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#passo delle radici
inrng · 1 year
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fioredialabastro · 7 months
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Una rabbia costruttiva
La vicenda di Giulia mi ha sconvolto più delle altre. Penso a quando mi sono laureata alla triennale quattro anni fa e il mio ragazzo di allora, malato di depressione, arrabbiato col mondo e per nulla intenzionato a farsi aiutare nonostante gli sforzi, era palesemente invidioso, al punto da sussurrarmi all'orecchio, un minuto prima di essere chiamata sul palco e proclamata dottoressa: "Certo che qua i 110 e lode li regalano, alla mia facoltà te li sogni". Quella frase, ovviamente, fondava le radici su parole e gesti ben più gravi, come quando prendevo bei voti agli esami e mi diceva che ero stata solo fortunata a ricevere le domande giuste, o quando mi costringeva a studiare con lui e mi lasciava rinchiusa nella stanza, impedendomi di tornare a casa o di andarsene dalla mia finché non aveva finito ciò che doveva. Allora penso all'invidia di Filippo per i successi professionali di Giulia, a come la sua rabbia si sia trasformata in un agghiacciante omicidio premeditato e realizzo quanto io sia stata fortunata del fatto che le violenze del mio ex si fossero fermate a qualche passo dall'inevitabile, anche dopo averlo lasciato.
È una sensazione terribile, perché solo adesso, a distanza di tutti questi anni, mi rendo conto profondamente della gravità della situazione che stavo vivendo. Tante volte, di fronte all'ennesima sopraffazione da parte sua, ho pensato: "Stiamo insieme da quattro anni, mi ama ma non riesce a dimostrarlo e poi non sono mai tornata a casa con un occhio nero, non può essere paragonabile a quelle storie che sento al telegiornale". Invece sì, lo è. Probabilmente, se non lo avessi lasciato facendogli credere che la scelta fosse sua, se mio papà non fosse intervenuto in maniera diplomatica dopo la rottura, a lungo andare avrei fatto la stessa fine di Giulia e di tutte le altre vittime. Perché quando vivi una relazione tossica, non sei consapevole di dove può arrivare la persona che dice di amarti e che credi di amare, anche se conosci bene i suoi problemi e ciò che un rapporto sano richiede. Si minimizza, si giustifica, si muore, lentamente.
Così, quando credo di aver superato il passato perché mi sento in pace per essere riuscita a perdonarlo e a non augurargli il peggio, ecco l'ennesima donna che muore per mano maschile, ricordandomi che il perdono ha senso solo se non si dimentica il male ricevuto. Perciò sì, sono stata fortunata, ma non per questo vado a ringraziare il mio ex per non avermi ammazzato. Piuttosto, voglio che questa rabbia rimanga, per continuare a lottare per una società più giusta, per non sentirmi più una sopravvissuta ogni volta che si parla di femminicidio.
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sciatu · 4 months
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Devi far sedere la tua anima e farla concentrare sulla Vigna per più di trenta secondi, il tempo che ti ruba un Reel inutile su i cosiddetti “Social”. Questo perché la tua anima ha bisogno di far sedimentare quello che i sensi le fanno percepire. È un esercizio che certi monaci o esseri spirituali chiamano “meditazione” ma che è semplicemente dare valore al tuo tempo. Ecco, ad esempio, la Vigna, se tu la guardi semplicemente è un filare continuo e ripetuto di piante della vite. Questa constatazione però non è degna di te che sei, o dovresti essere, un essere vivente, un’anima pensante in un corpo recettivo. Usa gli occhi. Vedi l’azzurro del mare ed il crepuscolo che si avvicina, il cielo perdere forza e dare alle foglie delle viti un colore intenso ed intimo non quello splendente e forte che hanno durante il giorno. Vedi le nuvole, li ad occidente, arrossare ed illuminarsi sempre più intensamente, coperte dall’ondeggiare delle chiome ad ombrello degli antichi pini. Sono gli attimi che portano i ricordi ed in cui la memoria distilla il giorno preparando attori e sceneggiature per i prossimi sogni. Ora ascoltiamo il mondo. Il vento, instancabile maratoneta, sale dal mare o scende precipitoso verso di esso, facendo frusciare le foglie e portandoti la discussione paesana che le Ciaule hanno nel cielo, chiamandosi e rispondendosi fin quando il grido infinito di un Cacciavento, non le zittisce e le porta a nascondersi su rami o sui fili della luce. Aspettano composti che il rapace torni verso l’alto monte, tra gli aerei abissi da dove domina il mondo. Senti le voci della spiaggia, il vociare dei bambini, il metallico e ritmico correre di un treno, il suono della corriera, lo scoppiettio dei motorini. Il suono è parte dell’uomo, per questo le viti in silenzio, ascoltano curiose, scrivendo nei loro acini, le canzoni della gioia per quando sarà festa o per quando vi saranno dolori da combattere. La Vigna vive di santa eternità e prova ne è l’amore che dona agli uomini. Ora i profumi. Profumo di resina dei pini, intenso, liberatorio, quasi una medicina miracolosa. L’odore del vento, odore umido del mare, odore secco del monte, fatto di cardi arsi e di ulivi eterni. Odori caldi d’estate ed odori secchi e taglienti d’inverno che la vigna percepisce e di cui nutre i suoi grappoli, custodendo il sapore della terra nel loro sangue e trasformandolo con il sole in zucchero ed ebrezza perché la Vigna è la magia della natura, il cantastorie delle stagioni. I suoi filari si allungano a vivere nel sole, le sue radici raccolgono l’anima della terra. Per questo la Vigna è come una donna che dona ebrezza, che ci rivela la bellezza e l’essenza della natura: il mutare, il divenire, l’essere. Perché la vigna è una bambina a cui devi dare attenzione, cura, la protezione di un padre, l’amore di una madre. Ogni giorno chiede la tua presenza, ogni notte sogna le tue carezze. Il tuo passo tra quelle zolle grosse e secche, è quello che aveva tuo padre, e tutti padri che ci sono stati prima di lui. Sono i passi del tempo, che va e torna, che viene a potare, ad aggiustare tralci e pali, a raccogliere per creare. Ecco, ora puoi andare a rincorrere Reel e relazionarti con le frasi di un bambino non più lunghe di uno sguardo. Non ti ho fatto perdere tempo, ti mostrato quello che la tua anima non sa dirti.
