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#Sessantotto
gregor-samsung · 8 months
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" È fondamentale interrogarci su quanto la paura stia deformando la nostra vita e le nostre scelte, e se quel che temiamo di perdere valga veramente la pena che proviamo nel chinare la testa, nel rinunciare a seguire quello che crediamo giusto o che desideriamo. Il personaggio principale di Storia di un impiegato, l’album di Fabrizio De André dedicato ai movimenti giovanili che dal ’68 alla fine degli anni settanta hanno scosso la vita politica italiana, è un uomo che si pone queste domande in ritardo. L’album è uscito [il 2 ottobre] 1973, ed è stato il primo in cui De André abbia dichiarato il proprio orientamento politico; prima di allora le sue canzoni erano uno splendido riflesso del cantautorato francese, elegante e popolare allo stesso tempo. Adesso l’autore genovese affronta direttamente il tema della rivoluzione giovanile, della lotta al sistema: il protagonista dell’album è un uomo ordinario, che non si trova a vivere la sua vita dove vuole che sia, ma dove la pista della proprietà e dei ruoli l’ha portato. È la paura ad aver costruito le sue scelte, e nulla di quello che vive è realmente frutto di una sua decisione. È un uomo realmente così distante dalle nostre esistenze? In quale rigagnolo galleggia la realtà di questo trentenne e fin dove tiene nascosta la faccia, a rischio d’annegare?
Da quanti anni il suo e il nostro mondo s’è ristretto nel bugigattolo dell’ufficio, tra la scrivania ingombra e il muro dall’intonaco ingrigito? Con quanta cura, la mattina, scivola fuori dal letto per non svegliare la compagna? (E una sveglia non gli serve da anni: ormai è la ripetizione di ogni cosa a farlo alzare puntuale.) Quante volte ha fissato il suo volto allo specchio, controllato la rasatura, indossato la camicia stirata la sera precedente, la solita giacca, il solito nodo alla cravatta? Potremmo essere noi. Fuori il Maggio francese non vuole smettere di riscaldare l’aria: da tempo le donne hanno strani monili tra i capelli, sorridono con tranquillità e guardano negli occhi gli uomini. L’impiegato di De André le osserva sulla metropolitana, tiene le mani raccolte tra le cosce, le spalle curve, conta gli anni che lo distanziano da quel mondo: e non ne trova molti, ma ne trova abbastanza. «Eppure i miei trent’anni sono pochi più dei loro», pensa, e questo non gli dà alcun sollievo. L’ufficio è ancora al suo posto, nello stesso quartiere di sempre, allo stesso piano del medesimo edificio. Sarà così anche negli anni successivi, per ogni singolo giorno della sua giovinezza, inoltrandosi nella maturità, fino a costeggiare la vecchiaia: allora la gita sarà finita ed ecco il momento di scendere al molo. Avrà una buona, sicura vecchiaia. È questo che si dice salendo le scale e incrociando gli sguardi dei colleghi. Qualcosa da condividere con i figli, quando ne vorrà avere. Ha ottenuto un buon posto di lavoro. L’ha ottenuto molto presto. Di che dovrebbe lamentarsi? Mentre regola l’altezza della sedia e dispone le pratiche sulla scrivania, mentre comincia a «contare i denti ai francobolli», sente cantare in strada, oltre la finestra dell’ufficio. Un corteo, colori, slogan e intorno la cinta scura della polizia, gli scudi e i manganelli sollevati, le spalle affiancate e i fumogeni. Guarda i manifestanti e pensa che soprattutto le donne, coraggiose e indipendenti, sono bellissime. Prova a immaginarsi in mezzo a loro, e si sente ridicolo: in piazza dietro la muraglia di caschi, schiacciato dai corpi di chi fugge alle cariche. Sarebbe letteralmente «fuori luogo». Nessuno tra quei ragazzi lo conosce e poi, come dovrebbe vestirsi? In mezzo al corteo sembrerebbe un infiltrato della Digos. Ovviamente verrebbe licenziato: come fare a lasciare il posto di lavoro per un motivo simile? E come spiegarsi, più tardi, con la compagna? "
Salvatore La Porta, Less is more. Sull’arte di non avere niente, Il Saggiatore (collana La Cultura, n° 1134), 2018¹. [Libro elettronico]
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soprabito · 2 years
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“Memoria di ragazza” di Annie Ernaux: conoscersi è molto di più che ricordarsi
“Memoria di ragazza” di Annie Ernaux: conoscersi è molto di più che ricordarsi
Sentire che Annie Ernaux ha vinto il premio Nobel è stato bello, per noi lettori normali. Ci ha rassicurato nelle nostre scelte, ci ha fatto pensare che anche con i nostri modesti criteri di scelta e con le nostre modeste informazioni sul grande mondo della letteratura avevamo scelto e letto e apprezzato un’autrice degna del Nobel. Premio che invece, quando si indirizza a scrittori non tradotti…
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morenafanti · 7 months
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Perché parliamo spesso per slogan
L’immagine proviene da qui   Negli anni ’60, o meglio nel 1968, nacquero moltissimi slogan che venivano usati durante i cortei per scandire il passo di marcia e per divulgare i ‘nuovi’ pensieri. Gli studenti erano sempre in piazza e per le strade, le scuole erano occupate e c’era aria di rivoluzione. Sembrava dovesse scoppiare un vulcano, anche se poi non successe quello che alcuni avevano…
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paneliquido · 1 year
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Aveva previsto tutto. La cesura del Sessantotto, il collasso della sua Chiesa, il dominio del relativismo, l'addio dell'Europa al cattolicesimo senza lacrime né nostalgia, il fanatismo islamico, il neomarxismo della Chiesa del popolo, gli ecologismi apocalittici, il mondo nuovo delle Nazioni Unite, il paradosso di un Occidente che al massimo della propria potenza materiale raggiunge l'apice dell'insicurezza culturale, l'avvento di un'Europa post-europea. È Joseph Ratzinger. Prima di diventare Benedetto XVI, in mezzo secolo di saggi, conferenze e interviste, Ratzinger ha compiuto un lucido pellegrinaggio nella modernità e nel vecchio mondo segnato dalla mancanza di respiro, dal vuoto, dalla derisione. Da papa, la sua presenza era intollerabile, il suo genio una minaccia, le sue dimissioni sono state un sollievo per tanti. A distanza di quindici anni dall'elezione al soglio pontificio, Benedetto XVI appare come l'"ultimo papa" di cui parlava Friedrich Nietzsche. Almeno d'Occidente.
