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#Pietro Ricchi
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Pietro Ricchi, il Lucchese (Italian, 1606-1675) The wounded Tancred, cared for by Erminia, n.d.
Tancred, a Christian warrior, lies wounded after slaying the giant Argantes. Tancred is helped by his squire and by Erminia, a Saracen princess, in love with the Christian knight. The warrior will be restored to life and eventually united with Erminia. The subject is from Tasso’s epic poem 'Jerusalem Delivered' (1581) which describes the First Crusade (1096–1099).
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history-of-fashion · 10 months
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ab. 1649 Pietro Ricchi - Equestrian Portrait of Tomaso (or Camillo) Caprioli
(Fondazione Brescia Musei)
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waldires · 5 days
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Jacob Wrestling the Angel by Pietro Ricchi or Rigghi ( 1606-1675)
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art1for2the3masses · 6 months
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Pietro Ricchi gen. il Lucchese (1606-1675) - Der verwundete Tankred, von Erminia gepflegt
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Pietro Ricchi (1606 – 15 August 1675) was an Italian painter of the Baroque period
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maranelho · 9 months
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listen! a sebchal au set somewhere in italy.
sebastian has been living in this small, peaceful town for some years now. he left germany to escape a monotonous life and a painful breakup and he found his new home in the middle of nowhere. he’s known as il tedesco (the german) and he’s okay with that, he loves his job, the people, teresa’s bread in the morning, going to the osteria sometimes and meeting some german tourists that pass by.
one day his whole world is turned upside down. domenico goes to his little shop and drops him the news that there’s a young man that arrived earlier that morning, suitcase in hand and nothing more. he’s looking for a job and a place to sleep and he speaks broken italian just like seb. he doesn’t speak german, tho.
now there’s il tedesco and il monegasco. charles — that’s his name apparently — gets mad when people call him il francese, the french. seb shouldn’t be annoyed by him, he shouldn’t be jealous of the attention he’s receiving.
chaos ensues when seb connects the dots and wraps his brain around the fact that he’s jealous of the girls blushing and giggling around charles, who seems to even enjoy it. realizing that he might have a crush on him is seb’s last straw. he drops everything and walks away. three hours later, half-lost in the hills, he understands that this was a dumb idea, and goes back. he ignores the worried stares he’s met by and heads to his house to sleep it off.
one goes to a god-forbidden place to find some peace and it takes just one (1) hot monegasque to tear everything apart.
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croziers-compass · 5 months
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"Grant me the grace, that by devout and frequent remembrance of your Holy Passion, I may honor your sacred wounds and the death which you endured for my sake"
{Christ Displaying His Wounds (c. 1630) by Giovanni Antonio Galli} {The wounded Tancred, cared for by Erminia, n.d. - Pietro Ricchi, il Lucchese (1606-1675)}
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massimogilardi · 9 months
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GIAN LORENZO BERNINI: NETTUNO E TRITONE
Il cardinale Alessandro Damasceni Peretti Montalto, pronipote di Sisto V, era un uomo magnanimo e gioviale, un munifico committente tanto benvoluto che, alla sua morte, il pittore Giovanni Bricci (padre di Plautilla, futuro architetto) licenziò un libello molto apprezzato nel quale si tessevano le lodi di quello che, se non fosse mancato prematuramente – per una congestione – a poco più di cinquant’anni, avrebbe potuto diventare papa nel conclave del 1623, che vide poi invece eletto Maffeo Barberini.
Il cardinale Montalto, come tutti lo chiamavano, era figlio della nipote Sisto V e, ad appena quattordici anni, fu adottato dal prozio che lo creò così giovanissimo cardinale. La nonna di Alessandro, Camilla, era la sorella di Sisto V, colei per la quale fu coniato il modo di dire “Camilla, tutti la vònno, nessuno pija…”, nonché proprietaria del terreno che avrebbe poi ospitato la favolosa villa che, con lui, sarebbe divenuta la villa privata più estesa di Roma. Un posto che, a giudicare dalle incisioni e da alcune foto di fine Ottocento, doveva essere incantevole e che il cardinale, raffinato collezionista, arricchì con tante opere d’arte.
La peschiera Montalto era la più grande “piscina” di Roma e si trovava a due passi dalla casa paterna di Bernini (Via Liberiana), sua prima casa romana. A pianta ovale con diametri di mt 36,50x24,50 essa, secondo la descrizione di Giuseppe Bianchini a commento della tav. 194 del X Libro delle Magnificenze di Roma di Giuseppe Vasi, 1761: “Nasce dal clivo del colle Viminale […] a destra si alza, quasi custode della delizia, un Ercole colla mazza, e a sinistra un Fauno con una zampogna, come se volesse accrescere il delizioso mormorio delle acque. Gira attorno alla peschiera una balaustra con di marmo con dodici statue sopra, e fra una e l’altra tante tazze dalle quali si drizzano altrettanti zampilli di viva acqua verso il centro della peschiera. Nel sito più alto, ove spiccano più copiose le acque, si alza la statua di nettuno col suo tridente in atto di domare quell’elemento e ai lati in sito più basso le statue di Orfeo e di Mercurio…”. (In realtà le statue a decorazione erano sedici, tutte raffiguranti dèi pagani e imperatori dell’Antica Roma).
La peschiera, che fu ancora per l’Ottocento un acquario molto vario, aveva anche uno “scherzo”, uno di quei trucchi tanto apprezzati nel Seicento: uno scalino calpestabile che correva tutt’intorno alla vasca sotto il pelo dell’acqua così che, nel calpestarlo, bagnava le caviglie degli ospiti, e fu descritto come: “Uno scalino falso che inaqua un poco le gambe”.
La fontana-laghetto creata da Domenico e Giovanni Fontana ai tempi di Sisto V – le cui insegne ricorrevano sotto le statue della balaustra – fu “coronata” dal Nettunoberniniano per volontà del cardinale Alessandro, con un basamento che recava le proprie insegne: al momento della commissione, attorno al 1619, Bernini aveva appena 20 anni. Per Leone Strozzi, che aveva la propria villa vicina a quella di Monalto, suo padre Pietro aveva già licenziato alcune statue (e lo stesso Gian Lorenzo gli venderà, sebbene l’avesse scolpito per sé stesso, il San Lorenzo sulla graticola oggi coll. Contini Bonacossi presso Uffizi, Firenze) per le quali aveva in parte coinvolto anche il giovane figlio. Potrebbe esser stato dunque un “passaparola” tra ricchi mecenati a far sì che Montalto affidasse al giovane Lorenzo un gruppo da porre in piena vista nel suo fantastico giardino. Che il giovane avesse talento per i gruppi, il cardinale lo sapeva comunque avendo visto senz’altro il gruppo di Enea, Anchise e Ascanio (o Fuga da Troia) licenziato nel 1619 per il cardinale Scipione Borghese.
A Gian Lorenzo Bernini Montalto avrebbe commissionato tre opere in tutto: il Nettuno, il busto ritratto oggi ad Amburgo (1622) e il David oggi alla Galleria Borghese (1621-3).
Alcune incisioni mostrano come il gruppo del Nettuno e Tritone fosse posto a coronamento della peschiera che si ergeva all’estremità della proprietà, smembrata a fine ‘800 per far posto alla stazione Termini, nella parte più rialzata (l’unico edificio rimasto della villa, cmq modificato, è l’attuale Palazzo Massimo alle Terme): da lì si aveva una vista sopraelevata dell’abside di Santa Maria Maggiore, dov’era sepolto il prozio del cardinale, Sisto V, e dove Montalto stesso sarebbe stato prematuramente sepolto (sebbene il suo cuore si trovi in Sant’Andrea della Valle, i cui lavori di realizzazione aveva profusamente finanziato).
Il Nettuno ha una resa aspra, quasi ruvida, coerente con la destinazione all’aperto e l’esposizione alle intemperie: troneggia sulla vasca a gambe divaricate su una conchiglia, barba e baffi arruffati, quasi imbrinati di salsedine, e punta il tridente in basso con piglio deciso in un avvitamento turbinoso come il mare in tempesta che gli spazza il viso mentre il panneggio gli lambisce i fianchi come fosse al centro di un ciclonico mulinello.
Tra le gambe del dio spunta un tritone che con la sx si aggrappa al suo polpaccio sx, mentre con la dx tiene una buccina della quale pare ancora di udire il richiamo. Sotto al gruppo, l’acqua fluiva nel bacino sottostante formando una cascata su tre gradini.
Si è a lungo supposto che la fonte iconografica fosse da individuare in Virgilio, EneideI, 132 e segg., ma è più probabile che la fonte sia da ricercarsi in Ovidio, MetamorfosiI, 330-48:
“Cessò l’ira del mare, il dio delle acque depose l’asta tricuspide, chiamò il ceruleo tritone che sovrastava il pelago profondo con le spalle coperte di natie conchiglie e gli comandò di dar fiato alla conca fragorosa, per fare ormai, con quel segnale, rientrare i flutti e le correnti. Quegli prese la cava buccina tortuosa che va dal principio allargandosi in ampia spirale, la buccina che, quando in alto mare si empie d’aria, introna del suo suono i lidi che si stendono dall’oriente all’occaso. E anche allora, appena ebbe toccato la bocca del dio dalla barba stillante, e gonfia annunziò l’ordine della ritirata, fu udita da tutte l’acque della terra e del mare, e tutte le onde che l’udirono raffrenò e respinse. Il mare ebbe ancora le sue rive, i letti contennero i fiumi rigonfi, si abbassarono le correnti, si videro i colli riapparire fuori, sorse la terra, si ingrandirono le cose col decrescere delle acque e, dopo lunghi giorni, le selve mostrarono le loro cime, spogliate, e avevano ancora su le fronde il limo lasciato dai flutti. Il mondo era rinato.”
Rispetto al testo ovidiano, che Gian Lorenzo avrebbe letto a fondo di lì a breve anche per Apollo e Dafne, il suo Nettuno non ha ancora posato il tridente e sembra ancora piuttosto contrariato: Bernini lo rappresenta nell’acme dell’azione. Il tritone invece è stato reso abbastanza calzante al testo, e in esso vediamo un concetto che tornerà in tutte le sue fontane successive: l’acqua che emerge alla luce da un essere umano, mitologico o animale.
L’episodio ovidiano, che narra del mito di Pirra e Deucalione, trova corrispettivo nel racconto biblico del diluvio universale; la clemenza di Nettuno che, di concerto col fratello Giove, permette alla coppia di sopravvivere e rigenerare il genere umano, corrisponde al passo di Genesi: 8,1: “Or Iddio si ricordò di Noè, di tutti gli animali e di tutto il bestiame che era con lui nell’arca, e Dio fece passare un vento sulla terra, e le acque si calmarono.”
La pietasdivina che dopo il caos ristabilisce la quiete era allusione alla munificenza del cardinale Montalto, mentre il senso del contrasto tra l’agitazione di Nettuno e lo specchio piatto dell’acqua nella peschiera era chiaro: Nettuno aveva appena placato una tempesta per permettere che gli ospiti di Montalto potessero ammirare con calma i pesci che la popolavano e, in generale, il suo elemento.
Chi poteva aver suggerito un collegamento pagano-cristiano così sottile? Se è vero che il cardinale faceva segretamente parte dell’Accademia degli Intronati con lo pseudonimo di Profundus, è stato suggerito anche tuttavia il nome dell’allora cardinale Maffeo Barberini, da sempre appassionato di poesia, ma il quesito rimane senza risposta.
Nettunolasciò Roma parecchio tempo prima della demolizione di villa Montalto ormai Negroni: nel 1784 il ricco commerciante Giuseppe Staderini comprò la villa dai Negroni (che l’avevano acquistata a loro volta nel 1696) e iniziò una vendita sistematica di tutto ciò che essa conteneva, alberi compresi.
Tuttavia, da una lettera scritta da Raphael Mengs da Madrid nel 1767 al cav. D’Azara, deduciamo che forse i Negroni avevano già tentato di piazzare il gruppo berniniano: “Desidererei sapere quanto costerebbe il gruppo del nettuno del Bernini”. Non se ne fece evidentemente nulla se nel 1777 il viaggiatore De la Roque, in visita alla villa, affermò che Nettuno si trovava in una rimessa annessa alla peschiera, dunque già “smontato” in vista di un trasloco ma ancora a Roma. Dopo un periodo in custodia presso Villa Borghese, infine, nel 1786, il gruppo fu acquistato da sir Joshua Reynolds e venduto, dopo la sua morte, a Lord Yarborough nella cui famiglia è rimasto fino al 1950.
