza alcun altro scopo che la ricerca dell'illuminazione. Niente altro, poi tutto quello che verrà in seguito farà sì che si possa decidere, alla luce dell'illuminazione che è stata realizzata.
La riunione tedesca l'abbiamo lasciata un poco in anticipo. A parte quanto detto all'inizio ho fatto altre poche considerazioni che vi elenco brevemente e poi, se interesserà ne potrò parlare a Scaramuccia durante una sesshin.
Prima di tutto i buddisti occidentali sono poveri. Si consolano aspettando che i praticanti, che sono per la maggior parte ancora giovani, fra un poco di anni invecchiando e morendo potranno donare, come avviene nella chiesa cristiana, i loro averi alla chiesa buddista. Inoltre i presenti erano, a quanto mi risulta, tutti discepoli di maestri vissuti in occidente.
Queste riunioni hanno una loro importanza e aiutano a capire quanto non ci era riuscito rimanendo nel nostro ambito. È anche vero che la maggior parte delle riunioni, conferenze, interviste, ecc., le faccio perché fanno piacere agli allievi, i quali hanno talvolta bisogno di vedere che il proprio maestro è importante. Va bene anche così, figuriamoci se proprio io mi tiro indietro dopo avere ripetuto diecimila volte, da Linci, di entrare  e uscire in maniera libera dalle situazioni.
Per finire vi faccio leggere con piacere quanto Benedetto Croce dice a un comunista in un suo libro di memorie: "Voi credete di essere i primi, ma non è così: e poi cosa c'è di ragionevole a trattare il mondo come un ammalato che deve guarire, quando il mondo è sempre stato ammalato e affollato di persone che volevano guarirlo? Non sempre questi medici si servivano di una medicina come l'economia, c'erano le religioni, le ideologie, ma la realtà è questa: la malattia è lo stato naturale del mondo ".
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giancarlonicoli · 5 years
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10 gen 2019 08:24 1. “MI HANNO FATTO MORIRE SU FACEBOOK, IL MIO UROLOGO RINGRAZIA. MIA MAMMA MI CHIAMAVA PREOCCUPATA OGNI DUE ORE CHIEDENDOMI SE FOSSI SICURO DI ESSERE VIVO…” 2. CHECCO ZALONE SI CONFESSA A RADIODUE: “IO SUPER OSPITE A SANREMO? BALLE! NON HO IL CORAGGIO DI ANDARE ALL'ARISTON, E’ UN PALCO DIFFICILISSIMO. STO PER PARTIRE PER IL KENYA, GIRERÒ LÌ IL MIO PROSSIMO FILM. SE NON MI RAPISCONO. IL FILM SARÀ IMPEGNATIVO” 3. “NON SONO SNOB MA TIMIDO, SE PARLO POCO NON E' PER STRATEGIA MA PERCHE’ SE NON HO COSE INTERESSANTI DA DIRE, CHE PARLO A FARE? E' CAPITATO QUALCHE VOLTA CHE FACESSI UNA BATTUTA DAVANTI AL PUBBLICO SENZA CHE NESSUNO RIDESSE. SOPRATTUTTO QUANDO..." 
Da I Lunatici Radio2 https://www.raiplayradio.it/programmi/ilunatici
Checco Zalone è intervenuto ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta ogni giorno dall'1.30 alle 6.00 del mattino.
Zalone ha parlato nella trasmissione notturna di Rai Radio2 del suo rapporto con la notte: "Come dimostra il fatto che stia parlando con voi - ha scherzato - con queste ore notturne non ho un buon rapporto. Spesso sono angosciato. Tipo stanotte, che sapevo di ricevere questa telefonata. Mi domandavo cosa avrei detto di interessante. Ogni tanto vedo il telegiornale che va in loop per tutta la notte. Attendo che accada qualcosa per ricevere una nuova notizia. Qualche volta leggo, preferibilmente mi sintonizzo su programmi che possano essere ascoltati, su programmi che non debbano per forza essere guardati".
Checco Zalone ha smentito le voci che lo vorrebbero super ospite al prossimo Festival di Sanremo: "Sto per partire per il Kenya, girerò lì il mio prossimo film. Se non mi rapiscono. Il film sarà molto impegnativo. Anche per questo motivo nelle ultime notti fatico a dormire. Non sarò al Festival di Sanremo. Io superospite? Sono balle. Non ho il coraggio di andare all'Ariston, è un palco difficilissimo. E poi sarò in Kenya, come faccio a tornare?"
Checco Zalone, poi, ha parlato di sé stesso: "Sono timido, restio a rilasciare interviste, non perché sono snob ma perché penso che il pubblico meriti delle risposte interessanti. Spesso pensano che la mia sia una strategia, che non rilascio mai dichiarazioni o interviste perché sono uno snob, ma non è così. Se non ho cose interessanti da dire, che parlo a fare?"
Zalone qualche giorno fa è stato vittima di una bufala sui social: "Mi hanno fatto morire su Facebook, il mio urologo ringrazia. Mia mamma mi chiamava preoccupata ogni due ore chiedendomi se fossi sicuro di essere vivo. Queste cose portano bene, chi non è morto sui social?"
Su quello che è accaduto a Roccaraso qualche giorno fa: "Sono rimasto incastrato in una lastra di ghiaccio. Amo tantissimo l'Abruzzo, ma mi porta sfiga. Quando andai l'altra volta a Sulmona ci fu il terremoto, sono rimasto traumatizzato. Ma amo l'Abruzzo".
Cosa voleva fare Checco Zalone da Bambino: "Fino a 13 anni ho sognato di diventare un calciatore. Poi ho capito che il fisico non me lo avrebbe consentito. Ho iniziato a studiare musica. Fino a 25 anni pensavo di diventare un musicista serio, poi mi sono reso conto che il talento che avevo non era sufficiente. Così mi sono buttato sulla comicità".
Sugli esordi: "E' capitato qualche volta che facessi una battuta davanti al pubblico senza che nessuno ridesse. Soprattutto quando facevo il tamarro in mezzo ai tamarri. Non capivano che li stavo prendendo in giro. Che parlavo di loro. Fare il comico per chi è ansioso come me è terrificante. C'è sempre il timore di fare una battuta che non faccia ridere nessuno. Poi però quando sali sul palcoscenico passa tutto".
Sul cinema: "Crea molta più ansia uno spettacolo dal vivo piuttosto che girare un film. Girare un film è bellissimo. Puoi ripetere una scena, cambiarla, pensarci. Nei live invece non ci sono queste possibilità. L'ansia sul film viene quando sta per uscire, quando sei in promozione. Fino a quel momento è il più bel lavoro del mondo. Quando stai facendo il montaggio di un film, sei vittima del giudizio di tutti. Mi è successo che volessi tagliare una scena di un film ma entrò all'improvviso la signora delle pulizie. L'ha guardata e si è messa a ridere. Ho deciso di tenerla la scena":
Sul suo rapporto con le donne: "Il successo cambia molte cose. Ma io sono fidanzato, accompagnato. Ho due figli. Cerco di vivere le cose con naturalezza, di non farmi schiacciare da questo mondo. Non vado alle serate mondane, cerco di restare umile". In chiusura: "Che Italia vedo? Lo scoprirete nel mio film...".