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curiositasmundi · 1 month
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[...]
«Penso sia molto bello che una parte della gioventù prenda a cuore i problemi gravi del mondo. Fanno bene a sperare per il futuro», commenta Carlo Rovelli, fisico e saggista, che dopo aver insegnato in Italia e negli Stati Uniti oggi è professore ordinario di fisica teorica all’Università di Aix-Marseille in Francia. Spiega di non avere basi per sapere se il movimento di contestazione che sta prendendo forma sarà unitario e duraturo, né per sostenere o contraddire chi dice che potremmo essere di fronte ai semi di un “nuovo Sessantotto”: «La storia non si ripete. Penso che nessuno possa già sapere come evolveranno le cose». Ma crede che il movimento a supporto del popolo palestinese si stia allargando velocemente in tutti i paesi occidentali «a causa della flagrante contraddizione fra le notizie che arrivano a tutti su quanto accade in Palestina e il racconto dei principali media. In Palestina c'è un massacro in corso, e questo è ovviamente intollerabile per la generosità di molti giovani, che sono immuni, per fortuna, alla pelosità e all'ipocrisia di chi pensa che in fondo vada bene così». 
Secondo il professore nel mondo contemporaneo c’è tanta violenza: «una minoranza, a cui apparteniamo, non esita a massacrare per difendere il proprio dominio e i propri privilegi. Il colmo dell'ironia è che usiamo la parola "democrazia" per giustificare il dominio armato di una minoranza ricca sul resto del mondo: il 10 per cento dell'umanità controlla il 90 per cento della ricchezza del pianeta. Il mondo si sta ribellando e andiamo verso un conflitto globale, in più in piena crisi ecologica. E pensiamo solo a vincere, invece che a cercare soluzioni. Spero che i giovani sappiano spingere a cambiare rotta», aggiunge Rovelli, con la speranza che la voce dei giovani non rimanga inascoltata perché «prendere posizione è importante: il massacro in corso in Palestina è insopportabile. La gente muore di fame, a pochi chilometri da uno stato ricco che li massacra con le bombe». 
Il fisico, conosciuto per le sue posizioni a favore della pace, già durante il Concertone del Primo Maggio 2023 aveva esortato pubblicamente i giovani ad agire. A prendere in considerazione i problemi che mettono a rischio il pianeta, come la crisi climatica, le disuguaglianze crescenti e soprattutto la tensione del mondo che si prepara alla guerra: «La guerra che cresce è la cosa più importante da fermare. Invece di collaborare, i paesi si aizzano uno contro l’altro, come galletti in un pollaio. […] Il mondo non è dei signori della guerra il mondo è vostro. E voi il mondo potete cambiarlo, insieme. […] Le cose del mondo che ci piacciono sono state costruite da ragazzi, giovani che hanno saputo sognare un mondo migliore. Immaginatelo, costruitelo», aveva detto dal palco di Roma, a conclusione di un discorso in grado di scatenare non poche polemiche.  
«Le accuse di antisemitismo sono ciniche e completamente infondate. Questi stessi giovani scenderebbero egualmente in piazza per difendere la popolazione ebraica massacrata.  Anzi, lo farebbero con ancora più furore. Ma è peggio di così: perché brandire la stupida accusa di antisemitismo è soffiare sul fuoco del razzismo: razzismo è leggere tutto in termini di razza, invece che nei termini di chi muore sotto le bombe e chi dà l’ordine di sganciarle. Chi continua a parlare di antisemitismo non sa liberarsi dal suo implicito razzismo», aggiunge oggi. A difesa dei movimenti studenteschi che lottano affinché la guerra a Gaza abbia fine, a sostegno della popolazione palestinese che stanno prendendo sempre più spazio nelle università: «Penso che l'entrata della polizia negli atenei sia un grande insegnamento per i giovani - conclude- insegna loro a diffidare delle istituzioni. A capire che qualche volta il potere non è per loro. È contro di loro, contro la loro sincerità, contro chi muore sotto le bombe». 