You have to make your soul sit and focus on the Vineyard for more than thirty seconds, the time that a useless Reel on so-called "Social Media" steals from you. This is because your soul needs to settle what its senses perceive. It is an exercise that certain monks or spiritual beings call "meditation" but which is simply giving value to your time. Here, for example, is the Vineyard, if you look at it simply it is a continuous and repeated row of vine plants. However, this observation is not worthy of you who are, or should be, a living being, a thinking soul in a receptive body. Use your eyes. You see the blue of the sea and the approaching twilight, the sky lose strength and give the leaves of the vines an intense and intimate color, not the bright and strong one they have during the day. You see the clouds, there in the west, reddening and lighting up more and more intensely, covered by the swaying umbrella-shaped crowns of the ancient pine trees. They are the moments that bring memories and in which memory distills the day, preparing actors and scripts for future dreams. Now let's listen to the world. The wind, a tireless marathon runner, rises from the sea or descends hastily towards it, rustling the leaves and bringing you the village discussion that the Ciaule have in the sky, calling and answering each other until the infinite cry of a Cacciavento silences them and brings them to hide on branches or on electricity wires. They wait calmly for the bird of prey to return to the high mountains, among the airy abysses from where it dominates the world. You hear the voices of the beach, the shouting of children, the metallic and rhythmic running of a train, the sound of the bus, the crackling of motorbikes. Sound is part of man, for this reason the vines listen curiously in silence, writing in their grapes the songs of joy for when there will be a celebration or for when there will be pain to fight. The Vineyard lives in holy eternity and proof of this is the love that it gives to men. Now the perfumes. Scent of pine resin, intense, liberating, almost a miracle medicine. The smell of the wind, the humid smell of the sea, the dry smell of the mountain, made of burnt thistles and eternal olive trees. Warm smells in summer and dry, sharp smells in winter that the vineyard perceives and nourishes its bunches of, keeping the flavor of the earth in their blood and transforming it with the sun into sugar and exhilaration because the Vineyard is the magic of nature , the storyteller of the seasons. Its rows stretch out to live in the sun, its roots collect the soul of the earth. For this reason the Vineyard is like a woman who gives exhilaration, who reveals to us the beauty and essence of nature: changing, becoming, being. Because the vineyard is a little girl to whom you must give attention, care, the protection of a father, the love of a mother. Every day she asks for your presence, every night she dreams of your caresses. Your step among those large, dry clods is the one your father had, and all the fathers who were there before him. They are the steps of time, which comes and goes, which comes to prune, to adjust branches and poles, to collect to create. Here, now you can go chasing Reel and relate to a child's sentences no longer than a glance. I didn't waste your time, I showed you what your soul can't tell you.
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cutulisci · 3 months
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Ogni volta che la politica manda a effetto una operazione contro la classe operaia, i primi a gioirne o, “meglio”, i primi a dare manifestazioni esteriori della loro contentezza non sono i “pezzi grossi”, commissari di polizia od ufficiali delle regie guardie o dei carabinieri, ma sono i più umili agenti, i più modesti carabinieri, l’ultima delle guardie regie. Sono cioè gli agenti del governo usciti dalle file del proletariato più arretrato, costretti a questo passo dalla miseria o dalla speranza di trovare, abbandonando il campo o l’officina, una vita migliore, dalla persuasione di divenire qualche cosa di più di un povero contadino relegato in un paesetto sperduto fra i monti, di un manovale abbruttito dal quotidiano lavoro d’officina. Questa gente odia, dopo averne disertato le file, la classe lavoratrice con un accanimento che supera ogni immaginazione. “Ecco le armi”, urlò trionfante non so se un agente investigativo od un carabiniere in borghese, scoprendo una rivoltella durante la perquisizione all’ “Ordine Nuovo”. E rimase stupito, spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale. all’ “Ordine Nuovo”. E rimase stupito, spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale. all’ “Ordine Nuovo”. E rimase stupito, spiacente che nonostante tutta la buona volontà non si riusciva a trovare nulla di compromettente per il nostro giornale. Pochi minuti dopo, un altro agente udendo uno scambio di parole tra il commissario ed un nostro redattore, esclamò: : “Finiremo per arrestarli tutti! Li arresteremo tutti!” A questo pensiero la sua bocca si aprì ad un riso tanto cattivo da sbalordire chiunque non sia abituato a questo genere di fratellanza umana. Ho compreso allora perché nelle caserme e nei posti di polizia, carabinieri, guardie regie ed agenti gareggino nel bastonare gli operai arrestati, nel rallegrarsi delle loro torture. E’ un odio di lunga data. Gli agenti dello Stato addetti al mantenimento dell’ordine pubblico sentono attorno a sé il disprezzo che tutta la classe lavoratrice ha per i rinnegati, per quelli che sono passati nell’altro campo, per i mercenari che impegnano ogni loro energia per soffocare qualsiasi movimento del proletariato. E al disprezzo del proletariato s’aggiunge quello di gran parte della borghesia che guarda con occhio diffidente tutta rinnegati questa puzza di questura. Perché? Perché questa è la sorte di tutti i mercenari: al disprezzo e all’odio degli avversari s’aggiunge quasi sempre il disprezzo dei padroni. Ed è naturale, è umano che nell’animo di questa gente mal pagata, che non sempre riesce a procurarsi quanto occorre per una vita piena di stenti e di privazioni e che si sente circondata da una barriera che la divide dagli altri uomini, che la mette quasi fuori dalla società, germogli l’odio, metta radici la crudeltà: odio contro quelli che prima erano i fratelli, i compagni di lavoro e che ora disprezzano con maggior forza, crudeltà che si esplica contro di essi sotto mille forme diverse. Così, arrestare un operaio è una gioia, un trionfo, bastonarlo e malmenarlo, una festa, rinchiuderlo in carcere una rivincita. Solo nel momento in cui essi tengono un uomo fra le mani e sanno di poter disporre della sua libertà, della sua incolumità, sentono di possedere una forza che in qualche momento della vita li rende superiori ai loro simili. La gioia di acciuffare un uomo non proviene dalla consapevolezza di servire la legge, di difendere l’integrità dello Stato: è una piccola bassa soddisfazione personale, è la gioia di poter dire: “Io sono più forte”. Quale altra gioia possono essi provare? Quanti di essi sono in grado di formarsi una famiglia senza che la vita di stenti diventi vita di patimenti? Non è forse vero che a molti di questi transfughi del proletariato la vita non riserva altre soddisfazioni che qualche umile offerta di una passeggiatrice notturna in cerca di protezione?
