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#addio papà
em420sblog · 1 year
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A MIO PADRE
Non è tanto la mancanza di qualcuno
senza cui non sai stare a stordire,
ma piuttosto la dipendenza da qualcuno
senza il quale puoi benissimo stare.
Qualcuno che continua a tornare
ed ogni volta che lo fa,
aggiunge un valore in più alla tua vita
senza togliere mai niente.
Qualcuno che quando non c’è
te la cavi uguale,
ma se ce stai decisamente meglio.
E allora, semplicemente,
non riesci a farne più a meno
e attendi costantemente il suo ritorno,
esattamente come si attendono
le giornate di sole
e tutte le cose belle della vita. 
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siipoesia · 1 year
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Avrei semplicemente voluto salutarti, dirti addio.
Volevo farti sapere che dopo anni ti ho perdonato, che non porto nessun rancore perché sono cresciuta ormai e ho capito tante cose ed ho imparato a dare valore alle cose che fino a qualche anno fa reputavo non importanti. Mi dispiace non aver fatto in tempo.
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Napoli mio papà nel 1916
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viendiletto · 3 months
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Nino Benvenuti: «Senza ricordi non c’è futuro»
Campione olimpico nel 1960, campione mondiale dei Pesi superwelter tra il 1965 e il 1966 e dei pesi medi dal 1967 al 1970, Giovanni (Nino) Benvenuti è stato uno dei migliori pugili italiani di tutti i tempi e il suo nome troneggia tra i grandi del pugilato internazionale. È entrato nell’immaginario collettivo in una notte di aprile nel 1967 quando 18 milioni di italiani seguirono la diretta del suo incontro con Emile Griffith al Madison Square Garden di New York. Di quel match che gli portò il titolo di campione mondiale dei pesi medi, ma anche dell’infanzia a Isola, dei primi passi nella boxe, del significato dell’essere pugili, del rapporto con gli avversari sul ring e di tanto altro Nino Benvenuti – insignito nel 2018 dalla Can comunale del premio Isola d’Istria –, parla in un’intervista esclusiva di Massimo Cutò pubblicata di recente sulla Voce di New York, che riproponiamo.
[...]
Chi è un pugile?
“Uno che cerca sé stesso sul ring. Uno che vuole superare i propri limiti come faceva Maiorca in fondo al mare o Messner in cima alla montagna. La sfida è quella: fai a pugni con un altro da te e guardi in fondo alla tua anima”.
Lei cosa ci ha visto?
“La mia terra d’origine, una verità che molti continuano a negare. La storia di un bambino nato nel 1938 a Isola d’Istria e costretto all’esilio con la famiglia. Addio alla casa, la vigna, l’adolescenza: tutto spazzato via con violenza, fra la rabbia muta e la disperazione di un popolo. Gente deportata, gettata viva nelle foibe, fucilata, lasciata marcire nei campi di concentramento jugoslavi”.
Una memoria sempre viva?
“Ho cercato di non smarrirla, per quanto doloroso fosse. Riaffiora in certe sere. Ti ritrovi solo e sale una paura irrazionale”.
Riesce a spiegare questo sentimento?
“Il passato non passa, resta lì nella testa e nel cuore. A volte mi sembra che stiano arrivando: Nino scappa, sono quelli dell’Ozna, la polizia politica di Tito viene a prenderti. Un incubo che mi tengo stretto perché senza ricordi non c’è futuro”.
Che cosa accadde in quei giorni?
“Isola d’Istria odora di acqua salata. È il sole sulla pelle. La nostra era una famiglia benestante, avevamo terra e barche, il vino e il pesce. Vivevamo in una palazzina di fronte al mare: papà Fernando, mamma Dora, i nonni, io, i tre fratelli e mia sorella. Siamo stati costretti a scappare da quel paradiso”.
Come andò?
