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#frasi sottolineate
catastrofeanotherme · 10 months
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Sei sempre tu che vieni a riprendermi
Tutto chiede salvezza 🫀📙
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animadiicristallo · 1 year
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"come se non volesse lasciarmi addosso le prove della sua colpa"
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jikimo-world · 1 year
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Le frasi sottolineate, quelle che non sanno dire
Ma che sanno di passione
Se le sono scritte addosso
Così che mai nessuno potrà dire "stai in silenzio"
The underlined sentences, those that they don't know how to say
taste of passion
They have tattooed them to their bodies
That way, no one can say "stay in silence"... ever.
In Italy poppies represent the idea of wasted blood ad fight against na*ifasc*sm.
They are wild flowers, quintessentially spontaneous AND free, that grow independently, even where they are unwanted.
Don't believe anyone who says "Ha fatto anche cose giuste"/ "They did some right things too",
Think for yourself and don’t negotiate your freedom, never.
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animedemolite · 2 years
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amo prendere i libri letti in passato e rileggere le frasi sottolineate.
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~ Arsenico ~
Le cantine possono essere posti pericolosissimi. Pieni di insidie. Specialmente se si è disordinati ed accumulatori cronici. Se non si fa attenzione si rischia di inciampare o che qualcosa, in bilico, possa cadere e colpirti. Anche metaforicamente parlando.
Avanzo perciò con la massima cautela nel caos generale, con l'intento di uscire di lì con il testo di economia che mi serve, il corpo incolume e la volontà intatta di riordinare quel porchitorio con due euro di benzina. Tra scatole e scatoloni, impilati a cavolo, ne intravedo uno con la scritta "Libri". Bingo. Pensavo peggio dai. Pesa da cani ma riesco a trascinarlo fuori dal mucchio. Quel che resta dello scotch da imballo viene via quasi spontaneamente tant'è deteriorato, con sommo gaudio del mio semipermanente fresco di estetista. Apro con la dovuta circospezione: questo scatolo è qui da tempo immemore, niente di difficile che spunti fuori qualche odiosa sorpresina zamputa. Con estremo disappunto mi rendo conto che non sono i testi scolastici che cercavo, ma libri da lettura. Eppure avevo fatto piazza pulita di questa roba decenni fa... Con svariati bps di ritardo rispetto al mio stomaco, che s'è già stretto in una morsa, il mio cervello realizza di cosa si tratta: sono "i libri". Quelli dei quali non riuscivo a separarmi. Quelli regalati, letti insieme da vicino o da lontano. Quelli con le frasi sottolineate. Quelli che fumiamoci una Philips Morris sopra. Come fa strano vederli adesso, ingialliti dal tempo e dall'umidità.
Una persona più intelligente avrebbe richiuso la scatola in un nanosecondo. Ma io, no... Per la serie "facciamoci male" ne pesco uno a caso. 1984. Ricordo e sorrido. Apro e sulla parte interna della copertina ci sono tre dediche. La sua calligrafia. "Tuo Alex" scriveva. Mio, sticazzi eh. Come fa ridere adesso, con un paio di decenni e più di senno di poi. Chissà, forse anche lui, come me, ha continuato a pensarmi e a ricordarmi, conservando gelosamente in una sorta di sancta santorum della mente tutto di noi. Allora quel "tuo" avrebbe ancora un senso, perché una parte di lui è rimasta mia. Lo porto al viso nell'assurda speranza che un po' del suo profumo sia rimasto nel libro. Ne spruzzava sempre un bel po' tra le pagine dei libri che mi spediva. Li infestava letteralmente di Paco Rabanne. Niente. Sfoglio a vuoto senza soffermarmi su niente, arrivando al retro della copertina. C'è qualcosa scritto di mio pugno stavolta: un numero di cellulare.