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lavocedililiana · 7 years
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GP Bologna: Luca tenta il colpaccio!!
Una squadra di valorosi eroi discesero dalle fredde e innevate montagne per partecipare al GP di Bologna: Matteo, Kevaldo detto Kevin, Yuri, Luca e Nicola.
In escusiva per noi, per voi, per tutta la Comunità dei giocatori di Belluno, abbiamo raccolto la testimonianza di Luca, l’unico della squadra a passare al secondo giorno, che al suo primo GP arriva 110° su 1669 partecipanti!!
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Venerdì
Arriviamo a Bologna Fiere verso le 15 e ci perdiamo nell'immenso, facendo foto e passando un paio d'ore a ammirare gli stand dei big seller europei lì presenti: io e Kevin decidiamo di armarci di un pacco di sleeve Hareruya a testa pronti per il day1. Completiamo il giro passando per la judge station e nelle postazione degli artisti.
Verso le 17 decidiamo di scaldarci per il giorno dopo e ci iscriviamo a un 8-man draft a eliminazione diretta. Drafto mono rosso ignoranza (stranamente il rosso era aperto, il colore migliore in draft) forte del mio first pick di Insult//Injury che insieme a un fling tattico strapperà praticamente ogni game.
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Vinco agile il primo turno contro un mazzo blu decisamente troppo lento, il secondo turno mi trovo di fronte un blue-red carico di spell e Hazoreth a ultimare il tutto. In un match abbastanza combattuto riesco a vincere 2-1 per passare al terzo turno che splitto con Elia Basso (un ragazzo veneto che poi vedrò sia day1 che day2 ogni turno ai tabelloni dei pairing) per guadagnare 150 wall tix a testa (corrispondente di mezzo box). Soddisfatto della prestazione e contento che i miei 20 draft di testing siano fruttati bene torniamo in appartamento e ci prepariamo mentalmente a affrontare il primo giorno.
Sabato
Svegliona alle 6:45, colazione al bar dei cinesi e siamo pronti in location alle 8:15 dove addirittura dobbiamo aspettare che apra. Un po' intimorito aspettiamo i seatings dove registreremo il pool e monteremo il mazzo. Alle 9 ci viene consegnata ai tavoli la sacca marchiata Legacy contenente il tappetino, penna, block notes e le 6 bustine che ci accompagneranno per 9 lunghissimi turni di sealed deck. Iniziamo a aprire le bustine e tutto sommato sono abbastanza soddisfatto: trovo Hazoreth e Sandwurm Convergence di degno di nota e il rosso e il verde sono colori abbastanza solidi. Così registro un green-red molto ignorante con appena 6 spell e ben 18 creature pronto a combattere, anche se non molto soddisfatto in generale: il rosso e il verde sono colori forti in sealed ma il mazzo mancava di bombe del calibro di glorybringer per davvero fare meglio. 
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Non ricordo molto dei nove turni ma vedrò di essere abbastanza esaustivo:
Turno 1: Vinco agile 2-0 in circa 10 minuti. Il mio opponent era arrivato due minuti in ritardo al tavolo e si era preso un game loss, g2 mulliga a 5 e io tengo a 7 una mano molto forte e in 6 turni la partita è mia.
                                                      1-0
Turno 2: Non ricordo esattamente cosa sia successo in questo turno ma vinco agile con ancora 25 minuti sul timer.
                                                      2-0
Turno 3: Sono contro un mezzo pro tedesco con una bellissima spilla di kaladesh che ha passato più tempo a mescolare in un modo fighissimo (devo imparare assolutamente!) che propriamente a giocare. G1 mulliga e parte lui, vinco una race impossibile grazie a un topdeck di fling nel momento giusto. G2 scopre il suo Glorybringer di quinto turno che chiude la partita istantaneamente. G3 mulligo a 5 con un keep di mono landa colorless e uno scry andato male e perdo in pochissimo. 
                                                      2-1 
Turno 4, 5, 6: Non ricordo esattamente cosa sia successo in queste 3 ore ma riesco a vincere 3 turni di fila e inizio a pensare di essere ancora in gara per un day1 spettacolare. 
                                                      5-1
Turno 7: Sono a tavolo 56, un sogno. Gioco contro un tizio austriaco/tedesco (che il giorno dopo scoprirò in top8 al PTQ della domenica) che mi stompa in pochissimo tempo e torno per terra, il sogno di fare 8-1 è finito.
                                                      5-2 
Turno 8: Sono contro Chronopoulos, uno dei membri della nazionale greca dell'ultima World Magic Cup. Appena mi siedo al tavolo si avvicina un suo amico che giocherà sul tavolo vicino con cui si mettono a parlare del Pro Tour di Kyoto e sento che le cose si metteranno male. Perdo 2-0 sommerso da un immenso Arcidemone che mi spazza il board in entrambe le partite e delusissimo dopo il 5-1 so che devo per forza vincere il mio ultimo turno per passare al secondo giorno. 
                                                      5-3
Turno 9: Sono pairato contro un signore italiano (il primo italiano della giornata per inciso) con cui parlo molto e fra una chiacchera e l'altra vinco 2-0 sculando un po' sui suoi mulligan a 5 e 6 nelle due partite.
Il sogno continua, sono passato a day2 6-3 Abbastanza soddisfatto (pensavo di poter fare meglio dopo la partenza esplosiva nei primi 6 turni) sono l'unico passato al secondo giorno. Dopo una doverosa cena alla Roadhouse con un panino gigante:
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Torniamo finalmente in appartamente completamente bagnati (grazie temporale!) dove scopro che i miei 15 pacchetti che avevo preso con i tix di venerdì si erano completamente inzuppati e che erano da buttare.
Domenica
Primo Draft: Draftare a professional REL è un'esperienza mistica:
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Era un sogno, esattamente come negli streaming del Pro Tour ti veniva dato un pacchettino sigillato da delle striscie di carta con i tre pacchetti già predisposti e segnati (non potevi scegliere quale draftare prima) e ogni carta timbrata. Draftare a tempo è stato un problema, soprattutto i 40-35-30 secondi per i primi pick sono stati un po' tassativi e ho pure sbagliato un pick per la fretta. Alla fine mi ritrovo con un bw zombie.
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Davvero molto sinergico e cattivo.
Turno 10: Vinco agile contro un RG bestie che mulliga a 5 entrambi i game.
                                                    7-3
Turno 11: Match difficilissimo, l'avversario aveva draftato blue-green con Nissa e mille fixer per lo splash nero per doppio (DOPPIO!) final reward e lo splash rosso per Samut. Perdo g1 dopo mezz'ora da due ultimate di Nissa. G2 anche va per le lunghe ma riesco a spuntarla grazie a un paio di volanti. G3 parte con 5 minuti sul timer e penso di non aver mai giocato così velocemente: in 8 turni per un totale di 3 minuti il game è concluso.
                                                     8-3
Turno 12: Gioco contro l'altro 2-0 del mio tavolo, un ragazzo spagnolo che aveva draftato anche lui BW zombie (infatti avevo passato un lord per pickare il plague belcher e non mi era tornato). Lui aveva tante creature con embalm e soprattutto liliana's mastery che ha concluso entrambi i game in tempo zero.