“Mio fratello Eliano fu rapito e imprigionato dai poliziotti titini, colpevole di essere italiano. È tornato sette mesi dopo, un’ombra smagrita, restò in silenzio per giorni. Mia madre si ammalò per l’angoscia. È morta nel ‘56 di crepacuore: aveva 46 anni. Attorno si respirava il terrore delle persecuzioni. Un giorno vidi dalla finestra della cameretta un uomo in divisa sparare alla nostra cagnetta, così, per puro divertimento”.
Finché fuggiste?
“Riparammo a Trieste dove c’era la pescheria dei nonni. Fu uno strappo lacerante, fisico. Così la mia è diventata in un attimo l’Isola che non c’è. Non potevamo più vivere lì dove eravamo nati”.
[...]
Quant’è difficile invecchiare?
“Dentro mi sento trent’anni, non ho paura della morte. Sono allenato. Sul ring risolvevo i problemi con il mio sinistro, la vita è stata più complicata però ho poco da rimproverarmi. E ho ancora un desiderio”.
Quale?
“Vorrei che un giorno, quando sarà, le mie ceneri fossero sparse da soscojo. È lo scoglio di Isola d’Istria dove ho imparato a nuotare da bambino”.
Intervista di Massimo Cutò a Nino Benvenuti per La Voce di New York, 23 luglio 2022
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francescacammisa1 · 5 months
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Se devo morire, tu devi vivere per raccontare la mia storia, per vendere le mie cose per comprare un pezzo di stoffa e delle stringhe, (fai che sia bianco con una lunga coda) cosicché un bambino da qualche parte a Gaza - guardando il cielo negli occhi aspettando suo papà che se n'è andato in una esplosione senza dire addio nemmeno alla sua carne, nemmeno a lui- veda l'aquilone, l'aquilone che tu hai fatto, volare lassù e possa pensare per un momento che si tratti di un angelo intento a riportargli l'amore che ha perduto. Se devo morire, lascia che porti speranza, lascia che sia una racconto.
Refaat Alareer (Poeta palestinese)
Ph Motaz Azaiza
(Fotoreporter Palestinese)
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intotheclash · 5 months
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“Che c'è, Pietro, non sai cosa dire?”
“No.” Risposi con una vocetta appena udibile. Davvero non sapevo cosa cazzo dire. Guardai anche mia sorella, in cerca di una qualche illuminazione, di un appiglio qualsiasi, mi sarei aggrappato a tutto, pur di uscire indenne da quella pericolosa e niente affatto chiara situazione, ma lei rispose picche. Si voltò verso il televisore e mi lasciò solo contro tutti. Non voleva immischiarsi e non si sarebbe immischiata. Se se la prendevano con me, avrebbero lasciato in pace lei; la legge della giungla. Schifosa di un'egoista! Ma, alla prima occasione, me l'avrebbe pagata. Come si suona si balla.
“Allora, visto che non sai cosa dire,” Iniziò mio padre, “Lo faccio io per te. Ti racconto la mia parte di storia, quella che ho dovuto ascoltare stasera, prima di cena. Dopodiché sarai tu a raccontare la tua e bada bene di raccontarla tutta. E soprattutto precisa. Se mi accorgo che mi stai fregando, o soltanto me lo fai pensare, ti darò una di quelle strigliate che te la ricorderai finché campi. E potrai anche dire addio ai tuoi amici per tutta l'estate, visto che non ti farò più uscire di casa. Ci siamo intesi?” Dovetti acconsentire. Non è che fossi poi tanto d'accordo, ma cosa potevo farci? Avevo solo tredici anni. Comandava lui! Lui prendeva le decisioni e io le subivo. Non avevo alternativa. Per quanto riguarda il dove volesse andare a parare era ancora buio totale. Dovevo pazientare.
