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#ogni particella del mio corpo
be-appy-71 · 6 months
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🔥Il desiderio di incontrarla era forte ed intenso, avevo il fuoco dentro al pensiero di abbracciarla e stringerla a me .... da lontano vidi lei.. i suoi capelli al vento specchiata da quel sole e profumo di fiori ...l abbracciai senza parola alcuna.. la strinsi forte a me fino a sentirne il pulsare del cuore.. emozionato e destabilizzato.. era timida in quel momento.... imbarazzata , era una Dea che brillava per la bellezza e dolcezza di una adolescente ... mano nella mano e passo dopo passo trovammo un hotel ..un semplice hotel con una bellissima camera.. era pulitissima.. e profumata ...il bianco primeggiava in ogni visuale, oggetti e strutture...il silenzio era calato ma la passione era salita alle stelle.. come fosse un incendio indomabile. La presi in braccio.. e le misi le mani sotto l abito... tenendola stretta la baciai.. quel bacio ci teneva incollati assaporavo lentamente gli angoli della sua bocca... Un letto morbido comodo.. sdraiata ..abbandonata ..accarezzai le sua cosce le sue caviglie ..non le tolsi nemmeno le scarpe dal desiderio che avevo dentro per lei... il profumo della pelle era linfa per ogni mio respiro..la sua pelle era seta per le mie mani.. le sollevai l abito e la baciai ovunque.. percorsi ogni centimetro del suo corpo le mie mani scorrevano sui suoi fianchi ..contornando le sue mutandine .. ogni suo muscolo e particella persero forza.. portandola completamente all abbandono totale...fu quel momento che iniziai a baciare il suo 🌺...baciavo ogni suo petalo ..un fiore sbocciato .. la baciai a lungo senza sosta accarezzandola deciso ...affondai ogni bacio nel suo corpo sempre piu intriso.. in quel silenzio prolungato assaporai il balsamo il suo prezioso nettare ... rimase senza alcuna parola per qualche secondo ... guardandomi con il respiro veloce e voce bassa...disse.." hai preso tutto di me.. hai assaporato completamente me stessa "..la guardai.. e le dissi"... ❤ ....non vi è nulla di piu bello ed intimo.. ora ti avrò per sempre con me.... " lei.. rispose " mi hai destabilizzata " era bellissima......
-Il balsamo del suo corpo da quel giorno fu sempre con me..per sempre "
Dolce e bastardo _♠️
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Oltre la percezione
Stavo attraversando la barriera temporale. Se il tempo lo si può guadare con moto proprio e volontario, liberandosi dalle rapide perenni dei secondi che si gettano nel passato, io lo stavo percorrendo, senza freni né limiti, espulso dal suo flusso monocorde. Non so come lo compresi: ne possedevo una spontanea consapevolezza che non ammetteva dubbi. Il gorgo che roteava dentro di me era ripido, sottraeva il fiato, sbriciolava i pensieri. Poi la mareggiata di percezioni sensibili mi travolse. Rumori, odori, sapori, aderenze, colori. Tutti di un calibro inimmaginabile, incontenibile per i miei recettori finiti. La luce fluida, densa, fumosa, impermeabile, che non si lasciava attraversare dallo sguardo, mi avvolse. Era una luce che urlava, i suoi acuti erano opprimenti, le sue dita di acciaio ti stringevano l’anima. La luce era fredda, priva di calore, e le sue volute erano cangianti, in profondità i colori ristagnavano imprigionati tra le pieghe, come in camere dalle pareti sbarrate e imbottite. Colori estremi, tutti, senza ordine, fusi uno nell’altro, e poi di nuovo indipendenti, nitidi, senza sfumature, senza la razionalizzazione imposta dalla spettrografia, ribelli alla pacifica convivenza nella luce bianca. Colori estremi. Nessun artista avrebbe mai potuto riprodurli, nessuna suggestione paesaggistica, nessuna incarnazione della natura poteva avvicinarsi a quella disperata perfezione.
I colori. I colori vibravano svincolati da ogni contenuto, isolati nel fattore cromatico, divinità primordiali prigioniere nei recessi di un culto estinto, non più figli obbedienti della luce, i colori come uno spasmo verso la vita, un lamento di esistenza mancata. Fui immerso nei colori. E assieme ai colori i suoni, gli odori, i sapori, le aderenze, l’idea stessa di sensibilità, l’anima priva del corpo, rumori, note musicali scappate disordinatamente da un pianoforte, staccate dal pentagramma, dall’ordine musicale, dall’armonia dell’universo, rumori e note vibravano assoluti, né mano umana avrebbe potuto trascriverli su carta e ripeterne le melodie antiespressive, né orecchio aveva mai udito il loro forsennato infuriare. Il suono selvaggio, il richiamo brado di animali indomabili, le percussioni ottuse dei pensieri dell’uomo contro la paratia della stiva, contro l’insufficienza del cosmo, l’esplosione di stelle traboccanti miliardi di anni e materia fibrillante.
E il tatto, l’aderenza completa del corpo, l’appartenenza, la fusione con la luce densa, era dentro di me, mi attraversava, una compenetrazione tra le membra, come disgregarsi in infinite particelle infinitesimali e ognuna di esse abbracciava una particella di luce, si avvinghiava a lei e poi tornava a ricollocarsi al suo posto per dare vita al mio corpo ricostruito, intatto, invaso dalla luce densa, cangiante che pulsava dentro di me con i suoi colori, i suoni, gli odori, i sapori.
Furono istanti intensi, ma non provavo ancora orrore. Assistevo a uno spettacolo inenarrabile, come mai avrei immaginato possibile, un trionfo di elementi incontaminati, puri, che si avvolgevano, si contorcevano, stridevano l’uno con l’altro in una contrazione disperata verso la vita, la creazione, l’incarnazione nell’essere, la codificazione della materia. Ne percepivo la sofferenza diffusa, più che sofferenza era un fremito: quegli elementi primari erano intrappolati nell’assenza della vita, ma non ne soffrivano coscientemente, come animali nati in gabbia, che non conoscendo la libertà non comprendono la propria prigionia e fremono nello spazio angusto che hanno a disposizione. Conobbi l’esaltazione dei sensi, il loro pulsare fino all’ultimo stadio, oltre i vincoli della vita e della morte, del tempo, della distanza. Il vortice iniziale nel quale sentivo di precipitare si attenuò, ora galleggiavo sospeso in un alone di fumo scuro, come se fossi stato avvolto da un anticorpo prodotto dall’immenso organismo all’interno del quale ero un estraneo. La mancanza di direzioni, non un suolo su cui poggiare i piedi, un soffitto da sentire sopra la testa, rettilinei d’aria in cui infilare le braccia, mi rendeva impossibile definire la posizione del mio corpo. Ero ancora in piedi o ero svenuto, sdraiato a terra esanime, mentre il mio spirito si dissociava in una emulsione onirica; sarei mai tornato alla realtà. Ma esisteva una realtà che potesse definirsi tale in contrapposizione alla quale potevo riconoscere l’irrealtà o il sogno, l’incubo o le allucinazioni, l’assurdo o il metafisico.
Il flusso costante di particelle che mi attraversava non era spiacevole, la paura si attenuava prevaricata da una curiosità inappagata da una lenta assuefazione a stimolazioni nuove. Poi all’improvviso, quando già cominciavo a ritenere un’esperienza piacevole l’immersione nel primordio, divenne morbo contagioso, ferita infetta e maleodorante. Non mutarono i colori nel loro aggrovigliarsi confuso, non mutarono le cascate di suoni e note che rutilavano nella densa foschia violacea, ma cambiò improvviso il mio modo di sentirli, la compressione del mio spirito nel ricevere quelle sollecitazioni.
Muffa, fuliggini, putrefazione, rigagnoli di sangue scuro, il suono cupo del distacco, il sapore della malattia. Le grida dei colori, disperate, la luce che urlava i suoi acuti opprimenti di orrore. La luce era gelida, priva di calore, le sue volute erano cangianti, in profondità i colori erano imprigionati tra le pieghe, come in camere dalle pareti sbarrate e imbottite contro cui scagliavano esasperati la propria impotenza. L’immersione in un fluido di non vita, nella brodaglia indifferente divenne soffocante, mi rivoltai, cercai di nuotare per sottrarmi, per tornare alla vita, lontano dalle tenebre del pensiero, dove era sottratto anche il riparo dell’oscurità.
Poi mentre l’esasperazione iniziò a bruciarmi nella testa, dal fondo limaccioso di quella palude di sensazioni perverse, emersero due mani ruvide, rinsecchite ad artiglio che si diressero verso di me…
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Per la maggior parte del tempo, avevo la netta sensazione che la vita mi scorresse davanti agli occhi, ma ero troppo occupata a osservarla per viverla.
