Tumgik
#sovrapporsi
lostaff · 8 months
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Ch-ch-changes
🌟 Novità
Con la posticipazione di Tumblr Live, Live continuerà a rimanere nascosto dai feed della dashboard, ma l'icona di navigazione rimarrà nella barra corrispondente. Ciò significa che sarai in grado di guardare chiunque segui andare in diretta senza dover riattivare il tutto. Inoltre, abbiamo aumentato il periodo di posticipazione da 7 a 30 giorni. (A proposito, c'è un bug con l'indicatore "Nuovo": controlla la sezione "In corso" di seguito.)
Sul web, ora puoi acquistare il nuovo badge Sostenitore di Tumblr che aumenta di livello nel tempo, così puoi mostrare il tuo supporto per la piattaforma e aiutarci attivamente a pagare le bollette ;) . Aspetta di saperne di più al riguardo sul blog @staff (EN) e sul nostro staff locale presto!
Nell'ultimo esperimento sul web che apporta modifiche all'intestazione del post, l'abbiamo modificata per includere nuovamente l'avatar dell'autore del post, in base al feedback che abbiamo ricevuto finora. Grazie a tutti coloro che hanno inviato feedback in merito!
Abbiamo rilasciato una nuova versione principale del client API tumblr.js, che puoi utilizzare per accedere ai contenuti Tumblr tramite la nostra API pubblica. Leggi di più qui (EN)!
Abbiamo anche lanciato Tumblr Live in ancora più paesi dell'Unione europea!
🛠 Correzioni
Abbiamo aggiornato i consigli "In base ai tuoi Mi piace" e “Piace a…" per evitare di consigliarti post che hai già ribloggato.
Per le persone sul web che vedono il nuovo esperimento di riprogettazione dell'intestazione del post, abbiamo corretto alcuni problemi visivi con il testo ribloggato durante la visualizzazione del sito in tedesco.
Quando si utilizza Tumblr in un browser su un dispositivo mobile, non è più possibile rimanere bloccati nella pagina Messaggi se vi si accede da determinate altre pagine (come la visualizzazione del blog).
Per quelli di voi che vedono ancora avatar fluttuanti sul web, abbiamo risolto un bug che li faceva "nascondere" un po' sotto la barra delle schede della dashboard. Allo stesso modo, abbiamo risolto un bug che causava la posizione sbagliata dei post quando si utilizzavano J e K per navigare post per post.
Per quelli di voi che vedono il nuovo pulsante di configurazione delle schede della dashboard sul web, abbiamo aggiunto un po' più di spazio sul lato sinistro, in modo che le schede abbiano meno possibilità di sovrapporsi ad esso. Allo stesso modo, le schede sponsorizzate mostrano l'etichetta "Sponsorizzato" nella visualizzazione di configurazione della scheda della dashboard.
🚧 In corso
Per quelli di voi che li hanno acquistati sul web. i badge Tumblr Supporter non sono ancora visibili nelle app mobili. Tuttavia, le prossime versioni delle app iOS e Android li visualizzeranno presto!
Le persone vedono il badge "Nuovo" sull'icona di navigazione live anche se la funzionalità ovviamente non è affatto nuova. Stiamo lavorando per risolvere il problema il prima possibile.
Stiamo ancora sperimentando un grande miglioramento delle prestazioni per il modo in cui i contenuti vengono visualizzati sul web, ma non è più possibile utilizzare Command/Control + F per cercare testo nella pagina, per contenuti che sono stati nascosti dopo essersi allontanati da essa. Stiamo lavorando per migliorarlo e abbiamo una soluzione, quindi, se hai riscontrato difficoltà, riprova!
🌱 In arrivo
Niente di nuovo da segnalare qui oggi.
Hai riscontrato un problema? Invia una richiesta di supporto e ti risponderemo il prima possibile! 
Vuoi condividere il tuo feedback su qualcosa? Dai un'occhiata al nostro blog Work in Progress e avvia una discussione con la community.
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Tumblr media
Darwish riesce a far soffrire quando il suo ‘io’ letterario soffre, quando i suoi personaggi o i suoi fantasmi o i suoi idoli soffrono. La cosa straordinaria è che, in questa sofferenza prolungata che è stata ed è la vita sua e del suo popolo, riesce, nonostante tutto, a essere talmente chirurgico da ferirti come un lampo o una pugnalata: in modo inaspettato, silenzioso e lancinante.
Ti prende a morsi Darwish, e fa sempre male, anche se lo sapevi già, anche se l’avevi previsto. È l’incomunicabilità di un dolore non condivisibile e non comprensibile che ci fa soffrire tanto; è l’impossibilità di un’esperienza vicaria, di una testimonianza muta; è l’indifferenza iscritta nella vita quotidiana e lontana da quell’agonia che ci colpisce in pieno petto nella speranza di sovrapporsi al frastuono delle bombe, di sopravvivere all’oblio.
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kon-igi · 2 years
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Doc! Buonasera!
Dopo una serie di morti e feriti familiari ho sviluppato questa nuova ossessione che consiste nella paura costante e irrazionale della morte del mio compagno e padre di mio figlio per infarto 🙃
C'è qualcosa che bisogna tenere a mente nel caso succeda davvero?
Grazieee
Che muoia per infarto o che gli venga un infarto?
Nel secondo caso credo che i non addetti ai lavori debbano ben comprendere la differenza tra due eventi che nell'immaginario collettivo sembrano troppo sovente sovrapporsi...
Una cosa è L'INFARTO (del miocardio)
Un'altra è L'ARRESTO CARDIACO
Nel primo caso ho specificato del miocardio perché infarto è un termine derivato dal latino īnfarcīre cioè, come in italiano corrente, INFARCIRE, riempire qualcosa, in riferimento alla congestione ematica che si ha quando una parte del tessuto infartuato va incontro a ischemia e a necrosi.
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Dovete sapere che INFARTO e ICTUS in realtà sono sinonimi, solo che si è soliti usare il secondo quando l'evento colpisce l'encefalo e il primo altri tessuti (può esserci anche l'infarto intestinale)
Importantissimo usare la giusta locuzione cioè 'infarto del miocardio ACUTO' perché in realtà tutte le persone da una certa età in poi vanno incontro a processi degenerativi infartuali a carico dell'apparato cardiaco - di solito scoperti con un ECG o un'ecocardio - e a molti di questi individui, asimtomatici o paucisintomatici, applicano in urgenza dei by-pass coronarici cioè delle ‘scorciatoie’ artificiali per permettere nuovamente l'irrorazione di tessuti ischemici.
Tornando a noi, ben differente è invece L'ARRESTO CARDIACO, quell'evento davvero improvviso per cui il cuore smette di battere e voi avete pochi minuti (quattro, più o meno) per farlo ripartire... magari con uno di quei Defibrillatori Automatici Esterni (DAE) portatili che oramai stanno - giustamente - appendendo in ogni dove.
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Una persona affetta da IMA (infarto miocardico acuto) ha, principalmente ma non solo, DOLORE AL PETTO che irradia - ma non obbligatoriamente - al braccio sinistro... ma anche al destro, alla schiena, alle natiche, al collo, all'addome e alle gambe. Insomma, un casino.
Potete solo chiamare velocemente il 118 e se lo defibrillate peggiorate solo la situazione perché il cuore sta ancora battendo. Sempre peggio ma sta battendo. (per fortuna i defibrillatori automatici moderni non scaricano se rilevano battito).
Se invece hai paura che il tuo compagno e padre di tuo figlio muoia improvvisamente, poco posso dirti se non questo...
Quando vivi nella paura della morte, la morte s'è già presa la parte migliore della tua vita.
