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neropece · 19 days
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“the chinese dress” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Le strade lastricate di ciottoli grezzi e le facciate logore dei palazzi antichi costituivano lo sfondo mutevole per la sua passeggiata senza meta. Lei, una figura solitaria in un abito cinese bianco ornato da eleganti pavoni colorati, si muoveva con una grazia discreta, i suoi lunghi capelli lisci e neri scivolavano lungo la schiena come un fiume d'ebano.
Nessuno poteva dire chi fosse o da dove venisse. La città, con la sua atmosfera intrisa di storia e di segreti, sembrava accoglierla con un sussurro sommesso di benvenuto. Era come se fosse destinata a vagare tra le strade tortuose, un'estranea ammaliante in un mondo di sogni e illusioni.
I suoi passi erano misurati, una danza silenziosa tra i vicoli tortuosi e le piazze affollate. Non c'era fretta nei suoi movimenti, solo una calma contemplativa mentre assorbiva l'atmosfera della città che viveva e respirava intorno a lei.
Attraversò antichi vicoli lastricati, dove le pietre portavano i segni indelebili del tempo. Il profumo del pane appena sfornato si mescolava con l'odore pungente del caffè, che si alzava dalle piccole caffetterie nascoste tra gli edifici storici. La vita quotidiana pulsava nelle strade, una sinfonia di voci, odori e movimenti che creava un tappeto vivente sotto i suoi piedi.
La donna bruna si fermò di fronte a una chiesa antica, le sue guglie si stagliavano contro il cielo color turchese. Un sorriso sottile sfiorò le sue labbra mentre osservava i dettagli scolpiti nella pietra, testimoni silenziosi di secoli di storia e devozione umana.
Continuò il suo cammino, incrociando sguardi fugaci con gli abitanti della città. Ogni sguardo raccontava una storia, un frammento di vita vissuta, di speranza e di dolore. C'erano occhi luminosi pieni di gioia e occhi stanchi segnati dalla fatica, ma tutti parlavano lo stesso linguaggio universale dell'umanità.
La luce del pomeriggio si attenuava gradualmente mentre la donna bruna si avvicinava al fiume che attraversava la città. Le acque scure riflettevano timidamente i raggi del sole, creando un gioco di luci e ombre sulle sue sponde. Si sedette sul parapetto di pietra, lasciando che il suono rilassante del flusso d'acqua cullasse la sua mente.
Chissà cosa avesse portato quella donna bruna nelle strade di quella città? Forse era alla ricerca di qualcosa o forse semplicemente seguiva il flusso della vita, senza sapere cosa il destino avesse in serbo per lei. Ma in quel momento, sotto il cielo che si tingeva di arancione e rosso, accanto al fiume che scorreva placido, era semplicemente una presenza, un'anima in viaggio nel labirinto delle esperienze umane.
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neropece · 1 month
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“yellow and shadow” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Quella mattina, il sole si stagliava nel cielo senza nuvole come un faro implacabile, illuminando ogni angolo della città con la sua luce accecante. Era una di quelle giornate in cui l'aria stessa sembrava pulsare di calore, avvolgendo la città in una morsa soffocante.
Tra le vie trafficate e i marciapiedi gremiti, c'era un ragazzo che avanzava con passo misurato. Indossava una felpa grigio chiaro e un piumino giallo che brillava al sole come un faro di luce in mezzo al caos della città. Il suo nome era Carlo, e in quel momento, il suo unico obiettivo era sfuggire al calore implacabile.
Costeggiando una parete del colore del suo piumino, Carlo avanzava senza uno scopo preciso, lasciando che i suoi pensieri vagassero liberamente come nuvole alla deriva. Non c'era fretta nei suoi passi, solo una calma apparente che celava un tumulto interiore.
Ad un certo punto, si fermò di fronte a un vecchio bar, le finestre appannate dalla condensa e la vernice sbiadita dal tempo. Mentre contemplava il panorama desolato, sentì qualcuno chiamare il suo nome. Si voltò e vide un vecchio amico, un fantasma del passato che tornava a tormentarlo con ricordi sepolti.