L’idea del Nettuno sarà ripresa da Bernini per il mai realizzato progetto della Fontana di Trevi al quale aveva dato principio sotto Urbano VIII Barberini poi abbandonato per mancanza di fondi, stornati sulla guerra di Castro: la prima idea prevedeva un complicato gioco architettonico e scultoreo dove sarebbe apparsa la Virgo della leggenda (colei che aveva permesso ad Agrippa e ai suoi soldati di trovare la fonte dell’Acqua Virgo che serve la fontana) mentre la seconda, se la prima non fosse piaciuta al papa, contemplava appunto la figura del dio marino.
Sotto Innocenzo X Pamphili Bernini rispolverò l’idea di una fontana sormontata da un Nettuno per la “terza” fontana di piazza Navona, dopo la Fontana dei Quattro Fiumi e il Moro: anch’essa rimase però irrealizzata per la sopraggiunta morte di papa Pamphili e quella che anche oggi non a caso ritrae il dio del mare (opera di Antonio della Bitta) mostra come l’idea di Bernini per essa fosse nota e tenuta in considerazione. Infine, l’idea del Nettuno fu ripresa da Salvi nella figura di Oceano che oggi vediamo proprio in trionfo nella fontana di Trevi.
di Claudia Renzi ©
In foto: Gian Lorenzo Bernini, Nettuno e tritone (Londra, Victoria and Albert Museum).
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c3ss4 · 4 months
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domani ho un in programma un sushi con alcune amiche. o meglio, sono le rispettive fidanzate del gruppo di amici di pietro. insomma non sono amiche, né conoscenti, eppure viviamo tutte nello stesso buco di culo e chi per un fatto o chi per un altro, le conoscevo ancor prima che ci presentassimo. questa situazione mi ricorda un po’ le medie. frequentavo le scuole cattoliche. non ne ho un bel ricordo. non avevo nessuno. o meglio avevo un’amica, ma amica non era. di alice è meglio non parlare perché risveglia in me ricordi un po’ troppo dolorosi. però avevo lei. ricordo che da piccole facessimo questo gioco. ci sedevamo di fronte alla finestra in fondo al corridoio, dove non passava mai anima viva. mangiavamo la nostra merenda e a sorte sceglievamo un colore. chi contava più macchine di quel colore vinceva. a differenza delle mie compagne di classe, che raccontavano già dei loro primi limoni e delle loro prime toccate, a me non erano ancora venute le mestruazioni. quel periodo compreso tra gli 11 e i 13 è davvero tremendo perché non sei bambino né adolescente. c’è chi si comportava da adulto e chi preferiva restare bambino. ecco, io appartenevo alla seconda categoria. inoltre ero proprio bruttina. avevo i primi segni dell’ acne cistica ed ero piatta come una porta. forse in parte era anche il mio carattere timido e ingenuo o banalmente ero solo circondata da dei ricchi merdosi e arroganti figli di papà. fatto sta che ero il loro bersaglio preferito. cessa, lesbicona, brutta da far schifo. fatto sta che quest’aria di pregiudizio e di puzza sotto il naso è la stessa che sento ogni volta che parlo con qualche ragazza del gruppo. non che siano cattive o scortesi, affatto, non sto insinuando niente del genere. però quel tipo di gentilezza forzata. una di quelle cose che senti nello stomaco, per intenderci. “quando sono insieme fanno molto gruppo” mi spiega pietro. fatto sta che questa sensazione non riesco proprio a scrollarmela di dosso. e poi un commento, uno solo, da parte di mia madre “quand’è che ti tagli quei capelli? poi tra una settimana parti per la montagna e sei in mezzo a tutta la compagnia…e le altre saranno tutte così carine…devi fare bella figura”. mia mamma ha questa capacità innata di mettermi dei tarli nelle orecchie. soffro di alopecia proprio da quando andavo alle medie. a causa dello stress ho sviluppato il tic di strapparmi i capelli. tricotillomania per l’appunto. negli anni è peggiorata drasticamente, in particolare da quando ho iniziato l’ università. questo è il motivo per cui evito il parrucchiere come la peste, essendo per me motivo di grande imbarazzo. beh, mia madre sa sempre dove colpire. e appena mi ha detto quella frase si è risvegliata in me la bambina di dodici anni a cui nascondevano lo zaino e piangeva spesso nei bagni perché si mettevano di fronte alla sua porta e la bloccavano dentro. la bambina che tutti insultavano per la sua pelle mangiata dall’acne e perché non aveva amici. ogni tanto la sento ancora quando mi guardo allo specchio. “forse se metto quel maglione la pancia non si nota più di tanto” “magari se li metto da questo lato non si nota il buco che ho tra i capelli” “la mia acne è peggiorata” “forse dovrei spendere quei soldi che mi sono avanzati per farmi la ricostruzione alle unghie, così non si nota che me le mangio” “che brutta la mia postura” “ho dei lineamenti da uomo, si, sembro proprio mio padre sbarbato” “non ho seno” “non ho sedere” “questa gonna non mi sta più” “i jeans che ho comprato un mese fa mi stanno stretti” e ancora, senza sosta, fino a diventare matta.
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crazy-so-na-sega · 2 years
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Nella notte del 24 agosto 410, torme di visigoti attraversarono la Porta Salaria e si riversarono su Roma dopo aver subito un lungo assedio. Secondo uno storico cristiano, Socrate Scolastico, i visigoti "annientarono" la maggioranza dei romani. San Gerolamo, che ne parlò dalla Terra Santa due anni dopo, diede una versione apocalittica di quel che era successo già prima che i visigoti entrassero in città: secondo lui, quando gli uomini di Alarico entrarono in città, buona parte degli abitanti era già morta di fame. Ma un'altra fonte, Paolo Orosio, otto anni dopo scriveva che Alarico aveva dato "ordine alle truppe di lasciare illesi e tranquilli quanti si fossero rifugiati in luoghi sacri, spacialmente nelle basiliche dei santi Pietro e Paolo, e, secondariamente, di astenersi nella caccia alla preda, dal sangue". Anche Sozomeno, altro storico della Chiesa, indugiò su episodi di visigoti "di buon cuore" che fecero del bene alla città. Com'è possibile che queste fonti, tutte cristiane, siano a tal punto in contrasto tra loro? E' il quesito al quale ha tentato di rispondere Matthew Kneale in un libro assai stimolante, "Storia di Roma in sette saccheggi".
L'autore fa notare che "le fonti che riferiscono di un saccheggio brutale, compreso San Girolamo che era stato scacciato dalla città dai ricchi possidenti, vedevano il disastro come la punizione divina dei romani per il lusso in cui si erano crogiolati e per il loro paganesimo. Al contrario, sempre secondo Kneale, "chi raccontava di un saccheggio rispettoso aveva in mente un quadro politico più ampio". Questi autori "intendevano respingere le accuse pagane, volevano dimostrare che Pietro e Paolo avevano protetto bene la città e che, grazie alla loro influenza, Dio aveva addolcito i cuori dei visigoti.
Ma chi aveva ragione? Kneale si affida all'archeologia e censisce gli edifici che, a quel che risulta dagli scavi, furono realmente danneggiati. La lista, scrive, "non è molto lunga". Secondo Kneale, Orosio e coloro che riferiscono di un saccheggio "amichevole" paiono "avvicinarsi di più alla verità". Del resto "se Alarico avesse distrutto Roma, la città avrebbe perso ogni valore come merce di scambio e lui stesso avrebbe avuto poche possibilità di stringere un accordo con l'Impero d'Occidente".
Kneale: "ma anche se si può sostenere che Roma nel 410 se la cavò abbastanza bene in confronto al destino di altre città, i racconti troppo "benevoli" non vanno presi alla lettera: ogni fonte ha delle "ragioni" che lo storico deve riconoscere".
-Paolo Mieli- Le verità nascoste -trenta casi di manipolazione della storia
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lamilanomagazine · 24 days
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Beni culturali, pienone in Sicilia a Pasqua. Schifani e Scarpinato: «L'Isola si conferma destinazione di prim'ordine»
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Beni culturali, pienone in Sicilia a Pasqua. Schifani e Scarpinato: «L'Isola si conferma destinazione di prim'ordine».   Boom di visitatori nel corso del week-end pasquale per i siti culturali della Sicilia, che continuano ad attrarre visitatori da tutto il mondo. Dai maestosi templi greci agli affascinanti resti romani, dai musei ricchi di tesori ai parchi archeologici, l'Isola ha offerto un viaggio indimenticabile attraverso secoli di storia e di cultura. «L'impareggiabile ricchezza culturale e monumentale – sottolinea il presidente della Regione, Renato Schifani - si conferma per la Sicilia uno dei principali elementi attrattivi dei flussi turistici, al pari del patrimonio naturale. È un giacimento di bellezze, di storia inesauribile sul quale il mio governo continua a investire per far crescere ulteriormente una delle voci più importanti della nostra economia. Il gradimento dei visitatori lo dimostra in modo incontrovertibile. Per questo ci stiamo impegnando per la valorizzazione e la promozione di siti come nel caso del Telamone della Valle dei Templi e per una rafforzata tutela come nel caso della Villa romana del Casale di Piazza Armerina, dove mi sto spendendo in prima persona per risolvere alcune criticità». «La Sicilia si conferma una destinazione culturale di prim'ordine – afferma l'assessore ai Beni culturali, Francesco Paolo Scarpinato – Con l'avvio della stagione primaverile ci aspettiamo che questo trend positivo continui e che sempre più persone possano scoprire e apprezzare le meraviglie che la nostra regione ha da offrire». Nel week-end di Pasqua (sabato, domenica e lunedì di Pasquetta) alto numero di presenze nei siti regionali. Al Teatro antico di Taormina e al Museo e all'area archeologica di Naxos i visitatori sono stati quasi 8.500; segue la Valle dei Templi con il Museo archeologico Pietro Griffo, che ha sfiorato i 6 mila biglietti. Oltre 2.500 i turisti che hanno ammirato i mosaici della Villa romana del Casale di Piazza Armerina, nell'Ennese. Bene il Trapanese con il Parco archeologico di Selinunte che ha registrato 1.277 ingressi, superato dal Parco di Segesta, in piena ripresa dopo il devastante incendio dello scorso anno, con quasi 1.371 persone. Nel Palermitano record di presenze al Duomo di Monreale, con il chiostro scelto da 817 visitatori. Il castello della Zisa, sotto restauro, ha accolto 118 turisti, mentre il Museo archeologico Antonino Salinas, dov'è in corso la mostra "Sicilia/Grecia/Magna Grecia", ne ha contati 120 e la Galleria di Palazzo Abatellis ha raggiunto quota 286. I numeri registrati nel week-end pasquale confermano un ottimo trend di presenze nel 2024. Un andamento che già adesso lascia ipotizzare un nuovo record complessivo di presenze per quest'anno, dopo il dato storico del 2023.... #notizie #news #breakingnews #cronaca #politica #eventi #sport #moda Read the full article
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Pietro Ricchi (Italian, 1606-1675) Santa Cristina Martire, 17th century Ca' Rezzonico St. Christina of Bolsena is venerated as a Christian martyr of the third century. She was born in Tyro in the Tuscany region of Italy. The town was built on an island in the lake near Bolsena which has since sunk. Christina was born into a rich family, and her father, Urban anicii, was the Roman Prefect for the island. By the age of 11, the girl was exceptionally beautiful, and many wanted to marry her. Although her father wished for her to become a pagan priestess, she became a Christian. Her father tortured her for being Christian. After her father's death, his successor Dion continued to torture her. Dio then had Christina taken to the temple of Apollo. She was directed to make fitting sacrifice to Apollo. When Christina stepped into the temple, she made the Sign of the Cross and the image of Apollo fell from the altar and was broken into a thousand pieces. The soldiers who brought Christina to the temple were terrified and released her saying, “Truly the God of the Christians is the one true God.” Many of those who witnessed this event became Christian. Julian succeeded Dio as Prefect. He was even more ruthless in torturing her. After many attempts to have Christina forsake Christ and after many tortures and attempts against her life, she was finally tied to a pole and shot with arrows. With that, Christina went to heaven to meet her Maker. St. Christina was a very popular saint in the West and is one of the patron saints of sailors, archers, and millers.
