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#L'amore dura tre anni
dottssapatrizia · 3 months
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Quando si dorme con tante donne, in realtà è sempre la stessa. Cambia solamente di nome, pelle, altezza e voce. La lunghezza dei suoi capelli, la taglia del suo seno, il colore dei suoi vestiti possono evolversi. Ma le si ripetono sempre le stesse frasi, le si fanno le stesse cose, nello stesso ordine: <<mi piace il tuo profumo... vieni più vicina... ho paura di te... ho troppa voglia delle tue labbra...>>. Tutte queste parole ripetute tutte le sere a ragazze diverse, con lo sguardo meravigliato di un bambino che apre un pacco regalo. Il cambiamento induce alla ripetizione.
E' restare con la stessa che permette, paradossalmente, la novità. I Don Giovanni sono senza immaginazione, li crediamo stacanovisti, mentre in realtà sono pigri. Perché possiamo anche cambiare donna, ma restiamo lo stesso uomo, sostenitore del minimo sforzo. Restare richiede più talento.
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gregor-samsung · 1 year
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Dilemmi
Un giorno, la sventura è entrata nella mia vita e io, come uno scemo, non sono più riuscito a farla sloggiare. L’amore più forte è quello non corrisposto. Avrei preferito non saperlo mai, ma questa è la verità: non c’è nulla di peggio che amare qualcuno che non vi ama – e allo stesso tempo è la cosa più bella che mi sia mai capitata. Amare qualcuno che vi ricambia è narcisismo. Amare qualcuno che non vi ama, questo è amore. Cercavo una prova, un’esperienza, un appuntamento con me stesso che potesse trasformarmi: sfortunatamente, sono stato esaudito ben al di là delle mie speranze. Amo una ragazza che non mi ama, e non amo più quella che mi ama. Uso le donne per detestare me stesso. “Fan-Chiang chiese: ‘Cos’è l’amore?’. Il maestro rispose: ‘Dare più valore allo sforzo che alla ricompensa, questo si chiama amore’.” (Confucio) Grazie, furfante orientale, ma io non ci sputerei sulla ricompensa. Nel frattempo, sono abbandonato. Da quando Alice ha saputo che mia moglie mi ha lasciato, si è messa paura e ha fatto marcia indietro. Più nessuna telefonata, nessun messaggio nella casella vocale 3672, né numeri di camere d’albergo sulla segreteria del Bi-Bop.* Sono come un’amante appiccicosa, palpitante in attesa che il suo uomo sposato si ricordi del suo bel culetto. Io che amavo tanto i larghi viali, mi ritrovo “back street”. Un’unica domanda mi tormenta e riassume tutta la mia esistenza: “Cos’è peggio: fare l’amore senza amare, o amare senza fare l’amore?”. Mi sento come Milou, il cane di Tintin, quando ha le sue crisi di coscienza: da una parte l’angioletto che lo incita al bene, dall’altra il diavoletto che lo istiga al male. Io ho un angioletto che vuole che mi rimetta con mia moglie, e un diavoletto che mi suggerisce di farmi Alice. La mia testa è un talk show continuo tra loro due, in diretta. Avrei preferito che il diavolo mi avesse ordinato di scoparmi mia moglie.
* Il Bi-Bop e il 3672 Memophone sono invenzioni tecnologiche di France Telecom esclusivamente destinate a favorire l’adulterio, allo scopo di farsi perdonare il tasto spia “RP”. [N.d.A.]
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Frédéric Beigbeder, L'amore dura tre anni, traduzione di Annamaria Ferrero, Feltrinelli (collana Economica, n° 8104), 2008; pp. 49-50.
[ Edizione originale: L’amour dure trois ans,  Éditions Grasset & Fasquelle, 1997 ]
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smokingago · 3 months
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"Quando si dorme con tante donne, in realtà è sempre la stessa. Cambia solamente di nome, pelle, altezza e voce. La lunghezza dei suoi capelli, la taglia del suo seno, il colore dei suoi vestiti possono evolversi. Ma le si ripetono sempre le stesse frasi, le si fanno le stesse cose, nello stesso ordine: <<mi piace il tuo profumo... vieni più vicina... ho paura di te... ho troppa voglia delle tue labbra...>>.
Tutte queste parole ripetute tutte le sere a ragazze diverse, con lo sguardo meravigliato di un bambino che apre un pacco regalo.
Il cambiamento induce alla ripetizione.
E' restare con la stessa che permette, paradossalmente, la novità.
I Don Giovanni sono senza immaginazione, li crediamo stacanovisti, mentre in realtà sono pigri.
Perché possiamo anche cambiare donna, ma restiamo lo stesso uomo, sostenitore del minimo sforzo. Restare richiede più talento."
Frédéric Beigbeder, L'amore dura tre anni
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susieporta · 6 months
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Il solo amore, è quello impossibile.