Noi li abbiamo visti pochi giorni or sono nella nostra redazione. Moltissimi, dall’abito, potevano benissimo essere scambiati per operai in miseria. E’ certo che erano umilmente, più che umilmente vestiti non solo per introdursi tra gli operai, per raccoglierne i discorsi, per spiarli, ma anche perché non potrebbero fare diversamente. E guardavano con gli operai veri, quelli che si dibattono tra la reazione e la fame e cercano affannosamente la via della liberazione. Essi comprendevano, sentivano che chi lotta è sempre superiore a chi serve. E quando hanno ammanettato i giovani che difendevano il giornale del loro partito il giornale della loro classe, il loro giornale, gli agenti hanno avuto un lampo di trionfo, hanno riso. Ma non era un riso spontaneo, giocondo. Era un riso a cui erano costretti dalla rabbia, dal disprezzo degli altri, dalla loro vita, dal destino a cui non potevano sottrarsi. Quel riso era la smorfia di Gwynplaine.
(A.Gramsci “L’Ordine Nuovo”, 30 agosto 1921)
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lunamagicablu · 10 months
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Esistono persone nelle nostre vite che ci rendono felici per il semplice caso di avere incrociato il nostro cammino. Alcuni percorrono il cammino al nostro fianco, vedendo molte lune passare, gli altri li vediamo appena tra un passo e l’altro. Tutti li chiamiamo Amici e ce sono di molti tipi. Talvolta ciascuna foglia di un albero rappresenta uno dei nostri Amici. Il primo che nasce è il nostro Amico Papà e la nostra Amica Mamma, che ci mostrano cosa è la vita. Dopo vengono gli Amici Fratelli, con i quali dividiamo il nostro spazio affinché possano fiorire come noi. Conosciamo tutta la famiglia delle foglie che rispettiamo e a cui auguriamo ogni bene. Ma il destino ci presenta ad altri Amici che non sapevamo avrebbero incrociato il nostro cammino. Molti di loro li chiamiamo Amici dell’Anima, del Cuore. Sono sinceri, sono veri. Sanno quando non stiamo bene, sanno cosa ci fa felici. E alle volte uno di questi Amici dell’Anima si infila nel nostro cuore e allora lo chiamiamo “innamorato”. Egli da luce ai nostri occhi, musica alle nostre labbra, salti ai nostri piedi. Ma ci sono anche quegli Amici di passaggio, talvolta una vacanza o un giorno o un’ora. Essi collocano un sorriso nel nostro viso per tutto il tempo che stiamo con loro. Non possiamo dimenticare gli Amici distanti, quelli che stanno nelle punte dei rami e che quando il vento soffia appaiono sempre tra una foglia e l’altra. Il tempo passa, l’estate se ne va, l’autunno si avvicina e perdiamo alcune delle nostre foglie, alcune nascono l’estate dopo, e altre permangono per molte stagioni. Ma quello che ci lascia felici è che le foglie che sono cadute continuano a vivere con noi, alimentando le nostre radici con allegria. Sono ricordi di momenti meravigliosi di quando incrociarono il nostro cammino. Ti auguro, foglia del mio albero, Pace Amore, Fortuna e Prosperità. Oggi e sempre… semplicemente perché ogni persona che passa nella nostra vita è unica. Sempre lascia un poco di se e prende un poco di noi. Ci saranno quelli che prendono molto, ma non ci sarà chi non lascia niente. Questa è la maggior responsabilità della nostra VITA e la prova evidente che due anime non si incontrano per caso. Paul MONTES **********************
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girulicchio · 11 months
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Lontano da tutti
Sono stato spesso critico nei confronti di chi rifiutava la possibilità di emigrare. Mi è sempre stato facile dire “vai, costi quel che costi”. E pensare che chi non andava via, non aveva palle. Ho sempre infangato, a volte anche immeritatamente, la mia terra natia - sia Napoli, sia la Campania, sia l’Italia. Oggi, dopo appena pochi mesi lontano da casa, capisco tante cose. Capisco quanto non sia per tutti, in primis. Capisco quanto non sia facile rinunciare a parlare la propria lingua, ad impararne una seconda o una terza e capisco tutte le difficoltà di comunicazione che si possono avere nel parlare con un interlocutore che parla, nella migliore delle ipotesi, una lingua comune alla tua, ma non la sua, non la tua. Capisco quanto sia difficile integrarsi, o almeno quanto possa esserlo, in un nuovo ambiente. Quanto possa mancarti casa, gli amici, la famiglia, le vecchie abitudini. Capisco quanto il lavoro non sia tutto, quanto non sia tutto nemmeno uno stato o una città apparentemente più civile, più attrezzata, più avanti sotto alcuni aspetti. Perché poi, inevitabilmente, l’occhio cade, quando ti manca casa, su quello che invece non va. E allora le auto elettriche, il benessere e tutto il resto vanno a farsi benedire, perché hai visto che quando portano un antipasto a centrotavola mangiano tutti con la propria posata nell’unico piatto portato, vedi la gente comprare frutta e verdura senza l’uso di guanti e a volte senza l’uso di buste.  Ti inizi a chiedere chi ha torto, chi ha ragione. Se siamo noi italiani ad essere troppo precisi, pignoli, paurosi e quant’altro, perché magari loro - e li chiami loro come se fossero extraterrestri - campano lo stesso, non muoiono a vent’anni, quindi forse tutti i germi e i batteri che passano tra le mani tue, del cassiere e la bilancia non sono così mortali. Così come non muori giovane tu se partecipi ad un pranzo e mangi nello stesso piatto con altre cinque persone.  In chiusura di questo pensiero, ironicamente, ma nemmeno troppo, mi viene da dire che è per questo che gli arabi devono offrire centinaia di milioni ai calciatori a fine carriera per convincerli e che magari, gli stessi calciatori, convinti oppure no, quando atterrano in terra straniera, nonostante magari fossero stati giramondo già da anni, vivono lo stesso mio identico disagio.  Insomma, quasi quasi, cento milioni all’anno non bastano, ma leniscono le sofferenze.  Anzi, a parziale rettifica: cento milioni all’anno bastano a lenire le sofferenze, ma a meno che tu non sia una persona votata al viaggio, al cambiamento, a cui non piace mettere radici, cosmopolita e progressista, risulta davvero che i soldi non facciano la felicità, nemmeno così tanti.  Come mi ha fatto pensare la mia più cara amica, nonché dolce metà, è così che si impara qualcosa su sé stessi. Non si torna per forza cambiati, ma si torna più consapevoli. E non è una sconfitta. Capire che qualcosa non fa per te, non ti rende meno degno dell’esperienza che hai fatto.  Allora, dopo questo passo, aspetto e mi aspetto di fare i successivi. E un giorno, spero, che il percorso si chiuda con un cerchio o anche un ellisse, così che dall’altro lato della curva possa vedermi lontano da me, mentre sono stato lontano da tutti. E in questo modo potrò scoprire qualcos’altro di me, come uno specchio del tempo, che ingrandisce i dettagli e li evidenzia, senza giudizio e senza sconti, senza pietà e senza cattiveria. 
