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#la più bella poesia d amore
francesco-nigri · 11 months
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Quest'amarti
Quest’amarti celebrando Dante e Beatrice tra ieri ed oggi .. Non t’incontrai bambino nei tuoi prati se non nel sogno quindicenne acceso né ai tuoi viali in sguardo che saluta amor che in palpito sussurra il fiato ma sempre mi rosi di tal miraggio che m’ove cose e disvia ’ntelletto .. E quando c’incontrammo amore mio non vi fu catena che resse anelli arrugginiti al nulla e gli…
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stregh · 5 months
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Kahlil Gibran
Si chiamava Kahlil Gibran ed è noto soprattutto per il suo libro "Il Profeta". Il libro, pubblicato nel 1923, venderà decine di milioni di copie, diventando il terzo poeta più venduto di tutti i tempi, dopo Shakespeare e Laozi.
Lo chiamavano "sporco" perché la sua pelle era scura, non intelligente perché parlava a malapena l'inglese. Quando arrivò in questo Paese, fu inserito in una classe speciale per immigrati. Ma alcuni dei suoi insegnanti videro qualcosa nel modo in cui si esprimeva, attraverso i suoi disegni, attraverso la sua visione del mondo. Presto avrebbe imparato la sua nuova lingua.
Sua madre aveva preso la difficile decisione di portare lui, le sue due sorelle minori e un fratellastro in America, alla ricerca di una vita migliore per la loro famiglia. Si stabilirono nel South End di Boston, all'epoca la seconda più grande comunità siro-libanese-americana. La famiglia avrebbe dovuto lottare e il ragazzo avrebbe perso una sorella e il fratellastro a causa della tubercolosi. Sua madre morirà di cancro.
Scriverà: "Dalla sofferenza sono emerse le anime più forti; i caratteri più massicci sono segnati da cicatrici".
Nacque in povertà il 6 gennaio 1883 nell'attuale Libano.
Credeva nell'amore, credeva nella pace e credeva nella comprensione.
Si chiamava Kahlil Gibran ed è noto soprattutto per il suo libro "Il Profeta". Il libro, pubblicato nel 1923, venderà decine di milioni di copie, diventando il terzo poeta più venduto di tutti i tempi, dopo Shakespeare e Laozi.
Pubblicato in 108 lingue in tutto il mondo, alcuni passi de "Il Profeta" vengono citati ai matrimoni, nei discorsi politici e ai funerali, ispirando personaggi influenti come John F. Kennedy, Indira Gandhi, Elvis Presley, John Lennon e David Bowie.
Era molto schietto e attaccava l'ipocrisia e la corruzione. I suoi libri sono stati bruciati a Beirut e in America ha ricevuto minacce di morte.
Gibran fu l'unico membro della sua famiglia a seguire un'istruzione scolastica. Alle sue sorelle non fu permesso di andare a scuola, principalmente a causa delle tradizioni mediorientali e delle difficoltà economiche. Gibran, tuttavia, fu ispirato dalla forza delle donne della sua famiglia, in particolare della madre. Dopo la morte di una sorella, della madre e del fratellastro, l'altra sorella, Mariana, avrebbe mantenuto Gibran e se stessa lavorando in una sartoria.
Di sua madre scriverà:
"La parola più bella sulle labbra dell'umanità è la parola 'Madre', e il richiamo più bello è quello di 'Mia madre'. È una parola piena di speranza e di amore, una parola dolce e gentile che viene dal profondo del cuore. La madre è tutto: è la nostra consolazione nel dolore, la nostra speranza nella miseria, la nostra forza nella debolezza. È la fonte dell'amore, della misericordia, della simpatia e del perdono".
In seguito Gibran avrebbe sostenuto la causa dell'emancipazione femminile e dell'istruzione.
Credeva che "Salvaguardare i diritti degli altri è il fine più nobile e bello di un essere umano".
In una poesia rivolta ai nuovi immigrati, scriveva: "Credo che possiate dire ai fondatori di questa grande nazione. Eccomi qui. Un giovane. Un giovane albero. Le cui radici sono state strappate dalle colline del Libano. Eppure sono profondamente radicato qui. E vorrei essere fecondo".
Scriverà in "Il Profeta":
"Lasciate che ci siano spazi nella vostra unione, e che i venti del cielo danzino tra di voi. Amatevi l'un l'altro, ma non create un legame d'amore: Sia piuttosto un mare in movimento tra le sponde delle vostre anime. Riempitevi a vicenda il calice, ma non bevete da un solo calice. Datevi l'un l'altro del vostro pane, ma non mangiate dalla stessa pagnotta. Cantate e danzate insieme e siate gioiosi, ma lasciate che ognuno di voi sia solo, come le corde di un liuto sono sole anche se fremono della stessa musica. Date i vostri cuori, ma non l'uno all'altro. Perché solo la mano della Vita può contenere i vostri cuori. E state insieme, ma non troppo vicini: Perché le colonne del tempio sono separate, e la quercia e il cipresso non crescono l'uno all'ombra dell'altro".
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iltrombadore · 3 years
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L’Egenio Oneghin, Puskin e il primo dèmone del nichilismo russo
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Il ritratto di Eugenio Oneghin che Puskin dipinge nel primo capitolo del suo romanzo in versi offre più di un motivo a chi voglia apprezzare la qualità di una poesia non riducibile alle maniere romantiche della tradizione europea. Vi è nella coloritura del personaggio di Onegin una baldanza e un ritmo canzonatorio (e anche di ‘canzone’) che travalica le affettazioni di altri acclamati eroi  ‘byroniani’, inclini a suggellare nel disincanto una sorta di passionale autoaffermazione.
In Onegin la erosione dell'ideale non esalta la personalità individuale ma la dispone al gioco distruttivo fine a sé stesso della ironìa. Proprio perché in lui non vive più la coscienza di un ‘io’ da opporre al mondo ma la percezione di un distacco irrimediabile dal senso e dalla esperienza collettiva. Entra in funzione un elemento tipico dello spirito russo quando  perde lo stimolo alla coralità ("Il popolo compone, noi ci contentiamo di elaborare",disse il contemporaneo Glinka, enunciando indirettamente le condizioni della esperienza estetica e lirica russa).
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Seguiamo lo sguardo di Puskin sul protagonista: Onegin si afferma nel dettaglio, nel ritmo di un carattere individuale come la silhouette di un figurino su carta. Vi si nota un’ immedesimazione quasi autobiografica e compiacente che bordeggia il tono sarcastico quando Eugenio entra in società abbigliato come un ‘dandy’ all'ultima moda -ovviamente ‘di Londra’- e parla perfettamente francese ballando la polacca mazurca con tanto di inchino (‘volete di più? Per la gente/ era assai caro e intelligente’).
Sulla innaturalezza dello Onegin giovin signore occidentalizzato e pietroburghese, ’artificiale’ come la sua città, si concentra il nucleo della ispirazione poetica: ne derivano antitesi efficaci e congeniali ad una melodia dei versi che lascia trasparire l' ordito di un dramma  appartenente alla Russia risvegliata alla modernità del  secolo XIX. Onegin, si sa, ‘aveva il dono fortunato/ di sfiorare in conversazione/ agevolmente ogni argomento’; e da ‘bravo alunno delle mode’ derideva Teocrito e Omero, ‘ma Adamo Smith però leggeva’ e non era punto dalla minima voglia ‘di rovistare in profondo/ la polverosa storia del mondo’.
Eugenio Onegin appare il protagonista di un già annunciato fallimento: è in sé stesso una caricatura, un derivato, il prodotto psicosociale di un connubio impossibile, anima ‘russa’ e ‘moda’ europea. Un ritratto intraducibile al punto che il dettaglio, dice ironicamente Puskin, non si può riferire senza l'ausilio della espressione forestiera: ‘ma parola russa non c'é/ per 'pantalons','frac' e  ‘gilet'… ".
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Nell'animo del poeta, del decabrista, del raffinato intellettuale Puskin si agitano molte passioni: cosa è veramente Onegin? Ci si può leggere il suo autoritratto? Nella scrittura poetica Puskin diventa lo spietato osservatore della sua immagine pubblica, mondanamente ridotto a letterato alla moda tra  appuntamenti cortesi, salotti e spettacoli di teatro.
E' una dissociazione che si riconosce al momento di definire il suo disagio di vivere: quasi uguale al britannico ‘spleen’ ma esprimibile piuttosto con la parola russa ‘chandrà’, uno stato dell'anima che guarda freddamente alla vita (‘nulla ormai più lo smuoveva/ di niente più si accorgeva"…).
E' la presenza della ‘chandrà’ a suggerire il motivo nichilistico che sostiene l'andamento del poema. Esso procede per otto capitoli che snodano il romanzo in versi tra puntigliose descrizioni di oggetti, azioni, ambienti e situazioni umane .
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L' amore ‘wertheriano‘ appare sottotono come appendice della trama la quale va oltre il destino dei personaggi -da Tatiana a Lenskij alla volubile Olga- e non suggerisce architetture conclusive proprio perché non vi è altro al di fuori dell' avventura senza limiti e cioè sprofondata nel ‘nulla’ di Eugenio Onegin, questo ‘dandy’ insoddisfatto della sua identità la quale ormai gli appare come abito tagliato in foggia d'altre lingue, d' altre culture, d' altre civiltà.
Ben oltre il tributo alle nuove mode poetiche – ‘quello stile oscuro e fiacco-scrive Puskin-che chiamiamo Romanticismo’- siamo in presenza di una temperie espressiva corrispondente ad elementi tipici dello ‘spirito russo’, al contrastato rapporto con la cultura occidentale europea, abito troppo misurato per un sentimento che si riconosce nella perdita di misura, quando abbandona le vie di una liturgìa dei suoni, delle immagini, delle parole tradizionali.
Puskin supera molti codici espressivi riducendoli alla vena sincera di un canto che mescola citazioni culturali  a motivi della tradizione russa: dalla invocazione alla terra (con omofonìa tra l'oraziano ‘O rus!‘ e la parola Russia) ai romanzi di formazione (Rousseau, Richardson) a Shakespeare e Chateaubriand, tutto è ragione di presentare l'anima bella di Tatiana, questa Gretchen col samovàr destinata ad incarnare la persistenza di costume morale, grazia e  regola, che aveva  nel nome sentore ‘di antichità e di serva’, stemperando il suo sentimentalismo nel gioco permanente delle felici abitudini’.
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E spetterà significativamente a Tatiana, personificazione dei valori tradizionali, il ruolo di eroina di una catastrofe da camera come quella dell'amore non corrisposto da Onegin e vissuto idealmente-letterariamete come vuole la ‘moda romantica’, come il ribelle infelice Werther o il senza pari Grandison (‘che invece a noi fa venir sonno’). E sarà Vladimir Lenskij, l'amico aspirante poeta, innamorato e tradito dalla vivace Olga, testimone ancor più fedele di un certo sentimentalismo mescolante ‘Lindori e Leandri del cuore’ con la lettura di Chateaubriand e Goethe per avvincere nel tono elegiaco il cuore della amata.
Sappiamo come andrà a finire: con Tatiana respinta e congiunta in matrimonio ad un onesto benestante e Lenskij ucciso in duello dall'amico Onegin dopo avere egli teso con successo una trappola di seduzione ad Olga durante un ballo in una residenza di campagna.
Morale: sono i sentimentali e i beneducati a soccombere nel gioco della vita, o pure nel sogno leggero di un gioco passionale ‘accomodato’ da versioni letterarie, o meglio inautentiche. Così il pensiero poetante e ‘spiritoso’ (‘Geistreich’, ricco di spirito, aveva scritto Hegel nella Fenomenologia sul potere della ironìa ) perviene ad una composizione davvero ‘diabolica’ del  romanzo in versi,  capo d'opera della letteratura russa.
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Onegin, eroe del tempo moderno, è già in qualche modo aldilà del bene e del male, supera l'orizzonte romantico ed anticipa nel connubio caratteriale di freddezza e ironìa la temperie di un Kirillov e di un Raskolnikov.
Non a caso Dostoevskij  apporrà in calce a  ‘I dèmoni’ i versi di una omònima poesia di Puskin la cui allusività è più che eloquente: ‘...Non c'é traccia! Siamo perduti, cosa fare? / Un demònio ci conduce per il campo / e ci fa girare di qua e di là / Quanti sono ? Dove ci portano ? / Perché si lamentano così ? / Forse seppelliscono un folletto / O pure celebrano le nozze di una strega....’.