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casual-nonbinary · 7 months
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sugli altri social mi sono espressa molto di più a livello politico ultimamente, dalla palestina all'omicidio di giulia. inutile dire che a parte l'impotenza che qualcunə può provare, quello che faccio ora come ora e ricondividere voci più autorevoli in materia.
la mia unica "opinione" è stato riportare lo schifo letto sui giornali, dalla romanticizzazione di quel coglione di filippo al dipingere chi ha occupato Palazzo Nuovo come antisemita (e solo per essere entrata dentro durante l'occupazione una mia foto alla Digos ci sarà sicuro).
questa rabbia, questo desiderio di rovesciare una narrazione così assetata di spostare l'attenzione sui dettagli più assurdi per non mettere in discussione il sistema, questa voglia di prendere uno a uno giornalisti e personalità dubbie chiamate in tv. si sta tutto incanalando verso, io spero, un nuovo sessantotto.
perché serve davvero una rivoluzione culturale. che sia transfemminista, antifascista e comprenda la intersezionalità delle lotte. i "compagni" che non riconosco questo e poi nelle storie fanno mansplaining possono anche stare zitti.
io mi sono quasi alterata col marito di mia madre per questa narrazione del bravo ragazzo (di sto cazzo). mi altero ogni giorno a difendere la Palestina. mi altero a voler provare ragionare con gente incapace di vedere il marcio nel sistema.
ma forse sono solo troppo impregnata di ideologia, in fondo nella seconda repubblica l'ideologia è morta. "ma forse".
per citare i notav: a sarà düra.
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colonna-durruti · 1 year
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https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=pfbid0NrsvH2wjzhjD4h87G47ytQb5ix1yD1L5FN2k75EVAfinDWouJ5BTpW8iD7SHzQYPl&id=100068807366162
NON C'È CORDOGLIO PER UN NEMICO DELLA NOSTRA GENTE
Sono diversi gli articoli che ci attaccano a causa della nostra scelta di non dimostrare cordoglio per la morte di Silvio Berlusconi.
Un cordoglio che, da destra a centro-sinistra, ha pervaso la comunicazione politica: "A Dio, Silvio" (Meloni); "Rispetto per quello che è stato un protagonista della storia del Nostro paese" (Schlein); "Un imprenditore e un politico che in ogni campo ha contribuito a scrivere pagine significative della nostra storia" (Conte).
Noi invece vogliamo ricordare #Berlusconi per quello che è stato: un nemico della nostra gente.
Non sorprende che la destra, i fascisti, i mafiosi, i padroncini, i palazzinari e gli speculatori, gli evasori, i razzisti, gli ipocriti bigotti lo santifichino, tanto che il Governo Meloni, contro la prassi che prevede per gli ex premier i soli #funeralidistato, ne ha approfittato per chiamare arbitrariamente una giornata di #luttonazionale.
Berlusconi è stato il loro migliore rappresentante e insieme uno di loro. La sua storia imprenditoriale, ben prima di quella politica, è stata la storia di una commistione malsana tra potere politico, imprenditoriale e borghesia mafiosa.
Una storia che ha visto il Berlusconi rampante costruttore degli anni Settanta giocare sempre su due piani, ma con lo stesso scopo: sul piano pubblico, favorire l'ascesa di Bettino Craxi al potere e la trasformazione del PSI in un partito neoliberista e anticomunista; sul piano occulto, finanziare e sostenere quegli apparati dello stato ed ex fascisti, che erano dapprima stati sovvenzionati in funzione antisovietica dagli USA, e che si erano ri-organizzati nella cosiddetta "Loggia P2" per favorire un golpe soft in funzione anticomunista.
Entrambi quei piani rispondevano a uno scopo preciso: farla finita con il "lungo Sessantotto" italiano, ossia con quella stagione di lotte che aveva limitato il potere di speculatori e sfruttatori e consentito la modernizzazione del paese e lo sviluppo di diritti e potere per le classi popolari. E farla finita con l'immaginario, con la cultura politica e organizzativa e con la crescita elettorale comunista, che di quella stagione era stata protagonista e che veniva giustamente individuata dal Berlusconi della fine degli anni Settanta come un pericolo mortale per i suoi progetti speculativi.
Fu solo con l'inizio degli anni Novanta, però, che Berlusconi riuscì a catalizzare un ampio consenso intorno alla sua figura. Nel 1992 l'inchiesta di "Mani Pulite" dissolveva il sistema dei partiti al potere, PSI e DC in particolare, mentre la contemporanea auto-dissoluzione dell'Unione sovietica portava alla fine del PCI.
Lo spazio politico che si apriva era immenso.
La sua discesa in campo nel 1994 – preparata con largo anticipo con il tacito assenso della borghesia mafiosa e l'appoggio di settori consistenti degli apparati – ha così permesso a fascisti, leghisti, evasori e mafiosi di essere sdoganati, di diventare culturalmente e socialmente vincenti. Berlusconi al potere li ha fatti arricchire, a spese del pubblico e delle classi lavoratrici, ha fatto leggi su misura per loro, che gli permettevano di imbrogliare e di sfruttare i giovani, i migranti - ma gli ha anche offerto una rivalsa ideologica nel bullizzare quella parte d'Italia che per decenni aveva rappresentato, con tutti i limiti, i valori della solidarietà, della giustizia, dello studio e del sacrificio, della questione morale.
Erano gli anni dei condoni edilizi e dell'esplosione dell'evasione fiscale, delle leggi ad personam, dei tagli indiscriminati a scuola e sanità, della deregolamentazione del diritto del lavoro, dello sdoganamento dell’estrema destra, dei legami sempre più evidenti il suo partito e la mafia, della politica del malaffare. Gli anni del "mors tua vita mea" e del massacro del G8 di Genova.