Mi rifugiavo dentro pagine d'inchiostro, sognando a occhi aperti l'amore.
Banale, lo so, ma 'banale' è il mio secondo nome.
Passavo giornate intere a leggere, chiedendomi quando sarebbe arrivato il mio momento e come sarebbe stato.
Lo immaginavo delicato come una sinfonia.
Leggero come il battito d'ali di una farfalla.
Soave come una piuma che ondeggia nel vento.
Lo immaginavo così: puro, facile, romantico.
Perché, in fondo, è così che dovrebbe essere.
Ma sbagliavo.
Per me l'amore non è stato niente di tutto questo.
Sin dal primo momento in cui mi ha toccata, è stato la melodia stonata di una chitarra elettrica.
L'irruenza di un uragano.
La dannazione di un'anima in collisione.
Perché la verità è che nessun libro mi aveva preparata a questo.
Perché, quando incontri qualcuno per la prima volta, tu non lo sai...
Non sai che impatto avrà sulla tua vita.
Non sai che potere eserciterà su di te.
Non sai che cambierà ogni particella del tuo corpo.
E che, dopo di lui, non sarai mai più la stessa.
-Better Collisione.
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Non sono ancora riuscita a ricominciare a vivere
Faccio cose, vedo gente
Ma ancora una volta, ogni particella del mio corpo chiede di te
Che non ci sei
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tubaiste · 4 years
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stavo pensando, ricordi quel giorno in cui per caso, ma proprio per caso, appesi l’università per stare da te? non ricordo nemmeno il giorno esatto, la data, e non è da me perché le cose abbastanza importanti le ricordo. mi farebbe piacere ricordare, ma so solo che evidentemente faceva parecchio freddo dal momento in cui un solo giubbotto non mi scaldava abbastanza e quindi tu con la tua testa cocciuta decidesti di mettere la tua giacca sopra quella che avevo. tu restasti con la felpa però a me dispiaceva, tuttavia tu non esitasti come tutte le volte a dirmi “no lascia stare io non ho freddo” perché non avevi mai freddo, non so come. uno dei gesti che più mi mancano probabilmente, quelli che dimostravano la tua cura per me. quello era un giorno come tanti ma tu sai perché lo ricordo particolarmente? non crederesti che per me sia rimasto così intatto nella mente ma quel giorno tuo padre ti chiese di accompagnarlo al cimitero a trovare tuo fratello. tu non volevi andarci, ti sentivi costretta, non lo facevi da troppi anni. io leggevo il dolore negli occhi tuoi, lo sentivo nei gesti e nelle parole. mi dispiaceva, però ti dissi un attimo prima “fai come ti senti” e un attimo dopo “è una cosa veloce, non devi far nulla se non aspettare tuo padre che sistema la tomba, stammi a sentire, vieni con me, vengo io con te”. così ho fatto, quando tu hai accettato di entrare in quel cimitero, io non ti ho lasciato nemmeno in quel momento in cui dopo tanti anni compievi un gesto che non avresti mai immaginato di fare. probabilmente in quel luogo non ci andrai mai più. fu una cosa davvero veloce, eppure ci fu così tanto silenzio mentre camminavamo che ora che ci penso sembrò durare un’infinità. mi facesti “conoscere” in qualche modo tuo fratello, si, io l’ho presa come una conoscenza, una vera e bella conoscenza. probabilmente nessun estraneo aveva messo piede davanti a quella pietra bianca. ma tu mi ci hai portato. gli chiesi di guardarti sempre anche se mi sembrò scontato. poco dopo ti vidi tornare a sorridere quando incontrammo tanti gattini verso l’uscita e io come al solito cercavo di avvicinarmi a loro. al rientro a casa tua madre era sorpresa che tu avessi davvero varcato il cancello del cimitero, quando fummo sole mi chiese “ci è andata perché gliel’hai chiesto tu, vero?” le parole sue ferme dentro di me, come un vento che ti cura le ferite, le ho custodite perché in fondo sapevo che ti avevo aiutato a compiere qualcosa di grande. credimi non so perché mi sta tanto a cuore questo momento, questo giorno. mi è sembrato così genuino, la cosa più pura e amorevole al mondo. un po’ come te, un animo puro, come ricordo io, che ho tanto amato, con ogni particella del mio fragile corpo, che non contiene né peccato, né bruttezza, né malvagità, né cattiveria -ma so anche che il ricordo non è il presente, e che è irraggiungibile, intoccabile, tuttavia incambiabile e irrimovibile-. almeno questo rimanga fra me e te. non condividere un momento così forte con qualcun altro, te ne prego. spero che questo momento lo ricorderai per sempre.
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olstansoul · 3 years
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i have to protect the one thing that i can't live without, you [part two]
Si svegliò con un mal di testa lancinante, le gambe completamente addormentate e gli addominali indolenziti, mosse di poco la testa e cercò di riprendere sonno ma qualcosa le fece aprire gli occhi di scatto. Di fronte a lei c'era una finestra completamente gigante che era bagnata dalla pioggia, una luce era accesa nell'angolo ma riuscì a vederne solo metà, non aveva le forze per alzarsi, sentiva il calore delle coperte addosso ma per quanto potessero farla stare bene, non era così sicura di fidarsi, qualunque cosa fosse. Provò ad alzarsi e ci riuscì, si girò verso destra e vide che sulla poltrona c'era tutta la sua roba, ma come ci è finita lì?
"Ti trovi in casa mia"disse una voce alle sue spalle che la fece spaventare.
La figura che si presentò di fronte ai suoi occhi era messa contro luce, che proveniva dalla lampada messa di fronte a lui. Lo vedeva solo di spalle, con una maglia a mezze maniche blu, un pantalone nero ed un braccio sull'altro, con il mento poggiato sulle nocche mentre guardava il restante della sua roba, dovevano essere documenti, i suoi. Riusciva a vedere la sua carta d'identità, il suo codice fiscale ed altri fogli che forse non erano suoi ma per quanto potesse focalizzare la sua attenzione su ciò che quello lì stava guardando, in realtà era solo curiosa di sapere chi era colui che le aveva rivolto la parola. Era rassicurante da un lato non essere nello stesso luogo freddo dove era rimasta per una settimana, ma allo stesso tempo non riusciva a fidarsi ed era una delle cose che gli erano state portate via da tempo, anche se a differenza di alcuni lei preferiva non mostrare questo suo lato fragile, quello che più la definiva era il suo sorriso caloroso.
"Sono James Barnes... giusto per rispondere alla domanda che mi ha fatto due giorni fa"disse lui e finalmente si girò verso di lei
Alto, quasi un metro e novanta, non aveva le spalle larghe ma si vedeva ad occhio nudo che il suo era un fisico lavorato. Si girò verso di lei con nonchalance e mettendo le mani nelle tasche dei suoi pantaloni neri sedendosi sulla poltrona messa di fianco a lui, mettendo poi i gomiti sulle ginocchia. Solo in quel momento potè vedere come era fatto il suo viso, aveva un po' di mascella quadrata o forse erano solo le ombre che la luce provocava, le mani ora erano giunte e lei riuscì a vedere le vene su di esse, gli avambracci perfettamente delineati e quando le rivolse l'ennesimo sguardo riuscì a vedere il colore degli occhi. Ma se non l'avrebbe fatto si sarebbe risparmiata, sicuramente, un salto del suo cuore, perché? Perché bastò solo quell'attimo a farle rendere conto che oramai non avrebbe avuto nessuna speranza, il suo cuore forse no ma di salvarsi si.