Breve sunto di una lezione scolastica
Classe: 12-14 anni
' Il solo vero grande amore, è quello impossibile.'
Mormorio e risatine...
'Prof , spieghi? Le nostre storie non valgono nulla?
' Al contrario. Le vostre storie d'amore, oggi ( e qua di coppie ne vedo tante) sono tali perchè portano dentro il resto di qualcosa di non realizzato, inappagato. Se così non fosse, vi sareste già mollati'
Meta classe si mette piu in attenti e segue, l'altra invece accende i telefoni..'
Si va avanti
'l'amore assoluto, vero, è quello impossibile. E proprio perchè è tale, permette di avere relazioni diciamo 'normali'
' Non capisco' ( ragazza molto sveglia, e sul pezzo)
'L'amore è per caso, e unisce ed interseca vite che si sfiorano, apparetemente inconciliabili. Essi si innamorano, e si agganciano per sempre, ma non stanno assieme'
'Perchè?
Proprio perchè appartengono a mondi oppostiti, per certi versi incompatibili. L'amore lascia qualcosa di aperto, di erotizzato si dice in termini clinici.
Una tensione amorosa legata all'oggetto perduto, che fa in modo tal da rendere quel varco mai aperto, mai chiuso, ma sempre erotizzato
' In senso sessuale??
'No . il sesso non c'entra. Tu puoi fare sesso anche con un ebete, se fisicamante attraente. ( risate fragorose...)
Ma dopo, lui non sarà mai in grado di saziare quel desiderio innescato dal primo incontro, magari andato in fumo'
' Comincio a capire'
' Ok. Allora , dunque. Proprio perchè e' impossibile resterà il Grande Amore, . Perchè non consumato, non toccato, Non immerso nella quotidianità, non usurato dal tempo e dal decadimento del corpo L'altro è sempre quello che avete incontrato, ma non avete potuto avere.'
'Sapete secondo Lacan, quale è la lettera d'amore piu' importante? Quella non spedita. Trattenuta da voi, non in taccata.
Vi faccio un esempio
C'è un film, chiamato i ponti di Madison County che forse voi no, ma il vostro pro qua alle mie spalle ha di certo visto ( prof ingnavo colto di sorpresa mentre scrive al telefono, risate dei ragazzi)
Ecco, chiedete in casa di vederlo, lo trovate su molte piattaforme
Racconta un amore, un amore impossibile.
Che dura solo pochi giorni.
Ma eterno
cito:
Il film è ambientato nello stato dello Iowa. Attraverso i tre diari personali di Francesca Johnson (Meryl Streep), lasciati in eredità ai suoi due figli, avviene il racconto dell’estate 1965. Mentre marito e figli sono in viaggio, Francesca, casalinga, vive una fugace ma intensa storia d’amore con il fotografo Robert Kincaid (Clint Eastwood).
Giunto per fare un reportage fotografico dei sei ponti coperti di Madison County, Robert entra come un uragano nella vita di Francesca, fino a farla innamorare. Lei, però, vive la lotta interiore tra la morale famigliare e la nuova passione sopraggiunta, fino al momento in cui compie una scelta dolorosa.
Nelle pagine del diario, Francesca, nome quanto mai simbolico per la tradizione letteraria, racconta le sue scelte. Non cerca giudizio favorevole, non argomenta con ragioni e motivazioni. Lascia solo dispiegare gli eventi che, nella loro forza poetica, creano ponti empatici. I ponti di Madison County sono ponti reali che collegano i due amanti, ad inizio film, e sono ponti immaginari, che collegano due anime lontane.
L’Iowa, con i suoi spazi sterminati, diventa foglio bianco per scrivere dell’amore tra due individui soli e diversi. Un luogo dove, per pochi giorni, reale e immaginario collassano in corpi avvinghiati, sorrisi e abbracci. Capelli al vento, picnic, bagni caldi e luci soffuse. Canzoni blues, balli e cene come Dio comanda.
Il principio di realtà poi ritorna prepotente, e come lama squarcia i fogli ora pieni di parole. Ma l’immaginazione e il ricordo restano intatti come un diamante, eterno. Prendono spazio e forma non più nel caldo Iowa, ma nella mente dei protagonisti, dove il tempo, così rapido nell’estate 1965, diventa invariato, fisso.
' Avete capito, adesso?
Un amore fugace, impossibile, e per questo eterno'
'Prof, io non credo di aver capito molto, ma qualcosa si.
Quello che so, è che oggi mollo il mio ragazzo..'
Risate generali che durano mezz'ora.
E mi fanno capire, se mai ce ne fosse bisogno che due ore passate qua, con questi studenti che mi hanno pure preso per i fondelli, valgono mille congressi in giro per il mondo.
Maurizio Montanari
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chaosdancer · 8 months
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Buonasera chaos musicista!