Senza scambiare una parola, i due si guardarono negli occhi per un istante, il peso del tempo e delle scelte sbagliate pesando sulle loro spalle. Poi, con un cenno impercettibile del capo, si separarono, ognuno tornando al proprio cammino solitario.
Carlo riprese il suo vagabondare tra le strade affollate, lasciandosi alle spalle il passato e abbracciando l'incertezza del futuro. In quel momento, non c'era spazio per rimpianti o rimorsi, solo la consapevolezza fugace di essere vivo e di camminare lungo il confine sottile tra il giallo e l'ombra.
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neropece · 2 months
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“women of the future” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
In una fredda sera d'inverno, in un locale anonimo dal nome sbiadito e dalle pareti scolorite, era ospitava una variegata umanità in cerca di un rifugio temporaneo dai rigori della vita quotidiana. Tavoli sgranati e sedie sbilenche offrivano un'imitazione di comfort mentre lo spettro di una luce fioca, filtrata da lampadari coperti di polvere, danzava nell'aria densa di fumo di sigaretta.
Tra i frequentatori abituali del locale c'era Frank, un uomo con lo sguardo perso nell'abisso dei suoi pensieri, le mani logore da anni di lavoro in una fabbrica che non lo aveva mai gratificato. Sedeva solitario, con una bottiglia di liquore a tenergli compagnia, cercando di annegare i fantasmi del passato e le incertezze del futuro.
Fu proprio mentre Frank stava cercando di dare un senso alla propria esistenza, che il suo sguardo cadde su un angolo del locale. Quattro piccole figure, appena più alte delle sedie su cui erano sedute, erano voltate di spalle. Avranno avuto si e no cinque anni, dai vestiti colorati, si concentravano su un'attività a lui misteriosa.
Con lentezza, come se temesse di disturbare quel momento di pura innocenza, Frank si avvicinò al tavolo delle bambine. Si fermò a pochi passi da loro, osservando il loro intento lavoro. Con piccole manine agili, disegnavano su fogli di carta sgualcita, concentrando ogni briciola di creatività nel tracciare linee e colori.
La luce fioca del locale danzava tra i capelli delle bambine, rendendo i loro volti invisibili a Frank. Ma in quel momento, in mezzo a un tumulto di voci e rumori del locale, tutto sembrava acquietarsi. Le risate dei clienti si attenuarono, il fumo delle sigarette si diradò. Restava solo il suono leggero delle matite che scorrevano sulla carta, come un sussurro nella notte.
E Frank, per un istante, si sentì trasportato in un mondo dove le preoccupazioni e i rimpianti non esistevano. Dove la semplice gioia di creare e condividere un momento di bellezza era sufficiente a riempire il cuore di speranza. Quel tavolo, illuminato da una luce invisibile, divenne per lui un faro nella tempesta, un promemoria che anche nei momenti più bui della vita, la bellezza e la semplicità possono ancora essere trovate, se solo si è disposti a cercarle.
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neropece · 3 months
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“skater at sunset” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Il sole stava già iniziando la sua lenta discesa dietro gli edifici di mattoni rossi e intonaco che costellavano il centro della città. Una luce dorata tingeva il cielo, facendo brillare le finestre dei grattacieli come pezzi di vetro spezzato. Jack, un uomo di mezza età dalle spalle curve e dallo sguardo stanco, si trascinava lungo le strade trafficate, cercando di raggiungere casa dopo una giornata di lavoro che sembrava non avere mai fine.
Mentre si avvicinava al suo appartamento, passò davanti a un negozio di dischi di seconda mano che aveva sempre ignorato. Qualcosa, quella sera, attirò la sua attenzione. Una copertina sgargiante spiccava tra gli svariati album impolverati esposti nella vetrina. Era un disco di qualche band indie locale, ma ciò che catturò l'occhio di Jack fu l'immagine sulla copertina.