"Wanda, giusto?"chiese lui e lei annuì deglutendo
"Allora... voglio che ti senta a tuo agio prima di tutto, sei in casa mia ed io non sono chi tu pensi, sono un agente della CIA... sono un paio di mesi che indago sul caso di Zemo e proprio due giorni fa, in un magazzino ad Eastview c'erano i suoi scagnozzi e insieme a loro anche tu, è stato difficile rintracciarli, persino te... credo abbiano usato uno di questi aggeggi dove il segnale non è recepibile, o almeno sarebbe stato lieve, in ogni caso tu non eri l'unica cosa che avevano sequestrato. Con loro c'erano delle armi, armi pesanti a quanto ho capito, nucleari e cercavano questa..."disse lui mostrando ciò che aveva tra le mani
"Plutonio, non è vero? Numero atomico 94, densità di 19 816 chilogrammi al metro quadrato, raggio atomico di 159 metri e stato solido... a meno che tu non abbia una buona motivazione per tenerlo con te non vedo perché tu debba rimanere ancora qui. Non aspetterò che tu non mi risponda per farti del male, non è da me, ma se provo a farti scappare da quella porta blindata, tutti e due saremo fottuti... io avrò un'altro incarico quindi da un lato non c'è problema ma tu non avrai la stessa protezione che ti offrirà la CIA se dirai la verità, e fidati che ti serve, a te la scelta... "
Wanda, così era il suo nome, non aveva scelta. Non perché non sapesse farlo, era solo che da un momento all'altro si era ritrovata in qualcosa che neanche lei sapeva che potesse esistere. Vivendo nell'Upper East Side era sempre stata circondata da grazie e felicità, la sua vita era circondata dalla bellezza e soprattutto dalla ricchezza, ma da quando aveva perso suo fratello gemello Pietro nulla era più sembrato tale. La bella famiglia che aveva costruito la sua vita in uno dei palazzi più importanti di New York, si era spezzata a metà proprio per quell'evento, suo padre si era trasformato in un mostro che riversava su di lei tutti i suoi fallimenti a lavoro e sua madre, disperata, aveva trovato la soluzione solo in antidepressivi e alcool, soluzioni per niente valide secondo una ventitreenne come lei.
Dopo la morte del padre, di cui si portava ancora dietro i traumi e di cui sentiva ancora le sue urla nelle orecchie, decise di mandare sua madre in una casa di cura dove se ne sarebbero occupati terzi e lei avrebbe potuto continuare con la sua carriera universitaria e con il suo lavoro. Ma quando aveva preso, di nuovo, in mano la sua vita ecco che un enorme problema le si era presentato davanti, e come ogni problema che si rispetti bisognava affrontarlo, però una come lei preferiva scappare, non prendersi responsabilità. Lei non era preparata, non quando dei criminali conosciuti in tutti il mondo, la stavano cercando per ucciderla. È stato davvero un colpo di scena, vedere la ragazza ben vestita e sempre preparata, correre di fretta, con la paura addosso senza neanche un paio di Jimmy Choo, via da casa sua, ma se gli altri verrebbero a sapere della verità non sarebbero così felici neanche loro.
"Non so chi sia Zemo... so solo che uno dei suoi scagnozzi era un mio ex, collaborava con altri per lui"disse lei con voce flebile
Sentì quasi i brividi quando ascoltò la sua voce dolce. Non sentiva una voce femminile da tempo, aveva nella sua testa solo quella di sua madre che gli infestava ancora il sonno e che ricordava solo in quelle memorie che custodiva di quando era piccolo. Era quasi come la sua, non uguale alla sua ma quasi però non voleva lasciarsi influenzare dal suo animo, aveva una missione da portare avanti e l'avrebbe fatto fin quando non si sarebbe trovato faccia a faccia con lui
"Qual è il suo nome?"chiese lui
Lo guardò in maniera indagatoria, timorosa. Da quando in qua chiedeva così tante informazioni che lei sapeva sarebbero andate nel personale, se pochi minuti prima l'avrebbe fatta fuori? Capire cosa gli passava per la testa era impossibile e chiedergli qualcosa per lei era quasi una condanna, non sapeva come avrebbe reagito, se poteva fidarsi, se lui era davvero buono così come pensava.
"Ora fai il poliziotto buono?"chiese lei prima guardando in basso e poi lui
"Sto cercando solo di aiutarti"
"E prima non volevi farmi fuori?"
"Quello era solo per emergenza"
"Emergenza? Questa la chiami emergenza? Quindi portarmi a casa tua, con tu che mi fissi mentre dormo è considerata emergenza? Non so sicurezza? Molto probabilmente sarai così bravo a fare il tuo lavoro, ad uccidere persone che neanche provi minimamente a conoscerle"
"Tu non sei nessuno per giudicare il mio lavoro"disse lui fermo mentre le prendeva un polso ma Wanda lo guardò con uno sguardo di fuoco
"Perché sono qui allora?"
"Sei qui perché ti ho trovata io, quasi morta, in un capannone con cinque criminali che lavorano per qualcuno di più grande, di più pericoloso... Zemo, che non sai chi sia ma lascia che te lo spieghi..."disse lui ora guardandola con severità
"È un terrorista, i suoi attacchi sono sempre stati organizzati in maniera dettagliata... Parigi, Roma e Bruxelles ma ora il suo obbiettivo non è quello. Zemo conosceva tuo fratello gemello Pietro, non te ne ha parlato?"chiese lui alla fine e lei rimase scioccata
Non sentiva il nome di suo fratello da tanto tempo, non cercava di nominarlo per nessuna ragione al mondo, anche perché se lo faceva sentiva dentro il suo cuore solo un peso formarsi che si faceva via via sempre più pesante, come un macigno da portarsi sulle spalle mentre si scala a una montagna. La stessa montagna che Wanda pensava di aver scalato, dove pensava di aver raggiunto la cima, ma non è stato così. Era come se quella montagna fosse un vulcano e tutta la sua lava rossa l'avesse bruciata e l'avesse fatta cadere giù, senza nessuna speranza di potersi salvare. I problemi a cui cercava di non pensare, che aveva accantonato per un sacco di tempo erano ritornati e la stavano travolgendo.
"No... mio fratello Pietro è morto da quasi quattro anni"
"Zemo cercava il plutonio da tuo fratello per costruire armi nucleari, una sola particella gli basterà per innescare tre di queste... tuo fratello in principio accettò il contratto, non sapendo che cosa avrebbe dovuto fare. Lui studiava geologia, non è vero?"
"Si... come fai a sapere tutte queste cose? Sei una spia?"
"Sono solo un agente della CIA, seguo il caso di Zemo da poco, la morte di tuo fratello era una delle cose che non mi erano chiare... mi mancava un tassello, ed ora eccoti qui"
"Se pensi che ti darò una mano nel tuo caso ti sbagli, ho promesso a mio fratello che nessuno avrebbe avuto ciò che lui mi ha dato"
"Se il plutonio è l'unica cosa che il tuo gemello ti dà in eredità sono davvero sorpreso, visto il vostro rapporto così forte pensavo ti avrebbe dato almeno qualcosa di più valido  non un'arma senza sapere che questa, se nelle mani sbagliate, potrebbe uccidere chiunque"
"L'hai detto tu stesso che Pietro è morto per mano sua, per mano di Zemo... e ti ringrazio guarda, per un'attimo avevo rimosso questo trauma"
"L'ho detto, è vero... ma io mi riferivo alla tua morte, visto che, se quello che tu consideri eredità, non sarà nelle sue mani, ucciderà chiunque... a partire da te"
Il sangue nel corpo di Wanda smise per un'attimo di circolare, era come se i suoi muscoli non rispondessero e la sua mente si fosse fermata, insieme al suo cuore. Era davvero la soluzione giusta quella di scappare, di continuare a fare finta di niente? Di trovare il rimedio solo in sotterfugi, in scorciatoie? Oppure qualcuno gli aveva fatto il miracolo dall'alto in modo che si rendesse conto che tutto questo non sarebbe riuscita a portarlo avanti? Quindi quella occasione che si era presentata davanti a suoi occhi, e che ora la guardava, era davvero l'occasione per salvarsi?
"Ti aiuterò..."
"Io non ti ho chiesto nessuno aiuto"
"Beh... senza di me, molte informazioni non le avresti e sai meglio di me che non ho protezione lì fuori"
"Ti devo proteggere? Pensavo lo sapessi fare bene da sola"
"Non troppo..."
"Bene, se proprio vuoi aiutarmi e aiutarti... metti la sveglia alle sette domattina"
"Cosa?"
"Per caso nel tuo appartamento nell' Upper East Side ti alzavi dal letto a mezzogiorno?"chiese lui con sarcasmo mentre si alzava dalla sua sedia per dirigersi alla porta
"Non sai niente di me"
"So più di quanto immagini"disse lui avvicinandosi a lei
Non aveva visto, fino a quel momento, di che sfumatura fossero i suoi occhi ed ora che erano vicinissimi potè tranquillamente notare come erano perfetti. Era quasi scontato dire che ci si poteva vedere il mare ma non era quello solito che a lei mancava, per via delle vacanze passate in Grecia oppure in Spagna, era un mare di emozioni che Wanda avrebbe scoperto e vissuto presto.