Da un po' non ci sentiamo spero stai bene 💙
Ti posso chiedere una nuova ricerca musicale per una serata in cui il vuoto si fa sentire un po' troppo e una musica magari dolce come una carezza può cullare l'anima? 🎹
Ehilà, da quanto tempo! Io, tutto sommato, sto bene ma sempre tremendamente immerso nello studio "matto e disperatissimo". Spero che anche tu stia bene in generale. Mi dispiace che il vuoto si stia facendo sentire e che sia fastidioso (ma ricorda che il vuoto è essenziale, anche in maniera intrusiva, dato che bisogna fare tesoro di tutte le emozioni che proviamo e render loro giustizia in qualche modo).
Riguardo alla mia ricerca: è veramente un territorio vastissimo quello che mi stai chiedendo e io qui sotto ho fatto una selezione tra le prime cose che mi sono quasi venute in mente. Ma sappi che con l'arte si impara molto che ognuno ha i suoi canoni per quello che riguarda sfumature di emozioni (e anche per ciò che è "bello" o "brutto"). Io, sotto, ti lascio quello che per me incarna il senso che io dò a "dolce" e "carezza". Come disse il mio più caro maestro di pianoforte: "La musica non la puoi spiegare a parole o con dei concetti, è ineffabile: cerchi di spiegarla ma ti sfugge. È come l'amore che provo per il mio nipotino appena nato: nonostante non conosca per niente quella creaturina, e nonostante non ci abbia mai avuto a che fare, provo un amore inspiegabile per essa." Parole che rimarranno per sempre nel mio cuore; parole che mi sono state dette ormai nel 2016/17.
Mi auguro di cuore che tu, in mezzo alle storture e alle bellezze della vita, riesca a trarne fuori qualcosa di emotivamente e personalmente stimolante. Per esperienza (dopo anni di storture) sono riuscito a trasformare in arte tutte quelle brutture che si ponevano davanti a me (improvvise e non). Ho scoperto che c'è un mondo meraviglioso anche dietro al "brutto" e alle difficoltà che sembrano più insormontabili. Io, personalmente, ho trovato la mia via: l'arte mi ha sostenuto in quei momenti e io ho trasformato quei momenti in arte.
Ci sarebbe parecchio da discorrere su tutto questo ma non mi dilungherò oltre, molte persone oggigiorno si spaventano per una sinfonia di Mahler che dura un'ora o per uno scritto che non sia aforistico (alla Nietzsche o alla Bukowski) e non mi sto assolutamente riferendo a te dato che è una considerazione generale che purtroppo è presente da anni nella mia mente...
Ogni volta continuerò a ringraziarti per gli stimoli perché ogni volta esce fuori qualcosa di abbastanza prolisso da scrivere in calce ahaha
Per i primi tre brani gioco in casa (pianistica) con dei classiconi
Qui, invece arrivano gli archi. Ho riascoltato giusto prima di cena la sonata di Elgar per ricordarmi perché io provi un amore smisurato per questo compositore (soprattutto quando scrive per violino e violoncello). Da qui anche il collegamento al magnifico "Cigno" di Saint-Saens altri classiconi insomma
Qui il terzo movimento del quartetto con pianoforte di Schumann, un pezzo a me carissimo negli ultimi mesi (che credo di suonare in quartetto a partire da novembre). Anche questo molto famoso
L'ultima è una chicca personale a cui sono particolarmente affezionato. Il primo lavoro di Scriabin per pianoforte e orchestra, il Concerto Op. 20. Inizialmente pensavo di lasciarti solo il secondo movimento ma poi ho deciso di inserire anche il primo (capirai verso il secondo minuto il perché)
Non sono brani esattamente tutti dolci da capo a coda ma è meglio così: incarna esattamente quello che scrivevo sopra. La musica è da sempre paragonata alla vita umana e sarebbe falsa se non avesse dei momenti di contrasto con dolcezza e gioia. Fanno parte della bilancia della vita, fatta di gioie e dolori, momenti vuoti o di incertezza alternati a felicità e spensieratezza. Ma anche la musica solo completamente gioiosa e spensierata sarebbe noiosa esattamente come quella solo triste e disperata, non trovi? Qui sto facendo una mezza critica agli Strauss (padre e figlio) dei valzer dei Capodanni viennesi ma è una critica che viene mossa da quando sono stati scritti quei brani. In effetti le critiche (anche dai filosofi) sono state mosse riguardo un tipo di musica non realistico per l'essere umano, io lo definisco quasi alla "Paese dei Balocchi".
