MAG166 - ########-6 - I Vermi
[Episodio precedente]
[EXT. DA QUALCHE PARTE NEL REGNO UNITO, VICINO A UN DOMINIO DEL SEPOLTO]
[CLICK]
[Passi rumorosi, come sulla ghiaia. Un ululato simile a quello di un cane in lontananza.]
[L’archivista inspira ed espira profondamente.]
MARTIN
…Dunque, ne vogliamo parlare, oppure…?
[L'Archivista espira, e poi si ferma; sentiamo il tintinnio del suo zaino quando succede. Martin fa lo stesso.]
ARCHIVISTA
(Con un sospiro) Di che cosa dovremmo parlare?
MARTIN
Di quello che è successo laggiù? Quello che hai fatto a Sa-
[S’interrompe.]
[Una pausa.]
ARCHIVISTA
Vai avanti. Dillo.
MARTIN
Quello che hai fatto a… quella cosa.
ARCHIVISTA
L’ho - uccisa. Io - finalmente ne ho il potere, quindi l’ho uccisa.
MARTIN
Sì, ma tipo come? Io - scusa, è solo che non capisco che cosa sia realmente successo.
ARCHIVISTA
Io- È difficile da descrivere a parole, gua- io (sospira) Guarda, possiamo parlarne più tardi, stiamo per - (inspira) entrare in un - (sospira) dominio del Sepolto, e preferirei di gran lunga -
[Un Toc-toc.]
[un vago scricchiolio di statiche in sottofondo, semplice, un tono classico]
MARTIN
Hai…?
[L’Archivista sospira.]
ARCHIVISTA
Guarda giù, Martin.
MARTIN
Oh.
(Rendendosi conto) Aspetta, cosa?
ARCHIVISTA
Non… avvicinarti troppo.
[La porta si apre con un cigolio.]
ARCHIVISTA
Ciao, Helen.
HELEN
Oh, ciao! Siamo più di buon umore, allora?
(Tono più basso, scherzoso) Ti senti più al sicuro adesso che hai imparato come uccidere?
[Mentre parla un suono alto e cangiante inizia a sovrapporsi in sottofondo.]
ARCHIVISTA
(Inspira) Qualcosa del genere.
MARTIN
Vuoi dirmelo tu come ha fatto?
ARCHIVISTA
Martin…
MARTIN
Lui continua a fare il vago.
HELEN
Oh, cielo. Vedi cosa hai fatto al poveretto, Jon? Si sta rivolgendo a me per delle risposte chiare.
[Lei ridacchia, poi degenera nella sua iconica risata.]
ARCHIVISTA
Chiudi il becco.
HELEN
(Ridacchia) È molto soddisfacente, però, no? Prendere in giro la gente con informazioni vaghe? Puoi capire perché a Elias piaceva tanto.
ARCHIVISTA
(Sovrapponendosi) Chiudi il BECCO!
MARTIN
Jon.
HELEN
Hai ragione - Martin. È suscettibile.
MARTIN
(Sovrapponendosi) Non ho detto che era su-
HELEN
(Sovrapponendosi) Dunque, dunque, una spiegazione. Dalla cara vecchia me.
[Pausa.]
HELEN
Ti spiacerebbe, Jon?
[L’Archivista inspira, fa per dire qualcosa, poi s’interrompe, e sospira.]
ARCHIVISTA
(Va be’, chissene) Fai pure.
HELEN
Siamo tutti qui, Martin. L’Estraneo, il Sepolto, la Desolazione, tutti quanti. Ma l’Occhio è comunque sovrano. Tutta questa paura è inscenata a suo beneficio.
E quindi, ci sono solo due ruoli disponibili in questo nostro nuovo mondo: L’Osservatore, e gli Osservati. Soggetto, e oggetto. Quelli che sono temuti, e quelli che temono.
E Jon, beh - lui fa parte dell’Occhio. Una parte molto importante. Ed è in grado di, diciamo, cambiare la sua messa a fuoco. Trasformare uno nell’altro.