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ca-la-bi-yau · 4 years
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Sono le 5 del mattino. Non mi aspetto che la gente capisca cosa voglia dire.. Essere attratti così dal farsi male. Certo i farmaci mi hanno aiutato, tutti questi anni ormai di terapia ma questo sentimento non è mai cambiato. E quando disperato due anni fa ne parlai in terapia, quando ci tornai mi fu chiesto se pensavo di arrivare vivo alla settimana dopo e minacciarono di farmi rinchiudere per non farmi fare del male. Per questo ora non riesco a parlarne in terapia. Non voglio essere rinchiuso.. Anzi... È il marcio che c'è in me che non vuole essere rinchiuso. Una parte di me pensa ancora che l'unica soluzione sarebbe buttare via la chiave.. Controllatemi ogni giorno, tenetemi lontano da qualsiasi oggetto possa farmi del male, imbottitemi di farmaci fino a non farmi sentire più nulla...
Non finirò mai in un posto del genere.. So mentire troppo bene per farmi veramente rinchiudere anche se a volte non vorrei altro e non so più quale parte di me sta parlando, non lo so più..
Lobotomizzatemi, imbottitemi di farmaci... Una soluzione migliore del suicidio. Non so più quanto tempo è passato dall'ultima volta che ho detto o scritto questa parola.
Mi odio, mi odio con ogni forza che mi rimane. Odio ogni particella di me, ogni centimetro di pelle. Vorrei strapparmela, velo dopo velo, strato dopo strato. Vorrei aprirmi, vorrei sventrarmi, tirare fuori le viscere per poter dire ecco, questo sono io: solo marcio e sangue e bile. E vuoto. E nient'altro.
Odio il mio corpo, odio la mia testa, la mia mente, quello che vedo, le voci che sento, quello che vede la gente di me, non sento niente, non sento niente che non sia schifo, odio, vuoto. Non sento che la mia vita abbia alcun valore, nessuno, niente di niente.
Non riuscirò a chiudere occhio. Ora è il momento della paura. Ho parlato di rabbia odio e vergogna ma io ho paura, prima di ogni altra cosa, ho paura. Ho 23 anni e mi sento ancora un bambino terrorizzato che ha perso i genitori. Ho paura di dormire, ho paura di non dormire, ho paura del dolore, ho paura delle voci nella mia testa e questo rumore sordo di sottofondo, questo brusio che riempie tutto e che non mi lascia in pace. Mi sento solo un bambino, un bambino egocentrico che gioca con la sua vita, che prova a fare dio, che si sente onnipotente a giocare con la vita sua e degli altri.
Prima di finire in terapia non ero nessuno ma ora ho una definizione che combacia perfettamente con la realtà: depressione maggiore, disturbo narcisistico della personalità, autolesionismo. Questa sono le parole più adatte a descrivere me stesso che io conosca.
Non riuscirò a spegnere tutte le voci nella mia testa, tutte le paure tornano a galla una dopo l'altra. Ho paura, paura della mia vita che va a scatafascio da sempre, che è sempre un disastro, senza prospettive, senza obiettivi, senza sogni... Non ho sogni nel cassetto, non ho obiettivi e progetti da raggiungere e costruire, non ho niente, niente di niente e poi ci voleva una pandemia globale per distruggere un altro po', per infliggere un altro colpo a questa vita insulsa che conduco. Una vita insulsa. Ho paura di essere solo tossico e nocivo per chiunque mi stia accanto, di non essere più amato e di non saper amare.
Ho paura, ho paura di tutto, ho paura dei miei incubi, ho paura ora di nuovo a salire in macchina, perché cazzo ho paura e non riesco a fare un cazzo, niente di tutte quelle cose in cui tutti riescono tranquillamente senza battere un ciglio e io sto qua a piangere e a piangermi addosso.
Non voglio dormire, tra i miei incubi e il mio cervello che mi odia non so chi sia peggio ma non voglio più avere quell'incubo...
Non lo voglio più avere e so che sto così da settimane e so che tornerà.
Perché il mio cervello mi odia, perché ho questo cazzo di inferno nella mia testa?
E mi sento stupido e inutile e ancora un bambino egocentrico che pensa ai suoi problemi del cazzo, mentre là fuori la gente muore a frotte per un virus e il pianeta va a fuoco e io piango perché ho spaccato un cazzo di piatto...
E perché sento ogni piccola cosa, ogni piccolo inconveniente, ogni cosa che non va come "l'ennesimo avviso di sfratto da questo mondo"...
Voglio solo silenzio... Voglio solo un po' di pace, un po' di silenzio nella mia fottuta testa.
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ideeperscrittori · 4 years
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NICOLETTA DOSIO Io sono contro la TAV. Ma il mio essere contro è facile. Non vivo da quelle parti. Scrivo di essere contro e finisce lì. Gli effetti di questa mia presa di posizione cominciano e finiscono all'interno di un social network. L'algoritmo di Zuckerberg registrerà diligentemente questa mia manifestazione di pensiero, correrà ai ripari e calibrerà i miei parametri virtuali. L'algoritmo penserà che in fin dei conti le pubblicità di post intitolati "Diventa anche tu un devastatore di territori in dieci semplici passaggi" non vanno bene per me, mi appiccicherà un'etichetta addosso, mi classificherà in qualche modo, mi inserirà in un target e forse sulla mia timeline ci saranno spot di cucina macrobiotica e locali di musica indie al posto dei messaggi promozionali sulle startup di Marco Montemagno. In realtà l'algoritmo di Facebook prende spesso cantonate colossali e Marco Montemagno, o qualche sua imitazione che vuole diventare il nuovo guru del marketing, continuerà a materializzarsi nel flusso di contenuti che ogni giorno scorre davanti ai miei occhi, ne sono sicuro. Tra l'altro con il mio NO alla TAV vergato su Facebook rischio anche di essere bersagliato dalle pubblicità di agiografie di Gianroberto Casaleggio (per oppormi a questa fastidiosa eventualità voglio proclamare chiaro e tondo che il pianeta Terra, secondo il mio modesto parere, è tutt'altro che piatto). Bene. Mi sono schierato su un social network. Ora Zuckerberg ha un dato in più su di me. Tutto qui. Anche Nicoletta Dosio è contro la TAV. Solo che Nicoletta Dosio andrà in carcere. Ecco allora che io scrivo ancora una volta su Facebook, per dire che la carcerazione di Nicoletta Dosio è una vergogna. E lo penso realmente. Penso che sia uno schifo. Ecco un altro dato per te, Zuckerberg. Ma forse il mio scopo non è solo fornire dati a Facebook, anche se la possibilità di evitare le agiografie di Gianroberto Casaleggio non mi è del tutto indifferente. Perché si manifesta il pensiero col corpo. Le strade sono percorse dai corpi. I segni della vita sono sui corpi. I corpi sono testimonianze. Nicoletta Dosio ha fatto una dichiarazione che va dritta al punto: "Andrò in carcere perché di TAV non si parla più. Lo si considera un capitolo chiuso e quindi con il mio corpo dietro le sbarre voglio riaprire questa storia indecente". Nicoletta Dosio andrà in carcere e ci resterà per mesi. E mentre nella mia mente risuona la parola "carcere", con tutta la sua potenza, con la sua capacità di evocare il terrore, so che sicuramente continuerò a galleggiare in questo etere in cui tutti i giorni la gente si schiera, perché ogni tanto sento il bisogno di sfogarmi, o di mettere le cose in burla, col corpo al riparo, nella mia bolla, nella mia quiete silenziosa, a chilometri di distanza da qualsiasi dispiegamento di forze dell'ordine, per dare una concatenazione logica al mio flusso di coscienza, per raccogliere le reazioni di una platea. Il massimo rischio che corro è un post di Barbara D'Urso sulla mia timeline (e già questo è sufficiente a gettarmi nello sconforto). E so che il peso della mia piccola testimonianza da queste parti è come quello di una particella subatomica. Forse è per questo che ogni tanto vinco la mia propensione all'asocialità, indosso le scarpe e vado a manifestare in piazza.
L’Ideota
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vivere-con-il-cuore · 4 years
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Tu sei il mio magnete che attrae il mio cuore e ogni più minuscola particella del mio corpo.