Certo non a tutta la borghesia italiana quel modo di gestire le cose andava bene: quando nel 2011, in piena crisi del debito, il berlusconismo rischiava di mettere in pericolo la tenuta finanziaria del paese, sottomettendola agli interessi degli evasori e alle mancette elettorali del Cavaliere, la parte della borghesia italiana più internazionalizzata lo fece fuori, mettendo un tecnico come Monti alla presidenza del Consiglio e facendo di Berlusconi un improbabile martire anti-austerity. Si trattava però di un regolamento di conti interno alla borghesia italiana. Basti pensare che lo stesso Governo Berlusconi all'esplodere della crisi nel 2008 aveva tagliato ben 8 miliardi di euro a scuola e Università, scaricando su giovani e classi popolari i costi dell'austerity e la salvaguardia dei privilegi del suo blocco sociale.
Che oggi tutti i partiti dell'opposizione in Parlamento - dal PD che sull'antiberlusconismo ha campato, passando per i 5 Stelle che sono cresciuti sullo "psiconano" e i comizi di Grillo, per arrivare a Sinistra Italiana e Soumahoro che scrivono parole "umane" per ricordarlo - si subordinino alla celebrazione della destra, la dice lunga su quanto il progetto egemonico berlusconiano abbia avuto successo.
Guardate le dichiarazioni di Schlein, Conte, Fratoianni, guardate il PD che rimanda la sua riunione di Direzione: sono tutti dalla stessa parte, tutti d'accordo, tutti senza memoria. Una melassa buonista e ributtante, che parla di rispetto verso chi ha letteralmente determinato la morte di migliaia di persone nelle fabbriche, in mare, negli ospedali smantellati e regalati ai privati, l'emigrazione dal nostro paese di migliaia di giovani.
Noi non dimentichiamo la Bossi-Fini o la riforma Gelmini, non dimentichiamo i parlamentari comprati, gli accordi con la mafia, le parole verso Eluana Englaro "che poteva restare incinta", lo spregio del genere femminile, i legami con i cattolici più oscurantisti, l'uso della cosa pubblica come affare privato, la guerra in Iraq del 2003...
L'unico vero problema per noi è che Berlusconi e i suoi Governi hanno lasciato danni indelebili nel paese. Quello che Berlusconi ha avviato è ancora davanti a noi, è ancora al governo.
Ma certo non proviamo tristezza. Perché nulla ci unisce, nemmeno il cordoglio, come loro non lo hanno avuto per Carlo Giuliani, Stefano Cucchi, e tutti i "nostri" morti.
Siamo due mondi diversi. Teniamolo bene in testa.
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crazy-so-na-sega · 2 years
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Il problema del gender sono gli adulti che giocano con le subculture adolescenziali
ull’ultimo numero della rivista New Media & Society ho letto un saggio sfrenatamente ellittico del mediologo canadese Bertram W. Holofernes che penso possa avere un interesse extra-accademico. Lo riassumo quindi a beneficio dei lettori, nella speranza che mi seguano fino in fondo e che ci trovino qualche utilità. Fin dal titolo, “Age trouble”, il saggio fa dichiaratamente il verso al libro più famoso di Judith Butler, “Gender trouble”. L’idea centrale – che in un primo momento mi è parsa bizzarra ma poi, pagina dopo pagina, mi ha conquistato – è semplice: ciò a cui assistiamo negli ultimi anni non è un ingarbugliamento dei generi, è semmai un ingarbugliamento delle età della vita che ha scelto il genere (ancorché non solo quello) come suo terreno elettivo. Non sono i pilastri del maschile e del femminile a essere abbattuti, ma quelli dell’infanzia e dell’età adulta, e il loro crollo ha lasciato sul campo le macerie di un’adolescenza informe e interminabile. 
Holofernes si rifà al libro del 1985 di Joshua Meyrowitz, “Oltre il senso del luogo”, e alla sua tesi ormai classica secondo cui i media elettronici, unificando i pubblici, li hanno anche amalgamati. Se il libro stampato consentiva di tenere separati i canali d’informazione – letteratura femminile, letteratura per l’infanzia, ecc. – la televisione li ha fatti convergere su un solo schermo, un solo palcoscenico sociale. Gli effetti di questa implosione, secondo Meyrowitz, sono stati tre: l’indistinzione tra maschile e femminile, la confusione tra infanzia e maturità, la sovrapposizione tra sfera pubblica e privata (e la conseguente presentazione del politico come uomo comune). Ebbene, Holofernes sviluppa la tesi di Meyrowitz sostenendo che la nuova battaglia dei sessi e dei generi non è un’estensione della prima “conflation” (maschile e femminile) bensì della seconda (infanzia e maturità). L’autore riprende uno schema grossolano ma utile di Régis Debray: all’epoca della scrittura l’“età canonica” era quella dell’Anziano, ossia il saggio delle società tradizionali; la stampa gutenberghiana ha inaugurato l’egemonia dell’Adulto; i media audiovisivi hanno incoronato il Giovane. Il Sessantotto non è stato che un epifenomeno di questo smottamento profondo. Ebbene, al termine di osservazioni e deduzioni un po’ rapsodiche che mi sarebbe impossibile riassumere qui (segnalo però una pagina deliziosa sulla popolarità dei film della Pixar), Holofernes conclude che l’età canonica dell’epoca di internet e dei social media si avvia a essere quella dell’adolescente, il non più bambino e non ancora adulto. E l’attività principale dell’adolescente è la sperimentazione sull’identità. I millennial e i post-millennial della generazione Z non fanno eccezione. 
