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#mia giraud
gt-icons · 9 months
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sciatu · 2 years
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LE TAVOLE DI JEAN GIRAUD (MOEBIUS) PER IL TENENTE BLUEBERRY
Nel piccolo paese c’era un piccolo cinema dove andavamo a vedere i film. Vedevamo in particolari i film in costume e quelli di cow-boy e quest’ultimi erano quelli che preferivamo. Durante la proiezione mia nonna entrava nella sala buia e mi cercava tra i ragazzi seduti. Io stavo sempre al centro vicino allo schermo così che mi sembrava di essere in mezzo alla scena. La nonna si avvicinava al primo ragazzo seduto dove iniziava la fila di poltrone nel cui centro io osservavo ipnotizzato lo schermo. Al ragazzo la nonna dava la merenda: pane e salame, pane con il pomodoro o un triangolo di pane scavato nel mezzo e riempito di olive schiacciate sott'olio. Il primo ragazzo della fila lo prendeva e lo passava a quello accanto a lui e così via, fino a che il panino mi arrivava e mentre nello schermo i cow-boy mangiavano bistecche o carne di bufalo, io mi mangiavo il panino con le olive imitando il loro modi di mangiare sguaiato e esagerato. Il giorno dopo nella fiumara giocavamo sempre ad indiani e cow-boy e noi eravamo sempre gli indiani, perché erano quelli più vicini alla natura ed avevano dei bei cavalli pezzati. Così correvamo tra i cespugli di oleandri immaginando di essere in una preteria o tra i filari di pioppi immaginando di essere in mezzo ad enormi sequoie. Il fiumiciattolo in fondo alla fiumara era il Rio Verde e Fort Alamo era dopo gli orti dove la fiumara si stringeva e rocce rosse sovrastavano gli stagni dove le rane gracidavano. Correvamo sui nostri pony, sparavamo, cadevamo, ci rialzavamo e tiravamo le nostre infallibili frecce, liberi e selvaggi come erano gli indiani. La fiumara ovviamente non era il deserto del Mojave e Laredo era diversa dal gallinaio abbandonato che circondavamo e colpivamo con le frecce e le pallottole dei nostri winchester fatti con le canne del fiume. Ma quello che non era, noi lo vedevamo con la nostra fantasia e tutto quello che non avevamo, lo inventavamo tra i filari di alberi di limoni e l’ombra dei grandi olivi. A volte, dall’alto dei monti, vedevamo la grande prateria azzurra dove correvano i bisonti. Da qualche parte dentro di me sono rimasto indiano e corro nell’irrealtà del mondo sul mio pony pezzato fatto di versi e racconti. Con orgoglio posso dire, di non essere mai cresciuto.
In the small town there was a small cinema where we went to see films. We saw in particular the costume films and those of cowboy and the latter were the ones we preferred. During the screening, my grandmother entered the dark room and looked for me among the seated boys. I was always in the center near the screen so it felt like I was in the middle of the scene. The grandmother approached the first seated boy where the row of armchairs began, in the center of which I observed the screen hypnotized. The grandmother gave the boy a snack: bread and salami, bread with tomato or a triangle of bread dug in the middle and filled with crushed olives in oil. The first boy in line would take it and pass it to the one next to him and so on, until the sandwich reached me and while on the screen the cowboys ate steak or buffalo meat, I ate the sandwich with olives imitating their ways of eating coarse and exaggerated. The next day in the creek we always played Indians and cowboys and we were always Indians, because they were the closest to nature and they had beautiful piebald horses. So we ran among the oleander bushes imagining we were in a praeteria or among the rows of poplars imagining we were in the midst of huge sequoias hood. The little creek was the Rio Verde and Fort Alamo was after the gardens where the stream narrowed and red rocks overlooked the ponds where the frogs croaked. We ran on our ponies, fired, fell, stood up and shot our infallible arrows, free and wild as the Indians were. The creek was obviously not the Mojave desert and Laredo was different from the abandoned henhouse we surrounded and hit with the arrows and bullets of our winchesters made from river reeds. But what it wasn't, we saw it with our imagination and everything we didn't have, we invented it among the rows of lemon trees and the shade of the large olive trees. Sometimes, from the top of the mountains, we saw the great blue prairie where the bison ran. Somewhere inside of me I remained Indian and I run into the unreality of the world on my dappled pony made up of verses and stories. I can proudly say that I have never grown up.
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lauragrazz · 3 years
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Anatomia del Mignottone Pazzo
Se metti la foto che piagni sei patetico, se metti la foto co’ le zinne de fuori sei sia patetico che sottone, quindi cos’ho fatto io il giorno dopo che me so’ mollata?
Er mignottone pazzo.
Ho messo tipo una sorta de stories, dove c’era io co’ le zinne de fori, co' le canzoni de Tiziano Ferro, diciamo che era un po’ una sorta di pietà di Michelangelo social… e quindi noi pensiamo che fare il mignottone pazzo ci riporti la persona da noi.