@femmenoir-red ♥️♥️
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“I suoi occhi avevano il potere di farmi impazzire. Non mi toccavano, né mi sfioravano. Ma quando mi guardavano, il mio cuore iniziava a battere talmente forte, che temevo potesse esplodere, le mie labbra s'incurvavano in un sorriso, coperto dal rossore delle mie guance, e il mio corpo veniva percorso e percosso da un fremito, come una scarica elettrica. Quando mi guardavano, mi scavavano dentro, dentro l'anima, in ogni particella del mio corpo. E io mi sono sempre domandata come ci si doveva sentire ad esserci dentro. In ogni suo caldo, intenso, sguardo.”
quelpensierofissosudite
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come-stellecadenti · 4 years
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ieri notte mentre non riuscivo a dormire pensando a te, ho aperto la galleria ed ho rivisto vecchie foto, di una me dell’anno scorso bionda, mi sembra così lontana..e di una me di qualche mese fa, che ti aveva appena conosciuto. forte e bellissima. dio se ero bellissima. ero concentrata su di me ed avevo te, concentrato su di me. mi rendevi felice? sì. ma mi rendevi anche tremendamente infelice, e insoddisfatta, e confusa, e instabile. e questo a me fa male, perchè io già sono instabile e insicura di mio, io ondeggio nel vento, non mi spezzo certo, ma mi lascio travolgere e trasportare, e l’amore dovrebbe invece farti brillare ancora di più ed io ho bisogno di una persona che riesca a farmi restare ferma perchè con lui è tutto più bello, tutto più calmo, pacifico. ecco cos’è per me la felicità: non correre più come una scheggia impazzita tra il passato e il presente e il futuro e quello che è stato e quello che non potrà mai più essere o non sarà mai. restare nel qui ed ora, perchè semplicemente ne vale la pena capisci. con te invece era un angoscia continua. un giorno paradiso, l’altro il circolo polare artico anzi nemmeno, deserto. non va bene, non va bene per me. ho capito cos’è il sesso e cos’è l’amore, quello vero. e cosa fa star bene me.  e insomma stavo lì a guardare queste foto di quando già mi avevi destabilizzato ed io sentivo di stare male dentro e non mi piacevo più come prima non mi vedevo più bella sexy irresistibile, era tutto in funzione tua. io ero in funzione tua. un attesa continua di te. di un tuo bacio, un tuo messaggio, uno dei nostri sguardi.  ecco, cosa mi fa l’amore. ma l’amore che ho vissuto fino ad ora è sempre stato ingiusto, sbagliato, sbilanciato. ero sempre io quella innamorata, ero sempre io quella in attesa “hai la vita appesa” mi hanno detto. ed era vero.  stavo totalmente fuori. ma fuori di me. ho capito invece che ero bellissima, e potevo avere chi volevo, quando volevo e come volevo. ed ho scelto te sai perchè? pensavo fossi diverso. eccola la cruda verità. ho scommesso su di noi e pensavo davvero, ci credevo DAVVERO che tu potessi essere quello in grado di amarmi e di farmi amare me stessa, completamente, per la prima volta. ma innanzitutto, tu non sei capace di amare te stesso, figurati una come me con una maturità emotiva non più di dodicenne. e poi. io non ho bisogno di un altra persona per amare me stessa. non ho bisogno che qualcuno mi insegni come si fa, che mi indichi la via. porcaputtana, io convivo con me DA SEMPRE. io sola so tutte le volte che ho pianto nella mia cameretta per un amore mai iniziato, quelle che mi sono rialzata leccandomi le ferite, quando ho perso e nonostante tutto ho chiuso dentro il mio dolore e sono andata avanti. solo io so cosa vuol dire punire se stessi per colpe che non ti appartengono. io lo so, l’ho fatto ancora.  non voglio farlo più. voglio guarire, voglio lasciare andare tutto il male, voglio tornare a splendere perchè la luce me la porto dentro, si è generata dal dolore e dalle crepe sul cuore, esce fuori da lì. io sono un anima pura. ma -e questo l’ho dimenticato in tutti questi mesi- sono anche una grandissima stronza. perchè so, lo so, lo faccio da una vita intera, posso vivere anche senza. posso vivere e vincere e accecare tutti con la mia sola luce.  non ho più paura di mostrarmi, non sento più la paura di amare e lasciarmi amare, di rischiare, di giocare e sì, anche di perdere.  amo il mio corpo in continuo divenire. amo la mia mente fluida, liquida. non mi inquadrerete mai. amo il mio passato e gli sbagli che ho commesso perchè semplicemente mi rendono me, fanno parte di me, mi hanno permesso di arrivare alle consapevolezze di oggi. non scriverò più di te.  il tuo ruolo nella mia vita è terminato. non hai saputo cogliere il mio fiore, ed io non sono fiorita. tutto qui. la cosa strabiliante è che non cerco neanche più qualcun’altro che lo faccia. non dico “troverò”, “arriverà” “mi sta aspettando”. ero io che stavo aspettando, in perenne attesa, ma di me. di me stessa.  sono io che brillo come non ho mai fatto prima, sono io la mia stessa luce, io che traccio il mio cammino, io che indico la strada alle stelle.  sono io che mi faccio rifiorire. con le mie cure, con il mio amore, con la mia cazzimma che non mi abbandona mai del tutto come vedi. dio, quanto ha fatto male vedere quelle foto e rendersi conto di  essere stata sempre fragile e insicura e di non aver capito mai quanto valore c’è in se stessi. sono bella, sono intelligente, in 25anni di vita mi sono laureata in Giurisprudenza, ho già intrapreso un master, ho dei sogni nel cassetto che posso ancora realizzare, ho un amore vissuto alle spalle importante ma ne ho anche altri un po meno, mi hanno spezzato il cuore DUE VOLTE, e comunque sono sopravvissuto. ho una famiglia stupenda, che mi ama. e amici altrettanto stupendi, che ancora più importante, mi capiscono. nel profondo. ed ho me stessa, che ama la poesia e ballare fino al mattino fumando mille sigarette e guardare le stesse ed ama pure il mare, alla follia, e i tramonti, e il canto degli uccellini all’alba, e gli sguardi infuocati, prepotenti, strabordanti di voglie segrete, inespresse. mai più permetterò a qualcuno di rubarmi la luce, di confondermi, di tentare di spegnermi, continuamente. io so chi sono. io conosco il mio valore. io mi amo in ogni piccola particella del mio essere. risplendo.
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thesunatmidnight-91 · 4 years
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Lui è MIO.
Frase detta e ridetta miliardi di volte.
Perché si lui è MIO.
Non è per l'aggettivo possessivo maschile <ok si anche quello> lo ammetto. Ma lui fa parte di me, della mia vita, della mie giornate, dei miei pensieri, della mia anima, corpo, testa, del mio TUTTO.
Sono passati 5 anni e mezzo, pochi non sono per niente. Alti e bassi quanti ve ne pare, in più la distanza, e chi più ne ha più ne metta tra gelosia e ossessioni.
Perché si, noi siamo così. Siamo fatti così. Due lati combacianti, due persone compatibili, la mia fotocopia al maschile, e lui me al femminile. Una persona normale non potrebbe sulserio mai capire. Non potrebbe. Semplicemente ci chiamerebbero pazzi sciagurati. Poco mi importa. So solo che LUI è TUTTO per me, tutto... Nei suoi pregi, nei suoi difetti nei suoi modi di parlare, di fare. Che ormai conosco a memoria ogni sua particella fisica e non.
Mi dispiace se ci ho messo un bel po' per tutte le cose che tu ben sai. Ma per quanto sia stato tutto dannatamente difficile e complicato, noi siamo sempre qua.. E nessuno mai potrà dividere tutto questo.
Mai.
Sei l'essenziale della mia vita.
❤️
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Cap. 1
Ed ecco qui, un altro giorno ebbe inizio. Ce l’avevamo fatta un altro giorno. Un altro di sopravvivenza e resistenza da quando tutto ebbe inzio. E la mia routine quotidiana iniziò. A mio solito aprivo gli occhi come tutti d’altronde e me li strofinavo un po’ mentre sbadigliavo e mi tiravo su, pronta ad affrontare un altra giornata. Un altro giorno di resistenza, un altro giorno di fuga e a nascondersi. Non eravamo rimasti in molti, ma questi pochi che eravamo cercavamo di lottare al meglio per non farci trovare. Mi Chiamo Miley, Miley Reed. E sono una sopravvissuta. Sopravvissuta a cosa vi starete chiedendo adesso, beh il governo aveva deciso di fare piazza pulita e sbarazzarsi della maggior parte di noi e ricominciare da capo. La prima parte del loro piano era quella di creare un virus che avrebbe sterminato da se metà della popolazione mondiale, e fare in modo che la maggior parte della gente lo prendesse così che non dovevano fare molto mentre nel frattempo preparavano le squadre di assalto per prendere il resto della popolazione rimanente. Ovviamente c’era un antidoto per loro e le loro famiglie, così che non facessero mai parte di quello sfortunato 50%, sapete la fortuna non sempre è un caso, a volte dipende anche da chi tu sia, e se hai tanti soldi o sei molto potente, beh generalmente sei un uomo fortunato. Direi che avere fama e potere è la fortuna, ma più ne hai più diventi a tua volta fortunato. 
