Tumgik
#insediamenti
storiearcheostorie · 7 months
Text
SCAVI / Lastre decorate, altarini e bacini lustrali: da Muro Leccese nuove testimonianze della città messapica
Nuovi ritrovamenti archeologici a Muro Leccese (LE), una delle più grandi città messapiche. Trovata una stanza pavimentata con cinque enormi lastre decorate con motivi geometrici a rilievo, tre altarini e reperti legati a un recinto sacro
Nuovi ritrovamenti archeologici a Muro Leccese (LE), una delle più grandi città messapiche. Trovata una stanza pavimentata con cinque enormi lastre decorate con motivi geometrici a rilievo, tre altarini e reperti legati a un recinto sacro, tra le quali dei bacini lustrali (uno con iscrizione) riccamente decorati nei quali era contenuta l’acqua utilizzata durante i rituali. ©SABAP Brindisi e…
Tumblr media
View On WordPress
2 notes · View notes
jacopocioni · 2 years
Text
La nascita di Firenze
Tumblr media
...secondo Robert Davidsohn
Tumblr media
Robert Davidsohn
Tumblr media
Storia di Firenze, prima edizione italiana del 1907 Nella sua famosa “Storia di Firenze”, cui lo studioso ottocentesco Davidsohn si era dedicato per buona parte della vita, l’autore scriveva che solo in tempi recenti si era riusciti a ricostruire il luogo dove era sorta la Firenze etrusca, l’antica colonia di Fiesole sulle rive dell’Arno. Sosteneva infatti che racconti e leggende tramandati dai cronisti del Trecento avevano per secoli travisato il luogo dove era stata edificata la Firenze antica, prima che in epoca romana sorgesse il nucleo primigenio della città che oggi conosciamo. Scriveva il Davidsohn che dai documenti del XI e XII secolo risultava che alcune parti della Firenze etrusca erano ancora in piedi all’epoca e i materiali della città, distrutta da Silla durante la Guerra civile contro Mario, venivano utilizzati per nuove costruzioni, come per altro spesso accadeva: l’antica città si estendeva dai piedi del colle di Fiesole fino alle rive del torrente Affrico e del fiume Arno, lungo la vecchia strada che portava ad Arezzo, tanto che di essa furono rinvenuti 150 metri di mura nel secolo XVIII. In base alle accurate indagini dello studioso tedesco la città era stata fondata intorno al 200 a.C. e poi distrutta durante le guerre civili romane a metà del I° secolo, intorno agli anni 80. Le sue mura si estendevano, nel periodo di massima espansione, fino all’attuale Borgo Pinti, Porta alla Croce (in piazza Beccaria) e via degli Artisti.
Tumblr media
Firenze romana La difficoltà a collocare i primi nuclei abitativi della città toscana sottolineava Davidsohn, erano legate anche al regime dell’Arno che nel tempo aveva cambiato configurazione: all’inizio della pianura fiorentina si suddivideva in tre rami, uno si distaccava dal letto principale e scorreva sul piano di Ripoli, l’altro nella zona a nord passava nei pressi di San Salvi per ricongiungersi poi al ramo principale all’altezza della Zecca Vecchia. Le continue esondazioni  favorendo il deposito di detriti alluvionali avrebbero colmato i due rami secondari dando luogo a una fertile piana sulla quale sorse Firenze. L’antica Firenze etrusca, dopo la distruzione di Silla, fu ricostruita come colonia al tempo di Cesare in base alle Leggi Agrarie che offrivano appezzamenti dell’ager publicus ai cittadini romani che volessero stabilirvisi.
Tumblr media
Firenze romana mura Il cerchio delle mura romane, fatte di mattoni con al centro di ogni lato una porta difesa da torri mentre altre torri ne rafforzavano gli angoli, aveva un diametro di circa 500 m: lungo il tratto settentrionale scorreva il Mugnone che poi piegava verso sud e confluiva nell’Arno all’altezza dell’odierno Ponte Santa Trinita; le mura nel lato meridionale seguivano il corso dell’Arno fino a piazza de’ Giudici, ma a distanza, per evitare i danni delle piene frequenti; quindi verso nord passando per piazza San Firenze e grosso modo lungo il tracciato di via del Proconsolo fino al Duomo, via Cerretani e poi nuovamente a sud costeggiando il percorso di quella che sarà via Tornabuoni.