“Stasera, prima di venire a cena,” Iniziò, “mi sono incontrato al bar con Mario, il papà del tuo amico Sergio, abbiamo deciso di giocarci l'aperitivo a scopa. Una partita secca, chi perde paga, naturalmente. Consuetudine, lo facciano sempre. Ad un certo punto entra nel bar quella gran testa di cazzo dell'avvocato Terenzi…”
Quel cognome mi scoppiò in testa come una bomba a mano. Ora si che era tutto chiaro. Riuscivo a vedere solo disgrazie. Pensai al sangue che zampillava dal naso di Alberto Maria, il figlio dell'avvocato, pensai… Oh no! Peloroscio! Sembrava che si fosse ripreso, che stesse meglio quando lo avevamo lasciato al campo. Invece… Invece doveva essere morto, porco cane! Ecco perché mio padre era incazzato nero! Era finita! Sarei stato sbattuto in prigione per tutta la mia miserabile vita.  Probabilmente anche i carabinieri sapevano già tutto e stavano venendo a prendermi. Forse i miei amici li avevano già rinchiusi. Ero disperato, avevo voglia di piangere. Gli occhi mi si arrossarono e iniziò a tremarmi il labbro inferiore. Era finita! Il vecchio se ne accorse, fece un mezzo sorriso di vittoria e proseguì: “Vedo che non sei del tutto stupido, che stai iniziando a riflettere. Ma non è ancora il tuo turno di parlare, prima devo finire io. Dicevo: entra nel bar l'avvocato Terenzi. Un fatto strano, perché quel figlio di una puzzola è tirchio come un genovese di origini ebraiche e, là dentro, non ci mette mai piede, neanche per un caffè. La cosa ancor più strana, però, è stata che, appena entrato, si è diretto deciso verso il nostro tavolo. Sputava fiamme come un drago. Prima ci ha vomitato addosso una catasta di insulti, almeno dal tono sembravano insulti,  le parole non si capivano bene, quel borioso idiota parla una lingua che solo lui capisce. Ed è stata la sua fortuna, altrimenti sarei tornato a casa con una collana fatta con i suoi denti. Ma quando ha deciso di farsi capire, si è fatto capire bene e ci ha raccontato una storia. Una storia che tu dovresti conoscere bene e che, tra poco, sarai costretto anche tu a raccontare. L'avvocato ha detto che, giù al campo sportivo, tu e i tuoi amici siete saltati addosso a quel bastardo del suo adorato figliolo, lo avete caricato di botte e, non contenti, gli avete pure fregato il pallone. Adesso sta all'ospedale di Civita Castellana con il naso rotto e tutto gonfio. Un bel lavoro, non c'è che dire. Ha detto anche vi denuncerà tutti e a noi ci toccherà pagare una barca di soldi. Il Bastardo!”
Le lacrime trovarono finalmente la strada e sciamarono fuori. Un torrente di montagna dopo mesi di pioggia intensa. Portava con se un sacco di detriti, paura, rabbia, ma anche sollievo. A pensarci bene, soprattutto sollievo. Peloroscio non era morto e, per la seconda ed ultima volta nella mia vita, ne fui felice. Ero scampato di nuovo alla prigione. Subito dopo venne la rabbia. Ci mise un attimo a prendere il sopravvento.
“Non è vero!” Urlai “E’ un bugiardo! Bugiardo lui e bugiardo suo figlio! Il pallone era mio. Quello che mi hai regalato tu, quello di cuoio. Noi stavamo già giocando, poi è arrivato il figlio dell'avvocato, insieme a Peloroscio e a Ringhio, mi hanno gettato in terra e mi hanno fregato il pallone. Il mio pallone, non il suo!
"Se le cose stanno in questo modo, allora avete fatto bene a suonargliele. Domani mi sente quel lurido verme! Erano pure in tre i figli di bagascia. E tutti più grandi di voi.” Vidi lo sguardo del mio vecchio e capii che stava rispolverando l'idea della collana fatta con i denti dell'avvocato Terenzi. La cosa non mi dispiaceva affatto.
“Veramente, papà, non siamo stati noi a dargliele…”
“Ascolta, stronzetto, ho detto niente bugie! Cosa vorresti farmi credere? Che si sono picchiati tra di loro? Che il naso a quel prepotente figlio di prepotenti lo hanno rotto i suoi compari?”