Cosa succede invece col 50% rimasto? beh ci stanno cercando tutti, vogliono farci non so cosa esattamente, so solo che non dobbiamo essere trovati. Alcuni parlano di lavaggio del cervello, che vogliano resettarci e farci diventare dei piccoli robot o entrare nel loro esercito per qualche guerra galattica, sfortunatamente non c’è proprio modo di saperlo, l’unico modo di sopravvivere è avere il minor contatto possibile con altre persone e stare ben alla larga da ogni tipo di tecnologia. Non è vita, lo so, ma non c’è scelta. Il rischio di farsi prendere è troppo alto e quando ti ritrovi in queste situazioni estreme l’unico istinto è quello di sopravvivenza e quello prevale su qualsiasi altro desiderio o istinto che il nostro copro possa avere, ogni fibra e particella del tuo corpo si concentra su quella piccola cosa, sopravvivere, e tutto il resto scompare e diventa obsoleto. 
Siamo rimasti noi tre , io mia mamma e mio fratello Chris, era il tipico ragazzo da sogno, alto, muscoloso, capitano della squadra di football, la sua ragazza? ovviamente la cheerleader più popolare della scuola, molto mainstream come cosa direte, ma è come una sorta di legge fisica secondo la quale sono destinati a innamorarsi e stare insieme, e loro lo erano sapete? molto innamorati. Lei non era la tipica stronza vanitosa che vedi nei film o nelle serie tv, era gentile con tutti sempre, e mio fratello beh lui era un po’ vanitoso e arrogante, ma il suo amore l’ha cambiato tanto, specie quando l’ha persa, si è ammalata di questo virus e non si è più ripresa. E nemmeno lui. 
Ora siamo nascosti in questa casa abbandonata con le poche scorte di cibo che ci rimangono, e qualche arma. Siamo qua da qualche giorno, ma preso dovremo muoverci per cercare qualcosa da mangiare, perché le nostre riserve stanno un po’ finendo ormai, ma uscire era pericoloso, eri li quando rischiavamo di poter essere visti, e ormai con la città un po’ rasa al suolo e deserta eravamo probabilmente rimasti in pochi, dove avessero portato il rimanente della popolazione, beh quello restava un mistero, perché non vedo persone da... mesi forse. Non so quanto sia passato esattamente da quando tutto ebbe inizio, cercavo di tenere conto di tutto, di ogni singolo giorno, ma dopo un po’ persi il conto, come la speranza di tornare ad una vita normale.
 Era sempre mio fratello ad andare in cerca di cibo ogni volta che toccava, non lasciava mai andare me o mamma e se c’erano spostamenti da fare, andava sempre a controllare lui tutto, era diventato l’uomo di casa, papà si era perso nel caos con il nostro fratellino più piccolo Thomas, e non li abbiamo più rivisti da allora. Non sappiamo se siano ancora vivi nascosti da qualche parte, se siano stati catturati e gli abbiano fatto chissà cosa, non abbiamo idea, abbiamo provato a cercarli, ma non abbiamo potuto fare molto, l’unica scelta che avevamo quando hanno iniziato ad attaccare era stata scappare, la mia speranza è sempre quella che li incontreremo un giorno, magari mentre siamo alla ricerca di cibo, sentiamo questo rumore e ci spaventiamo presi dal panico vedendo qualcuno altro, ma nel voltarsi, sono loro, per poi tornare da noi. E restare uniti insieme e combattere. Comunque come dicevo, ogni volta va Chris, è iperprotettivo nei nostri confronti, e come biasimarlo in fin dei conti, visto quello che stiamo vivendo, ma dopo l’ultima volta è stato ferito, è riuscito a scappare e tornare da noi, ma non permetterò che qualcosa gli accada, tanto meno che torni li in queste condizioni, non finché la sua gamba non sarà guarita, non posso perdere anche lui. Andrò io questa volta, ecco perché mi sono svegliata presto, prima di lui, di mamma, così che nessuno notasse che stessi andando e mi fermasse. 
Mi lego i capelli in una coda, è quasi la fine dell’estate, siamo a inizio settembre fa ancora abbastanza caldo porto una canotta bianca e dei semplici pantaloncini, una pistola e uno zaino per riempirlo di tutto quello che riesco a trovare e inizio a camminare per i boschi cercando di fare il minor rumore possibile e guardandomi bene attorno per essere sicura di non essere vista da nessuno. Se Chris mi vedesse ora, mi ammazzerebbe lui stesso, mi prenderebbe dai capelli e mi trascinerebbe lui stesso fino a ‘’casa’’, sempre se si possa chiamare tale il nostro ritrovo. Mi muovo tra un albero e un altro, e sento il dolce suono del canto degli uccelli, questo è rimasto immutato, la fauna non è stata intaccata in alcun modo da questo attacco terroristico mondiale, gli animali non erano una loro priorità o forse non ancora, forse volevano occuparsi di una specie alla volta. 
Arrivo finalmente a inizio della città e cammino lentamente cercando di restare nascosta dietro sempre a qualche muro di qualche edificio alla ricerca magari di qualche supermercato abbandonato, o qualsiasi posto in cui riesca e entrare senza fare troppo casino o dare nell’occhio, la città era deserta e completamente abbandonata, come se nessuno ci vivesse più da allora, dove erano finiti tutti? che fine gli avevano fatto fare? e se avessero ucciso veramente ognuno di loro invece? Agli inizi eravamo insieme ad un altra famiglia, gli Svensons, mamma , padre e la figlia della mia età Laura. Laura aveva una tremenda cotta per Chris, e per quanto io sia certa che Chris non volesse far sapere nulla in quanto si sentisse di tradire il ricordo della sua amata, c’era stato qualcosa tra di loro, ma non credo fosse così preso sentimentalmente, lo conosco fin troppo bene, nonostante sperassi potesse aiutarlo ad andare avanti ci siamo divisi dopo poco quando abbiamo iniziato a sentire le pattuglie arrivare,e siamo stati costretti a fuggire in diverse direzioni per non farci prendere, nella speranza che potessimo farcela entrambi o almeno una delle famiglie, da allora non abbiamo avuto più nessuna notizia loro. 
Vedo un supermercato in lontananza, mi avvicino di soppiatto e ancora nulla nessuna forma di vita, di nessun tipo, era possibile che magari se ne fossero andati? avessero considerato la città ripulita da ogni forma di vita e si fossero spostati altrove? o semplicemente erano li nascosti proprio per aspettare che ci sentissimo al sicuro e uscissimo allo scoperto, magari però se se ne erano andati potevamo tornare in città prendere un appartamento a caso, e provare a vivere una vita il più normale possibile, perlomeno non vivendo in una casa abbandonata e dormendo su uno scomodo e freddo pavimento, il tutto in mezzo ad un bosco. E tutto ciò andava bene finché era estate, ma l’estate stava per volgere al termine e il freddo sarebbe presto arrivato. Entro nel supermercato e inizio a fare un po’ di scorta di cibo, la porta della vetrata era distrutta, ma era ancora pieno di cibo qua, chissà se era qua che Chris veniva a fare rifornimento, se si probabilmente era l’unico perché era praticamente ancora tutto pieno, il che significava che nessun’altro oltre noi era nei paraggi, che eravamo completamente soli e isolati, Dio quanto mi mancava uscire con qualcuno, avere degli amici, persino Laura, nonostante preferisse la compagnia di mio fratello, era stata più o meno un amica in questo periodo e ora? nulla. Solo noi tre. 
Una volta riempito lo zaino mi diressi verso l’uscita e poi verso casa era l’idea, anche se ero molto tentata dall’ipotesi di perlustrare un po’ in giro per vedere se davvero non c’era nessuno e se c’era qualche casa in cui potessimo entrare e magari farci il nostro prossimo rifugio. un colpo da dietro, come il rumore di un barattolo che cade e inizia a rotolare, e io inizio a tremare cosa avrei fatto adesso? metto la mano sulla pistola e la tiro fuori pronta a difendermi, ma nessuno in vista, avevo il respiro affannoso di chi stava per avere un piccolo attacco d’ansia e si sente come il respiro mancare nel petto e questo piccolo dolore nel cercare di respirare, se vogliamo vederlo dal lato positivo, almeno saprò esattamente cosa succede e cosa fanno alla gente una volta catturata, ma nel guardarmi intorno non vedo un anima viva, e quindi forse, il mio momento non era ancora arrivato. Decisi di lasciar stare l’idea del perlustramento e tornare direttamente alla tana.