Nella moltiplicazione delle etichette di genere non binarie – genderqueer, genderfluid, bigender, quadgender, agender, boyflux, libragender, perfino moongender (sono quelli il cui genere si manifesta solo di notte) – Holofernes vede in atto un’esplorazione dell’identità in linea con i “fantasy play” dell’infanzia e con gli avatar e i profili social delle interazioni in rete. Di per sé non ci sarebbe niente di nuovo o di strano, dice l’autore, se non fosse che l’“age trouble” ci ha privati della classe degli adulti, che faceva da argine e da “terminus ad quem” di queste esplorazioni. E così, persone anagraficamente mature fanno a gara a prendere sul serio e alla lettera tutto ciò che gli anagraficamente immaturi pretendono. Holofernes lo illustra con tre esempi: primo, l’adozione trasversale, nel dibattito, di gerghi tipici da subculture adolescenziali (da cui lo spettacolo deprimente di adulti puerili che si insultano a colpi di “cis”, “terf”, “enby”, ecc.); secondo, l’opinione corrente che i ragazzini siano fonti indisputabili circa la propria “identità di genere”, e che si debba accettare quel che dicono di sé (da cui la celebrazione del “trans kid”, il modello dell’“affirmative care” e l’uso dei farmaci che bloccano la pubertà); infine, la creazione di una galassia di microtribù identitarie (le decine di etichette di genere di cui sopra) rispetto alle quali gli adulti, ossia i nuovi adolescenti invecchiati, non trovano di meglio che consacrarle negli studi, legittimarle nei regolamenti universitari o addirittura infilarle nelle leggi. Tutto questo, conclude Holofernes, non è un rimescolamento dei generi e non ha nulla a che fare con il crollo di un fantomatico ordine eterocispatriarcale. È la confusione delle età della vita. (Il saggio non esiste, ma se qualcuno lo scrivesse lo leggerei volentieri). 
-G.Vitiello
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non so quanto questa tesi si avvicini alla realtà, ma di sicuro chi sostiene il gender è rincogljonito.
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Di fatto, non si può negare che i più abili nell’arte della vita, spesso degli illustri ignoti, riescono in certo qual modo a sincronizzare i sessanta o settanta ritmi diversi, che battono simultaneamente in ogni sistema umano normale; sì che quando uno di questi ritmi batte le undici, tutti gli altri vi si accordano all’unisono, e il presente non costituisce mai un distacco violento, né si perde completamente nel passato. Di questa gente possiamo dire, a ragion veduta, che vive precisamente i sessantotto o i settantadue anni che attesta la loro lapide funeraria. Degli altri, ne conosciamo alcuni che sono morti, pur camminando tra di noi; altri non sono ancora nati, benché rivestano forme vitali; e altri ancora sono vecchi di cent’anni, benché dicano di averne trentasei.
Virginia Woolf, Orlando, trad. it. di Alessandra Scalero, Mondadori, 1982
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ma-come-mai · 8 months
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nuntereggae più
Abbasso e alè (nun te reggae più)
Abbasso e alè (nun te reggae più)
Abbasso e alè con le canzoni
Senza fatti e soluzioni
La castità (nun te reggae più)
La verginità (nun te reggae più)
La sposa in bianco, il maschio forte
I ministri puliti, i buffoni di corte
Ladri di polli
Super pensioni (nun te reggae più)
Ladri di stato e stupratori
Il grasso ventre dei commendatori
Diete politicizzate
Evasori legalizzati (nun te reggae più)
Auto blu
Sangue blu
Cieli blu
Amore blu
Rock and blues (nun te reggae più)
Eya alalà (nun te reggae più)
Pci psi (nun te reggae più)
Dc dc (nun te reggae più)
Pci psi pli pri
Dc dc dc dc
Cazzaniga (nun te reggae più)
Avvocato Agnelli, Umberto Agnelli
Susanna Agnelli, Monti Pirelli
Dribbla Causio che passa a Tardelli
Musiello, Antognoni, Zaccarelli (nun te reggae più)
Gianni Brera (nun te reggae più)
Bearzot (nun te reggae più)
Monzon, Panatta, Rivera, D'Ambrosio
Lauda Thoeni, Maurizio Costanzo, Mike Bongiorno
Villaggio, Raffa, Guccini
Onorevole eccellenza, cavaliere senatore
Nobildonna, eminenza, monsignore
Vossia, cherie, mon amour
Nun te reggae più
Immunità parlamentare (nun te reggae più)
Abbasso e alè
Il numero 5 sta in panchina
S'è alzato male stamattina
Mi sia 'onsentito dire (nun te reggae più)
Il nostro è un partito serio (certo)
Disponibile al confronto (d'accordo)
Nella misura in cui
Alternativo
Aliena ogni compromesso
Ahi lo stress
Freud e il sess'
È tutto un cess'
Ci sarà la ress'
Se quest'estate andremo al mare
Solo i soldi e tanto amore
E vivremo nel terrore che ci rubino l'argenteria
È più prosa che poesia
Dove sei tu?
Non m'ami più?
Dove sei tu?
Io voglio tu
Soltanto tu, dove sei tu?