Tumblr media
Molto si deve al lavoro accurato dello studioso tedesco la cui opera è ancora oggi di fondamentale importanza per ricostruire la storia, dalle origini al 1330, relativamente all’ambiente umano, culturale e topografico della città da lui amata al punto da dedicarle una vita di studi. Torre della Pagliazza in Piazza Santa Elisabetta, edificata nel Medioevo dove sorgevano  le terme romane https://tuttatoscana.net/storia-e-microstoria-2/la-fondazione-di-firenze/
Tumblr media
tuttatoscana.net Read the full article
0 notes
sauolasa · 10 months
Text
Cisgiordania altre 5mila abitazioni negli insediamenti israeliani illegali
Il governo di estrema destra israeliano ha approvato la costruzione di altre 5mila abitazioni negli insediamenti illegali in Cisgiordania. Un ostacolo alla pace secondo la comunità internazionale
0 notes
falcemartello · 7 months
Text
Palestina: capire il torto (di Paolo Barnard)
youtube
Firmato molto lungo, dura un'ora circa, dove un monumentale Paolo Barnard ripercorre la Storia del conflitto israelo-palestinese, smontando moltissime inesattezze ed invenzioni del mainstream, ricostruendo la storia dai primi insediamenti in Palestina fino ai giorni nostri.
Un video che giova riascoltare e che può chiarire molti punti di vista errati di un mondo occidentale male informato e/o volutamente disinformato.
A mio avviso è punto di partenza per poter formulare e/o riformulare alcune considerazioni al netto delle becere bandierine Israeliane o palestinesi appiccicate in calce alla bio.
79 notes · View notes
generalevannacci · 6 months
Text
Peter Freeman
Vanno molto forte, tra i miei contatti, le foto della Palestina negli anni 1930-40.
Siamo negli anni in cui il suo territorio è sotto il Mandato britannico ed è un periodo di forti tensioni perché la pressione demografica degli ebrei migrati dall'Europa dell'Est e in fuga dalla Germania nazista si è fatta più forte. Nel 1923 si è costituita l'Agenzia ebraica e, clandestinamente, si è costituito l'Haganah. Ci sono stati i fatti di Hebron (1929) e la grande rivolta araba del 1936; in mezzo, altri fatti di sangue.
Questo per contestualizzare.
La condivisione di quelle foto ha provocato discussioni alquanto accese, di qua e di là, e svariati malumori per l'uso politico che ne verrebbe fatto. E come sempre accade su questa materia, con svariati eccessi.
Alcuni chiarimenti.
1. Chiamare Palestina quel territorio è assolutamente corretto, a condizione di non attribuire alla Palestina di quel periodo uno identità statuale che essa non ebbe. Irritarsi per l'utilizzo del termine "Palestina" è sbagliato: quella era la Palestina e di sicuro non era Israele. Negarlo è sciocco ed è segno di intolleranza, oltre che tragico stanti i tempi.
2. Le foto ritraggono un pezzo di società palestinese. La sua borghesia cittadina, benestante e spesso laica. Ora, che qualcuno si scandalizzi per il fatto che vi fosse (e che ci sia ancora) una borghesia palestinese, e non solo pastori e contadini più o meno incazzati e insorgenti, questo lo trovo ridicolo, da qualunque parte ci si infastidisca.
3. Nella parte rurale della Palestina di quegli anni.le cose andavano assai meno bene. Prevale il.latifondo e prevale la pastorizia: ricchezza poca, povertà molta, come peraltro in alcune aree del nostro Mezzogiorno. I latifondisti palestinesi esistono ed è da loro che il Fondo Nazionale Ebraico acquista i terreni per gli insediamenti di coloni e kibbutzim. Pecunia non olet, soprattutto se sei un latifondista e buona parte delle tue terre sono incolte o destinate al pascolo.
Tutto qui. E vi invito a riporre le armi.
P.S. È superfluo che voi citiate il Gran Mufti o l'Irgun. Siamo già sufficientemente informati sulla materia. Nel caso consiglio il documentario che come Grande Storia mandammo in onda qualche anno fa. Lo potete trovare su RaiPlay.
21 notes · View notes
gregor-samsung · 9 months
Text
"Nel 1996, nel bel mezzo del processo di pace di Oslo, Israele promise all’amministrazione USA che avrebbe smesso di costruire nuove colonie nei Territori Occupati. Ma mentre il governo israeliano stava conducendo i negoziati con i palestinesi, stava anche incoraggiando 50.000 cittadini ebrei a trasferirsi da Israele in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Contemporaneamente, il governo israeliano stava aiutando concretamente il movimento dei coloni a creare una molteplicità di “avamposti illegali” – fuori dai confini delle colonie esistenti – fornendo a questi insediamenti energia elettrica e acqua e costruendo la rete stradale per raggiungerli.* Entro il 2001, cinque anni dopo il divieto da parte degli Stati Uniti di costruire nuovi insediamenti, i coloni avevano creato piú di sessanta nuovi “avamposti illegali” su terreni espropriati ai palestinesi. Il governo israeliano dipingeva spesso i coloni ebrei come dei cittadini sprezzanti e indisciplinati, nonostante avesse stanziato milioni di dollari a favore della loro “insubordinazione”, principalmente perché ciò permetteva allo Stato – quando criticato – di rivendicare il fatto di essere una democrazia con una società civile vitale e pluralista. Durante l’impennata dell’edificazione dei cosiddetti avamposti, la polizia e l’esercito israeliani intrapresero solo sporadicamente azioni simboliche per far rispettare la legge, evacuando coloni dai nuovi avamposti. In parallelo a questo processo di espansione degli insediamenti e di rara applicazione della legge – spesso coincidente con periodi in cui aumentavano le pressioni internazionali a riprendere il processo di pace –, l’esercito israeliano eseguiva invece demolizioni di case palestinesi su larga scala, una pratica sulla quale le ONG israeliane e palestinesi concentrarono la loro attività. È stato in questo scenario legale e politico di espropriazione di terre palestinesi da parte dei coloni e di demolizioni di case palestinesi da parte del governo che Yesha for Human Rights ha iniziato la propria attività. Era la prima volta che i coloni creavano una ONG per difendere i propri diritti umani – il diritto umano di non essere evacuati dagli insediamenti e di continuare a colonizzare la terra palestinese."