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ambrenoir · 4 months
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Non m'interessa quello che hai fatto, quanto ti definisci spirituale, per quanto tempo riesci a resistere senza mangiare zuccheri, quanti viaggi hai fatto o chissà cos’altro.
Davvero.
Non mi interessa.
Voglio sapere invece, quanta umanità possiedi.
Sai sederti, nonostante il disagio, accanto a chi sta morendo?
Sai stare con il tuo dolore o il mio, senza cercare di dare consigli?
O trovare una soluzione immediata?
O trattenerlo?
Voglio sapere se hai il coraggio di mostrarti e di farti vedere per chi sei veramente, al di là di quanto tu possa essere illuminato, allineato o completo.
Riesci a mantenere uno spazio amorevole per la persona che ami mentre curi le tue stesse ferite, senza sforzarti di essere chi non sei?
Non ha nessun potere di seduzione il numero dei corsi online che hai collezionato, se vivi nel deserto, in una capanna di tronchi o se conosci alla perfezione l'arte del successo.
Ciò che mi emoziona sono le mani che agiscono e piantano radici.
Mi emoziona il fatto che tu riesca a fare quella telefonata, a salire su quell'aereo, ad amare i tuoi cari e a dare da mangiare alla tua famiglia, nonostante tutta la stanchezza.
Voglio vedere con quanta bellezza ti integri nella realtà ordinaria con la tua magia unica, quanta gratitudine e bellezza riesci a trovare in ciò che ti circonda e quanto sai essere presente nelle tue relazioni.
Voglio sapere se sai esserci e prenderti cura sia delle cose difficili che di quelle sante su questa Terra.
Voglio vedere che sai essere sincero, radicato e compassionevole e allo stesso tempo fiero del tuo potere, della tua passione e del tuo magnetismo.
Voglio sapere se anche durante i tuoi successi, sai fare un passo indietro ed essere abbastanza umile da tornare studente.
Ciò che è davvero bello per me è la tua capacità di gioire e celebrare i successi degli altri, al di là della tua grandezza.
Ciò che è veramente seducente è quanta capacità di dare possiedi dopo esser diventato pieno di te.
Ciò che è veramente prezioso è quanto tu ti stia impegnando per diventare un essere umano migliore in un mondo che sta in bilico su un materialismo diventato spirituale e usa la scusa della libertà per evitare ogni responsabilità.
Alla fine di tutto, non mi interessa quanto sei coraggioso.
Quanto sei produttivo, quanto famoso o quanto illuminato.
Alla fine, voglio sapere se sei stato gentile.
Se sei stato autentico.
Voglio sapere se di tanto in tanto puoi scendere dal tuo piedistallo per baciare la terra e lasciare che i tuoi capelli si sporchino e che i tuoi piedi sguazzino nel fango per unirti alla danza di tutti noi.
(Taylor Rose Godfre)
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titosfriends4life · 6 months
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ESPLORANDO LA SUBMECHANOPHOBIA: PAURA DEGLI OGGETTI SOMMERSI
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La paura degli oggetti sommersi, nota come Submechanophobia, è un intricato labirinto emotivo che può influenzare profondamente chi ne è affetto. Questa fobia si manifesta attraverso l'ansia legata a oggetti artificiali immersi, come grandi eliche, boe, navi affondate o sottomarini.
Le Radici Psicologiche della Submechanophobia
Questa fobia trova spesso le sue radici nella paura dell'ignoto. Chi ne soffre può identificarsi con gli oggetti sommersi, provando un senso di inquietudine e timore di essere sommerso dall'acqua, unendo così il concetto di Submechanophobia alla Talassofobia, la paura del mare e delle sue profondità.
Analizzando la Paura e la Razionalizzazione
Affrontare questa fobia richiede consapevolezza e razionalizzazione. Il primo passo consiste nell'identificare chiaramente ciò che scatena la paura, comprendendo le reazioni emotive. Successivamente, razionalizzare il livello di ansia può aiutare a oggettivare la fobia, coinvolgendo la parte razionale della mente.
Consigli per Gestire la Submechanophobia
Consapevolezza Emotiva: Affrontare la paura richiede di esplorare e comprendere le emozioni legate agli oggetti sommersi. Una lista delle paure e delle reazioni può essere un punto di partenza utile.
Razionalizzazione: Attivare la parte razionale della mente è fondamentale. Riflettere sulla gravità della paura e capire quanto sia intensa può contribuire a razionalizzare l'ansia.
Affrontare il Viaggio della Guarigione
Se la Submechanophobia limita la tua vita quotidiana, un percorso terapeutico può essere la chiave per il recupero. Contattami per iniziare il viaggio verso una vita senza le catene della paura degli oggetti sommersi.
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Tito Bisson
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theladyorlando · 7 months
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Il segreto della villanella
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Continuamente sento la mancanza dei libri. Mi mancano come fossero persone in carne ed ossa. Se passo una giornata senza averne uno accanto, lo sento. E non perché io legga molto, devo ammetterlo, però mi manca proprio il libro. È davvero una consolazione, una compagnia da toccare, da tenere in mano, o da sapere lì ad aspettare che uno arrivi e lo saluti. Il desiderio dei libri è paragonabile a una sete: nessuno di loro la fa passare del tutto, e ne mancherà sempre uno nuovo, più dissetante. E proprio come fosse una fiaschetta, di quelle che si vedono nei film americani, da un po' di tempo mi capita che quando esco di casa devo per forza averne uno in borsa, con me, anche pigliato a caso, di corsa, non so perché, forse una difesa contro il tempo sprecato ad aspettare in una qualche fila inutile, contro la solitudine sbagliata, quella senza libri, per l'appunto. L'altro giorno è toccato a Jonathan Swift, a Modest Proposal dei Little Black Classics della Penguin. Proprio un bellissimo formato-fiaschetta, con, sulla prima pagina, una autodedica di mio padre, "from my daughter, 2015". Per inciso, sono sicura che la gente si scandalizzerebbe di meno se io tirassi fuori una fiaschetta di whisky dalla borsa invece che un libro. immagino le risate all'uscita di scuola.