Nun te reggae più
Ue paisà (nun te reggae più)
Il bricolage (nun te reggae più)
Il quindicidiciotto
Il prosciutto cotto
Il quarantotto
Il sessantotto
Le pitrentotto
Sulla spiaggia di capocotta
(Cartier Cardin Gucci)
Portobello e illusioni
Lotteria a trecento milioni
Mentre il popolo si gratta
A dama c'è chi fa la patta
A settemezzo c'ho la matta
Mentre vedo tanta gente
Che non c'ha l'acqua corrente
E non c'ha niente
Ma chi me sente
Ma chi me sente
E allora amore mio ti amo
Che bella sei
Vali per sei
Ci giurerei
Ma è meglio lei
Che bella sei
Che bella lei
Ci giurerei
Sei meglio tu
Che bella sei
Che bella sei
Nun te reggae più
Che bella lei
Vale per sei
Ci giurerei
Sei meglio tu
Che bella sei
Nun te reggae più
Compositori: Salvatore Gaetano
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conte-olaf · 2 years
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7 dicembre 1968: prima contestazione alla Scala
Meditate gente....
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gregor-samsung · 11 months
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“ Il primo dei “lupi solitari” a entrare in azione è stato il norvegese Anders Breivik: il 22 luglio 2011 ha compiuto la strage di sessantotto giovani radunati per un seminario nell'Isola di Utoya in Norvegia. Gesti come questi fanno scattare l’emulazione. Pochi mesi dopo, il 13 dicembre, c’è una strage a Firenze in pieno centro: due migranti senegalesi, Samb Modou e Diop Mor, vengono uccisi da un estremista di destra, sostenitore di Casa Pound, Gianluca Casseri, che si suicida per evitare l’arresto. Un altro “lupo solitario”, David Sonboly, un diciottenne tedesco di origine iraniana, il 22 luglio 2016 uccide nove persone nel centro commerciale Olympia di Monaco. Il 3 febbraio 2018, a Macerata un raid razzista: Luca Traini, ventottenne leghista e ammiratore di Hitler, spara dalla propria auto in corsa in alcune zone della città, ferendo sei persone, tutti africani, colpevoli di avere la pelle nera come l’assassino della povera Pamela Mastropietro. Al suo arresto fa il saluto romano. Il 13 maggio 2019, il suprematista Brenton Tarrant uccide a Christchurch in Nuova Zelanda quarantanove musulmani che pregavano in due moschee e ne ferisce altri quarantotto. Sul fucile, usato, c’era scritto il nome di Traini. Prima di compiere un tale orrendo gesto, aveva messo in rete il suo manifesto: “Il genocidio dei bianchi, causato dall'immigrazione di massa”. Il 28 settembre dello stesso anno l’americano Patrick Crusius uccide ventidue persone a El Paso (Texas), ferendone altre ventiquattro. “Difendo il mio Paese dalla sostituzione etnica e culturale portata avanti da un’invasione.” Gli stessi messaggi di odio che si ritrovano sul social di Tarrant. Pochi giorni dopo, il 9 ottobre, un attentato antisemita: Stephan Balliet, ventotto anni, estremista di destra, durante la festa ebraica dello Yom Kippur, prende d’assalto la sinagoga di Halle (Germania), dove si trovano cinquantadue fedeli. Non riuscendo a entrare, uccide a caso due passanti e un ragazzo di vent’anni in una tavola calda. Prima dell'azione aveva pubblicato un documento nel quale affermava che “la radice di tutti i problemi sono gli ebrei”. Per poi aggiungere: “Gli Stati hanno l’obiettivo di uccidere il maggior numero di anti-bianchi, meglio se ebrei”.
Sembra che, nella sola Germania, siano oltre dodicimila le persone appartenenti a gruppi neonazisti. E questi gruppi sono spesso armati. Sempre in Germania, un’altra strage di nove stranieri è avvenuta a Hanau il 20 febbraio 2020. Morto anche il “lupo solitario” che aveva scritto: “Alcuni popoli che non si riescono a espellere dalla Germania vanno sterminati”. Nel solo 2020 sono stati sciolti tre gruppi neofascisti pronti alla lotta armata. Ritornando nel nostro Paese, vorrei sottolineare l’arresto il 22 gennaio 2021 di Andrea Cavalleri, un ventiduenne di Savona. Voleva imitare Anders Breivik e Brenton Tarrant, mosso da un’ideologia suprematista. Contava di realizzare stragi tramite il suo gruppo il “Nuovo Ordine sociale” che propagandava sul canale Telegram “Sole Nero”. È accusato di associazione con finalità di terrorismo, di incoraggiare a compiere massacri nelle scuole. “Io una strage la faccio davvero. L’unica cosa da fare è morire combattendo. Ho le armi. Farò Traini 2.0.” Oltre agli ebrei, il giovane savonese aveva preso di mira anche le donne. “Gli ebrei sono il male primo da eliminare.” In quel giorno saranno dodici le perquisizioni nei confronti di persone legate al giovane ventiduenne, nelle città di Genova, Torino, Cagliari, Forlì, Cesena, Palermo, Perugia, Bologna e Cuneo. Questa è la chiara manifestazione di quanto sia esteso il fenomeno dell'estrema destra e del suprematismo bianco anche nel nostro Paese. “
Alex Zanotelli, Lettera alla tribù bianca, Feltrinelli (collana Serie Bianca); prima edizione marzo 2022. [Libro elettronico]
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Guarda "Claudio Baglioni - UNA CASA NUOVA - AVRAI (strumentale) 1982 - 45 giri trasportato in digitale" su YouTube
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1. UNA CASA NUOVA
2. AVRAI (Strumentale)
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Una casa nuova ed una stanza coi mobili svedesi
Dischi negri e spalle sui termosifoni accesi
Mal di denti ed una radio su una voce straniera
Un complessino per provare la sera
Un completo prugna, stivaletti alla Beatles e un aereo per l'Africa
Qualche amore smozzicato di Domenica
Grossi occhiali e un'aria da poeta maledetto
Aspettare quella buona per andarci a letto
E la tessera del tram per i film vietati
Uno spettacolo ai baraccati
La scusa sulle giustificazioni e volantini e assemblee
Ed un sessantotto per trovare le tue idee.