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giuseppelaporta · 12 years
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L’Arrivo delle reliquie di San Timoteo nel porto di Termoli, una teoria che vede collegati i Templari, gli Amalfitani e Pietro Capuano
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Se c’è un argomento davvero enigmatico per gli storiografi locali di questo e del secolo precedente, è proprio quello che riguarda un momento molto particolare e complesso per la diocesi di Termoli, che viene da noi interpretato brevemente come una sorta di particolarità che si unisce alla ricca collana di mutamenti della storia medievale di questa cittadina affacciata sul mare Adriatico, in un momento del XIII secolo che vide la nostra basilica cattedrale cambiare di aspetto, dimensioni, arricchirsi di opere sempre più pregiate nell’esecuzione, e dov’è ampia la presenza di committenze, maestranze d’ogni dove e di più culture e formazioni, ed ovviamente nel cui frangente, quasi come da alteratrice di questa sequenza nel cantiere normanno-svevo della Cattedrale, si ha la tanto conosciuta e celebrata traslazione delle reliquie del Santo martire Timoteo, co-patrono della ‘’diocesi termolana’’, vescovo di Efeso e discepolo prediletto dell’apostolo Paolo, un tesoro tra i più ricchi della nostra terra, privo di ‘’omonimi’’ a differenza del patrono Basso, e che nella sua valenza liturgica pone non pochi quesiti a cui noi dovremmo rispondere per capire principalmente una cosa; cosa mai ci fanno delle reliquie di cotanta importanza in una attualmente misera cittadina abitata da pescatori in una regione tra le più modeste d’Italia? Beh la risposta non è per nulla facile, anche se è possibile postulare una ipotesi che va ad unirsi a determinati fatti historici della città documentati e giunti sino a noi in questi anni grazie soprattutto all’aiuto di archivisti e colleghi, e ovviamente dei celebri storiografi italiani che negli anni si sono interessati alla condizione di una regione asfissiata dai suoi confini, troppo stretti per il patrimonio culturale che le appartiene.
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Questo studio porterà al vostro interesse una teoria sul perché queste reliquie siano giunte nella fortezza che verosimilmente, a cavallo tra XII e XIII secolo vide una ricca crescita in ambito economico, sociale e militare, favorito dalla struttura portuale che garantiva le attività mercantili con le coste opponenti del Mediterraneo, tanto da rendere quest’ultima una vera e propria pedina per i commercianti della Repubblica Marinara di Amalfi, provenienti dalle cittadine principali di Scala, Ravello, Amalfi ed anche da Salerno e così via, per non dimenticarci dei Cavalieri Templari e degli Ospitalieri che ivi possedevano numerosissime terre, commende Extra-Moenia, ospitali ed ovviamente una Domus nelle aree che circondavano la Cattedrale, e per cui stiamo approfondendo la nostra ricerca soprattutto al seguito delle passate campagne di scavo archeologico e dei restauri che si prospetteranno, ma avremo modo di parlarne in altre occasioni, nel frattempo discuteremo proprio del collegamento dei soggetti sopracitati, ossia Amalfitani, Templari e le Reliquie di San Timoteo, con il possibile arrivo delle reliquie di Sant’Andrea apostolo nella penisola italiana, condottevi dal cardinale di Amalfi Pietro Capuano, che sotto le peripezie della quarta crociata, avrebbe avuto modo di portare con se un enorme numero di reliquie sottratte dalla basilica degli apostoli di Costantinopoli, per poi spartirle dopo il suo arrivo nel 1208, con le circostanti principali città della costa amalfitana e napoletana, e forse anche oltre, magari in una cittadella che già aveva una certa familiarità vivida con l’economia tirrenica e il cui porto era uno dei prediletti per gli sbarchi ed imbarchi verso l’oriente e la Terrasanta.
Negli anni ovviamente si sono succedute molteplici teorie alternative da parte degli storici termolesi, che però spesso hanno fatto abbastanza cilecca in quanto, purtroppo non solo in questo caso, era abbastanza frequente il cadere nella omonimia dei toponimi antichi, come nel caso di Frosolone e Frosinone, ambi due citati spesso come ‘’Freselone’’, oppure Agnone ed Anglona, entrambe citate come ‘’Anglone’’ traendo in inganno anche i più illustri storici.
È questo il caso dell’ingegnere Raffaello D’Andrea che nei suoi studi s’imbatte in un certo Conte Olivier Da Termès, teorizzando com’egli fosse un guerriero crociato che avrebbe partecipato alla quarta crociata tra il 1202 e il 1204, conducendo nella sua cittadina natale le reliquie del santo martire, riportando peraltro, come afferma nella sua pubblicazione sul Conte sopracitato, le dichiarazioni del Runcimann nel secondo volume di Storia delle Crociate, in cui appunto viene annoverato tra i reclutamenti della costa adriatica un certo Oliviero Da Termoli, o meglio, a detta dello stesso D’Andrea visto che leggendo il volume a pagina 966, siamo stati capaci di sfatare questa travisazione, dato che si fa riferimento al Comandante Olivier Da Termès, nobile condottiero che nell’anno 1269 partecipò alla Battaglia di Acri contro i Saraceni, che purtroppo non avrà una fine molto gloriosa, ma che nulla ha a che vedere con la crociata che vide assalita la grande Costantinopoli circa 65 anni prima, tantomeno vi è una vicinanza di qualche tipo tra Oliviero e la fortezza termolese visto che in verità Termès è una località sita nella provincia spagnola di Montejo De Tiermes, in Castilla y Leon, vicino i Pirenei, ben lontana da una delle tante denominazioni arcaiche di Termoli, che era ‘’Terminis’’ o ‘’Termini’’.
Un Dettaglio buffo è stato quello della nostra conoscenza collaborativa con l’attuale erede del Conte Oliviero, Juan De Termès, che è rimasto alquanto sorpreso e divertito dalla nostra notizia riguardo a questo malinteso, e si è detto interessato prossimamente a visitare la città di Termoli con grande curiosità, sperando di potergli fare da guide.
Una possibilità invece è quella che vede coinvolte nella traslazione anche le città dalmate affacciate sull’Adriatico, in special modo quella di Ragusa e di Durazzo, di cui la prima delle due stipulò nel 1203 un trattato commerciale fraterno con la città di Termoli, conservato attualmente negli archivi statali ragusei, e che per nostra fortuna abbiamo avuto la possibilità di leggerne una trascrizione del Professor Sime Ljubic e presentata negli atti dell’Undicesima Convenzione Internazionale di Storia Marittima, Consorzio Del Porto di Bari, 28 agosto/7 settembre 1969.
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La pergamena misura circa 34,02 x 58 cm, e recita come di seguito;
‘’In nomine Domini nostri Jesus Christi.
Anno incarnationis sue millesimo duecentesimo tertio.
Regnante domino nostro Frederico serenissimo rege Sicilie, ducatus Apulie et principatus Capue, anno sexto regni eius, tertio die stante mense Trasmundus, miles camerarius, ina cum universo eiusdem civitatis populo, volentes fraternitatem veram et amicitiam inviolatam cum Raguseis semper communicare ei manutenere, pari consensu et comuni voluntate Raguseos omnes de cetero in cives nostros recepimus, et ipsos conservare et secoros facere in civitate nostra volumusnet obtamus. Preterea remittamus et quietamus universis civibus Ragusi plataticum universum et arboraticum in civitate nostra. Ut de cetero sini apud sic dictis tributis liberi et absoluti, et nemo ab eis exigere valeat aut presumat, et sic non teneantur de his alicui respondere. Habeat etiam in civitate nostra illud ius et privilegium, quod nos habere soliti sumus. Quod privilegium scripsi ego W. Iulianides miles et notarius, qui interfui mandato predictorum iudicum et iamdicti ei totius populi.
Actum in Termulis feliciter.
+Ego Mainardus imperialis iudex.’’
In questo trattato per precisare, viene concesso ai commercianti marittimi ragusei di ricevere la giusta protezione in caso d’approdo alla fortezza di Termoli, e che le navi mercantili ragusane erano esentate dal pagamento del cosiddetto Plateaticum, dell’arboraticum, Scalaticum ed Ancoraticum, ovviamente reciprocamente in ambo i porti commerciali delle due città costiere, e la particolarità è proprio che tra i principali centri marittimi della Puglia, Termoli fu proprio la prima stipulare un patto di tale importanza con una città della costa antistante.
Il clero locale ha avanzato l’ipotesi della giunta delle reliquie del Santo Timoteo in Italia, contemporaneamente a quelle del vescovo San Biagio, venerato proprio a Ragusa e giunto nel tesoro liturgico termolese forse proprio al seguito della stipula di questo storico accordo, ovviamente avutasi al seguito di una eventuale collaborazione già avviata in precedenza tra le due città, forse tra il XII e il XIII secolo, che infine avrebbe portato ad un rafforzamento delle due realtà, la cui causa sarà argomento successivo, proprio incentrato sugli amalfitani.
È però secondo la nostra opinione, abbastanza improbabile che un tesoro talmente importante come un intero reliquiario d’un Santo discepolo di questo calibro, fosse giunta a Termoli intorno al 1203 come donazione per una reciproca fraternità commerciale, per vari motivi, come per la data tra la firma del trattato che precede l’evento della quarta crociata, avutasi quando le ossa del santo martire erano ancora nella basilica degli apostoli a Costantinopoli, ed oltretutto pare improbabile proprio per le modalità e l’importanza di questo avvenimento e delle reliquie stesse, poiché se così fosse stato, difficilmente i ragusani avrebbero lasciato il prezioso bottino nelle mani di un’altra città, e probabilmente nemmeno loro le avrebbero mantenute sino ad oggi visto che di certo sarebbero finite nelle mani della Repubblica di Venezia negli anni, come a Termoli sarebbe accaduto nel 1240 del resto, se non fosse stato per l’occultamento tempestivo avutosi sotto l’episcopato del Vescovo Stephanus.
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Quindi, è certo che nel 1203, o giù di lì, venne condotta da Ragusa nel porto di Termoli, la piccola reliquia di San Biagio Vescovo, che già nel XIII secolo faceva parte del culto locale come si può immaginare nell’archivolto della porta maggiore della Cattedrale, alle spalle della statua di San Basso, proto-vescovo e martire di Lucera, che invece fu condotto nella città dopo un sacco del reliquiario lucerino nella momentanea traslazione a Lesina, da parte dei Termolesi e del Larinesi, questi ultimi rubando le reliquie del secondo vescovo Pardo, tra il 600 e l’800 d.C.
È però escluso che assieme a San Biagio arrivarono anche le ossa di Timoteo, seppure nel nostro studio, Ragusa mantiene una certa importanza indiretta per il loro viaggio via mare attraverso l’Adriatico, come probabile scalo visivo, ma non come sede d’approdo, e sembra quindi verosimile collegarle come sopracitato all’operato di Pietro Capuano, in concomitanza con vari fattori uniti a quest’ultimo, ad esempio una rotta sicura ed affidabile verso Termoli, uno dei porti pugliesi che com’essi, era di grande ausilio per le milizie e i pellegrini diretti verso la Terrasanta, dove la grande collaborazione con il porto commerciale di Ragusa, attuale Dubrovnik, ed il collegamento intermedio con Durazzo, si univa a sua volta al privilegio politico che il patriziato amalfitano, ravellese e scalese, esercitava su dette località specialmente nell’ambito mercantile, e dove gli ordini cavallereschi rappresentavano un punto fondamentale per il tutto, una giunzione diretta e rediviva di afflussi diretti verso l’oriente, che attraverso le città dalmate come Durazzo e Tirana, potevano raggiungere facilmente il Bosforo tramite la simosa e lineare Via consolare Egnatia, oppure giungere verso Gerusalemme e così via in tutte le località pellegrinali dell’Oriente medievale.