Quel che in Dostoevskij è definizione psicologica in Puskin è azione, situazione, ambiente e fisiognomica. Onegin mette in scena con più di mezzo secolo d'anticipo il tipo  del dèmone dostoevskijano. Questo profilo umano che lascia dietro di sé la romanticheria letteraria e fissa lo sguardo senza mèta del nichilismo non fu perseguito da Puskin in consapevolezza piena: ma scomponendo i tratti della sua stessa personalità-metà Onegin, metà Lenskij- egli ottenne uno straordinario effetto lirico con voce narrante fuori campo che assume i tratti del canto popolare, storia sceneggiata da intepretare coralmente in una pubblica recita di versi.
Non a caso del resto la lettera d'amore di Tatiana a Onegin è mandata a memoria ancora oggi dalle ragazze russe (‘…Perché da noi siete venuto ? / In questo villaggio spento / io non avrei mai conosciuto / né voi né il mio aspro tormento…’) e tutto il poema in versi è ricco di digressioni (paesaggi di Russia, coloriture fiabesche, vita di campagna, canti di giovincelle in primavera, vita di società, inverni ghiacciati, sogni divinatori) che sposano il sottile e raffinato gusto letterario ad un impulso emozionale di grande portata per la vita russa, i suoi colori, le sue forme, le sue immagini inconfondibili.
Se molti guardarono a Puskin come fonte di ispirazione letteraria o musicale lo si deve alla sua capacità di riassumere i più disparati fattori del sentimento russo. Anche l' occidentalizzante Ciaikovskij nel suo arioso sinfonismo lo amò (come del resto per altri versi Musorgskij) riconoscendovi gran parte di quel  patetismo eloquente che pure gli apparteneva: languore ed esultanza, attimi di esaltazione e di depressione, e la capacità di stemperare in architetture brillanti e garbate le pulsioni del sentimento.
Temperamento lirico, amante del ritmo nella parola e nella strofa, Puskin si nutre della intensità di immagine e del suo potenziale figurativo (amico e protettore di pittori, è da ricordare la sua intimità col raffinato ritrattista di gran dame, Brijullov). Valga la precisionedi dettaglio, istante, sensazione e immagine con cui si narra un attimo del duello tra i due ex amici, Onegin e Lenskij: "…Brillano le pistole / lucenti e sollevate contro il sole./ Si sente già picchiettare / la bacchetta, i piombi che entrano / in canna e il cane scattare. Grigiastro rivolo scende / nel fondello la polvere, mentre / rialzano l'acciarino avvitato / stretto....".
In questa poesia del particolare Puskin rivela originali qualità per il motivo lirico dell'immagine che scandisce ritmi di azione, modula i toni della parola in una perfezione di verso. Capriccioso e folleggiante, temperamento visivo e rappresentativo, Puskin ebbe il merito di fare ‘poesia solenne, grandiosa e come fuori del tempo con elementi e oggetti particolari, minuti, consistenti, insomma quotidiani e contingenti’( T. Landolfi). In questa paradossale leggerezza è tutta la sua profondità: il fine intellettuale allevato alla scuola europea, il decabrista non slavofilo, l' uomo elegante attraversato dalle passioni, poteva solamente accennare al profilo di una vita morale della poesia.
Ma il suo Onegin, nato come romanzo byroniano, prese col tempo una andatura che rovesciava le sue premesse, mettendone radicalmente in dubbio la consistenza. E quel progressivo rigetto di moduli romantici, oltre a segnare il più autentico travaglio del poeta, avrebbe anticipato la fioritura successiva di una delle più straordinarie stagioni della letteratura russa.
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giancarlonicoli · 4 years
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26 ott 2020 19:41
LUCHERINISSIMO! ''CLAUDIA CARDINALE UN PO' MALMENATA (SI DICEVA) DA PASQUALE SQUITIERI LA CHIAMAVAMO 'BELLA DI BOTTE'. I DUE DE LAURENTIIS: MOMENTI DI BORIA. GIULIANA DE SIO: LA MELATO IMMAGINARIA. ELEONORA GIORGI: BIONDA FRÉGALO. SERENA GRANDI: SOTTO IL VESTITO GENTE'' - RICORDI E SUCCESSI DEL PRIMO PRESS AGENT ITALIANO: LA PARRUCCA A FUOCO DELLA MILO, LA GUERRITORE CON LA TELECAMERA IN POSTI PROIBITI. E LO SPETTACOLO TEATRALE CHE ORA DOVRÀ RIMANDARE…
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Rodolfo di Giammarco per “la Repubblica - Edizione Roma”
«Tutti i palcoscenici, i set e le opportunità della mia vita hanno a che fare con Roma. Dopo due anni di Medicina all' università per far contento mio padre, a piazzale della Croce Rossa incontro ragazze e ragazzi che m' invogliano a fare un provino all' Accademia Nazionale d' Arte Drammatica, entro, e studio recitazione» ricorda parlando a raffica Enrico Lucherini.
«E quando lì il maestro Orazio Costa mi dice di fare "Edipo Re", e qualcuno commenta 'Ecco Edipo ai Parioli', capisco che sono un cane, me ne vado, ma una collega, Rossella Falk, mi convince a lavorare con la Compagnia dei Giovani insieme a Romolo Valli e Giorgio De Lullo, e giriamo l' Italia, andiamo in tournée in Sud America con sette commedie dove dico solo tre parole, e intanto assisto ai lanci dei nostri spettacoli a Montevideo, Lima, Caracas e Santiago, e quando torniamo in Italia m' invento la professione di press-agent».
Oggi Enrico Lucherini, energico 88enne, ha all' attivo, come testimoniano mostre antologiche e docufilm, la bellezza di 582 eventi da lui curati, valorizzati, resi clamorosi.
I primi spettacoli dal vivo da lei lanciati in che sale della Capitale figuravano in programma?
«Feci un' esperienza non facile all' Eliseo nel 1960 con un allestimento coraggioso di Visconti come "L' Arialda" di Testori che suscitò polemiche, censure e dissensi, con Luchino che rispose al pubblico col gesto dell' ombrello, e con Morelli-Stoppa, e Orsini, che manifestarono per protesta davanti al Quirinale. Poi al Valle nel 1965 mi sono occupato de "Il giardino dei ciliegi" sempre con regia di Visconti, ancora con Morelli-Stoppa, nel cartellone del Teatro Stabile della Città di Roma. Al contrario di allestimenti dolorosi e di routine, era un Cechov tutto fiorito e di color rosa, e ce l' ho nel cuore. Ma ricordo con uguale entusiasmo anche il battage per l'"Adelchi" di Vittorio Gassman nella tenda-circo piazzata nei pressi dell' Hotel Parco dei Principi. Che avventura nuova!».
All' inizio degli anni Sessanta lei è stato parte integrante della comunità notturna di via Veneto...
«Si andava al cinema, c' erano solo due locali importanti allora, e poi senza dircelo ci ritrovavamo tutti lì, in fazioni separate. Da Doney c' era il clan Visconti con Patroni Griffi, La Capria, Rosi. Di fronte, al Cafè de Paris, c' erano Flaiano, Fellini, Gassman e la Ferrero, De Feo, Talarico. Più su da Rosati c' erano i più seri e composti, tipo Antonioni e la Vitti, il regista Franco Indovina con Soraya, magari il Re Faruk con la cantante lirica Irma Capece Minutolo (che ribattezzammo Irma-capace-di-tutto).
Fioccavano i soprannomi.
Claudia Cardinale un po' malmenata (si diceva) da Pasquale Squitieri: Bella di botte. I due De Laurentiis: Momenti di Boria. Giuliana De Sio: la Melato immaginaria. Eleonora Giorgi: Bionda frégalo. Serena Grandi: Sotto il vestito gente. L' agente Carol Levi: L' onore dei prezzi...».
Intanto lei sfornava dovunque promozioni clamorose e s' era alleato con bravi paparazzi...
«Operavo anche in società. Dopo gli incarichi ricevuti per "La notte brava", "La ciociara" e "Il Gattopardo" chiesi aiuto a Matteo Spinola. Ed ebbi una fortuna sfacciata, che un po' m' andavo a cercare. Tra le prime cose che mi aiutarono a far rumore ci fu la richiesta dello sceneggiatore Gualtiero Jacopetti di dargli una mano per promuovere il film " Il mondo di notte" a base di spogliarelli: coinvolsi una regina dello strip- tease, Dodo D' Hambourg, la introdussi nell' inaugurazione di sei vetrine del sarto Emilio Schuberth a via Condotti, le chiesi di mostrarsi completamente nuda buttando via di colpo la pelliccia di zibellino, e ottenni che i fotografi urlassero, e che Schuberth ci cacciò furente dal suo atelier. Ma il giorno dopo eravamo su tutti i giornali».
Lei in quest' ambiente vanitoso, interessato, e pronto a qualsiasi colpo di scena, ha mai avuto amicizie serie, legami umani?
«Ho voluto bene a Luchino Visconti, Peppino Patroni Griffi, Vittorio Gassman e Marcello Mastroianni».
Può confessare una sua gaffe, un suo pauroso incidente professionale?
«Un giorno mi telefona Antonioni, mi prega di andare da lui alla Collina Fleming. Trovo in casa Monica Vitti, piuttosto cambiata da come l' avevo conosciuta in Accademia. Lui ha in mano la sceneggiatura di "Deserto rosso". Lei tocca la coda d' un pianoforte e dice 'Michele, viene, mi parla', a me lì per lì sfugge un 'Che dice?', e tutti e due mi guardano come se avessi rotto la poesia. Penso d' averla fatta grossa, ci salutiamo, vado via, e poi però vengo incaricato del film, e in seguito ho assistito Monica per i suoi film comici».
Tra circostanze a rischio e geniali trovate innocue, quali momenti del suo mestiere l' hanno divertita di più?
«Nella bolgia per la ballerina attrice turca Aiché Nana spogliatasi al Rugantino io c' ero, e il fotoreporter Secchiaroli mise in tasca a me i rullini quando fu perquisito dalla polizia, e l' ultima pagina dell' Espresso uscì inondata da quelle immagini. Con un' ambulanza salvai Agostina Belli che stava morendo in cella in un film agli Studios sulla Tiburtina. Calcolai bene come lanciare Sandra Milo sul set di "Vanina Vanini" facendole andare a fuoco la parrucca che io, Rossellini e Terzieff le strappammo un po' a fatica. In una conferenza organizzai un feroce litigio tra Monica Guerritore e un produttore accusato di aver messo una cinepresa non autorizzata che la riprendeva in certi punti chiave del corpo: un bluff.
Terrorizzai la Cardinale facendole accarezzare un ghepardo per il film "Il Gattopardo". Ma mi vanto d' aver fatto accettare a Sofia Loren la foto-manifesto disperata e violenta per "La ciociara". Mi piacque sorprendere i giornalisti a casa mia facendo loro scoprire dietro una porta Pieraccioni che leggeva un brano de "I laureati", o portare la stampa dietro le quinte del debutto di "D' amore si muore" di Patroni Griffi per svelare che il rumore del mare si doveva al rullio di sfere dentro un tamburo. Adesso a dare il buon esempio ci pensa il mio socio Gianluca Pignatelli».
Quando non deve sostenere un' impresa artistica, che Roma cerca e riconosce sua?
«Mio padre mi cacciò di casa e mi comprò un ufficio ai Parioli, in una traversa di Viale Parioli. Fuori dal lavoro andavo al Bar della Pace, ma ordinariamente vado con giornali e riviste al bar Cigno. Se capita, sono uno spettatore teatrale. Dopo le direttive di ieri, aspetterò che le sale riaprano. Io la stavo per far grossa: il 6 novembre avrei inaugurato, da attore, la stagione dell' Off/Off, con "C' era questo, c' era quello", raccontando memorie di tanto lavoro, accanto a un amico ingegnere, Nunzio Bertolami».