“Non dico bugie! E non ho detto neanche questo! Il naso all'avvocatino lo ha rotto Pietro il Maremmano. E le ha suonate anche ai suoi amici. Anzi, solo a Peloroscio, perché Ringhio se l'è fatta sotto ed è rimasto paralizzato dalla paura.” Dissi tutto d'un fiato.
Mio padre non ci stava capendo più un cazzo. Guardò prima me, poi mia madre, che lo mise al corrente su chi fosse questo Maremmano, che lui non aveva mai sentito nominare, né aveva idea di chi fosse figlio, o dove abitasse. Volse ancora una volta lo sguardo verso di me e, con una calma che proprio non gli riconoscevo, disse: “Ascolta, piccolo, raccontami di nuovo tutto daccapo, senza tralasciare nulla. Poi deciderò il da farsi.” Ed io raccontai. Daccapo. Con dovizia di particolari. Dalla mattina. Raccontai delle biciclette, del pranzo, della partita e infine dello scontro. Il vecchio non mi interruppe mai. Si limitò a seguire il racconto, accompagnandolo con cenni di approvazione, o di disapprovazione, a seconda dell'evolversi degli eventi. Alla fine ero stremato. Stremato ma sollevato. Mi sentivo stranamente leggero. La paura era scomparsa. Mi sentivo bene.
La risata di mio padre piombò giù dalla cima del monte, come una valanga, con lo stesso frastuono e la stessa forza dirompente. Dapprima, io, mia madre e mia sorella, restammo pietrificati, poi ci lasciammo contagiare e fu risata liberatoria per tutta la famiglia. Non capivo bene cosa ci fosse tanto da ridere, ma me ne guardai bene dal protestare; poi era bello ridere tutti insieme. Non riuscivamo più a smettere e papà era quello che rideva più forte. Come suo solito, rideva e piangeva e menava delle manate sul tavolo e sulle mie spalle, facendomi anche male, ma non protestai.
“Certo che questo ragazzino deve essere un bel fenomeno!” Disse quando si fu calmato, “Hai detto che ha la tua stessa età, vero?”
“Si.”
“E ha lisciato il pelo a tre ragazzi più grandi di lui?”
“Si.”
“Davvero un bel fenomeno. Solo mi sfugge una cosa: nel frattempo, tu e quegli altri stronzetti dei tuoi amici, cosa facevate? Non gli avete dato una mano? Anche se, da quanto ho capito, non è che ce ne fosse bisogno. Casomai potevate darla a quegli altri tre perdigiorno!” E giù un'altra mitragliata di risate.
“No.” Risposi molto timidamente.
“No? E perché no? Se le avesse buscate?” Era di nuovo serio.
“Perché avevamo paura! Lui non è di qui. Lui non sa come vanno le cose. Quelli erano più grandi e quelli grandi si approfittano sempre dei piccoli. Guai a protestare. Non era la prima volta che ci fregavano il pallone. Lo fanno sempre. E se ti azzardi a protestare, giù botte.”
Aveva capito. Fece segno di si con la testa. Sicuramente anche quando era un ragazzino lui funzionava così. “Capisco, ci sono passato anch'io. E’ così che va il mondo, perdio! Pesce grosso mangia quello piccolo. E’ una legge di natura. Non ci sono santi. O, forse, no, sembra che il meccanismo si sia inceppato. Credo sia un buon segno.” Sentenziò. Si alzò dalla sedia, si infilò una camicia a quadri sopra la canottiera d'ordinanza, mi fece l'occhiolino e: “Infilati una maglietta pulita e andiamo.” Disse.
“Dove?” Chiesi. La paura stava tornando a farsi sotto. Non ero mai uscito con lui dopo cena.
“Voglio conoscere questo fenomeno del tuo amico. Subito.”