Quanto al sacco di Costantinopoli, ci terrei anche a parlare brevemente di un manoscritto di cui siamo riusciti a venire in possesso, la Hystoria Friderici Imperatoris Magni, visionato per gentilissima concessione dell’erede della famiglia Hohenstaufen, che ne conserva l’originale nel proprio archivio privato, e per la cui consultazione ringraziamo vivamente il gestore Gabriele Lamanna della sopracitata biblioteca personale.
Qui uno stralcio dell’elenco interessato;
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In questo documento si fa un riferimento minuzioso e preciso delle reliquie trafugate dai crociati durante l’assalto e la dissacrazione della città bizantina, in particolar modo vi è la comparsa proprio della Sacra Sindone ed altre reliquie storicamente annesse alla figura del Cristo ed alla sua Passio, e per quanto concerne le reliquie ‘’minori’’, viene citata una ‘’Costa Sancti Andree Apostoli’’ seguita da una delle più vecchie citazioni del trafugamento di San Timoteo, dove appunto si elenca la presenza nella refurtiva dei resti mortali ‘’De Sancto Thimotheo’’.
Sulla questione poi del porto di Termoli, è ad oggi ancora molto complessa la questione a riguardo, visto che ahinoi, non resta granché delle testimonianze visive di una o più strutture adibite all’attività mercantile, ma al contrario ne sono stati rinvenuti un cospicuo numero di reperti archeologici, citazioni storiche nelle vaste fonti d’archivio, ed anche uno studio più attento della morfologia locale, maggiormente sulle fotografie ambientali degli anni tra il 1890 e il 1910 ad opera dei fratelli Trombetta, che, con i resoconti dell’ultimo ventennio, hanno conferito una maggiore verosimiglianza alle reali vestigia dell’antica fortezza termolese, definita in special modo da un nucleo fortificato centrale, arroccato intorno alla basilica cattedrale già in età longobarda, che è andato via via allargandosi, con molteplici insediamenti ‘’a motta’’, un multiplo circuito murario turrito, e un rivello interposto tra il doppio barbacane del fortilizio e un insediamento extra-moenia che nei documenti di cui si parlerà è citato come ‘’suburbio’’ delle famiglie amalfitane e ravellesi giunte a Termoli tra il XII e il XIII secolo, e forse già nell’XI secolo come testimonia un elemento lapideo collegato alla sepoltura di San Basso, legato secondo la nostra ricostruzione alla famiglia ravellese dei Frezza, ed identificabile come pluteo oggi esclusivamente erratico.
La Professoressa Calò Mariani parla nelle sue pubblicazioni del porto termolese come segue;
‘’del porto medievale di Termoli sembra cancellata ogni traccia.
Il Magliano ne attribuisce la scomparsa al terremoto del 1456 e a quello del 30 luglio 1625 (più precisamente del 1627), che produsse in Termoli vari lutti e rovine.
Circa l’ubicazione, suggerisce che il porto fosse ‘’attiguo al luogo occupato dalla città’’, essendo il mare sotto le mura, sufficientemente profondo per accogliere anche grossi legni.
Non meno vago è il Perrella, quando afferma che l’antico porto di Interamnia Frentanorum (denominazione arcaica di Termoli), traspare tra le profonde acque che la bagnano all’ est e tra i grossi scogli che la cingono’’.
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È logico pensare ovviamente che Termoli dovesse avere una struttura portuale ben definita, e forse non unica, ma come abbiamo potuto constatare negli anni, si sarebbe dislocata in due insenature naturali del promontorio termolese, nel primo caso ai piedi dell’attuale mastio normanno-svevo, dove oggi è presente la passeggiata di Via dei Trabucchi, ma che nelle antiche immagini e nei ricordi del primo novecento, era per metà inabissato, e con la linea di costa ben più indietreggiata, venendo usata non come spiaggia balneare ma come approdo delle imbarcazioni da pesca e con le rimesse del modesto porto, un tempo detto ‘’della spiaggia di Sant’Antonio’’, prendendo il nome della chiesa abbaziale posta in cima al lungo colle di Santa Lucia, toponimo legato a sua volta ad una seconda basilica normanna oggi scomparsa.
Qui avrebbe avuto luogo forse il primo porticciolo pre-romano della cittadella Interamnia, alla quale sono legati molteplici reperti archeologici rinvenuti nelle abitazioni del paese vecchio, tra cui elementi votivi, forse legati al tempio pagano che qui sarebbe stato eretto tra la dominazione frentana e romana, in cui avvenne anche una espansione del commercio e dell’attività portuale, come testimonia il gran numero di anfore vinarie e delle opere di tessitura, nonché della presenza stessa di più insediamenti d’ambito portuale lungo la linea costiere da Histonium, al cui Nord vi era l’antico porto frentano di Buca, sino alla foce del Biferno, dove risiederebbero i resti di un antico porto fortificato per l’aggiunta.
Con questi presupposti è possibile identificare due porti di differente uso, uno a nord e uno a sud del promontorio, nel cui secondo ci sarebbe stata una delle massime espansioni in età medievale, portando a rilevarne la presenza nelle piattaforme rocciose poste al nord della Torre Tornola, lungo tutta la rientranza che oggi è foce dei ruscelli Rio Vivo e Rio Morto, sino a quello che era descritto topograficamente come scoglio Punta di Pizzo, oggi insabbiato dall’espansione della spiaggia artificiale.
Dunque sarebbe stato un elemento davvero fondamentale per l’intera comunità termolese dal punto di vista economico ed espansionistico sin dalle origini della frequentazione del promontorio, e protraendosi negli anni che vedono coinvolto il nostro studio di ricerca, in cui l’area portuale di Termoli era di rilevante importanza in quanto posto in una zona principe dell’Adriatico, collegandosi ai porti contigui e opposti allo specchio d’acqua, dandoci testimonianza di un raggio d’azione delle attività commerciali molto vasto e ricco, con spezie, vivande, bestiami ed animali per la milizia, tessuti e pietre preziose o da lavorazione, tutte provenienti dall’affascinante Oriente, a cui storicamente dovremmo davvero molto, e per il conseguente contesto ci ha permesso di sfatare definitivamente l’idea di una cittadina di comuni pescatori, dato che in realtà l’attività della pesca è un elemento marginale che in Termoli sarebbe sorto solo molto dopo il funesto assalto da parte saraceno del 1566, quando ogni peripezia aveva cancellato la possibilità di una economia di ambito mercantile nella città molisana, rinvigoritasi solamente a partire dal primo ‘800 al seguito dell’industria ferroviaria e della riorganizzazione del tessuto urbano e delle capacità economiche e giuridiche del luogo, arrestato alle volte da problemi di carattere bellico come la prima e specialmente la seconda guerra mondiale.
Aperto dunque alle economie orientali, il porto di Termoli era visto come entità molto vantaggiosa geograficamente parlando, anche per il rapido collegamento tramite l’entroterra con le città commerciali della Campania, in special modo con la repubblica marinara di Amalfi e delle città interne di Ravello, Scala ed anche Salerno, per non parlare poi del periodo storico che la vede reinserita nel dominio bizantino del meridione, tra il X e l’XI secolo, quando il Catepano Basilio Bojannes la reintegrerà nel confine più a nord del Catepanato di Apulia, con le fortezze di fiorentino, Troia e così via, ed è proprio qui che la vediamo l’inserimento nel ben congegnato sistema comunicativo istituito dall’Impero Bizantino nel Sud Italia, specialmente nella costa pugliese, con centri d’imbarco e sbarco, viabilità terrestri, frontiere e scali marittimi, e non ci si deve dimenticare che ciò favorì e venne favorito a sua volta dalle vie pellegrinali e dai contingenti di soldati crociati diretti verso la Terrasanta in maniere il più possibile vantaggiose e soprattutto sicure.
A tal proposito è d’uopo citare un documento dell’archivio storico di Montecassino, che avvalora la teoria dell’uso storico del porto termolese come luogo di collegamento per l’Oriente, e ci viene definito da cronisti come Pietro Diacono, che descrive come l’abate cassinese Atenolfo, per sfuggire alle truppe di Enrico II, sarebbe salpato dal porto di Termoli al fine di raggiungere Costantinopoli, descrivendo la scena con;
‘’Atque per Sangrum ad Termulas transies, cupiensque Costantinopolim ad Imperatorem confugere mare ingressus est’’(a.D. 1022).
Ci tengo anche a riportare le parole spese dallo stesso Runciman, nei confronti proprio della questione comunicativa tra le varie cittadine europee interessate dall’attività mercantile nel contesto storico dell’XI secolo e dei tempi a venire, dove vi sono appunto le basi di buona parte della nostra ipotesi in cui si denota, con più caratteri, la vicinanza tra gli eventi di Termoli, le reliquie di San Timoteo e Costantinopoli.
Egli afferma;
‘’negli ultimi decenni la situazione della dell’Italia meridionale era stata agitata e confusa.
La frontiera dell’Impero Bizantino ufficialmente andava da Terracina, sulla costa tirrenica, a Termoli, sull’Adriatico, ma all’interno di questi confini soltanto le province di Puglia e Calabria, abitate in prevalenza da dai greci, erano sotto il governo diretto di Bisanzio.
Sulla costa occidentale c’erano le tre città-stato mercantili di Gaeta, Napoli ed Amalfi, nominalmente vassalli dell’Imperatore.
Gli amalfitani che all’ora commerciavano intensamente con l’oriente mussulmano, ritenevano utile ai propri negozi con le autorità fatimite il favore dell’Imperatore, e perciò tenevano in permanenza un console a Costantinopoli.’’
Lo storiografo disquisisce in maniera precisa dei percorsi tipici che i pellegrini dalla tarda-antichità al basso medioevo, compivano per raggiungere i ‘’luoghi santuario’’ della cristianità, definendoci bene le motivazioni di un determinato percorso, talvolta unico possibile per un raggiungimento sicuro e facilitato, in base all’entità, via mare o via terra, e dunque al costo ed al territorio specifico che doveva essere raggiunto, con i conseguenti fronti da valicare.
Ci ricorda come ad esempio, che nel X secolo, si era costretti ad usufruire delle rotte mediterranee per raggiungere Costantinopoli ed i centri del Medio-Oriente tra Siria e Palestina, dove il costo per intraprendere i percorsi era spesso insoddisfabile, tutto fino alla conversione cristiana dei sovrani ungheresi (975), che permise di utilizzare le vie interne lungo il corso del Danubio attraverso i Balcani, pur rischiando molto essendo una rotta terrestre pericolosa, fin quando la penisola balcanica non fu interamente amministrata dalla capitale bizantina a partire dal 1019, ed instaurando un più sicuro percorso bivalente dove si poteva viaggiare unicamente via terra, superando la frontiera est a Belgrado e dirigendosi fino Costantinopoli attraverso Sofia ed Adrianopoli, questo nel caso, come abbiamo già detto, solo per i percorsi terrestri che solitamente erano utilizzati da piccoli contingenti di pellegrini e modesti commercianti, solitamente anche singoli.
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Nel caso invece si trattasse d’ingenti numeri pellegrinali o di alte cariche e personalità varie, era considerato ragionevole scegliere di passare la frontiera a Termoli ed imbarcarsi, o in loco, o nelle rispettive città portuali pugliesi, per raggiungere le città costiere dalmate, specialmente Durazzo, da cui come si è già spiegato, passava la Via Egnatia, una delle celebri vie consolari d’età imperiale, realizzata nel 146 a.C. per volere del console macedone Gneo Egnazio, in primo luogo come implementazione di un collegamento tra le colonie romane che si diramarono dal territorio dalmata attraverso la Grecia e fino al Bosforo, divenuta in seguito una delle più importanti strade militari e commerciali, che univa l’Adriatico alle coste dell’Egeo sino Bisanzio, le cui più antiche testimonianze sono da ricondurre alla cronaca geografica di Strabone.
Nel percorso spirituale e mercantile, come spiegava il Runciman, era possibile attraversare detta via che si diramava nel suo seguito in ulteriori ‘’arterie’’ continuavano tramite l’Asia minore verso Antiochia arrivando nelle terre fatimite vicino Tortosa, definendo come le uniche frontiere da attraversare permettessero un percorso bivalente e sicuro lungo i territori orientali in raggiungimento della capitale ‘’Imperiale d’Oriente’’ e del tempio massimo della cristianità, l’antica Gerusalemme.