Non so se voi conoscete il mignottone pazzo, lo conoscete?
- Michela Giraud
Ti ha lasciata, ti ha tradita con la vicina di casa, ti ha ghostata (scusate amanti della lingua italiana) dopo un appuntamento romantico, ti ha dimenticata dopo aver attentato ai tuoi sentimenti con una frase indimenticabile (“Ciao, che fai?” oppure “Ehy - questi scrivono sempre Ehy con la “H” e la “Y” - come va?”). Insomma, hai lasciato il tuo cuore alla mercé di qualcuno che ne ha fatto cocci. Il tuo cervello smette di ragionare, nella tua pancia quel dolore sordo che neanche Lello (figlio di Fedez e Chiara F.) che mormora “La sorellina…” potrà lenire. Che fare?
Step 1. Ti incazzi, piangi, invii whatsapp e messaggi vocali agli amici (che ti hanno silenziato per un anno), ti chiedi perché sia successo, invochi la morte, invochi la morte per il tuo carnefice, invochi almeno un herpes genitale. Eppure niente, stai ancora soffrendo.
Step 2. Guardi sui social, monitori che fa e che non fa, vedi l’ultimo accesso, vedi le nuove follower su Instagram (“Si vede che sta di nuovo su Tinder”), elimini le foto insieme, cambi la password di Netflix (“Vuoi divertirti? Non con i miei 11,99 euro”) e soprattutto “No Facebook, il ricordo di noi che festeggiavamo il compleanno della nonna non lo voglio vedere, mostrami meno contenuti di questo tipo, mannaggia a te Mark, di prima mattina”. Blocchi, elimini, archivi. Per un attimo ti senti pure meglio, eppure bastano pochi minuti e no, ancora rosichi.
Allora nel silenzio, interrotto solo dalle tue viscere che si contorcono al ritmo di chittemmuort’, senti una voce. Sono loro, gli stivaletti rossi con il tacco a spillo che hai comprato a una svendita nel 2009. Oppure loro, gli shorts che hai smesso di mettere da quando la tua amica Claudia ti ha detto che erano troppo troppo short. O forse lui, quel body con il pizzo che se un campeggiatore accende un falò di ferragosto al Campeggio La Liccia di Santa Teresa di Gallura tu prendi fuoco (e c’è il Mar Mediterraneo di mezzo). “Uuuuusaciiiiii… Indossaciiiii… E finalmente capirà… Quale gemma fulgente ha perso…” - dicono ululanti.
L’ho detto all’inizio, il tuo cervello ha smesso di ragionare. I nodi della razionalità che ti ancoravano alla tua dignità si sciolgono, come Ulisse con le Sirene la voce di quei turpi indumenti ti avvinghia, e ti sembra davvero una buona idea togliere il mollettone rosa o la felpa di acetato con le tasche piene di fazzoletti vecchi o i pantaloni smollati di cui hai perso l’elastico in lavatrice, e dare il via all’operazione “Mignottone Pazzo”. Come saprà chiunque viva in Italia e abbia meno di 82 anni, la teorica della figura del Mignottone Pazzo è la comica Michela Giraud, una dei partecipanti di LOL - Chi ride è fuori, lo show comico disponibile su Amazon Prime in cui 10 comici sono chiusi in un teatro per sei ore con una sola regola: non ridere.
Il (o “lo” come pneumatico?) MP è un personaggio ferito sì, ma non sconfitto, e se è vero che ha perso una battaglia, si accinge però a vincere la guerra.
Il piano è quello di creare un contenuto - una foto, o un breve video - che deve essere sensuale, ma discreto (non deve urlare “Disperazioneeee”); bello ma modesto, ed assolutamente non posticcio, ma semmai un normale selfie - solo in apparenza - di qualcuno che sta andando a divertirsi un mondo e ha detto “Cià (o per i non-lombardi ‘Orsù’), mi faccio una foto” (capite pure la difficoltà durante la pandemia di far credere a qualcuno che quel tacco te lo metti per andare all’MD). Il suddetto contenuto va pubblicato nelle storie di Instagram, perché sia effimero (non deve rovinare la aesthetic del mio feed, e soprattutto non deve vederlo Zia Titina) e perché si possa poi speculare sui suoi fruitori (ha visualizzatoo???).
Dal punto di vista semiotico, il MP esperto sa che la cosa più importante è dosare: o lo stivaletto, o lo shorts, o l’eyeliner o il rossetto; o la canzone, o l’espressione assorta e dolente. Il MP dedica poi il giusto tempo alla ricerca della citazione perfetta: conosciuta ma non troppo, e che faccia capire che il MP è anche colto (adatto all’uopo ad esempio un verso di Wislawa Szymborska), criptico per gli altri, ma non per il suo destinatario, che, colpito da quelle parole, risponderà sicuramente all’appello visivo con un “Oh Ninfa dalla multiforme beltà, come ho potuto io anche solo per un momento poter pensare di vivere questa vita mortale da te lontano?”. Il MP elabora il piano diabolico e finalmente soddisfatto, a endorfine attivate, si appresta dunque alla creazione dell’arma letale, che porterà la pace e la gioia nella sua vita amorosa.