E per quelli di noi la cui esistenza stessa si basa sull’essere temuti, beh: essere trasformati in una vittima ci distrugge completamente. E con molto, molto dolore.
ARCHIVISTA
Basta così.
HELEN
Sì, direi di sì.
MARTIN
Certo. Okay, è - cioè, non è per niente così complicato, Jon; non capisco perché continuavi a tirartela -
ARCHIVISTA
(Sovrapponendosi) Perché mi vergogno, Martin.
[Una breve pausa.]
MARTIN
Ti vergogni?!
ARCHIVISTA
Sì! Mi vergogno del fatto che ho appena - distrutto il mondo e sono stato ricompensato per questo, il fatto che - posso camminare illeso attraverso tutta questa paura che ho creato come un.. Turista del cazzo, distruggendo chi mi pare. Il fatto che… mi sia piaciuto, e… il fatto che ci sono molti altri di cui voglio vendicarmi!
[Respira pesantemente dopo il suo monologo.]
MARTIN
…No; No,a dire il vero penso che su quel fronte sei nel giusto.
ARCHIVISTA
Cosa?
MARTIN
Sì, io, io, credo che dovremmo farlo, darci dentro con le uccisioni!
ARCHIVISTA
(Incredulo) Scusa, cosa?
HELEN
(Felicemente sorpresa) Sì, Martin!
MARTIN
(Sovrapponendosi leggermente) Non, Non è come prima! Qui non stiamo parlando di passanti innocenti in un bar, Jon; queste cose sono - sono puramente malvagie, niente di più, e al momento stanno torturando tutti!
(Pausa per riprendere fiato) Se le vuoi fermare e hai il potere per farlo, allora - allora, allora sì facciamolo, in puro stile Kill Bill!
ARCHIVISTA
Io - non, non l’ho mai visto.
HELEN
Oh, Martin, sono così fiera di te. Posso venire?
ARCHIVISTA, MARTIN
(All’unisono) No.
HELEN
È un forte “forse” allora?
[L’Archivista fa un sospiro lungo e pesante.]
ARCHIVISTA
(Sottovoce) Ow.
[Fa un un piccolo sospiro di dolore.]
MARTIN
Jon? Ti senti…?
ARCHIVISTA
Siamo stati - vicini per troppo tempo, io, uh devo, uh - potresti voler fare una passeggiata.
MARTIN
Hm.
HELEN
E io colgo l’occasione per andarmene. Beh, beccherò voi angeli vendicatori tra un po’; fatevi vivi.
[Ride e la sua porta di chiude, e se n’è andata.]
MARTIN
Ti serve niente?
[L’Archivista espira.]
ARCHIVISTA
No.
MARTIN
Beh, allora -
[Un suono come se si fosse messo lo zaino in spalla.]
MARTIN
Er, sì, già.
[Si allontana. L’Archivista espira, gonfiando le gote.]
ARCHIVISTA (DICHIARAZIONE)
Giù, giù, giù, giù, giù sotto la terra, c’era un verme. Non era sempre stato un verme, ovviamente, ma il tempo e la marea e la vita ce l’hanno portato.
Il suo nome, ricordato a malapena, era Sam, e lui era, e senza dubbio era sempre stato, in trappola. Circondato su ogni lato senza fuga o altrernativa.
Anche nei suoi ricordi sbiaditi e quasi dimenticati di una vita che non era solo pietra e terreno rancido e maleodorante, non era sicuro di aver mai conosciuto una cosa che potesse essere chiamata libertà.
Le scelte che aveva, è vero, e di sicuro a confronto con l’incessante pressione di tutto quel peso e quella terra adesso su di lui, la semplice scelta di destra o sinistra o siediti o stai in piedi adesso sembrerebbero il lusso più vergognoso.