Unita alla preferibile scelta della frontiera termolese come accesso nel territorio italiano di dominio bizantino, vi era soprattutto nel duecento, la maggiore scelta delle vie di comunicazione dell’Italia meridionale al seguito soprattutto delle opere di riordino dei sistemi viari, volute dallo Stupor Mundi, che migliorarono di molto la praticabilità delle tratte intermedie che terminavano nella Puglia costiera, dove ruolo di spicco era dato dalle continuazioni di quella importante strada peregrinale che tutti conosciamo come Via Francigena, a sua volta munita di numerose arterie secondarie in varie regioni italiane, specialmente nel territorio garganico e molisano dove hanno tenuto l’originale toponomastica di ‘’Via Francisca’’ o ‘’Via della Francesca’’ da non confondere con la Via di San Francesco in Umbria e con l’originale Via Francigena del Nord-Ovest italiano che si ricollegava a Roma, quanto alla Francisca, nella regione molisana era un importante tratto di percorsi terrestri, capaci di ricollegarsi anche alle aree tirreniche come in precedenza si è potuto spiegare, seguite da eventuali tratturi, tratturelli ed ulteriori vie mercantili che facilitarono la comunicazione tra l’area costiera campana e quella del Nord di Capitanata e di altre parti del tavoliere.
Il collegamento tra lo stesso imperatore svevo e dei suoi affetti d’ambito ‘’mecenatico’’ con le crociate, è poi determinante visto che si riunirebbe anche ad una figura storica molto importante per l’occidente cristiano e soprattutto per il Molise, un uomo che si può dire abbia dato una spinta al cattolicesimo, lanciando una grande sfida alle gerarchie ecclesiastiche del XIII secolo, e da lì in poi ne sarebbe stata espansa la parola dai più fedeli.
Si parla ovviamente di San Francesco D’Assisi, collaboratore stretto e grande amico di Federico II, che seppe aiutarlo diplomaticamente nel corso della quinta crociata, e che come abbiamo spiegato nelle convenzioni passate sul Molise Federiciano e sulla viabilità centro-meridionale, il passaggio di Francesco potrebbe essere avvenuto proprio nella nostra regione, e soprattutto nella fortezza crociata di Termoli, dato che un dettaglio molto importante è la valenza agiografica del culto francescano nell’odierno Molise da memoria recondita, il che spiegherebbe il motivo della sua presenza nel motivare nobili e cavalieri della Contea di Molise e della Capitanata a dare il loro contributo nella crociata.
Questo ci ha permesso anche di ricollegare al porto di Termoli, un personaggio noto e poco valorizzato della cerchia Federiciana e Francescana, frate Elia Da Cortona, che qui avrebbe coadiuvato l’operato di Francesco e lo avrebbe quindi seguito verso Gerusalemme, e la sua presenza, all’andata oppure al ritorno, sarebbe collegabile proprio al cantiere della Cattedrale di Termoli, come una sorta di contributo in maniera eguale all’opera della Basilica di Assisi, che in questo caso si dimostrerebbe non con una firma epigrafica o documentata archivisticamente, ma con l’omaggio di una sua effige fisica nel programma iconografico stesso, visto che tra i tre personaggi che riposano ai piedi dei santi del portale maggiore, è posto ai piedi della statua danneggiata di destra, un uomo coricato sul lato sinistro, vestito da ciò che pare essere un saio o un panneggio semplice, che sia nel volto che nel copricapo, ci rimanda quasi in maniera decisa ai caratteri ‘’iconografici’’ di frate Elia, nelle sue più vecchie rappresentazioni postume, e che non è affatto passato inosservato visto che nel tempo si è sospettato fosse un cavaliere con zuccotto, ma non mantenendo i dettagli esecutivi d’ambito cavalleresco, forse a differenza degli altri due personaggi ai piedi dei vescovi San Basso e San Biagio.
Un dettaglio questo molto importante e soprattutto interessante che parrebbe garantire ancora una volta l’uso strategico del porto termolese come collegamento con l’oriente, ancor più sotto Federico II, e le cui ragioni si allargano anche con un dettaglio che altresì non possiamo dimenticare, quello dell’ubicazione di Termoli nel contesto geografico e delle principali rotte e metodi di navigazione dell’epoca, perché al tempo, le tratte commerciali e pellegrinali che necessitavano d’un attraversamento marino, erano condizionate fortemente dall’instabilità meteorologica stagionale e dalle condizioni ambientali e geomorfologiche dei porti e dello specchio d’acqua, che nel caso del Mare Adriatico si è sempre dimostrato storicamente instabile, specialmente nei periodi freddi.
Proprio la navigazione è il dettaglio fondamentale, perché nel XIII secolo e così anche nei secoli successivi seppur in maniera decrescente, si prediligeva la navigazione ‘’a vista’’, per via dell’assenza di strumentazioni sofisticate per facilitare la tratta ad ampio raggio.
La particolarità di Termoli è proprio quella della sua posizione in una zona perlopiù protetta dalle correnti di superficie in grado di dare filo da torcere ai marinai diretti reciprocamente tra le sponde dell’Adriatico orientale, organizzate in maniera precisa con sistemi talvolta naturali di rientranze, baie e golfi che permettevano spesso la protezione dalle varie incursioni e dai casi di instabilità delle condizioni atmosferiche, da cui non era comunque esente Termoli, la costa opposta era dunque raggiungibile con poche problematiche anche nella stagione fredda anche mediante rotte di cabotaggio, diramate prima verso le Isole Tremiti, intermediarie storiche tra l’Europa occidentale e il Medio-Oriente, distanti 25 miglia nautiche dalla città molisana, ed in seguito dopo 125 miglia si raggiunge la fortezza di Ragusa di Dalmazia, proseguendo come previsto dalla nostra ricostruzione, lungo la costa basso-adriatica per altre 108 miglia, superando le bocche di Cattaro e giungendo così alla città portuale di Durazzo che era garantita per le rotte commerciali come una delle più proficue, grazie anche del collegamento che permetteva con l’entroterra ricco di fonti idriche e terreni fertili, favorendo via via in maniera pressoché istituzionale gli interscambi tra Oriente e Occidente attraverso soprattutto la Via Egnatia che collegava i mari del bacino Mediterraneo con il Mar Nero, e le arterie sopracitate che la collegavano all’Oriente Mussulmano, dimostrando così per l’ennesima volta come mai furono favorevoli rotte e connessioni giuridiche con i porti di ambe due le coste orientali dell’Adriatico, e la motivazione degli enormi spostamenti delle colonie amalfitane in Capitanata, che avrebbero intrapreso una certa collaborazione con a loro modo con le cittadine sud-adriatiche, in cui la nostra città svolse il ruolo di tramite in questa specie di circuito economico concorrenziale dimostrata storicamente come afferma l’Aquilano, già tra XI e XII secolo nella città di Durazzo, periodo che corrisponderebbe proprio all’inizio della loro giunta nella ‘’contea termolana’’ tra dominio bizantino ed arrivo degli Altavilla normanni.
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Quanto alle famiglie che erano presenti nella città, riguardo alla loro identificazione se n’è già parlato in uno scorso articolo in cui abbiamo analizzato al dettaglio, forse per la prima volta della storia, le incisioni epigrafiche poste sui piedistalli dell’archivolto maggiore della cattedrale e in vari punti del programma iconografico come in una delle bifore cieche al lato destro dell’arco maggiore, e non sarebbe affatto strano se si pensa alle fitte colonizzazioni da parte di amalfitani, scalesi, ravellesi e salernitani all’interno del territorio apulo ed abruzzese, che qui costituirono una forma di aristocrazia in ambito mercantile, ottenendo cariche di sottoposti regi, legati ecclesiastici ed amministratori di beni e ricchezze ingenti, nonché l’appartenenza ad ordini religiosi e cavallereschi, che in Termoli sembra tutto riassumersi quasi perfettamente, e che ci ricollega senza alcun dubbio alla traslazione delle reliquie di Sant’Andrea nella costa campana tra Gaeta e la loro destinazione finale, Amalfi, nel cui percorso sarebbero giunte anche quelle di San Timoteo che per ragioni che abbiamo postulato verosimilmente, sono rimaste nella diocesi di Termoli, separate dal frammento di mandibola giunto in Francia.
La difficile interpretazione delle epigrafi presenti sulla cattedrale ci ha permesso, con l’aiuto dello storico Luigi Ragni, della professoressa Mariani e del Professor Aceto, di poter rintracciare i nomi di tre famiglie originarie della Repubblica Marinara di Amalfi, più precisamente in linea maggiore nella città di Ravello, riassunte nelle commissioni delle famiglie D’Afflitto, i Grimaldi o ‘’Di Grimoaldo’’, e i recenti Grisone o ‘’Frisone’’, legati strettamente ad una commissione ex-voto degli elementi decorativi, che ci da quasi una certezza di un diretto interesse volto alla situazione ecclesiastica del monumento, che li lega alle sue vicende e probabilmente proprio alla traslazione delle reliquie del santo martire e del ricavo che sarebbe derivato dalle circostanze di un tesoro così importante per una meta pellegrinale, nonché un denso legame agli ordini cavallereschi crociati che a Termoli si riassumevano nei possedimenti dell’Ordo di San Giovanni Gerosolimitano (Ospitalieri) e l’Ordine dei Cavalieri del Tempio, conosciuti in maniera vasta come Templari, ebbene vi era un forte legame tra le colonie amalfitane e le gerarchie degli ordini religiosi oltre che nomine di cariche del clero, vista la lunga lista di vescovi d’origine ravellese in più territori come abbiamo già esposto nella medesima identificazione delle famiglie sopracitate.
Quanto ai crociati, non possiamo non parlare di un legame nato prettamente dalle cariche che coprivano a loro volta gli amalfitani, insediatisi nelle cerchie federiciane ed angioine, nella zecca come maggiori esponenti della produzione monetaria del regno, per poi non tralasciare la funzione diretta con le rotte orientali che garantivano un aiuto non di poco conto per i crociati in quanto allo stesso tempo amalfitani e ravellesi furono grandi armatori nei porti apuli e abruzzesi, in grado di procurare loro le navi per la partenza e il ritorno, e quindi le rotte privilegiate da loro usate per il commercio, e questa loro utilità durò sino al rinascimento, anche dopo il periodo delle prime crociate della cristianità.
Il loro legame con le crociate li rese celebri ovviamente anche per il commercio delle reliquie come avvenne per la traslazione dei resti mortali di San Nicola di Mira nel 1087, durante una spedizione mercantile per Antiochia, al contrario di come si pensava nella cronaca locale barese, secondo cui a condurre il santo sarebbero stati dei semplici pescatori, mentre nella realtà si trattava di veri e propri commercianti con una certa familiarità per i grandi mercati d’oriente.
Per i personaggi invece appartenuti direttamente ad ordini cavallereschi, ricordiamo anche qui del fondatore scalese dei Cavalieri Ospitalieri, Fra Gerardo Sasso, che si riaccomuna con la figura di Alfano Da Termoli, essendo lui secondo un nostro studio corrente, cavaliere ospitaliero nella quinta crociata, e verosimilmente anche per le origini della famiglia degli Alfano, di cui egli faceva parte, proveniente dalla città di Scala.
Tra i templari invece spicca la famiglia amalfitana D’Afflitto, egualmente importante tra quelle fondatrici degli Ospitalieri ma che in questo caso è invece rappresentata da Don Camponello D’Afflitto, signore di Rodegaldo, Redine e della Molpa, che nel 1235 ricopriva la carica di Gran Maestro dell’Ordine dei Templari.
Tornando allo stesso Alfano per il concetto del dinamismo culturale delle maestranze centro-meridionali, nella fattispecie dell’ambito Romanico Pugliese, troviamo una sequenza di contatti tra magister pugliesi e committenze amalfitane, che hanno verosimilmente contribuito, assieme all’importazione di opere e manovalanza artistica medio-orientale, alla nascita di questo variegato panorama del romanico tra Campania, Abruzzi, Puglia e Lucania, per non dimenticarci la Calabria superiore.
