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#detenuto in attesa di giudizio
pettirosso1959 · 1 month
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Dalla bacheca dell'amico Alberto Mascioni di FB:
"Buona Pasqua al nostro Presidente.
Grazie “Bresidende”!
Egregio Signor Presidente Mattarella,
apprendo dalla stampa che Ella abbia risposto, con una telefonata, alla lettera del padre della pluripregiudicata Ilaria Salis, attualmente detenuta in Ungheria in attesa di giudizio per reati che vanno dal tentato omicidio premeditato, all’associazione a delinquere di stampo terrorista ed eversivo, alle lesioni personali.
Ci viene riferito che durante tale conversazione Ella abbia sottolineato al padre della militante di estrema sinistra :«la differenza tra il sistema italiano, ispirato ai valori europei, e quello in cui si trova Ilaria Salis, sottolineando come questa disparità colpisca l’opinione pubblica italiana».
Lei, Eccellenza ha ragione: c’è differenza tra il nostro sistema giudiziario e penale con quello ungherese. E io da umile e semplice cittadino della Repubblica da Lei capeggiata, ne sono molto colpito.
Infatti la secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) dal 1959, fino al 2021:
✔️l’Italia è il terzo paese ad aver ricevuto più condanne (2.466), dopo Turchia e Russia. L’Ungheria ne ha ricevute 614.
✔️L’Italia è stata condannata 9 volte per tortura (l’Ungheria mai).
✔️L’Italia è stata condannata 297 volte per violazione del diritto al giusto processo mente l’Ungheria solo 33
✔️L’Italia è stata condannata 1.203 volte per la durata eccessiva dei processi (344 l’Ungheria).
Inoltre Egregio Signor Presidente, con l’occasione mi permetto altresì di ricordarLe che che:
✔️in italia, un detenuto su tre si trova in carcere in custodia cautelare da oltre 6 mesi.
✔️Che in Italia dal 1991 al 2022 i casi di errori giudiziari hanno coinvolto l'incredibile numero di 30mila persone. Divisi per anno fanno circa 961 cittadini sbattuti in carcere, in custodia cautelare, o addirittura condannati essendo però poi innocenti.
✔️Che nelle carceri italiane topi e scarafaggi e cimici in cella sono la norma , come è la norma uno spazio vitale inferiore agli standard comunitari e un sovraffollamento del 119 per cento rispetto alla capienza prevista.
✔️Che le carceri italiane, sono un ambiente con 85 suicidi in cella l’anno ( dati 2022, ultimi disponibili) e il 40 per cento dei penitenziari è stato costruito prima del 1900 o al massimo prima del 1950, senza acqua calda nel 45,4 per cento dei casi e senza doccia nel 56,7 per cento, con nessuna dieta personalizzata (in caso di intolleranza alimentare) e cure mediche scarse oltre alle solite, eterne e disgraziate prepotenze della Polizia penitenziaria.
Quindi Egregio signor Presidente , La pregherei umilmente, dopo naturalmente la “priorità” della vicenda Salis, di occuparsi anche del Paese che Ella ci onora di rappresentare, perché non credo che siamo nella condizione di impartire “lezioni di valori europei” a chicchessia.
Con rispetto e deferenza, colgo l’occasione per formularLe i miei più sinceri auguri per una felice Santa Pasqua".
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abr · 2 years
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27 giorni in isolamento in carcere per una telefonata casuale a uno sconosciuto risultato uno spacciatore. PRIMA DI TORTORA.
La sua vicenda personale fu l'ispirazione per il film Detenuto in attesa di giudizio di Alberto Sordi , uno dei pochi se non l'unico suo film MAI RIPROPOSTO DALLA RAI né da altre piattaforme televisive, direttamente dalla lettura del libro scritto da Luttazzi nei giorni di detenzione in cella d'isolamento, per l'accusa puramente indiziaria che risulterà poi del tutto infondata.