Ma al tempo, non c’era alcuna gioia in queste decisioni, perché anche se poteva girare i piedi verso sinistra, era una svolta a destra che lo conduceva al luogo dove poteva mettere guadagnarsi un poco per vivere. E anche se poteva decidere se sedersi, di rado rendeva ascoltare le notizie più gradevole.
Quand’è che la pressione schiacciante sul suo petto era diventata letterale? Quand’è che la promessa vuota dell’orizzonte era finalmente svanita completamente, rimpiazzata dal buio pesto di questo - muro di terra senza fine?
Sam non lo sapeva. Il tempo non aveva alcun significato qua.
Non c’erano orologi da muro o da polso, e da qualche parte nella sua mente era sicuro che il mondo avesse smesso di girare, la sua prigione era immobile.
Anche quel singolo, distante punto di luce, così impossibilmente più in alto che lui aveva deciso dover essere il cielo - anche quello non si oscurava mai riconoscendo la notte. La sua esistenza era immobile, ed eterna. Immutabile.
Il sonno era solo un ricordo, perché anche la prospettiva dell'incoscienza avrebbe potuto rendere il suo stato presente leggermente più sopportabile. Anche il cibo doveva essere importante, perché il suo corpo sentiva la fame, ma non riusciva a vederlo con la sua immaginazione. L’unico odore che conosceva era quello dell’umidità e della terra.
[A questo punto, è chiaro che una pioggerella leggera ma costante sta cadendo in sottofondo.]
Ma queste cose, per quanto cupe e timorose, non erano sconosciute. La fame dolorosa non era nuova, non un semplice dono del terreno generoso.
Aveva sprazzi di uno stomaco vuoto non sfamato da mani piene di tagli e calli a causa di tutte le lunghe, misere ore di lavoro. C’era un’ombra nella sua mente di notti insonni, passate a faticare, stanco e tremante, disperato per un po’ di sollievo dalla pressione incessante che schiacciava la vita dell’uomo che era stato Sam, prima di essere un verme.
E di sicuro era un verme, perché cos’altro poteva contorcersi, strisciando senza arti attraverso il terreno, millimetro dopo millimetro, facendosi strada tutto da solo verso una qualche destinazione segreta che nessun umano poteva comprendere?
Forse aveva ancora braccia o gambe o il lusso di entrambe, ma qua sotto era impossibile dirlo, schiacciati così vicini l’uno all’altro che distinguere tra torso e un arto piegato e ripiegato era insensato.
Se si muove come un verme, pensa come un verme, e urla le sue terribili agonie verso il distante cielo crudele come un verme - beh.
La conclusione è ovvia.
La pallida carne screziata da verme di Sam si spingeva e si contraeva facendosi strada sempre più avanti, sempre più in alto - o così sperava. Così supplicava.
La luce era là; era sempre là. Così piccola e distante che sarebbe potuta essere la capocchia di uno spillo in una tenda nero pece. Il minimo per ricordargli che aveva degli occhi, per quanto fossero affamati e vuoti.
Il minimo per ricordarli che esisteva una cosa come il cielo, quella sconfinata aria aperta esisteva. Abbastanza da mantenere viva in lui la paura che avrebbe potuto non rivederla mai più.
I vermi non hanno il privilegio di vedere il cielo.
Se avesse dormito, l’avrebbe sognato, sognato di volare nella brezza leggera e senza catene, schernendo il terreno a cui era sfuggito sempre e per sempre. Un’altra buona ragione per non avere diritto al sonno.
A volte, quando piegava il collo e guardava con brama verso la luce, poteva sentire qualcosa guardarlo a sua volta, la visione di quella cosa scendeva giù e attraverso il fango opaco per sfiorarlo, assorbendo il suo panico e il suo dolore mentre provava di nuovo a spingersi su e fuori.
A quel punto urlava, implorando disperatamente proprio la cosa che si crogiolava nella sua sofferenza affinché le ponesse fine. Mentre lo faceva, a volte si ricordava vagamente delle altre suppliche che aveva fatto all’aria aperta verso altre entità desiderose di trarre profitto dalla sua degenerazione. Entità di carta e inchiostro e punti decimali.