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will80sbyers · 4 months
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Se devo morire
tu devi vivere
per raccontare la mia storia
e vendere le mie cose
per comprare un pezzo di stoffa
e delle corde
(fallo bianco e con una lunga coda)
Così che un bambino, da qualche parte a Gaza
guardando il paradiso negli occhi
mentre aspetta il suo papà che ci ha lasciato in una fiammata
e non ha potuto dire addio a nessuno
nemmeno alla sua carne
nemmeno a sé stesso —
veda l'aquilone, il mio aquilone che hai creato per me,
volare in alto nel cielo,
e pensi per un attimo che un angelo è lì
per riportare nel mondo l'amore.
Se devo morire
fai che ciò riporti la speranza,
e lascia che diventi una storia.
Poem by Refaat Alareer
"If I must die"
Translated in Italian by me
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arsds2023 · 6 months
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Kris e Paola
          ... Ora che cazzo doveva dirle se l’era scordato, aveva in testa una gran confusione che andava oltre quelle sue grandi confusioni che viveva ad un ritmo vertiginoso… che sarebbe diventato papà? Non avrebbe di certo fatto i salti di gioia, questo lo sapeva benissimo… cazzo! Probabilmente lei un futuro tra di loro lo vedeva e ciò rendeva tutto dannatamente… brutto, brutto più che difficile. Lui era lì a salutarla per sempre, per dirle addio, ma ne sarebbe stato capace?
Ora come ora no! Non se ne parla proprio… dio!
Ma devo proprio dirle addio?
Certo che devi.
Perché?
Per non illuderla, per far si che non si crei false speranze e poi ne soffra.
Se le è già create ...
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susieporta · 1 year
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L'AMORE È PIÙ FORTE DELLA MORTE
Verso le 3 del mattino, la notte prima che seppellissimo mio padre, ho sentito la sua voce, forte e chiara come sempre.
Forse era la mia voce più profonda, la mia intuizione, il mio cuore. La mia presenza, la sua presenza, la stessa cosa.
Chi lo sa.
Ha detto: "Non preoccuparti per me, figliolo. Sto bene. Non avevo più bisogno di quel dannato corpo! Era vecchio, estenuante e troppo piccolo per me. Sono sollevato di esserne libero.
Non cercarmi ragazzo mio Non sono andato da nessuna parte. Ho perso il corpo ma non lo sono mai stato. Mi sono solo avvicinato a te. Io sono quello che sei tu. Lo sono sempre stato.
Posso chiederti un favore, figliolo? ”
"Certo, papà. Vai avanti", risposi.
Disse: “Non ho più occhi. Se ho bisogno di vedere, posso guardare attraverso il tuo? ”
“Certo, papà. Possiamo guardare insieme le cose di questo mondo, ogni volta che ne hai voglia. ”
"E le tue orecchie, figliolo? Posso usarli, qualche volta? Non ho più le mie orecchie. ”
“Certo, papà. Possiamo sentire il suono e la musica dei nostri giorni insieme. Ti offrirò le mie orecchie, ogni volta che avrai bisogno di sentire. ”
"E la tua bocca? Per assaggiare, per dire parole? Il tuo naso, per annusare, per respirare? Le braccia e le gambe? Il tuo corpo? Il tuo cuore? ”
“Sì papà. Puoi sentire tutto attraverso di me. Senti tutto. Sii vivo. Ti farò entrare, ogni volta che avrai bisogno di provare questa materialità. ”
E poi ho pensato - no, no, anche questo non è vero. "Lui" non può vivere il mondo attraverso "me". Questa è una falsa divisione fatta da questa mente umana. "Lui" e "io" non sono divisi, non due. Non lo siamo mai stati. È la Presenza che vive, vede, sente, odora, pensa, sente. Papà non mi parla "con", o vive "attraverso" di me o cose del genere - l'amore è prima del linguaggio e di tutte queste divisioni illusorie e fatte con la mente.
Ero papà. Lo sono sempre stato.
Comunque, il giorno dopo, "noi" ci siamo seduti insieme, guardando il sole sorgere prima del suo funerale. Sembrava così normale.