Riguardo a prima, per musica, intendo musica di un certo tipo: non mi riferisco a canzoni da tre minuti che trattano solo un tema o ad un jingle pubblicitario (e lo scrivo senza voler peccare di superbia)
Smetto di scrivere perché non vorrei fare la figura della persona che dice grandi quantità di cose esprimendo pochissimi concetti (o non dicendo assolutamente nulla ahaha)
Per quanto riguarda la tua richiesta, se vuoi, ho tantissimi brani di Chopin che sarebbero perfetti. Non volevo monopolizzare tutto su Chopin (nonostante sia il mio primo e grande amore da quando ero piccolo). Nel dubbio ti consiglierei proprio tutto ciò che Chopin ha scritto in vita sua (e in una settimana non intensiva di ascolto si può fare, due anni fa mi ero riascoltato tutto Chopin in tre giorni)
Okay, ora mi scuso per quanto ho scritto. E mi scuso anche per il ritardo nel rispondere, magari quando ti sveglierai non ti servirà più. Spero che leggerai e che le mie parole ti arriveranno (e che possano arrivare anche a tutti quelli che avranno voglia di leggere). Sono aperto a qualsiasi cosa avrai da dire riguardo a quello che ho scritto, il dialogo costruttivo, civile e con opinioni divergenti fanno sempre aprire la mente e far vedere oltre alle proprie prospettive (spesso limitate e limitanti) facendo crescere le persone coinvolte.
Ti auguro una serena notte🌙✨
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cinquecolonnemagazine · 2 months
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Il digiuno religioso dal Ramadan allo Yom Kippur e la Quaresima
Il 10 marzo è iniziato il Ramadan, un momento importante per il mondo islamico che ha come pratica principale l'osservanza del digiuno. Il digiuno religioso, in realtà, è una pratica che accomuna tutte e tre le religioni monoteiste: l'Ebraismo, il Cristianesimo e l'Islamismo. Modalità diverse ma un'unica volontà: sentirsi in connessione con il proprio Dio. Digiuno religioso: il Ramadan Il digiuno, dicevamo, è il precetto religioso cuore del Ramadan, considerato il quarto dei cinque pilastri dell'Islam. Il Ramadan cade una volta l'anno nel nono mese del calendario musulmano. La scelta di questo periodo ricorda il momento in cui a Maometto fu rivelato il Corano come guida per gli uomini. Il mondo islamico segue un calendario diverso, basato sulle fasi lunari: ogni mese dura 28 giorni e ha inizio con la fase di luna crescente. Lo stesso Ramadan inizia con il primo avvistamento della falce di luna crescente così come raccomandato nei tradizionali "hadith". Nel mese di Ramadan, i musulmani devono astenersi dal cibo e dall'attività sessuale dall'alba al tramonto. Vengono serviti solo due pasti, il primo subito prima dell'alba, il secondo dopo il tramonto. I fedeli devono, inoltre, tenersi alla larga da comportamenti peccaminosi come gli insulti, le calunnie, le bestemmie e le azioni violente, eccezion fatta per la legittima difesa. Devono dare più spazio alle preghiere e alla lettura del Corano e dedicarsi a opere di carità. Secondo alcuni teologi la pratica del digiuno religioso per i musulmani insegnerebbe agli uomini l'autodisciplina, l'appartenenza a una comunità, l'amore per Dio e la pazienza. Alcune categorie di persone, come gli anziani, i malati, le donne nei giorni delle mestruazioni, sono esentate dal digiuno del Ramadan. I digiuni ebraici La tradizione religiosa ebraica prevede il digiuno in diversi momenti dell'anno e con finalità diverse: - Yom Kippur: è il giorno più sacro del calendario ebraico, cade il dieci del mese di Tishrì. Questo giorno, in cui l'ebreo è pienamente consapevole dei propri peccati, è completamente dedicato alla preghiera e alla penitenza per chiedere perdono a Dio. Secondo la tradizione, in questo giorno il Signore valida il suo giudizio sul singolo. - 10 di Tevet: è il giorno dedicato alla memoria dei deportati della Shoa. In questo giorno si pratica il digiuno dall'alba al tramonto. - Digiuno di Ester: cade il giorno che precede il Purim e ricorda il digiuno della regina Ester prima di recarsi dal re per un'opera di intercessione. - Digiuno dei Primogeniti: riservato ai primogeniti, è il digiuno che si pratica il 14 di Nissàn in ricordo della morte dei primogeniti d'Egitto. Sono esentati solo coloro che partecipano a un Seudat Mitzvà, un pasto rituale che si consuma in diverse occasioni. La Quaresima cristiana Per la religione cristiana cattolica la pratica del digiuno ruota intorno alla ricorrenza più importante, la Pasqua, e alla Quaresima. Nel periodo di quaranta giorni che precede la Pasqua, viene osservato il digiuno ecclesiastico come atto di penitenza. Si osserva in memoria del periodo trascorso da Gesù, il figlio di Dio, nel deserto durante il quale è stato messo alla prova da diverse tentazioni. Secondo il Codice di Diritto Canonico, i fedeli cristiani