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#carcere
il-ciuchino · 3 months
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Julian Assange intervistato da Tucker Carlson
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Il giornalista Tucker Carlson ha intervistato Julian Assange in carcere. L'intervista risale allo scorso novembre. Un ringraziamento a B17 per la traduzione italiana.
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illsadboy · 1 month
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Nella solitudine della prigione, il ricordo delle persone care diventa un rifugio prezioso.
…spero tu stia “bene” anche se 5 anni sono tanti per tutti, dei gatti me ne prenderò cura io anche se vogliono il loro papà…
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gregor-samsung · 10 months
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“ Mia cara Francesca, le tue lettere arrivano, per lo più, alla sera. Verso le nove. Una mano entra nel buco, dicono "posta", poi le aprono e me le danno. Così le tue parole sono le ultime che ricevo: e me le porto in sogno. [...] Ho lavato i piatti (una ciotola di plastica, un piatto di plastica, delle posate idem) e le pulizie le farò nel pomeriggio, nell'interminabile viaggio che va dalle 15 al mattino dopo. Oggi è giorno di doccia (qui ci si lava un giorno sì e uno no) e aspetto il mio turno. Poi mi vestirò, e andrò all'aria. Girerò in tondo fino alle 11. In questa giostra assurda s'incontra ogni genere di uomini: falsari, spacciatori, zingari, bancarottieri; è un mondo tutto suo, credimi. E pieno di assurde favole, di storie incredibili; è impressionante il numero di giovani, di ragazzi, quasi. Da fuori, non si ha la sensazione di quello che accade qui, e di come enormi siano oggi i problemi della giustizia. Mi chiedi se desidero un libro. Sì. Di Dostoevskij "Memorie da una casa morta": attenzione, non "Memorie dal sottosuolo", che è un altro suo libro. Dico quello (alcuni lo traducono "M dalla casa dei morti") che parla della sua prigionia a Semipalatinsk, in Siberia. Lo lessi anni fa, e siccome è pieno di pensieri sulla pena, la prigione, e altro, vorrei rileggerlo. Davvero. Va bene? E io che posso restituirti? Senti, sbaglio o con Renata sei in freddo? Non so, mi è parso di capire che, in quel suo tirarsi indietro ti desse della pena. Guarda: succede, e alle volte è meglio che un amico dica francamente il suo pensiero piuttosto che vederlo accettare per forza. E il resto del lavoro? E la vita? E Milano? Io sono disgustato all'idea che esistano "giornalisti" del tipo attualmente in circolazione: criminali della penna, analfabeti della vita, irresponsabili, folli. Adesso è di moda chiamare questo "il carcere dei vip": perché non vengono, per sette giorni, a questo Portofino delle manette? Credimi: il nostro non è un Paese. Ho gioito al ritrovamento delle reliquie del tuo S. Francesco: non avevo dubbi, credi, che il finale fosse quello. E troveranno il resto. Vuoi scommettere? Mi chiedi dei sogni? Beh, sono molto teneri, dolcissimi. Mi pare di essere accanto a te, e di perdermi nei tuoi occhi. È delizioso. Anche se è la sbiadita, pallida immagine del vero. Ma ti sogno spesso. Ti ho detto: ora sono sereno, niente può più toccarmi. Mi metterò a studiare storia, che e la mia passione. Storia italiana. Poi, mi interessa enormemente la "comune coscienza del peccato", che è cosa ancora più debole, da noi, del "comune senso del pudore". Parlo con delinquenti veri, Cicciotta: e mi interessa la loro psicologia, la loro relatività, il loro codice, che è, in molti casi, anche se patologico, regolato da leggi ferree. Sì, ho vissuto molte vite: so e conosco cose che nessun viaggiatore vede e vedrà mai, avrò da riempire sere e sere d'inverno. Non andrò mai più allo zoo: l'idea di una gabbia mi darà, per sempre, un fremito di disgusto. Tu dici che sono forte: io non lo so, Cicciotta. Sento che mi sentirei indegno di vivere, se fossi diverso. Non si può concedere loro niente: sono dei bari, capisci? Questo Paese ha sempre piegato la schiena, baciando la mano di chi lo pugnalava. E non ci sarebbero tiranni, se non ci fossero schiavi. Il vero patrono d'Italia (e non capisco perché non lo facciano) dovrebbe essere Don Abbondio. San Francesco poteva nascere benissimo in qualunque altra parte del mondo. Solo Don Abbondio è irresistibilmente, disgustosamente italiano. A me spiace parlar male del mio Paese: ma deve cambiare. È l'"odi et amo" di Catullo (traduzione di Ceronetti): e se vuoi un ritratto, che condivido, dell'Italia, leggi, sempre di Ceronetti "Viaggio in Italia" (Einaudi). È una barca cariata, un guscio vuoto, pieno di vermi, che galleggia su un mare inquinato. E per le anime, è peggio. Ti abbraccio, Cicciotta. Tanto tanto Enzo [Bergamo, domenica 9 Ottobre '83] “
Enzo Tortora, Lettere a Francesca, Pacini Editore, 2016¹; pp. 82-84.