Si sblocca un cluster sovrascritto nel cervello e lo riconosco. Immediata sensazione di ferita da arma da fuoco al centro del petto. Lo avevo perso, perso definitivamente quando mi avevano rubato il cellulare più o meno vent'anni fa. È passato troppo tempo, cioè voglio dire, la probabilità che sia ancora il suo numero è al lumicino. Poi penso... hai visto mai... anch'io ho lo stesso numero da trent'anni. Adesso una persona intelligente avrebbe fatto finta di niente, riposto il libro nello scatolo coperto e allineato agli altri, gettata la chiave del garage nel tombino e se ne sarebbe andata buona buona a fanculo. Ma io, no no... Per la serie "facciamoci del male - seconda stagione", ho già il cellulare in mano e sto memorizzando quel numero in rubrica sotto un nome improbabile. Non contenta, vado su whatsapp e lo cerco. Visualizza contatto. Ingrandisco la foto profilo. La ferita da arma da fuoco sanguina che è una meraviglia. Lui, con berretto e occhiali da sole, oggi come allora. Le sue braccia, sempre perfette, sono coperte di tatuaggi che un tempo non c'erano. Ne aveva solo uno ai nostri tempi, che poteva arrivare a vedere solo chi era molto intimo. Chino di profilo, espressione neutra, concentrata, mentre fa, o tenta di fare, la coda ai capelli di una bambina. Indossa anche lei occhiali da sole ed ha lo stesso naso e la stessa identica bocca di lui. È bellissima. Mi assale un brivido. Ripenso a quando diceva che non si sentiva in grado di essere un padre, che era uno stronzo, che non aveva niente da dare, e invece eccolo lì. E io per questo non gli ho mai detto che, a volte, invece fantasticavo su come poteva essere una figlia nostra. Chissà perché la immaginavo sempre femmina. Forse perché le femmine, quasi sempre, patrizzano. In uno dei suoi tatuaggi, che prende quasi tutto l'avambraccio, si legge chiaramente Giada.
Chiudo la foto e mi sposto nei cosiddetti "stati", ma non mi appare nulla. O non ne pubblica o, come vuole ma regola, non li posso vedere perché non ha anche lui il mio numero memorizzato. Si forma un nodo in gola. Mi bruciano le guance per quanto mi sento ridicola ad averlo anche solo pensato. Ovvio che mi ha cancellata. Anni e anni senza un minimo accenno di contatto. Mica sono tutti patetici come me. Ovvio.
Torno indietro e mi concentro sulla frase nelle info: "Che dolore dentro me quando piove e non stai con me". Uhm, non mi suona, decisamente non è il suo modo di scrivere questo, sarà una citazione. Copio e incollo su Google: vai bello, trovala! Detto fatto: come volevasi dimostrare, la frase è tratta da una canzone.
Arsenico
"Sigarette di plastica
vodka dentro una tanica
io non so più di te (non so più di te)
... che dolore dentro me
quando piove e tu non stai con me
...cicatrici di Venere
sul mio cuore di cenere
io non so più di te (non so più di te)
ma che dolore c'è
...spilla qui le tue lacrime
non cancellare le dediche
io non so più di te (non so più di te)
ma che dolore c'è
... io non dimentico
siamo stati un oceano
stelle che poi si infrangono
sugli scogli della tua costa nuda
io non dimentico..."
Resto imbambolata per un tempo che non saprei quantificare. Il mio stomaco è un reattore nucleare. Mi si sono rizzati anche i peli dietro al collo. Nella testa tutto e niente. Se avesse avuto un display sono sicura che avrei visualizzato il messaggio "L'applicazione cervello non risponde. Memoria insufficiente per completare l'operazione richiesta. Si prega di arrestare processi e riavviare." Immagini stroboscopiche. No. Non è. Non può essere. O forse sì? Tira il freno a mano e metti a folle ciccia. Respira. Brava così. Stai solo vedendo quello che vuoi vedere. Chissà per chi è quella canzone, a chi pensava. Stupidissima me, ancora una volta.