sono tenuti all'osservanza del digiuno ecclesiastico e all'astensione dalle carni in due giorni: il Mercoledì delle ceneri e il Venerdì Santo. Il primo da inizio alla Quaresima, il secondo celebra la memoria della morte di Gesù. E' consuetudine astenersi dalle carni tutti i venerdì che cadono durante la Quaresima. Secondo la regola, si dovrebbe consumare un pasto al giorno ma non è proibito consumare due pasti purché siano frugali. Sono tenuti al digiuno i fedeli di età compresa tra i 18 e i 60 anni. I parroci possono dispensare dal digiuno fedeli in condizioni particolari, come una malattia, e commutarlo con opere pie. Il digiuno religioso nella Chiesa ortodossa e protestante Nella Chiesa ortodossa, il digiuno ecclesiastico viene osservato in determinati periodi dell'anno: - la settimana "luminosa": la settimana che segue la Pasqua - il periodo che va dal Natale alla vigilia della Teofania - la settimana precedente il grande digiuno della Grande Quaresima - quaranta giorni che precedono il Natale (in modo più mitigato) - nei giorni che vanno dalla Domenica dopo Pentecoste alla festività degli Apostoli Pietro e Paolo (in modo più mitigato) In questi periodi ci si astiene dalle carni e dal consumo di bevande alcoliche e di olio di oliva. Le Chiese protestanti, a eccezione di quella anglicana, hanno, invece, regole più elastiche sul digiuno. Martin Lutero sosteneva che il momento opportuno per digiunare e le regole da osservare dovessero essere scelte dal fedele e non imposte dalla Chiesa. Pertanto le chiese luterane non hanno regole prestabilite e momenti fissi in cui praticare il digiuno. L'astensione dal cibo ha finalità esclusivamente spirituali, non va osservato per ottenere grazie da Dio ma per cambiare l'uomo e va associato alla preghiera. In copertina foto di Tariq Abro da Pixabay Read the full article
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moonlightsthingsblog · 6 months
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Sono passati tre anni ormai da quando hai deciso di finire la nostra amicizia e ora sono al limite, ho bisogno che tu sappia come mi sento e cosa provo ogni giorno. Mi sento stupida perché anche se mi sforzo non riesco a capire questa tua dura decisione. Sono a conoscenza dei fatti che sono accaduti ma penso che nessuno di questi sia un motivo valido per escludermi dalla tua vita. Non riesco a concepire perché per te sia stato così facile annullare tutto. Così, da un momento all'altro, all'improvviso, non c'eri più. Nessuna discussione, nessuno scontro, nessuna parola.
Avresti dovuto urlarmi in faccia il tuo dolore, avresti dovuto far uscire tutto, ci saremmo confrontati, forse scannati ma sarebbe finito tutto in un abbraccio.
Invece hai preferito cancellare tutto, senza nemmeno farmi dire la mia, senza fare qualcosa per cambiare la situazione.
Pure al peggior nemico si concede l'ultima parola, ma io che da te ero denominata "migliore amica", no.
Mi hai lasciato con mille domande in testa alle quali solo tu puoi rispondere, mi hai fatto entrare in un labirinto da cui non riesco ad uscire.
Mi sento tradita perché eri l'unica persona di cui mi fidavo, per te avrei messo tutto sul fuoco, per te avrei fatto del male.
Con te ho condiviso tutto, felicità, pianti isterici, momenti brutti, fiducia, pure casa mia.
Ho messo me stessa per questa amicizia, per te, per noi.
Ho fatto di tutto per vederti felice, ti sono stata accanto anche quando mi faceva male e pure quando non te lo meritavi.
E tu hai fatto per me, potevo anche non parlare ma tu già avevi capito, cosa avevo e il motivo.
Ci sei stato sempre, nonostante gli ostacoli.
Il bene che ti voglio è paragonabile a quello che voglio a mia sorella, un bene che supera anche l'amore.
Se non fosse stato per il sangue, avresti potuto essere mio fratello ma per quanto mi riguarda lo eri lo stesso.
Mi dicono tutti di andare avanti che comunque se hai preso questa decisione e l'hai mantenuta non te ne è mai fregato nulla.
Ma io mentalmente mi trovo su questa strada tutta dritta, una strada che percorrevo con te, tu ormai non ci sei più ed io non riesco né a tornare indietro né ad andare avanti, sono ferma nel punto in cui mi hai lasciato.
Sono ferma qua sperando un giorno di vederti tornare indietro.
Che poi davvero non te ne è mai fregato nulla? lo vedevo che mi volevi bene, io vedevo i tuoi piccoli gesti e non era illusione, ne sono sicura, non sono così ingenua.
Però non c'è altra spiegazione.
Te ne sei andato e se ci sei riuscito con così tanta facilità come se io fossi niente, allora si, non te ne è mai fregato un cazzo.
Eppure non me la racconti giusta, io non ci credo.
Nei tuoi occhi quando mi guardavi, quando mi dicevi "non andartene, resta con me sempre" vedevo sincerità.
Non puoi dire così e poi andartene.
Come puoi farmi questo?