Io ho perso una vecchia e cara amica proprio per tale motivo.
Il suo terrore della morte, la sua sfiducia che potesse esservi un qualsiasi barlume di speranza, il costante grigiore che avviluppava ogni suo fulgore forse non hanno toccato il suo corpo ma hanno distrutto ogni gesto di protensione della sua anima verso il domani.
Quando Orazio diceva CARPE DIEM (afferra il giorno, tradotto con 'cogli l'attimo') non intendeva osannare la pavida inazione e la cecità volontaria sul futuro ma che ogni uomo è responsabile del tempo a lui concesso e dal momento che il tempo futuro non è agibile, esso deve concentrarsi sul tempo presente affinché possa farlo divenire il migliore dei futuri.
Come ho già detto in passato, siamo solo dei soffi di vento veloce nella strana valle della vita ma per quanto flebili e delicati non ci sarà mai momento in cui soffieremo da soli.
E adesso va' perché dum loquimur fugerit invida aetas.
<3
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valentina-lauricella · 4 months
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La mensa e la vigna celesti
Il mio inconscio e mia madre, in stretta collaborazione, mi fanno vivere dei sogni inaspettatamente belli.
Dovete sapere che soffro di fobia sociale. Ho paura della gente, tutta. Posso andare in panico al solo pensiero di dover incontrare persone o rispondere a una telefonata. Ho fatto psicoterapia e prendo pillole da quando avevo 18 anni.
Stanotte ho sognato una tavolata lunghissima, che distinguevo nitidamente fino a una distanza che la miopia, pur attraverso gli occhiali, non potrebbe mai farmi mettere a fuoco. A questa tavolata, imbandita di frutti gialli e arancioni e coppe con bevande che sembravano succo di melograno e di altri frutti, era seduta mia madre, insieme a decine, centinaia di altre persone, fra cui, a notevole distanza, riconoscevo una coppia di miei zii con un'altra persona tra loro.
Vedevo che il tavolo era ricoperto di una tovaglia di tela bianca, ma contemporaneamente percepivo la solidità e le venature del legno di noce sottostante. Vedevo lontano e attraverso tutto, con inesplicabile naturalezza. Assiepate dietro i commensali, in piedi, ma senza intenzione di sedersi, vi erano altrettante centinaia di persone, vicinissime fra loro, e potrei dire che ve ne fossero a perdita d'occhio, se non che in realtà il mio occhio ne aveva una completa visione d'insieme, per quanto essa fosse ampia. Queste persone stavano vicine fra loro, e vicine a me, fino a sovrapporsi e compenetrarsi, ma senza che avvenisse alcun urto o mescolamento di identità. Erano, senza dubbio, persone, ma era come se fossero anche aria e spazio: io infatti le respiravo e mi muovevo attraverso loro senza disagio; avevo una sensazione di sazietà e sicurezza; pur senza toccare le bevande e i frutti sulla tavola, di cui non sentivo desiderio, sapevo che mi stavo nutrendo, attraverso il respiro, attraverso il mio semplice esserci, di quelle persone, di tutte loro insieme.
Alzando gli occhi al cielo, al di sopra della tavolata, vedevo a grande distanza ampie foglie di vite pendenti da un pergolato, attraverso le quali si distinguevano l'azzurro e le nuvole bianche di una giornata estiva o primaverile.
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curiositasmundi · 7 months
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L’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (OHCHR) ha pubblicato un Rapporto in cui raccomanda innanzitutto agli Stati di “adottare alternative alla criminalizzazione, alla tolleranza zero e all’eliminazione delle droghe, prendendo in considerazione la depenalizzazione dell’uso e una regolamentazione responsabile, per eliminare i profitti del traffico illegale, della criminalità e della violenza”. Un Rapporto definito storico, in quanto denuncia il fallimento delle politiche proibizioniste attuate da oltre un secolo in quasi tutto il pianeta su spinta degli Stati Uniti. Politiche che non sono affatto riuscite a raggiungere l’obiettivo che si erano ufficialmente prefissate, quello di “liberare il mondo dalla droga”, ma hanno di fatto regalato un potere enorme a mafie e cartelli narcotrafficanti in molte parti del mondo.
[...]
L’approccio repressivo applicato alla cosiddetta “guerra alla droga” è fallimentare. A darne conto non sono posizioni ideologiche, ma dati concreti. Sono 296 milioni le persone che, nel 2021, hanno fatto uso di droghe, secondo il World Drug Report del 2023. In riferimento al medesimo anno, i soggetti che hanno sviluppato disturbi legati al consumo di stupefacenti sono 39,5 milioni, con un incremento del 45% negli ultimi 10 anni. Parallelamente, il progressivo smantellamento dei sistemi di welfare ha detto sì che, nonostante le persone con problemi di dipendenze abbiano diritto all’assistenza medica, tale necessità sia largamente disattesa. Sempre nel 2021, solamente una persona su 5 ha ricevuto i trattamenti necessari per far fronte alla propria dipendenza. Come conseguenza, oltre 600 mila persone ogni anno muoiono per cause legate al consumo di droga (tra queste: contagio da epatite virale o HIV, overdose e altri incidenti di varia natura).
Parallelamente, aumenta a dismisura il numero delle persone incarcerate per reati di droga: nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di consumatori, l’ultimo anello della catena del mercato della droga, pescati dalle forze dell’ordine con qualche grammo di troppo in tasca. Un dato che contribuisce direttamente al problema del sovraffollamento nelle carceri: solamente in Italia, il 34% dei detenuti entra in carcere per possesso di droga. Quasi il doppio della media del resto dei Paesi europei, che si attesta intorno al 18%. Di fatto, un terzo dei reclusi si trova dietro le sbarre per il solo art. 73 del Testo Unico in materia di stupefacenti e sostanze psicotrope. Senza detenuti per art. 73, in Italia non vi sarebbe sovraffollamento nelle carceri. Il Comitato per i Diritti Economici, Sociali e Culturali delle Nazioni Unite (CESCR) aveva d’altronde espresso preoccupazione per “l’approccio italiano che punisce il consumo di droghe”, a fronte dell'”insufficiente disponibilità di programmi di riduzione del danno”.
Un approccio repressivo di questo tipo, che l’Italia sposa in pieno (ma non è l’unica), spinge la “guerra alla droga” sul piano della “guerra alle persone”, come scritto dal Rapporto ONU. Il suo impatto, infatti, è “spesso maggiore su coloro che sono poveri”, oltre a sovrapporsi alla  “discriminazione nei controlli sulla droga, diretti ai gruppi vulnerabili e marginalizzati”. Una guerra contro i poveri, insomma, che fa strage di piccoli spacciatori (spesso provenienti da contesti disagiati e problematici) ma del tutto inutile a risolvere il problema alla radice. A tutto ciò, sottolinea il rapporto, va aggiunto l‘uso spropositato della forza che spesso e volentieri le forze dell’ordine mettono in campo per procedere con gli arresti, atteggiamento peraltro denunciato da numerosissime ONG ed associazioni per la tutela dei diritti umani.