Ma tali ricordi sono brevi, e spariscono quando i polmoni di Sam si riempiono nuovamente di terra.
Il suo urlo, anche se breve, riecheggia verso l’alto e attraverso il tunnel irregolare, e a quello si uniscono nella sua ascesa le urla di centinaia di altri, eruttando dai buchi che attraversano come cicatrici il campo marcio in una cacofonia, un coro di urla incrostate di terra che danno il voltastomaco.
Poi con la stessa rapidità con cui è iniziata, finisce, e gli unici che sentiranno mai le urla di Sam sono quelli che l’hanno sepolto.
Riesce a sentire il calore, da quel lontano punto di luce, un raggio di sole là sotto nell’oscurità?
Il poveretto non deve sapere che il sole non c’è più, che quel che adesso rimane non ha nessun altro scopo se non permettere a questo miserevole mondo di essere visto.
Una fonte di illuminazione vuota e senza vita a malapena degna di essere chiamata luce.
Ma là sotto nel terreno buio e gelido, Sam si sta ancora aggrappato con forza al suo sogno del Sole, e il terreno glielo lascia fare, ovviamente -
Perché quale vera paura può esistere senza una speranza, senza la credenza che le cose possano cambiare in meglio? Per smuovere la consapevolezza che non faranno che peggiorare?
Quando ne ha la forza, quando il freddo terreno attorno a lui è rimasto immobile e silenzioso per abbastanza, Sam potrà di nuovo iniziare la sua triste e dolorosa salita.
Muovendosi, strisciando avanti di una minuscola frazione di un millimetro concessagli dalla sua schiacciante prigione, si aggrappa e scava con quelle che un tempo sarebbero potute essere dita.
Il terreno molle di solito tende a scivolare via, ma qualche volta - solo qualche volta - le punte di quelle estremità riescono a trovare un appiglio, e si tira verso l’alto, di poco, di pochissimo.
Mentre si contorce e striscia e si dimena verso l’alto attraverso il buco, nonostante la lentezza straziante, ignorando i graffi e i tagli che questo apre sulla sua pelle morbida e da verme, Sam si concede di sognare di cosa potrebbe esserci in cima.
Da tempo ormai ha abbandonato ogni speranza di gioia, ma sotto sotto crede ancora che potrebbe esserci un posto dove non soffrirà quanto sta soffrendo adesso.
E dopo ore, giorni, settimane impossibili da contare, forse si è mosso di un metro. Forse anche di più, per quanto il suo corpo adesso possa essere tumefatto e fratturato, è più vicino al cielo, e nessuno può portargli via questo.
Almeno finché la pioggia non inizia a cadere.
Le piogge qui cadono come cadono in vari altri posti di questo nuovo mondo. Gocce pesanti e oleose che hanno il sapore di sale amaro, lacrime torrenziali che precipitano dal cielo osservatore, con tonfi e rumori bagnati sulla terra assetata nella quale i vermi si contorcono dolorosamente verso una superficie che non li vuole.
Il terreno si ammorbidisce. Si smuove. E inizia a scivolare e a scorrere in un torrente di fango nero.
Giù in profondità, Sam sente la pioggia che inizia a gocciolare sulla sua fronte, e sa esattamente cosa vuol dire.
Vuole urlare ancora ma è così sfiancato dalla sua scalata che l’unico suono che riesce a emettere è un lungo lamento sconfitto. E come è già successo molte altre volte nella sua triste vita di sconfitte, sente che le pareti iniziano a smuoversi e ad ammorbidirsi, e la marea scivolosa lo spinge giù, giù, giù.
Forse più in profondità di quanto non sia mai stato prima, così in basso che la luce è quasi sparita, ma l’oscurità non è mai totale.