  * In realtà, gli avamposti sono nuovi insediamenti. Oggi ci sono piú di cento avamposti in Cisgiordania. Circa cinquanta sono stati creati dopo il marzo del 2001. Analogamente ad altri insediamenti, questi avamposti sono stati costruiti con l’obiettivo di dare una continuità territoriale alla presenza israeliana occupando piú terra palestinese possibile e creando una barriera tra i vari centri abitati palestinesi. Cfr. Peace Now, “Settlements and Outposts”, http://peacenow.org.il/eng/content/settlements-and-outposts (consultato il 01/05/2014); vedi anche Talia Sasson, Report on Unauthorized Outposts: Submitted to the Prime Minister, Prime Minister’s Office, Jerusalem 2005.
---------
Nicola Perugini, Neve Gordon, Il diritto umano di dominare, traduzione di Andrea Aureli, edizioni nottetempo (collana conache), 2016¹; pp. 166-167.
[Edizione originale: The Human Right to Dominate, Oxford University Press, 2015]
P.S.: Ringrazio @dentroilcerchio per avermi consigliato la lettura di questo saggio che esamina e denuncia l’uso strumentale dei diritti umani da parte dei gruppi dominanti.
25 notes · View notes
mezzopieno-news · 3 months
Text
L’ITALIA VARA IL PRIMO PIANO SUI CAMBIAMENTI CLIMATICI
Tumblr media
L’Italia ha approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Il provvedimento è il primo di questo tipo che prevede azioni per la pianificazione e l’attuazione di azioni di adattamento ai cambiamenti climatici nel nostro Paese.
Il Piano comprende 361 azioni rivolte ai sistemi naturali, sociali ed economici, tra cui le aree marine, montagna e criosfera, le risorse idriche, zone costiere, sottosuolo, dissesto geologico e idrogeologico, ecosistemi terrestri, specie alloctone, foreste, agricoltura, pesca, acquacoltura, turismo, insediamenti urbani, trasporti e infrastrutture, industrie, patrimonio culturale, energia e salute. Le azioni a livello nazionale, regionale e locale si inquadrano nella nuova strategia del Green Deal europeo che mira a realizzare la trasformazione dell’Europa in un’unione resiliente ai cambiamenti climatici entro il 2050 e si basa su quattro priorità: un adattamento più intelligente, più sistemico e integrato, più rapido, oltre che una intensificazione dell’azione internazionale.
Il PNAAC è stato approvato in seguito ad un percorso di confronto che ha coinvolto molte realtà della società civile e preceduto da una fase di consultazione pubblica avviata a inizio 2023, sulla quale hanno lavorato enti, associazioni, università e ricercatori in uno sforzo collettivo durato anni. “Finalmente dopo sei lunghi anni dalla prima bozza e dopo ben quattro governi, l’Italia ha approvato il PNAAC” dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente. “Ritengo molto positivo che l’Italia si sia dotata del PNAAC dopo tanti anni in cui questo piano avrebbe dovuto essere predisposto” ha affermato Enrico Giovannini dell’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile ASVIS.
