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#essere maschi
philosobia · 8 months
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Le molestie alle femmine
Stamattina è iniziata leggendo le storie di L’ha scritto una femmina. Persone, tutte donne e ragazze, hanno condiviso le loro brutte esperienze in tema di molestie subite da maschi. Ebbene, oltre il risultato è che (cito): Non tutti i maschi lo fanno, ma tutte le femmine lo hanno subito almeno una volta nella vita. E ovviamente ho condiviso in parte anche la mia esperienza. Di tutti gli anni…
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Mi fa spaccare questa cosa del “non è il patriarcato è che non sappiamo relazionarci con l’Altro, soprattutto donna”
Bimbi, l’Occidente maschile e bianco, aristocratico prima e borghese poi, non ha mai saputo relazionarsi con l’Altro da quando ne ha scoperto l’esistenza, se non attraverso violenza e oppressione sistemiche, a prescindere che l’Altro fosse donna, nero, ebreo o mussulmano
Senza dimenticare l’Altro che ognuno è a se stesso, con quello è sempre andato meno d’accordo che col resto probabilmente
Fate voi
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ross-nekochan · 11 months
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Dopo due settimane in cui ho sentito la pazzia impossessarsi di me in mille sfaccettature,
Dopo 2 settimane in cui ho avuto voglia di strappare la pelle e le palle a qualcuno,
Dopo 2 settimane in cui prima mi sono ammirata come fossi la nuova Venere e poi ho avuto voglia di strapparmela io la mia stessa pelle,
Dopo 2 settimane in cui avrò mangiato ogni settimana almeno mezzo kg di cioccolato (solo l'altro ieri 100gr come fossero acqua fresca) e tutti i giorni almeno 10/15 biscotti di tutti i tipi (dopo la solita colazione già abbondante di suo),
FINALMENTE le mie ovaie hanno deciso di darmi una tregua e cominciare a cacciare sto essere mai fecondato (e che mai lo sarà).
Assafà a chella bella Maronn in cielo.
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eleonorasimoncini · 4 months
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Sono la tua P
Sono una puttana perché mi piace
Sono una puttana perché ho amato senza riserve
Sono una puttana perché ho disobbedito senza riserve
Sono una puttana perché non confondo più sesso, sex work e amore
Sono una puttana perché come puttana posso ridere senza motivo e anche a sproposito
Dico sono una puttana e non faccio la puttana perché quando lo faccio lo sono anche intimamente
Sono una puttana perché il lavoro che avevo prima non sapevo più farlo
Sono una puttana per essere la figlia che i miei non avrebbero voluto mai e non vogliono adesso
Sono una puttana perché non sono il figlio maschio che i miei avrebbero voluto
Sono una puttana per capire chi mi vuole veramente bene e mi accetta anche se sono una puttana
Sono una puttana perché non sopporto i tacchi a spillo e voglio indossarli il meno possibile per camminare a piedi scalzi
Sono una puttana perché non sopporto il perbenismo
Sono una puttana perché il mio lavoro mi ha impoverito
Sono una puttana perché gli uomini che rispondono agli annunci erotici te la chiedono gratis senza dire né buongiorno né buonasera e dando per scontato che sei una puttana gratuita
Sono una puttana perché dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fiori
Sono una puttana perché gli uomini vogliono fare con me cose che non hanno il coraggio di chiedere alle mogli e alle fidanzate (incluso il mio compagno)
Sono una puttana perché mio marito confonde la donna per bene che ha sposato con la propria madre e qualche volta anche con sua figlia
Sono una puttana perché gli uomini per bene vogliono sposare una donna per bene ma per fare sesso preferiscono una puttana
Sono una puttana perché il sesso ognuno lo fa come vuole anche a pagamento se ritiene opportuno
Sono una puttana perché qualcuno mi ha detto ti vesti come una puttana, ti trucchi come una puttana, fai sesso come una puttana
Sono una puttana per sapere cosa provano in strada le donne sfruttate, mie sorelle
Sono una puttana perché il lavoro a 4 euro l’ora è schiavitù per uomini e donne e io voglio vivere
Sono una puttana perché ho bisogno di leggere e avere tanti libri
Sono una puttana perché il lavoro intellettuale e il lavoro artistico sono sottopagati sfruttati e offesi
Sono una puttana perché l’Italia ha rinunciato ai suoi artisti
Sono una puttana perché l’Italia ha affamato i suoi artisti
Sono una puttana per poter restare in Italia e fare arte
Sono una puttana perché i miei amici artisti sono quasi tutti andati via, attori, registi, produttori più o meno indipendenti, musicisti, ballerini, mimi, pittori, performer, artisti visivi, designer, architetti e folli innamorati della vita
Sono una puttana perché le mie amichette studentesse universitarie per pagarsi una camera tugurio in affitto a Roma devono fare le puttane (i maschi per lo stesso motivo spacciano o battono anche loro)