Ci deve sempre essere una lontana promessa di fuga.
A volte, quando la sua disperazione è all’apice, e il cielo è là solo per prenderlo in giro, Sam cambia la direzione. Ha respirato fango per così tanto che non si preoccupa più di soffocare, e spinge il suo volto contro le pareti del suo tunnel e inizia a provare e scavare per traverso.
Teme ciò che potrebbe trovare oltre i limiti del suo tunnel stritolante, ma sceglie tra la paura e la disperazione e scava.
Per giorni o settimana si dimena e si spinge attraverso il tunnel di sua fattura, la mente ripensa a quella punta di spillo di luce che potrebbe non rivedere mai più.
Cosa ha fatto? Abbandonare la strada che è stata scavata per la sua emersione. Il panico inizia a farsi sentire, e lui trema e piange le sue lacrime viscide e fangose.
Ma un giorno, Sam si spinge in avanti e sente la sua faccia rompere una parete. Il terreno si libera e si trova in un sottile spiraglio di aria aperta.
Una camera. Una caverna. Una via verso l’esterno.
È solo mentre ci si infila dentro così precisamente che si rende conto di che cosa è: un altro tunnel. Per un altro verme.
Mentre ci scende più in profondità, si ritrova a fissare il volto pallido e senza peli del suo abitante.
Il povero Sam non può sapere che il nome del suo vicino è Richard, che un tempo aveva patito in una vita difficile e disperata quanto la sua. Che i suoi sogni di luce e l'arrampicata, dolorosa e piena di urla, verso questa sono altrettanto bramosi e terrificanti.
L’unica cosa che importa è che questo verme è rivolto verso l’alto. E Sam, a causa di come è entrato nel tunnel, è rivolto verso il basso.
Come combatti, quando non puoi muoverti se non per strisciando lentamente di un centimetro per volta, senza arti o armi, o la forza cinetica della violenza?
Lo fai lentamente, spingendo, mordendo, facendoti strada l’uno attraverso l’altro finché alla fine, rimane solo uno di voi.
Non c’è luce, perché Sam è rivolto lontano da essa, nascondendola al suo avversario. Ma anche se fossero sommersi da una forte luce, nessuno avrebbe potuto dire con certezza dove finiva il fango appiccicoso e dove iniziavano le facce dilaniate e insanguinate.
Un nauseante ammasso di denti e lacrime e pelle lacerata mentre le due vittime terrorizzate masticano lentamente l’uno attraverso l’altro per una lontana speranza che a nessuno dei due sarà mai concesso di raggiungere.
Quando è finita, Richard è morto, o silenzioso abbastanza che non fa alcuna differenza, e il tunnel appartiene a Sam. È identico a quello che ha abbandonato, in tutti i sensi meno che ha dovuto fare una cosa orribile per ottenerlo. E in ogni caso è ancora rivolto verso il basso.
Riposa lì per giorno, senza niente a tenergli compagnia se non i resti del suo avversario, che marciscono in silenzio, finché alla fine inizia l’arduo compito di rigirarsi.
Le contorsioni che fa, gli angoli e le fratture a cui sottopone il suo pallido corpo da verme, sono ben più dolorose di quanto avesse creduto possibile, e lo spezzarsi e gli schiocchi delle ossa e dei nervi riecheggiano verso l’alto fino alla lontana superficie.
Ma per lo meno Sam ha avuto la sua vittoria: ha reclamato un altro tunnel, e può vedere la luce.
Forse questo sarà migliore, riuscirà a farsi strada più in alto.
Ma sotto sotto è ancora in agguato la paura che forse, è peggiore.
[La pioggia inizia a cadere più veloce, più forte.]
La verità è abbastanza evidente, però, anche mentre lotta così duramente per non saperla:
Non c’è alcuna differenza, e mentre le pioggie iniziano a cadere di nuovo, sa che il mondo non lo lascerà mai fuggire dalle profondità in cui è caduto.