___________________
Fonte: Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica; foto di Ralph W. Lambrecht
Tumblr media
VERIFICATO ALLA FONTE | Guarda il protocollo di Fact checking delle notizie di Mezzopieno
BUONE NOTIZIE CAMBIANO IL MONDO | Firma la petizione per avere più informazione positiva in giornali e telegiornali
Tumblr media
Se trovi utile il nostro lavoro e credi nel principio del giornalismo costruttivo non-profit | sostieni Mezzopieno
9 notes · View notes
sonego · 3 months
Text
comunque una cosa di casa mia che non abbiamo apprezzato abbastanza secondo me (o magari sì e io non l'ho visto, può essere) è la parte in cui canta "per tracciare un confine con linee immaginarie" cioè dire esplicitamente, sul palco di sanremo, su rai1, in una canzone che in moltissimi hanno ascoltato e continueranno ad ascoltare che i confini che cerca di imporre israele non sono i reali confini della palestina è la cosa più coraggiosa che ha detto ghali in questa settimana insieme a "non è iniziato il 7 ottobre". perché sono due VERITÀ ma che in italia non dice quasi n e s s u n o. anche tra chi denuncia l'uccisione di civili, di bambini, il bombardamento di ospedali moschee chiese scuole ecc... raramente, da quello che ho visto io nei media, dice anche che no non è nulla di nuovo, che israele cerca di ridisegnare i confini della palestina a forza di bombardamenti, insediamenti, esodi di massa, assedi ecc da 75 anni. quello che israele dice essere ora la palestina non è che una frazione del vero territorio palestinese, basta guardare una mappa della palestina pre-1948 e anche pre-mandato britannico. i territori occupati sono palestina. eppure non è appunto una cosa banale da dire! ma questo non possono censurarlo i bastardi perché fa parte della canzone, ormai l'abbiamo sentito tuttə
5 notes · View notes
toscanoirriverente · 6 months
Text
Conoscere il passato, saper leggere il presente, senza cedere agli slogan. Contro i mantra degli ebrei tutti ricchi, dell’apartheid, di Gaza palestinese da sempre. Contro i silenzi e le omissioni su Hamas e sulle prospettive di pace. Un'analisi
(...)
Uno di questi mantra fa riferimento, come s’è detto, a Israele come stato in cui si pratica l’apartheid. Questo senza neppure riflettere sul fatto che non vi sono, in Israele, mezzi di trasporto o scuole o quartieri vietati agli arabi. Basti pensare che negli ultimi sette anni il numero degli studenti arabi nelle università israeliane è cresciuto del 78,5 per cento. Nel 2018 il numero di dottorandi di ricerca arabi in Israele ha raggiunto le 759 unità. Possibile poi che nessuno si sia mai accorto che vi sono diversi partiti arabi rappresentati al parlamento israeliano e che, volendo, gli arabi possono anche presentarsi – e venire eletti – tra le fila dei partiti tradizionali? Il governo precedente a quello di Netanyahu, ad esempio, aveva al suo interno il partito arabo-islamico Raam con quattro seggi. Di fatto gli arabi in Israele godono di pieni diritti politici e civili e possono assurgere a qualsiasi carica, al pari dei cittadini ebrei. In queste ore, nell’esercito israeliano, stanno combattendo per Israele cittadini arabi, drusi, beduini, ebrei, islamici, cristiani, atei.
Il secondo mantra riguarda Gaza, percepita dai più come palestinese e islamica da sempre. Le immagini che ci vengono in mente, al solo pronunciarne il nome, sono quelle dei palazzi diroccati e devastati dalle bombe (israeliane), delle rampe di lancio missilistiche di Hamas (nascoste dietro alle scuole e negli ospedali), dei tunnel fatti scavare dai bimbi (nel solo 2014 ben 160 bimbi palestinesi, secondo il Simon Wiesenthal Center, sono morti durante gli scavi). Per quanto si vada indietro con la memoria, si tende al più a ricordare la conquista ottomana del 1517. Difficilmente si pensa a quella di Napoleone del 1799 o alla presa di Mohammed Alì (non il pugile!) che porta Gaza sotto l’ala protettiva dell’Egitto. Dal 1917, quando l’Impero ottomano viene sconfitto, la storia è nota: il Mandato britannico sulla Palestina (che comprendeva gli attuali Israele, Cisgiordania e Striscia di Gaza, oltre l’attuale Regno di Giordania) dura sino al 1948. In quell’occasione – avendo i leader ebrei accettato la spartizione dell’Onu – nasce lo Stato d’Israele, mentre la Cisgiordania, a seguito della guerra araba contro il neonato Stato d’Israele, viene annessa alla Giordania e la Striscia di Gaza finisce sotto occupazione egiziana. La Lega Araba aveva infatti rifiutato il piano per la seconda spartizione (la prima era stata operata dagli inglesi nel 1921 con la creazione dello stato arabo-palestinese della Giordania) e dato avvio alla prima guerra arabo-israeliana, i cui esiti finiscono con lo sconvolgere la possibilità della nascita di uno stato palestinese accanto a uno israeliano.