Ma veniamo alla fiaschetta di oggi.
Tu lo sai cos'è una villanella? io non lo sapevo, e poi mi è arrivato questo piccolo libro: un'antologia della Everyman's Library, Pocket Poets Series, hardcover. Vedessi che razza di fiaschetta succulenta che ho tra le mani. La apro e sul risguardo ci trovo scritto
Everyman, I will go with thee,
and be thy guide,
In thy most need
to go by thy side.
Queste, mi spiega Google (povera me), sono le parole di Knowledge a Everyman, e io qui, sulla soglia del risguardo, io già mi sento ubriaca, che cosa ci leggo a fare dentro a questa fiaschetta, oltre il risguardo? E invece. Invece dentro a questo libricino scopro che c'è una piccola e inaspettata meraviglia: c'è un segreto in mezzo alla raccolta di fiori, un segreto dentro all'antologia. E il fiore qui è bello da togliere il fiato.
L'introduzione mi spiega brevemente che la villanella, il mio fiore, è una composizione popolare, nata nel sedicesimo secolo in Italia, sorella del madrigale. Ma mentre quello diventa presto una cosa di letteratura, la villanella sfugge a tutte le definizioni della poesia di corte, continua a guardare alle sue origini dialettali con nostalgia, si resiste insomma alla letteratura: vuole restare così com'è, di campo. E nei libri di letteratura ci va a finire solo una volta che si è esaurita, quando ormai nessuno ne scrive o ne canta più di villanelle. A riscoprirla sono i collezionisti, gli antologisti, i catalogatori del 1700. Ma la villanella non ha delle belle radici piantate a terra come quelle del sonetto, e ogni volta è detta diversa, ogni volta è cantata nuova. E questo è un bel problema, perché la sua origine non si vuol far trovare, il nome del padre semplicemente non c'è: la villanella è incostante, è volubile, è cantata sempre in un altro modo. Allora quei catalogatori incalliti le trovano un bel padre putativo della fine del cinquecento, tale Jean Passerat, l'unica villanella con una parvenza di struttura regolare, e quella diventa La Villanella, La Forma Metrica: "J'ai perdu ma tourterelle". Cinque terzine e una quartina. Uno schema un po' difficile, e perciò molto gustoso. E più passa il tempo, e più diventa succulento, tanto da fare gola più di tutti ai nostri poeti, a quelli di oggi, pensa che cosa assurda. Perché la villanella è difficile. E questi poeti che si sono liberati dai legacci della rima e del metro a volte se ne vanno a pescarne di impossibili, di rime e di metri. E di solito lo fanno per dirci dentro il nome del padre, per dichiararcisi figli di uno, e invece. Invece qui del nome del padre non ce n'è neanche l'ombra: perché questo è uno schema del secolo ventesimo che si traveste da sedicesimo. Questo è esattamente il contrario di tutto quello che io ho studiato in poesia fino ad oggi, the anxiety of influence, the burden of the past: qui dentro il passato è leggero, incostante, volubile, e il presente lo prende e lo legittima, lo pianta saldamente a terra, come se fosse stato sempre lì: così il fiore di campo diventa un bell'albero, ma niente radici, solo infiorescenze. Questo in poche parole è un falso d'autore, di vari autori, per essere precisi, di tutti quelli che vorranno cantarsi una villanella, in effetti. Di tutti quelli che vorranno ballarla, a ben vedere. Perché la villanella è una danza. E qui viene il segreto, e mi fa impazzire: che i danzatori sono due versi, e si alternano alla fine di ciascuna terzina, sempre gli stessi, sempre uguali, l'uomo e la donna, e si fanno la corte, si cercano con piroette e riverenze, muoiono dalla voglia di incontrarsi insomma, e alla fine ce la fanno. Sono loro gli ultimi due versi della quartina, gli ultimi due versi della villanella, finalmente abbracciati. Ti rendi conto di cosa sta succedendo dentro alla mia fiaschetta? E pensare che nessuno lo immagina nemmeno, nessuno di quelli che incontro per strada lo sa, che ho una compagnia di balli popolari nascosta dentro alla borsa, mentre vado a prendere Agnese a scuola. Ma non è finito qui, il segreto, ché così qualunque fiaschetta dentro alla borsa basterebbe a farmi un po' canaglia, una piccola alcolista inconfessa e impenitente.
Invece dentro al segreto della villanella ce n'è un altro ancora, uno persino più bello. Perché tu la prendi, vedi, e la guardi, tra le pagine di questo libricino, quant'è impegnata a fare le sue cose, a dire le sue storie, le più disparate: c'è la villanella che ripete una lezione di grammatica, quella che insegna l'arte di perdere le cose, quella che racconta di un bacio al barista dato a trentasei anni e sentito come fossero sedici, quella che ti fa vedere l'alunna a letto col suo professore e che con gli occhi sbarrati riesce solo a pensare a un distico in inglese antico, quella che chiede al padre di non morire gentile, di lottare contro la luce che si spegne. E così impegnata com'è nelle sue figure, nei suoi circoli, nei suoi passi incrociati, non ti accorgi che tutto il tempo lei pensa a fare una cosa sola, in fondo a tutte le altre, dietro la superficie della coreografia: lei pensa tutto il tempo a far ballare i suoi due versi innamorati, che muoiono dalla voglia di incontrarsi. They die to get together. Eccolo, il segreto della villanella. Perché questo segreto è un po' anche il mio, forse anche il tuo e quello di tanti come noi, io lo spero proprio. Quei due versi innamorati ballano la nostra stessa danza. Con ostinata precisione si comincia col doppio fronte del rientro a scuola, a tutte le scuole; poi è il turno della carola delle sveglie all'alba e del traffico per arrivare dove dobbiamo arrivare, delle spese all'ora di chiusura dei supermercati; così arriva la volta della danza incrociata dei pranzi e delle cene, delle merende e delle colazioni; fino alle piroette degli amici, dei parcheggi difficili, degli esaurimenti nervosi e dell'erisimo in tintura madre, delle canzoni che passano alla radio impertinenti, delle lavatrici e delle case, dei quadrimestri, delle note e delle corse, di tutte le corse, di tutti gli aerosol, gli sciroppi, gli antibiotici e di tutti gli agognatissimi weekend senza risposo. E poi alla fine, ormai senza fiato, una riverenza.