A questo punto però le comunicazioni si interrompono. Terra chiama Mignottone Pazzo e Mignottone Pazzo non risponde. Il dolore ha disattivato l’antenna. Il senso di abbandono ha intasato le centraline. La voglia di rivalsa ha fatto cadere la comunicazione d’emergenza.
Lo vedi il Crazy Mignottone. Ha messo lo stivaletto, ha messo i pantaloncini giro-pudenda, ha messo pure il body incendiario. E l’eyeliner. E quel rossetto con i glitter comprato per la festa di Natale del 2019 e mai più usato (ha qualche grumo). Ha scattato una foto sovraesposta, oppure un boomerang in bianco e nero dove sembra un robot impazzito. Sceglie la canzone dalla funzione musica, digita “T…”. Sarà di sicuro Tenco Luigi. “Ti…”. Tiromancino? “Tizia…”. Sarà certamente la canzone “Sarà quel che sarà” di Tiziana Rivale, vincitrice di Sanremo 1983. Sicuro, certo. E invece no, è “Tiziano Ferro” ed è proprio lei, Sere Nere, la canzone che fa venire voglia di lasciarsi anche quando si è felici solo per essere veramente tristi e cantare con voce tremante “Perchè fa maale, maaale, maaale, da morire… senza te”. Ed è qui che il MP pone il carico da novanta e aggiunge pure il testo, per sottolineare il messaggio (finora appena decifrabile dai più sensibili degli spettatori).
Il dito va su “La mia storia”, il Mignottone è pronto a pubblicare. Il dito sospeso, si interrompe per un attimo, pensa, gli occhi fissi allo schermo. Poi bofonchia “ma crepa” e va. Pubblicato.
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everpeasant · 3 years
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The Cross of Lorraine
The empty cemetery is cold. No love, no laughter. Names carved into stone or granite are set to mark the spot to loved ones. For children to show their children, and their children. But as the generations go on, is this tradition continued? Time marches forward. Names fade from stone. Sometimes surviving families replace the headstone, cutting deeper into the stone in a vain attempt for their ancestor to be remembered. Yet this will most likely be the last time they visit. Names being the only trace of life. After all, who comes to the 100th anniversary of a death? Snow softly lands on a gravestone it reads Aurore Soyer 7/21/1901 - 8/12/1941. On the same plaque read Lucien Soyer 2/24/1898 - 5/3/1944. Engraved above Lucien’s name was the Cross of Lorraine. Next to these were two stones that read “Soyer Baby 1936” “Soyer Baby 1938”. An older man stands above the Soyer family graves. His face and eyes retain a sadness that permeates from him. The show turns to ash around him. The chill does not bother him, it is a memory to him. He bends down slowly, trying not to break any more bones. His outstretched hand wipes the snow from the gravestones. Staring back at him in the reflection of the granite was his face. So old, wrinkles seemed to be the foundation, eyes sunken and dead, moving only on instinct, not on emotion or desire. He sees the glistening in the reflection, remembering why he came he grabs at it and holds the small medal in his hand. The cross of Lorraine. He places it on his old friend's stone. Taking a single moment of quiet reflection, he does something that he has not done in quite some time. He wept. The tears glide down from his eyes, they burn with icy cold, inserting their way into the cavernous wrinkles of his face. After a long pause, he steps back. His tears freezing off of his face.   He looks to the gates but knows that he should honor the rest. Turning around he marches forward. Glancing at the names carved into stone, not giving them more attention than he can emotionally offer. Lumiere 1941, Lacroix 1942, Giraud 1941, Rigal 1943, Chauveau 1944. Some names he recognizes yet does not remember why. Maybe an old lover, or a friend. A Shoesmith, or a teacher. It is all a blur for an old man with a dusty brain. The names seemingly go on for endless rows. He balls his fist. They shouldn’t have been taken. Not one. Not when the battle began, not during the occupation, not during the summer of 44’. Hopes, dreams, all ended with the piercing steel of SS bullets. Some were executed, some fled, others fought. The old man remembers fighting the enemy in his own home, in the town square, in the halls of Le Meurice. There are more than this. More lives snuffed out during a casual slaughter. They will not be remembered, only being counted as a number on a government statistic entitled MIA. The old man begins to make his way out of the cemetery. He passes a young man, who is standing above a freshly dug grave. Their eyes meet and exchange a look of understanding, and pity. The old man puts his hand on the young man's shoulder for a moment, then walks on. He passes by the Soyer grave, it is now completely covered in snow.
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Brigitte Giraud, L’ amore è sopravvalutato (Foto mia)
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gt-icons · 8 months
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gt-icons · 8 months
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