Per ben 17 anni – dal 1949 fino al 1967 – Gaza rimane sotto il governo militare egiziano. Come conseguenza della guerra dei Sei giorni (1967), viene infatti occupata da Israele che ne amministra il territorio sino al 1993. A partire da quella data, grazie alla “dichiarazione di princìpi” nota come “accordi di Oslo”, la quasi totalità del territorio di Gaza e della Striscia passa sotto il controllo dell’Autorità palestinese, mentre gli insediamenti ebraici continuano a essere difesi dall’esercito d’Israele sino al 2005. Tuttavia da quel momento Israele procede allo smantellamento delle colonie ebraiche e delle basi militari israeliane, ponendo così definitivamente termine all’occupazione.
Le domande, a questo punto, sono due:
I) perché tra il 1949 e il 1967, quando Striscia di Gaza e Cisgiordania sono in mani arabe, non nasce lo Stato di Palestina?
II) perché, a partire dal 2005, dopo la fine dell’occupazione di Gaza non nasce il primo nucleo di Stato palestinese?
Viene il sospetto che la questione dell’occupazione non sia la motivazione più forte che sta alla base del protrarsi degli scontri. Ad ogni modo, in seguito alle elezioni amministrative del 2006 la Striscia di Gaza è governata da Hamas e, dal 2012, è riconosciuta dall’Onu come parte di un’entità statale semi-autonoma. Purtroppo i continui scontri lanciati contro Israele – cui Hamas continua a negare il diritto ad esistere – e le conseguenti risposte militari israeliane hanno portato la città e la regione a un evidente stato di prostrazione economica e sociale. (...)
7 notes · View notes
soldan56 · 1 year
Text
Tumblr media
"Queste sono le linee fondamentali del governo nazionale da me presieduto: il popolo ebraico ha diritto esclusivo e insindacabile su tutte le aree di Israele. Il governo promuoverà e svilupperà insediamenti in tutte le parti di d'Israele.
Benjamin Netanyahu
43 notes · View notes
3nding · 11 months
Text
Ricapitolando: compagnie russe che non riconoscono il regime di Mosca e combattono con ukr hanno varcato il confine nel Oblast di Belgorod. Incontrato praticamente nessuna resistenza. Catturato 4 insediamenti. UKR dice che sono formazioni autonome che vogliono installare una repubblica popolare autonoma di Belgorod (trolling and lol over 9000) non essendoci unità rus sul confine russo adesso stanno cercando di rimediare inviando unità motorizzate e l'aeronautica il tutto mentre la popolazione non sa che fare e non sa se deve evacuare
13 notes · View notes
storiearcheostorie · 1 year
Text
ARCHEONEWS / Scoperta in Iraq una “taverna” con un antico frigorifero di 5000 anni fa
#ARCHEOLOGIA #ARCHEONEWS / Scoperta in #Iraq una “taverna” con un antico #frigorifero di 5000 anni fa Il ritrovamento a cura di @Unipisa e @UofPenn nel quadro di @LagashArchProj I particolari su Storie & Archeostorie
Il team del Lagash Archaeological Project composto da archeologi dell’Università di Pisa e dell’Università della Pennsylvania Una zona pranzo all’aperto con panchine, un forno, contenitori per la conservazione, antichi resti di cibo e persino un frigorifero di 5000 anni fa, denominato “zeer”, termine arabo che identifica la tecnica del “vaso nel vaso” per conservare bevande e alimenti. È quanto…
Tumblr media
View On WordPress
2 notes · View notes
rideretremando · 6 months
Text
"Allo stato attuale l’unico embrione di stato palestinese è l’area A della Cisgiordania, che è sotto il controllo dell’autorità palestinese (Abu Mazen) ma copre appena il 3.6% dell’intera Palestina (Israele + Gaza + Cisgiordania), e inoltre è priva di continuità territoriale, in quanto sistematicamente punteggiata da insediamenti israeliani. Conclusione. È vero che, in astratto, la soluzione “due popoli, due stati” è l’unica ragionevole. Ma è ipocrita parlarne come se bastasse un atto di buona volontà politica per realizzarla. Anche se Hamas sparisse dalla faccia della terra, il mondo arabo riconoscesse il diritto di Israele di esistere, e l’Autorità Nazionale Palestinese di Abu Mazen prendesse il controllo della striscia di Gaza (come da qualche giorno si favoleggia), resterebbe il problema della Cisgiordania, dove ci sono 500 mila coloni israeliani, che sarà quasi impossibile convincere a ritirarsi. Per non parlare dello status di Gerusalemme, dal 1980 annessa a Israele, in cui risiedono circa 200 mila ebrei e altrettanti arabi. Anche se Israele dovesse cedere ai palestinesi, oltre a Gaza, Gerusalemme Est, l’intera area A e l’intera area B della Cisgiordania, e tutti i coloni dovessero ritirarsi da questi territori, allo stato palestinese spetterebbe poco più del 10% della Palestina.  Come dire: a Israele la Lombardia, ai palestinesi la Valle d’Aosta. In queste condizioni, il massimo che è realisticamente concepibile è una soluzione a due stati asimmetrica: uno stato a Israele, uno staterello ai Palestinesi. Basterà a portare la pace?"