Celebri commissioni che seguono l’opera del pulpito di San Giovanni in Toro del maestro Alfano, c’è la committenza della famiglia Muscettola del nuovo portone bronzeo del Duomo di Ravello al magister Barisano Da Trani, svolta da una bottega costantinopolitana, e nello stesso tempio seguita dall’esecuzione del pulpito marmoreo svolto da uno degli eredi più importanti della storia del Romanico della scuola foggiana, Nicola di Bartolomeo Da Foggia, nell’ultima metà del XIII secolo.
Per continuare sulla presenza templare nella nostra regione, attualmente sono rilevabili numerosissime documentazioni che attestano in modo certo la presenza dell’ordine nella nostra regione, seppure molti di tali segni sono sfuggiti agli occhi di molti amministratori locali della cultura storica regionale, in special modo da coloro che hanno ritenuto priva di fondamento la presenza di crociati nelle terre molisane, svalutando molto la veridicità storica di queste entità e travisandone la storiografia, basandosi sulla visione contemporanea e che definirei complottistica ed antistorica dove vengono visti come una vera e propria setta volta alla sovversione del potere mondiale, mista alla massoneria ed esoterismo vario, facendo piombare la critica stoica della sfera templare nel più assurdo ridicolo, cosa che invece noi stiamo cercando di ripulire interamente e parlando solo ed esclusivamente con i piedi per terra e postulando teorie sensate e praticabili, nulla che abbia a che fare con assurdità da programma televisivo scadente del ventunesimo secolo.
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Si è già parlato in precedenza di numerosi documenti che citano l’esistenza di terre e di infrastrutture appartenute all’ordine dei Templari, dall’alto Molise alla costa, e qui ne riporto brevemente i nomi, come il Quaternus De Excadenciis et Revocationis Capitanate’’ redatto intorno al 1249, ed al cui interno è ben definito che al contrario delle altre domus crociate di Capitanata, quella termolese e troiana rimasero illese e in regolare possesso, segno questo di un legame stretto in questi casi con la figura dell’imperatore, seguite poi dalle documentazioni conservate nella biblioteca nazionale di Parigi e riportate dalla professoressa Capone in ‘’I Templari nel Molise’’, documento del 1373, dove tra le varie domus passate agli Ospitalieri dopo lo scioglimento al seguito della scomunica, e l’arresto avutosi nel 13 ottobre 1307 per volere del Re di Francia Filippo il Bello.
Al seguito di ciò, e delle due bolle papali del 1318 e del 1345 sulla damnatio memoriae di tutto ciò che riguardasse l’ordine, tutti i beni da esso posseduto passarono automaticamente all’Ordine Ospitaliero ed eventualmente in molti casi, alle diocesi locali come accadde anche per una delle Domus di San Marco, posseduta dal vescovo Bartolomeo Aldomaresco e contesa con l’Ordo Giovannita per un disguido giuridico interno.
Nel documento della Capone fanno capolino come commende all’interno del Gran Priorato di Capua, anche le domus di Ferrazzano e di Tappino, rispettivamente amministrate da Fra Simon De La Tour e Fra Nicola Da Collalto.
Altro documento di rilevante importanza è quello che siamo riusciti a rinvenire, già citato dal Guerrieri nel libro ‘’I Cavalieri Templari nel Regno di Sicilia’’, trascritto nell’anno 1309 dove appunto vengono citate le commende un tempo appartenute ai templari, una dedicata a San Giacomo, nella omonima località attuale di San Giacomo degli Schiavoni, e la seconda dedicata a San Marco Evangelista, in zona del ‘’Pantano’’, area ancora esistente che compare anche in un atto notarile di alcune famiglie amalfitane risiedute a Termoli.
Quanto alla commenda di San Giacomo, abbiamo potuto rintracciare ed ovviamente scannerizzare, lo stralcio di una classica cartografia gregoriana del 1816 conservata negli archivi della Cattedrale termolese, che descrive con precisione le divisioni territoriali e i toponimi di almeno due secoli fa, e in cui in una zona confinante con il comune di San Giacomo, si può facilmente leggere la parola Commenda di Malta, seguita da aree che presentano antiche strutture dirute, il tutto sarebbe certo ricollegabile alla antica commenda crociata, passata solo al seguito dello scioglimento dei Templari, all’ordine degli Ospitalieri, e ne deriva anche una frequentazione prolungata nel luogo visto il cambiamento dell’ordine giovannita ospitaliero nel successivo Ordine dei Cavalieri di Malta a partire dal XVI secolo, forse il tutto andato in rovina dopo l’assalto turco del 1566 o il terremoto del 1627.
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Certo è di enorme difficoltà la comprensione del documento, che vi riproporremo in futuro con una nostra traduzione o adattamento affinché sarà fruibile a voi lettori.
Quanto a Termoli, vi sono alcuni legami anche fisici, o per meglio dire, repertuali, che ci portano a vedere i molteplici simboli del lessico sacro adoperati in più epoche della cristianità, ma di enorme uso soprattutto sotto la presenza dei crociati che nel caso dei Templari si occupavano del flusso pllegrinale lungo la penisola e in Terrasanta, e Termoli svolgeva tipicamente la funzione di una località ‘’tappa’’ delle vie dei pellegrinaggi, soprattutto al seguito dell’arrivo delle reliquie di San Timoteo, e già per via dell’attività portuale di cui usufruirono gli stessi cavalieri, in collaborazione con il patriziato amalfitano.
Sia negli interni e negli esterni della basilica cattedrale sono presenti molteplici segni di questa loro frequentazione, a partire dalle croci patenti che possono essere considerate in tale caso come croci ex-voto dei cavalieri di ritorno dalla crociata, come segno di devozione e gratitudine, stessa cosa che era eseguita anche dai pellegrini con molteplici modalità seppur di incerta e irregolare fattura.
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Tra gli altri simboli che si possono ammirare, c’è anche la croce del calvario posta in una delle lesene laterali della facciata rivolta a Nord, alla destra della modesta porta laterale murata, simbolo che nella fattispecie viene attribuito alla presenza di un tempio fisico, e talvolta legata all’esistenza di una commanderia, che probabilmente godeva di una Domus Templi posta, sempre secondo le nostre desunzioni, nelle vaste aree ipogee rinvenute nelle fondazioni del palazzo vescovile di Termoli, dov’è stata rinvenuta negli anni 90 del ‘900, una vasta necropoli d’età tardoantica con intervalli del basso medioevo, tra cui per completare il tutto, spicca la sepoltura di un corpo rinvenuto con un saio di colore scuro, una spada altamente danneggiata dal tempo, e un anello d’oro di fattura pressoché grezza, al pari d’un chiodo battuto che nella sua testa mostra una Croce di Amalfi, con i lati a coda di Rondine, emblema dell’ordine dei Giovanniti appunto, come si ripete in una più bizzarra sepoltura localizzata invece nella fondazione della torre campanaria, contro il muro perimetrale interno al vano, dove fece capolino il frammento di una Deesis, scolpito su una placchetta in steatite, un minerale che solitamente era utilizzato per la produzione di queste icone votive e formelle bizantine, in sostituzione dell’avorio e talvolta svolte anche in legno seppur in maniera più rara.
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L’effige della placchetta mostra come era già evidente, la figura di San Giovanni Battista nell’atto dell’intercessione, al cospetto probabilmente del pantocrator troneggiante, e seguendo l’identificazione svolta dall’iconologo romano Ivan Polverari, presenterebbe proprio le sembianze iconografiche del battista, nonché la denominazione epigrafica in alto a destra, dove si legge ancora in caratteri greci, la parola ‘’Prodromos’’ che vuol dire ‘’Precursore’’, e non ‘’martire di Cristo’’ come si era erroneamente pensato.
La presenza degli ospitalieri farebbe già intendere ad un complesso ecclesiastico molto vasto, compreso di una domus, e forse di un ospedale che era invece gestito proprio dai Giovanniti, ai quali sarebbe appartenuto proprio Alfano da Termoli, probabile possessore della placchetta votiva di San Giovanni.
I simboli continuano con la presenza di un più celebre ‘’amuleto’’ del mondo cristiano, il nodo di Salomone, che sarebbe per altro ascrivibile ad altre sue rappresentazioni nella regione come il più acclamato di Petrella Tifernina nel portale laterale di San Giorgio Martire, con il più elegante e prezioso labirinto unicursale sormontato da due volatili, posto nella prima colonna sinistra della basilica altomolisana, seguita da un altro famoso reperto, ossia la Tavola della formula SATOR nella chiesa di Santa Maria Ester di Acquaviva Collecroce.
Però nel caso del nodo di Termoli, ad unica stringa, si può notare come esso sia stato eseguito in una maniera semplice e soprattutto in una zona davvero molto particolare della Cattedrale che è il presbiterio, una zona molto vicina al pavimento tra l’altro, che forse lascia intendere una apposizione dovuta alla presenza in loco delle reliquie di San Timoteo, dove il simbolo sarebbe stato scolpito per volere o mano di un cavaliere appartenente all’ordine, affinché esorcizzasse nella mentalità cristiana medievale, la possibilità che le reliquie fossero trovate e trafugate dal pozzo fatto costruire dal Vescovo Stephanus, il che ce lo fa datare all’incirca nel 1239 o poco prima dell’assalto veneziano che colpì la cittadina.
Questa piccola parentesi sembra quasi confermare definitivamente il legame tra i crociati e i resti del santo, unite come si è mostrato in precedenza dalla documentazione che attesta i suoi resti tra gli oggetti trafugati da essi nel sacco di Costantinopoli, come se fosse cosa risaputa già nel suo tempo vista la grande risonanza che questo evento ebbe in Europa, a danno di una delle più importanti località della sfera cristiana dopo Roma, Gerusalemme e Compostela.
Pertanto si passerà ora alla discussione di questa nuova teoria, solo ora che abbiamo appurato tutti i passaggi che ne hanno permesso la formazione in questi anni, uno studio che portiamo avanti da ben quindici anni se non si considerano le ricerche pregresse ed esaustive nell’ambito storico ed agiografico della diocesi termolese e del suo tesoro reliquiario, dove diversi avvenimenti ci hanno concesso proprio di poter ricostruire anche le azioni di un importante teologo e legato papale dell’Italia Meridionale duecentesca.
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La traslazione dei resti del Santo Andrea per mano del prelato Pietro Capuano, ci è riportata da alcuni cronisti contemporanei e posteriori al cardinale amalfitano, che però persistono tutte in un ammanco fondamentale di informazioni a noi utili sulle vicende, come si appura ad esempio nella molto dettagliata ‘’Matthaei Amalphitani archidiaconi translatio Corporis S. Adree Apostoli de Constantinopoli in Amalphim’’, di Matteo Gariofalo, collaboratore storico del Capuano, dove anche nella riedizione di poco successiva, unica copia esistente della prima andata inesorabilmente perduta, viene specificata la partenza del perlato dalla città di Costantinopoli come avvenuta ‘’via mare’’ e con una forte ovazione e dimostrazione affettiva dei devoti che lo circondavano, anche se parrebbe alquanto fantasiosa come versione, non rimaneggiata unicamente in questa occasione ma che in tante altre missioni di illustri personaggi storici, come scopo esaltativo, per cui ci viene naturale credere che la partenza per la penisola italiana sia avvenuta in maniera molto più ‘’sottotono’’, se non addirittura segreta per l’ingente bottino ch’egli portava con se e con i suoi collaboratori, e l’omissione del porto di partenza lascia altresì molto perplessi, proprio per definirvi quale fosse l’informazione più importante che a noi serviva a scopo di studio, mancante alche nelle altre versioni e postulata come probabile arrivo nella costa campana solo nell’attuale secolo, essendo priva di una descrizione che abbia mai spiegato il viaggio compiuto dal cardinale e degli scali e vie interne che ha dovuto attraversare con un così elevato rischio, portandoci quindi a credere che anch’egli si fosse affidato, come altri nel passato, ad una rotta già ben strutturata e trafficata dalle genti della repubblica amalfitana, dove intercorrevano già collaborazioni politiche ed economiche tra le due coste e si denotava una già instaurata presenza di commanderie crociate, templari ed ospitaliere, tutti requisiti che rendevano la città portuale di Termoli il mezzo prediletto per questo tragitto.