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rideretremando · 2 years
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"Nel 1989 Giuseppe Pontiggia, unanimemente ritenuto uno dei maggiori scrittori italiani della seconda metà del Novecento, pubblicò presso Mondadori il romanzo «La grande sera», con il quale vinse lo Strega. Questo l’incipit:
«Dopo avere atteso altri dieci minuti sdraiata sul letto, lo sguardo al soffitto inclinato, le mani sulla coperta, attenta a qualunque rumore salisse dalle scale, cominciò ad avere paura.
«Non era arrivato mai in ritardo, con una puntualità vanamente ricattatoria, poiché lei considerava suo diritto farsi aspettare. “Teniamo come limite estremo tre quarti d’ora” le aveva detto una volta, senza riuscire a dissimulare l’irritazione. Ora erano già passati sessantotto minuti.
«Si alzò dal letto e si avvicinò a piedi nudi alla finestra. Scostò le tendine. Sul marciapiede in basso si vedevano camminare uomini minuscoli. Alcuni si fermavano davanti alle vetrine, altri attraversavano il viale, sparendo e riapparendo tra gli ippocastani. Di solito lui arrivava a piedi da sinistra, dopo avere lasciato l’automobile al parcheggio. Il suo studio era, in linea d’aria, a non più di un chilometro. Scorgeva nitidi gli ultimi piani del grattacielo e i vetri che luccicavano al tramonto, nella bruma rosata.»
Nel 1995 uscì l’edizione economica del romanzo. Nella quale l’incipit suona così:
«Attese altri quindici minuti sdraiata sul letto, lo sguardo al soffitto inclinato della mansarda, le mani sulla coperta, attenta a qualunque rumore salisse dalle scale. Poi cominciò ad avere paura.
«Non era mai arrivato in ritardo.
«Si alzò dal letto e si avvicinò a piedi nudi alla finestra. Sul marciapiede in basso camminavano uomini minuscoli. Alcuni attraversavano il viale, sparendo e riapparendo tra gli ippocastani. Di solito lui arrivava a piedi dal parcheggio. Il suo studio, al penultimo piano di un grattacielo, era ancora visibile a distanza, i vetri che luccicavano al tramonto, nella bruma rosata.»
Che cos’era successo nel frattempo? Pontiggia lo spiegava in una nota premessa alla nuova edizione:
«Dopo la pubblicazione della “Grande sera”, nel 1989, mi sono reso conto che il testo presentava alcuni difetti non marginali. Parte della critica e dei lettori mi ha corroborato, per così dire, in questa inquietante persuasione. Dovessi riassumerli in modo schematico:
«Ridondanze di colorito retorico (eccessi di antitesi, parallelismi, ossimori).
«Aforisticità insistita.
«Sentenziosità dei dialoghi.
«Ho lavorato oltre un anno alla correzione di questi difetti. Dalla revisione capillare, parola per parola, il testo è uscito non vistosamente - però profondamente modificato. Mi sembra più rapido, sfumato, ambiguo, ironico. Il lavoro sui dettagli ha finito per cambiare l’insieme. Io spero sia migliorato.»
In realtà Pontiggia è intervenuto anche su altri aspetti: vedi per esempio i «dieci minuti» della prima edizione che diventano «quindici minuti» nella seconda. Il lettore che avesse la pazienza di leggere le due edizioni confrontandole costantemente si accorgerebbe che nella seconda il tempo della sera in cui tutto comincia è nella seconda edizione più dilatato. Come mai? La consultazione di una tavola delle effemeridi (una di quelle tavole che dicono a che ora sorge e cala il sole in ogni luogo e in ogni giorno dell'anno) fornisce la risposta: nella prima edizione… veniva buio troppo presto!
Ma la maggior parte degli interventi di Pontiggia possono essere classificati senz’altro come ritocchi di stile: il cui senso è spesso evidente. Per esempio, il «Poi cominciò ad avere paura» della seconda edizione, così isolato sintatticamente, pare più efficace e più forte; similmente, l’attacco, senza il «Dopo» della prima edizione, è più diretto e veloce.
Nel secondo capoverso vengono tagliate ben 36 parole: chi andasse a vedere il testo si accorgerebbe che poco più di una pagina oltre il concetto di «contabilità» dei ritardi è di nuovo, e più chiaramente, espresso:
«Non avrebbe sottolineato la gravità del ritardo e sarebbe stato un altro punto a suo favore. Le loro discussioni comportavano una contabilità complessa, in cui crediti e debiti venivano annotati con accanimento maniacale e aggiornati ogni volta. E questo era un credito cui attingere in futuro.»
Così nell’edizione del 1989; in quella del 1995 il passaggio resta, benché scorciato:
«Non avrebbe recriminato sul ritardo e sarebbe stato un altro punto a suo favore. Nelle loro discussioni crediti e debiti venivano calcolati e aggiornati con accanimento maniacale.»
In sostanza Pontiggia ha cassato una ripetizione, oltre a rendere tutto il discorso più veloce.