Meglio tenerlo ben sepolto là sotto.
[L’archivista sospira.]
ARCHIVISTA
Dio, odio il Sepolto.
[I suoi respiri si fanno tremanti per qualche secondo.]
ARCHIVISTA
Fine della registrazione.
[CLICK]
[EXT. DA QUALCHE PARTE NEL REGNO UNITO, VICINO A UN DOMINIO DEL SEPOLTO, A POCA DISTANZA DALL’ ARCHIVISTA]
[CLICK]
[La pioggia sta ancora cadendo fitta fitta. Il vento soffia senza tregua.]
[Sentiamo qualcosa ululare in lontananza, a tutto parte del panorama sonoro del Sepolto.]
MARTIN
Desidero quasi che ci fossero delle riviste nell’apocalisse.
A-Anzi no, ripensandoci, probabilmente no. Ooh. Di, di sicuro no.
[Sentiamo il rumore del suo borsone.]
MARTIN
(Sospira) Andiamo, Jon. Quanto ci vuole a descrivere - del fango spaventoso?
[Più cose ululano. Il respiro di Martin si ferma per un attimo.]
MARTIN
(Non uccidermi!) Oh – oh, o,okay, okay, okay – scusa, scusa! Scusa.
[L'ululare si abbassa.]
[Anche la pioggia cala di intensità, di poco, abbastanza da far sentire un leggero suono di vibrazione.]
MARTIN
(Sotto voce) Oh, Dio –
(Normale) E adesso cosa?
[Fa un passo verso il rumore che continua a vibrare a intervalli regolari.]
MARTIN
Cosa, sul serio? Una vanga?
[Le vibrazioni continuano sotto le sue parole.]
MARTIN
Non è un po’, sai, scortese? Visto dove ti trovi?
[Sospira.]
MARTIN
Okay, okay - okay.
[Sospira, raccoglie la vanga con il rumore di metallo che gratta per terra. Inizia a scavare. Quasi immediatamente udiamo la suoneria di un vecchio Nokia.]
[La vanga continua a fare quel suono di grattare metallico mentre Martin scava spostando più terra, e la suoneria si fa più forte.]
MARTIN
(ugh, ovvio che sarebbe successo qualcosa del genere) Per l’amor del cielo.
[Continua a scavare, il cellulare si fa più forte. Poi lo raccoglie, risponde alla chiamata con un piccolo ‘boop’.]
MARTIN
Pronto?
ANNABELLE CANE
Pronto. Parlo con Martin?
MARTIN
Smettila.
ANNABELLE
Cosa, non ti piacciono i giochi?
MARTIN
Beh, i tuoi giochi non è che siano divertenti per tutti, no?
ANNABELLE
(Con un sorriso che possiamo sentire) Pochissimi giochi lo sono.
MARTIN
G-Guarda, guarda, guarda, sto parlando con Annabelle Cane, giusto?
ANNABELLE
Non mi hai mai detto il tuo nome, quindi perché mai dovrei offrirti il mio?
MARTIN
Basta - cosa vuoi?
ANNABELLE
Voglio aiutarti, ovviamente.
[Breve pausa.]
MARTIN
No. Grazie.
ANNABELLE
Ti trovi in una posizione difficile. Forse posso darti un - aiutino!
MARTIN
Puoi darmi un aiutino smettendola con - questa cosa inquietante del telefono!
ANNABELLE
Lui è molto più potente che mai, vero?
E non sai che cosa pensare a riguardo.
[Una pausa piccolissima. Martin fa un respiro tremante.]
MARTIN
Adesso ritacco.
ANNABELLE
Ha davvero alcun bisogno di te?
MARTIN
Ciao!
[Riattacca con un altro ‘boop’.]
[Sospira. Le cose che prima stavano ululando nel sepolto - probabilmente i vermi là sotto - ululano di nuovo, con insistenza.]
MARTIN
Ma sul serio?
[Traduzione di: Victoria]
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