4 notes · View notes
sauolasa · 1 year
Text
Migranti: tra gli insediamenti informali di Roma
100 accampamenti non ufficiali ospitano profughi nella capitale. L'ong Baobab Experience prova a togliere queste persone dalla strada
0 notes
curiositasmundi · 1 month
Text
Un gruppo di motociclisti – capelli lunghi, barba e veste di cuoio – attraversa il midwest statunitense dietro Gary Burd, il loro pastore. Sulla sua veste ci sono la croce e il simbolo dei Christians united for Israel (cristiani uniti per Israele, Cufi), un’organizzazione cristiana evangelica. Prima del viaggio iniziatico Burd ha preparato delle spade d’acciaio da distribuire ai suoi seguaci. Con quelle armi Burd e i suoi vanno in moto fino a Lebanon, in Kansas, negli Stati Uniti. Non temono l’apocalisse, pregano addirittura perché arrivi al più presto: non vedono l’ora di “poter combattere accanto a Gesù” nella battaglia finale, che sostengono si terrà in una valle situata in Israele. A Lebanon saranno nominati “cavalieri dell’apocalisse”Questi motociclisti evangelici sono tra i primi protagonisti dello sconvolgente documentario Praying for armageddon, di Tonje Hessen Schei e Michael Rowley. Il secondo gruppo seguito dai due documentaristi mostra tutto un altro stile. Sono anche loro cristiani evangelici, ma indossano giacca e cravatta, e gravitano ai più alti livelli del potere statunitense e sui set televisivi di Fox news. Tra loro ci sono due dei più importanti esponenti evangelici sionisti, il pastore John Hagee, capo della Cufi, e il telepredicatore Robert Jeffress, pastore di Dallas.
[...]
Il filo conduttore che lega queste tre realtà così lontane sono i Christians united for Israel, che hanno circa dieci milioni d’iscritti negli Stati Uniti e mettono a disposizione somme da capogiro per finanziare insediamenti illegali e progetti di espansione sionisti nei territori occupati. Insieme ad altri gruppi millenaristi, costituiscono l’ampio movimento dei cristiani evangelici negli Stati Uniti. Secondo il New Yorker, oggi questi ultimi rappresentano il 14 per cento della popolazione. È stata anche la loro pressione a spingere nel 2016 l’allora presidente Donald Trump a spostare l’ambasciata statunitense a Gerusalemme.
Jeffress, il pastore evangelico di Dallas, tra le altre cose in passato ha detto che gli ebrei “non potranno mai trovare salvezza”. Mentre Hagee ha affermato che “Hitler era parte del piano di dio per far tornare gli ebrei in Israele”.
[...]
Oltre ai motociclisti che pregano nei parcheggi del midwest, il documentario mostra quanto il potere degli evangelici stia indebolendo la democrazia statunitense, in particolare attraverso la loro influenza sul Partito repubblicano. Lauren Boebert, repubblicana, sostenitrice di Trump ed evangelica, all’uscita del congresso dice: “Ci sono solo due nazioni create per onorare dio: Israele e gli Stati Uniti d’America”. Ralph Drollinger, che gestiva il gruppo di studio settimanale sulla Bibbia della Casa Bianca durante l’amministrazione Trump, spiega che ci sono dei poteri demoniaci al lavoro: ‘Il movimento omosessuale, i transgender nel nostro esercito, i sostenitori dell’aborto”.
L’influenza evangelica non si ferma alla politica, il documentario mostra quanto sembra avere preso piede anche nell’esercito statunitense. Lee Fang, giornalista di Intercept, nel documentario intervista il colonnello in pensione Lawrence Wilkerson, figura di spicco della Military religious foundation, ex consigliere del generale Colin Powell e convinto repubblicano. Wilkerson spiega con preoccupazione che “molti cappellani dell’esercito provengono sempre più dalle sette fondamentaliste”, come quella dei cristiani evangelici nazionalisti.
Uscito prima del 7 ottobre 2023, cioè dell’attacco di Hamas contro Israele, oggi il documentario suona ancora più attuale. Secondo molti cristiani sionisti, “i conflitti armati che coinvolgono Israele sono legati alle battaglie per la fine dei tempi”. Molti credono che lo stato ebraico giocherà un ruolo durante l’apocalisse e vedono la guerra tra Israele e Hamas come il preludio della fine dei tempi tanto attesa.
[...]
5 notes · View notes
archivio-disattivato · 6 months
Text
L’attacco da Gaza ci ha terrorizzato, ma dobbiamo interrogarci sul suo contesto
Fonte: +972Magazine, 7 ottobre 2023.