Sono una puttana perché amo la mia vagina e non la disprezzo
Sono una puttana perché certe volte quando ho fatto l’amore mi sono sentita stuprata
Sono una puttana perché la famiglia in questo momento storico è il luogo più violento che c’è
Sono una puttana perché sono stata una bambina assillata
Sono una puttana per tutte le donne che sono morte a causa del loro essere donne, madri, lavoratrici, figlie incomprese, mogli sole, puttane sole, amanti nascoste, fidanzate uccise perché un uomo insicuro le perseguitava
Sono una puttana perché il sesso a pagamento è un lavoro e ha dignità
Sono una puttana perché la puttana è genere sessuale diverso e un piacere diverso per tutti coloro che lo praticano
Sono una puttana perché il sesso è sacro e sacro a questo mondo vuol dire monetizzato. Ché tutti sappiano cos’é il loro senso del sacro
Sono una puttana perché ogni gesto è puro incluso il più riprovevole se lo fai con l’istinto di un animale e non di un uomo
Sono una puttana perché i miei alunni consideravano Pasolini un frocio marchettaro
Sono una puttana perché sono femmina e femminista
Sono una puttana perché per una donna fare sesso libero in molti posti è ancora un reato
Sono una puttana, una strega, una mistica, una madre, una santa perché posso contenere il mondo, tenendomi in equilibrio
Sono una puttana perché il mio pensiero potrebbe dare fastidio
Sono una puttana perché hanno uccisa Ipazia dandole della puttana
Sono una puttana perché non è solo il mestiere delle donne ma da che mondo è mondo è il lavoro degli uomini
Sono una puttana perché ho abolito il senso di colpa dei genitali
Sono una puttana perché il mio cuore è puro e non ha doppio fondo
Sono una puttana perché rigetto il potere
Sono una puttana perché voglio riprendermi il desiderio di essere donna come dico io e non come dice un uomo
Sono una puttana perché questo è un mestiere inventato da un uomo per dividere le donne in belle e brutte buone e cattive e io me lo riprendo
Sono una puttana perché voglio stabilire il prezzo che gli uomini mi hanno dato e mi hanno tolto
Sono una puttana perché questo è un lavoro nobile e antico rovinato dalla politica come dice Pia Covre
Sono una puttana perché tutte le donne per bene e per male sono sorelle
Sono una puttana perché una moglie per bene può essere più in vendita di una puttana
Sono una puttana perché non voglio la protezione di un uomo
Sono una puttana perché questa parola si usa a sproposito
Sono una puttana perché mio padre aveva paura che diventassi una puttana
Sono una puttana perché voglio che noi donne riprendiamo a vederci e a ridere delle nostre imperfezioni fisiche e della nostra vecchiaia
Sono una puttana contro una società che trasforma le nostre bambine, le nostre figlie in tutto il mondo in puttane
Sono una puttana perché di dieci uomini politici che ho conosciuto a nessuno darò mai il mio voto solo perché è mio cliente
Sono una puttana perché meglio freddare i bollenti spiriti con una puttana che fare violenza alle proprie donne
Sono una puttana perché gli uomini non sanno gestire come uomini la propria sessualità
Sono una puttana perché la civiltà di un paese si misura da come tratta le proprie donne
Sono una puttana perché amo la democrazia e odio la dittatura della maggioranza
Sono una puttana perché da un uomo di potere non ho mai accettato mai niente tranne il mio cachet e da mangiare. Da mio padre
Sono una puttana perché finalmente mi amo e mi accudisco come merito
Sono una puttana perché ho bisogno di una stanza tutta per me
Sono una puttana perché voglio capire che c’è di tanto strano in questo mestiere
Sono una puttana perché le donne devono stare tutte insieme puttane e donne per bene e mettere insieme le loro vite
Sono una puttana perché ancora oggi una donna non prende valore di per sé ma ancora come secoli addietro per il matrimonio che ha fatto al massimo per gli studi che ha fatto o i figli che ha avuto
Sono una puttana perché voglio sapere perché le donne hanno paura di essere definite puttane
Sono una puttana per sapere perché questa società ingiuria le puttane, le occulta, le biasima, le disprezza ma dietro le porte delle puttane c’è sempre la fila
Sono una puttana colta perché la gente dice che se fai la puttana è perché non hai altre possibilità
Sono una puttana perché vorrei che tutte le donne dicessero anch’io sono una puttana come te e non mi vergogno di dirlo perché anch’io…
Sono una puttana
Cit.
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kon-igi · 5 months
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NON TEMO IL PATRIARCATO IN SE' MA IL PATRIARCATO IN ME
Quando ricevo un ask anonimo di cui non è possibile estrapolare il genere della persona che mi scrive, dentro di me parto dal presupposto che sia una ragazza.
Potrei addurre a mia giustificazione il fatto che 8 persone su 10 che mi scrivono appartengono al genere femminile (poi arriviamo anche a questo) ma la realtà è un'altra.