Al tramonto, su una pista da skate, in quella che sembra una città europea, uno skater si muoveva fluido con la sua tavola sotto i piedi. La silhouette nera del ragazzo si stagliava contro il cielo dai colori invecchiati dal passaggio del tempo. Il movimento della tavola da skate e del ragazzo disegnavano un'ombra allungata sulle piastrelle di cemento. Era un momento intrappolato nel tempo, un istante di pura grazia e abilità, catturato in una frazione di secondo.
Senza pensarci due volte, Jack varcò la soglia del negozio e chiese al commesso dietro al bancone di vendergli quel disco. Il giovane commesso, con una pettinatura alla moda e un paio di occhiali da sole sul naso, gli sorrise e accettò di buon grado la sua richiesta.
Tornato a casa, Jack mise il vinile sul giradischi polveroso che aveva ereditato da suo padre. Il suono scricchiolante della puntina che si posava delicatamente sulla traccia iniziò a riempire la stanza. Le note di chitarra si diffusero nell'aria, e Jack si ritrovò avvolto dalla melodia malinconica.
Chiuse gli occhi e si immaginò sul bordo di quella pista, al tramonto, mentre uno skater sconosciuto danzava con il pavimento in un perfetto equilibrio tra gravità e libertà. Sentì la brezza tiepida sulla pelle, assaporò la sensazione di libertà che solo uno skate e una strada deserta possono offrire.
La musica continuava a suonare, e Jack si lasciò trasportare in quel mondo di movimenti eleganti e sfide audaci. Quella copertina diventò per lui un portale, un ricordo che sfuggiva alle mani ma che, grazie alla musica, poteva rivivere ogni volta che lo desiderava. E così, nella sua solitudine quotidiana, trovò un rifugio in un tramonto urbano immortalato su una copertina di vinile.
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neropece · 3 months
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“a pink day” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Antwerp, Belgium
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neropece · 3 months
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“forever close” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Nel cuore di una cittadina senza tempo, dove il grigio delle strade si fonde con il grigio del cielo, c'è una storia d'amore che resiste all'implacabile corso del destino. Le vite di Alex e Morgan si intrecciavano tra i vicoli stretti, un'amicizia che si sviluppò in qualcosa di più, un sentimento che sfidava la monotonia delle giornate grigie.
Alex, un lavoratore locale, e Morgan, una mente creativa senza un posto fisso nel mondo, si scoprirono l'un l'altro in un piccolo bar buio. Il loro amore crebbe nell'oscurità di strade poco illuminate, dove le luci pallide delle insegne creavano un'atmosfera di mistero e desiderio. Ma come talvolta capita, la vita ha avuto una strana maniera di chiedere il conto.
In una fredda notte d'inverno, Alex e Morgan persero la vita in un incidente che spezzò le loro storie ancor prima che potessero scrivere il loro epilogo. Le loro famiglie, spesso spartite da vedute diverse, si trovarono unite dalla stessa tristezza e rimpianto. Troppe parole non dette, troppe emozioni represse, ora sprofondavano nelle tombe di due anime che avevano trovato il loro rifugio l'una nell'altra.
Le loro tombe erano inclinate, appoggiandosi l'una all'altra come se la morte avesse finalmente concesso loro il conforto negato dalla vita. La pietra fredda divenne il testimone di un amore che, sebbene interrotto prematuramente, continuava a vibrare nell'eternità. Nelle notti tranquille, quando la pioggia scivolava via senza rumore, si diceva che le anime di Alex e Morgan si ritrovassero, non più limitate dai confini terreni.
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neropece · 4 months
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“sunset in lake como” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Finalmente eravamo lì dove dovevamo essere, ma tutto era diverso da come lo avevamo immaginato. Eravamo rimasti in tre. Avremmo voluto volare via come avrebbe potuto fare questo cigno, ma ci trovavamo lì, seduti sulla pietra fredda, con la luce del tramonto che colorava le nostre facce di sfumature arancioni e rosa.