Questo è il segreto della villanella. E sta lì, sotto agli occhi di tutti, ma rimane nascosto -hidden in plain sight- dietro alle coreografie superficiali, alle grammatiche, ai baristi, alle studentesse, alle cose perdute, ai padri che muoiono: dietro ai copioni diversi. Il segreto è che c'è qualcos'altro dietro alle nostre vite, c'è qualcosa in fondo a tutte le storie più diverse in cui ci affanniamo, in cui ci impegniamo a ballare per bene, a passare come si deve per tutti i nostri passi obbligati. In fondo, ma proprio in fondo a tutto, ci sono due versi. E quelli muoiono dalla voglia di abbracciarsi, di finire la danza l'uno davanti all'altra, una riverenza e un sorriso, compiaciuto sudato esausto. E poi finalmente di cadersi addosso, senza fiato e senza più vergogna.
A dainty thing's the Villanelle,
Sly, musical, a jewel in rhyme,
It serves its purpose passing well.
A double-clappered silver bell
That must be made to clink in chime,
A dainty thing's the Villanelle;
And if you wish to flute a spell,
Or ask a meeting 'neath the lime,
It serves its purpose passing well.
You must not ask of it the swell
Of organs grandiose and sublime--
A dainty thing's the Villanelle;
And, filled with sweetness, as a shell
Is filled with sound, and launched in time,
It serves its purpose passing well.
Still fair to see and good to smell
As in the quaintness of its prime,
A dainty thing's the Villanelle,
It serves its purpose passing well.
William Ernest Henley
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venetianeli · 1 year
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Pitosto che perdar na tradision, ze' meio brusar un paese,, questo sentivo dire a casa mi quando ero piccino.
Stasera son nda " a BATTAR MARZO.
Iera anca un fià fresco, ma ne è valuta la pena; ne vale sempre la pena portar avanti le tradizioni dei nostri veci, dei nostri genitori.
Un popolo che non mantiene vive le proprie tradizioni, le proprie storie, le proprie radici,,, è destinato a scomparire...
Ringraziando chi mi ha aperto la porta di casa, per condividere un paio di chiacchere, e assaporare assieme un goccio.
Grazie a tutti.
BATI MARSO
“Bati, bati Marso,
che’l mato va descalso
cavàeo no morire
che l’erba butarà.”
Un tempo i rustici che vivevano tra le vie centuriate, erano convinti che il “Sapere” fosse stato tramandato ai loro antenati direttamente dagli dei e quindi ogni passo in avanti, per un villico, era la perdita di un frammento dell’antica “Conoscenza”. Per tale ragione nell’Ottocento i contadini compivano le stesse azioni dei loro avi congelando il mondo rurale per millenni. Tuttavia anche se il secolo appena trascorso ha visto eclissarsi molte delle nostre antiche tradizioni, a cavallo tra il mese di febbraio e quello di marzo si può sentite il familiare “bacan del batti marso”. Una remota pratica che consisteva nel gironzolare per le strade battendo su pentole, barattoli, bidoni e qualsiasi altro strumento casalingo inventato per l’occasione.
Lo scopo era di far scappar via l’inverno e risvegliare gli spiriti della terra, propiziare e incoraggiare la rinascita della natura; un auspicio per l’arrivo della PRIMAVERA!
CAO DE L’ANO E BATI MARSO:
CAPODANNO VENETO:
I festeggiamenti per il primo giorno dell’anno (cao de l’ano) erano una festività riconosciuta dalla Serenissima Repubblica di Venezia. Secondo la tradizione nei giorni che precedono o seguono il primo marzo, la gente usciva nelle strade con pentole, coperchi e altri strumenti musicali fatti in casa battendoli e facendo una gran confusione. Questo era il modo per scacciare il freddo dell’inverno e propiziare l’arrivo della bella stagione: da qui il nome di Bati Marso.
In alcuni casi questa usanza si è tramandata nei secoli ed è arrivata fino ai giorni nostri. In alcune parti del Veneto si usa ancora pronunciare questa filastrocca
Vegnì fora zente, vegnì
vegnì in strada a far casoto,
a bàtare Marso co coerci, tece e pignate!
A la Natura dovemo farghe corajo, sigando e cantando,
par svejar fora i spiriti de la tera!
Vegnì fora tuti bei e bruti.
Bati, bati Marso che ‘l mato va descalso,
femo casoto fin che riva sera
e ciamemo co forsa ea Primavera.
Vegnì fora zente, vegnì fora!. . . .
Fino al 1797, anno dell’invasione napoleonica, il Capodanno in Veneto si festeggiava il 1° marzo, in linea con una tradizione molto più antica del calendario gregoriano, ovvero quella romana, più vicina al ciclo lunare e con dieci mesi anziché dodici.
Il termine ‘more veneto’ (=secondo l’uso veneto, a modo veneto), che veniva abbreviato in m.v. accanto alla data utilizzata nei documenti e nelle annotazioni, indicava proprio il diverso uso secondo lo stile più diffuso dell’epoca, che era, appunto, l’attuale gregoriano, introdotto nel VI secolo da papa Gregorio Magno.
L’usanza di origini molto antiche, secondo tale sistema faceva coincidere i mesi di settembre, ottobre, novembre e dicembre effettivamente con il settimo, l’ottavo, il nono e il decimo mese dell’anno, come indicato dal nome.
L’uso di collocare l’inizio dell’anno in corrispondenza con l’inizio della bella stagione, del risveglio naturale della vita in primavera, era una pratica arcaica alquanto diffusa, che possiamo tuttora trovare anche nel calendario cinese.
Testimonianze odierne dell’antica tradizione del capodanno veneto si hanno ancora in alcune zone della pedemontana berica, dell’altopiano di Asiago e in varie feste locali del Trevigiano, del Padovano e del Bassanese, dove è celebrata come l’usanza del Bruza Marzo, del Bati Marzo o del ciamàr Marzo, simboleggiante il risveglio della nuova stagione.