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osappleobeneduci · 1 month
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Tentato omicidio Carcere Rebibbia Nuovo Complesso: detenuto tunisino attacca con lametta un altro detenuto: 30 punti di sutura
Nella mattinata di oggi, nel Nuovo Complesso del Carcere di Rebibbia, si è verificato un gravissimo episodio che ha seriamente messo in pericolo la vita di un recluso. Un detenuto tunisino di 42 anni, in attesa di giudizio e con un passato caratterizzato da episodi simili in altri istituti penitenziari, ha perpetrato un tentato omicidio nei confronti di un detenuto “lavorante” del Reparto G6.…
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lamilanomagazine · 6 months
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Evade nuovamente dai domiciliari manomettendo il braccialetto elettronico: in arresto cittadino italiano
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Evade nuovamente dai domiciliari manomettendo il braccialetto elettronico: in arresto cittadino italiano. Rimini. Nel pomeriggio di giovedì 16 novembre 2023, personale della Polizia di Stato di Rimini ha tratto in arresto un cittadino italiano per il reato di evasione. Nello specifico, alle ore 14.00 circa, una volante si dirigeva presso la Comunità Papa Giovanni XXIII, a seguito dell’attivazione per manomissione dell’allarme di un braccialetto elettronico, indossato da una persona sottoposta agli arresti domiciliari presso quella comunità. Giunti sul posto, i poliziotti accertavano l’assenza del detenuto che dopo poco rientrava presso quella comunità affermando di essersi recato in un bar a circa un km di distanza. Lo stesso dichiarava di aver volontariamente tagliato il braccialetto prima di uscire dal domicilio. In considerazione dei fatti accaduti, l’uomo veniva tratto in arresto in attesa del giudizio direttissimo che si terrà nella giornata odierna. Inoltre, il soggetto veniva indagato in stato di libertà per il reato di danneggiamento. Si ricorda che nei confronti delle persone indiziate ed imputate vige la presunzione di innocenza.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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toscanoirriverente · 1 year
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“Volevo consegnare un regalo a mio figlio per il compleanno”: il biglietto del carcerato che si è ucciso a Torino
Era accusato di stalking verso l’ex compagna. Mai così tanti suicidi nelle carceri italiane
Di fronte al giudice, tre giorni fa, si è era dimostrato sereno, collaborativo: accusato di stalking dall'ex compagna, aveva spiegato di aver violato i divieti di avvicinamento per fare un regalo al figlio minorenne. «Ho sbagliato, lo so: volevo solo consegnare una busta di denaro a mio figlio per il suo compleanno, non volevo importunare la mia ex». Antonio, 56 anni, autotrasportatore torinese, era in carcere dall'agosto scorso, in una cella del padiglione C del Lorusso e Cutugno. Detenuto sottoposto a misura cautelare. Tra pochi giorni, grazie a quella buona impressione fatta in udienza, sarebbe sicuramente uscito. L'altra notte, dopo aver strappato le lenzuola a striscioline per ricavarne una corda, si è impiccato alla grata della porta. Un agente della polizia penitenziaria ha trovato il cadavere al mattino, durante il controllo di routine. Prima di togliesi la vita, Antonio ha lasciato sul tavolino una lettera-testamento. «Scusatemi». Ieri sera c'è stata una protesta dei carcerati torinesi poi rientrata. Dall'inizio dell'anno sono 77 i suicidi avvenuti nelle carceri italiane, il numero più alto di sempre. Nel 2009 erano stati 72. «I suicidi - afferma Stefano Anastasìa, portavoce della Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà - costituiscono il 51% dei casi di morte registrati in carcere nel corso dell'anno, anche questa percentuale mai così alta da inizio secolo ». Pochi giorni fa un detenuto, di 22 anni, originario della Repubblica Dominicana, si era tolto la vita nel carcere di Udine, in attesa di giudizio per tentato di omicidio, dopo una rissa a Trieste. A Torino, dall'inizio dell'anno si sono registrati quattro casi: il precedente, meno di un mese fa. Un giovane di origine africana, Tecca Gambe, si era tolto la vita nello steso modo, annodando strisce di tessuto strappate dalle lenzuola. Era in cella per un piccolo furto. Antonio era accusato di atti persecutori. «A luglio era stato arrestato una prima volta, su ordine di custodia cautelare, a seguito della denuncia della sua ex compagna - spiega il suo legale, Margherita Pessione - Dopo tre settimane trascorse dietro le sbarre era uscito ma aveva l'obbligo di non avvicinarsi alla donna. Ad agosto aveva violato il divieto presentandosi sotto casa della madre di lei: così era scattato un secondo provvedimento cautelare. «Ormai eravamo in dirittura d'arrivo, sarebbe stato scarcerato a breve: in sede di udienza preliminare avevano definito la situazione, chiarendo i motivi di quel comportamento. Il mio assistito poteva sembrare assillante ma, a detta della stessa donna, non si è mai dimostrato violento, testualmente non le ha mai torto un capello». Nelle carceri, stando alle continue denunce dei sindacati della polizia penitenziaria, la mancanza di personale è cronica: non solo per tenere a bada la violenza dei detenuti, ma anche per proteggere le loro vite in preda alla disperazione. «Salvo poche, ammirevoli, esperienze di sostegno e accompagnamento al reinserimento sociale la grande maggioranza dei detenuti e delle detenute vive la carcerazione come un periodo più o meno lungo di abbandono e di disperazione - aggiunge Anastasìa - Il numero di suicidi ne è una drammatica testimonianza».