Eravamo vivi. Io ero lui e lui ero io, guardando un'alba per la prima volta. Esistevamo in pura intimità. Non c'era nessun corpo separato che si mettesse in mezzo. Nessuna divisione mentale. Nessuna morte da nessuna parte.
Ci siamo goduti il funerale, a dire la verità. Abbiamo riso e pianto insieme, ci siamo mancati e ci siamo ritrovati più vicini che mai, abbiamo detto addio a un corpo e detto ciao ad un Infinito Ora e non aveva senso ma tutto aveva perfettamente senso.
Viviamo insieme ora in perfetta armonia. Papà vede quello che vedo io, sente quello che sento io, sente quello che sento io, pensa quello che penso io, sente la mancanza e si ritrova attraverso di me. Lui ti scrive queste parole adesso. Per ricordarti quello che hai sempre saputo:
La morte non è niente, solo un misterioso crollo di tempo, distanza, memoria.
O, per dirla in parole povere,
L'amore non può morire.
Addio, papà.
E ciao.
- Jeff Foster
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em420sblog · 1 year
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9/02/2023
“Dalla faccia mi ricordi tuo padre”
Come se fosse colpa mia,
ho perso ogni compagnia
soffro di claustrofobia.
Ripetevano queste cattiverie per farmi male
Poi dinuovo:” sembri tuo padre, fai schifo “.
Non so più stare in mezzo alla gente,
ho i pensieri di una pazza.
Ho avuto sempre paura
ad affrontare la verità,
ora sono qui a dirla a tutti,
vedi, la maschera cade.
In giro devo sempre fingere mille sorrisi,
non voglio più tenermi dentro questo peso,
la mia gioventù passata come un incompreso.
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turuin · 1 year
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Da piccolino, papà mi faceva sentire i dischi di questo signore. Ed io vedevo i Caraibi. E imparavo i canti degli scaricatori di banane, canticchiavo canzoni a ragazze che si chiamavano Juanita from Venezuela e, soprattutto, sentivo già allora quando potessero pesare le parole di chi diceva addio a un posto caro come Kingston Town.
Grazie, papà. Per questo e per tanti altri ascolti, e per le spiegazioni dei testi, e gli aneddoti, e per il modo che avevi di fischiarci sopra e perché ora me lo ricordo che quando nessuno ti rompeva le palle o ti faceva arrabbiare tu cantavi o fischiavi o canticchiavi, sempre, senza sosta.
RIP Harry Belafonte, and if anything's there in the big after, go tell my dad I'm still listening to you. And I miss him.
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Mio padre quando eravamo a Napoli nel 80
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mccek · 1 year
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Strappalacrime il suo addio…spero di vederti ancora in F1, magari in Mercedes o chissà (…)
Papà sarà sicuramente fiero, con la speranza che per lui ci possano essere dei miglioramenti, per quanto sia difficile, ti auguro di averlo al tuo fianco, nei box, mentre tornerai a gareggiare!
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Quasi un anno fa...presi un treno che andava nella stessa direzione , salutai papà per l'ultima volta .
Questo viaggio non è solo l'ennesimo per dire Addio a qualcuno...
Questo viaggio fa riemergere dolori e cose che continuo a reprimere per poter sopravvivere a tutto .
Continuo ad essere solo molto stanca.
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Ho detto addio ai pranzi tutti insieme a casa tua, al nonno che mi saluta dalle scale, ai quadri di papà all'ingresso, al friggere tutte insieme prima del pranzo, a te che critichi tutto e poi sorridi, a zio che deve sempre andare via prima, alle 8 rampe di scale perché non c'è l'ascensore, alle chiacchiere con le amiche del palazzo, alla mia famiglia d'infanzia.
Oggi si è chiuso un ciclo, fa male e bene allo stesso tempo. La mancanza però è un po' più forte e il cuore pesante.
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Vorrei tu fossi qui papà, ad abbracciarmi ogni giorno. Avrei voluto fare altre cento litigate piuttosto che doverti dire addio.
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