                                                     8-4
Secondo Draft: Mi siedo sconsolato al tavolo sapendo di essere fuori competizione ormai ma che forse sculando e vincendo questo draft avrei potuto entrare in top64. Il draft parte malissimo, faccio confusione con i pick e mi ritrovo a fine prima busta con un buon pentacolor. Seconda busta intravedo uno spiraglio di luce firstpickando un angler drake che mi convince a buttarmi sul blu, passando a malincuore Insult/Injury alla mia destra, da dove non era passata neanche mezza carta rossa davvero giocabile. Dopo qualche pick vedo un Drake Haven e da lì inizio a pickare solo ciclanti blu tutta la busta. Apriamo la terza busta e easy pick di Pull from Tomorrow, essenziale per avere un mazzo blu vincente. Secondo pick della terza busta? Pull from tomorrow FOIL! Bene, il blu è ben che aperto e da lì vedo uno spiraglio di salvezza. Alla fine questo è stato il mazzo:
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Ancora non soddisfatto e convinto di aver draftato il peggior mazzo della mia vita mi siedo al tavolo per il 13esimo turno.
Turno 13: Il mazzo si rivela decente strappando un 2-1 a un bw zombie niente male che semplicemente non ha fatto niente g3.
                                                  9-4
Turno 14: Si siede al tavolo il giocatore che draftava alla mia destra: rw aggro. Il mio torneo doveva chiudersi lì. Invece dopo un g1 perso in 6 turni in g2 riesco a stallare con le mie 4 naga oracle che mi sistemano la cima del mazzo che mi regala 2 lay claim e pull from tomorrow per passare decisamente in vantaggio. G3, come tutti i g3 del mio day2, lui mulliga a 6 e tiene una mano senza creature prima del quarto turno, quanto mi è bastato per sommergerlo di draghetti. Me ne alzo tutto contento sapendo di aver guadagnato un pro point e di poterne vincerne un altro al mio ultimo turno.
                                                  10-4
Turno 15: Ultimo turno di questo torneo quasi infinito. Becco il secondo e ultimo italiano del mio gp. Un signore simpatico con un bel mazzo black red pieno di ciclanti e doppio (!!) ruthless sniper. G1 lui fa molto poco e riesco a sottrargli un pitiless vizier con lay claim per strappare il game. G2 si inchioda a tre lande ma non è stata una passeggiata lo stesso e vinco dopo svariati turni.
                                                 11-4
Soddisfatissimo del risultato finale vado a controllare i tabelloni e scopro di essere arrivato 110°. Un minimo di speranza per la top64 c'era ancora ma ero pairato bassissimo da sempre non avendo giocato contro nessuno che ha fatto meglio di me a fine evento. È stata un'esperienza fantastica che ci porterá a giocare a molti altri eventi, infatti abbiamo già adocchiato il GP Torino Standard di settembre. Speriamo di continuare di questo passo e di sfondare davvero un giorno o l'altro, siamo sempre più spronati!
Complimenti a Luca per il risultato e grazie per aver condiviso con noi la tua esperienza!! Prossima volta vogliamo sentirti raccontare della top8!!
Cari lettori noi ci sentiremo di nuovo per le prossime interviste e a questo punto direi di chiudere con un dovuto
Ad maiora #Team #Belluno
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Trascrizione e traduzione: Radio 96XRT / LP live dal Bottom Lounge, Chicago
Jason Thomas : ciao, grazie di essere qui, grazie speciale ad Heineken, io sono Jason Thomas da radio 96XRT benvenuti a questa serata live, questa sera avremo con noi ospite un artista dalla voce spettacolare, faremo due chiacchiere poi un paio di canzoni, poi altre chiacchiere, poi altre canzoni, come ho avuto modo di scoprire prima è molto facile chiacchierare con lei, per favore diamo il benvenuto ad LP!
LP  : ciao gente!
JT : ciao LP grazie di essere qui, penso proprio che sei il tipo giusto per questo show, benvenuta a Chicago, vorrei iniziare chiedendoti della tua esperienza al Loolapalooza del 2012, dell enorme evacuazione..
LP : beh sì ero lì, quando c è stata quella evacuazione di massa, avevo finito la prima parte delle interviste e stavo per rientrare nell area stampa quando l addetto alla sicurezza mi ha fermato dicendo “scusa non puoi entrare” ed io ero come “eh? Come non posso entrare? C’ero? Ho il pass!?”. Poi ci abbiamo messo più di un ora ad uscire dal parco e andare all hotel, ha pure iniziato a piovere, era tutto così strano, così carico emotivamente.
JT : ah dove sei andata, qual era il tuo hotel?
LP : beh non era il mio hotel, era un hotel messo a disposizione credo per i dirigenti, un Four Seasons. siamo stati un po’ in giro, poi siamo tornati e abbiamo ripreso lo show, noi eravamo tra gli ultimi, ma a quel punto non tutta l audience era ritornata, la pioggia aveva fatto un disastro di fango e del palco, è stato molto strano, bello, ma strano, con quegli alberi magnifici.. farò il Loolapalooza a Parigi quest’anno..
JT : Davvero?
LP : sì, quindi augurami buona fortuna, che il palco non venga lavato via..
JT : wow, sì parleremo dell Europa tra poco, ma ora signori ecco a voi LP!
Live: Muddy Waters / Strange
LP : grazie Heineken! grazie Chicago! .. ah, e grazie Facebook live, tu si che hai dato di nuovo un senso alla mia vita.. (risate)
JT : aspetta ti do una mano (sposta un microfono)! la tua voce è troppo ma troppo grande per questa stanza! Fico. Ma parliamo un po’ di cantautorato. Di come creare qualcosa di così meraviglioso dal nulla. Tu hai già due dischi all attivo.  Se non sbaglio tra il tuo primo e secondo album c’è una pausa di tipo 8 anni..
LP : ehm, sì, oh, ma, grazie di avermelo fatto notare, eh. (risate).. scherzo! si dopo la prima uscita nel 2004 ci sono stati cambi di etichette discografiche, poi ho tipo perso 3 anni scrivendo per me, durante i quali ho conosciuto e lavorato con tanti co-autori e sai, mi sono divertita, poi sono passata alla Def Jam Universal, ma era come se non sapessero cosa farne di me. Cioè, voglio dire, voi (pubblico) sapreste cosa farne di me? (risate) tipo si balla? Si può ballare? A quel punto avevo qualcosa come 140 canzoni scritte e una fu scelta dai Backstreet Boys, e quello sì che è stato un momento “s-t-r-a-n-o”. (risate) Voglio dire, strano per un sacco di motivi… poi il niente, poi ho stretto un accordo per pubblicare, ma non ne è uscito molto, alla fine dopo due anni così, ho cominciato a scrivere solo per il mio divertimento, e ho preso in mano un ukulele. Voglio dire non è che pensassi “ok, allora ora voglio diventare quella cantante lesbica che suona l ukulele! Ho uno scopo?  Tu hai uno scopo? sì quello è il mio scopo nella vita”, semplicemente ho iniziato a scrivere canzoni che sono decollate. A differenza di altri il mio scopo è scrivere belle canzoni, e dopo una buona canzone, scrivere un'altra buona canzone. In sostanza in quella pausa ho fatto un sacco di cose. Nel 2011 ho firmato con un'altra etichetta e il resto è arrivato dopo lì.
JT : dicevi che scrivi per altri, come fai, voglio dire, è diverso  da quando scrivi per te?