Il 7 ottobre 2023 resterà, con ogni probabilità, nella storia: Hamas ha dato il via, dalla Striscia di Gaza, a un attacco a sorpresa senza precedenti sul territorio di Israele, con il lancio di migliaia di razzi e vari blitz di terra su insediamenti civili e strutture militari israeliane in prossimità della Striscia. Nel corso di queste azioni sono stati uccisi almeno 1200 israeliani e 130 sono stati presi in ostaggio, mentre sarebbero circa 1.500 i miliziani di Hamas uccisi. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha annunciato una durissima rappresaglia, presentandola alla cittadinanza come “guerra” e mobilitando migliaia di riservisti, mentre il Ministro della Difesa, Yoav Gallant, ha annunciato un “assedio totale” su Gaza, definendo i militanti palestinesi come “animali umani” con cui è impossibile trattare. Attualmente la Striscia di Gaza, in cui vivono più di due milioni di persone, è senza forniture di elettricità, acqua e medicinali, ed è sotto il fuoco israeliano: finora sono almeno 950 i palestinesi uccisi e 5000 i feriti. Tra i numerosi articoli letti in questi giorni, abbiamo scelto di ripubblicare e tradurre quello che segue: è stato scritto da Haggai Matar, israeliano, obiettore di coscienza, giornalista pluripremiato e direttore esecutivo di 972 – Advancement of Citizen Journalism, un’associazione senza scopo di lucro impegnata per i diritti umani, la democrazia, la giustizia sociale e la fine dell’occupazione israeliana. Contrariamente all’opinione di molti connazionali, ma anche di molti media e politici occidentali, l’autore ricorda che l’attacco guidato da Hamas è radicato in una lunga storia di oppressione subita dai palestinesi sotto il regime israeliano di occupazione militare. Se, da una parte, partecipa al dolore e all’angoscia della sua comunità sotto attacco, dall’altra parte, Matar invita a riflettere sul contesto e sul fatto che gli israeliani stiano vivendo in questi giorni quello che i palestinesi vivono da decenni, privati non solo della prospettiva di libertà e indipendenza politica, ma anche della mera possibilità di vivere in modo degno. In controtendenza rispetto alle voci di odio e vendetta, che invocano la distruzione totale di Gaza e chiudono a qualsiasi negoziato con Hamas e col fronte palestinese, l’autore invoca la necessità di perseguire una pace giusta e duratura. Non esiste una soluzione militare al conflitto israelo-palestinese e l’uso della violenza contro i civili è, in ogni circostanza, una violazione del diritto internazionale umanitario. L’unica soluzione, afferma l’autore in conclusione, è quella di “porre fine all’apartheid, all’occupazione e all’assedio e lavorare per un futuro basato sulla giustizia e sull’uguaglianza per tutte e tutti noi”.
di Haggai Matar
Il 7 ottobre è stata una giornata terribile. Dopo esserci svegliati con le sirene aeree, sotto una raffica di centinaia di razzi lanciati sulle città israeliane, abbiamo saputo dell’attacco senza precedenti dei militanti palestinesi provenienti da Gaza alle città israeliane confinanti con la Striscia.
Le prime notizie – in continuo aggiornamento – parlano di almeno 700 israeliani uccisi e di centinaia di feriti, oltre ai molti rapiti portati a Gaza. Nel frattempo, l’esercito israeliano ha già avviato la propria offensiva sulla Striscia sotto assedio, con la mobilitazione delle truppe lungo la recinzione e attacchi aerei che, finora, hanno ucciso e ferito centinaia di palestinesi. Il terrore delle persone che vedono militanti armati nelle loro strade e nelle loro case, o la vista di aerei da combattimento e carri armati in avvicinamento, è inimmaginabile. Gli attacchi contro i civili sono crimini di guerra e il mio cuore va alle vittime e alle loro famiglie.
Però, contrariamente a quanto dicono molti israeliani, e nonostante l’esercito israeliano sia stato chiaramente colto del tutto alla sprovvista da questa invasione, non si tratta di un attacco “unilaterale” o “non provocato”. La paura che gli israeliani provano in questo momento, me compreso, è solo una parte di ciò che i palestinesi provano quotidianamente sotto il regime militare decennale in Cisgiordania e sotto l’assedio e i ripetuti attacchi a Gaza da parte di Israele. Le reazioni che sentiamo oggi da molti israeliani – che chiedono di “radere al suolo Gaza”, perché “questi sono selvaggi, non persone con cui si può negoziare”, “stanno assassinando intere famiglie”, “non ci sono margini di discussione con queste persone” – sono esattamente quelle che ho ascoltato innumerevoli volte dai palestinesi sotto occupazione riguardo agli israeliani.