La chat è aperta. Il cursore lampeggia al ritmo del cuore che sento rimbombarmi nelle orecchie. Che voglia di mandargli la foto della dedica dove mi chiedeva di conservare il suo libro per sempre, scrivendogli che ho mantenuto la promessa, io. Come tante altre, io. E raccontargli tutto quello che è successo dopo noi, di come la collisione con la sua vita ha cambiato irreversibilmente la traiettoria della mia. Di cosa non ho fatto nel tentativo di dimenticarlo. Quante stronzate, che hanno gettato solo acqua bollente sulle bruciature del mio cuore. Le notti a bere lacrime fino ad ubriacarmi, le risse tra me e la disperazione, la malinconia, l'orgoglio e la voglia. La voglia di mettermi in macchina, e viaggiare per ore nella notte, solo per vederlo un'ultima volta ancora. Vedere quel ghigno perverso un'ultima volta ancora. Vedere i suoi occhi scuri un'ultima volta ancora. Stringerlo a me, forte, fortissimo, respirando il suo odore un'ultima volta ancora. E poi fargli quella domanda, che da allora mi scava dentro: perché. Perché? Senza una parola, dopo tutto quel fottuto tutto che c'era stato. Senza un addio che mi liberasse. Una spiegazione, almeno una cazzo di spiegazione, pure farfugliata, me la meritavo. O forse avrei dovuto avere le palle di andarmela a prendere veramente, costringendolo a dirmela guardandomi in faccia. Io? Questo dovevo? Ma poi sarei stata uguale a tutti gli altri, a tutti gli altri che nella vita lo hanno sempre "costretto a". Epperò, ke cazz!
Mi sento tirare per le orecchie dall'orgoglio. Siamo donne o caporali? Basta così, riprendiamoci. Mi alzo e mi sento come se mi avesse investita un autobus. Rimetto il cellulare in tasca giusto un attimo prima che arrivi mio marito.
- "Hey ma ti sei persa quaggiù?".
Oh, cazzo sì. Non sai quanto. Persa completamente.
- "Hai trovato almeno il libro?"
- "Ehm... No."
- "E quello?"
Stringo il libro a me, come se volessi difenderlo, proteggerlo.
- "No, niente, un vecchio romanzo... Lo voglio rileggere"
- "Pure! non ti bastano quelli che già hai sopra?"
- "No, questo è più bello".
Lo liquido definitivamente facendo spallucce.
- "Ok. Dai lascia stare, è inutile. Ormai è andato, chissà dov'è. È una bella giornata. Ce jamm 'a pigliá nu bell café?"
Ma di che parla?!!! Ah, il libro che cercavo. Ormai è andato. Magari fosse... È sempre qui, dentro, intorno a me, ovunque mi trovo, notte, giorno, da un paio di decenni, forse più, a questa parte. Il mio pensiero fisso collaterale. L'assenza più presente mai percepita. Maledetto.
- "Eh sì, jammuncenn!".
In fondo cos'altro posso fare se non continuare ad andare avanti? Mi ripeto mentalmente. Questo ho sempre fatto, imperterrita, granitica, nessuno ha mai saputo, nessuno potrebbe immaginare cosa mi consuma dentro. La mia vita è qui e un bel caffè sicuramente mi aiuterà a togliere questo gusto amaro, questo "arsenico" dalla bocca. Peccato solo che ho smesso di fumare... adesso ci voleva proprio una cazzo di Philips Morris Blu... chissà se esistono ancora le 100's.
Penso questo, mentre camminando mi assicuro ancora una volta che il cellulare sia in tasca, al sicuro, più per quello che adesso contiene che per il resto. Non si può mai sapere. Sento gli applausi a scena aperta di tutti i miei tormenti. Eh sì. Sono un caso perso.
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piugrandedicosi · 1 year
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Sei mille cose tu.
Sei il buio e la luce, la calma e la tempesta, il sole e la pioggia, le nuvole che hanno dei disegni strani e, se mi fermo a guardarle, ognuna mi parla un po’ di te.