LP : sì un tempo era così, in linea di massima cerco di entrare nel loro mondo, ma senza cercare di indovinarlo troppo. Alla fine quel che mi interessa veramente è scrivere una buona canzone.
Live: Into the wild – presentazione di JDCarrera (chitarra)
LP : grazie ragazzi, il prossimo pezzo è estratto dal mio ep Death Valley, uscito di recente, che ho portato in tour in Europa, la sensazione è quella che provi guidando in un deserto, in quelle aree desertiche in California, non so, quei viaggi nel deserto per me sanno di una lunga attesa. Sì, immagino che 7 anni siano una lunga attesa.
Live: Death Valley
LP: quando m incasino, faccio semplicemente così: rido e faccio una smorfia. La prima volta che ho suonato ad un talk show in tarda serata, era il Jimmy Camel show, ho ceffato un accordo - ero all ultimo stadio del più pauroso panico da palcoscenico – e ho fatto “eh?! Ecchec***o” (smorfia). Era un accordo facile. Non ci potevo credere.  Ho guardato in camera, e mi hanno immortalato.  Era una smorfia nuova, manco lo sapevo com era..
JT : ecco, c’ è differenza tra suonare per la grande audience televisiva e le situazioni più piccole, tipo questa?
LP: beh, ok, sì, ho appena partecipato a questa cosa in Italia, SanRemo, che fa 50.000.000 di spettatori. Adesso mi dico: ma sì che vuoi che sia, un tempo era: ohmiodddioo!
JT : e le canzoni come nascono, voglio dire, ti puoi forzare? O devi aspettare l ispirazione?
LP : beh io sono sempre lì che raccolgo pezzi, sul telefono, un accordo, uno stralcio, poi fisso una sessione in sala d incisione e  ci lavoro -  è fico, ma è molto meno affascinante di quel che uno pensi – in fondo questo è il mio lavoro e sono lì per farlo. Delle volte capita che ho una giornata storta, che non sopporto nessuno in studio, giorni che mi “scrivo via dalla stanza”, faccio il mio, finisco e sparisco. In studio mi porto chitarra o ukulele, se scrivo per altri magari mi forniscono un nastro, una traccia su cui lavorare, ma se è per me parto da zero.
JT : uno dei tuoi pezzi è stato scelto per una pubblicità televisiva. Com’ è che vengono selezionate le canzoni ?
LP : mah. Non so mica. Pensa che a un certo punto ho cantato persino un jingle, penso fosse per la campagna di JCPenneys (mobilificio), e anche un altro dopo, mi son detta: beh se non sfondi puoi sempre fare la cantante di jingles, sì dai… Non mi hanno più chiamato. Ma sai io ho un atteggiamento gagliardo nei confronti della musica, se scrivi un buon pezzo, un mega successo, poi devi comunque scriverne un altro. Non mi lascio impressionare da me stessa. Lo scrivo, e poi vado avanti.
JT : sentivo prima dal tuo manager che sei numero uno in .. tipo.. 20 nazioni?
LP : eh sì. È come se  tu sei lì, che giochi a monopoli e vinci alla grande, e arriva uno e ti dice “lo sai vero che sono soldi veri?” pazzesco.
JT : eggià. E lo sono? Non è semplicemente una scusa per girarti l Europa?
LP : sì beh.. lo so che detta così sembra una roba di biondone e decappottabili, ma in realtà c’è tanto lavoro.
JT : e sei stata in Russia?
LP : un sacco di volte. Sento che questa cosa è mal interpretata. Tipo che si pensa che gli americani sono tutti degli idioti, e che i russi sono tutti cattivi. In realtà stanno semplicemente cercando di gestire cosa la vita gli lancia addosso. È un paese bellissimo e con gente gentile. Sai viaggiando intensamente ho questa sensazione sfuocata di centrare solo dei punti. Eravamo in Germania sotto Natale, e sai tutti questi villaggi bellissimi e il vino e le luci, poi il giorno dopo che siamo partiti è successa quella cosa del tir che ha travolto non so quante persone e non si capiva se era terrorismo o cosa. Le persone cercano solo di viversi la propria vita. Ed è triste che ci siano tanti malgoverni in tanti paesi. Scusami. Non so come ci siamo arrivati. Te la sto affossando. Ok. Te l ho affossata.
JT : no, beh, hai detto bene tu. Stai per uscire con un nuovo disco e hai degli spettacoli in programma qui a maggio e giugno..
LP : sì. Grazie di esserci! Ho scritto un po’ di canzoni che parlano della mia ex-ragazza. Questa è una di quelle. Cioè è finita da un po’ ma questa canzone ci ho messo un po’ a metterla insieme, prima avevo la sensazione che ci sarei andata giù troppo pesante. Voglio dire, lo è ancora, pesante. Posso dire le parolacce?
Pubblico : sì! Sì!
Uno tra il pubblico : no!
LP : beh, questo è un problema tuo. (al tipo del no) In Europa si può. Là i ragazzi fanno “oh!”. Parolacce e tette. Wow. Viviamo in Europa. Le nostre vite sono la regola. E questo è JD Carrera, per gli amici BooBooKiddie
Live : Other People / Up against Me
LP : questa sarà nel mio disco in uscita a maggio (negli stati uniti), invece la prossima canzone ha fatto molta strada in Europa. È interessante, è la quintessenza della fine di una relazione. Solo che l ho scritta un anno prima della fine della relazione. (risate) sì, un po’ tipo, “bel modo per farla finita”. Sono ossessionata da quel momento in cui tutte le tue molecole insieme stanno dicendo “sta affondando … No, va bene. Lei sta bene. Tu stai bene. Va tutto bene.” E allo stesso tempo attraversavo un momentaccio professionalmente, il mio album tardava ad essere pubblicato. Non so. Quindi tra lavoro e relazione era un fot*to letto di me*a. Grazie radio. Cioè siamo alla radio giusto? So che trasmetterete quello che ho detto nel modo più professionale possibile (risate). ti voglio bene radio. So che anche tu me ne vuoi. Ti amo Chicago. Amo anche tutti questi treni che continuano a passare così vicini al locale. Fighissimi. (risate) Allora dicevo, la casa discografica non aveva intenzione di promuovere il mio album. Avevano sentito questo pezzo, muddy waters e strange, “hey suona alla grande” mi dissero, e un mese dopo mi hanno scaricato. E allora sono passata a questa etichetta indipendente e – ma tu guarda in che mondo viviamo adesso – un giorno un tipo dalla Grecia mi scrive, direttamente su Instagram, e mi fa “io sento che tua canzone può funzionare qui”, sì l ha detto così, e aveva anche proprio questa faccia qui ( fa la faccia da da greco che scrive - risate) e se potevo fornirgli il contatto con la mia etichetta. Non sapevo cosa volesse farne in realtà, pensavo chessò a qualcosa per un film o la televisione. Lui invece l ha presa in distribuzione, ed è schizzata al numero uno per 8 mesi. Da lì Italia e Francia l han seguita a ruota.. vi dico questo perché mi spezza il cuore pensare a tutti quegli artisti che dopo l ennesima porta in faccia hanno mollato. E non per farmi bella con la mia etichetta. Non puoi mai sapere. Potresti essere solo a una canzone di distanza. Hanno mollato senza provare che dall altra parte c era tutto questo splendore. Questa canzone simboleggia tutto questo per me. Ho scritto mucchi di canzoni che parlano della mia ex. Voglio dire, la mia prossima canzone probabilmente sarà “Grazie per la mia casa” (risate) …sto scherzando… le auguro una vita meravigliosa… e lei è una persona meravigliosa… e quindi questa canzone si intitola …“Grazie per la casa” ..ehm.. no, scusate  … “Lost on You”..