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francescosatanassi · 1 year
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È DIFFICILE
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Una cosa difficile che proverò a spiegare: l’idea di sconfiggere la criminalità isolando per sempre un essere umano in una cella, privandolo della dignità che ogni essere vivente dovrebbe avere e dei rapporti sociali alla base della vita stessa, non ha alcun senso. Il carcere dice di voler rieducare a non commettere più il reato per il quale una persona è stata condannata, ma ancora oggi appare come uno strumento quasi esclusivamente punitivo e vendicativo. Quindi chi sbaglia non deve pagare? Forse la domanda è sbagliata. Dovremmo chiederci: chi sbaglia deve subire per tutta la vita una punizione fine a se stessa o va aiutato a fare in modo che lui e altri non commettano più quel reato fino alla scomparsa del reato stesso? La stragrande maggioranza di chi entra in carcere né esce (se esce) distrutto, etichettato come sbagliato, emarginato, isolato, e torna recidivo nello stesso reato o in reati più gravi. Il carcere così com’è strutturato non funziona, non ha la funzione che dice di avere. Ma il mafioso? Il pedofilo? Lo stupratore? Bisogna capire se cerchiamo vendetta o se vogliamo trasformarci in una società migliore. È difficilissimo immaginarlo, io sono il primo a non riuscirci, perché la vendetta è il primo desiderio che ci assale, ma è un desiderio imposto, si accende in noi perché così è più semplice, è un metodo accettato: chi sbaglia, paga. Lo sciopero della fame di Alfredo Cospito va guardato sotto questa lente: gli anarchici sognano una società senza carcere non perché i delinquenti possano girare indisturbati, ma perché credono in una società dove la criminalità non esiste, che si autogoverna con la solidarietà, dove gli uomini provvedono ai proprio bisogni senza farli propri in modo illecito. La maggior parte di chi finisce in carcere ha commesso reati per necessità, se creiamo una società che soddisfa i bisogni di tutti, senza una gestione del potere che ci divide in sfruttati e sfruttatori, la necessità di agire in modo illecito sparirà, e sparirà anche il reato. Un'utopia, ma la costruzione di un mondo migliore è ancora possibile? Forse solo come illusione, ma può essere utile allargare lo sguardo e continuare a porsi la domanda.
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yourtrashcollector · 1 year
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Si portava addosso una stanchezza asfissiante, di quelle che sa dare solo la tristezza
Lorenzo Marone, Le madri non dormono mai
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wait----------what · 11 months
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Freedom
Truth
Justice
Reasonably priced love
And
a hard boiled egg
Almost forgot but happy may 25th discworld!
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ilmike87 · 5 months
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Dopo 9 mesi di galera sono tornato. Non è stato molto facile, anzi, la depressione mi ha spaccato
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kiriquisti · 1 year
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Nella condizione in cui mi trovo, sradicato con violenza dal mio terreno creativo, con dita tremanti inumidite nella mia saliva amara, mi sono messo a dipingere per non impazzire del tutto. Servendomi delle macchie nell’intonaco ho creato paesaggi e teste sulle pareti della cella, poi osservavo il loro lento asciugarsi fino a impallidire e sparire nella profondità del muro, come fatti sparire dall’invisibile potenza di una mano incantata.
Egon Schiele Diario dal carcere
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giovanna-dark · 9 months
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Beato colui che si trova Al cospetto del suo Dio nel dolore. E sulla schiena ha una croce di pena Le ferite una vergogna aperta. Perché costui è un figlio di Dio E benedetto sia il nome suo
Bobby Sands, Scritti dal carcere. Poesie e prose
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Nem sempre é preciso uma gaiola para manter alguém trancafiado. Às vezes, as memórias são a forma mais poderosa de encarceramento.
Uma carta de amor escrita por mulheres sensíveis
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lu2211 · 1 year
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"La giustizia è quella cosa in cui spero, ma in cui non credo più".
[Olindo Romano]
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illsadboy · 2 months
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Sono fuori dal carcere di massima sicurezza e mi fa tornare in mente tutte le visite, alzarsi alle 4 del mattino e fare tutta la trafila… ma il vero carcere è costruito dalle nostre scelte non solo dalle mura di cemento e la vera punizione non è la privazione della libertà ma la perdita della speranza, la libertà la diamo per scontata ma è un privilegio perché non serve essere dietro le sbarre per sentirsi in prigione cambia solo la location.