Egli dunque per garantirsi una protezione ed un aiuto nello scortare il tesoro bizantino lontano dalla capitale romana d’oriente, sarebbe stato coadiuvato certamente dai Templari e dai Giovanniti, seguito dai suoi stretti collaboratori del capitolo, assieme ai quali avrebbe dunque attraversato la Via Egnatia in cui si diramavano molte tappe di sosta sicura con delle commende ed ospitali che permettevano anche il cambio dei cavalli e ristoro dei viandanti, prima di raggiungere il porto di Durazzo da cui i commercianti amalfitani avrebbero gli avrebbero garantito un viaggio sicuro dai rischi delle scorrerie e delle avversità meteorologiche che avrebbero messo a repentaglio l’equipaggio ed ovviamente il ricco reliquiario, prima attraversando le bocche di Cattaro rimanendo in linea con la costa, così da arrivare nelle circostanze della repubblica ragusea, e da intraprendere il viaggio tenendosi in direzione delle Isole Tremiti, altra probabile tappa del prelato, prima di poter finalmente arrivare al porto della fortezza federiciana di Termoli, dove egli sarebbe sbarcato lasciandovi le reliquie del Santo Timoteo per svariati motivi possibili, che noi crediamo di matrice economica piuttosto che religiosa.
Una delle teorie prevederebbe questa sorta di pegno da tenere in sospeso con i cavalieri crociati ed i commercianti amalfitani, che ivi risiedevano e tenevano loro proprietà, per l’impossibilità momentanea nel ripagare il suo seguito militare e mercantile per i servigi rivoltigli nel percorso difficoltoso, pratica per cui non sono estranei i crociati ed in special modo i Templari che erano ritenuti storicamente grandi commercianti di reliquie, dalle quali derivava l’economia a loro stessi corrispondente, tra l’attività commendataria e quella della scorta dei pellegrini, un sistema molto ben strutturato e preciso che ha garantito loro l’oneroso numero di ricchezze che li avrebbe portati alle tragiche vicende della loro soppressione nel primo ‘300.
Stessa cosa avvenne per esempio con il cranio di San Policarpo, che era stata concessa ai templari dall’abate del Tempio di Gerusalemme in cambio d’un prestito economico che non verrà mai retribuito, permettendo ai cavalieri di possederla nel tempio di San Giovanni d’Acri, tradotta in Cipro solamente al seguito della caduta della fortezza crociata.
Sul suo ritorno verso Gaeta e poi ad Amalfi, è plausibile che il cardinale e il suo seguito abbiano percorso una delle vie comunicative che abbiamo avuto modo di descrivere in precedenza, molto conosciute e adoperate dai commercianti amalfitani diretti verso le fiere ed i grandi porti pugliesi di stampo orientale, per poter raggiungere con facilità e rapidità le reciproche sponde italiane, ripercorrendo da Termoli attraverso le prime città del basso Biferno tra Guglionesi e Larino, per raggiungere attraverso la Capitanata prima San Paolo di Civitate, Lucera e Troia, dove si ripercorre un breve tratto della Via Traiana che permette di arrivare direttamente a Benevento, e tramite il valico dei Lattari, giungere finalmente a Capua, Napoli e infine alla Costiera Amalfitana, un percorso che potrebbe riassumere facilmente le tante motivazioni del perché Termoli e le città costiere della Capitanata e Terra di Bari, fossero risultate di grande interesse per le importanti famiglie di mercanti, giurati e maestranze d’origine campana.
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Certo ci sono molteplici ragioni che necessitano di una ulteriore spiegazione sull’opera del Capuano tra Terrasanta e Costantinopoli nel periodo di durata della quarta crociata sino al biennio successivo, e di una certa verosimiglianza con ulteriori dettagli da non trascurare, a favore di tale teoria.
Anzitutto c’è da discutere di come più personalità trafugarono l’enorme numero di ricchezze di un solo luogo dal quale si diramarono in ogni dove nell’Europa occidentale ed orientale, dove si era anche a rischio di scomunica in caso di tratta dei resti sacri, a causa del deplorevole esito arrivato alle orecchie della sede pontificia che lo accolse in maniera bipolare se si può dire.
Tra gli oggetti trafugati si ritrova un enorme numero di pezzi collegati alla passione di Cristo, giunti nelle mani di personaggi come il francese neo-principe di Atene, De la Roche, una delle personalità legate all’arrivo della sacra sindone nel territorio francese dal 1226, qualche anno prima della sua morte.
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Al contempo vediamo infatti come al seguito della sottomissione di Costantinopoli e la nuova nomina imperiale di Baldovino, numerose cariche europee, francesi e non, si diressero a Costantinopoli per goderne delle ricchezze, come anche fece il Capuano contro l’opinione di Innocenzo III che lo rimproverò di aver abbandonato in grave pericolo la Terrasanta, portando i crociati e il suo seguito nella capitale bizantina per assolvere alle problematiche amministrative del clero al quale si era rivolto lo stesso neo-imperatore.
Questa forte vicinanza tra i cavalieri e i sottoposti francesi deriverebbe da tempo recondito, forse a partire dalla sua formazione teologica nella sede di Notre Dame De Paris sotto Pietro Lombardo, e nelle cui sedi avrebbe fatto giungere le ulteriori reliquie, come pegno o pagamento, nelle rispettive chiese di Saint Denis, nella Cattedrale di Langres e probabilmente anche all’abbazia di San Giovanni in Vineis di Soisson, nella quale giunse nel 1205 il frammento di mandibola appartenente proprio a San Timoteo, mandato forse proprio nello stesso anno in cui il Capuano venne richiamato a Costantinopoli e che garantisce una sua entrata in possesso dei resti del santo co-patrono di Termoli fino al rientro in centro-Italia.
In tutto ciò il Capuano restò a Costantinopoli sino al 1206-‘207, finché la situazione politica bizantina non si fosse ristabilita, ed al suo rientro in Italia spartì il grosso bottino reliquiario con numerose città campane tra Napoli, Sorrento, Gaeta e Capua, tenendo per la sua diocesi le preziose ossa di Sant’Andrea, occultate tempestivamente prima che il subentrato Papa Onorio III ne richiedesse la traslazione a Roma.
Per San Timoteo probabilmente non era stata pensata una totale occultazione delle ossa in una maniera improvvisa ma si sarebbe sicuramente svolta nel corso del cantiere federiciano della Cattedrale Termolese, una sorta di Succorpo o altare ad egli dedicato, scelta che probabilmente non fu mai assolta a causa dell’interruzione del cantiere dovuta forse all’assalto veneziano del 1240, tanto che l’allora vescovo Stefano avrebbe scelto di velocizzare la realizzazione di un piccolo sepolcro, o meglio, di un nascondiglio al fine di salvare le sacre ossa dall’inevitabile furto, pur se non venne risparmiata da questo la cattedrale, vedendosi depredata di molti marmi preziosi, suppellettili e ricche opere scultoree, che hanno denotato una marcata differenza tra le due riprese dei lavori, in evidente discontinuità stilistica tra la fine del XII secolo, la prima parte del XIII e l’ultima metà del ‘200, con un ricco susseguirsi di maestranze e di committenze guidate dall’importanza del tempio termolese, del suo tesoro diocesano e della posizione che Termoli svolgeva nel contesto storico dell’Italia centrale.
In ogni caso l’occultamento fu determinante per la cancellazione che subì il culto timoteano per la cittadina termolese, visto che perse di rilevanza dopo la scomparsa del corpo, cancellato dalla memoria dei cittadini nei vari secoli, che potevano solo affidarsi alla memoria dei pochi oggetti del tesoro capitolare come i reliquiari che proteggono ancora oggi i resti mortali del Santo, e la stessa Caput Thimothei, parte superiore del cranio del vescovo di Efeso, conservato nel reliquiario argenteo di fabbricazione duecentesca, segno del culto in loco già ad allora, proprio con il suo arrivo nella fortezza termolese.
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È altresì probabile secondo la nostra teoria che il lungo tempo intercorso tra l’arrivo e la reale celebrazione ed ufficializzazione della presenza in Termoli la si debba proprio al verosimile contenzioso economico tra il cardinale Capuano e l’ordine templare ed ospitaliero, nonché il rischio ancora vigile della richiesta di una traslazione a Roma ancor prima che fossero terminati i lavori del cantiere federiciano di Termoli, richiesta che avrebbe certamente danneggiato la condizione economica che tale evento portò alla città termolese, tanto da garantirne la segretezza almeno fino alla prima metà del XIII secolo.
Si spera che in futuro si potrà essere in grado di comprovare queste postulazioni, con numerose altre documentazioni ed eventuali contributi da parte di esperti del settore storiografico.
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Bibliografie di riferimento:
Storia delle Crociate, S. Runciman, 1993.
Il Lago di Tiberiade sul mare di Amalfi; Sant’Andrea, Pietro Capuano, la chiesa e la società amalfitana alla soglia del duecento, Giuseppe Gargano, 2008.
Insediamenti, popolamento e commercio nel contesto costiero abruzzese e molisano, (Sec. XI-XIV), D. Aquilano, 1997.
Memorie Storico-diplomatiche dell’antica città e ducato di Amalfi, M. Camera, 1876, ristampa del 1999.
Due cattedrali del Molise, Termoli e Larino, Maria Stella Calò Mariani, 1979.
Il Duomo di Termoli, don Luigi Ragni, 1907.
Foggia e la Capitanata nel Quaternus Excadenciarum di Federico II di Svevia, G. De Troia, 1994.
I cavalieri Templari, i templari nel Lazio, G. Curzi, 2008.
I Templari nel Molise, le domus di Tappino e di Ferrazzano, in atti del XIV convegno di ricerche templari, B. Capone, 1996-1997.
Vestigia Templari in Italia, B. Capone, 1979.
Sulle Tracce dei Templari, i cavalieri del Tempio dalla Terrasanta al Molise, C. Di Paola D’Ortona, 2002.
Il Molise dalle origini ai nostri giorni, volume quarto, il circondario di Larino, G. Masciotta, 1988.
I Templari e il culto delle reliquie, in I Templari, mito e storia, atti del convegno Poggibonsi, F. Tommasi, maggio 1987, 2002.
Magistri e cantieri nel Regnum Siciliae, l’Abruzzo e la cerchia federiciana, Francesco Aceto, 1990.
Le reliquie dei Templari, negli atti del XXIX convegno di ricerche templari, abbazia di Casamari, L. Imperio, 2011.
Il mezzogiorno svevo e la quarta crociata, atti della XIV giornata normanna-sveva, M. Balard, 2000.
Quarta Crociata; Venezia-Bisanzio-Impero Latino, G. Ortalli, P. Schreiner, G. Ravegnani, 2006.
Racconti della quarta crociata, tratti dalle prose di Robert de Clary e di Jofroy de Vilehardoin, V. De Bartholomaeis, Robert de Clary, 1904.
La conquista di Costantinopoli durante la IV crociata di Niceta Coniata, F. Conca, 1981.
La caduta di Costantinopoli, 1204: fonti bizantine e occidentali sulla Quarta crociata, testi presentati in occasione del Convegno "Venezia, la Quarta crociata, l'impero latino d'Oriente", Dipartimento di studi storici, Università Ca' Foscari, 2004.
The Fourth Crusade, the conquest of Constantinople with an essay on primary sources di Alfred J. Andrea, Università della Pennsylvania, D.E. Queller, T.F. Madden, 2000.
Urbs Capta; La IV croisade et ses conséquences, A. Laiou, 2005.
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giancarlonicoli · 7 months
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3 ott 2023 11:09
“DIFENDIAMO QUALSIASI ANIMALE IN VIA DI ESTINZIONE, MA NON SIAMO DISPOSTI A FARE NIENTE PER GLI ARMENI” – LUCETTA SCARAFFIA: “IL MOTIVO DI QUESTO VERGOGNOSO SILENZIO STA NELLA NECESSITÀ DI COMPRARE IL GAS DELL'AZERBAIGIAN, E NELLA DIPENDENZA DA ERDOGAN, MA FORSE STA ANCHE NELLA DIFFICOLTÀ PER NOI EUROPEI SECOLARIZZATI DI SENTIRE QUEGLI ANTICHI CRISTIANI VICINI A NOI. IL PAPA STESSO LI HA SEMPRE DIFESI DEBOLMENTE. I RICCHI REGALI CON CUI IL GOVERNO AZERO SI CONQUISTA LE SIMPATIE DEI POLITICI EUROPEI FORSE SONO ARRIVATI ANCHE IN VATICANO…” -
Estratto dell’articolo di Lucetta Scaraffia per “La Stampa”
Siamo disponibili a difendere qualsiasi animale in via di estinzione, ma evidentemente non siamo disposti a fare niente per gli armeni del Nagorno Karabakh: chi ha scritto che più di 100.000 armeni in pochi giorni stanno abbandonando come profughi la loro terra sbaglia.