BATI MARSO
"A l'epoca de ła Serenìsima Republica, el Cao de ano, invesse che al 1° de genaro come previsto dal całendario giulian e dopo da queło gregorian, el cascava el 1° de marso. Sta tradission par che ła vegna da l'antico całendario che doparava i Romani prima de Giulio Cesare, che el faxéa scominsiar l'ano dal méxe de marso (e difati in sta maniera i mesi de setenbre, otobre, novenbre e diçenbre i vien a èsar efetivamente i méxi numaro sete, oto, nove e diexe come dixe el nome). Par no far confuxion, i Veneti de na òlta in parte a ła data i ghe scrivéa more veneto, cioè leteralmente "a ła maniera Veneta". Donca, ła data, metemo, del "14 febraro 1703" a Venessia ła deventava "14 febraro 1702 more veneto", parché el febraro l'era efetivamente l'ultimo méxe de l'ano vecio, e el 1703 el scominsiava soło in marso".
Ła festa del Bati Marso ła se svolgéa apunto in tei ultimi jorni de l'ano, e ła prevedéa de 'ndar in giro par łe strade batendo su cuèrciołi, pignate e altri strumenti muxicałi "fati in caxa" faxendo un gran bordèło, con l'intento de far scampar via l'inverno e el fredo e propiziarse l'arivo de ła beła stajon, par poder scuminsiar i laori 'gricołi."
L. Tosatto
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susieporta · 9 months
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LA DIPENDENZA AFFETTIVA, SESSUALE, EMOTIVA
(Tematica che affronteremo nei 5 seminari gratuiti online dedicati alla dipendenza. Il link per iscrivervi lo trovate qui sotto nei commenti)
"Non puoi cercare di amare, non puoi sforzarti. Non puoi cercare di essere compassionevole.
Un seme non può sforzarsi di essere una pianta.
Ci vorrà del tempo, il seme dovrà maturare lentamente, dovrà passare da uno stato a un altro".
Bisogna avere pazienza ed essere molto presenti, molto sensibili, molto consapevoli, perché questi passaggi non avvengono da soli, in automatico, ma solo se ne comprendiamo la necessità e prepariamo il terreno nella giusta maniera, altrimenti c’è sempre il rischio di rimanere lì impantanati e svuotati di senso, come un seme racchiuso in un vaso, lontano dalla terra fertile ed umida, lontano dal vento e dai raggi di sole.
Il primo stadio della trasformazione inizia dall’energia sessuale che possiamo considerare un seme che un giorno potrà crescere e trasformarsi in amore.
L’amore lo possiamo a sua volta considerare anche un seme, il seme della compassione che forse, e se lo vogliamo davvero, potrà un giorno maturare e fiorire a sua volta facendoci assaporare il punto più alto dell’amore stesso.
Nessuno però può sforzarsi di essere ciò che non è.
Esiste sempre il rischio di ingannare se stessi e gli altri.
Questo rischio deriva dal senso di colpa, dal senso d’inferiorità.
Devo essere il migliore in tutto, così nel mondo esterno, così nel mondo interiore.
La mia famiglia, i miei amici e la società si aspettano delle cose da me, e io devo essere all’altezza delle loro aspettative.
Non sono ancora in grado di amarmi e di accettarmi per quello che sono, per dove sono realmente, ed allora, da una parte, la frustrazione e il senso di colpa, e dall’altra la commedia: mi comporto in maniera adeguata facendo finta di essere positivo, amorevole, accomodante, sensibile, mentre in realtà dentro, se ho il coraggio di affrontare quello che si nasconde dentro di me, c’è un mondo di dolore e di insoddisfazione.
Mi manca la terra sotto i piedi.
Ho perso le mie radici.
Non sono collegato al mio centro più profondo ed intimo: l’Essere.
Come la pianta è radicata profondamente con la terra dalla quale trae nutrimento, sostegno e forza, così l’uomo dovrebbe essere radicato nel suo Centro, il suo Essere reale.
Altrimenti egli è vuoto e vive solo alla periferia di se stesso compensando, in mille modi, il senso di vuoto che sente dentro se stesso e la mancanza di significato della sua vita.
Tornando a noi, e come abbiamo detto poco fa, il primo passo è il sesso, ovvero: l’energia sessuale. Tutti partiamo da lì, dalle nostre funzioni istintuali di base.
La pulsione sessuale fa parte della nostra biologia e deriva dalla nostra funzione (pacchetto base di software) per la sopravvivenza della specie.
Così il mondo animale, e così tutta la natura. Essa ha previsto di replicare se stessa attraverso il desiderio - più o meno automatico - del sesso.
Ma se osserviamo attentamente, possiamo notare che nell’essere umano, a differenza del mondo animale, la sessualità è una scelta, è non un obbligo biologico.
L’uomo ha la possibilità di scegliere e di utilizzare una parte della sua energia di base per la riproduzione, se lo desidera, e la restante parte, sempre se lo ritiene importante per la sua crescita, per lo sviluppo del centro emozionale superiore che comprende la reale capacità di amare – facoltà non prevista dai centri inferiori – e questo è possibile a patto che non abbiamo dei problemi o pregiudizi nei confronti della sessualità.
Qualsiasi giudizio negativo, condizionamento, o blocco dell’energia sessuale, rende molto difficile la trasformazione del sesso in amore.
Inoltre, se rimaniamo confinati nel sesso e nei nostri bisogni “ossessivi” rimarremo confinati nei centri inferiori, certamente molto importanti per la sopravvivenza e per la nostra biologia, ma certamente questa situazione renderà il passaggio dal sesso all’amore quasi impossibile.
Osserviamo: nel sesso (a parte l’uso che ne facciamo per la riproduzione), se ci ascoltiamo profondamente e sinceramente, vedremo che quando siamo presi dai nostri bisogni, la nostra consapevolezza tende ad abbassarsi, perdiamo quasi del tutto la coscienza di noi stessi.
E questo è un fatto naturale, previsto dalla natura, perché la sessualità è un fenomeno automatico: non necessita di una particolare coscienza, anzi, più sei inconsapevole e più la natura ti domina e ti controlla.
Quando sei preso dai tuoi bisogni sessuali, non guardi in faccia nessuno, devi ottenere quello che vuoi, è più forte di te, tu devi appagare questo bisogno di “scaricarti”, altrimenti compenserai su altri fronti…
Tutti in un modo o nell’altro si sentono in colpa nel sesso.
Tutti sanno, magari a livello inconscio, che stiamo sfruttando il partner per il nostro piacere personale, per i nostri bisogni, lo stiamo usando come un oggetto per appagare noi stessi. Il fatto che entrambi, siano “quasi sempre” consenzienti è dovuto al fatto che dipendono uno dall’altro, e tutti e due hanno paura di essere abbandonati, rifiutati, non amati, ecc.
Questo è il gioco di dominio fra gli uomini e donne.