Il rapporto suggerisce, dunque, di “adottare alternative alla criminalizzazione, alla “tolleranza zero” e all’eliminazione delle droghe, prendendo in considerazione la depenalizzazione dell’uso; assumere il controllo dei mercati illegali delle droghe attraverso una regolamentazione responsabile, per eliminare i profitti del traffico illegale, della criminalità e della violenza”. Un approccio evidentemente del tutto diverso da quello che il governo Meloni sta adottando in Italia, dove vengono piuttosto portate avanti proposte di legge di inasprimento delle pene anche per i casi di spaccio e detenzione di lieve entità di cannabis. «Le agenzie dell’ONU ci riportano l’evidenza di come il sistema di controllo delle sostanze stupefacenti, nato 60 anni fa e basato sul proibizionismo, sia costato miliardi di dollari e milioni di vite umane rovinate, senza riuscire in alcun modo a contenere il fenomeno» commenta Leonardo Fiorentini, segretario di Forum Droghe, che sottolinea come «questo rapporto sarà indigesto a Palazzo Chigi perché pone il dito sull’eccessiva carcerazione per droghe nel mondo».
A seguito della pubblicazione del rapporto, oltre 130 ONG hanno firmato una dichiarazione congiunta che chiede alla comunità internazionale di attuare “una riforma sistemica della politica sulle droghe”. “La trasformazione dell’approccio punitivo globale alle droghe richiede cambiamenti nelle norme e nelle istituzioni fondamentali del regime internazionale di controllo delle droghe, storicamente incentrato sulla proibizione e sulla criminalizzazione” scrivono le organizzazioni.
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Rientro traumatico
Da piccoli ci insegnano che l’estate finisce il 21 settembre, finché una volta sui banchi ci accorgiamo che la sua lunghezza non ha fondamento astronomico ma dura fino a quando non ci sono esami di recupero o sessioni estive. Quando si è adulti la lunghezza della propria estate, qualora concessa, va concordata con altri, in base ad un contratto di lavoro, scadenze dettate da terzi e giornate di ferie già godute durante il resto dell’anno. E troppo spesso le ferie, seppur variamente riempite, sono concepite come tempo per il recupero delle condizioni psico-fisiche per poter tornare a performare meglio al rientro.
Tossiche sono tendenze che hanno preso piede nella concezione quotidiana del lavoro e nel suo peso sulla vita dell’individuo. La colpevolizzazione del semplice rispetto dell’orario di lavoro, il regolare sovrapporsi di urgenze, il non avere tempo come unico sinonimo di produttività e la mancata disconnessione dai mezzi di produzione portano ad un’inevitabile sconfinamento del tempo del lavoro nel tempo privato, relegando quest’ultimo a “ciò che resta una volta usciti dall’ufficio”.
I primi anni lavorativi sono fondamentali per l’apprendimento della propria professione e per la ricerca di un proprio ruolo nel meccanismo produttivo, ma devono anche saper formare il lavoratore sui propri diritti e fargli prendere coscienza della dignità del lavoro.
Ho la fortuna di poter dedicare delle ore del mio tempo libero al volontariato. Durante una di queste ore un anziano mi disse che non era mai stato in Australia, non conosceva nulla di quell’isola dall’altra parte del mondo, nulla della sua geografia e della sua fauna, se non che dei minatori diedero la vita per far sì che il turno di lavoro venisse ridotto a otto ore giornaliere. Ora, mi chiedo perché quelle conquiste debbano essere tacitamente e sistematicamente disattese da noi giovani lavoratori.
In questi anni difficili abbiamo tutti guardato il cielo e capito che non c’è vita solo sul mondo del lavoro. Auguro a tutti di trovare al proprio rientro un’occupazione che, oltre a essere contrattualmente dignitosa e fonte di soddisfazioni, permetta di equilibrare l’orario produttivo con il tempo per sé, senza doversi annullare. Che il tempo libero non sia solo evasione o distrazione dal lavoro ma vera occasione di incontro con l’altro e miglioramento di se stessi.
Di tornare ad un lavoro che permetta di bruciare sempre e spegnersi mai.
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rosateparole · 10 months
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Il potere popolare ci ha fatto cambiar scuola. Sempre bene intenzionato, il potere popolare, toglierci la scuola e farci andare nell’edificio della scuola croata per aumentare la dose di bratstvo i jedinstvo, unità e fratellanza.
Da via Castropola nella Città vecchia, siamo scesi in via San Martino, in un casermone rettangolare e grigio che non assomigliava a niente se non a una caserma, perché appunto tale era stato. Circolavano voci che lì i fascisti avessero torturato i bevitori di olio di ricino, sempre questi benedetti fascisti italiani che mi perseguitano, sempre loro, dove ti giri, dove ti volti, han combinato guai per i quali noi dobbiamo subir le conseguenze, noi che siamo nati in questo luogo, teatro di un eterno regolamento di conti, con questo nostro mestiere di capro espiatorio. Quotidianamente ci propinano racconti che, con tutto l’orrore dell’autenticità, parlano di ogni sorta di nefandezze subite sotto il fascismo, che sputava perfino in bocca allo slavo che parlava slavo.
E noi dovevamo pagare per quelle nefandezze. Perciò dall’oggi al domani, tutti fuori dalla scuola. Andate nella scuola croata, nel rispetto del principio di unità e fratellanza. Ci andammo, anche se questo rispetto assomigliava più a uno sfratto e a un abbraccio soffocante. E, per l’occasione, i banchi della classe sbatacchiati nel trasloco sotto il sole e la noia cittadina colpita dalla peste politica, i nostri libri, Manzoni e Foscolo, buttati sul camion e squinternati, il timbro Gimnazija battuta con forte inchiostratura sul frontespizio di ogni libro a sovrapporsi e ad annullare il vecchio timbro «liceo Carducci».
La scuola, in due giorni resterà vuota. Esattamente come un uomo al quale si sia improvvisamente cancellata la memoria. Il professur Pouli, rigido e impalato come il manico di uno scopettone, i knickerbockers da ragazzino, la cravatta alla lavallière, tutto bardato Old England, felice di assomigliare agli inglesi che si aggiravano per la città, con un’aria da poeta tenne stretta un momento contro il petto la Divina Commedia – stretta come lui, antifascista, aveva tenuto la speranza e una limpida e cieca fede nel fronte popolare –, poi la lasciò cadere tra un Ariosto e un Melzi, all’improvviso, come la speranza e la fede. Improvvisamente conscio di aver scambiato troppo mulini per giganti, prima che ce ne rendessimo conto era uscito dalla biblioteca scolastica e dalla scuola per abbracciare, in Italia, un impensato migliore destino. Nei tanti anni che gli rimasero fu felice a Parma. Come il pittore Golia, che lo seguì dopo poco perché non ce la faceva più, l’espressione di chi non capisce nulla di quello che succede, il pittore dava l’impressione di essere inciampato nella Storia per puro caso.
C’è chi non sopravvive a un’esperienza devastante, e chi invece ne viene fuori. C’è chi si rialza in piedi e c’è chi viene distrutto, la gente reagisce in modo diverso. Non so da cosa dipenda, se dall’incidente in sé o dal carattere delle persone. Anche dall’età, credo.
Anna Maria Mori & Nelida Milani, Bora. Istria, il vento dell’esilio
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decadence-brain · 2 years
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Penso......
Succedono cose,
situazioni, vibrazioni,
che cambiano…
a volte riescono a cambiare
il colore dei sogni…
realtà che vanno a sovrapporsi
alla fantasia, al mio modo, che,
seppur sbagliato
rimane comunque il mio modo di vivere
il mio modo di affrontare il passare del tempo
il mio modo d’ amare.
E così mi ritrovo
ad esitare con le mani al buio
dita che cercano un viso
per sfiorarne piano i contorni
così che con il ritorno della luce,
con il ritorno al non averti vicino
la mia memoria senta il suo viso
sulle dita oltre a vederlo nei miei occhi.
Mani che cercano un corpo caldo
per accarezzarlo e sentirne
ogni minima vibrazione
così che di giorno
io possa sentire dentro le mie mani
e dentro di me ancora il suo corpo vibrare.