Al netto che il variegato ramo della mia famiglia è composto ad alta percentuale di figlie di eva e che ho passato 25 anni a proteggere e a cercare di far crescere serene due figlie femmine, il fatto è che si accetta istintivamente e culturalmente che sia il sesso debole ad aver bisogno e quindi a chiedere aiuto, mentre i veri uomini ce la fanno da soli e non piagnucolano come delle femminucce.
Guardate quanti stereotipi di genere nell'ultima frase e se forse in giro se ne sente usare sempre meno, alla fine il preconcetto rimane radicato, più o meno apertamente negli uomini ma istintivamente anche e soprattutto nelle donne.
Per ciò che mi riguarda, ho peccato spesso (e succede ancora) di paternalismo ma mi dico che è un riflesso condizionato dell'essere stato una presenza rassicurante e spesso risolvente nella vita delle mie figlie, per cui il mio primo istinto diventa quello di trattare l'interlocutore come se avesse sempre bisogno del mio aiuto.
E bene o male, alla fine, chi ha bisogno del mio 'aiuto' - o meglio, mi scrive per parlare di sé - nella maggior parte dei casi è una persona di sesso femminile (non me ne vogliano le persone binarie o trans ma cerchino di capire il senso di quanto vado dicendo).
Perché i maschi si vergognano.
Non tutti ma abbastanza da rendere asimmetrica le richieste.
Chiamatela maschilità tossica, virilità forzata, machismo o mascolinità egemone ma il risultato è sempre quello.
Uomini fragili perché costretti a essere sempre all'altezza di certe aspettative culturali e sociali, ai quali non è permesso chiedere aiuto per il proprio malessere.
Però non voglio fare un torto a tutti quei figli di adamo che mi scrivono e che davvero non sono pochi, comunque.
Il malessere non ha genere, semmai si declina in contesti e con azioni differenti ma alla fine - al di là che gli effetti devastanti siano più evidenti sulle donne - se faccio fatica io per primo ad aprirmi e a rigettare certi bias patriarcali, figuriamoci se posso chiederlo a uomini decisamente meno fortunati di me.
Perché fino a oggi è dipeso molto dalla fortuna... di avere avuto un padre e una madre amorevoli nel modo giusto, amici e coetanei di un certo tipo, ambienti di studio e di lavoro predisponenti a una certa visione della società.
Fino a oggi fortuna...
Domani vediamo dove ci avrà portato questa nuova sensibilità sociale, spero non effimera e di pancia come dentro di me sento il timore.
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susieporta · 5 months
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Quello che sta accadendo in queste ore ad Elena Cecchettin è la perfetta dimostrazione che viviamo in una società patriarcale che non ammette una narrazione diversa da quella imposta dall'uomo:
per una volta una donna -
la sorella di Giulia 103esima vittima di femminicidio - non si adegua al copione prestabilito e non si presenta come donnina da consolare, sofferente e materna come ogni donna dovrebbe essere ma diventa accusatrice del sistema e accusa tutta la società patriarcale, sessista e omofoba, additando ogni singolo uomo come complice di questo sistema, di questa narrazione che è terreno fertile su cui cresce e si nutre ogni femminicidio.
E cosa accade?
Che d'un tratto Elena Cecchettin non è più vittima o sorella della vittima ma diventa colpevole:
colpevole di fare fuorvianti discorsi ideologici, di essere satanista - perché indossa una felpa di un noto brand skater che un pirla leghista (ma che purtroppo riveste ruolo di funzionario pubblico)
scambia, o meglio, vuole scambiare, per un simbolo di satana -
di essere una ragazzina plagiata, di essere una matta che accusa tutti gli uomini di essere degli assassini di piangere poco di piangere troppo
di parlare
eccetera eccetera eccetera
E via a indagare nel suo privato, tra i suoi profili, nelle sue scelte personali, nelle sue toto, e a criticare ogni sua singola espressione, parola, immagine, anche del passato eccetera eccetera eccetera
E così davanti agli occhi di tutti e dell'opinione pubblica intera si commette un altro femminicidio:
non la uccidiamo ma la stiamo mettendo alla gogna.
Perché?
Perché una donna non dovrebbe poter sempre dire quello che pensa.
Soprattutto se quel pensiero non piace a noi maschi.
E quindi ecco che quello che sta accadendo in queste ore ad Elena Cecchettin è la perfetta dimostrazione che viviamo in una società patriarcale, sessista, razzista, omofoba e maschile che non ammette alcuna narrazione diversa da quella imposta da noi maschi:
Perdonaci Giulia
Perdonaci Elena
"Spacchiamo tutto"
Massimiliano Loizzi
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smokingago · 5 months
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Il discorso integrale di Gino Cecchettin al termine dei funerali della figlia Giulia, 22enne uccisa dall'ex fidanzato.