Live: Lost on you
LP: grazie infinite! Ciao ragazzi.
JT : che spasso! Se n’è andata.. Ma a maggio/giugno tornerà.. grazie ragazzi, sponsor, staff tecnico.. ciao!
Traduzione a cura di Alexandra Cavo
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gloriabourne · 5 years
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The one where they spend New Year’s Eve in Bari
"Ma tu lo sapevi che c'era gente che aspettava le nostre prove?"
Ermal si voltò verso Fabrizio guardandolo curioso. "Eh?"
Fabrizio voltò il cellulare verso di lui per fargli leggere uno dei tanti direct ricevuti su Instagram quel giorno.
"Stavano in piazza ad aspettare che provassimo" disse, mentre Ermal si sporgeva verso di lui per leggere il messaggio.
"Eh, mi dispiace" rispose Ermal.
Ma in realtà, non era davvero dispiaciuto.
Non aver dovuto fare il soundcheck quel pomeriggio, aveva significato avere la possibilità di ritagliarsi un po' di tempo per stare insieme ed Ermal non avrebbe potuto esserne più felice.
In realtà, non era passato molto tempo dall'ultima volta che si erano visti.
Quando Ermal era stato a Roma per il concerto di Venditti, era passato a salutare Fabrizio ed erano stati insieme per qualche ora. Ma ormai Ermal era arrivato a un punto in cui iniziava a sentire la sua mancanza nel momento esatto in cui si salutavano, e dieci giorni di lontananza sembravano essere un'infinità.
Quel giorno, quando Fabrizio era arrivato a Bari, Ermal gli aveva giusto dato il tempo di sistemarsi nella sua vecchia camera - sua madre aveva insistito affinché Fabrizio fosse loro ospite e non dormisse in albergo, così Ermal lo aveva fatto sistemare nella camera che da adolescente condivideva con Rinald - e poi lo aveva trascinato in giro per Bari.
Moriva dalla voglia di fargli conoscere la città, di fargli vedere i luoghi in cui era cresciuto, esattamente come tante volte aveva fatto Fabrizio con lui quando si erano visti a Roma.
Non era stato semplice camminare per le vie di una città così grande senza che qualcuno li riconoscesse, ma Ermal conosceva ogni vicolo e sapeva come spostarsi da una parte all'altra senza essere visto.
Gli aveva fatto vedere la sua vecchia scuola, il parco in cui andava con gli amici, il primo locale in cui aveva suonato... gli aveva mostrato tutti i pezzi della sua Bari che si portava nel cuore e Fabrizio lo aveva ascoltato attentamente mentre raccontava qualche storia sulla sua adolescenza.
Erano tornati a casa esausti, al punto che Fabrizio si era infilato una tuta sgualcita e aveva detto di non avere nessuna intenzione di uscire per la festa che ci sarebbe stata quella sera. E ad Ermal andava benissimo così.
Quindi, a conti fatti, era contento di non aver dovuto fare le prove quel pomeriggio.
Osservò Fabrizio per un attimo, riflettendo su come comportarsi, se dire o no tutti quei pensieri che gli ronzavano nella testa da quel pomeriggio.
E poi si decise.
In fondo, era quasi Capodanno. Non c'era momento migliore per liberarsi di un peso.
"Sono stato bene oggi" disse Ermal, come se stesse facendo una semplice constatazione, come se stesse parlando di qualcosa di poco importante.
Fabrizio sollevò lo sguardo dal telefono e disse: "Anch'io. È stato bello vedere la tua città, conoscere qualcosa in più di te..."
"L'avevo fatto solo con Silvia."
"Cosa?" chiese Fabrizio senza capire di cosa stesse parlando.
"I posti che ti ho fatto vedere, le cose che ti ho raccontato di quando ero un ragazzino... Sono cose che avevo fatto solo con Silvia."
Fabrizio rimase in silenzio, intuendo che dietro quella frase si nascondesse molto di più.
"Ci sono cose della mia vita che ho condiviso con lei perché pensavo che sarebbe stata la persona con cui sarei stato per sempre. E ora quelle stesse cose ho voluto condividerle con te."
Fabrizio sorrise. "Sono felice che tu le abbia condivise con me."
"Bizio, quello che sto cercando di dirti..."
"Lo so cosa stai cercando di dirmi, ci siamo già passati" lo interruppe Fabrizio.
Era successo a Lisbona, poco più di sette mesi prima, quando la sera prima della finale avevano bevuto un po' ed Ermal era finito a dire a Fabrizio che era bello, che gli piaceva guardarlo e che era la prima volta che gli capitava di provare quelle cose per un uomo. E Fabrizio, che ormai da tempo provava le stesse cose per Ermal, si era lasciato andare.
L'aveva baciato, nel buio di una camera d'albergo di Lisbona, e aveva passato la notte a dirgli quanto fosse bello stare al suo fianco e quanto si sentisse fortunato.
Il giorno seguente, entrambi si portavano dietro i postumi di una sbronza e di una serata in cui erano state dette e fatte troppe cose, cose per cui Ermal aveva iniziato a sentirsi insicuro ed in imbarazzo.
Così Fabrizio, per non complicare le cose tra loro, non aveva detto nulla. Non aveva cercato di dirgli che provava qualcosa per lui e non lo aveva fermato quando Ermal aveva detto che ciò che era successo a Lisbona avrebbe dovuto rimanere a Lisbona.
E ora non aveva intenzione di ripetere lo stesso errore.
"Ermal, io faccio quello che mi dici tu, lo sai. Se vuoi fare finta che tra noi non ci sia niente, io mi faccio da parte. Ma ci siamo già passati e ormai mi sembra inutile continuare a negare" disse Fabrizio.
Ermal sollevò lo sguardo su di lui.
Era bello, Fabrizio. Era bello in modo oggettivo, perché aveva dei lineamenti dolci che sarebbero piaciuti a chiunque. Ma aveva anche una bellezza nascosta, qualcosa che Ermal riusciva a leggere sul suo viso solo quando suonava, quando stava con i suoi figli e in quel momento, mentre stava guardando lui.
La bellezza che illuminava il suo viso quando guardava qualcosa che amava.
Sollevò lentamente una mano per accarezzargli la guancia e vide Fabrizio chiudere gli occhi e abbandonare il viso contro il suo palmo.
Era bellissimo, perfetto come mai l'aveva visto prima di quel momento. E lo amava. Non glielo aveva mai detto apertamente, ma Ermal se n'era accorto che Fabrizio si era innamorato di lui ogni giorno di più da quando si conoscevano.
"Non voglio negare niente" sussurrò Ermal prima di avvicinarsi e baciarlo.
Era un bacio diverso da tutti quelli che Ermal aveva dato fino a quel momento e - nonostante non fosse un grande esperto - in trentasette anni ne aveva dati parecchi.