Il buio…
questo oscuro manto che ci avvolge,
questa misteriosa forza di sentire
senza aver bisogno di vedere.
Tumblr media
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Sarà come vederti la prima volta e ancora una volta nello stesso istante, in una sera qualsiasi, in una strada qualunque di una giovane città. Io con il mio giro, tu col tuo.
Un tenerci con gli occhi, un sovrapporsi di facce a facce, di ricordi a ricordi, di momenti a momenti, un crederci sul punto di un nuovo inizio.
Tumblr media
#cardiopoetica
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lamilanomagazine · 1 year
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Milano, a Palazzo Reale la mostra di Vincent Peters “Timeless time” 
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Milano, a Palazzo Reale la mostra di Vincent Peters “Timeless time”.    Dal 12 gennaio al 26 febbraio, Palazzo Reale porta a Milano gli scatti senza tempo del fotografo Vincent Peters con la mostra a ingresso gratuito dal titolo “Timeless Time”, una selezione di novanta lavori in bianco e nero in cui la luce è protagonista nel raccontare le storie dei soggetti ritratti. La mostra, promossa da Comune di Milano-Cultura, prodotta e organizzata da Palazzo Reale e Nobile Agency, è curata da Alessia Glaviano, Curator & Head of Global PhotoVogue. Christian Bale, Kim Basinger, Monica Bellucci, Vincent Cassel, Laetitia Casta, Cindy Crawford, Penelope Cruz, Cameron Diaz, Matt Dillon, Michael Fassbender, Scarlett Johansson, Milla Jovovich, John Malkovich, Charlize Theron, Emma Watson sono solo alcuni dei personaggi famosi i cui ritratti, realizzati tra il 2001 e il 2021 da Vincent Peters, sono esposti a Palazzo Reale. Quello ritratto da Vincent Peters è il mondo delle star e delle celebrities, un moderno Olimpo in cui i ritratti sfumano in un’atmosfera da cinema neorealista italiano. I suoi scatti sono infatti composti da un sovrapporsi di strati che dialogano tra loro completandosi: ciascun elemento che converge e si condensa in ogni suo singolo scatto, forma uno strato che non perde mai la propria identità e distinzione. È proprio nell’incontrarsi di questi strati singolari che ogni immagine di Peters arriva a raccontare una storia, fino a diventare un film in un solo fotogramma. Nel percorso della mostra, grazie a Cinecittà, sono esposti anche i primissimi scatti del progetto “Timeless Talent”, un racconto fotografico realizzato da Peters dei mestieri e dei talenti degli storici studi cinematografici che, oggi come in passato, ne fanno punto di riferimento della creatività del cinema e della televisione nazionale e internazionale. Un progetto di valorizzazione del talento dell’art department, dei falegnami, degli operai, pittori, macchinisti, elettricisti, tecnici dello sviluppo della pellicola e di tutti gli artigiani di Cinecittà, che da dietro la macchina da presa e al fianco dei registi, contribuiscono alla creazione dei capolavori realizzati negli studi. Con uno stile senza tempo, i lavori di Vincent Peters esposti nell’ Appartamento dei Principi al piano nobile di Palazzo Reale sono valorizzati da un allestimento curato da Silvestrin & Associati che esalta le potenti immagini in bianco e nero e al tempo stesso sposa la bellezza delle signorili sale quattrocentesche che lo ospitano. Vincent Peters Nato a Brema, in Germania, nel 1969, all’età di vent’anni si trasferisce a New York per lavorare come assistente fotografo. Tornato in Europa nel 1995, ha lavorato per diverse gallerie d'arte e su progetti personali e nel 1999 ha iniziato la sua carriera presso l'agenzia di Giovanni Testino come fotografo di moda. Negli anni Vincent Peters si specializza nei ritratti di celebrità, scattando campagne leggendarie per riviste di tutto il mondo, distinguendosi con il suo stile cinematografico. Il suo portfolio comprende lavori per brand come Armani, Celine, Hugo Boss, Adidas, Bottega Veneta, Diesel, Dunhill, Guess, Hermes, Lancome, Louis Vuitton, Miu Miu, Netflix, solo per citarne alcuni. Le sue opere sono state esposte in gallerie d'arte internazionali tra cui, ad esempio, Camera Work a Berlino, Fotografiska a Stoccolma e il prestigioso Art Basel in Svizzera. Info Ingresso gratuito, da martedì a domenica, dalle 10 alle 19.30 (ultimo ingresso ore 19), giovedì apertura serale fino alle 22.30 (ultimo ingresso ore 22). Lunedì chiuso palazzorealemilano... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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gregor-samsung · 2 years
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“ Influente nell'aristocrazia, erede della dinastia intellettuale che faceva capo alla scuola del Museo, Ipazia era soprattutto maestra del «modo di vita ellenico» (hellenikè diagogè), sostanzialmente politico, cui l'aristocrazia pagana s'ispirava: lo conferma Suida, ancora qui da identificarsi in Esichio, secondo cui era «fluente e dialettica (dialektikè) nel parlare, accorta e politica (politikè) nell'agire, così che tutta la città davvero la venerava e le rendeva omaggio». «Dalla cultura ellenica (paidèia) le derivava», come ci informa Socrate Scolastico, «un autocontrollo e una franchezza nel parlare (parrhesìa)» per cui «si rivolgeva faccia a faccia ai potenti e non aveva paura di apparire alle riunioni degli uomini: per la sua straordinaria saggezza, tutti costoro le erano deferenti e la guardavano, se mai, con timore reverenziale». Ipazia era la portavoce dell'aristocrazia cittadina presso i rappresentanti del governo centrale romano e in particolare presso Oreste d'Egitto. «I capi politici venuti ad amministrare la città», riferisce Suida, «si recavano per primi ad ascoltarla, come seguitava ad avvenire anche in Atene. Poiché, se anche il paganesimo vi era finito, comunque il nome della filosofia pareva ancora grande e degno di venerazione a quanti avevano le più importanti cariche cittadine». La filosofa influenzava direttamente e fortemente la politica interna della sua città: «Tu hai sempre avuto potere. Possa tu averlo a lungo, e possa tu di questo potere fare buon uso», si legge in una lettera di raccomandazione che le indirizzò l'allievo Sinesio. Ma proprio da questo potere locale e clientelare prende le mosse la trasformazione delle classi dirigenti, avviata nelle sedi provinciali dal legittimarsi politico della Chiesa. La polis tardoantica e bizantina vedrà d'ora in poi il vescovo, non più il filosofo, farsi consigliere e «garante civico» del rappresentante statale. «Il vescovo cristiano doveva avere il monopolio della parrhesìa!», ha scritto Peter Brown, proponendo, appunto sul caso di Ipazia, un sillogismo storico fin troppo immediato: se nella fase di trapasso dal paganesimo al cristianesimo il ruolo del filosofo e del vescovo vengono a sovrapporsi, che cosa fa il vescovo, se non eliminare il filosofo? «Phthonos personificato si levò in armi contro di lei», denuncia Socrate. La gelosa malevolenza, lo phthonos dei cristiani per i pagani secondo tutte le fonti, e secondo un luogo comune della letteratura antica, è causa della fine violenta non solo di Ipazia ma insieme dell'antico modo di vita della polis, cui Suida accenna nel suo sfumato riferimento ad Atene. “
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Brano tratto da Ipazia, l’intellettuale, saggio di Silvia Ronchey raccolto in:
AA. VV., Roma al femminile, a cura di Augusto Fraschetti, Laterza (collana Storia e Società), 1994¹; pp. 215-16.