Elena, con i suoi capelli castani che ondeggiano delicatamente al vento, aveva sempre avuto il sogno di vedere il tramonto sul Lago di Como. "Dicono che qui il tramonto sia diverso," aveva sussurrato mentre il sole cominciava a calare all'orizzonte.
Marta, la sua migliore amica, era sempre stata la più scettica del gruppo. "Non è che un tramonto, Elena. Smettila con queste fantasie." Ma ora, guardando quel cielo infuocato, anche Marta non riusciva a distogliere lo sguardo.
Luca, il ragazzo che era sempre stato lì, nel mezzo, sentiva il peso di quelle parole non dette. Non era mai stato bravo con le parole, ma in quel momento avrebbe voluto trovare le giuste parole per far sentire Elena e Marta al sicuro, anche solo per un istante.
Le ragazze erano arrivate sul lago in cerca di una fuga, di un momento di pausa dalla realtà. La vita, con i suoi mille impegni e responsabilità, sembrava soffocarle. Luca era lì, con loro, non per scelta, ma per destino. 
Era un momento di sospensione, di silenzio. Solo il lento movimento delle onde e una barca a vela di nome “pazzia” lo stavano rompendo. Elena, con un sospiro profondo, disse: "È strano come un posto possa sembrare così diverso quando sei con le persone giuste."
Marta le diede un sorriso complice, mentre Luca annuì lentamente. Nessuna parola era necessaria. Erano lì, insieme, e in quel momento, tutto il resto sembrava non avere importanza.
Il sole continuò a calare, e il cielo si tinse di un blu profondo. Le luci delle case sulle colline si accendevano una ad una, riflettendosi dolcemente sulle acque del lago. Era un momento di magia, di pura bellezza.
Finalmente, quando l'ultimo raggio di sole scomparve dietro le montagne, Elena si alzò lentamente. "È tempo di andare," disse con voce sommessa.
Marta e Luca la seguirono, sapendo che quella sera sarebbe rimasta impressa nei loro cuori per sempre. Non importava cosa avrebbe riservato il futuro, in quel momento, erano lì, uniti dalla bellezza semplice di un tramonto sul Lago di Como.
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neropece · 4 months
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“quiet warmth” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Il sole invernale illuminava delicatamente le rive di lungo Dora, gettando un bagliore argenteo su ogni superficie. Una donna, con l'impermeabile bianco, camminava con passo tranquillo insieme al suo cane dello stesso colore. Lui le girava attorno con entusiasmo, sfruttando al massimo lo spazio concesso dal guinzaglio. La vista della Mole Antonelliana si stagliava maestosa sullo sfondo, una presenza silente che osservava ogni passo della donna.
Mentre avanzavano lungo il fiume, il rumore della città sembrava attenuarsi, lasciando spazio al fruscio dell'acqua, al lontano suono dei passi delle scarpe sull'asfalto e a qualche urla di gabbiani. Ogni tanto la donna si fermava per accarezzare il suo cane guardandolo negli occhi con affetto.
Attraversarono il Ponte Bologna e il cane si fermò un attimo per annusare l'aria con la coda agitata. La donna controllò rapidamente il telefono, si appoggiò alla balaustra e guardando il fiume che scorreva placido sotto di loro mormorò: "Sai, la vita ha modi strani di metterti alla prova."
Il cane fece un leggero grugnito, come se capisse il peso delle parole della sua padrona. Si rimisero in cammino, e il loro percorso li portò vicino alla riva, dove l'acqua lambiva dolcemente le sponde.
Sedendosi su un muretto la donna prese il suo cane sulle gambe e, guardando il riflesso della Mole nell'acqua, sospirò: "Nonostante tutto questa città ha un certo fascino, non trovi?"
Il cane posò la testa sulle gambe della donna, come cercando conforto. Per un momento, entrambi rimasero lì, immersi nei loro pensieri, il mondo intorno a loro era in pausa.