Arrivata li vidi mamma e Chris ad attendermi ‘dove accidenti sei stata?’ iniziò a urlare mamma ‘sei impazzita?’ mi diceva Chris invece. ‘Dovevo andare a prendere il cibo’ cercai di spiegare, ‘non puoi andare in quelle condizioni, e non potevo certo rischiare di perderti o che ti succedesse qualcosa, e comunque non c’è nessuno in giro, e sicuro e penso che potremmo anche spostarci in città e nasconderci in qualche appartamento li’
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Terrorizzata dall'amare
Ti ho ferito. Ne sono consapevole.
Ti ho fatto credere che ti amavo, ma non era così. All'inizio provavo qualcosa per te credimi, potrei giurare su qualsiasi cosa.
Ma quando la cosa è diventata reale non l'ho saputa gestire e tutto è scomparso in una nuvola di fumo, come quello che esce dalla sigaretta della mia migliore amica quando è triste e ha bisogno di fumare. Sento quella necessità di amare come quella di un fumatore in asitinenza.
Voglio amare con ogni particella del mio corpo e la mia anima brama l'amore come un assetato l'acqua.
Ho voglia di amare ma sono così terrorizzata di amare che non provo nulla.
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comeuncampoamaggese · 4 years
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Caro Diario che non ho,
nell'ultimo periodo sono stata messa di fronte a parecchie scelte. Alcune semplici, altre decisamente meno.
Ma una in particolare mi tartassava la mente ed il cuore.
Non ho bisogno di scriverti di cosa si tratta, tu lo sai.
Ho scelto me. Ho scelto di andare contro ogni particella del mio corpo che mi diceva "vai via da qui".
Sono andata contro i miei sentimenti.
Pensavo di poter stare meglio.
Riuscire a dire "mi sento felice".
Ma non è così.
Lui è partito da sole 24h
e già manca da morire.
Mi manca vedere i suoi occhi e il suo sorriso
Mi manca incazzarmi se fa qualcosa di sbagliato, preparare da mangiare e guardare insieme la televisione.
Mi manca stare tra le sue braccia e sentirmi protetta. Sentirmi al riparo da qualsiasi catastrofe. Quella sensazione che ti fa dire "vai mondo, finisci, estinguiti, a me non mi tocchi, a me non importa"
L'amore è volersi nonostante tutte le cose negative. È volersi soprattutto con i tuoi difetti, con l'umore nero e il fisico a pezzi.
Forse è vero che stare lontani può far capire tante cose, ma io penso che non è tanto il capirlo, ma ricordarsi di quanto siano belle ed importanti le cose più semplici di un amore.
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bianciardi · 5 years
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Se nemmeno lo conoscevi
‘’Ma cosa ti importa, perché dispiacerti così tanto, e poi per cosa. Ma se nemmeno lo conoscevi, dai...’’ è un po’ il mantra che mi perseguita da quando la notizia della morte di Lorenzo Orsetti ha raggiunto la mia bacheca facebook. Un’indifferenza arrogante e cattiva che oltre a impaurirmi mi stupisce perché proviene da giovanissimi uomini e giovanissime donne, il futuro direbbero gli anziani, un futuro nerissimo. Da quel giorno, da quel 18 marzo, mossa da una curiosità colpevole di ignoranza, ho iniziato a chiedere, a fare domande, a interrogare gli altri; mi sono interessata alla Siria del Nord, dove Lorenzo era andato a combattere le mostruosità dell’ISIS, alla causa curda, al fenomeno dei nostri ‘’foreign fighters’’ che stanchi di subire continui attacchi di morte al cuore dell’essere liberi (ed europeei), fanno pochi discorsi, prendono uno zaino e partono. Sì, per combatterlo quell’ISIS, in guerra.
Tentare di comprendere la questione siriana, oggi, appare più difficile di quanto si pensi e la responsabilità maggiore di questo vulnus è della mala informazione (che talvolta si trasforma in disinformazione) fatta da tv e giornali. Una narrazione in cui si confondono i confini geografici, le sigle, le date, i nomi. Se non vi fossero sottese maestose ragioni politiche ed economiche, verrebbe ingenuamente da pensare che oggi, i giornalisti si trovano al posto sbagliato, svogliati e disattenti come studenti all’ultima ora del sabato mattina. O, con più lucidità, che si fanno complici di un’ipocrisia che vorrebbe render neutro il parametro con si analizza il nemico.
Lorenzo ‘’Orso’’, la Siria, una guerra lontana: è vero, non lo conoscevo. E allora, mi chiedo, abbiamo il diritto di empatizzare con le scelte altrui solo quando chi le compie è un nostro amico, un nostro parente? Mi sono chiesta più volte perché mai un ragazzo di trentatré anni, cuoco e sommelier, dovrebbe allontanarsi da casa, dagli affetti, per combattere l’ISIS quando gli stessi politici dei nostri giorni, si limitano a condannare la brutalità dello Stato Islamico riuscendo a malapena a combatterlo a parole. Perché, Lorenzo? Perché, Têkoşher, stavi in Siria da un anno e mezzo, arruolato nell’Ypg, l’Unità di Protezione del Popolo? Forse perché la lotta per la libertà non ha confini né latitudini? Perché forse per difendere la società dai suoi pericoli occorre provare un'identificazione che sappia svilupparsi anche nei confronti di chi non conosciamo, di chi è lontano km e km da noi? Mi faccio tutte questo domande e concludo, senza una risposta vera e propria, che siamo diventati una generazione di mostri. Pur non avendo visto la guerra.
Partiamo dai nostro difetti, dal nostro imbarbarimento, dal nostro umanesimo destrutturato: viviamo un'epoca in cui l'individualismo e la soggettività hanno una prevalenza culturale che ha portato allo sgretolamento dei valori di comunità, collaborazione. Arrendersi al presente è il modo peggiore per costruire il futuro. Soprattutto se distruggiamo la particella segreta delle comunità: quel co. Cooperare, confrontarsi, conoscersi, condividere, coprogettare. Imparare a collaborare è la chiave per uscire dal buio. Noi ci siamo dimenticati come si fa. Dovremo guardare ai campi profughi di tutto il mondo, a quelli vicini ad Afrin, dove manca l’acqua pulita e elettricità, dove le malattie si diffondono facilmente e l’ospedale è solo uno in cui i dottori scarseggiano. Per poter sopravvivere qui si collabora, si resiste assieme.
Le comunità più resilienti sono quelle che “ce la fanno” perché nei momenti di crisi si rimodellano ai cambiamenti. La disillusione in cui molto sono caduti, le risposte facili al disagio economico e sociale, lo spaesamento generale ha permesso ad alcuni poteri di far leva sulle fragilità delle persone manipolando ad hoc l'informazione, semplificando, omettendo.
Chi non semplifica, approfondisce, cerca, legge, non si ferma al primo livello di conoscenza. Chi non delega ad altri le proprie scelte, chi non ce la fa più, a sopportare, a subire. La misura già satura di insofferenza è diventata ingestibile, la necessità di un gesto, di una scelta sembrano l’unica strada percorribile. Immagino che Lorenzo Orsetti abbia vissuto sulla propria pelle questa sensazione di insofferenza, di incompatibilità con luoghi e tempi; e abbia deciso che l'unico modo per cambiare le cose fosse partire, scegliere di stare dalla loro parte, di farlo con loro. Le ragioni della rivoluzione socialista del Rojava, la zona del nord della Siria a maggioranza curda, avevano convinto Lorenzo per gli ideali che la ispiravano: una società più giusta più equa, una società per le donne e con le donne, un mondo in cui la cooperazione sociale, l’ecologia sociale e la democrazia potessero essere le basi da cui partire e non gli obiettivi da raggiungere.
Ma Lorenzo Orsetti è tornato a Firenze in una bara avvolta dalla bandiera dell’YPG. Un partigiano trentatreenne, un partigiano del 2019. Il valore della scelta di Lorenzo oltre al dovere della memoria, porta con sè l'amara consapevolezza che determinate storie non arriveranno mai alla massa, non riempiranno mai i quotidiani nazionali, non diventeranno mai titoli dei tg. A meno che.
A meno che la rivoluzione non parta da noi, dall'oralità, un'arma potente quanto un kalashnikov, affilata quanto un pugnale. L'obbligo morale di non far mai calare l'attenzione dovrà formare una catena di testimoni, pronti ad alzarsi di fronte al gruppo, più o meno numeroso, e iniziare a raccontare una storia. La storia di Lorenzo, la storia dei combattenti italiani in Siria che rischiano la misura della sorveglianza speciale, le storie delle donne curde che combattono un sistema patriarcale nelle file dell’YPJ, le parole di chi è tornato sulle proprie gambe, anche se l'animo lacerato non troverà facilmente posto nell'anatomia dei sopravvissuti. Non smettere mai di dare voce a una rivoluzione che è qui e ora, che ci riguarda da vicino. 