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mabohstarbuck · 5 years
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Aaaah sì, forse durante la guerra nel '43. Una volta ai castelli romani c'hanno fermato a un posto di blocco... E c'era quel tedesco che m'ha perquisito e m'ha sbattutto dentro a una stalla, e m'ha dato un sacco di botte. Vuoi vedere che è lui Franz Kaltenbrunner?
Detenuto in attesa di giudizio (1971) regia di Nanni Loy.
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tvserie-film · 3 years
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Title:  In Prison Awaiting Trial (1971)
Vote: 8/10
In this movie Alberto Sordi is a man who ends up in prison due to a bureaucratic error. Crushed by a bureaucratic apparatus of which no one fully understands the functioning, he will go around various Italian prisons before ending up in an asylum and then being released, the misunderstanding cleared up but by now he is a physically and mentally destroyed man. There is a deep sadness in this movie that appears all too real.
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marcoleopa · 3 years
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“...fosse morto per le botte che mi ha dato?”
La tragica battuta pronunciata da A. Sordi in Detenuto in attesa di giudizio, bel film denuncia di N. Loy, che valse all’Albertone nazionale anche il David di Donatello per l’interpretazione, calza a pennello per quanto è avvenuto nell’istituto di reclusione di S.M.C.Vetere.
Il pestaggio ad opera dei 52 agenti indagati, sono lo specchio del clima di odio e disprezzo che si respira nel paese. 
Ciò non è, però, una giustificazione, perchè si approverebbe, tacitamente, qualsisi azione violenta, Sia all’interno che all’esterno della cinta muraria degli istituti di pena, da chiunque indossi una divisa e ritenga di essere al di sopra della legge. Estendendo la riflessione, chiunque, con le mostrine e un segno distintivo, in nome di un peloso salvacondotto politico, sarebbe autorizzato a pestare, contando sulla difesa senza se e senza ma, della destra italiota.
 Bastrebbe leggere i capi d’accusa, specificati nelle oltre 2000 pagine dell’indanine, prima di esprimere l’incondizionata solidarietà.  
 Giusta la loro sospensione.
Ma tant’è, che fascio&fascio non riflettono per non perdere qualche like.
Eppure già nel 1764, tal Cesare Beccaria eprimeva una posizione così chiara sulla dignità umana, che soltanto due zappe non possono comprendere: “non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che in alcuni eventi l'uomo cessi di essere persona e diventi cosa”.
E’ l’incapacità di comprensione del concetto di essere umano, la base della loro formazione politica, dove tutto è cosa, a meno che non frequenti Predappio e Pontida.
In conclusione, le divise si onorano e si difendono, quando sono il baluardo della Costituzione, non il disprezzo della medesima, perchè si è cittadini, quindi esseri umani, anche quando si è reclusi.
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paoloxl · 3 years
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Alta sicurezza e processi sulle rivolte. Le vite sospese dei detenuti
Mario S. sta scontando un ergastolo dal 1983, quando è entrato in prigione venticinquenne. Quattro anni prima suo padre era stato ucciso in Calabria per una vendetta trasversale. Mario aveva quindi lasciato il suo lavoro e aveva iniziato la caccia agli assassini, che ha poi a sua volta ucciso in meno di due anni. In quello stesso periodo è diventato un uomo importante tra i clan del Tirreno cosentino, finché non è stato arrestato, processato e condannato.