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oltreognilimitetu · 5 years
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Tu sei la mia poesia d amore più bella!❣
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dominick-ferraro · 3 years
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Ode lunga di una sera d'estate
Il mare bagna il mio corpo, con i suoi ricordi , con le sue carezze marine , mi trasporta dove la bellezza , incontra la vita , dove fischia il vento e passa distratto. Osservo la gente sulla argentea sabbia vedo in lontananza luccicare isole incantevoli , li vedo apparire ai confini di altre dimensioni , in altri sogni ed in altre vite spente , cosi presto . Nella dolce estate , lentamente matura in me l’amore ,mentre l’aura brilla intorno al viso della bagnante , sedotta dal fato. Ogni cosa muore mentre le muse , corrono a tuffarsi in fondo al mare. Non c’è più ragione per raccogliere il senso di questa poesia , poiché ella sgambetta libera sulla spiaggia si muove ancheggia, ormeggia dove vuole. Ed il caldo sole di giugno fa squagliare le mie membra e la bellezza diventa aspra come l’uva selvatica.
Vecchi versi sibillini affollano la mia mente , confusa in mille immagini liriche , sospiri di muse inseguite da fauni cafoni per strade desolate. Osservo in disparte, la sequenza di questo vivere e in questo sognare , mi desto con il corpo sudato , vorrei fuggire andare a New Orleans andare a capo vaticano, andare dove mi pare , dove il mattino si riposa dentro un vecchio sogno e tra le braccia di questa bellezza , mi emoziono sulla scia di vecchi versi e nel silenzio la danza della mia vita continua a svolgersi vorticosamente come presa dall’impeto da una furia omicida . E tutta la storia di questo mondo è un secchio di acqua tirato addosso ad un vagabondo e non c’è fuoco che bruci questo concetto impresso nella mia memoria . E non amore questo neppure una molla che comprime il getto di sangue di questa mia ferita amorosa. E la danza , continua per strade e sentieri per altri lidi . Bello il giorno, bella la sera, l’estate delle muse distese sulla spiaggia senza costume.
Rincorrendo le vicende dei giorni andati, rincorrendo un motivo d’una vecchia canzone cantata per i vicoli uterini ove splende il sole ad illuminare il soffrire dei suoi poveri abitanti.
Sconvolto , scivolo nell’ora calda che giunge ,presto sotto il braccio della morte. Odo uno sparo risuonare tra le campagne divorate da orde di cavallette affamate . Fermo in bilico sulla sponda d’un ricordo oltre il vano dire di politici , di ministri sinistri ,di ricercatori di favelle e novelle scritte per far sorridere grandi e piccini , il mare amante della terra e del cielo lambisce le coste dei miei versi.
Pagine di poesie , simile a germogli fioriti nel silenzio in solinghi meriggi. Fioriscono con questa ode lunga di una sera d’ estate appresso alle falene elettriche lungo l’africo , lungo il corso delle cose mute. Nella meraviglia di milioni di sogni , di tante generazioni mi desto dal mio dormire e dal mio morire. Senza ritrovare più il senso etimologico del comprendere l’immagine musicale trascritta dentro un pentagramma , impresso sulla tomba di una musa metropolitana.
Il cielo raggiante annunzia l’ apparire degli antichi eroi
Il ruggito del leone ,le costellazioni in armi,
l’innocenza del fanciullo rinasce nell’animo mio.
Ripercorro strade silenziose in compagnia di personaggi fiabeschi nel fitto bosco cittadino fatto di cemento e ferro.
Osservo gli orribili occhi d’un orco digrignante i denti
dietro un cespuglio.
Volo oltre quell’infausto muro inseguendo fate ed elfi.
Ogni cosa tace , svelando l’arcano mistero della vita.
Rinasco in seno ad un sofferto canto.
Scorrono le lacrime d’una ragazza durante il suo viaggio di ritorno
intrapreso con l’intera compagnia dei gitani
mano nella mano , senza chiedere nulla al domani.
Mostri e belve , incubi picareschi ,
vortici di parole stregoneschi, bocche di verbi arabeschi.
Impressionato dall’inganno del verso orfico
la graziosa favella echeggia nell’aria infetta.
Sinistri ditirambi ed altre ecloghe dal significato perverso
eclissi di prose senza senso emergono dal fondo della mia poesia. Avanzo con coraggio , m’ arrampico su i monti con l’armi in mano, gridando dalla sommità la libertà perduta , con tra le braccia un corpo morente. Mi arrampico sulle cupole delle chiese sui templi dal corpo di sfinge ,per salvare la mia bellezza e la mia innocenza.
Vado, verso una nuova stagione , attraverso l’antro della cumana sibilla , sfuggo allo sguardo di medusa.
L’ onde schiumosa s’ infrange sugli scogli mentre un palombaro scende cantando l’Aida in fondo al mare.
Nulla è chiamato con nome suo , perduta armonia , percorsi minimali ai margini di un foglio , un fiorire di speranze nel buio.
Soffrire, elevarsi e altre parvenze dello spirito poetico.
Seguire gli occhi della madre, il suo ricamare rime e altre storie
sul telo ove è impresso il ricordo del suo figliolo defunto.
Dolce e rammendare, meditando le mendiche spoglie di lui vagabondo per l’Ade. Mentre i fatui fuochi sui i colli nel cielo notturno , illuminano il declinare della sera nel suo spegnersi in miti sentimenti .Per un attimo si placa il ricordo nella mia mente di lei madre d’eterna estate . Cosi ogni cosa diventa men duro, accompagnato da un lieto canto in riva al mare di questa terra . Ed ogni cosa che ho scritto , era solo un canto di vita e d’amore ,un lungo percorso lirico , fatto per strade oscure che conducono al quel cuore che mi siede accanto lungo questa sera d’estate.
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sciatu · 6 years
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RACCONTO DI NATALE : IONA
Iona entrò in casa tutta arrabbiata. Sua nonna, che come sempre aspettava con ansia il suo arrivo sulla porta di casa, se ne accorse subito. Appena entrata Iona butto lo zaino per terra con un plateale gesto di stizza come fanno i bambini quando vogliono attenzione e a passi pesanti e con la faccia rabbiosa attraversò il salotto diretta nella sua stanza. ”Iona, cori i to nonna chi ti succidiu?” la nonna chiese mentre la vedeva passare davanti con il muso lungo lungo ad evidenziare una terribile rabbia. La piccola fece ancora qualche passo poi si girò di scatto facendo oscillare tutti i suoi capelli ricci da destra a sinistra, quando si fermò, con la voce stridula e gli occhi quasi pieni di lacrime grido “io non ci torno più in quella scuola di stronzi! Non ci torno più neanche se mi ammazzano” e girandosi di scatto se ne uscì dal salotto singhiozzando in modo ancor più plateale e sbattendo la porta. Entrò nello stesso momento la madre di Iona, carica di sacchetti pieni di frutta e verdura sbuffando per la fatica. “Catina, ma chi ci succidiu a to figghia?” chiese la nonna angosciata dal pianto della nipote. La madre di Iona sbuffò mettendo sul tavolo della cucina la spesa. “nenti Mà, u sai chi è esagerata” “na visti mai accussi ncazzata…” insiste la nonna preoccupata. “nenti Mà: cosi i carusi. Oggi in classe sceglievano chi doveva iniziare la recita di Natale, ed erano rimasti lei e Ginu, u figghiu du pisciaru…” “beddu chiddu…” commentò la nonna che quando insegnava aveva avuto il padre come scolaro. “...allura Iona ha recitato la poesia meglio di lui e la maestra ha scelto lei; Gino si è arrabbiato e si è alzato in classe e ha detto che non si poteva far recitare la poesia ad una che ha le orecchie come a quattara ill’assu i coppi; tua nipote che è permalosa gli ha risposto e ne è venuto fuori un putiferio perché Gino la voleva picchiare, ma figurati si Iona si potta i coppi a casa (figurati se non li restituisce) “ “fici bonu - rispose la nonna seria seria - non le doveva dire quello che ha detto, lo sai quanto Iona si vergogni delle sue orecchie, se ne è fatta un complesso” “si deve abituare all’ idea, non e che da grande le orecchie scompaiono – rispose la madre che aveva fretta, ed aggiunse per chiudere la discussione -  Ha detto la sua  maestra se poi l’aiuti a fare le ali degli angioletti della recita, io vado che ho la riunione, prepara qualcosa per stasera” bevve un sorso d’acqua e usci di corsa. La nonna restò dietro la porta di Iona e dopo un minuto bussò “Iona, vuoi qualcosa? Posso entrare? “ “NO! – urlo rabbiosa Iona – non voglio vedere nessuno, malanova a quannu me matri mi fici sto ricchi i Dumbo” “Iona cori da nonna nun fari accussi, chiddu.. Ginu… è bastasi nun ta pigghiari..” “iddu u dici, ma l’otri u pensanu: si misiru tutti a ridiri quannu dissi chi haiu i ricchi come l’asu i coppi…” “non ta piggjiari sciatu mei, tu si bedda, intelligenti….”  “ e chi ricchi i n’elefanti” grido ancora più rabbiosa Iona. 
Si mise a piangere abbracciata al suo cavallino bianco e nascosta sotto le coperte nel suo letto. Aveva chiuso anche le persiane, così tutta la stanza era nella penombra, ma a lei, nel buio delle coperte, non le interessava essere vista o vedere qualcuno. Era arrabbiatissima, ma ancor di più era disperata. Si ricordò la prima volta quando, mentre stavano guardando il film Dumbo all'asilo, tutti i suoi compagni si misero a ridere girandosi vero di lei; o di quando si doveva comprare gli orecchini e tutti quelli che provava erano orribili tanto da sembrare, da come pendevano, i piccoli babbi natale di cioccolata che appendeva all’albero di Natale. Inoltre ogni volta che litigava con qualcuno ecco che subito venivano fuori le sue orecchie che a seconda dei casi erano o “i ricchi d’elefanti”, o “i manici da quattara”, o “u radar ill’aerupottu”, “i ricchi du scimpanzè”, o le chiedevano se sentiva le formiche camminare nel Sahara. Nessuno dei suoi compagni di classe la guardava come i maschi guardano le bambine e se prendeva qualche bel voto tutti a dire che il bel voto dipendeva dal fatto che chi aveva le orecchie grandi aveva più spazio per il cervello…. Non ne poteva più! Più lei si impegnava per essere brava, per essere la migliore ed essere apprezzata, più tutti a tirare fuori le sue maledette orecchie per farla sentire una scimmia. Perché le avevano dato quelle orecchie? lei non era diversa dalle altre bambine, perché tutti la giudicavano per come era fuori e non per quello che era veramente? Erano tutti stronzi! Gesù bambino non doveva portare regali a nessuno, perché erano tutti cattivi con lei!