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«Carissimi tutti, abbiamo vissuto un tempo di profonda angoscia: ci ha travolto una tempesta terribile e anche adesso questa pioggia di dolore sembra non finire mai. Ci siamo bagnati, infreddoliti, ma ringrazio le tante persone che si sono strette attorno a noi per portarci il calore del loro abbraccio. Mi scuso per l'impossibilità di dare riscontro personalmente, ma ancora grazie per il vostro sostegno di cui avevamo bisogno in queste settimane terribili. La mia riconoscenza giunga anche a tutte le forze dell’ordine, al vescovo e ai monaci che ci ospitano, al presidente della Regione Zaia e al ministro Nordio e alle istituzioni che congiuntamente hanno aiutato la mia famiglia.
Mia figlia Giulia, era proprio come l’avete conosciuta, una giovane donna straordinaria. Allegra, vivace, mai sazia di imparare. Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma. Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente,
un’oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà:
il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti. Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà
prima di perdere anche la vita. Come può accadere tutto questo? Come è potuto accadere a Giulia? Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione
Mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere. Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali.
Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto.
A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni possesso
e all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro. Viviamo in un'epoca in cui la tecnologia ci connette in modi straordinari, ma spesso, purtroppo, ci isola e ci priva del contatto umano reale.
È essenziale che i giovani imparino a comunicare autenticamente,
a guardare negli occhi degli altri, ad aprirsi all'esperienza di chi è più anziano di loro. La mancanza di connessione umana autentica può portare a incomprensioni e a decisioni tragiche. Abbiamo bisogno di ritrovare la capacità di ascoltare e di essere ascoltati, di comunicare realmente con empatia e rispetto.
La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli.
Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l'importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza. La prevenzione della violenza inizia nelle famiglie,
ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti.
Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile. La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti. Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere. Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti.
Alle istituzioni politiche chiedo di mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere. Abbiamo bisogno di leggi e programmi educativi mirati a prevenire la violenza, a proteggere le vittime e a garantire che i colpevoli siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Le forze dell’ordine devono essere dotate delle risorse necessarie per combattere attivamente questa piaga e degli strumenti per riconoscere il pericolo. Ma in questo momento di dolore e tristezza, dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento. La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte, può anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne. Grazie a tutti per essere qui oggi: che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme
per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita.
Vi voglio leggere una poesia di Gibran che credo possa dare una reale rappresentazione di come bisognerebbe imparare a vivere.
«Il vero amore non è ne fisico ne romantico.
Il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è,
è stato, sarà e non sarà.
Le persone più felici non sono necessariamente
coloro che hanno il meglio di tutto,
ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.
La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta,
ma di come danzare nella pioggia…»
Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma. Ti penso abbracciata a lei e ho la speranza che, strette insieme, il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche me non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche ad imparare a danzare sotto la pioggia. Sì, noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che, un po’ alla volta, impareremo a muovere passi di danza sotto questa pioggia.
Cara Giulia, grazie, per questi 22 anni che abbiamo vissuto insieme e per l’immensa tenerezza che ci hai donato. Anch’io ti amo tanto e anche Elena e Davide ti adorano. Io non so pregare, ma so sperare: ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti: voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare. E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace.
Addio Giulia, amore mio.
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diceriadelluntore · 10 months
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Toccata e Fuga
La “repentinità dell’azione, senza alcuna insistenza nel toccamento”, da considerarsi “quasi uno sfioramento” non consente di “configurare l’intento libidinoso o di concupiscenza generalmente richiesto dalla norma penale”. Con il solito bolso uso aulico della lingua (che è per il potere il rifugio alla propria stupidità) un bidello è stato assolto dalla quinta sezione penale del Tribunale di Roma, secondo cui il palpeggiamento compiuto da quest'ultimo ad una studentessa nell’aprile del 2022 “non costituisce reato” dato che, per il tribunale, il palpeggiamento, è durato “tra i 5 e i 10 secondi”. Mi ha molto colpito questa sentenza, perchè quantifica la quantità necessaria di un’azione per essere considerata una molestia: come per esempio una suite d’albergo deve avere almeno due stanze altrimenti non può definirsi tale, qui la durata in secondi del gesto non può chiamarsi molestia. 
L’altro giorno un post di @oceanblueeurope (che taggo con il suo permesso) si lamentava del come la libertà personale di mostrarsi su Tumblr, soprattutto rispetto al proprio corpo, sia vista spesso come un esplicito invito a chiunque per soddisfare una sua concupiscenza, per dirla come gli esimi giudici. La totalità di questi chiunque sono maschi, di età variabile. Non è la sola che come post fissato in alto sulla bacheca ha questa sorta di avvertimento: non scambiate quello che mi piace fare per il fatto che mi piaccia farlo con uno qualsiasi di voi.
Sembra un concetto limpidissimo e facilissimo da capire. Ma noto che è prontamente disatteso. Tra l’altro, se una delle ragazze se ne lamenta, con tutti i buoni possibili motivi del caso, passa per stronza, nel migliore dei casi.
C’è una sostanziale differenza tra il criticare un’idea e la persona che la trasmette. In un posto come Tumblr, il non accettare una azione che non si condivide è semplicissimo, basta non seguire più il blog da cui questa idea scaturisce. D’altronde, @oceanblueeurope non chiede a nessun altro né di emularla né di fare il contrario, ha tutta la possibilità, nel limite che lei o le regole di questo posto impongono, di poterlo fare. La sua libertà di fatto non va a collidere con nessuna delle libertà altrui. 