Venticinque anni dopo, alla soglia dei cinquanta, Mario si era guadagnato la semilibertà per poter lavorare all’esterno del carcere, dove ritornava solo per la notte. Sei anni dopo la misura gli è stata revocata: Mario era stato rinviato a giudizio con l’accusa di aver ricostruito il vecchio clan calabrese. In seguito al procedimento è stato recluso in regime di alta sorveglianza nel carcere di Parma.
Nel 2017 Mario è stato assolto in appello con formula piena. I pm non hanno fatto ricorso. A questo punto i legali hanno chiesto al Tribunale di sorveglianza di ripristinare i benefici che si era guadagnato, ma il giudice, pur prendendo atto dell’assoluzione, ha respinto la richiesta perché il detenuto avrebbe dovuto ricominciare un percorso per dimostrare la sua affidabilità. Le relazioni redatte dal carcere parlano di un “comportamento corretto, assenza di sanzioni, manifesta cortesia, disponibilità e interesse, relazioni rispettose, rapporti assidui con i tre figli, due dei quali affetti da handicap”. Eppure Mario, che oggi ha quasi settant’anni, ha passato tutta la sua vita in galera e si trova in una sezione di alta sicurezza per un reato dal quale è stato assolto.
I circuiti di alta sicurezza nascono all’inizio degli anni Novanta, quando il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria  comincia la progettazione dei cosiddetti “binari differenziati” – ancora oggi l’unico orizzonte del potere penitenziario –, stabiliti a seconda del reato per cui l’imputato è giudicato o condannato, e della sua pericolosità. L’architettura è semplice da escogitare, non bisogna far altro che raccogliere l’esperienza di campo della repressione dell’eversione rossa (i “circuiti dei camosci”, così venivano chiamate le prigioni speciali dei sovversivi): in accordo con i meccanismi di premialità che reggono la “rinegoziazione” dei benefici, quei gironi infernali – diversificati in As1, As2, As3, regime 41-bis op. – rappresentano infatti la massima espressione dell’internamento.
La corsa per i benefici, in questo scenario, diventa una perdita di tempo, dal momento che, come nel caso di Mario, sembra mancare sempre qualcosa per ottenerli. Fa parte del gioco, non è una disfunzione burocratica, perché l’obiettivo non dichiarato del “controllo premiale” è quello di prendere tempo (tra équipe di valutazione, osservazioni della personalità, visite psichiatriche, indagini familiari, udienze nei tribunali, ecc.) costruendo una dimensione astratta di attesa e desiderio in cui il soggetto si disgrega, ricomponendo e decomponendo le proprie speranze.
I PROCESSI DOPO LE RIVOLTE
L’inferno di prove da superare, interrogatori, attese, provocazioni e minacce – orizzonte comune e quotidiano per tanti ristretti – è il vortice in cui si muovono da mesi anche i ventidue detenuti che dal 18 gennaio cominceranno le udienze del processo per la rivolta al carcere di Milano Opera dello scorso 8 marzo. Le accuse ai loro danni sono incendio, danneggiamenti, resistenza a pubblico ufficiale, con aggravanti che potrebbero portare a pene fino ai quindici anni. Le accuse, in alcuni casi, sono però fondate solo su una “auto-denuncia” attraverso cui molti detenuti ammisero, nelle ore successive alle sommosse, di aver partecipato ai fatti. Nel corso dei mesi i familiari hanno riferito che su molti accusati furono fatte forti pressioni dalle autorità penitenziarie per indurli a firmare il documento.
Se la storia processuale di quei giorni è ancora tutta da scrivere, l’impressione è che gli eventi che si sono susseguiti prima, durante e dopo le rivolte, in decine di carceri in tutta Italia, avranno un destino molto diverso gli uni dagli altri, e i procedimenti si trasformeranno in processi in tempi più o meno lunghi, a seconda del lavoro e delle letture da parte delle procure e dei pubblici ministeri. Accanto ai processi nei confronti dei detenuti, ci sono infatti anche quelli ai danni degli agenti di polizia (non solo penitenziaria) che entrarono nei reparti di diverse carceri compiendo blitz punitivi, pestaggi, violenze ai danni dei detenuti.