  Non c’era niente da fare, si disse la nonna, Iona era più testarda di suo padre e non avrebbe ragionato per un bel po'. La nonna si intristì. Le orecchie erano state per Iona sempre un problema. Avevano cercato di farle superare questa sua fobia, ma lei era invece diventata sempre più sensibile a quello che lei pensava fosse un suo irrimediabile difetto. Era arrivata a farsi crescere i capelli e a cotonarli per nascondere le orecchie o anche d”estate quando il caldo era troppo per tenere la folta capigliatura libera sulle spalle, portava tutti i generi di cappelli che le permettessero di nascondere le grandi orecchie. La nonna era demoralizzata se a questa età era così sensibile, figurarsi a vent’anni quando la bellezza per una ragazza in cerca d’amore diventava una questione di vita o di morte. Senti un tonfo venire dal salotto. Andò a vedere, ma non trovò nulla di strano, solo quando guardò il presepe capi che l’angelo sopra la capanna era caduto. Andò a prenderlo accanto all’asino. Lo girò per aggiustare il filo che lo teneva in alto sulla capanna. “Signuri mei, ci vurria nu miraculu pi Iona…” penso amareggiata. Rimise l’angelo a posto e lo guardò. L’angelo ruotava mostrando ora il volto ora le ali con l’aureola, ora il volto, ora le ali con l’aureola. “un miracolo…” si disse di nuovo la nonna e sorrise. Andò al telefono e compose un numero, quando la maestra di Iona rispose la salutò e continuò “Senti na cosa Lucia, avemu fari nu miraculu……”
“forza, ca mettiti l’ ali” Iona allargo le braccia mentre la nonna le sistemava sulla schiena due ali dorate. Le mise poi un cerchietto in testa da cui partiva un’aureola dorata. Le acconciò i capelli in modo che il cerchietto non si vedesse e nel fare questo lascio scoperte le grandi orecchie. “no nonna si vedono le orecchie “ disse Iona spaventata. “No, devono andare cosi per l’aureola, se no si vede il cerchietto…” Iona cercò uno specchio per guardarsi ma nello sgabuzzino della sacrestia della chiesa dove si trovavano, non ce n’era. Non capiva perché lei si dovesse vestire li dentro mentre i suoi compagni di classe erano nello stanzone in fondo alla sacrestia. Le avevano spiegato che lei doveva uscire per prima e recitare la poesia con una candela in mano nel buio della chiesa e poi sarebbero arrivati i compagni su due file vestiti da angioletti cantando Tu scendi dalle stelle. “le orecchie si devono vedere – fece la nonna seria – cosa ti ho detto?’” “che Gesù ci deve fare un miracolo – rispose Iona automaticamente - deve..” “non lo dire - fece sottovoce la nonna – devi dirlo a mezzanotte dopo la poesia, chiudi gli occhi e lo chiedi a Gesù, è il suo compleanno non potrà negartelo e poi sarà tutto buio, non ti vedrà nessuno” quest’ultimo argomento convinse Iona più della possibilità del miracolo a cui non sapeva se credere o meno. Quando fu il momento le luci si spensero e lei lentamente uscì dalla sacrestia camminando nella chiesa buia fino al centro della navata con una candela accesa in mano. Una volta nel mezzo della chiesa si guardò intorno, ma nel buio non riusciva a scorgere nessuno e si sentì meglio perché forse, anche gli spettatori della recita non avrebbero notato le sue orecchie; la maestra Lucia le porse il microfono e lei incomincio a recitare.
Oggi è una notte molto speciale Perché è la santa notte di Natale In questa notte stellata e bella Gli angeli portano la lieta novella Oggi è nato il nostro salvatore Figlio di Dio e del suo amore Da un bue e un asinello è scaldato Da tutti i pastori è qui adorato Venite a guardare tutti quanti il piccolo bambino qua davanti Venite adoriamo il pargolo divino Venite preghiamo Gesù bambino L’amore di Dio guarda i nostri cuori non gli importa come siamo fuori E in questa notte di pace e bontà Gridiamo al mondo la gran novità Che anche se non hanno le ali Tutti i bambini son tra loro uguali Non conta il colore o dove son nati Non conta se ricchi oppure affamati agli occhi dell’amore non c’è differenza nel cuore di Dio nessuna preferenza Tutti i bimbi del mondo sono fratelli perchè Dio li vede tutti quanti belli
Finita la poesia Iona chiuse gli occhi e dentro di se incomincio a pregare “Gesu bambino sono stata brava, ho sempre fatto i compiti e ho aiutato la mamma, ti prego fammi di diventare le orecchie come quelle dei miei compagni, non voglio più essere diversa da loro.” Intanto sentiva i compagni che entravano cantando, quando furono vicini a lei piano piano le passavano davanti e la baciavano su una guancia. Le luci si alzavano e lentamente la chiesa si illuminava.  Sentì che i genitori ridevano ed apri gli occhi e li vide che tutti battevano le mani o che facevano le foto con i telefonini. Lei si guardo intorno disorientata da tanto clamore e si girò a vedere i suoi compagni che erano sui gradini che portavano all’altare. Restò a bocca aperta: avevano tutti delle orecchie uguali alle sue, che uscivano dalla testa larghe e tonde. “mamma mia che ho fatto?” Pensò e si toccò le sue per vedere se Gesù bambino nel fare il miracolo le avesse dato delle orecchie normali rendendola ancora una volta diversa, ma le sue orecchie erano rimaste come erano. Penso che nel passare tutti i suoi compagni l‘avevano baciata, anche quel runzuni di Gino gli aveva stampato un bacio sulla guancia, forse per dirle che le volevano bene e che se avevano le stesse orecchie, non era per prenderla in giro, ma perché non la pensavano diversa da loro. Iona era felice, si girò sorridendo a guardare il pubblico: anche se le orecchie dei suoi compagni sembravano di gesso colorato, Gesù era stato bravo, aveva fatto un miracolo e poi, come diceva la nonna, tutti hanno delle orecchie di cui si vergognano, alcune si vedono ed alcune sono nascoste, ma è quando tutti le possono vedere senza farci caso e noi non ci vergogniamo più di averle, che incomincia il Natale.
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frontedelblog · 4 years
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"A DISTANZA RAVVICINATA", UN GIALLO "DI COSTIERA"
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Bentrovati, cari Sabrina e Daniele! Molti non lo sanno, ma noi tre formiamo un triangolo letterario, al cui vertice c'è Daniele, che ha scritto romanzi e racconti a quattro mani con ciascuno degli altri due. Per questo motivo, mi asterrò da commenti sul vostro "A distanza ravvicinata" (vabbè,  se proprio volete saperlo mi è piaciuto moltissimo…), uscito a fine febbraio per "Fratelli Frilli Editore", mantenendo il dovuto distacco nel porre le domande e lasciando che siate soprattutto voi a parlare del vostro lavoro. Siamo d'accordo? Si parte! R: Chi dei due ha avuto l'idea che sta alla base del romanzo, ovvero un'indagine compiuta da una coppia di investigatori che nemmeno si conosce? S: Rino, innanzitutto grazie di cuore per l’ospitalità e l’attenzione! Come talvolta accade anche in questo caso tutto ebbe inizio per … caso! Da uno scambio di ricordi abbiamo scoperto avere un trascorso comune, Daniele ed io, che è quello di aver abitato a Lavagna, io solo in estate mentre Daniele come residente. Ovviamente all’epoca non ci conoscevamo e dalla classica frase magari ci saremo anche incrociati senza saperlo è partita l’idea di una storia che si muovesse su questi presupposti.  D: Il triangolo non l’avevo considerato! Buongiorno, Rino. Grazie a te per l’opportunità di questa chiacchierata tra amici, prima ancora che coautori. Direi che la suggestione di partenza è scaturita da Sabrina, che tra l’altro mi ha fatto conoscere una splendida poesia della poetessa Wisława Szymborska intitolata “Amore a prima vista”. Consiglio a  tutti di leggerla, è meravigliosa. In questo componimento, la poetessa tesse un meraviglioso affresco poetico attorno ai segni premonitori (non colti) del destino d’amore che lega due persone. Ecco, partendo da questa suggestione, è nata l’idea di due personaggi che non si conoscono, ma lo faranno più avanti nel corso di quella che dovrebbe essere una serie di romanzi, e si ritrovano a sostenere un’indagine parallelamente, partendo da prospettive e situazioni molto distanti, se non addirittura opposte: una ragazzina “detective per caso” e un giovane maresciallo dei carabinieri, che finisce cooptato addirittura in un’inchiesta dei servizi segreti. Lo spunto, infine, è piaciuto all’editore Carlo Frilli, che ringraziamo per la fiducia e il sostegno, e ora eccoci qui. R: Un'altra rilevante caratteristica di "A distanza ravvicinata" è che mescola due generi: il giallo vero e proprio, specie per quanto riguarda la protagonista femminile, a tutti gli effetti una "miss Marple" giovanissima, e la spy story, in una versione insolita per lo sfondo italiano della trama spionistica… S: Assolutamente vero! Nelle pagine sono confluite le passioni mie e quelle di Daniele. Io sono molto vicina per gusti e amor di letture al giallo classico e al thriller; più di tutto mi appassionano i personaggi, scandagliarne i pensieri e i modi, prestare loro suggestioni mie e lasciarmi sorprendere quando la storia ne stimola reazioni per me impensabili fino a poco prima di scriverle.  D: In effetti, credo che “A distanza ravvicinata” mescoli più di un genere. Oltre al giallo e alla spy, trovo che ci sia anche qualche spruzzata di “romance”, almeno in alcune scene. E penso di poter dire che, analizzando la parabola dei due protagonisti, sia pure un romanzo di formazione, tant’è vero che Mistral e Pietro, alla conclusione della vicenda, prenderanno decisioni importanti per quella che sarà la loro vita futura. La trama è indubbiamente  e fondamentalmente gialla: abbiamo l’omicidio di un’anziana turista tedesca e occorre chiarire chi sia il colpevole e in quali circostanze sia maturata la sua uccisione. Diventa anche una storia spy nel momento in cui si scopre che la donna ha un fratello che si è macchiato di crimini durante l’ultimo conflitto mondiale ed è coinvolto in alcune pagine oscure del dopoguerra in Italia e nell’America centrale. Infatti, l’anziana signora è tenuta d’occhio dai servizi segreti e le cose si complicano parecchio per i nostri due protagonisti. In realtà, credo che l’Italia sia un ottimo scenario per ambientare storie di spionaggio, basti pensare ai romanzi di alcuni eccellenti autori come Leonardo Gori sul versante storico, oppure Secondo Signoroni, Stefano Di Marino o Andrea Carlo Cappi, giusto per citarne solo alcuni e non me ne vogliano coloro che involontariamente sto trascurando. Del resto, se pensiamo alla nostra Storia più o meno recente, le trame spionistiche non mancano di certo. R: Certo: il romanzo ha una spruzzata di "rosa", in quanto Pietro e Mistral sembrano proprio destinati ad avere una storia d'amore. Suppongo ne sapremo di più in seguito... La prossima domanda è inevitabile: le coppie "eterosessuali" di investigatori sono abbastanza rare. A me vengono in mente alcuni esempi cinematografici: Nick e Nora Charles della serie cinematografica dell'"Uomo Ombra", impersonati da William Powell e Mirna Loy; i coniugi Hart della serie televisiva "Cuore e batticuore", cui prestano il volto gli attori Robert Wagner e Stefanie Powers, e soprattutto Fox Mulder (David Duchovny) e Dana Scully (Gillian Anderson) di X-files... Modelli molto diversi sia di collaborazione investigativa che di rapporto affettivo… Ricordo che gli ultimi due si caratterizzavano per essere lui un intuitivo, e lei una razionale metodica, e che nonostante fossero sentimentalmente attratti l'uno dall'altro mai passarono a una conoscenza biblica… Come si collocano Pietro e Mistal? S: Che bella ed intrigante domanda Rino! Senza svelare troppo posso risponderti che le cose non saranno facili tra loro… ci stiamo divertendo a mettergli un po’ i bastoni tra le ruote sia lavorativamente che sul piano personale…  D: Sono personaggi che stanno crescendo e si stanno sviluppando insieme alle storie, quindi potrebbero anche sorprendere noi stessi che li abbiamo creati. Così all’impronta, ti direi che, come qualcuno tra i nostri lettori ha acutamente notato, hanno un po’ il loro destino e le loro caratteristiche nel nome. Mistral è il nome di un vento, che scompiglia, rinfresca, però porta anche tempesta. Pietro è più granitico, duro, anche se la sua corazza ha molte crepe e fragilità. Ecco, sia nella vita privata, sia nell’indagare sono un po’ così. Impetuosa, intuitiva, “irregolare” Mistral; metodico, chiuso, tenace Pietro. Se vogliamo, quindi, in qualche modo potremmo vederlo come un rapporto Mulder-Scully invertito, se mi passi la semplificazione. E ognuno dei due ha ombre e luci interiori con cui fare continuamente i conti. Come dice Sabrina, in più noi gli mettiamo un po’ i bastoni tra le ruote! R: Venendo meno, per un attimo, al proposito di neutralità (ammesso che fosse realistico... ) devo dire che ho molto apprezzato l'ambientazione sulla costa ligure, così ben richiamata dalla copertina. Forse sono stato influenzato dalla mia nota "venerazione" montaliana, ma trovo il paesaggio che fa da sfondo alla storia, quello di una tipica località di villeggiatura ligure in estate, suggestivo quanto emblematico. Il clima che si respira in quei posti in quella stagione è particolare: la vivacità un po' caotica indotta  dalla calata dei turisti aggiunge un senso di euforia e voglia di vivere a un contesto di natura che, Montale docet, suscita, nel resto dell'anno, riflessioni esistenziali più profonde, anche più malinconiche… Nel vostro romanzo ho trovato entrambi gli aspetti, rimarcati spesso dalle variazioni meteorologiche… Avete voluto fare del contesto una specie di pedale di sottofondo che accompagna lo sviluppo della trama… Mi sbaglio? S: Non sbagli affatto, hai colto un elemento fondamentale anzi. “A distanza ravvicinata” ha la sua ragione d’essere proprio in relazione al luogo dove si svolge. Oltre a contenere una marea di suggestioni emotive dovute alla lunga frequentazione di Lavagna che ce la fa conoscere così bene, la cittadina è perfetta per risultare abbastanza raccolta da giustificare una distanza … ravvicinata, ma allo stesso tempo non è troppo piccola per renderla impossibile. Per intenderci, un borgo di mare tipo Camogli alla lunga non avrebbe retto alla struttura che abbiamo voluto dare alla storia. Ma c’è di più. Ed è proprio quel sapore montaliano al quale facevi riferimento. Una commistione di elementi che invita  a tuffarsi in se stessi anche nel mezzo di una piazza gremita per la Festa rivierasca più popolare e frequentata. D: Ho sempre pensato che il contesto debba risultare un protagonista alla pari degli altri personaggi del romanzo. Come ha detto Sabrina, abbiamo scelto Lavagna perché abbiamo scoperto di avere avuto dei trascorsi comuni in quella località, io addirittura ci sono nato. Le spiagge, il dedalo di stradine del centro, la piazza addobbata per il Palio dei Fieschi, la basilica di Santo Stefano con la sua imponente scalinata, le frazioni dell’entroterra sono immagini che “vivono” dentro di noi, hanno spessore e sostanza, per cui abbiamo cercato di trasmettere questo amore per la nostra terra anche nelle scene di un noir. A ennesima dimostrazione, se ancora ce ne fosse bisogno, che in Italia si possono ambientare ottimamente delle storie di tensione. La Liguria, poi, trovo che sia particolarissima, sotto questo aspetto. Citavi Montale, che ha fatto del paesaggio ligure una struggente metafora dell’esistenza e ti ringrazio per questo nobilissimo - e un po’ impegnativo - accostamento. Sicuramente il carattere ligure si è plasmato nel tempo sulle asprezze di una terra dura, che regala al contempo una bellezza abbagliante. Carlo Lucarelli, uno che se ne intende, definisce Genova una città “bella, ma pericolosa; molto affascinante e contraddittoria” e indubbiamente salta agli occhi come Genova e la Liguria abbiano un’anima impastata nella luce e nell’ombra. Esattamente come il noir. R: Da ultimo una domanda un po' più da addetti ai lavori, anche se so che i lettori sono incuriositi dall'argomento: come lavorate a quattro mani? Spero non  bisticciate spesso, eh! Io e Daniele, quando scriviamo insieme, abbiamo felicemente testato un metodo che garantisce la maggior omogeneizzazione stilistica. "A distanza ravvicinata", correggetemi se sbaglio, essendo  basato su due differenti angolazioni narrative che si alternano, coincidenti con i due protagonisti, per di più di sesso e dunque con approccio psicologico e visione della realtà diverse, dovrebbe aver richiesto un particolare sforzo per raggiungere la sintonia che si tocca con mano leggendo… S: In realtà devo dire che non c’è stato alcuno sforzo particolare. Ci siamo immediatamente trovati sulla storia che volevamo raccontare, ed essendo forse abituati, conoscendoci bene, a quelle che sono le nostre differenze caratteriali nella vita reale, ci è parso naturale muovere ed “accettare” due personaggi abbastanza diversi tra loro. Detto ciò, lo scambio e l’interazione sono stati continui e divertenti, in particolare ho il ricordo di una scena piuttosto lunga  scritta in “presa diretta”, ossia fatta di un dialogo costruito in tempo reale senza sapere l’altro cosa avrebbe risposto, anzi giocando a metterci in difficoltà l’uno con l’altra …  D: Chiaramente, anche se imperniato su due personaggi dai registri piuttosto differenti, pure il nostro romanzo ha richiesto un lavoro di amalgama stilistica, che non snaturasse eccessivamente, però, i caratteri dei due personaggi e le peculiarità narrative che offrivano. Lo scambio, quindi, è stato costante perché, come ben sai, scrivere a quattro mani richiede un confronto pressoché continuo. Tecnicamente, anche noi abbiamo fatto ricorso a quello che tu chiami “il nostro bicameralismo perfetto”, ossia il continuo rimando delle parti scritte dall’uno all’attenzione ed eventuale integrazione da parte dell’altro autore. Ritengo che sia anche un modo stimolante di mantenere attiva la sinergia su ogni parte di un progetto comune e in questo la condivisione dei file su Google Drive, per esempio, rappresenta davvero un supporto insostituibile sotto il profilo tecnico. Quanto ai bisticci, si sa… notoriamente io ho un ottimo carattere, impossibile discutere o bisticciare con me! E dopo averla sparata di questo calibro, scappo, non prima però di aver ringraziato te per questa bella chiacchierata e aver salutato i lettori del blog che, spero, diventeranno anche i lettori di “A distanza ravvicinata”! S: Grazie di cuore anche da parte mia! Buone letture a tutti! Rino Casazza GLI ULTIMI LIBRI DI RINO CASAZZA: GUARDA Read the full article
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big-lio · 4 years
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(via Julio Cortázar Dopo le feste) Stamani ero ancora tra le coperte e mi godevo il regalo dei miei figli (il Nest Mini di Google) ed ho scoperto che oggi è l'ultimo giorno delle vacanze di Natale:) Stando qui tante cose alla fine si dimenticano e onestamente la Befana mi era sfuggita proprio. Quindi oltre a scoprire l'aumento delle morti causate da abuso di alcool quando si guida, dopo avere sentito che l'arancione si augura di farci saltare tutti in aria in nome della supremazia dell'occidente, ho pure scoperto che ancora la mia nazione ama le feste popolari. Immagino Roma oggi, da noi a Bergamo era solo una scusa per un ennesimo momento di festa (per noi Santa Lucia era il meglio in assoluto) e mi rendo conto di che strano popolo siamo: sappiamo goderci anche le piccole cose, le inventiamo, ogni occasione per una bancarella, una fiera, una festa èsempre buona. O forse dovrei dire "eravamo"? Perché a me oggi, che guardo all'Italia dall'esterno, pare si stia perdendo un po' tutto delle nostre caratteristiche come popolo, come stirpe, come carattere per cercare di uniformarci sempre di più al mondo americano, straniero comunque di cultura e carattere. E mi chiedo perché. Mi rende così triste leggere i post di FB degli amici dei miei figli, che sempre più spesso si sentono in dovere di mettere hashtags in inglese, intere frasi in inglese (spesso pure maccheronico) quasi come se parlando la nostra bella lingua ci identificassimo in un popolo di sconfitti, di inferiori. Non so come sono arrivata a scrivere queste cose, non ero partita per farlo, volevo solo condividere questa poesia bellissima "Dopo le feste" con due splendide interpretazioni (una dell'amico Gianni Caputo e una di Giancarlo Cattaneo di Parole|Note) ma mentre iniziavo sotto la pagina in cui scrivevo ho visto scorrere una serie di post che mi hanno fatto sentire "molto" italiana. Perché io che ho la doppia cittadinanza, canadese ed italiana, resto nel cuore italiana purosangue: l'Italia la critico ferocemente, ma mi permetto di farlo solo io e mai lascerei che uno straniero lo facesse. Perché nella mia critica c'è amore, infinito, triste, a volte sconsolato ma amore vero. Esattamente come una madre DEVE vedere le malefatte, i difetti, le stupidaggini che un figlio fa, io guardo alla deriva italiana volendo vederla come uno scivolone, una "caduta di stile" da cui sarà lo spirito stesso del popolo italiano a toglierla. L'Italia, la sua bellezza, il suo cibo, i suoi mille riferimenti storici, nulla sarebbero se dietro non ci fossero stati gli italiani, tutti insieme, sud e nord, ricchi e poveri, della Sicilia o del Veneto. Solo l'essere uniti come popolo, con comuni caratteristiche, ideali, legami, può salvare una nazione dall'essere ridotta in una fake, una copia di qualcosa di marca. L'Italia, così imitata ovunque, con le sue eccellenze che vengono rivendute ovunque in plateali falsi, l'Italia che viene invidiata ovunque come posto squisito (e lo dico con cognizione di causa ormai), l'Italia vera è nella sua gente, nelle sue tradizioni, ed appunto per tornare all'origine di questo mio assoluto fuori tema, anche nelle sue feste. Come quella di oggi, la BEFANA. Che praticamente è sconosciuta nel mondo come tale, ma che io ricordo come la festa che concludeva le vacanze di Natale, che non portava doni se non una sciocchezza, un'arancia o dei frutti secchi, ma che era importante, faceva parte della tradizione e le tradizioni sono le radici, senza radici non siamo nulla. La famiglia è forse la radice più importante dal punto di vista del legame affettivo, ma la nostra terra, l'Italia, è la radice delle radici. Non dobbiamo tradirla, non dobbiamo pensare che la nostra lingua non conti, dobbiamo esserne fieri e farla conoscere per quello che era: culla di civiltà. Scusatemi, vi spiegherò poi con calma perché ho preso fuoco :D Intanto, buona festa a tutti  e ascoltatevi questa bellissima poesia. Pagina LioSite su Facebook
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francesco-nigri · 1 year
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di Primavera
di Primavera .. Se fossi donna mi chiamerei così  Primavera .. Profuma sempre il nettare alle  corolle nuove e la corteccia s’inverdisce tra le  crepe alle rughe .. il tempo che non esiste  impazzito più di ieri al non ritrovarsi si sensa di tutto il pulsare che  affama pori papille pupille di tutto suoni e visioni  salive e gocciolii .. ed anche il vento sinuosa il…
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wally48 · 6 years
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Un' immagine erotica  deve sempre lasciare spazio all' immaginazione.
Al contrario di Dante del quale era amico, Guido Cavalcanti non scrisse opere pregne di religiosità, anche perchè era ateo.
La sua poesia erotica sicuramente ne fu avvantaggiata.
                                                                IN UN BOSCHETTO
In un boschetto trova' pasturella
più che la stella - bella, al mi' parere.
Cavelli avea biondetti e ricciutelli,
e gli occhi pien' d' amor,cera rosata;
con sua verghetta pasturav' agnelli;
scalza, di rugiada era bagnata;
cantava come fosse 'nnamorata;
er' adornata - di tutto piacere.
D' amor la salutati immantenente
e domandai s' avesse compagnia;
ed ella mi rispose dolzemente
che sola sola per lo bosco gia,
e disse: " Sacci, quando l' augel pia,
allor disia - 'l me' cor drudo avere ".
Po' che mi disse di sua condizione
per lo bosco augelli audìo cantare,
fra me stesso diss' i' : " Or è stagione
di questa pasturella gio' pigliare ".
Merzè le chiesi sol che di baciare
ed abbracciar, - se le fosse 'nvolere.
Per man mi prese, d' amorosa voglia,
e disse che donato m' avea 'l core;
menommi sott' una freschetta foglia,
Là dov' i' vidi fior' d'ogne colore;
e tanto vi sentìo gioia e dolzore,
che 'l die d' amore - mi parea vedere
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4tumusic · 4 years
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la più bella canzone dell’estate 2020 : “Alla mia ragazza” di 4tu© La più bella canzone dell'estate italiana del 2020 : Un video d'amore commovente per lei, una poesia d'amore recitata che dedico a Loriana, la mia ragazza , e a tutte le persone che hanno una persona speciale vicino.
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giancarlonicoli · 4 years
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22 lug 2020 19:23
CLERICI VAGANTES SU UN CAMPO DA TENNIS - LA PIÙ ELEVATA LETTERATURA DELLO SPORT SI È CONDENSATA TRA LE RIGHE DEI "TRE GIANNI": BRERA, MURA E CLERICI CHE VENERDÌ SCHIACCIA SOTTO LA RETE DEI 90 ANNI - LAUREATO IN STORIA DELLE RELIGIONI, CAMPIONE ITALIANO DI DOPPIO, IN COPPIA CON FAUSTO GARDINI NEL 1947 E NEL '48', ITALO CALVINO LO DEFINI' “UNO SCRITTORE PRESTATO AL TENNIS” - LE BORDATE DELLO "SCRIBA" A DAVID FOSTER WALLACE PER IL SUO ''ASSURDO'' 'FEDERER COME ESPERIENZA RELIGIOSA - VIDEO
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Massimiliano Castellani per “Avvenire”
Se il meglio del cantautorato nostrano sta dentro l' opera dei due Lucio, Battisti e Dalla, la più elevata letteratura dello sport si è condensata tra le righe e l' inchiostro purissimo versato dai "tre Gianni".