Proseguirono il loro percorso fino a fermarsi proprio di fronte alla Mole Antonelliana, la sua silhouette imponente era finalmente illuminata dai raggi del sole che stavano facendosi largo tra gli strati di nuvole. "Chissà cosa ci riserva il futuro," sussurrò la signora guardando il cane.
Il cane abbaiò, come se volesse dire che, indipendentemente da ciò che avrebbe portato il domani, era pronto ad affrontarlo insieme alla sua padrona.
Con quella promessa silenziosa, la donna e il suo cane camminarono fino a scomparire, lasciando dietro di loro il fiume e la Mole che, come una vecchia amica, li osservava da lontano, sempre presente ma mai veramente vicina.
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neropece · 4 months
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“pigeon lady” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Nel mezzo della piazza, dove il selciato antico fa da cornice al verde cittadino, una signora avanzava con passo misurato. La sua figura era avvolta da abiti scuri e il vento mattutino sollevava delicatamente i pochi capelli che uscivano da un cappello di lana grigio. 
Aveva in mano un sacchetto di pane raffermo, e ogni tanto, mentre camminava, strappava piccoli pezzi e li gettava sul suolo. I piccioni, che sembravano aspettarla, si avvicinavano rapidamente, formando una danza aerea di ali e piume. Le piccole creature erano la sua unica compagnia in quella piazza, dove la vita si svolgeva al ritmo lento delle giornate domenicali.
Nonostante la solitudine apparente, la signora non sembrava affatto sola. Ogni volta che un piccione si posava sul palmo della sua mano per prendere un pezzo di pane, i suoi occhi si illuminavano di un calore e di un affetto che pochi avrebbero potuto comprendere. 
Un giovane con una macchina fotografica in mano, seduto su una panchina poco distante, la osservava. Avrebbe potuto essere il narratore di questa scena, un osservatore esterno di quella semplice bellezza che permeava l'aria. Ma come spesso accadeva in questi momenti, non c'era bisogno di parole o di immagini per catturare l'essenza di ciò che stava accadendo.
La signora continuò a nutrire i piccioni, e ogni gesto sembrava essere un rituale, un modo per connettersi con il mondo che la circondava. Per un momento, la piazza, con i suoi rumori e le sue persone, scomparve. Restò solo lei, i piccioni e quel pane raffermo che diventava simbolo di un amore incondizionato e di una cura silenziosa.
Poi, con l'ultima briciola gettata, la signora si fermò e si voltò verso il giovane fotografo. I loro sguardi si incrociarono per un istante, e in quel breve momento, entrambi compresero che avevano condiviso qualcosa di speciale. Poi, con un sorriso sereno, la signora proseguì il suo cammino, lasciando dietro di sé un'atmosfera di pace e di semplicità che avrebbe persistito per tutto il resto della giornata.
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neropece · 4 months
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“a silent story” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Il bosco di betulle, ai piedi della montagna, si ergeva come un santuario silenzioso, un luogo dove il freddo inverno si abbandonava alla grazia candida della neve. Alle dieci di quel mattino, il sole cercava di penetrare tra i rami spogli delle betulle, gettando un bagliore argenteo sui sentieri di neve intonsa. Non c'era un suono tranne il leggero fruscio delle foglie secche cullate dalla brezza.
Guido, un uomo di mezza età con una cicatrice profonda sul viso e gli occhi che portavano il peso di troppi inverni, camminava solitario tra gli alberi. Il suo respiro si trasformava in nuvole vaporose nell'aria gelida. Vestito con un cappotto logoro, con lo sguardo assorto, era un intruso in quel regno di pace e silenzio.
Le betulle si stagliavano come figure spettrali e la loro corteccia bianca risplendeva sotto il tocco del sole invernale. I rami sottili si intrecciavano come dita ossute, protese verso il cielo. La neve, immacolata e incontaminata, scricchiolava sotto i passi di Guido, un suono delicato che sussurrava i segreti di una terra dimenticata.