Una delle subdole convergenze che il Web ha portato nei nostri tempi è una malcelata sessuofobia di genere: pure qui abbiamo tutti molto discusso del fatto che un capezzolo nudo, femminile ovviamente, sia censurato, un’argomentazione farabutta, storicamente errata e infamante di altri no, per il principio della libertà di espressione. Che, per un’idea totalmente anglosassone (e francamente stupidissima), può passare per parole dette o scritte ma non per rappresentazioni visive. Per cui, un paio di tette è molto più “pericoloso” che una citazione del Mein Kampf. Questo non fa altro che fissare la visione della nudità come univoca della sessualità, legata cioè alla condivisione del proprio piacere, e non come qualsiasi altro motivo (liberazione da vincoli, piena espressione di sé, momento di auto considerazione, perfino vanità, non è questo in discussione in questo mio post), che se ci pensiamo bene, è la stessa idea insita nella pornografia industriale, dove basta un sorriso per finire nudi in qualsiasi momento. 
Ogni volta che succede un femminicidio, che ricordo è un omicidio perpetrato ad una donna in quanto donna (per cui un delitto tra mafiose ha valore in quanto delitto di mafia e non di genere) si dice che è una questione di educazione. In questi giorni dove un abuso sessuale è al centro della cronaca, nel caso specifico comprendente anche altre questioni niente male (il potere politico, la delazione di genere, il passaggio tra il caso specifico e abitudini di chi, presumibilmente, ha subito un’aggressione) si parla spesso di educare i figli maschi al rispetto delle femmine. È del tutto comprensibile e necessario. Ma prima di questo, sarebbe necessario imparare ad ascoltare, o leggere nel caso che ho citato, e capire cosa chiede un’altra persona, e avere la dignità di perdere un secondo per chiedersi se è meglio essere sinceri, essere limitati e non esagerare, essere pertinenti e chiari. 
In sintesi, impariamo a rispettare gli altri, a non sentirci chiamati da spirito divino a commentare cosa fanno e come e a non pensare di vivere in un film porno.
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orotrasparente · 7 months
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premesso che x carità tra le persone strane ci so pure le donne però noi maschi siamo oggettivamente più traumatici (e divertenti/imbarazzanti obiettivamente) e generalmente le donne sono più discrete, cmq io ringrazio il cielo di essere nato maschio, sai che trauma essere posteggiato su ig da carmine il malessere che ti dice “ue bella quando to fai nu gir ngopp o tmax mij?” oppure oppure il signor franco, 50 anni, una moglie e 4 figli che ti commenta le foto con “Bellissima☀️🌹” oppure oppure il sociopatico che frequenta tipo l’università, bel ragazzo, benestante e che poi dopo tipo 3 settimane ti manda dallo psicologo perché in realtà è tipo una rivisitazione in chiave moderna di dottor jekyll e mr hyde
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ideeperscrittori · 8 months
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10 COSE CHE SIMONE PILLON NON HA CAPITO (Sono miliardi ma ne cito solo 10)
«E Dio li creò maschi e femmine» non è un'argomentazione.
Pillon è egli stesso la prova del fallimento della famiglia tradizionale che difende (questa cosa passerà alla storia come "Paradosso di Pillon").
Rispondersi da solo "Forza Simo" su Facebook non è indice di consenso per le tue idee.
Le condivisioni su Facebook dei post di Pillon spesso non sono indice di consenso ma: "Ehi, avete visto l'ultima boiata scritta da Pillon?".
La risposta logicamente corretta a "è scritto nella Bibbia" è comunemente nota come "E 'sticazzi".
Un ateo e satanista onorario (onorario perché in quanto ateo non crede nelle divinità, Satana compreso) ha fatto la seguente confessione: «Ero cattolico, poi ho letto tre post di Pillon e mi sono detto: non posso fare questa fine».
Le persone continueranno a essere quello che sono e fare cose considerate inaccettabili nelle lezioni di catechismo (tipo amarsi liberamente) e Pillon non potrà farci niente. Questo lo renderà triste. E la tristezza di Pillon è meglio di niente.
Immaginate questa scena: Pillon durante una conferenza stampa si dichiara soddisfatto della società in cui vive. Secondo gli scienziati questo è il primo indizio di un'irreversibile barbarie che ti lascia solo la speranza di un asteroide finale.
Tra le cose che Pillon non ha capito, merita senz'altro un posto d'onore la realtà.
Sono ateo, non credo nel paradiso, ma ho come l'impressione che se esistesse un luogo ultraterreno per le persone decenti non ci troveresti Pillon. [L'Ideota]
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falcemartello · 9 months
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Un mondo intellettualmente e materialmente finto.