Infatti, c' è stato un Gianni, Brera, aedo major del calcio e del ciclismo e dopo di lui un altro Gianni, Mura, cantore, aggiornato al nuovo millennio, delle storie di cuoio e delle pagine gialle del Tour.
Così ora, l' aznavouriano «ed io tra di voi», potrebbe intonarlo lui, lo Scriba massimo del tennis, Gianni Clerici. Il terzo Gianni c' è, vive e lotta con noi dalla sua casa sul lago di Como, e in questo tempo impoetico e virale, venerdì schiaccia sotto la rete dei 90 anni.
I nove aurei decenni de «l' uomo del tennis», come ebbe a salutarlo frettolosamente nel salotto letterario del Bagutta la sua madrina Maria Bellonci, forse ignara del giudizio dato dall' altra Maria, la somma filologa Corti che, allo stile linguistico clericiano riconosceva il crisma idiomatico del "lombardese".
 Gianni Clerici
Ma se per uno sprezzante Umberto Eco «Brera è un Gadda spiegato al popolo », per noi Clerici è un dandy alla Dorian Gray letto dall' alta società, misto a un più popolare Giorgio Bassani da pagina di quotidiano (ha cominciato al Giorno nel 1956, proseguendo per Repubblica fino ad oggi). Discendente diretto del vate del "prototennis", l' abate Antonio Scaino da Salò che, alla corte degli estensi, nella Ferrara del tennista-scrittore Bassani, diede alle stampe il trattato cinquecentesco Del giuoco della palla. Caposaldo arricchito e completato dal suo monumentale ed esaustivo 500 anni di Tennis.
Clerici storico, certo, enciclopedico diderotiano, ma dotato da sempre di sublimi smash narrativi, (da leggere l' ultimo romanzo 2084 La dittatura delle donne; Baldini + Castoldi, pagine 135, euro 16,00) quanto di scavalcanti lob poetici.
I suoi versi da postumo in vita furono apprezzati dal poeta laureato, lo sportivo ed elegiaco Giovanni Raboni che nella poesia di Clerici trovò «una sorta di ansiosa fermezza, di sfuocata precisione, che è, ai miei occhi una qualità rara».
Rarità, anche agli occhi di Italo Calvino, per cui Clerici è semplicemente «uno scrittore prestato al tennis». Trasformista fregoliano, sfugge ad ogni catalogazione, assurgendo a unico biografo all' altezza del suo personaggio.
«Allevato con amore, forse eccessivo e con poca disciplina. Lasciato libero di frequentare il liceo, di ritirarmi da scuola per tentare l' avventura del tennis, di iscrivermi all' università, per abbandonarla e poi riprenderla. Libertà grande, la mia, che era anche tale perché i miei genitori erano privi di modelli, per me, attendibili », scrive di sé in Quello del tennis. Storia della mia vita e di uomini più noti di me (Mondadori).
L' inguaribile febbre per tutti i suoi 90 anni, il tennis, lo colpì precocemente. Sviando la Baronessa Kroff «che si stupiva che un bambino di sei anni non avesse mai sentito nominare Gogol», incrociò lo sguardo e l' aurea di un' icona: Alan Little, il bibliotecario di Wimbledon.
Alla teoria del narratore in erba e del futuro storyteller del green londinese, fece seguire la pratica: le lezioni al Circolo Tennis di Alassio (presieduto da Lord Daniel Hanbury e dal segretario Goodchild), impartitegli dal maestro anglo-americano Sweet. «Ai miei tempi il tennis era ritenuto un gioco aristocratico, se erano gli aristocratici a giudicarlo. Per altri un gioco da signorine, il sissy game anglosassone », ricorda caustico lo Scriba.
Molti critici musicali non hanno mai suonato uno strumento e spesso non sanno neppure leggere lo spartito, Clerici invece ha imparato presto a pizzicare le corde della racchetta e ha vergato magistralmente interi capitoli dei libretti d' opera e dell' epica eroica dei Gesti bianchi, oltre a far iscrivere il suo nome sull' Albo d' oro del ranking. Campione italiano di doppio, in coppia con Fausto Gardini nel 1947 e nel '48'.
Nel 1950, la stagione mitica di Costa Azzurra, a Vichy vinceva la "Coppa de Galea" e due anni dopo trionfava anche al "Monte Carlo New Eve Tournement". Non era il più forte di quella "generazione di fenomeni" composta dai vari Pietrangeli, Sirola, Merlo, Gardini e Bergamo, ma lo Scriba in calzoncini e maglietta, rigorosamente bianca, almeno per un turno ha calcato l' erba sempre verde di Wimbledon e "scivolato", per ribattere colpo su colpo, sulla terra rossa parigina del Roland Garros.
"Snob e stupid nel tennis", l' articolo al vetriolo titolato dal folberciclofilo Brera, segnò idealmente la sua battuta, d' arresto, con il tennis giocato, ma almeno gli aprì le porte della più straordinaria delle redazioni sportive, quella del Giorno di Mattei.
«Io ho tre croci, una grandissima Enrico Mattei e due piccoline, Giancarlo Fusco e Gianni Clerici », soleva ripetere il direttore Italo Pietra che al più grande narratore orale mai avvistato per le strade e i bar di questo Paese, Fusco, aveva assegnato la prima column con foto (assieme a quella dell' americano Art Buchwald), mentre al "Brera del tennis", Clerici, concesse carta bianca per coniare un nuovo stile di reportage dello sport. Lo stile di chi ha saputo raccontare con la stessa poesia e intensità romantica la «Divina » Suzanne Lenglen, così come il suo «Idolo» dimenticato, Gianni Cucelli, nato Giovanni Kucel, in terra d' Istria (a Fiume).
Giovane staffettista e poi partigiano della bella scrittura Clerici, ha saputo inseguire la traiettoria della pallina e al contempo uscire dalle righe del campo per viaggiare, conoscere, interrogare uomini e donne di tutte le fedi, forte anche di una laurea in Storia delle religioni.
Il tennis con la penna dello Scriba, a tratti del match ha rimbalzato tra la letteratura e l' ascetismo mistico alla Siddharta. Un giorno, racconta orgoglioso, di essere salito apposta fino a Montagnola per avvicinare il Nobel adorato, Hermann Hesse. E dei tanti libri letti, la risposta al suo mestiere di vivere, sempre in bilico tra il ramo lacustre dello scrittore e quello del giornalista, l' ha trovata proprio in un paragrafo di Da una biblioteca della letteratura universale.
«L' attività di un cosiddetto libero scrittore è considerata oggi una "professione" - scrive Hesse - , probabilmente perché esercitata come un mestiere qualsiasi da molti che non hanno per essa alcuna vocazione. Perciò ogni libero scrittore trova difficoltà a orientarsi nella sua ambigua situazione, a metà tra il redditiere e lo scrittore non libero, e cioè il giornalista ». Da grande cerimoniere del giornalismo aulico applicato al tennis, Clerici ha scomunicato i tanti, troppi improvvisatori dei cronisti dei Gesti bianchi.
Non fa sconti neppure alla buonanima cult americana di David Foster Wallace che con il suo «assurdo» Federer come esperienza religiosa «ha compiuto un' operazione molto giornalistica, dico giornalistica nell' aspetto negativo del termine, come di quelli che scrivono articoli scopiazzando».
L' originalità è alla base dello stile, di colui che lo statistico e tassonomico Rino Tommasi, suo mentore di doppio in telecronaca per centinaia di slam, chiama affettuosamente il "Dottor Divago". «Non sempre nelle cronache di Gianni troverete il risultato dell' incontro, ma troverete sempre la spiegazione della vittoria di un giocatore sul proprio avversario», ha detto il numerologo del suo amato Gianni.
Tommasi ha avuto l' onore e l' onere di condividere un tratto importante del lungo cammino in presa diretta con Clerici, e quando nel febbraio scorso, in occasione dei suoi 86 anni Ubaldo Scanagatta gli ha domandato: «Ci arriviamo a 100, Rino?» e Tommasi pronto gli ha risposto: «Certo che sì, passeggiando!» Auguri Scriba Clerici, fino a 100 anni, passeggiando.
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pangeanews · 5 years
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“Di questo ho bisogno, di questo sparo in faccia, di questo sparo di luce al centro del cervello”: sulla Medusa di Tiziana Cera Rosco
Andrebbe letta, la poesia di Tiziana Cera Rosco, dove la parola s’intaglia in atto, facendo l’elenco maschio di un bestiario. Di bestie, un reziario di miti, una tenda letale che ospita lupi e re, Bucefalo e occhi, Rilke e chiamate, catastrofi e Kafka, Nietzsche e smagliature, è piena la sua azione lirica. Da Calco dei tuoi arti (2002) a Il compito (2008), Dio il Macedone (2009), Anatomia del Solo (2013), Corpo finale (2018), la poesia di TCR si strappa dall’atto pubblico, editoriale, per ossificarsi in una questione intima, di allucinata docenza, che chiama al vissuto più che alla lettura e al salotto. La rarità di TCR è nella sostanza, la medesima, con cui compone gesto verbale e statura artistica (sue opere le vedete, fino al 5 maggio, al Palazzo Visconteo di Abbiategrasso nell’ambito della mostra “Ardeat Corpus”). Tiziana, pure in questo testo, Medusa, pronunciato a Fonte Avellana, il monastero fondato da san Romualdo ed esaltato da san Pier Damiani, nell’ambito del Convegno nazionale “Le voci di dentro”, incenerisce il mito, ne conserva l’osso primordiale, il diamante crudo, nero, e di lì alza l’azione scenica, che è sapienza. Nell’era pietrificata, di Medusa sorprende l’eccezionale innocenza, l’attitudine alle attese, il terrore che sana. Medusa è la guardia, guarda lei perché tu non debba guardare – né guardarla – è a guardia dell’attimo prima, prima che nulla possa più essere accettato e accessibile, ma soltanto acceso e subito. Queste le note di TCR al suo lavoro: “Il nome di Medusa in greco vuol dire Guardiana, Protettrice. Eppure non fu in grado di proteggere se stessa, neanche ad abuso compiuto, un’ambiguità sinistra d avere in se stessa la forza che l’aveva brutalizzata, che si portasse questa cosa come destino. E quindi che fosse corresponsabile e per questo responsabile di una parte del perdono che la comprensione dei fatti richiede come dazio. Esiste qualcosa di più tragico?”. Non c’è mai agitazione, ma agnizione, soppesata in presunta profezia, nella poesia di TCR, che qui pubblico, in parte, pur slegata dalla sua voce, di per sé già benedetta. (d.b.) ***
Poi anche nel buio il mio sguardo Vorrebbe ancora toccare gli occhi di qualcuno La pupilla che il battito inumidisce per l’abbassarsi di una luce Come se da sotto le porte dovesse avanzare La presenza di chi può reggere col fiato una pietra Un’ intimità che l’iride distende dallo spirito Un’intimità che si fa largo da sotto le porte della casa Nella luce bassa di un rifugio E che fa dormire chi deve solo chiudere con la notte. Mentre nel buio il mio sguardo Vorrebbe toccare solo quello di un amore Perché gli occhi vedono tutto E tutto si regge negli occhi Gli occhi che cercano un posto nel quale distendere Un palpito che confessi che siamo tutti innocenti Non abbastanza guardati Non guardati dal profondo di qualcosa che ci liberi Che così segreto quel qualcosa compare a volte in forma di mostro Solo perché dalla nascita Batte il suo destino sulla porta aperta della morte E lì gli occhi ancora cercano nel buio Uno sguardo di radiazione, un corpo intero Un’iride che perforandoci getta sonde al di là dell’essere In quella estremissima possibilità di guardarsi Quella estremissima possibilità di tenere non nascosto Il nostro corpo totale così esposto All’abbandono integralmente. Vedi, Perseo, tu non capisci. Le varie forme dei viventi e delle interiorità Persino dio si tiene sulla possibilità di guardare ed essere guardati. Perché non c’è niente di più fragile che gli occhi Gli occhi stanno aperti pure dopo morti Chiaramente non capisci Perché quella volta si distrussero tre cose sotto magnitudo Poseidone forse sapeva solo che potevo essere guardata tutta Tranne lì Presa in tutta la bellezza Tranne lì Accarezzata, toccata, dischiusa perforata inondata Solo tenendo fede al non aprire mai i suoi occhi sul vivo di quelli miei Perché tutto quello Che entra non appena le palpebre levano i forzieri Se non stai attento, anche se sei un dio, può pietrificarti. Forse ti hanno detto che esistevo prima di così come mi vedi ora Che tra le sorelle ero indiscutibilmente la più bella La più passibile ad essere guardata Forte di una virtù mia, tutta mia Una virtù che cresceva con me, si emancipava negli anni Non una cosa che sta lì come una statua Una virtù della mente che analizzava i composti del duro e dell’aereo Intendo negli uomini Mentre le mie sorelle avevano si ognuna il suo talento Un talento, non so come dirti, nato già adulto Anzi, non nato e mai moribile Mai vulnerabile come il mio Senza quel tempo che sottende che la vita Scappa come un animale che si consuma mentre arde. Loro no ma io, Perseo, io sentivo il tempo Già da piccola nella crescita portentosa dei capelli Che muovendosi estendevano le percezioni del trascorrere Io vivevo il tempo con me, il montare dei fiumi con me, Percorrere, attendere il mare davanti Mentre dovevo recuperare i miei capelli che come anguille Si tuffavano nel mare e annodavano ai fondali il loro destino Tanto che a volte le miei mani Come se avessero artigli li tranciavano in blocco Perché non era più possibile snodarli. Io vengo dal mare, dai miei genitori pieni di fondi Sempre più lontani eppure giovanissimi anche loro In una cristallina misura di età eterna Solo io invecchiavo, Essere Umana Perché essere umani, Perseo, è un destino Un destino Come essere un’arma, o un sole Una conseguenza enorme E il destino umano è una virtù sinistra Accettare di uccidere e di essere uccisi Accettare di non essere solo il migliore dei tuoi ieri Accettare che l’amore è una misura d’abbandono E che la vendetta piange i suoi bambini dentro l’utero dei violentati. Questo un dio non può saperlo Morire Si muore quando non si è guardati a sufficienza Ci si spegne, senza grido Senza una parola che sollevi un isolamento privo di risonanze Ma io in cuor mio ho sempre saputo che sarei scomparsa in un amore estremo In un rapimento, qualcosa che dalle acque presagiva il violento Come se la dimensione alare di un uccello Potesse farmi spiccare un volo da ferma Un’accelerazione terremotale Mi sono detta: di questo ho bisogno Di questo sparo in faccia Di questo sparo di luce al centro del cervello Perché se è vero che ogni donna è una visione delle acque e lui ne era il dio Ogni donna è l’attesa di un’inondazione Che viene a bonificare le cose minime, a sodomizzare il poco A fecondare con una massa crudele il seme candido di un bene d’ alabastro Che anneghi, che sia più potente Di quella dominazione della mente che blocca tutto l’universo!