Le labbra di Fabrizio erano screpolate, ben distanti dalle labbra morbide sempre ricoperte di lucidalabbra di Silvia o di qualsiasi altra ragazza avesse baciato fino a quel momento. Ma ad Ermal andava bene così.
Anzi, si rese conto che preferiva di gran lunga baciare le labbra screpolate di Fabrizio, sentire la sua barba sotto le dita, piuttosto che le labbra morbide e la pelle liscia di qualsiasi ragazza avesse baciato in vita sua.
  La prima cosa di cui Fabrizio si accorse la mattina seguente - ancora prima di aprire gli occhi - fu un peso sul petto.
La seconda fu il profumo dello shampoo di Ermal.
Sorrise, ancora con gli occhi chiusi, ricordando ciò che era successo la sera precedente.
Ricordò i baci, le carezze, gli sguardi. Ricordò che, a un certo punto, erano entrambi esausti ma nessuno dei due voleva smettere di guardare l'altro. Poi ricordò che Ermal aveva ceduto per primo, addormentandosi con la testa sul suo petto.
Lo guardò dormire per qualche minuto, poi si alzò cercando di non svegliarlo e si preparò per le prove.
Era già molto tardi, e in effetti avrebbe dovuto svegliare Ermal e trascinarlo fuori casa, ma proprio non se la sentiva di disturbarlo. Così, dopo avergli lasciato un baciò sulla fronte, uscì di casa.
  Ermal si svegliò con un doloroso mal di schiena.
Non era stata una grande idea dormire con Fabrizio in un letto singolo. Ancora non capiva come fosse possibile che a nessuno dei due fosse venuto in mente di unire i due letti presenti nella stanza.
Si stropicciò gli occhi e, dopo aver notato l'assenza di Fabrizio, afferrò il cellulare.
Aveva un paio di messaggi tra cui uno di Elisa D'Ospina che diceva: "Ermal, ma dove sei? Ti cercano tutti!"
Ma Ermal ignorò ogni conversazione su WhatsApp, concentrandosi solo sul messaggio di Fabrizio.
 Buongiorno. Scusa se non ti ho svegliato, ma ci siamo addormentati tardi e ho preferito lasciarti riposare. Sono a fare le prove, chiamami quando arrivi qui.
 Poi in un altro messaggio, come se meritasse uno spazio tutto suo, gli aveva inviato un cuore giallo.
Ermal sorrise e si affrettò a rispondere.
 Mi sono appena svegliato. Arrivo.
Comunque stavo pensando a una cosa...
 Cosa?
 Ho un amico che lavora in un hotel qua a Bari. Sono sicuro che riuscirà a trovarmi una camera all'ultimo momento. Ti va se stiamo lì dopo il concerto?
 Non vuoi tornare a casa?
 Voglio stare un po' con te.
 Allora prendi anche le mie cose. Stanotte stiamo dove vuoi tu.
 Ermal sorrise leggendo la risposta.
La giornata era appena iniziata e già non aveva dubbi che sarebbe stato il capodanno migliore della sua vita.
  La giornata era stata lunga e piena di impegni - tra prove e interviste per la radio - soprattutto per Ermal, che era arrivato tardi.
Ermal e Fabrizio non erano riusciti nemmeno a incontrarsi in camerino, perché erano andati a cambiarsi in orari diversi.
Erano ormai quasi le 21 quando Ermal riuscì a fermare Fabrizio dietro le quinte e prenderlo da parte per un attimo.
"Ehi! Dove sei stato fino a adesso?" chiese Fabrizio, anche lui felice di rivedere il suo fidanzato.
Ammesso che potesse definirlo così. In fondo, si erano baciati, avevano dormito insieme, ma non ne avevano ancora parlato.
"In giro. Ho dovuto recuperare tutto quello che non ho fatto questa mattina" rispose Ermal. Poi, dopo essersi guardato intorno e aver notato che non c'era nessuno vicino a loro, affondò una mano nella tasca del cappotto e recuperò la chiave della camera d'albergo.
"Cerca di non farti notare troppo quando arrivi" disse Ermal passando la chiave a Fabrizio.
Fabrizio afferrò la chiave e se la mise in tasca, senza riuscire a impedire che un enorme sorriso gli illuminasse la faccia e contagiasse presto anche Ermal.
Non vedeva l'ora di passare un po' di tempo con Ermal, di iniziare l'anno insieme a lui, consapevole che sarebbe stato bello tanto quanto lo era stato il 2018.
Ermal gli aveva dato tanto senza nemmeno rendersene conto.
Era stato un collega, un buon amico, l'aveva fatto innamorare. E Fabrizio non aveva dubbi che il 2019 sarebbe stato altrettanto pieno di cose belle.
  Finita l'esibizione insieme ad Ermal, Fabrizio si sentiva ubriaco anche se non aveva ancora toccato nemmeno una goccia di alcol.
La vicinanza di Ermal, cantare insieme a lui una canzone che per loro significava tutto, circondargli le spalle con un braccio alla fine della canzone e sentire Ermal stringerlo a sua volta... Tutte quelle cose lo facevano sentire così felice da fargli provare la stessa sensazione che si prova quando si ha un bicchiere di troppo.
Ancora offuscato da quelle sensazioni, quasi non si accorse di Ermal che lo prendeva malamente per un braccio e lo trascinava nel loro camerino, chiudendo la porta a chiave appena entrati.
"Che succede?" chiese Fabrizio.
Ermal non disse nulla, si avvicinò semplicemente a Fabrizio e lo baciò.
Fabrizio lo strinse a sé, mentre apriva leggermente le labbra per permettere alla lingua di Ermal di scivolare nella sua bocca.
Era bello baciare Ermal. Era dolce, lo baciava lentamente, come se avessero tutto il tempo del mondo. Ma proprio quel baciarlo lentamente, scatenava in Fabrizio la voglia di avere di più, di andare oltre.
E di questo Ermal se ne accorse un attimo più tardi, mentre Fabrizio si stringeva maggiormente a lui premendogli contro una quasi dolorosa erezione, che fino a quel momento non si era nemmeno accorto di avere.
"Sei felice di vedermi, eh!" scherzò Ermal staccandosi per un momento da lui.
"Pensa a quanto sarò felice più tardi, quando saremo soli" disse Fabrizio. Poi si allontanò da Ermal e aggiunse: "Ora però dobbiamo darci una calmata. Non posso salire sul palco in questo stato."
"No, infatti" concordò Ermal con un sorrisetto malizioso sulle labbra.
Si avvicinò a Fabrizio e lo spinse fino a farlo sedere sul divanetto del camerino. Poi si inginocchiò davanti a lui e disse: "Non posso farti salire sul palco in questo stato."
Fabrizio non rispose, completamente catturato dalle parole di Ermal e dal suo modo di fare così sicuro che lo stava letteralmente facendo impazzire.
Si limitò a guardarlo mentre gli slacciava la cintura e gli sbottonava i jeans e ad alzare leggermente i fianchi per permettergli di abbassare pantaloni e boxer.
Lo guardò impugnare la sua erezione, facendo scorrere lentamente la mano su di essa, e poi lo fissò mentre abbassava la testa su di lui e lo accoglieva nella sua bocca.
Fabrizio si lasciò scappare un gemito mentre chiudeva gli occhi e portava una mano tra i ricci di Ermal.