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tma-traduzioni · 2 years
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MAG166 - ########-6 - I Vermi
[Episodio precedente]
[EXT. DA QUALCHE PARTE NEL REGNO UNITO, VICINO A UN DOMINIO DEL SEPOLTO]
[CLICK]
[Passi rumorosi, come sulla ghiaia. Un ululato simile a quello di un cane in lontananza.]
[L’archivista inspira ed espira profondamente.]
MARTIN
…Dunque, ne vogliamo parlare, oppure…?
[L'Archivista espira, e poi si ferma; sentiamo il tintinnio del suo zaino quando succede. Martin fa lo stesso.]
ARCHIVISTA
(Con un sospiro) Di che cosa dovremmo parlare?
MARTIN
Di quello che è successo laggiù? Quello che hai fatto a Sa-
[S’interrompe.]
[Una pausa.]
ARCHIVISTA
Vai avanti. Dillo.
MARTIN
Quello che hai fatto a… quella cosa.
ARCHIVISTA
L’ho - uccisa. Io - finalmente ne ho il potere, quindi l’ho uccisa.
MARTIN
Sì, ma tipo come? Io - scusa, è solo che non capisco che cosa sia realmente successo.
ARCHIVISTA
Io- È difficile da descrivere a parole, gua- io (sospira) Guarda, possiamo parlarne più tardi, stiamo per - (inspira) entrare in un - (sospira) dominio del Sepolto, e preferirei di gran lunga -
[Un Toc-toc.]
[un vago scricchiolio di statiche in sottofondo, semplice, un tono classico]
MARTIN
Hai…?
[L’Archivista sospira.]
ARCHIVISTA
Guarda giù, Martin.
MARTIN
Oh.
(Rendendosi conto) Aspetta, cosa?
ARCHIVISTA
Non… avvicinarti troppo.
[La porta si apre con un cigolio.]
ARCHIVISTA
Ciao, Helen.
HELEN
Oh, ciao! Siamo più di buon umore, allora?
(Tono più basso, scherzoso) Ti senti più al sicuro adesso che hai imparato come uccidere?
[Mentre parla un suono alto e cangiante inizia a sovrapporsi in sottofondo.]
ARCHIVISTA
(Inspira) Qualcosa del genere.
MARTIN
Vuoi dirmelo tu come ha fatto?
ARCHIVISTA
Martin…
MARTIN
Lui continua a fare il vago.
HELEN
Oh, cielo. Vedi cosa hai fatto al poveretto, Jon? Si sta rivolgendo a me per delle risposte chiare.
[Lei ridacchia, poi degenera nella sua iconica risata.]
ARCHIVISTA
Chiudi il becco.
HELEN
(Ridacchia) È molto soddisfacente, però, no? Prendere in giro la gente con informazioni vaghe? Puoi capire perché a Elias piaceva tanto.
ARCHIVISTA
(Sovrapponendosi) Chiudi il BECCO!
MARTIN
Jon.
HELEN
Hai ragione - Martin. È suscettibile.
MARTIN
(Sovrapponendosi) Non ho detto che era su-
HELEN
(Sovrapponendosi) Dunque, dunque, una spiegazione. Dalla cara vecchia me.
[Pausa.]
HELEN
Ti spiacerebbe, Jon?
[L’Archivista inspira, fa per dire qualcosa, poi s’interrompe, e sospira.]
ARCHIVISTA
(Va be’, chissene) Fai pure.
HELEN
Siamo tutti qui, Martin. L’Estraneo, il Sepolto, la Desolazione, tutti quanti. Ma l’Occhio è comunque sovrano. Tutta questa paura è inscenata a suo beneficio.
E quindi, ci sono solo due ruoli disponibili in questo nostro nuovo mondo: L’Osservatore, e gli Osservati. Soggetto, e oggetto. Quelli che sono temuti, e quelli che temono.
E Jon, beh - lui fa parte dell’Occhio. Una parte molto importante. Ed è in grado di, diciamo, cambiare la sua messa a fuoco. Trasformare uno nell’altro.
E per quelli di noi la cui esistenza stessa si basa sull’essere temuti, beh: essere trasformati in una vittima ci distrugge completamente. E con molto, molto dolore.
ARCHIVISTA
Basta così.
HELEN
Sì, direi di sì.
MARTIN
Certo. Okay, è - cioè, non è per niente così complicato, Jon; non capisco perché continuavi a tirartela -
ARCHIVISTA
(Sovrapponendosi) Perché mi vergogno, Martin.
[Una breve pausa.]
MARTIN
Ti vergogni?!
ARCHIVISTA
Sì! Mi vergogno del fatto che ho appena - distrutto il mondo e sono stato ricompensato per questo, il fatto che - posso camminare illeso attraverso tutta questa paura che ho creato come un.. Turista del cazzo, distruggendo chi mi pare. Il fatto che… mi sia piaciuto, e… il fatto che ci sono molti altri di cui voglio vendicarmi!
[Respira pesantemente dopo il suo monologo.]
MARTIN
…No; No,a dire il vero penso che su quel fronte sei nel giusto.
ARCHIVISTA
Cosa?
MARTIN
Sì, io, io, credo che dovremmo farlo, darci dentro con le uccisioni!
ARCHIVISTA
(Incredulo) Scusa, cosa?
HELEN
(Felicemente sorpresa) Sì, Martin!
MARTIN
(Sovrapponendosi leggermente) Non, Non è come prima! Qui non stiamo parlando di passanti innocenti in un bar, Jon; queste cose sono - sono puramente malvagie, niente di più, e al momento stanno torturando tutti!
(Pausa per riprendere fiato) Se le vuoi fermare e hai il potere per farlo, allora - allora, allora sì facciamolo, in puro stile Kill Bill!
ARCHIVISTA
Io - non, non l’ho mai visto.
HELEN
Oh, Martin, sono così fiera di te. Posso venire?
ARCHIVISTA, MARTIN
(All’unisono) No.
HELEN
È un forte “forse” allora?
[L’Archivista fa un sospiro lungo e pesante.]
ARCHIVISTA
(Sottovoce) Ow.
[Fa un un piccolo sospiro di dolore.]
MARTIN
Jon? Ti senti…?
ARCHIVISTA
Siamo stati - vicini per troppo tempo, io, uh devo, uh - potresti voler fare una passeggiata.
MARTIN
Hm.
HELEN
E io colgo l’occasione per andarmene. Beh, beccherò voi angeli vendicatori tra un po’; fatevi vivi.
[Ride e la sua porta di chiude, e se n’è andata.]
MARTIN
Ti serve niente?
[L’Archivista espira.]
ARCHIVISTA
No.
MARTIN
Beh, allora -
[Un suono come se si fosse messo lo zaino in spalla.]
MARTIN
Er, sì, già.
[Si allontana. L’Archivista espira, gonfiando le gote.]
ARCHIVISTA (DICHIARAZIONE)
Giù, giù, giù, giù, giù sotto la terra, c’era un verme. Non era sempre stato un verme, ovviamente, ma il tempo e la marea e la vita ce l’hanno portato.
Il suo nome, ricordato a malapena, era Sam, e lui era, e senza dubbio era sempre stato, in trappola. Circondato su ogni lato senza fuga o altrernativa.
Anche nei suoi ricordi sbiaditi e quasi dimenticati di una vita che non era solo pietra e terreno rancido e maleodorante, non era sicuro di aver mai conosciuto una cosa che potesse essere chiamata libertà.
Le scelte che aveva, è vero, e di sicuro a confronto con l’incessante pressione di tutto quel peso e quella terra adesso su di lui, la semplice scelta di destra o sinistra o siediti o stai in piedi adesso sembrerebbero il lusso più vergognoso.