Del resto immaginiamo essere uomo e vivere a fianco della Murgia. Sentirsi sempre in colpa per il solo fatto di essere maschi, essere guardato come un potenziale stupratore o “come il figlio di un boss” (testuali parole) solo per essere nato col pisello. Mah…
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annaeisuoipensieri · 7 months
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Per il momento QUIRK QUORK QUARK:
LA UALLERA
Guallera o uallera che dir si voglia, ha una derivazione dal termine arabo “wadara” (propriamente tradotto ernia) e si riferisce in particolar modo all’ernia scrotale quando raggiunge la sua fase di rigonfiamento massimo provocando notevoli fastidi.
UALLERA
C’è una parola napoletana, uallera, che è nominata almeno una volta al giorno dai napoletani. La parola indica nel suo significato letterale la sacca scrotale: ma ha una molteplicità di significati variegata assai.
1)Si na uallera. Può assumere differenti significati a seconda del contesto. Può indicare: “Sei una persona talmente indolente e con assoluta mancanza di propositività, refrattaria a qualsivoglia stimolo da parte della vita“. Ma può anche significare “Sei una persona incredibilmente lenta“. Accezione usata spesso nel traffico quando ci si trova davanti a veicoli lenti oltremodo (ne ha parlato ieri Molfini in un esilarante articolo), ma anche verso calciatori che ritardano sempre i tempi di giocata. A Napoli tale definizione ha visto spesso protagonista l’ex centrocampista Inler, oggi lo è diventato Valdifiori, che infatti sui social è spesso indicato come Ualdifiori…
2)Tenere la uallera. Non si riferisce al possedere o meno la sacca scrotale, quindi essere maschi. Ci sono anche tante donne che “tengono la uallera”. Questa espressione è spesso usata per definire una situazione momentanea di indolenza. E’ diverso “essere una uallera” e “tenere la uallera”: nel primo caso è una categoria dello spirito e della propria personalità, nel secondo è soltanto una situazione temporanea di stanchezza o poca voglia di fare una determinata cosa. Ad es. “Stamattina tengo la uallera” significa che ci si è svegliati con poca voglia di portare avanti le commissioni che ci spetta di compiere nell’arco della giornata.
3)M’haje abbuffat’ ‘a uallera. Se qualcuno si rivolge a te in questi termini significa che hai assolutamente superato qualsiasi soglia di pazienza da parte dell’interlocutore. E’ la massima offesa che si rivolge ai petulanti, logorroici e stupidi. In amore, se nella coppia ci si rivolge una frase del genere, si è quasi ormai al punto di non ritorno. All’abbuffatore si consiglia di non proseguire oltre perché è frequente in questi casi che dalle parole si passi ai fatti…
4)Par’ ‘a uallera. Questa espressione è invece idonea quando si vuole rimproverare al prossimo un comportamento maldestro, inidoneo, sbagliato. In tal caso non ha a che fare né con la lentezza, o “mosciaria” che dir si voglia, né con con l’indolenza. Par ‘a uallera si usa per chi ha commesso una sciocchezza, tipo far cadere a terra un oggetto involontariamente causando danni di poco conto.
5)M’haje fatt’ ‘a uallera. In genere tale espressione non è grave quanto l’abboffare la uallera, ma ha significati assai più tenui e meno esasperati. E’ frequente rivolgersi in tal modo per riferirsi ad esempio a programmi televisivi noiosi e ripetitivi, a film non proprio riuscitissimi e persone stancanti. Il m’haje fatt’ ‘a uallera non è una sentenza a morte, ma una pena temporanea che si infligge al soggetto auallariante.
Ma non ha solo significati negativi la uallera. Ad esempio la uallera è uno stato di grazia quando non si ha volutamente nulla da fare, non è negativa come a volte può esserlo l’appucundria, è un piacevole oziare quasi nel senso latino del termine.
Dire uallera è assai più bello dell’italico “coglione” o “pirla”. La uallera è una forma poetica altissima, uno stato dell’anima che Napoli sa rendere proprie.
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Ogni promessa è debito @paola-bo @mina-s-vagante ❤️
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belladecasa · 5 months
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Mia figlia Giulia era proprio come l’avete conosciuta, una giovane donna straordinaria. Allegra, vivace, mai sazia di imparare. Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma. Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente, un’oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà: il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti.
Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà prima di perdere anche la vita. Come può accadere tutto questo? Come è potuto accadere a Giulia? Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione.
Mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere. Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali. Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne, e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza, anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto.
A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, ad una sessualità libera da ogni possesso e all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro. Viviamo in un'epoca in cui la tecnologia ci connette in modi straordinari, ma spesso, purtroppo, ci isola e ci priva del contatto umano reale. È essenziale che i giovani imparino a comunicare autenticamente, a guardare negli occhi degli altri, ad aprirsi all'esperienza di chi è più anziano di loro. La mancanza di connessione umana autentica può portare a incomprensioni e a decisioni tragiche. Abbiamo bisogno di ritrovare la capacità di ascoltare e di essere ascoltati, di comunicare realmente con empatia e rispetto. La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli. Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l'importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza. La prevenzione della violenza di genere inizia nelle famiglie, ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti.
Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile. La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti. Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere. Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti.
Alle istituzioni politiche chiedo di mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere. Abbiamo bisogno di leggi e programmi educativi mirati a prevenire la violenza, a proteggere le vittime e a garantire che i colpevoli siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Le forze dell’ordine devono essere dotate delle risorse necessarie per combattere attivamente questa piaga e degli strumenti per riconoscere il pericolo. Ma in questo momento di dolore e tristezza, dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento.
La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte, può anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne. Grazie a tutti per essere qui oggi: che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita.
Vi voglio leggere una poesia di Gibran che credo possa dare una reale rappresentazione di come bisognerebbe imparare a vivere:
"Il vero amore non è né fisico né romantico.
Il vero amore è l'accettazione di tutto ciò che è,
è stato, sarà e non sarà.
Le persone più felici non sono necessariamente
coloro che hanno il meglio di tutto,
ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.
La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta,
ma di come danzare nella pioggia."
Cara Giulia,
è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma. Ti penso abbracciata a lei e ho la speranza che, strette insieme, il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche me non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche ad imparare a danzare sotto la pioggia. Sì, noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che, un po’ alla volta, impareremo a muovere passi di danza sotto questa pioggia.
Cara Giulia,
grazie, per questi 22 anni che abbiamo vissuto insieme e per l’immensa tenerezza che ci hai donato. Anch’io ti amo tanto e anche Elena e Davide ti adorano. Io non so pregare, ma so sperare: ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti: voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare. E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace.
Addio Giulia, amore mio.
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ilpianistasultetto · 5 months
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LA MELONZA VISCIDONA
Tra i viscioidi fascio vertebrati è la più velenosa. Dietro questo mammifero, dagli occhioni grandi e dall'aspetto dolce e socievole, si nasconde, in realtà, un essere molto pericoloso, anche se piccola nelle dimensioni, come la Phyllobates terribilis, ovvero, la rana freccia, anch'essa velenosa e viscida, ma che vive esclusivamente in Columbia. La Melonza viscidona ha origini tutte italiane, alcuni scienziati presumono si sia diffusa nel periodo fascista. La Melonza Viscida, il cibo se lo procura ingannando le proprie vittime: prima si mostra innocua, dolce e underdog e poi ne fa un sol boccone.
Questo mammifero, nel corso degli anni, ha assunto un manto peloso e biondo, nascondendo, solo in parte, la lucentezza caratteristica della pelle viscida.
La famiglia delle Melonze Viscide è molto vasta, alcuni individui maschi traggono vantaggio dalle prede che si procura la Melonza Viscida. I maschi sono incapaci di attrarre simpatie, essendo molto brutti e disgustosi alla sola vista, per citarne alcune tipologie dai nomi curiosi: il Lollocognatoviscidoneferroviere, il Larussabustoducemiofigliolointerrogoio, il Crosettoarmatogiudiciboia, il Donzelletto dal volto di pesce.
La Melonza Viscidona in pochi mesi si è diffusa sul tutto il territorio italiano, come il granchio blu. I rimedi a tale diffusione non sembrano di facile soluzione. Questo mammifero non è commestibile e non è buona né per bere e né per sciacquare, ma muove molte simpatie tra tanti italiani, tutti entusiasti di questo nuovo mammifero, tutti pronti ad avere in casa almeno un busto della Melona Viscidona. Ancora nulla si sa su quanto possono vivere certe specie mammifere. Essendo una nuova specie, gli studiosi non si pronunciano..
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Se capita una volta, è un mostro.
Se capita mille volte è un problema più grande.
È difficile scrivere qualcosa oggi. Non so neanche se sia giusto. Però il 50% della mia bolla è muto. Ed è un silenzio insopportabile.
Non credo sia una mera questione di menefreghismo. È che ignorare è più facile. È che c'è questa cosa che è li, e di cui non parliamo mai.
C'è che nella cultura dello st*pro siamo cresciuti tutti. E quando leggiamo una notizia del genere, non riusciamo a sentirci "puliti".
Certo, non avremmo mai fatto niente del genere. Però anche noi certi paradigmi abbiamo imparato a contestarli tardi, lentamente, da soli. E prima? Prima ne eravamo parte. E un po' ti rimangono addosso, nonostante tutto. Attaccate alla radice più profonda dei pensieri.
C'è che non abbiamo il vocabolario per parlare di queste cose, perché non lo abbiamo mai fatto. Eppure sarebbe così importante cominciare a farlo.
Da uomo a uomo.
Mi torna in mente un ricordo di quand'ero adolescente. Litigavo con la mia ragazza dell'epoca, in mezzo alla strada. Avevamo la voce alta, le lacrime agli occhi, eravamo visibilmente scossi.
Un signore, vedendoci, si mise in mezzo a noi. Provai a spiegargli che ci stavamo confrontando soltanto a parole, ma mi interruppe. Disse: "Qualsiasi cosa sia successa, non ne vale la pena. È un attimo che si rovinano due vite: la sua e la tua."