Nel cuore del bosco si fermò. Poco distante notò uno spazio aperto dove la neve si adagiava come un manto soffice. Si avvicinò e si sedette su un tronco caduto, osservando la vastità del paesaggio innevato. Il silenzio del bosco era sospeso nel tempo, un'armonia serena che avvolgeva ogni pensiero.
Un cervo, timido e maestoso, fece la sua comparsa ai margini del bosco, i suoi occhi si fissarono su Guido. I loro sguardi si incrociarono per un istante, un legame silenzioso tra l'uomo e la creatura selvaggia. Poi il cervo si allontanò, scomparendo tra gli alberi come un fantasma della foresta.
Guido si alzò lentamente, sentendo la solitudine del bosco penetrare nelle pieghe della sua anima. Era come se il silenzio avesse rivelato la fragilità della vita, la bellezza effimera di un momento invernale. Con un'ultima occhiata alle betulle, al loro bianco splendore, si diresse lentamente verso il sentiero di neve, lasciando il bosco alle sue spalle.
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neropece · 5 months
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“unafraid to fall” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Il sole stava calando dietro le cime degli edifici, lanciando sfumature di rosso e arancione nel cielo. Sul tetto dell'edificio abbandonato, due ragazzi si tenevano in piedi con il vento freddo della sera tra i capelli.
Nick fissava il tramonto, le mani infilate nelle tasche della giacca sbiadita. Era alto e magro, con i capelli corti e gli occhi che sembravano trattenere un segreto. Al suo fianco, Edo, più piccolo ma dal viso determinato, sfoggiava una giacca di pelle logora.
Non avevano molto da dire, ma c'era un'intesa silenziosa tra loro. Erano fuggiti dalla monotonia della vita quotidiana, cercando qualcosa di più, qualcosa di diverso. Avevano scelto questo vecchio edificio, una sorta di monumento decadente, come loro rifugio. Una fuga dalla realtà, una ribellione silenziosa.
"Guarda là", disse Edo, indicando l'orizzonte. "Sembrano pennellate di un pittore ubriaco."
Nick annuì, senza staccare gli occhi dal cielo in fiamme. "È strano come il mondo possa sembrare diverso da quassù."
Si sedettero sul bordo del tetto, le gambe penzoloni nel vuoto. L'asfalto disegnava la città sotto di loro come un mosaico di luci tremolanti. Il suono della città notturna si faceva sentire lontano, come un sottofondo costante.
Edo tirò fuori una sigaretta dal pacchetto sgualcito e la accese offrendone una a Nick. Fumarono in silenzio, osservando la luce del giorno svanire gradualmente.
"Che ci fai qui, Nick?" chiese Edo alla fine, rompendo l'assenza di parole.
Nick esalò il fumo lentamente. "Sto cercando di capire cosa voglio dalla vita. E tu?"
Edo sorrise debolmente. "Stesso motivo, suppongo. Solo qui sembra che tutto abbia più senso, anche se so che è solo un'illusione."
I loro sguardi si incrociarono per un istante, e capirono. Quel tetto, privo di barriere, era una metafora della loro vita in quel momento. Senza regole, senza confini.
"Abbiamo bisogno di qualcosa di nuovo, Edo. Qualcosa di più grande di noi stessi", disse Nick, fissando l'orizzonte ora oscurato dalla notte.
Edo annuì, la città sotto di loro si animava sempre di più. "Forse è ora di iniziare a cercare."
Si alzarono in piedi, guardando l'infinito davanti a loro. I due ragazzi, in bilico tra il passato e il futuro, senza paura di cadere.
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neropece · 5 months
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“contraflow driving without control” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram) Erano circa le undici di una mattina come molte altre. Con la testardaggine di chi è convinto di sfidare il destino potendolo battere, Raymon pedalava senza mani, nel senso opposto a quello di marcia, mentre il suo volto esprimeva una smodata sicurezza.