Non hanno scelto di abbandonare una terra alla quale sono legati da secoli, non hanno scelto di abbandonare le loro antichissime chiese e i loro monasteri, che saranno distrutti con i bulldozer: sono stati costretti a farlo per salvarsi la vita.
L'Unione europea non ha mosso un dito per protestare contro gli azeri, per fermare la cacciata di un popolo antico dalla terra che occupava da millenni. Anzi, insistono con il chiamare gli armeni del Nagorno Karabakh separatisti, sposando il punto di vista azero. Come può essere considerato separatista un popolo che vive in quel territorio, senza mai averlo lasciato, da 2500 anni?
Il motivo di questo vergognoso silenzio sta nella necessità di comprare il gas dell'Azerbaigian, e nella dipendenza da Erdogan, che può liberare valanghe di immigrati verso i nostri confini.
Ma forse sta anche in qualcosa di più profondo, cioè dalla difficoltà per noi europei secolarizzati di sentire quegli antichi cristiani, ancora appassionatamente legati alla loro tradizione religiosa, vicini a noi, simili a noi, quindi avamposto orientale di una cultura europea da difendere.
[…] Li vediamo come portatori di qualcosa di antico e lontano, che forse ci pare classificabile come folclore più che come una religione moderna e rispettabile. Il Papa stesso li ha sempre difesi debolmente. Del resto i ricchi regali con cui il governo azero si conquista le simpatie dei politici europei – condito da chili di fantastico caviale, Le monde parla di "diplomazia del caviale" – forse sono arrivati anche in Vaticano. O almeno sono stati ben visti i soldi per i restauri delle catacombe di Commodilla e di alcuni dei preziosi beni artistici conservati in San Pietro, tanto che la moglie del presidente azero Aliyev è stata insignita della più alta onorificenza vaticana riservata ai laici.
Sì, sembra proprio che il dolore degli armeni infastidisca tutti, e tutti pensino che comunque non sono affari che ci riguardano come europei. Invece ci riguardano e ci riguarderanno: i turchi infatti non nascondono il progetto di passare alla conquista dell'intera Armenia, considerata una inutile enclave incuneata nel mondo islamico.
Il progetto di genocidio che sembrava sventato dopo la prima guerra mondiale troverà così completa realizzazione, e proprio sotto i nostri occhi indifferenti. […] L'Occidente è pronto a rinnegare perfino le proprie origini pur di non pagare il prezzo che il coraggio comporta.
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viaggianteviaggi · 1 year
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Viaggio a Roma, la città eterna
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Se vuoi visitare una delle città più affascinanti del mondo devi fare un viaggio a Roma. È una città che collega contemporaneamente il presente e il passato in un modo che poche altre città possono fare. Dalla sua ricca storia alla vivace cultura che caratterizza le sue strade, c'è così tanto da esplorare a Roma.Una delle cose più sorprendenti di Roma è la sua architettura. Splendidi edifici punteggiano il paesaggio urbano, dalle antiche rovine romane alle grandiose chiese barocche. Il Pantheon è assolutamente da visitare, con la sua cupola torreggiante e l'intricato design lasciato dai romani. Il Colosseo è altrettanto impressionante e un luogo eccellente per conoscere le gare dei gladiatori e l'Impero Romano. La Città del Vaticano, situata all'interno di Roma, vanta la magnifica Basilica di San Pietro, uno dei più grandi edifici religiosi del mondo.Ma Roma non è solo storia e architettura. Riguarda anche le persone e la vita di strada. Passeggia per le strette strade acciottolate di Trastevere e goditi i venditori locali che vendono frutta, verdura e antipasti. Oppure visita la vivace Piazza Navona, che ha un'atmosfera carnevalesca ed è sempre piena di attività. Le strade e le piazze sono piene di gente che cammina, parla e si gode l'atmosfera vibrante.
Lo splendore di Roma: l'età d'oro dei Cesari
Poi c'è il cibo. La cucina romana è famosa in tutto il mondo per i suoi sapori semplici ma deliziosi. Gli ingredienti sono freschi e ricchi di sapore e c'è sempre qualcosa di nuovo da provare. I piatti di pasta sono assolutamente da provare, con cacio e pepe e carbonara particolarmente apprezzati. E non dimentichiamo la pizza, che viene cotta alla perfezione nel forno a legna, assicurando che la crosta sia croccante e i condimenti perfettamente sciolti.Dopo aver assaggiato la cucina locale, è tempo di esplorare i musei e le gallerie di Roma. I Musei Vaticani sono assolutamente da visitare, con la loro impressionante collezione di arte e manufatti. La Galleria Borghese è un altro ottimo posto da esplorare, con la sua vasta collezione di dipinti, sculture e oggetti d'antiquariato. E assicurati di visitare il Museo Nazionale di Roma, che ospita manufatti e opere d'arte dell'antica Roma.
Viaggio a Roma: potere, politica e arte
Naturalmente, nessun viaggio a Roma è completo senza una visita alla Fontana di Trevi. Si dice che lanciare una moneta nella fontana assicuri il tuo ritorno a Roma, quindi assicurati di esprimere un desiderio mentre lanci la moneta. Un'altra destinazione popolare è Piazza di Spagna, una testimonianza della grandezza e dell'eleganza dell'architettura barocca italiana. Sopra i gradini, la chiesa di Trinità dei Monti si erge maestosa in cima alla collina, offrendo una splendida vista sulla città sottostante.Roma è anche conosciuta per i suoi numerosi festival ed eventi durante tutto l'anno. Uno dei più grandi è l'annuale Carnevale di Roma, che si svolge a febbraio. Durante questo periodo, la città si trasforma in una festa vivace, con sfilate, costumi e artisti. E, naturalmente, c'è la Festa del Cinema di Roma, che attira in città alcuni dei più grandi nomi del cinema.Tutto sommato, Roma offre qualcosa per tutti. Che tu sia interessato alla storia, all'architettura, al cibo o alla cultura, c'è sempre qualcosa di nuovo da esplorare. E, soprattutto, puoi fare tutto circondati dalla bellezza e dal fascino di una delle città più affascinanti del mondo.Seguici per altre mete di viaggio in Italia. Read the full article
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micro961 · 1 year
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Mariella Lentini - “Santi compagni guida per tutti i giorni”
È arrivato alla terza edizione il libro della giornalista e scrittrice
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 Raggi di luce per il nostro cammino. E come i naviganti, nella notte buia, seguono la luce del faro, unica via verso la salvezza, i credenti, pregando, si rivolgono ai santi, fari di luce e di speranza, certi di trovare in loro guida, conforto, aiuto.
È arrivato alla terza edizione il libro della giornalista Mariella Lentini "Santi compagni guida per tutti i giorni" (Edizioni Espansione Grafica). Il saggio (478 pagine, tutto illustrato a colori) descrive vita, opere, miracoli e preziosi insegnamenti di 365 santi e beati, uno al giorno, di ogni epoca e di tutto il mondo. Dalla Mamma Celeste a San Giuseppe, da San Francesco a Santa Chiara, e poi Antonio da Padova, Rita da Cascia, Pio da Pietrelcina, gli Arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, San Martino, Santi Pietro e Paolo, gli evangelisti Marco, Matteo, Luca e Giovanni, Don Bosco e Don Gnocchi, il Papa buono Angelo Roncalli, Papa Giovanni Paolo II, San Carlo Borromeo, Madre Teresa di Calcutta, Teresa d'Avila e Teresa di Lisieux, l'Angelo Custode, Sant'Agnese, Santa Rosalia, San Rocco, San Benedetto da Norcia, Mamma Margherita Occhiena, Santa Ildegarda, San Nicola di Bari... e tanti altri personaggi. Santi compagni guida per tutti i giorni è un libro dedicato soprattutto ai giovani, ai ragazzi di buona volontà, attenti ai bisogni della collettività, meno individualisti, capaci di credere nel cambiamento, di lottare per difendere e diffondere il Bene. I valori passano da giovani agli adulti e dalla questione ambientale, tanto sentita dai giovani di oggi, ad altre istanze il passo è breve, contro la guerra (nel mondo, in famiglia e dentro ognuno di noi) lo sfruttamento del lavoro, il divario tra ricchi e poveri, il disimpegno politico, sociale e culturale. L'amore si trasmette attraverso molte vie, fra queste vi è l'esempio, potente strumento educativo che insegna valori importanti.
 La vita dei Santi è una preziosa documentazione che ci giunge come eco lontana ma che mantiene tutta la sua grande efficacia. Storie di persone come noi che con la propria vita hanno lasciato un forte segno d'amore e di speranza per continuare a diffonderli nel tempo, nel mondo, fra tutti noi. Una lettura che vuole prendere ispirazione da personaggi carismatici e forti pur nella loro fragilità umana. Un modo per incontrare culture, storie, missioni lontane ma allo stesso tempo vicine perché ognuno di noi può essere portatore di valori sani e diffonderne i benefici per tutta la collettività, presente e futura. Scritto in modo semplice e scorrevole, è adatto a tutti, bambini, giovani, adulti, anziani: per chi desidera apprendere la storia dell'umanità, un po' di geografia, conoscere storie avventurose e leggendarie, seguire l'esempio di donne e uomini speciali, eppure "normali" come tutti noi, per ritrovare la gioia di vivere e un vero senso da dare alla vita. Lo stesso Vaticano ha apprezzato questo impegnativo lavoro di ricerca e di scrittura di Mariella Lentini, durato tre anni, tanto che Papa Francesco ha inviato all'autrice una lettera di consenso e congratulazioni. I testi di questo libro vengono pubblicati nell'enciclopedia on line più autorevole e completa che ci sia sui santi e beati www.santiebeati.it diretta da Francesco Diani, e il quotidiano indipendente nazionale www.informazionecattolica.it on line (direttore Matteo Orlando) pubblica ogni giorno un testo tratto dal libro con audio biografia. "Radio Maria" ha trasmesso per oltre un anno vari testi del saggio, leggendoli integralmente, al mattino, nell'ambito della rubrica "Il santo del giorno". Il saggio è arricchito dalle presentazioni di Caterina Calabrese, nota giornalista e scrittrice, laureata in Scienze Religiose, Maria Rita Parsi, famosa psicoterapeuta e scrittrice e dall'Avvocato Giangiacomo Dapino, già responsabile diocesano del settore famiglia. Il volume si può ordinare su Amazon.
 Mariella Lentini
Mariella Lentini (nata a Palermo il 25 dicembre 1962), giornalista, scrittrice, addetto stampa, ha scritto per Il Giorno, Il Mediterraneo di Palermo, Confidenze, Cosmopolitan e collaborato con Rete 4 (Mediaset). Nel 1997 ha svolto attività di epistolografa (stesura di lettere d’amore su commissione) e nello stesso anno ha partecipato alla mostra del libro “Parole in tasca” al Castello di Belgioioso (PV), presentando una raccolta di sue lettere.
Nel 1999 ha pubblicato un saggio sui maltrattamenti in famiglia “Eclissi d’amore – Storie vere di maltrattamenti in famiglia, psicologi, fisici e sessuali, dagli anni Venti agli anni Novanta” (Espansione Grafica). Ha partecipato alla stesura di alcuni libri di Maria Rita Parsi, tra i quali: “L’alfabeto dei sentimenti” (Oscar Mondadori, 2003); “Ingrati” (Mondadori 2011).
Estimatrice della Regina Elisabetta Seconda, nel maggio del 2021 Mariella Lentini scrisse una lettera indirizzata al Castello di Windsor, dopo la morte dell’adorato marito Filippo Duca di Edimburgo, per manifestare alla Sovrana la propria ammirazione e vicinanza. Elisabetta Seconda rispose alla Lentini con una bellissima lettera, tramite una dama di corte.
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maertyrer · 4 years
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Pietro Ricchi St. Agatha
oil on canvas, 76 x 53 cm, 17th century
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