Se solo un paio di giorni prima gli avessero detto che avrebbe concluso l'anno con Ermal inginocchiato tra le sue gambe, sicuramente non ci avrebbe creduto. Una parte di lui, in realtà, faticava a crederci anche in quel momento, nonostante riuscisse benissimo - anche troppo bene - a percepire le labbra e la lingua di Ermal scorrere sulla sua erezione.
"Ermal..." lo richiamò qualche attimo dopo, per avvertirlo che ormai era al limite.
Ermal gli lanciò un'occhiata e, capendo la situazione, accelerò il ritmo fino a quando, con un gemito più forte degli altri, Fabrizio si riversò nella sua bocca.
"Bene, ora puoi andare sul palco senza problemi" disse Ermal qualche attimo dopo mentre si sedeva sul divano accanto a Fabrizio.
Fabrizio, ancora con gli occhi chiusi e la testa abbandonata sullo schienale del divano, disse: "E per forza. M'hai prosciugato. Non aspettarti grandi cose più tardi, mi hai lasciato senza forze."
Ermal si mise a ridere, mentre Fabrizio - che aveva riacquistato un minimo di lucidità - aprì gli occhi e si voltò verso di lui.
"No, scherzavo. Più ti guardo, più penso a dove stava la tua bocca un attimo fa e più mi rendo conto che le forze le posso recuperare e pure in fretta!" disse Fabrizio.
"Stai bravo, che ora non c'è tempo" rispose Ermal.
Appena un attimo dopo, bussarono alla porta del camerino intimando a Fabrizio di uscire al più presto e di salire sul palco.
Fabrizio sospirò mentre si alzava dal divano e si riabbottonava i jeans, sotto lo sguardo divertito di Ermal. "Hai ragione, non c'è tempo. Ma recuperiamo più tardi."
  Era passata l'una di notte già da un po' quando finalmente Ermal riuscì ad allontanarsi da amici e colleghi.
Non vedeva Fabrizio da prima di mezzanotte.
All'inizio non era stato un problema, sapeva che Fabrizio voleva fare il conto alla rovescia con i suoi figli quindi si erano salutati qualche minuto prima dell'inizio del nuovo anno, poi Ermal era salito sul palco mentre Fabrizio tornava in camerino per chiamare i bambini.
Ma dopo il conto alla rovescia, Ermal aveva perso ogni traccia di Fabrizio e se fino a quel momento era stato troppo impegnato a cantare e chiacchierare con i colleghi che continuavano a fermarlo dietro le quinte, ora che ormai era passata più di un'ora iniziava a domandarsi dove fosse finito.
Si stava ancora guardando intorno - con il telefono tra le mani pronto a chiamare Fabrizio se non lo avesse trovato - quando sentì una voce che conosceva fin troppo bene fare il suo nome.
Silvia lo stava chiamando da almeno un paio di minuti - anche se lui aveva tentato di fare finta di non sentirla - per convincerlo a fare una foto di gruppo.
"Ma è proprio necessario che ci sia anch'io?" disse Ermal.
Non che non volesse fare foto, ma in quel momento la sua priorità era trovare Fabrizio.
"Dai, solo una foto veloce!" disse Silvia.
Ermal sospirò. "E va bene. Solo una!"
Si sistemò accanto alla sua ex fidanzata, rendendosi conto che starle accanto non gli faceva più l'effetto di una volta. Starle accanto non gli faceva più battere il cuore come sarebbe successo un anno prima.
Ed Ermal era più che felice.
Voleva bene a Silvia, gliene avrebbe voluto per sempre. Ma quella era solo la conferma che ormai Fabrizio si era insediato così tanto nel suo cuore da permettergli di stare accanto a quella donna - con cui era stato per nove anni - senza provare assolutamente nulla, se non tranquillità. Quel tipo di tranquillità che provi vicino agli amici o alle persone che conosci da tanto tempo, ma niente di più.
"Scusate, non è che per caso avete visto Bizio?" chiese Ermal appena scattata la foto, mentre si distaccava leggermente dal gruppo.
"Credo se ne sia andato" disse Silvia.
Ermal aggrottò la fronte confuso. Era convinto che sarebbero andati via insieme.
Ovvio, non sarebbero entrati in albergo nello stesso momento per non creare troppi pettegolezzi ma era convinto che Fabrizio lo avrebbe almeno aspettato prima di andarsene.
"Ermal, tutto ok?" chiese Silvia avvicinandosi a lui e mettendogli affettuosamente una mano sulla spalla.
Ermal annuì. "Sì, sì. Solo che ero convinto che mi avrebbe aspettato."
Silvia lo guardò per un attimo e, senza che Ermal parlasse, capì tutto.
Non erano più semplicemente Ermal Meta e Fabrizio Moro, amici e colleghi che avevano fatto una canzone insieme.
Erano diventati molto di più.
Silvia era stata con Ermal per nove anni, avrebbe riconosciuto quello sguardo innamorato ovunque. Era lo stesso sguardo che per anni Ermal aveva riservato a lei.
"Raggiungilo" disse semplicemente.
"Come, scusa?"
Silvia sorrise. "Hai fatto il conto alla rovescia, hai cantato tutti i pezzi che avevi in programma... Insomma, la tua presenza qui non è più necessaria e tu non hai intenzione di rimanere qui senza Fabrizio. Quindi vattene, raggiungilo."
Ermal sorrise, colpito da quanto Silvia riuscisse ancora a leggergli dentro nonostante si fossero lasciati da più di un anno.
La abbracciò e le baciò teneramente una guancia.
"Buon anno, Silvia" disse prima di allontanarsi in fretta, diretto all'albergo in cui sicuramente Fabrizio lo stava già aspettando.
  Come previsto, Fabrizio era già in hotel.
Ermal aveva fatto l'offeso per un po', dicendogli che non era stato educato andarsene senza avvertirlo, e Fabrizio aveva tentato di giustificarsi spiegando che visto che non doveva più cantare aveva pensato di arrivare in albergo un po' prima, evitando la maggior parte dei giornalisti e curiosi vari che da lì a poco si sarebbero accampati fuori dall'edificio.
Ma nonostante quella spiegazione, Ermal aveva continuato a comportarsi come un bambino a cui hanno appena rotto un giocattolo nuovo. Aveva continuato a borbottare tra sé e sé - anche se Fabrizio l'aveva sentito benissimo - che non era quello il modo di comportarsi, che non era stato carino da parte sua lasciarlo lì da solo.
E Fabrizio l'aveva lasciato parlare.
Principalmente perché credeva che fosse più saggio lasciarlo sbollire che interromperlo, e poi perché non poteva negare che vedere Ermal arrabbiato lo eccitasse.
Solo quando Ermal sembrava essersi tranquillizzato, Fabrizio si azzardò a dire: "Hai finito?"
Ermal gli lanciò un'occhiataccia e Fabrizio aggiunse: "Te lo chiedo perché questo tuo voler sempre dettare legge, voler sempre avere ragione, ha avuto delle conseguenze."
Lo sguardo di Ermal scivolò lungo il corpo di Fabrizio - che se ne stava sdraiato sul letto praticamente da quando Ermal era entrato in camera - e si soffermò sull'evidente erezione coperta dai pantaloni.