Tiziana Cera Rosco
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tmnotizie · 5 years
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MACERATA – Macerata Mon Amour seconda edizione. Dall’11 al 17 febbraio torna il format legato al centro storico della città dedicato all’amore, celebrato e declinato in tutte le sue forme, organizzato dagli assessorati alla Cultura e alle Attività produttive del Comune di Macerata in collaborazione con  i commercianti e le associazioni cittadine in occasione di San Valentino.
La serie di iniziative, che ha l’obiettivo di rendere ancora più vivo il cuore della città, dopo il successo riscosso grazie alle proposte organizzate dall’Amministrazione comunale per le festività natalizie, vedrà un susseguirsi di momenti all’insegna dell’aggregazione, dello stare bene insieme per festeggiare ispirati da un sentimento tanto bello quanto nobile qual è l’amore.
La settimana dedicata all’amore è stata presentata, oggi venerdì 8 febbraio, nel corso di una conferenza stampa, dall’assessore alla Cultura Stefania Monteverde e dall’assessore alle Attività produttive Paola Casoni e alla quale hanno partecipato gli esercenti commerciali che hanno aderito all’iniziativa e i rappresentanti delle associazioni che hanno collaborato alla messa a punto del programma.
“Macerata mon amour è una occasione per dichiarare il nostro amore per la città di Macerata. Tanta musica, arti, iniziative per vivere il centro storico con i suoi locali, i vicoli, le piazze, il teatro e i musei. Un progetto che nasce dalla collaborazione con le associazioni e che punta a diventare con il tempo un appuntamento forte anche per i turisti”  ha affermato l’assessora Stefania Monteverde.
Intenso e variegato il calendario degli appuntamenti che animeranno il centro storico di Macerata: si comincia con il contest instagram #maceratamonamour sulla pagina igersmacerata e il contest grafico “Lascia il tuo pensiero sull’amore” curato dall’Associazione Donatori Midollo Osseo (ADMO).
La musica non manca con le Audizioni Live di Musicultura, Macerata Jazz e il tributo a Fabrizio De André. Le arti celebrano l’amore con la poesia ma anche arte e una mostra fotografica sui 50 anni di jazz a Macerata.
A piazza Mazzini creazioni artigianali con “Sua eccellenza il cioccolato” il mercatino dedicato al nettare degli dei  allestito dal 14 al 17 febbraio dalle associazioni Terra e Arte e Gente di strada a piazza Mazzini: “La collaborazione delle associazioni nell’organizzazione di questo festival è stata importantissima” ha detto l’assessore alle Attività produttive Paola Casoni e riferendosi alla partecipazione di Terra e Arte che proviene da Milano ha proseguito affermando che “Macerata si sta aprendo e allargando i suoi orizzonti”.
Ritornando al programma di Macerata Mon Amour, molto suggestivo l’appuntamento con le passeggiate nei luoghi più romantici di Macerata e la pedalata in nome dell’amore per la pace, e un flashmob dedicato all’abbraccio e ancora danza, balli e canti della tradizione popolare in compagnia de I Pistacoppi. C’è spazio anche per i momenti dedicati ai bambini. L’appuntamento con la filosofia è “Per (amore) di Giordano Bruno”, la lectio magistralis del professore dell’Università di Macerata Filippo Mignini.
Macerata Mon amour quest’anno vanta anche un angolo tutto dedicato al food&drink con le varie proposte che i locali del centro storico hanno messo a punto appositamente per la festa dell’amore.
IL PROGRAMMA
Dall’ 1 all’11 FEBBRAIO
CONTEST INSTAGRAM #MACERATAMONAMOUR
Challenge fotografico sulla pagina Igersmacerata. Raccontare l’amore usando #maceratamonamour  Al vincitore due biglietti di ingresso per Palazzo Buonaccorsi.
DAL 14 AL 16 FEBBRAIO
LA STORIA PIU’ BELLA-LASCIA IL TUO PENSIERO SULL’AMORE
Contest grafico sull’amore
Piazza Cesare Battisti
A cura di ADMO Marche Sezione di Macerata
Dal 14 al 17 FEBBRAIO
SUA ECCELLENZA IL CIOCCOLATO
Mercatino del cioccolato
piazza Mazzini  ore 10 – 20
A cura delle associazioni Terra e Arte e Gente di strada
DAL 14 AL 17 FEBBRAIO
L’AMORE A PIAZZA MAZZINI
Creazioni artigianali sull’amore
Piazza Mazzini, h 16/19
(in caso di maltempo Via Crispi 11/A)
A cura di associazione Amanuartes e Di Bolina
DAL 15 AL 17 FEBBRAIO
AUDIZIONI LIVE MUSICULTURA
Teatro della Filarmonica, h 21. Ingresso gratuito
A cura di associazione Musicultura
DAL 15 FEBBRAIO AL 3 MARZO
50 ANNI DI JAZZ A MACERATA
Mostra fotografica di Carlo Pieroni
Galleria Antichi Forni (Inaugurazione 15/02, h 18)
A cura di associazione Musicamdo
MERCOLEDI’ 13 FEBBRAIO
DONNA PROTETTA – DIFESA PERSONALE E FEMMINILE
Femminicidi: riflessioni e prevenzione
Via Peranda, 44 – Sforzacosta, h 21
A cura di Centro Regionale di Psicologia dello Sport
MERCOLEDI’ 13 FEBBRAIO
I MISTERI DEL TANGO CANCION
Con Ruben Peloni raccontando aneddoti e storie sui misteri del tango cancion
Biblioteca Società Filarmonico Drammatica – Via Gramsci 30, h 21
A cura di associazione In dance – Accademia del tango Macerata
GIOVEDI’ 14 FEBBRAIO
CABINA FOTOGRAFICA MON AMOUR
Servizio fotografico in sala posa allestita in una cabina fotografica
Piazza della Libertà, dalle ore 16 alle ore 24
A cura di associazione Circolo fotografico della provincia di Macerata
“PLAISIR D’AMOUR, CHAGRIN D’AMOUR…”
Recital per voci, immagini e musica
Biblioteca didattica d’Ateneo, h 18
piazza Oberdan, 4
A cura di C.T.R. Calabresi Te.Ma Riuniti
DANDOCI IL BACIO PIÙ ALTO DEL MONDO
Visita guidata alla torre civica e brindisi romantico per sei coppie che potranno ammirare dall’alto  la città di notte
Torre civica – piazza della Libertà, h 18.30
Prenotazione obbligatoria tramite il portale italy to live > next tours
A cura di Macerata Culture
“E LA TUA BOCCA UN’ANFORA” – POESIE D’AMORE A MACERATA
Serata dedicata alle poesie d’amore e esposizione di quadri della collezione Poesia di Strada
Biblioteca della Poesia –Vicolo Costa, 10, h 21.30. Ingresso gratuito
A cura di associazione culturale Licenze Poetiche
“ERO MOLTO PIU’ CURIOSO DI VOI” – TRIBUTO A FABRIZIO DE ANDRE’
“Le Nuvole” e Michele Ascolese in concerto
Teatro Lauro Rossi, h 21.30
A cura di associazione musicale Sarabanda 2.0
VENERDI’ 15 FEBBRAIO
MACERATA JAZZ 2019
Stefano Coppari Quartet in “Eureka”
Il Pozzo, h 19.30. Ingresso gratuito
Francesco Cafiso & Colours Jazz Ensemble
Teatro Lauro Rossi, h 21.30
A cura di associazione Musicamdo
SABATO 16 FEBBRAIO
LA STORIA PIU’ BELLA
Omaggio ai passanti di gadget e illustrazioni a tema create live dai volontari Admo
piazza Cesare Battisti, dalle h 15
A cura di ADMO Marche sezione. di Macerata
ALLA RICERCA DELL’AMORE PASSATO
Storie e aneddoti sulla via dell’amore. Passeggiata nei luoghi più romantici di Macerata
Partenza dai Giardini Diaz, h 15.30
in collaborazione con associazione Nordic Walking Green e Compagnia Teatrale Oreste Calabresi
PEDALIAMO!
“Due amanti in bicicletta non attraversano la città, la trapassano come una nuvola, su pedali di vento. (D. Tronchet)” – Incontriamoci in piazza per un giro e una foto ricordo in bici.