Sei l’attimo perfetto, le frasi sottolineate nei libri. Sei incredibilmente tu.♥️
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... Uno di quei pomeriggi che si confondono tra loro per la supina inconsistenza, credo nel mese di gennaio di quest’anno, no, forse era già febbraio, non ricordo, comunque era un’ora imprecisabile, mi trascinavo da un minuto al successivo senza alcun entusiasmo, periodi così privi di riferimenti temporali mi rimandavano all’epoca degli studi; quando le giornate in prossimità degli esami erano lastricate di pagine sottolineate e frasi ripetute, date e nomi da conficcare a forza nella memoria e che invece costantemente scivolavano via in tutte le direzioni, come se il cervello diventasse una mano insaponata che tenta di afferrare decine di biglie colorate e per ognuna in più che guadagni, ne perdi due che già tenevi. Nei giorni di studio perdevo la cognizione del tempo, soltanto le pause per il pranzo e la cena scandivano l’avvicinarsi del momento fatale e ammonivano sull’esiguità del tempo rimasto per le ultime ripetizioni. Io e Vic ci eravamo incontrati proprio durante un ciclo convulso e frenetico di studio globale precedente un esame. Precisamente una settimana prima del giorno dell’appello, alla prenotazione. Ero nel dipartimento di Storia, così almeno lo chiamavo io, su un tavolo nell’atrio dal quale si accedeva poi alle varie aule, era adagiato il foglio per le prenotazioni dell’esame di Storia Moderna. Chiaramente parliamo di un’era preistorica in cui le prenotazioni non si facevano on line. Io avevo scritto il mio nome e il numero di matricola su uno dei righi a centro pagina, dopo una decina di altri nomi, e, come mia abitudine, controllavo e ricontrollavo di non aver commesso errori, ogni singola lettera del mio cognome, le cifre della matricola; e poi per sicurezza l’intestazione superiore del foglio che indicava l’esame, il docente e la data dell’appello. I controlli erano particolarmente meticolosi. Maggiore complessità presentava l’esame, maggiore il tempo impiegato per vagliare ogni singolo elemento della prenotazione e rassicurarmi che tutto fosse in regola. Naturalmente prima di questi minuziosi rituali mi assicuravo di essere solo. Mi avvicinavo al foglio quando non ci fossero altri studenti nei paraggi, ma non sempre ci riuscivo.
Ci metti ancora molto? Aveva chiesto una voce alle mie spalle e io ero sobbalzato.
Dalla nebbia la voce era emersa squarciando il panno di solitudine sui vetri e permettendo alla luce del giorno di entrare. Vic era scivolata silenziosa dietro le mie spalle, e attendeva già da qualche secondo per apporre il suo nome alla lista, senza sapere quanto tempo questa operazione potesse richiedere a un suo collega. Mi voltai e la vidi, lei mi lanciò uno dei suoi sorrisi imprecisi e pieni di vitalità, il primo dedicato a me. Comprese di avermi spaventato, anche perché trasecolando avevo lasciato cadere a terra la penna, veloce si calò a prenderla e me la porse. Scusa, non volevo spaventarti. Cercai di frenare il rossore sulle guance: era come fermare una frana con un cucchiaino da dolce. Mi coprii il volto con una mano strofinandomi gli occhi in un gesto immotivato ma in qualche modo utile a restituirmi parte della padronanza di me stesso e farfugliai qualche frase. Aveva gli occhi scuri e larghi, i lineamenti regolari, i capelli corti e un corpo sinuoso che catturò la mia fantasia quando si chinò per trascrivere sul foglio delle prenotazioni il suo nome. Poi mi chiese dell’esame, le mie impressioni, i timori, le possibili domande, gli aneddoti di corridoio che si raccolgono intorno al docente di turno. Era un fiume in piena dopo un nubifragio di ore trascorse a studiare. Usciti dal dipartimento, eravamo scesi in ascensore, avevamo lasciato il cortile alle nostre spalle, ora eravamo in strada; io ero in direzione contraria alla via di casa. Discutevamo di tanti argomenti, l’esame era un’aura mitologica esiliata in un momento indefinibile del tempo. Speranze e aspirazioni per il futuro, incertezze, paure, delusioni, flebili idee politiche. Dopo essere riuscito a liberarmi dal bavaglio dell’imbarazzo, le mie parole fluirono sempre più costanti e regolari, troppo regolari; da brillante che avrei voluto mostrarmi, avvertivo il tono monocorde e soporifero dei miei discorsi seri con inflessioni di saccenteria e accenti di onniscienza. Tutto il contrario dei miei propositi. Temevo di aver sbagliato tutto, ma non fu così evidentemente, poiché lei non mostrava impazienza di andar via. Durante la settimana seguente ci sentimmo telefonicamente un paio di volte, restando a chiacchierare a lungo. Non mancarono alcune velate allusioni personali e qualche complimento smozzicato e incerto che la distanza mi diede il coraggio di gettare lì tra una parola e l’altra. Ci rincontrammo il giorno della verità. Appena terminato l’esame con esiti più che favorevoli mi baciò. Appena terminato il suo esame. Io ero ancora nel pieno della concentrazione e della tensione, lo stomaco vibrava come la cassa armonica di un violoncello, i pensieri erano confusi, percorrevo avanti e indietro l’atrio del dipartimento con l’impazienza di concludere, in qualunque modo purché sia finito.