Ma al tempo, non c’era alcuna gioia in queste decisioni, perché anche se poteva girare i piedi verso sinistra, era una svolta a destra che lo conduceva al luogo dove poteva mettere guadagnarsi un poco per vivere. E anche se poteva decidere se sedersi, di rado rendeva ascoltare le notizie più gradevole.  
Quand’è che la pressione schiacciante sul suo petto era diventata letterale? Quand’è che la promessa vuota dell’orizzonte era finalmente svanita completamente, rimpiazzata dal buio pesto di questo - muro di terra senza fine?
Sam non lo sapeva. Il tempo non aveva alcun significato qua.
Non c’erano orologi da muro o da polso, e da qualche parte nella sua mente era sicuro che il mondo avesse smesso di girare, la sua prigione era immobile.
Anche quel singolo, distante punto di luce, così impossibilmente più in alto che lui aveva deciso dover essere il cielo - anche quello non si oscurava mai riconoscendo la notte. La sua esistenza era immobile, ed eterna. Immutabile.
Il sonno era solo un ricordo, perché anche la prospettiva dell'incoscienza avrebbe potuto rendere il suo stato presente leggermente più sopportabile. Anche il cibo doveva essere importante, perché il suo corpo sentiva la fame, ma non riusciva a vederlo con la sua immaginazione. L’unico odore che conosceva era quello dell’umidità e della terra.
[A questo punto, è chiaro che una pioggerella leggera ma costante sta cadendo in sottofondo.]
Ma queste cose, per quanto cupe e timorose, non erano sconosciute. La fame dolorosa non era nuova, non un semplice dono del terreno generoso.
Aveva sprazzi di uno stomaco vuoto non sfamato da mani piene di tagli e calli a causa di tutte le lunghe, misere ore di lavoro. C’era un’ombra nella sua mente di notti insonni, passate a faticare, stanco e tremante, disperato per un po’ di sollievo dalla pressione incessante che schiacciava la vita dell’uomo che era stato Sam, prima di essere un verme.
E di sicuro era un verme, perché cos’altro poteva contorcersi, strisciando senza arti attraverso il terreno, millimetro dopo millimetro, facendosi strada tutto da solo verso una qualche destinazione segreta che nessun umano poteva comprendere?
Forse aveva ancora braccia o gambe o il lusso di entrambe, ma qua sotto era impossibile dirlo, schiacciati così vicini l’uno all’altro che distinguere tra torso e un arto piegato e ripiegato era insensato.
Se si muove come un verme, pensa come un verme, e urla le sue terribili agonie verso il distante cielo crudele come un verme - beh.
La conclusione è ovvia.
La pallida carne screziata da verme di Sam si spingeva e si contraeva facendosi strada sempre più avanti, sempre più in alto - o così sperava. Così supplicava.
La luce era là; era sempre là. Così piccola e distante che sarebbe potuta essere la capocchia di uno spillo in una tenda nero pece. Il minimo per ricordargli che aveva degli occhi, per quanto fossero affamati e vuoti.
Il minimo per ricordarli che esisteva una cosa come il cielo, quella sconfinata aria aperta esisteva. Abbastanza da mantenere viva in lui la paura che avrebbe potuto non rivederla mai più.
I vermi non hanno il privilegio di vedere il cielo.
Se avesse dormito, l’avrebbe sognato, sognato di volare nella brezza leggera e senza catene, schernendo il terreno a cui era sfuggito sempre e per sempre. Un’altra buona ragione per non avere diritto al sonno.
A volte, quando piegava il collo e guardava con brama verso la luce, poteva sentire qualcosa guardarlo a sua volta, la visione di quella cosa scendeva giù e attraverso il fango opaco per sfiorarlo, assorbendo il suo panico e il suo dolore mentre provava di nuovo a spingersi su e fuori.
A quel punto urlava, implorando disperatamente proprio la cosa che si crogiolava nella sua sofferenza affinché le ponesse fine. Mentre lo faceva, a volte si ricordava vagamente delle altre suppliche che aveva fatto all’aria aperta verso altre entità desiderose di trarre profitto dalla sua degenerazione. Entità di carta e inchiostro e punti decimali.
Ma tali ricordi sono brevi, e spariscono quando i polmoni di Sam si riempiono nuovamente di terra.
Il suo urlo, anche se breve, riecheggia verso l’alto e attraverso il tunnel irregolare, e a quello si uniscono nella sua ascesa le urla di centinaia di altri, eruttando dai buchi che attraversano come cicatrici il campo marcio in una cacofonia, un coro di urla incrostate di terra che danno il voltastomaco.
Poi con la stessa rapidità con cui è iniziata, finisce, e gli unici che sentiranno mai le urla di Sam sono quelli che l’hanno sepolto.
Riesce a sentire il calore, da quel lontano punto di luce, un raggio di sole là sotto nell’oscurità?
Il poveretto non deve sapere che il sole non c’è più, che quel che adesso rimane non ha nessun altro scopo se non permettere a questo miserevole mondo di essere visto.
Una fonte di illuminazione vuota e senza vita a malapena degna di essere chiamata luce.
Ma là sotto nel terreno buio e gelido, Sam si sta ancora aggrappato con forza al suo sogno del Sole, e il terreno glielo lascia fare, ovviamente -
Perché quale vera paura può esistere senza una speranza, senza la credenza che le cose possano cambiare in meglio? Per smuovere la consapevolezza che non faranno che peggiorare?
Quando ne ha la forza, quando il freddo terreno attorno a lui è rimasto immobile e silenzioso per abbastanza, Sam potrà di nuovo iniziare la sua triste e dolorosa salita.
Muovendosi, strisciando avanti di una minuscola frazione di un millimetro concessagli dalla sua schiacciante prigione, si aggrappa e scava con quelle che un tempo sarebbero potute essere dita.
Il terreno molle di solito tende a scivolare via, ma qualche volta - solo qualche volta - le punte di quelle estremità riescono a trovare un appiglio, e si tira verso l’alto, di poco, di pochissimo.
Mentre si contorce e striscia e si dimena verso l’alto attraverso il buco, nonostante la lentezza straziante, ignorando i graffi e i tagli che questo apre sulla sua pelle morbida e da verme, Sam si concede di sognare di cosa potrebbe esserci in cima.
Da tempo ormai ha abbandonato ogni speranza di gioia, ma sotto sotto crede ancora che potrebbe esserci un posto dove non soffrirà quanto sta soffrendo adesso.
E dopo ore, giorni, settimane impossibili da contare, forse si è mosso di un metro. Forse anche di più, per quanto il suo corpo adesso possa essere tumefatto e fratturato, è più vicino al cielo, e nessuno può portargli via questo.
Almeno finché la pioggia non inizia a cadere.
Le piogge qui cadono come cadono in vari altri posti di questo nuovo mondo. Gocce pesanti e oleose che hanno il sapore di sale amaro, lacrime torrenziali che precipitano dal cielo osservatore, con tonfi e rumori bagnati sulla terra assetata nella quale i vermi si contorcono dolorosamente verso una superficie che non li vuole.
Il terreno si ammorbidisce. Si smuove. E inizia a scivolare e a scorrere in un torrente di fango nero.
Giù in profondità, Sam sente la pioggia che inizia a gocciolare sulla sua fronte, e sa esattamente cosa vuol dire.
Vuole urlare ancora ma è così sfiancato dalla sua scalata che l’unico suono che riesce a emettere è un lungo lamento sconfitto. E come è già successo molte altre volte nella sua triste vita di sconfitte, sente che le pareti iniziano a smuoversi e ad ammorbidirsi, e la marea scivolosa lo spinge giù, giù, giù.