Quanta paura può fare un morto? Quanto timore – quale imbarazzo – scaturisce dalle domande sulla morte di Lorenzo? Perché il corpo di Lorenzo ha impiegato così tanto a tornare in Italia? Perché la salma, una volta arrivata all'aeroporto di Fiumicino, è stata fatta uscire da un passaggio diverso rispetto a quello comunicato agli amici che volevano accoglierla? Perché la notizia del rientro del suo corpo a Firenze non passa da alcun tg se non quello regionale? Un pubblico momento di ricordo, il prossimo 24 giugno, si terrà di fronte al piazzale del cimitero delle Porte Sante, dove sarà poi sepolto, una scelta approvata dalla famiglia di Lorenzo suggerita dal Sindaco Nardella. Quello è il cimitero dei partigiani fiorentini, dei giusti. Anche di Lorenzo, d'ora in poi, dopo tutto il limbo che ha dovuto attraversare, anche da morto.
Un limbo dantesco infatti è quello che è toccato a cinque ragazzi italiani che rischiano la sorveglianza speciale, una misura che affonda le radici nel mussoliniano Codice Rocco, e che non ha bisogno di reati, accuse o processi: come Lorenzo, Paolo, Eddi, Jak, Davide e Jacopo sono andati in Siria a combattere, a fianco dei curdi, l'ISIS. Una volta tornati in Italia si sono visti notificare la richiesta di sorveglianza speciale. Perché loro sanno usare le armi, perché sono andati a guerra, dalla parte giusta – ma questo evidentemente non interessa alla Procura. Impostata senza accuse e senza processo, la sorveglianza speciale sottopone a una dura restrizione la libertà individuale dei cinque ex-combattenti sulla base di quella che la Digos ritiene «pericolosità sociale». Se si riflette un attimo sui milioni di uomini che hanno partecipato al servizio di leva obbligatoria o a quelli che ancora fanno parte dei corpi militari, per finire con i detentori di porto d'armi – penso a mio padre, cacciatore di tordi e colombacci da generazioni – dobbiamo seriamente preoccuparci della quantità di soggetti socialmente pericolosi che ci girano attorno.
Quella della sorveglianza speciale è una misura restrittiva di epoca fascista, introdotta dal Codice Rocco e poi rivista nel tempo (l’ultimo «aggiornamento» risale al 2011), che avalla un’inquietante deriva: la limitazione della libertà, da un minimo di un anno a un massimo di cinque, senza un reato, senza un’accusa, senza un processo. In prigione fuori dalla prigione.
In concreto si ha: ritiro di patente e passaporto, divieto di iscrizione ad ogni albo professionale, divieto di incontrare più di tre persone per volta, divieto di uscire dopo le 19 fino alle 7 del mattino seguente,divieto di incontrare persone con condanne (valgono anche occupazioni, picchetti, blocchi stradali…) e infine alcuni obblighi, come quello di presentarsi alle autorità di sorveglianza nei giorni stabiliti e ogni qualvolta venga richiesto.
Tutto ciò, oltre a minare pesantemente l'equilibrio privato e personale di giovani donne e uomini, andrebbe a bloccare la grande opera d'informazione che i cinque stanno facendo in giro per lo stivale con incontri nelle facoltà, nella associazioni culturali, nelle librerie. Tutto ciò strizza l'occhio a una valutazione politica che sa di bipolarismo visto che l’Italia considera l’ISIS un gruppo terroristico che porta morte anche in Europa ma colpisce chi è andato a combatterlo, chi ha rischiato la vita.
Entro il 24 giugno, data dell'ultimo saluto al compagno Lorenzo, si avrà una risposta: qualora la richiesta venisse accolta, sarà necessario attivare una mobilitazione nazionale per tutelare tanto la libertà personale di questi partigiani della Mesopotamia che studiavamo alle medie, quanto la reputazione delle forze siriane democratiche. Meno di un mese fa, in una piccola libreria di provincia, in un venerdì qualsiasi, ho sentito dire, dalla voce ferma e calma di Davide Grasso che per lui la cosa più grave sarebbe proprio mancare di rispetto ai caduti, ai combattenti, ai civili che sono ancora là e cercano di portare avanti questa Resistenza. L’altruismo, la quieta fermezza di chi è andato oltre le parole, mi ha portato, a scrivere una mail a un noto programma tv che solitamente informa, denuncia, racconta in modo obiettivo, insomma quando vuole fa giornalismo senza paura. La mia richiesta riguardava la mancanza di informazione sulla situazione degli ex-combattenti, che poteva peraltro tramutarsi in occasione perfetta per una narrazione sulla Siria, da parte di chi è andato là. Ho chiesto di raccontare una storia che rischia di scomparire, e con essa, un bel pezzo della nostra democrazia. Nessuna risposta, nessun servizio. Una delusione. Anche perché il 24 giugno è dietro l’angolo e la copertura mediatica degli eventi arriverà tardi, se arriverà. 
Resistere a tutto questo silenzio, trasformarlo in suono: ritrovare la cultura dell’oralità, trasformando noi stessi in rapsodi della memoria, un ingranaggio collettivo, che gira se ciascuno continua a farlo girare. L'unica scelta in grado di offrire la possibilità di immaginare che le cose, la società che c’è intorno a noi - il futuro - cambi a partire dalle nostre scelte, dal nostro scegliersi la parte. Come aveva fatto Lorenzo. 
Cosa è accaduto in questo paese perché possa essersi ridotto allo sfacelo che è sotto gli occhi di tutti? Perché ci si è lasciati andare ai sentimenti più infimi inserendo una retromarcia degna del masochismo più efferato? Perché tutto d'un tratto la solidarietà, l'umanesimo, il sentimento di giustizia, addirittura la cristiana carità sembrano valori di un'altro pianeta che sembrano non contare più nulla?
Niente è per caso e quello che oggi avviene nel proscenio della vita sociale e politica è il risultato diretto degli ultimi trenta anni di storia. Un paese che dopo la caduta del muro di Berlino doveva riposizionarsi nello scacchiere geopolitico del mondo, che doveva liberarsi di Cosa Nostra quale agente politico negli equilibri criminali e con cui ha intrattenuto allegri rapporti di scambi di potere. Un paese che non disdegna di mettere a repentaglio la sua storia, il suo patrimonio culturale in nome del "chi arriva primo vince".
Siamo diventati un paese che odia le persone serie e quelle buone, perché sono noiose e ci inducono a pensare e a ragionare. Un paese che ama il potere, anche quando lo esercitano le persone sbagliate, perché rappresenta il nostro desiderio di contare qualcosa, di esercitare una superiorità cafona.
Un paese che ama il capitalismo più sfrenato perché nel suo cuore anche la plebe ha la chance di diventare borghesia, e la borghesia di diventare lussuosa nobiltà, a sua volta cafona.
Ci siamo fatti togliere gli strumenti della critica e dell'analisi. E non siamo più in grado di discernere i cattivi di prima da quelli di oggi, pigri oppositori figli di una social democrazia deviata e affascinati dalle poltrone di comando. Rimestando una debole difesa dei valori costituzionali, lasciano che i privilegi della politica rimangano un caposaldo delle loro intenzioni ultime.
Mi fermo un attimo, osservo tutte queste macerie truccate e imparruccate a festa e penso a Lorenzo, alla sua partenza convinta, piena di fiducia e gioia, verso una speranza chiamata Rojava, verso un lembo di terra che sperimenta il confederalismo democratico in modo brillante, forse utopistico per qualcuno. E capisco la sua scelta, ammirandone la concretezza. Penso anche che se Lorenzo fosse tornato vivo in Italia, oggi sarebbe il sesto in attesa di conoscere il verdetto sulla propria pericolosità sociale. Ci siamo riempiti di parole, frasi fatte, slogan, senza pesarne più il significato. Lorenzo, tutti i combattenti, ci riportano lì, al peso delle parole, che sottendono una scelta, un'idea che si fa tempesta.
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“Orso non muore se le sue idee continueranno a vivere nei nostri corpi”. Con il dovere di provare - non è facile, e noi siamo così deboli, così piccoli - a dare un senso alla scelta di chi ha testimoniato che le conquiste sono sempre possibili per chi crede nella loro urgenza, di chi era a pronto a morire «con il sorriso sulle labbra», come scrive Lorenzo nella sua lettera di addio, per trasmettersi di goccia in goccia. E trasformarsi in tempesta.
Con eterna gratitudine.
- Ma perché, tu lo conoscevi Orso? - No purtroppo no…ma lo capisco.
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