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gregor-samsung · 3 months
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“ Immaginatevi un vasto cortile, di un duecento passi di lunghezza e centocinquanta circa di larghezza, tutto recinto all'intorno, in forma di esagono irregolare, da un'alta palizzata, cioè da uno steccato di alti pali, profondamente piantati ritti nel suolo, saldamente appoggiati l'uno all'altro coi fianchi, rafforzati da sbarre trasverse e aguzzati in cima: ecco la cinta esterna del reclusorio. In uno dei lati della cinta è incastrato un robusto portone, sempre chiuso, sempre sorvegliato giorno e notte dalle sentinelle; lo si apriva a richiesta, per mandarci fuori al lavoro. Di là da questo portone c'era un luminoso, libero mondo e vivevano degli uomini come tutti. Ma da questa parte del recinto ci si immaginava quel mondo come una qualche impossibile fiaba. Qui c'era un particolare mondo a sé, che non rassomigliava a nessun altro; qui c'erano delle leggi particolari, a sé, fogge di vestire a sé, usi e costumi a sé, e una casa morta, pur essendo viva, una vita come in nessun altro luogo, e uomini speciali. Ed ecco, è appunto questo speciale cantuccio che io mi accingo a descrivere.
Appena entrate nel recinto, vedete lì dentro alcune costruzioni. Dai due lati del largo cortile interno si stendono due lunghi baraccamenti di legno a un piano. Sono le camerate. Qui vivono i detenuti, distribuiti per categorie. Poi, in fondo al recinto, un'altra baracca consimile: è la cucina, divisa in due corpi; più oltre ancora una costruzione dove, sotto un sol tetto, sono allogate le cantine, i magazzini, le rimesse. Il mezzo del cortile è vuoto e costituisce uno spiazzo piano, abbastanza vasto. Qui si schierano i reclusi, si fanno la verifica e l'appello al mattino, a mezzogiorno e a sera, e talora anche più volte durante il giorno, secondo la diffidenza delle guardie e la loro capacità di contare rapidamente. All'interno, tra le costruzioni e lo steccato, rimane ancora uno spazio abbastanza grande. Qui, dietro le costruzioni, taluni dei reclusi, più insocievoli e di carattere più tetro, amano camminare nelle ore libere dal lavoro, sottratti a tutti gli sguardi, e pensare a loro agio. Incontrandomi con essi durante queste passeggiate, mi piaceva osservare le loro facce arcigne, marchiate, e indovinare a che cosa pensassero. C'era un deportato la cui occupazione preferita, nelle ore libere, era contare i pali. Ce n'erano millecinquecento e per lui erano tutti contati e numerati. Ogni palo rappresentava per lui un giorno; ogni giorno egli conteggiava un palo di più e in tal modo, dal numero dei pali che gli rimanevano da contare, poteva vedere intuitivamente quanti giorni ancora gli restasse da passare nel reclusorio fino al termine dei lavori forzati. Era sinceramente lieto, quando arrivava alla fine di un lato dell'esagono. Gli toccava attendere ancora molti anni; ma nel reclusorio c'era il tempo di imparare la pazienza. Io vidi una volta come si congedò dai compagni un detenuto che aveva trascorso in galera venti anni e finalmente usciva in libertà. C'erano di quelli che ricordavano come egli fosse entrato nel reclusorio la prima volta, giovane, spensierato, senza pensare né al suo delitto, né alla sua punizione. Usciva vecchio canuto, con un viso arcigno e triste. In silenzio fece il giro di tutte le nostre sei camerate. Entrando in ciascuna di esse, pregava dinanzi all'immagine e poi si inchinava ai compagni profondamente, fino a terra, chiedendo che lo si ricordasse senza malanimo. Rammento pure come un giorno, verso sera, un detenuto, prima agiato contadino siberiano, fu chiamato al portone. Sei mesi avanti aveva ricevuto notizia che la sua ex-moglie aveva ripreso marito, e se ne era fortemente rattristato. Ora lei stessa era venuta in vettura al reclusorio, lo aveva fatto chiamare e gli aveva messo in mano un obolo. Essi parlarono un paio di minuti, piansero un poco tutti e due e si salutarono per sempre. Io vidi il suo volto, mentre tornava nella camerata... Sì, in questo luogo si poteva imparare la pazienza. “
Fëdor Dostoevskij, Memorie dalla casa dei morti [Testo completo]
 NOTA:  Questo romanzo, pubblicato negli anni 1861-62 a puntate sulla rivista Vremja, pur non essendo un resoconto è fedelmente autobiografico. Nel 1849 l'autore era stato condannato a morte per motivi politici e, dopo un'orribile messa in scena che tra l'altro peggiorò la sua epilessia, la sentenza di morte fu commutata in condanna ai lavori forzati a tempo indefinito; ottenne la liberazione per buona condotta nel 1854 ma le sue condizioni di salute erano ormai irrimediabilmente compromesse.
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b0ringasfuck · 2 years
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Rinascimento arabo
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parolerandagie · 2 years
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Come il carcerato non ha vanto, nel raccontar di quanto bene conosce la sua cella, così l’innamorato non ha gloria, nel saper contare i pezzi del suo cuore infranto.
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clairesunflowers · 1 year
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Abbiamo una Role Play su whatsapp dedicata a Mare Fuori, chi vuole partecipare lo scriva nei commenti.
I personaggi che mancano sono:
Filippo
Beppe
Pino
Viola
Totò
Kubra
Teresa
Il comandante (Massimo)
Gemma
Ambra
Lino
Milos
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