Forse più in profondità di quanto non sia mai stato prima, così in basso che la luce è quasi sparita, ma l’oscurità non è mai totale.
Ci deve sempre essere una lontana promessa di fuga.
A volte, quando la sua disperazione è all’apice, e il cielo è là solo per prenderlo in giro, Sam cambia la direzione. Ha respirato fango per così tanto che non si preoccupa più di soffocare, e spinge il suo volto contro le pareti del suo tunnel e inizia a provare e scavare per traverso.
Teme ciò che potrebbe trovare oltre i limiti del suo tunnel stritolante, ma sceglie tra la paura e la disperazione e scava.
Per giorni o settimana si dimena e si spinge attraverso il tunnel di sua fattura, la mente ripensa a quella punta di spillo di luce che potrebbe non rivedere mai più.
Cosa ha fatto? Abbandonare la strada che è stata scavata per la sua emersione. Il panico inizia a farsi sentire, e lui trema e piange le sue lacrime viscide e fangose.
Ma un giorno, Sam si spinge in avanti e sente la sua faccia rompere una parete. Il terreno si libera e si trova in un sottile spiraglio di aria aperta.
Una camera. Una caverna. Una via verso l’esterno.
È solo mentre ci si infila dentro così precisamente che si rende conto di che cosa è: un altro tunnel. Per un altro verme.
Mentre ci scende più in profondità, si ritrova a fissare il volto pallido e senza peli del suo abitante.
Il povero Sam non può sapere che il nome del suo vicino è Richard, che un tempo aveva patito in una vita difficile e disperata quanto la sua. Che i suoi sogni di luce e l'arrampicata, dolorosa e piena di urla, verso questa sono altrettanto bramosi e terrificanti.
L’unica cosa che importa è che questo verme è rivolto verso l’alto. E Sam, a causa di come è entrato nel tunnel, è rivolto verso il basso.
Come combatti, quando non puoi muoverti se non per strisciando lentamente di un centimetro per volta, senza arti o armi, o la forza cinetica della violenza?
Lo fai lentamente, spingendo, mordendo, facendoti strada l’uno attraverso l’altro finché alla fine, rimane solo uno di voi.
Non c’è luce, perché Sam è rivolto lontano da essa, nascondendola al suo avversario. Ma anche se fossero sommersi da una forte luce, nessuno avrebbe potuto dire con certezza dove finiva il fango appiccicoso e dove iniziavano le facce dilaniate e insanguinate.
Un nauseante ammasso di denti e lacrime e pelle lacerata mentre le due vittime terrorizzate masticano lentamente l’uno attraverso l’altro per una lontana speranza che a nessuno dei due sarà mai concesso di raggiungere.
Quando è finita, Richard è morto, o silenzioso abbastanza che non fa alcuna differenza, e il tunnel appartiene a Sam. È identico a quello che ha abbandonato, in tutti i sensi meno che ha dovuto fare una cosa orribile per ottenerlo. E in ogni caso è ancora rivolto verso il basso.
Riposa lì per giorno, senza niente a tenergli compagnia se non i resti del suo avversario, che marciscono in silenzio, finché alla fine inizia l’arduo compito di rigirarsi.
Le contorsioni che fa, gli angoli e le fratture a cui sottopone il suo pallido corpo da verme, sono ben più dolorose di quanto avesse creduto possibile, e lo spezzarsi e gli schiocchi delle ossa e dei nervi riecheggiano verso l’alto fino alla lontana superficie.
Ma per lo meno Sam ha avuto la sua vittoria: ha reclamato un altro tunnel, e può vedere la luce.
Forse questo sarà migliore, riuscirà a farsi strada più in alto.
Ma sotto sotto è ancora in agguato la paura che forse, è peggiore.
[La pioggia inizia a cadere più veloce, più forte.]
La verità è abbastanza evidente, però, anche mentre lotta così duramente per non saperla:
Non c’è alcuna differenza, e mentre le pioggie iniziano a cadere di nuovo, sa che il mondo non lo lascerà mai fuggire dalle profondità in cui è caduto.
Meglio tenerlo ben sepolto là sotto.
[L’archivista sospira.]
ARCHIVISTA
Dio, odio il Sepolto.
[I suoi respiri si fanno tremanti per qualche secondo.]
ARCHIVISTA
Fine della registrazione.
[CLICK]
[EXT. DA QUALCHE PARTE NEL REGNO UNITO, VICINO A UN DOMINIO DEL SEPOLTO, A POCA DISTANZA DALL’ ARCHIVISTA]
[CLICK]
[La pioggia sta ancora cadendo fitta fitta. Il vento soffia senza tregua.]
[Sentiamo qualcosa ululare in lontananza, a tutto parte del panorama sonoro del Sepolto.]
MARTIN
Desidero quasi che ci fossero delle riviste nell’apocalisse.
A-Anzi no, ripensandoci, probabilmente no. Ooh. Di, di sicuro no.
[Sentiamo il rumore del suo borsone.]
MARTIN
(Sospira) Andiamo, Jon. Quanto ci vuole a descrivere - del fango spaventoso?
[Più cose ululano. Il respiro di Martin si ferma per un attimo.]
MARTIN
(Non uccidermi!) Oh – oh, o,okay, okay, okay – scusa, scusa! Scusa.
[L'ululare si abbassa.]
[Anche la pioggia cala di intensità, di poco, abbastanza da far sentire un leggero suono di vibrazione.]
MARTIN
(Sotto voce) Oh, Dio –
(Normale) E adesso cosa?
[Fa un passo verso il rumore che continua a vibrare a intervalli regolari.]
MARTIN
Cosa, sul serio? Una vanga?
[Le vibrazioni continuano sotto le sue parole.]
MARTIN
Non è un po’, sai, scortese? Visto dove ti trovi?
[Sospira.]
MARTIN
Okay, okay - okay.
[Sospira, raccoglie la vanga con il rumore di metallo che gratta per terra. Inizia a scavare. Quasi immediatamente udiamo la suoneria di un vecchio Nokia.]
[La vanga continua a fare quel suono di grattare metallico mentre Martin scava spostando più terra, e la suoneria si fa più forte.]
MARTIN
(ugh, ovvio che sarebbe successo qualcosa del genere) Per l’amor del cielo.
[Continua a scavare, il cellulare si fa più forte. Poi lo raccoglie, risponde alla chiamata con un piccolo ‘boop’.]
MARTIN
Pronto?
ANNABELLE CANE
Pronto. Parlo con Martin?
MARTIN
Smettila.
ANNABELLE
Cosa, non ti piacciono i giochi?
MARTIN
Beh, i tuoi giochi non è che siano divertenti per tutti, no?
ANNABELLE
(Con un sorriso che possiamo sentire) Pochissimi giochi lo sono.
MARTIN
G-Guarda, guarda, guarda, sto parlando con Annabelle Cane, giusto?
ANNABELLE
Non mi hai mai detto il tuo nome, quindi perché mai dovrei offrirti il mio?
MARTIN
Basta -  cosa vuoi?
ANNABELLE
Voglio aiutarti, ovviamente.
[Breve pausa.]
MARTIN
No. Grazie.
ANNABELLE
Ti trovi in una posizione difficile. Forse posso darti un - aiutino!
MARTIN
Puoi darmi un aiutino smettendola con - questa cosa inquietante del telefono!
ANNABELLE
Lui è molto più potente che mai, vero?
E non sai che cosa pensare a riguardo.
[Una pausa piccolissima. Martin fa un respiro tremante.]
MARTIN
Adesso ritacco.