L’uomo usa dei sottili e quasi invisibili ricatti per dominare la donna, e la donna fa lo stesso con l’uomo.
Siamo ancora molto lontani dall’amore e lo vediamo bene.
Osserviamo i cosiddetti rapporti: gelosia, invidia, possesso, controllo, paura, sfiducia, sospetto, risentimento, vendetta; ovviamente fra le mura domestiche. Ma lì fuori, in mezzo agli altri, per uno strano e tacito accordo comune si finge che tutto è perfetto, tutto va bene.
So no… cosa penseranno gli altri?
Facci caso che la maggior parte delle persone sta assieme, non per amore, ma per paura della solitudine, e magari anche per dividere le spese...
Non ti piace questa visione delle cose?
Mi dispiace per te, ma non posso farci niente se non ti piace vedere la realtà!
Forse ti piace più credere, ma non vedere…
Vedi forse tutto questo amore nelle persone, nelle famiglie e nel mondo?
Lo vedi realmente?
Non si sono mai spese tante parole sull’amore nei libri, nei film, nella poesia, nell’arte in genere, proprio perché non c’è amore nel mondo.
Se ami realmente, anzi se “vivi in amore” (perché non è un verbo, un fare, l’amore è uno stato di coscienza), non hai bisogno di parlarne continuamente.
Comunque sia, il sesso è la base, il primo stadio dell’amore ed è importante viverlo in modo sano e naturale. Questo è il terreno sul quale potrà crescere l’amore.
Se sei un minimo consapevole, sensibile e rispettoso, potrai cogliere i limiti del sesso.
E se ti guardi dentro senti che ti manca qualcosa, lo sai che anche questa volta non sei realmente appagato, allora forse sei pronto ad andare oltre.
Il sesso ti lascia sempre un senso di vuoto, di mancanza di qualcosa, la sensazione di aver mancato il punto.
Molti a questo punto credono che sia colpa del partner, pensano che non sia la persona giusta, ed allora provano a cambiare partner, ma dopo un po ti ritrovi di nuovo nella stessa situazione... manca sempre qualcosa.
Qui c’è il rischio di rimanere impantanati nel bisogno di soddisfare il proprio piacere pensando che forse devo cambiare ancora persona.
Ed è qui che non utilizziamo sufficientemente la consapevolezza, non ci guardiamo a fondo, sinceramente...
Il sesso non centra; la persona con la quale ti relazioni in realtà non centra; manchiamo il punto, non vediamo la situazione attraverso la consapevolezza... ci manca qualcosa perché abbiamo sempre chiamato il sesso “fare l’amore”. Il sesso è sesso, con i suoi pregi, difetti e limiti.
Sta a te farlo evolvere in amore.
Ma come fai a cercare qualcosa che non conosci?
Come fai a distinguere il vero amore, quello che ti rende totalmente pago di te stesso, in primis, se finora hai conosciuto solo l’attaccamento, la bramosia, il piacere fisico che spesso passa attraverso l’usufrutto di un'altra persona?
Alle volte i rapporti, e i matrimoni, sembrano più una cessione di una persona in accomodato d’uso che ad una vera condivisione di anime.
Nessuno dovrebbe mai usare un'altra persona, e per nessun motivo violare le sue scelte, il suo essere, e la sua unicità.
Il vero amore (stato di coscienza) rende impossibile a una persona consapevole di interferire nella vita di qualcun altro.
Desideri il suo bene… dunque non interferisci, condividi con lei il tuo essere, non la utilizzi per soddisfare i tuoi “pruriti”.
Roberto Potocniak
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t509speedtriple · 1 year
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Passo Abetone en route to Passo delle Radici, Tuscany and Emilia Romagna, Italy
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⚠️ NOVITÀ IN LIBRERIA ⚠️
Un testo dell’Institut Iliade
AA. VV. - a cura di Philippe Conrad
CHI SIAMO?
Alle origini dell’identità europea
Pensiero unico dominante, colpevolizzazione preventiva, dittatura del “politicamente corretto”, decostruzione degli spazi comunitari, cancellazione della storia, sradicamento spirituale, immigrazione incontrollata: dinanzi alle tante insidie che minacciano i popoli d’Europa, si rende imperativa una risposta.
L’Istituto Iliade – in continuità con l’opera di Dominique Venner – ha vergato questo denso contributo, a metà tra il Manifesto e il Manuale, che risponde ad una domanda netta e precisa: “Chi siamo?”. Le migliori penne della più avanzata avanguardia culturale europea  rispondono a questo interrogativo attraverso un maestoso pellegrinaggio nella storia più profonda della nostra Civiltà millenaria: dall’eredità degli indoeuropei all’aurora ellenica, passando per le virtù di Roma e per la mistica della cavalleria, senza tralasciare le tante manifestazioni spirituali, artistiche e politiche del genio che ha edificato la nostra sostanza di stirpe.
Un viaggio nella struttura più intima delle nostre radici e della nostra identità, che si conclude con un’attenta analisi del presente ed un lucido sguardo all’orizzonte delle sfide future. Un coraggioso e coinvolgente “recupero delle menti e delle anime”, atto a promuovere il “risveglio della volontà e la mobilitazione dei nostri popoli”. Se è vero che “esistere è combattere ciò che mi nega”, il primo passo è contenuto nella perenne verità del motto delfico: “Conosci te stesso”.
INFO & ORDINI:
www.passaggioalbosco.it
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lunamarish · 1 year
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Io sono verticale (1961)
Ma preferirei essere orizzontale. Non sono un albero con radici nel suolo succhiante minerali e amore materno così da poter brillare di foglie a ogni marzo, né sono la beltà di un’aiuola ultradipinta che susciti grida di meraviglia, senza sapere che presto dovrò perdere i miei petali. Confronto a me, un albero è immortale e la cima di un fiore, non alta, ma più clamorosa: dell’uno la lunga vita, dell’altra mi manca l’audacia.
Stasera, all’infinitesimo lume delle stelle, alberi e fiori hanno sparso i loro freddi profumi. Ci passo in mezzo ma nessuno di loro ne fa caso. A volte io penso che mentre dormo forse assomiglio a loro nel modo piu’ perfetto – con i miei pensieri andati in nebbia. Stare sdraiata è per me piu’ naturale. Allora il cielo ed io siamo in aperto colloquio, e sarò utile il giorno che resto sdraiata per sempre: finalmente gli alberi mi toccheranno, i fiori avranno tempo per me.
Sylvia Plath
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