Quel ricordo mi provoca ancora sensazioni contrastanti.
Da un lato, chiunque sia cresciuto socializzato come uomo, sa quanto sia odioso essere visti come aggressori fino a prova contraria.
È una cosa che ti insegnano fin dalla scuola, appena la tua voce diventa più forte e più grave di quella delle ragazze. E i richiami aumentano e i voti di condotta scendono. E se la persona che ti schernisce è una ragazza, verrai richiamato comunque tu più spesso, perché le tue reazioni sono più scomposte, il tuo corpo è una presenza più ingombrante nel mondo.
Ed è una cosa che ti ricordi quando cresci. Quando camminando per strada, cambi marciapiede o acceleri il passo per superare la ragazza che sta camminando da sola, per non darle l'impressione di starla seguendo.
Dall'altro lato, provai un senso di gratitudine.
Quell'uomo aveva fatto ciò che io vorrei aver sempre avuto il coraggio di fare negli anni seguenti. Intervenire, prima che una situazione di pericolo potenziale potesse farsi pericolosa davvero.
Non conosceva né me, né lei, né il contesto. Aveva visto due ragazzini urlarsi contro e uno dei due aveva un corpo che cresceva di due centimetri al mese e presumibilmente quasi nessuna idea su come gestire quella forza, quegli ormoni, quelle emozioni.
Quante volte ho avuto modo di parlare di questa storia? Quasi nessuna.
Con le mie migliori amiche mi confido, ma ci sono certe esperienze, certe sensazioni che loro non hanno mai provato sulla pelle. Come io non ho provato le loro. Uomini e donne vivono gran parte della propria vita in mondi completamente diversi. E spesso è impossibile raccontarseli del tutto.
Neanche tra di noi. Coi miei amici maschi sappiamo di avere un bagaglio di esperienze comuni. Ma ne abbiamo iniziato a parlare poco, timidamente, recentemente.
Quando cresci maschio, ti insegnano che le emozioni ti rendono debole. Che l'unico modo accettabile di tirarle fuori è la violenza.
Lo insegnano a tutti. E ti insegnano anche che se hai paura, se ti senti rifiutato, non devi chiedere aiuto, non devi dirlo ad alta voce, non devi lamentarti. Chi si aiuta, chi si confida, lo fa in segreto.
Se dovessi descrivere in una parola l'esperienza collettiva di essere un uomo, credo che quella parola sarebbe solitudine.
Io non so cosa significhi essere donna. Non conosco la paura che si vive ogni giorno e quell'ansia terribile e collettiva che hanno vissuto in questi giorni. Per capirla, leggo quello che scrivono loro.
Però so cosa significa essere un uomo. E sono cresciuto anch'io in quella società che rende tanti uomini come me carnefici.
Abbiamo un dovere enorme. Nei confronti delle nostre sorelle. E anche nei confronti dei nostri fratelli, dei nostri figli, dei nostri nipoti.
Di interrompere la catena della violenza, la catena dell'orrore. Di chiedere scusa, per quello che abbiamo fatto e per quello che ci hanno fatto fare. Di dare un esempio diverso.
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kon-igi · 1 year
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E COME OGNI 8 MARZO
non so che cazzo dire.
Forse sono un po’ più sensibile della media dei maschi bianchi etero cis benestanti nati nella parte giusta del mondo ma MAI potrò capire veramente cosa significhi nascere, crescere e vivere come una donna, anche in questa parte giusta di mondo.
Tra gli anziani (quindi intendo anche i 50enni) si dice che le bambine abbiano una marcia in più rispetto ai loro coetanei.
‘Sono più furbe dei maschi’.
No, non sono più furbe...
Sanno che conviene loro imparare a sopravvivere alla svelta.
Alla palpata di culo dei loro compagni di classe, al padre che protegge un bene di proprietà, agli insegnanti che si voltano dall’altra parte, al ‘cresci bene che ripasso’, ai termini come ‘femminuccia’, ‘fighetta’, ‘giochi a pallone come una femmina’ e a tutte le rappresentazioni stereotipate su ogni media, dove ogni Figlia di Eva vive costantemente la dissonanza del messaggio ‘sii te stessa’ accanto alla pubblicità di una cura dimagrante con modelle scheletriche.
Vorrei non essere polemico ma solo veemente e invece riesco solo a far trasparire amarezza senza soluzioni a breve termine.
Mi sento paternalista nel dirvi che vi amo tutte indistintamente per il peso che vi portate quotidianamente dietro ma il mio è incrinato affetto verso il vostro entusiasmo smorzato, verso la vostra rigogliosità di cuore affaticato e verso il vostro dolore sordo di essere sempre seconde.
Mi sento come uno sputo nell’oceano ma mi dissolverò volentieri se un giorno persone migliori di me vi restituiranno ciò che per migliaia di anni altri hanno provato a negarvi...
Il desiderio di essere intere.
<3
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