Ogni pedalata era un atto di puro coraggio, un inno alla vulnerabilità di chi decide di andare alla deriva senza mappe.
Le automobili che lo sfioravano suonavano il clacson, ma lui continuava la sua sciocca cavalcata, come se la sua visione distorta del mondo lo proteggesse da ogni pericolo.
Si infilò in un vicolo all'ombra, dove la luce stessa pareva troppo timida per seguirlo.
Chissà se in quel momento, mentre il suono di una sirena di un'ambulanza si faceva sempre più vicino, Raymon capì l'assurdità delle sue scelte. La vita, come una strada al crepuscolo, non fa sconti a chi trascura il buon senso per inseguire una libertà priva di significato.
La città, con le sue strade illuminate come palcoscenici e gli angoli in ombra a fare da sipario all'ordinarietà, assisteva impotente alla tragedia di un uomo. Convinto di attraversare indenne l'oscurità, finì per smarrirsi per sempre nella sua stessa incoscienza.
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neropece · 5 months
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"pink robot" photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
Nella desolazione di una città abbandonata, dove l'eco dei passi umani era solo un lontano ricordo, un'unica testimonianza del passato resisteva nell'ombra di un palazzo grigio e logoro. Sul tetto, svettava un robot semaforo rosa, immobile e silenzioso come un guardiano dimenticato dal tempo.
Le strade, una volta affollate di vita e movimento, giacevano vuote e sgombre, un mosaico di cemento che portava solo il peso del silenzio. I negozi, con le vetrine infrante, raccontavano storie di saccheggi passati, e gli edifici, con le loro facciate spoglie, erano testimoni silenziosi delle vicissitudini umane.
In questo teatro di desolazione, il robot semaforo dominava il panorama dall'alto. La sua forma slanciata e il colore spento ne facevano un anacronismo vivente, un sopravvissuto in un mondo che aveva dimenticato l'essenza della vita.
Le giornate si susseguivano senza variazioni, con il robot immobile a vegliare sulla città. Nessun pedone attraversava più le strade, nessuna macchina rompeva il silenzio con il suo rombo. Solo il robot semaforo, con la sua luce rosa pallida, continuava a pulsare come un cuore solitario.
Un giorno, nell'abisso della monotonia, si fece strada tra le macerie un uomo solitario. Vestiva stracci consumati e la sua barba ispida era una testimonianza di giorni senza fine. Lo sguardo stanco si alzò verso il cielo, e i suoi occhi incontrarono quelli del robot semaforo.
L'uomo avanzò con passo incerto, il suono dei suoi passi echeggiò tra gli edifici desolati. Quando raggiunse il palazzo, alzò gli occhi verso il robot. Un momento di silenzio si infranse quando l'uomo, con voce roca, parlò al guardiano rosa.
"Sei l'unico rimasto, eh?" disse l'uomo, come se il robot potesse capire la sua solitudine.
Il robot semaforo, impassibile, continuò la sua vigilanza senza risposta. Il suo ruolo, ormai privo di significato, persisteva nell'assurdità di un mondo vuoto.
L'uomo si sedette accanto al robot, fissando il vuoto insieme a lui. La luce rosa del semaforo illuminava il loro incontro silenzioso, un momento congelato nel tempo.
Con il passare dei giorni, l'uomo e il robot diventarono compagni di solitudine, testimoni di un mondo che una volta fu. Nella desolazione, la loro presenza sembrava quasi poetica, un'ode silenziosa alla fine di un'era.
E così, nella città abbandonata, il robot semaforo rosa continuava a vegliare, immobile sulla sua torre di osservazione. Un monumento alla fine, unico testimone di un passato ormai dimenticato, mentre l'uomo e la macchina condividevano il loro destino in un presente senza futuro.
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neropece · 3 years
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“where rails meet” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
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neropece · 3 years
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“smoke and light” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
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neropece · 3 years
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“walking alone” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
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neropece · 3 years
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“a small dark street” photo by Fabrizio Pece (tumblr | 500px | instagram)
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