Piazza della Libertà, h 16
A cura di associazione Ciclostile
“ABBRACCIAMI PERCHE’ SONO COME TE” – FLASH MOB
Un abbraccio collettivo per conoscersi e mettersi in gioco
Piazza della Libertà, dalle h 16
A cura di Croce Rossa Italiana – comitato di Macerata
UN AMORE DI LIBRO
L’amore nei libri per bambini, un dolcissimo viaggio tra le pagine più belle
Per rendere ancora più dolce l’incontro una cremosissima merenda offerta da Talmone
Età consigliata: dai 5 anni in su
Bottega del Libro, h 16:30 – info e prenotazioni: 0733/230046 – 0733/234860
ROSSO COME L’AMORE
Lettura per i più piccoli e laboratorio di manualità creativa
Libreria Bibidi Bobidi Book
Corso Matteotti 32, h 17
Per bambini dai 4 anni. Partecipazione: 5 Euro
“AMORE… TUTTO IL RESTO E’ COPPIA”
Rappresentazione teatrale per la regia di Marco Bragaglia
Caffè Venanzetti, h 21. Ingresso gratuito
via Gramsci, 21/23
A cura di C.T.R. Calabresi Te.Ma Riuniti
MIKE MELILLO IN “PIANO SOLO”
Galleria Antichi Forni, h 21. Ingresso gratuito
A cura di associazione Musicamdo
CITTA’ IN DANZA
Teatro Lauro Rossi, h 21
A cura di UISP e associazione Rainbow
DOMENICA 17 FEBBRAIO
CANTI E BALLI DELLA TRADIZIONE POPOLARE
Animazione itinerante
Piazza della Libertà, dalle h 16
A cura di associazione aulturale Li Pistacoppi
PER (AMORE DI) GIORDANO BRUNO
Lectio magistralis professor Filippo Mignini (Unimc)
Galleria Antichi Forni, h 17.30. Ingresso gratuito
A cura dell’Associazione Scuola Popolare di Filosofia
FOOD & DRINK MON AMOUR
DALL’11 AL 17 FEBBRAIO
DILLO CON UN BISCOTTO PER UN’INTERA SETTIMANA
San Valentino con abbracci, baci di dama e alfajores perché in Argentina la festa dura una settimana ed è  dedicata all’amore e all’amicizia con scambio di dolci e abbracci
Volverè, via Santa Maria della Porta, 40
GIOVEDI’ 14 FEBBRAIO
SPRITZ & DATE
Conosci nuove persone gustando un delizioso spritz
Spritz & Chips, via Gramsci 51/A, h 18,30
A cura di associazione Run Macerata e Spritz & Chips
SAN VALENTINO A LUME DI CANDELA
Cena a lume di candela per tutti gli innamorati accompagnata dalla dolce musica del pianoforte
HAB, via Gramsci 24, h 20
L’AMORE E’… VIAGGIARE INSIEME PER SCOPRIRE LE CAPITALI DEL GUSTO
Itinerario gastronomico a tappe. Serata a lume di candela con menù degustazione dedicato ai migliori piatti europei. Musica e omaggio a tema
Osteria dei Fiori
SAN VALENTINO AL CENTRALE.EAT
Piazza della Libertà, 1
VENERDI’ 15 FEBBRAIO
SPEED DATE
Incontra nuovi amici e nuovi amori insieme ad un buon cocktail
HAB, Via Gramsci 24, h 20
Info: www.comune.macerata.it
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dominick-ferraro · 5 years
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Il Mio Verso Rap
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IL MIO VERSO RAP
Il mio verso rap vestito a festa batte come fosse un martello. Agile con l’ ali di un uccello vaga sopra la città e non sa dove finirà questo andare dove tutto il soffrire farà rima con il mare. Dove il mio amore nascerà metterà radici nella grigia metropoli del sesso , errante per lidi austeri come ieri anche oggi non ho portato l ombrello. il mio cuore sbava a poppa deciso deriso perduto nella nebbia perduto in un idea che sale verso il monte che parla con Gennaro con Filippo ed Andrea . Mesto martello pneumatico entra dentro il corpo della volontà scaturiscono note dolenti giorni ingrati senza giungere oltre ciò che si pensa di questa storia. una vergogna un momento utopico senza topiche senza ponti senza guardie alle calcagna , senza nulla che abbia la pena di credere e perseguire l’idea di una bellezza amara.
Lascia stare sono in pochi a capire, il molti camminano senza mutande chi se la ride chi non ha peccato chi come un angelo ferito viene portato al pronto soccorso lasciato sopra una barella in attesa che passi il chirurgo di turno . Ci sono i parenti in sala d’attesa ci son due coccodrilli ed un orango tango ci son Filippo ed Andrea c e il destino che t aspetta un lungo viaggio in questo fine maggio con un taglio alla gola un colpo nella gamba sinistra un panciera che stringe il piacere e tu non ridere scansati non chiedermi nulla. Il tempo mi ha condotto in questo orbitorio con un turbante in testa come un indiano ho recitato la mia parte . Siamo rimasti in pochi a capire tre signore di mezza età un ladro una ragione che trascende il mistero della vita.
Il mio pensiero vive nella poesia. in mondi sconosciuti . incapace d amare di volare via verso una nuova esistenza. in mezzo a questo inferno con tante domande da fare con mille turbamenti con un cuore che pompa sangue , colora l’animo. ed il cielo è solo la porta d’ingresso per un nuovo amore . Metto un punto tra un rigo e l’altro non ho scusanti e come prendere la macchina in compagnia di mamma come ieri alla stazione a fare benzina osservare il ragazzo che rubava sogni al vecchio addormentato dentro la sua auto si nascondeva tra le pieghe del desiderio tra l idea di un amore malato incline alla musica alla speranza di esistere ancora.
Lascia stare che qualche anno in più contano , lascia stare che viene presto natale ed andremo alle Maldive in bikini tu con i tuoi tacchi alti tu con quel aria da furbetta con il vestito migliore. Ok baby fammi sognare fammi passare la più bella notte della mia vita aggrappato alla gonna della lussuria come se fossi un condannato a morte in questa città che risucchia il mio sperma misogino mitocondrio generante una condizione umana migliore. Ed al parco giochi i bambini corrono nei verdi prati dell’infanzia nella bella canzone dell‘amore malandrinò, ed io sono rimasto per ore a guardarli alla fine ho compreso che era passato il mio tempo era passato l autobus delle sette.
Ora sono solo qui che mi cingo il capo d’alloro nell’ora meno opportuna con un terribile dolore che mi trascina per contrade deserte. Strade lontane illuminate dal lume di una ragione infiamma il senso di essere di credere. Come ieri sono qui ancora alla ricerca di una felicita di uno spazio tra le pieghe del tempo che spenga il mio dolore nell’ora meno opportuna. Tutto cosi illogico come accingersi a capire dove è nato questo errore madornale dove la strada si è piegata sotto le ruote dell’auto quando sono entrato in altri dimensioni ed in altre questioni mi son consumato come fossi una fiamma dentro una lampada spenta . Dentro il mio tempo che scorre e mi trascina verso altre questioni ipercinetiche chimiche astrazione , castrano l’ingegno biogenetico in malversazioni e discorsi campati in aria.
Non ho capito nulla del mio verso del mio pensiero rap tutto cosi oscuro come le parole mosce che fanno la spola tra un rigo ingiallito ed il dubbio socratico crescono e non cessano di stupirmi nella loro fragile femminilità festaiola funebre come l’aria salubre che respiro . Senza capire cosa sono stato e quando sono caduto in questo orrore ortografico che non mi lascia in pace . Sono quello che sono forse un poeta dialettale che non conosce le lingue straniere con un aria che non me la conta giusta. E questo il discorso d’affrontare nella sera che giunge come ieri sull’onda di un ricordo nella calura dei colori gocciolanti dal pennello intriso di bellezza. Una linea una forma tonda senza occhi senza testa si muove lesta tra il dire e il fare . Un drago ,un mostro con mille teste lancia fiamme brucia il mio ardore l’apostolo ed il furbo sermone del prete circonciso. Ho visto il cielo cadere ho visto le nuvole fare l’amore come erano belle come erano incredibile volare perdersi nell’ipergiunzione di un mondo d’astrofisiche dimensioni. Fuochi d’artificio bruciavano l’amore e non cera nulla valesse la pena capire non cera sorte migliore quella di lasciarsi andare nell’affrontare il proprio destino. Sull’onda del successo chiuso nel cesso da solo con i propri mostri con quel dubbio sulla bellezza.
Tutto cosi bello quasi incomprensibile quasi surreale una bomba calligrafica trascritta su fogli di carta igienica gettata dentro il buco dove il ragno balla la sua tarantella . Meno male il ragno sopra il muro sale scende si cala i pantaloni e giunge finalmente a placare le sue insane voglie. Ora il tempo ha dato scacco matto al giullare ora la torre e caduta ora il cavallo e morto ora siamo in più di mille a chiederci cosa ci facciamo qui a cantare tutti insieme oh bella ciao. Il tempo ci ha resi diversi preso per il collo trascinato oltre ciò che noi credevamo figli dispersi nel sogno di un re e di un amore mai nato. Un bene mai assaporato mai assaggiato bello tondo secolare come l’ossesso delle parole come il sesso consumato in fretta dentro una macchina . Per pochi spiccioli tutto quello credevamo, morire nell’illogicità dei fatti nella forma che non si piega al nostro volere. Una volontà superiore ci conduce verso questo eterno comizio dove son tanti a parlare pronti a tirare sassi al malcapitato tutti d’accordo che la morte non è la verità dei fatti commessi.
Il mio rap improvvisato nato tra montagne di rifiuti durante un viaggio a ritroso nell’ossesso di un sesso sperimentale cosi come ieri , come un angelo ferito sopra un autobus, andare verso casa, verso la fine d’una sera dolce che t’afferra l’animo t’interroga ti mette soggezione. Ed io non ho compreso dove sia il bene di questa vita dove sia il male di quest’anima afflitta, tutto troppo facile da digerire da scrivere come queste canzonetta saltellante nemica delle mie virtù.
Qui tra cent’anni con questo cuore che continua a battere con il mio pensiero rap con il tuo sorriso in una giornata di pioggia scendere , risalire , andare, migrare verso un nulla verso qualcosa che non ha senso. E tutto scorre come ieri anche oggi saremo a casa ad aspettare natale. Saremo li a capire dove abbiamo sbagliato dove il signore ha lasciato l’auto fuori sosta. anche se sembra tutto ridicolo il mio pensiero rap mi porterà ad Itaca forse in Gerusalemme forse ad Amsterdam forse in viaggio su un cavallo alato . E rido forse sono folle come la luna che se la ride dietro le nuvole laggiù a mergellina che si gingilla con gigino il meccanico fa la stupida con Nicola il pescivendolo vola e balla sull’onda porta il suo cuore dietro l’attimo represso nello scrutare il cosmo sulla spiga di grano tutto il valore della farfalla . tutto il suo amore ingordo sordo ad ogni richiamo sordo all’odore della femmina che arde nella fiamma delle passione sono giunto perverso come un fiume in piena in questo porto in questo corpo abbandonato a se stesso.
Ultimo giro ultima corsa il mio pensiero rap e improvvisamente cambiato umore mi ha preso per il collo mi ha baciato sulle labbra mi ha detto ti amo e poi si e gettato dal ponte. Che bello pensai mentre cadevo ero vivo ed adesso sono un uccello che vola in cielo sono una rana che saltella dentro il bel giardino dell’esperienza insieme ad Ezechiele insieme a pietro che non smette di tirarmi la zampa che mi dice stai attento. Ed il mio pensiero rap e ridicolo piccolo brutto cosi sincero che lo vorrei regalare a tutti quello che conosco e non conosco o credo di conoscere. come una bella canzone sarò libero di volare per la città con l’ombrello sotto l’ascella in pompa magna come un morto al cimitero come Ciccio che fuma una cicca che intasca una mazzetta che se la ride mentre si scopa la moglie del padrone. Ora il mio pensiero rap diviene sempre più ridicolo piccolo innocente roseo come la rosa nel bel giardino là tra le gambe di lei il fiore del peccato il fiore che soffre tace stanca a sera mentre allarga le braccia per stringere il cielo a sè .
Ecco cosa faro sarò deciso un taglio netto, forse un giorno ti porterò a conoscere mia madre ti regalerò il mio amore la mia rima sincera che arma se la ride mentre trema mentre cerca per illogici giochi onirici la cecità degli atti commessi sull’uscio del tempo sull’uscio del silenzio il mio pensiero rap sara il figlio che desiderai , mesto cercai tra le pagine dei libri tra quell’amore pagano e quell’amore malato. Dopo berrò tutto il veleno di questo mondo sarò il salvatore atteso di nuovo crocifisso deturpato imprigionato sarò il tuo sogno il fiume dell’odio sarò sull’uscio di un nuovo verso con il mio amore morente mentre imploro pace, imploro la bellezza, nudo davanti alla croce, davanti al mondo intero. Il mio pensiero rap mi condurrà oltre ciò che credo forse nell’amore forse nella speranza di un vivere migliore.
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