ANNABELLE
Ha davvero alcun bisogno di te?
MARTIN
Ciao!
[Riattacca con un altro ‘boop’.]
[Sospira. Le cose che prima stavano ululando nel sepolto - probabilmente i vermi là sotto - ululano di nuovo, con insistenza.]
MARTIN
Ma sul serio?
[Traduzione di: Victoria]
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scienza-magia · 2 years
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Relazione prevaricante con manipolazione psicologica
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Gaslighting, il male oscuro delle relazioni tossiche. Cos'è e come riconoscere questa forma di manipolazione psicologica subdola che porta le vittime a dubitare di se stesse. Non tutti sanno da dove deriva il termine gaslighting, tratto originariamente dal titolo di un’opera teatrale poi trasposta al cinema, e arrivata in Italia con il termine "Angoscia" nel 1944. Il titolo originale “Gaslight” spiega il contenuto: un marito manipolatorio cerca di portare alla pazzia la moglie abbassando e alzando di nascosto la luce a gas di casa e negando poi che le luci siano a volte fioche a volte forti: nega i cambiamenti, sebbene prodotti da lui stesso, al punto che la moglie smette di credere in quello che vede e si affida alle sue percezioni. Da lì il termine gaslighter. Cos'è il gaslighting Il gaslighting è una comunicazione manipolatoria volta a far dubitare si sé stessa la vittima. Sembra un concetto complesso ma pochi esempi possono chiarirlo in modo semplice. Negare di aver mai parlato insieme di una cosa, negare la realtà dei fatti confondendo, dire bugie, accusare la vittima di esagerare, stravolgere il senso delle parole, distorcere sistematicamente la realtà: tutto questo fino a quando la vittima inizia dubitare di sé. Il gaslightinig non è un comportamento occasionale, non è uno scontro di vedute o una singola bugia che mina la fiducia, è una comportamento continuo, infido e sottotraccia. Le vittime di gaslighting arrivano a dubitare della propria memoria, percezione e capacità di giudizio, del proprio valore personale e infine della propria salute mentale. La vittima, non fidandosi più delle proprie percezioni, si affida all’altro. Chi è in relazione con un gaslighter per lavoro o in coppia o in famiglia inizia a sentirsi confuso e insicuro, a vacillare pensando di non essere più in grado di valutare bene le cose... E infine ha paura di impazzire. Le fasi del gaslighting Ma la vittima non si sente immediatamente così: perché il gaslighting non avviene sotto vuoto o improvvisamente. Avviene in una relazione caratterizzata da fasi che si sviluppano insieme alla relazione. · Una prima “luna di miele” dove la vittima è lusingata dal gaslighter fino a stringere una relazione nella quale già sono presenti i prodromi del futuro controllo. Arriva poi una fase confusiva dove silenzi, cambi di umore, iniziano a rendere la vittima cauta e preoccupata. · Quando la vittima cerca di protestare o difendersi può venir accusata con frasi del tipo “sei troppo sensibile”, “ti piace soffrire”, “non l’ho mai detto”, “non essere tragica”, “non è mai accaduto”, “esageri sempre”. · Arriva poi il momento della distorsione della realtà vera e propria, quella caratterizzata dalle bugie, manipolazioni e distorsioni vere e proprie. · Segue una fase di depressione/rinuncia da parte della vittima a reagire perché oramai si sente difettosa, sbagliata e spesso ansiosa. É difficile reagire perché la vittima si sente insicura ed è logorata. Naturalmente queste fasi generali possono sovrapporsi tra loro. Nei casi peggiori, le squalifiche e invalidazioni comunicative “non stavo flirtando, è solo la tua immaginazione” sono travestite da preoccupazione “sarà perché sei stanca”. Il problema, o meglio, uno del problemi del gaslighting è che la vittima non se ne accorge. Può infatti arrivare ad essere così assuefatta alla comunicazione manipolatoria da non rendersene conto. E anche se avesse il dubbio, questo sarebbe semplicemente un dubbio tra i tanti che la affliggono. Gaslighting, come riconoscerlo A volte la vittima percepisce che c’è qualcosa di profondamente sbagliato nella relazione che sta vivendo ma è difficile ammetterlo prima di tutto a se stessi, ma non solo: il pensiero viene forzatamente accantonato per proteggere la relazione dalla rottura, dalle liti e dalle ritorsioni del gaslighter. Non sempre la vittima si rende immediatamente conto che parole e comportamenti del manipolatore vanno in direzioni divergenti. Non sempre la vittima capisce che viene accusata di quello che in realtà è il gaslighter che fa. Il gaslighting è spesso associato a partner narcisisti. Gaslighting e narcisismo non sono due parole coincidenti, non vogliono dire la stessa cosa e non sempre si presentano insieme, ma frequentemente le distorsioni comunicative accompagnano questo tipo di relazioni. Generalmente infatti il gaslighting si manifesta nelle relazioni di coppia, al lavoro e in famiglia ove sono presenti relazioni tossiche abusanti emotivamente. L’obiettivo è il controllo sulla vittima, che indebolita, diventa più controllabile e dipendente. Un comportamento manipolatorio non si presenta mai da solo: il gaslighting è spesso accompagnato da altri atteggiamenti lesivi del benessere della persona. Umiliare, criticare, far sentire in colpa, accusare ingiustamente, amplificare gli errori. Ma soprattutto isolando l’altro: come si fa ad isolare una persona? Provocando litigi dopo che è uscita, mostrando gelosia, insinuando il dubbio che la sfruttino o le mentano, dicendo che lei non ha nulla da condividere con loro, volendo essere continuamente coinvolti. Nel caso del gaslighting sapere è potere: riconoscere questa dinamica è il primo passo per potersi sottrarre. L’ostilità occulta non è parte di una buona relazione. Non siete responsabili del comportamento manipolatorio di un’altra persona. Non state sbagliando. Se avete un dubbio, parlatene con un professionista. Sconfiggere il Gaslighting Read the full article
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adrianomaini · 18 days
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medicomunicare · 1 month
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Le sindromi autoinfiammatorie: entità prima misteriose, ora hanno un agente responsabile e possibili soluzioni
Le malattie autoinfiammatorie sistemiche (SAID) colpiscono principalmente la risposta immunitaria innata e sono entità patologiche distinte, sebbene possano sovrapporsi in qualche modo alle malattie autoimmuni. Negli ultimi anni lo spettro dei SAID è stato ampliato. I recettori simili al dominio di oligomerizzazione nucleotidica (NOD) (NLR) sono un gruppo specializzato di proteine intracellulari…
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unfilodaria · 2 months
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Se i pensieri potessero prendere forma ed apparire nell’aria, come frasi colorate che scorrono su un tabellone, sarebbe un sovrapporsi di “voglio sfiorarti la mano”, “smetti di parlare, ti bacio” mettendoti un dito sulla bocca, “voltati e guardami”, “stiamo sprecando tempo”, “schermaglie inutili”, e poi un crescendo di frasi e pensieri ingarbugliati, sempre più spinti. Mi prenderesti solo per chi vorrebbe portarti a letto, scoparti. Probabilmente è solo questo. Ma in realtà, per uno come me, che ha perso di vista, da tempo, desiderio e sesso, tutto questo risuona nuovo. Mi sento mescolare dentro. Il sangue scivolare dritto giù ad ingrossare il cazzo (é inutile cercare metafore per quello che realmente è). A volte penso che anche tu provi le mie stesse sensazioni ma non riesco a decifrare le tue parole, i tuoi pensieri, le tue schermaglie.
Resta solo il desiderio ed uno schermo muto. Ed una mano che scivola.
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