L’attentato di questa mattina ha anche contesti più recenti. Uno di questi è l’orizzonte incombente di un accordo di normalizzazione dei rapporti tra Arabia Saudita e Israele. Per anni, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha sostenuto che la pace può essere raggiunta senza parlare con i palestinesi e senza fare loro alcuna concessione. Gli Accordi di Abramo hanno privato i palestinesi di una delle loro ultime carte di scambio e basi di sostegno: la solidarietà dei governi arabi, nonostante tale solidarietà sia stata a lungo discutibile. L’elevata probabilità di perdere forse il più importante degli stati arabi potrebbe aver contribuito a spingere Hamas al limite.
Nel frattempo, i commentatori avvertono da settimane che le recenti escalation nella Cisgiordania occupata stanno conducendo a sviluppi pericolosi. Nell’ultimo anno sono stati uccisi più palestinesi e israeliani che in qualsiasi altro anno dalla Seconda Intifada dei primi anni 2000. L’esercito israeliano effettua regolarmente raid nelle città palestinesi e nei campi profughi. Il governo di estrema destra sta dando mano libera ai coloni per creare nuovi insediamenti illegali e lanciare operazioni di vera e propria pulizia etnica in città e villaggi palestinesi, con i soldati che scortano i coloni mentre uccidono o mutilano i palestinesi che cercano di difendere le loro case. Nel mezzo delle festività, gli ebrei estremisti stanno sfidando l’accordo in vigore sull’accesso al Monte del Tempio/Moschea di Al-Aqsa a Gerusalemme, sostenuti da politici che condividono la loro ideologia.
A Gaza, nel frattempo, l’assedio in corso continua a distruggere la vita di oltre due milioni di palestinesi, molti dei quali vivono in condizioni di estrema povertà e deprivazione, con scarso accesso all’acqua pulita e circa quattro ore di elettricità al giorno. Questo assedio non ha una fine programmata; anche un rapporto del Controllore di Stato israeliano ha rilevato che il governo non ha mai discusso di soluzioni a lungo termine per porre fine al blocco della Striscia, né ha preso seriamente in considerazione alcuna alternativa ai ricorrenti cicli di guerra e morte. L’assedio è, letteralmente, l’unica opzione che questo governo ha sul tavolo, in continuità con i suoi predecessori.
Le uniche risposte che i successivi governi israeliani hanno offerto al problema degli attacchi palestinesi da Gaza sono stati dei palliativi: se verranno via terra, costruiremo un muro; se passano attraverso i tunnel, costruiremo una barriera sotterranea; se lanciano razzi, installeremo un sistema anti-missile; se stanno uccidendo o hanno ucciso alcuni dei nostri, ne uccideremo molti di più. E così avanti, all’infinito.
Niente di tutto questo può essere invocato per giustificare l’uccisione di civili, una pratica intrinsecamente sbagliata. Ma serve a ricordarci che c’è una ragione per tutto ciò che sta accadendo oggi e che – come in tutti i casi precedenti – non esiste una soluzione militare al problema di Israele con Gaza, né alla resistenza che emerge naturalmente come risposta alla violenza dell’apartheid.
Negli ultimi mesi, centinaia di migliaia di israeliani hanno marciato per “la democrazia e l’uguaglianza” in tutto il paese, e molti hanno addirittura affermato che avrebbero rifiutato il servizio militare a causa delle tendenze autoritarie di questo governo. Ciò che questi manifestanti e soldati di riserva devono capire – soprattutto oggi, mentre molti di loro hanno già annunciato che interromperanno le loro proteste e si uniranno alla guerra contro Gaza – è che i palestinesi lottano per quelle stesse richieste e lo fanno da decenni, affrontando un Israele che nei loro confronti è già, ed è sempre stato, del tutto autoritario.
Mentre scrivo queste parole, sono seduto a casa mia a Tel Aviv, cercando di capire come proteggere la mia famiglia in una casa senza riparo e senza nessuna “stanza sicura”, seguendo con crescente panico le notizie e le voci di eventi orribili che hanno avuto luogo nel territorio israeliano. Le città vicino a Gaza che sono sotto attacco. Vedo persone, alcune delle quali miei amici, che chiedono sui social media di attaccare Gaza più ferocemente che mai. Alcuni israeliani dicono che ora è il momento di spianare completamente Gaza, invocando nei fatti un vero e proprio genocidio. Nonostante tutte le esplosioni, il terrore e lo spargimento di sangue, parlare di soluzioni pacifiche sembra loro una follia.
Eppure ricordo che tutto ciò che sento adesso, che ogni israeliano deve condividere, è stata l’esperienza di vita di milioni di palestinesi per troppo tempo. L’unica soluzione è quella di sempre: porre fine all’apartheid, all’occupazione e all’assedio e lavorare per un futuro basato sulla giustizia e sull’uguaglianza per tutte e tutti noi. Non è nonostante l’orrore che dobbiamo cambiare rotta: è proprio per questo.
4 notes · View notes