Tutto il tempo che abbiamo passato a fare i coglioni, a ridere, a parlare di cose personali, a litigare, a piangere.
Solo che ricordando adesso tutti i momenti belli e divertenti, si mi viene da ridere, ma poi penso che sono ricordi talmente lontani, che tu sei così lontano.
E non posso fare a meno di piangere.
Non posso e sai perché?
Perché mi manchi.
Mi manchi da morire.
Mi rendo conto che senza di te non sto vivendo a pieno, mi diverto certo, ma ti penso sempre.
Ti penso quando sono felice e quando sono triste.
Se mi succede qualcosa di bello sei il primo a cui vorrei dirlo, poi mi ricordo che tu ormai non ci sei quindi la mia felicità scompare e fa spazio alla tristezza.
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drheinreichvolmer · 7 months
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Capitolo 1
Era una fredda e nebbiosa giornata di metà Aprile, la meridiana del paese di Hartmann batteva mezzogiorno in punto. Hans Schmidt tentava di evitare le raffiche di vento col mento nascosto dentro la sciarpa grigia di cotone, varcò di fretta il gigantesco portone del castello: non così in fretta, tuttavia, da impedire che una folata di vento entrasse con lui.
Si tolse il cappotto lungo nero e lo appese, assieme alla sciarpa, all'attaccapanni vicino all'entrata. Sostituì poi il cappotto con un camice medico bianco, dalla cui tasca sinistra tirò fuori un piccolo panno beige per lucidare i suoi occhiali da vista. In quel momento, pensò che la sua giornata fosse già iniziata male.
Di primo mattino era uscito per sbrigare alcune “faccende importanti”, così il suo titolare chiamava la pratica che gli aveva commissionato la sera prima. Per questo, già alle cinque del mattino, quando ancora tutto il paese di Hartmann dormiva profondamente, egli era uscito.
Poco dopo era partito un leggero temporale, tipico di quel periodo dell'anno, tipico quanto gli automobilisti che sfrecciano di proposito a tutta velocità sulle pozzanghere, vicino ai poveri individui che viaggiano a piedi. Quella mattina Hans aveva fatto una doccia non richiesta.
Fortunatamente, l'ombrello era riuscito a ripararlo abbastanza e adesso si stava sistemando i capelli davanti allo specchio dell'ingresso principale.
Col suo pettine di legno spostò a sinistra della riga in parte i capelli biondissimi, caratteristici di ogni persona nordica.
Hans Schmidt era un uomo di quasi cinquantanove anni – li avrebbe compiuti fra un mese – e da ormai ventidue anni viveva e lavorava nel castello di Reichmerl.
Era un castello non lontano dalla città di Hartmann, sulle Alpi svizzere, ad una altitudine di 855 metri, al di sopra del centro abitato.
In passato era stato proprietà di una nobile famiglia prussiana, che visse lì dall'alto Medioevo fino alla prima guerra mondiale.
Alla fine del 1945 venne acquistato e rimesso a nuovo dalla casata dei Von Reichmerl, dopo che la guerra lo aveva in parte danneggiato.
Ad oggi, è tutt'ora proprietà della famiglia; e dal 1992 il castello, come i molti ricordi della casa Reale, vengono gestiti dal barone Heinreich Aloysius Volmer Von Reichmerl, il titolare di Hans.
Il signor Schmidt aveva conosciuto il barone alla fine degli anni Ottanta, quando dopo anni di onesto lavoro, presso una fabbrica orafa di Zurigo, era stato licenziato senza troppe spiegazioni.
Quello stesso giorno perse non soltanto il lavoro, ma anche l'amore della sua ormai ex fidanzata Agnes, la quale ritenendolo un inetto, non esitò tre secondi a piantarlo in asso. Abbandonato a sé stesso, Hans si ritrovò a vivere per strada da mendicante, aveva perso tutto, compresa la speranza che le cose si sarebbero mai potute sistemare.
Avvenne allora il provvidenziale incontro con Heinreich Volmer. Il barone non era molto amato dalla gente che viveva nel paese sotto al suo maniero. Il motivo all'epoca dei fatti era ignaro pure a lui stesso, tutto ciò che sapeva era che la gente del borgo lo faceva da sempre sentire come un reietto.
Quel giorno di oltre trent’anni prima, Heinreich era sceso in paese per alcuni acquisti, quando di colpo si trovò davanti una particolare scena. Un gruppo di persone che umiliava e pestava un povero uomo, la cui vita era già di suo abbastanza dura. Quel povero uomo era proprio Hans Schmidt.
Alla vista del barone, i tre delinquenti si diedero alla fuga.
Hans si era sentito immensamente riconoscente, ma il suo benefattore non aveva ancora finito di aiutarlo, poiché quando il barone venne a sapere tutto quello che gli era successo, gli fece una proposta impensabile.
Lavorare per lui in cambio di vitto e alloggio. Hans, in principio, rimase stranito dall'offerta, essendo anche lui a conoscenza di come Heinreich Volmer era descritto dal popolo.