Un elaborato percorso di indagini ha avuto come oggetto in questi nove mesi una tra le più volente irruzioni di poliziotti nelle celle, la “mattanza” del carcere campano di Santa Maria Capua Vetere. Le accuse della procura non sono ancora note perché le indagini non sono chiuse, ma le ipotesi di reato denunciate dall’associazione Antigone sono pesanti: tortura, omissioni di referto, falsificazione delle cartelle cliniche, abuso di autorità.
Per quanto riguarda le altre inchieste, non si riescono ad avere notizie precise su quanto accade a Milano e Modena, dove si sono registrati nove dei tredici decessi. Da mesi si parla di due inchieste di cui però non hanno notizie neppure gli avvocati di fiducia dei detenuti che hanno presentato gli esposti. Quello scritto dai cinque trasferiti da Modena ad Ascoli Piceno racconta nel dettaglio le violenze subite al termine della rivolta, durante il trasferimento, e una volta giunti nel nuovo penitenziario, quando il loro compagno Salvatore Piscicelli trovò la morte in cella, dopo essere stato a lungo percosso e visitato solo sommariamente in infermeria.
Una situazione simile riguarda anche il carcere di Foggia, all’interno del quale si sono verificati eventi che ricordano in maniera inquietante quelli di Santa Maria Capua Vetere: violenze e pestaggi a freddo, a rivolte ampiamente terminate, denunciate dai detenuti solo una volta liberati, tramite un esposto presentato con il supporto dell’associazione Yairaiha.
Da questo punto di vista è molto importante mantenere alta l’attenzione, perché le valutazioni degli inquirenti (numero di indagati e reati contestati) oltre a marcare una linea politica, saranno fondamentali per misurare la concretezza degli eventuali processi.
I SILENZI DEL MINISTRO
Alcuni dei detenuti coinvolti nelle rivolte furono trasferiti con grande fretta, subito dopo i fatti, nel carcere di Vigevano, un penitenziario che difficilmente raggiunge gli onori delle cronache, anche a causa della presenza di molti detenuti di origine straniera, i cui familiari fanno ancora più fatica a trovare voce. Le denunce raccolte da Napoli Monitor raccontano però di rapporti molto tesi tra detenuti e personale penitenziario, di casi di Covid che la direzione avrebbe provato a occultare, di ritorsioni rispetto alle proteste dei detenuti. La scorsa settimana un giovane tunisino ha tentato di impiccarsi; un grave atto di auto-lesionismo, in segno di protesta per la gestione quotidiana del carcere, è stato denunciato dai familiari di un altro ristretto; a fine novembre una prigioniera, che qualche giorno prima aveva incendiato il materasso della propria cella, ha avuto una “colluttazione” (così viene definita nelle veline) con un gruppo di agenti, successivamente a una visita in infermeria e alla somministrazione di psicofarmaci.
Mentre i sindacati di polizia, però, si esprimono su eventi e situazioni come queste solo per chiedere un aumento delle misure repressive nei penitenziari (nei loro comunicati è una costante la domanda d’uso delle pistole elettriche), il ministro della giustizia Bonafede continua a evitare di esprimersi sulle condizioni strutturali e sulla gestione autoritaria del quotidiano detentivo. Il 31 dicembre scorso il ministro ha visitato il carcere di Poggioreale, con un’inutile passerella che ha lasciato alla popolazione carceraria e agli operatori penitenziari solo un vuoto retorico. Sebbene l’istituto napoletano sia l’emblema dei fallimenti degli ultimi quarant’anni anni, Bonafede non ha ritenuto opportuno spendere nemmeno una parola sul contesto normativo, profittando del fatto che le richieste di modifica del sistema si perdono allo stato in inutili tecnicismi, nella riproduzione ideologica di vecchie battaglie, nelle futili istanze etico-religiose. Tutti tentativi che difficilmente si radicano negli strati sociali e che non trovano forza in un movimento generale di trasformazione, assente da tempo.