Tra gli altri interventi, si può segnalare «Sul marciapiede in basso camminavano uomini minuscoli»: che è, di nuovo, più diretto che «Sul marciapiede in basso si vedevano camminare uomini minuscoli». Più diretto perché la visione è fornita come un dato di fatto, senza passare attraverso la soggettività («si vedevano») del personaggio.
O anche: se confrontiamo «Di solito lui arrivava a piedi da sinistra, dopo avere lasciato l’automobile al parcheggio. Il suo studio era, in linea d’aria, a non più di un chilometro. Scorgeva nitidi gli ultimi piani del grattacielo e i vetri che luccicavano al tramonto, nella bruma rosata» (1989) e «Di solito lui arrivava a piedi dal parcheggio. Il suo studio, al penultimo piano di un grattacielo, era ancora visibile a distanza, i vetri che luccicavano al tramonto, nella bruma rosata» (1989), vediamo che tutto più legato; e inoltre a un’indicazione astratta («in linea d’aria, a non più di un chilometro») si sostituisce una percezione visiva diretta («il suo studio, al penultimo piano di un grattacielo, era ancora visibile a distanza»); la «bruma rosata» non avvolge genericamente il grattacielo ma proprio lo studio dell’uomo atteso."
Giulio Mozzi
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claudiotrezzani · 1 month
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E' un flash.
No, niente diavolerie sulla slitta a contatto caldo.
Eccomunque, avessi avuto una dashcam a parabrezza, il lampo mentale sarebbe stato anche digitalmente registrato.
Ma qui, si trattava di ciò che scorreva sul finestrino laterale.
Quel tipo di cose che fa - con fine sensibilità - Giordano Suaria quando prende l'autobus diretto al lavoro, le volte che accende dispositivo ed emozione.
Finestrino laterale, dicevo.
Andavo a sessantotto all'ora con il cruise control inserito, è stato un attimo.
Vedere come si è ridotto il fiume Olona, è stato un attimo.
E dire che mi trovavo in campagna, laddove il pavese stempera la ferrosa aggressività della città.
Lampo passato ed introitato, ora.
Poi vedo una fotografia.
Chalet alla darsena dell'Olona, recita.
Sapete, in "La Prova" scrivevo di come il passato s'intreccia al presente.
Sensazioni, oltre che progressi e regressi.
Qui, regressi.
E la fotografia si fa più lacerante che struggente, qui.
Perché ormai l'Olona l'abbiamo rovinato.
Niente più rivierasche amenità, bucolici svaghi.
Per fortuna - magro fatuale bottino - che fugace - brucia meno il confronto - fu il passaggio su ponte, e che non lo registrai.
Sapete, miei bisnonni avevano un imponente ottagono con sapore fin de siécle.
Bar Eden, s'appellava.
Molte sue fotografie son giunte a noi.
E anche di quest'altro Eden, ora appuro.
Eden Olona, il miltoniano Paradise Lost de noantri.
Ai tempi di John si bevevano, acque così.
Anche da noi, sino al primo dopoguerra.
Ma subito Miracolo usurpò Paradiso.
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Claudio Trezzani
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errantepagina69 · 2 months
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Marcello Veneziani (La cappa)
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opere d'arte, distruzioni e profanazioni. Infine, l'idiozia moralista del politically correct nata sull'onda del Sessantotto, oggi imperante, cancella quanto non rientra nei suoi paradigmi su gender, razze, sessi, linguaggi, eventi, regimi e personaggi. Quattro diverse espressioni di un analogo abolizionismo radicale. Che cos'hanno in comune? Elevano un punto di vista - religioso, ideologico, militare, mercantile, politico-morale assoluto e perenne: tutto viene relativizzato rispetto a quel punto di vista e tutto può essere rimosso e cancellato in suo nome. Per dirla con un ossimoro: un soggettivismo dogmatico, un relativismo assoluto. Mutano i riferimenti temporali: i fanatici religiosi sacrificano ogni storia e ogni tradizione altrui sull'altare dell'eternità del loro Unico Dio; i totalitari politici sacrificano ogni altra cultura al sogno della società perfetta e irregimentata nel nome del futuro migliore; i suprematisti compiono il reset della tecnica sulla cultura, della forza sulla civiltà, nel nome della potenza e del primato globale, decretando la fine della storia; infine i fautori del politically correct cancellano ogni passato e ogni tradizione non conforme al catechismo d'oggi. E si potrebbe aprire un ca- pitolo collaterale sul <<reset» nella Chiesa odierna, a partire dalla messa in latino di cui è stata disposta la cancellazione, vista come insubordinazione al corso odierno. Liturgie secolari non sono ammesse nemmeno come varianti secondarie per le minoranze. Nella loro diversità i quattro tipi di censura sono forme dispotiche, assolutiste, intolleranti di cancel culture e tutte sussistono, benché modificate, nel nostro presente; ma l'ultima ci riguarda più da vicino. È forse la meno cruenta ma la più subdola, perché viene praticata nel nome della libertà, del progresso e dei diritti umani. Paradossalmente la salvezza di autori, filoni e tradizioni è assicurata solo dalla loro ignoranza: se davvero si sapesse cosa hanno sostenuto nel corso della loro vita e nelle loro opere tanti pensatori, artisti, scienziati, condottieri, santi e martiri, oggi sarebbe una strage. Verrebbero messi all'indice e cancellati anche autori insospettabili, tutt'altro che reazionari.
Prima uscita 3 febbraio 2022 Editore Marsilio Pagine 208
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