Lo stesso popolo che però lo aveva umiliato per mesi. Quindi, alla fine chi era il vero mostro? Un popolo becero e ignorante, oppure un uomo che ti ha salvato la vita? Questo pensiero portò Hans Schmidt ad accettare l'offerta fatta.
Il suono del timer del forno fece riemergere l'uomo dai suoi pensieri. Si diresse verso l’enorme cucina, e attraversandola, osservava i cuochi alle prese con le varie preparazioni. Tutto filava liscio, così raggiunse il piano cottura dove stava bollendo un bricco in coccio contenente del latte.
Spense il fornello prima che il latte fuoriuscisse, prese un termometro e lo mise all'interno del bricco per verificare la temperatura.
Il latte era perfettamente tiepido, né troppo caldo da dover attendere a lungo per bere, né troppo freddo, per poter apprezzare la sensazione di tepore mentre stringi la tazza fra le mani.
Hans faceva questa verifica ogni mattina che veniva preparata la colazione per Heinreich, sapeva quanto fosse esigente sulla temperatura del suo latte macchiato.
Ricevuta l'approvazione di Schmidt, una degli aiuto cuochi iniziò a versare il latte in una tazza di ceramica bianca, aggiungendo successivamente una piccola quantità di caffè d'orzo.
Hans osservò la scena e un piccolo sorriso divertito comparve sul suo viso. Sapeva quanto il barone odiasse il suo continuo sostituire il caffè espresso con quello d'orzo, e sicuramente anche quella mattina ne sarebbe nata una divertente discussione.
Hans mise la tazza su un piattino e al fianco di essa un cucchiaio di acciaio, lasciando la cucina. Attraversò il lungo corridoio che lo avrebbe condotto alla camera da letto, preparandosi psicologicamente ad andare a svegliare Heinreich.
Teoricamente quel compito apparteneva alle cameriste, ma serviva molto coraggio ad entrare nella camera da letto del barone, specialmente se a tarda mattina non si era ancora svegliato.
Heinreich Volmer era un tipo mattiniero, ogni giorno alle sei in punto di mattina lasciava il castello per andare a correre e molti del suo personale invidiavano la sua volontà, perché per loro personalmente già fare avanti e indietro per l'ampia discesa che conduceva al cancello infondo alla strada, era da considerare sport olimpico.
L'uomo dai capelli biondi bussò sei colpì con le nocche sulla porta di legno, dalla parte opposta non giunse alcuna risposta. A quel punto, Hans sapeva che c'erano tre ipotetici scenari ad attenderlo.
Il primo: quello più banale, il barone stava ancora dormendo, ciò era possibile solo se aveva trascorso la notte in bianco.
Secondo: era alle prese con una sessione di sesso mattiniero; oppure terzo e peggiore dei casi: un esaurimento nervoso di quelli che perfino Heidi e suo nonno in cima alle Alpi svizzere avrebbero sentito.
Decise di fare un secondo tentativo, e nuovamente bussò alla porta della camera per sei volte, ancora una volta non arrivò alcun responso.
Hans prese un respiro e infilò la chiave del suo passepartout nella serratura, la fece girare e spinse lentamente la porta in avanti.
Al castello di Reichmerl solo quattro persone disponevano del passepartout per entrare ovunque nella dimora. La prima era senza dubbio Hanna, la figlia quasi ventiduenne del barone. C’era poi Olga Keller, la quale come Hans, viveva e lavorava lì da prima della nascita di Hanna. Infine Edith Berger, che insieme ad Hanna era il membro più giovane a vivere al castello.
Edith aveva ventitre anni e abitava lì da quando ne aveva sedici. I genitori della ragazza erano molto bigotti e conservatori, così quando lei aveva dichiarato al padre e alla madre madre di essere lesbica successe il peggio.
Non si era certo aspettata il massimo dell'incoraggiamento, ma non di certo di essere sbattuta fuori di casa. Aveva poi conosciuto per caso Hanna in un giorno qualunque di dicembre. Le due si erano trovate in una caffetteria a Zurigo, mentre Hanna aspettava che il padre facesse benzina alla pompa dall'altra parte della strada. Tra le ragazze nacque una conversazione, e quando l'uomo dai capelli neri fece ritorno nella caffetteria, la figlia gli raccontò quanto era capitato alla povera Edith.
Heinreich ne rimase profondamente disgustato. Come poteva un genitore macchiarsi di una colpa così grave? Edith Berger venne di seguito assunta come camerista, e col passare dei mesi il barone si era profondamente affezionato alla ragazza, ormai da considerala come una seconda figlia. Dal canto suo, Edith aveva finalmente trovato quel calore familiare e quel supporto paterno che le era sempre mancato. Col tempo iniziò a chiamare il barone affettuosamente “zio Heinz” o semplicemente “zio”.