Quello che abbiamo davanti è insomma un quadro poco rassicurante, tanto più se si considera che l’insieme dei procedimenti a carico della polizia penitenziaria, il numero raddoppiato dei suicidi nel 2020, le morti e le brutalità nella gestione di episodi come quelli di marzo, restituiscono l’immagine di un sistema punitivo attraversato da enormi conflitti. Gli apparati istituzionali sono ormai privi di strumenti di assorbimento, perché le strutture disciplinanti previste dalla riforma del 1975 di fatto non servono più a nulla. Serve ossigeno. (luigi romano / riccardo rosa)
Da napolimonitor
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sslimbo · 5 years
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Alberto Sordi è ancora "Detenuto in attesa di giudizio" (Nanni Loy, 1971). Il bozzetto originale realizzato per il manifesto del film è dipinto da Mauro Innocenti (Maro).
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mollybrown2017-blog · 6 years
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ALBERTO SORDI ce lo meritiamo?
 Quando l’8 marzo 1978 uscì nelle sale Ecce bombo di Nanni Moretti, gli spettatori si chiesero: «Ma davvero ci siamo meritatati Alberto Sordi?». Ancora oggi la frase dell’alter ego di Moretti, Michele Apicella, ogni tanto ritorna, incombente. Eppure, Moretti non usò il plurale, anzi, di spalle al pubblico, se la prese con un tizio in un bar che aveva osato dire: «Rossi o neri… tutti uguali».
È…
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bravagente · 6 years
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"Sono tanti i momenti e i luoghi in cui, a torto o a ragione, colpevole o innocente, un cittadino può ritrovarsi totalmente nelle mani dello Stato, anche in una democrazia. In caserma o in questura perché arrestato o fermato, detenuto in carcere perché in attesa di giudizio o condannato, in infermeria, nei reparti penitenziari degli ospedali, o negli OPG, gli ospedali psichiatrici giudiziari perché deve essere curato. Oppure nei CIE, nei centri di identificazione ed espulsione, perché straniero e non in regola con leggi e documenti. Ci sono leggi, procedure, controlli, uffici e persone che regolano questa tutela. La maggior parte delle volte le garanzie funzionano. Ma altre volte no. Come nel caso di Stefano Cucchi, Giuseppe Uva o del giovanissimo Federico Aldrovandi. Tutti e tre morti violentemente mentre si trovavano in una situazione particolare: nelle mani dello Stato."
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ELGA ANDERSEN.
Filmography
1957: Les Collegiennes
1957: Love in the Afternoon
1957: The polka des menottes
1957: Merchant Girls
1958: Bonjour Tristesse
1958: Elevator pour l'échafaud
1958: Solang' die Sterne glüh'n
1958: Ist Mama nicht fabelhaft?
1958: So ein Millionär hat's schwer
1960: The Bacchanalia of Tiberius
1960: The Bandeirantes
1961: The Black Monocle
1961: Mourir d'amour
1962: The Scorpion
1962: The eye of the monocle
1962: The empire of the night
1963: Your Turn, Honey
1964: A Global Affair
1964: Hong Kong Casket
1965: DM Killer
1965: Skeleton Coast
1966: The Battle of the Mods
1966: Black Star
1968: Captain Singrid
1968: Run, Psycho, Run
1968: Più tardi Claire, più tardi...
1970: Sex Power
1971: Le Mans
1971: A perfect omicide to end di legge
1971: Detenuto in attesa di giudizio
1971-1974: Aux frontières du possible
1973: Night flight from Moscow.