Avvertii il sapore tenue del suo respiro tra le mie labbra mentre illustravo a un ricercatore abbastanza distratto, la situazione politica europea durante il regno di Filippo secondo di Spagna. Un formicolio sempre più forte risalì lungo la colonna vertebrale fino alla nuca; lei era a pochi metri da me e attendeva che io terminassi. Sei talmente preparato che non avrai nessun problema, mi aveva detto poco prima che venisse chiamato il mio nome; ora ci credevo anch’io, e continuai a parlare con voce sicura, riponendo da parte il nuovo gusto che dalla bocca si diffondeva in tutto il corpo e scioglieva ogni residua esitazione, ogni scoria di incertezza che con lei mi stessi solo illudendo. La sera uscimmo per festeggiare l’avvenuta liberazione da Carlo V e da tutti i suoi allegri compagni di brigata, brindammo in un bar con la vista magnifica del golfo illuminato che dilagava sul tavolato oscuro del mare. Eravamo più leggeri di oltre tre secoli, la guerra dei trent’anni con la sua intricata selva di nomi, date e battaglie tornava a essere una delle tante manifestazioni di insulsaggine umana.
Rimarrà uno dei giorni più belli che abbia mai vissuto. ….
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disegnoparole · 1 year
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la luna d'inverno
spoglia come le mie insicurezze
che battono all'infinito
mentre mi ripeto d'esser forte,
vorrei avere parole da dedicarmi,
frasi sottolineate,
scritte sui libri da qualcun altro
e poi lette per caso
nelle librerie,
è così che si sceglie un libro,
non si legge l'inizio,
e nemmeno la fine,
una frase a caso
di una pagina a caso,
amore a prima vista,
come accade con le persone,
i luoghi, le vicessitudini, i panorami.
la vita è strana
viverla però lo è ancora di più
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lecosechesuccedono · 3 years
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Non si perde nessuno visto che non si possiede nessuno
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saudade-demim · 5 years
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Chissà se poi l’hai letto quel libro che ti avevo regalato. Che io non li regalo mai i libri, perché ci lascio sempre una parte di me e li custodisco con morbosa gelosia. Avevo deciso di regalartelo perché parlava di noi, parlava della nostra storia per filo e per segno. Quegli anni insieme mi erano sembrati così pochi, passati troppo velocemente da non lasciarmi il tempo di esprimere l’infinito amore che provavo per te. Allora avevo deciso di lasciare a te la cosa più importante che avevo e che non avrei mai dato a nessuno per niente al mondo, perché tra quelle frasi sottolineate avevo lasciato tutta me stessa, tra quelle pagine bianche macchiate di inchiostro avevo lasciato il mio cuore. E io sentivo che te lo meritavi quel libro, che ne valeva la pena cedere nelle tue mani il mio cuore come non avevo mai fatto prima. E non mi importava se poi lo avresti strappato, bruciato quel libro. E non mi importava se lo avresti rotto, frantumato in mille pezzi il mio cuore, come poi è successo. Per me ne valevi la pena, e non mi pento di avertelo lasciato, di averti lasciato il mio cuore prima che tutto finisse perché sei tu, e anche se non saprai leggere tra le righe non mi importa. Non mi importa se hai distrutto il regalo più grande che potessi farti celato dentro un mucchio di pagine, a me interessa che tu l’abbia letto e che tu sia riuscito a cogliere anche una minima parte di me tra quelle pagine. Quella parte che rimarrà sempre e solo tua, e di nessun altro. Quella parte che spero porterai sempre con te, anche tra 20 anni, anche se quel libro non ce l’avrai più perché chissà che fine gli avrai fatto fare. Ma chissà se l’hai letto poi quel libro che ti avevo regalato. Chissà se l’hai conservato con cura il mio cuore, da quell’ultimo giorno.
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catastrofeanotherme · 10 months
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Tutto chiede salvezza 🫀📙
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4lessiasblog · 5 years
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Scommessa D'amore
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Io non sono mai stato come le frasi che sottolineavi nei libri.
Antonio Distefano
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sorrisi-di-cenere · 6 years
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Prima regola:
“Fai tutto ciò che ti rende felice.”
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Cosa vuoi fare da grande? felice qualcuno. Se volete rebolggare mettete la fonte grazie perché la foto è mia
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