"Fammi capire: sei in quelle condizioni perché mi hai visto arrabbiato?" chiese Ermal.
Fabrizio arrossì, sentendosi come un adolescente in piena tempesta ormonale. Ma in fondo era esattamente così che Ermal lo faceva sentire. Gli sembrava di essere tornato ragazzino.
Ermal si sfilò rapidamente il cappotto e raggiunse Fabrizio a letto, mettendosi seduto sul suo bacino.
Fabrizio sospirò sentendolo strusciarsi sopra la sua erezione.
"Vuoi farmi morire?" chiese mettendogli le mani sui fianchi, quasi sentisse il bisogno di tenerlo fermo per paura che potesse alzarsi e andarsene.
"Te ne sei andato senza aspettarmi. Non ti meriteresti niente da me questa sera" disse Ermal. Poi si chinò su Fabrizio e, appena prima di dargli un bacio, disse: "Però visto che dicono che chi fa l'amore a capodanno lo fa tutto l'anno, diciamo che è nel mio interesse non lasciarti in questo stato."
"Mi stai dicendo che vuoi fare l'amore con me?" disse Fabrizio, accarezzandogli una guancia.
Ermal sorrise, lasciando perdere per un attimo quella maschera da spaccone arrabbiato che aveva usato fino a un momento prima. "Sì, Bizio. Voglio fare l'amore con te."
Entrambi si tolsero i vestiti rapidamente, guidati dalla voglia di stare insieme, di sentire la pelle dell'altro a contatto con la propria.
Per un attimo Ermal rischiò di scoppiare a ridere per quanto era nervoso.
Si sentiva come se stesse facendo l'amore per la prima volta, e in un certo senso era così.
Con Fabrizio tutto sapeva di novità.
Era come se prima di lui non avesse mai baciato veramente qualcuno, come se non avesse mai fatto davvero l'amore, come se non avesse mai amato davvero.
Fissò Fabrizio negli occhi mentre entrava lentamente dentro di lui, rendendosi conto - forse per la prima volta - di quanto tempo aveva sprecato facendo finta di non provare niente per Fabrizio, nascondendosi dietro stupide scuse, fingendo che fossero solo amici quando in realtà solo amici non lo erano mai stati.
E quando alla fine si ritrovarono l'uno accanto all'altro, dopo quello che per entrambi era stato decisamente l'amplesso più soddisfacente della loro vita, per Ermal fu naturale voltarsi verso Fabrizio e dirgli: "Ti amo, Bizio."
Fabrizio si voltò verso di lui e lo guardò un po' sorpreso.
Poco più di 24 ore prima, Ermal non aveva ancora nemmeno avuto il coraggio di fare il primo passo verso di lui mentre ora gli stava dicendo di essere innamorato di lui.
"Sei sicuro?" chiese Fabrizio cingendogli la vita con un braccio e attirandolo a sé.
Ermal annuì. "Sì. Ci ho solo messo un po' a capirlo."
"Meglio tardi che mai" rispose Fabrizio. Poi lo baciò e aggiunse: "Comunque ti amo anch'io."
E quello fu il momento in cui entrambi capirono che il 2019 sarebbe stato un anno perfetto.  
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wdonnait · 4 years
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Al Bano: “la mia pensione è di solo 1470 euro” e non si spiega il perché
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Al Bano: “la mia pensione è di solo 1470 euro” e non si spiega il perché
In questi ultimi giorni, Al Bano sta facendo parlare molto di sé.
Dopo aver fatto una bella gaffe sull’uomo che ha sconfitto i dinosauri, Carrisi sostiene di percepire una pensione bassa di solo 1470 euro.
La sua affermazione fa storcere il naso a tantissime persone. Questo perché con i tempi che corrono, non ci si può lamentare di simili cifre.
Allo stesso tempo però, Al Bano precisa che non si spiega la motivazione. Infatti, il cantante di Cellino San Marco, sostiene di aver sempre versato i contributi.
Di conseguenza, non gli tornano i conti in tasca. Ha affrontato questa tematica in diverse interviste, ad esempio per “Diva e Donna“, in cui ha detto:
“Il mio assegno ammonta a 1470 euro al mese. Fino a qualche mese fa erano soltanto 1370. Non capisco come sia possibile visto che nella mia vita ho sempre versato i contributi, fin da quando ero contadino qui in Puglia e poi metalmeccanico a Milano.
Ho solo uscite e poche entrate, così sopravvivo solo un anno. Limando qua e là, con le giuste accortezze, vado avanti un anno. Lei ha letto tutte le norme per riaprire? La spesa non vale l’impresa e poi finirebbe per assomigliare tutto ad un ospedale. E un ristorante non può sembrare un ospedale.
Ho calcolato che i miei risparmi mi faranno stare tranquillo per due anni. Se sono in difficoltà io, figuriamoci gli altri”.
Al Bano verso il fallimento
Il cantante non si lamenta soltanto della pensione ma anche dell’assenza di entrate nella sua tenuta. 
A causa del Coronavirus, la sua attività ha subito un danno notevole. Per lui questo è un bel problema perché ha la responsabilità di ben 50 famiglie. 
Pertanto, fino a qualche giorno fa non se la sentiva di riaprire.
Tuttavia, stando alle sue ultime dichiarazioni, sembrerebbe aver trovato una soluzione. Infatti, i dipendenti hanno deciso di avviare comunque il tutto, dando lui una percentuale dei guadagni:
Aggiungo che grazie a Dio l’azienda vinicola va benissimo però parliamo di agricola, dell’albergo, ristorante e pizzeria chiusi. Sono perdite quotidiane non indifferenti. Sia chiaro: non sto piangendo miseria. Ma la situazione è abbastanza critica. Non solo per me ma per tutto il resto del mondo”.
Vedremo quando a settembre dovremo fare la vendemmia quando ci sarà la raccolta delle olive come faremo. Nel frattempo, i miei dipendenti hanno insistito, si sono organizzati in una cooperativa e li gestiranno loro, a me andrà solo una percentuale. Metà li dedicherò alla vigna, metà alla semina”.
Al Bano tour annullati
Al Bano afferma di sentire molto la crisi post Covid-19, anche dal punto di vista musicale.
Infatti, sarà alquanto impossibile programmare dei tour per i mesi seguenti e questa cosa non gli va proprio giù:
 “Chi si fida a prendere un aereo, ad andare per il mondo con questo dannato virus in giro! Non capisco perché la musica leggera sia sempre considerata la Cenerentola dello spettacolo. Trovano contributi per tutti, ma non per chi fa il nostro lavoro. Tra l’altro, non riuscirei a coprire nemmeno le spese per i tecnici”.
Al Bano e la dieta senza carboidrati
Sempre nell’intervista per “Diva e Donna”, Al Bano ha confidato di aver perso qualche kg di troppo, seguendo una dieta senza carboidrati.
Effettivamente, rispetto a qualche mese fa, il cantante appare molto più in forma:
“Visto che sono a casa da quattro mesi e nella mia vita non mi era mai capitato un periodo così lungo senza passare da un albergo all’altro ne ho approfittato per fare un po’ di dieta. Ho eliminato i carboidrati, la pasta la mangio solo una volta alla settimana. Per il resto mangio tutte le cose che fanno dimagrire: insalate del mio orto, pesce e frutta.”
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