Créditos: Tomado de Wikipedia
https://en.wikipedia.org/wiki/Elga_Andersen
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osappleobeneduci · 2 years
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CATTURATO IN MONTENEGRO DETENUTO EVASO DAL CARCERE DI COMO
CATTURATO IN MONTENEGRO DETENUTO EVASO DAL CARCERE DI COMO
Si conclude con la cattura in Montenegro la fuga del 48enne di Como Massimo Riella, evaso dal carcere in attesa del giudizio per tentata rapina a una coppia di anziani. Importante successo dell’Interpol, che a Podgorica (in Montenegro) ha catturato il latitante Massimo Riella, 48enne di Como evaso durante un permesso speciale per visitare la tomba della madre defunta a Gravedona. Un blitz…
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lamilanomagazine · 7 months
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Firenze: 30enne evade e si rende responsabile di una rapina
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Firenze: 30enne evade e si rende responsabile di una rapina. Nel pomeriggio di mercoledì i Carabinieri del Nucleo Radiomobile sono accorsi presso l'esercizio commerciale COOP di Piazza Leopoldo dove poco prima un trentenne aveva tentato di appropriarsi di uno zaino. Il giovane, sorpreso dal personale di vigilanza, rispondeva ai tentativi di fermo, cercando di darsi alla fuga e una volta fermato dal personale dell'esercizio commerciale, intraprendeva con quest'ultimi una viva colluttazione, colpendoli con pugni anche al volto, allo scopo di far mollare la presa e darsi alla fuga con la refurtiva. L'azione congiunta del personale dell'esercizio commerciale e il tempestivo arrivo dei Carabinieri ha permesso di interrompere l'azione delittuosa e di calmare il soggetto, nel frattempo tranquillizzatosi. Nel corso dei successivi accertamenti, il giovane, sprovvisto dei documenti, dichiarava ai Carabinieri delle generalità che, come da procedura, devono essere verificate attraverso l'identificazione da effettuarsi presso le Caserme dell'Arma. Il soggetto, già resosi responsabile del reato di rapina, è stato quindi condotto presso la Stazione CC Firenze Santa Maria Novella, dove, al termine delle procedure di identificazione, è risultato destinatario - sotto altro nome – di un provvedimento restrittivo che lo vedeva "detenuto domiciliare" a Prato. Per quanto emerso il giovane è stato dichiarato responsabile anche del reato di evasione e di false dichiarazioni a pubblico ufficiale sull'identità. Al termine delle operazioni, la refurtiva, seppure purtroppo danneggiata dal reo nell'azione di eliminare il dispositivo antitaccheggio e non più rivendibile, è stata restituita all'attività commerciale mentre il giovane è stato arrestato, posto a disposizione dell'A.G. e ristretto presso le camere di sicurezza del citato Comando Arma, in attesa del giudizio per direttissima che verrà celebrato dinanzi all'A.G. del capoluogo toscano nella mattinata odierna. Per l'indagato vige comunque la presunzione di innocenza, fino a quando la sua colpevolezza non sarà accertata con sentenza irrevocabile.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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erik595 · 2 years
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Starbuck è il nome del nostromo della nave Pequod in Moby Dick di Melville, ma era anche il nome di battaglia di Holger Meins, detenuto in attesa di giudizio, morto nel carcere di Wittich, Repubblica Federale Tedesca, il 9 novembre 1974, all'età di 33 anni. Catturato assieme ad Andreas Baader era uno degli elementi di spicco della prima generazione della RAF ( Rote Armee Fraktion). Per Holger Meins e i suoi compagni di prigionia l'unica arma rimasta era il proprio corpo, ed è con quello che hanno protestato contro le disumane condizioni carcerarie, attraverso diversi scioperi della fame: l'ultimo di questi è stato fatale per Holger Meins, che aveva fatto della militanza un'esperienza paragonabile alle sue passioni artistiche. Questo libro non vuole essere una semplice biografia, ma vuole tracciare, attraverso testimonianze dirette e materiale dell'epoca, il profilo di una gioventù convinta delle proprie azioni e delle proprie idee. Uno stimolo, soprattutto per i giovani d'oggi, a capire un periodo in cui il dissenso giovanile oramai viene semplicisticamente rappresentato con termini quali "terroristi" o "figli dei fiori" mentre i personaggi della RAF vengono mercificati in film e accessori di moda. . . . . . #gerdconradt #holgermeins #libro #libri #libros #buch #livre #libreria #book #books #bookstagramitalia #bookstagram #consiglidilettura #librodaleggere #libroconsigliato #librodelgiorno #storia #terrorismo #ideali #rotearmeefraktion #baadermeinhof #repubblicafederaletedesca #ddr #biografia #carcere #dirittiumani #scioperodellafame #gudrunesslin (presso Italy) https://www.instagram.com/ivanmaffeiwriter/p/CXVVh7HMDFa/?utm_medium=tumblr
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