Hans Schmidt spinse in avanti la porta di legno di fronte a sé, e lentamente entrò nella camera da letto, domandandosi quale dei tre scenari lo stava attendendo. Camminò gradualmente verso il letto a baldacchino e alzò lo sguardo sulla scena di fronte ai suoi occhi.
Heinreich Volmer dormiva in un stato di beatitudine col capo rivolto verso l'entrata e, a giudicare dal corpo lucido per il sudore, coperto solo leggermente dal lenzuolo azzurro chiaro di lino, l'uomo aveva da poco fatto “il suo dovere”. Se l’essere sudato e semi nudo non bastasse a rendere chiaro il contesto, la figura di Hanna coricata nuda sul petto di Heinreich, col viso nascosto sotto al mento dell'uomo, le loro mani intrecciate, lo rendevano sicuramente palese. Un altro essere umano sarebbe probabilmente rimasto turbato dalla visione, non tanto dovuta alla notevole differenza di età, essendo Heinreich ormai vicino ai sessanta anni.
La sensazione di disagio poteva nascere dalla consapevolezza che un padre avesse appena soddisfatto sessualmente la giovane figlia, e a giudicare dal sorriso della ragazza, ella era stata decisamente appagata dalla prestazione. Hans ci aveva fatto da tempo l'abitudine, in fondo era ormai dal diciottesimo anno della ragazza che i due avevano iniziato a intrattenere regolarmente rapporti sessuali, e a stimarsi come una qualunque coppia di comuni fidanzati.
Per i due era una situazione assolutamente normale, talmente normale che non si erano mai fatti problemi a dichiararlo pubblicamente in giro e nel mondo.
Heinreich Volmer era infatti un illustre dottore e considerato nel mondo un medico lungimirante, grazie alla sua cura rivoluzionaria.
Da quasi ventidue anni aveva infatti trasformato metà del castello di Reichmerl in un centro benessere con spa, e da ormai ventidue anni ricchi e facoltosi uomini venivano regolarmente lì per ricevere la sua cura.
Il centro benessere disponeva di ogni tipo di comfort: una sauna, una vasca con acqua termale, una piscina, ecc..
Per non parlare dei vari servizi dedicati alla cura della propria bellezza, come un salone parrucchiere, oppure il centro estetico per farsi fare la manicure e pedicure all'ultima moda del momento. Il dottor Volmer aveva però una specifica filosofia: diceva sempre ai suoi dipendenti e ai suoi pazienti “Mens sana in corpore sano”, tradotto dal latino “mente sana in un corpo sano”.
Per questa ragione, oltre a garantire il massimo dei servizi riguardo il benessere del corpo, ci teneva che i suoi pazienti potessero usufruire anche di un servizio di supporto psicologico. Heinreich Volmer era infatti un uomo molto empatico e sensibile ai problemi del prossimo, ciò lo portava a dedicare
gran parte della sua giornata a migliorare l'esistenza dei suoi ospiti. Inoltre, quando non era impegnato in qualche seduta in presenza, lo si poteva trovare di fronte al suo computer, con le sue cuffie, pronto ad ascoltare ogni richiesta di supporto emotivo su una piattaforma online chiamata Seven Cups.
Si trattava di un sito che permetteva la possibilità di cercare supporto emotivo e psicologico,
ma anche fornirlo. Heinreich era iscritto da diversi anni come ascoltatore, e ogni volta, le persone da lui aiutate esprimevano quanto fossero rimaste colpite dalla sua forte empatia e capacità di mettersi nei panni altrui.
Hanna era sempre stata fiera dell'uomo che era suo padre. Era molto stimato in Svizzera, come in altri paesi, e recentemente aveva persino tenuto un seminario sulla sua cura a Toronto.
Questo l'aveva portata costantemente a domandarsi, per quale motivo suo padre era stimato e rispettato ovunque tranne che ad Hartmann? Per quale motivo dovunque era visto quasi come un dio capace di curare e capire tutti, mentre nel borgo sotto al suo castello come un mostro da bandire?
Una minima spiegazione che si era data era sicuramente il fatto che la gente del paese non vedesse di buon occhio la loro relazione. Da sempre era vista infatti come una povera ragazza plagiata, manipolata dal perfido e perverso padre. Nessuno fuori da quelle mura credeva che lei volesse davvero vivere in quel modo, segregata dalla nascita in quell'enorme castello, per uscire solo ed esclusivamente per accompagnare il padre nelle sue uscite.
Hanna non ci aveva mai trovato nulla di strano. Suo padre l'aveva costantemente messa in guardia dal mondo esterno, in particolar modo dalla gente del paese. Semplicemente, pensava che stesse solo cercando di proteggerla.
Hans suonò leggermente un campanellino per richiamare l'attenzione del barone su di sé; e l'uomo aprì lentamente gli occhi azzurri, quasi di ghiaccio, osservando il suo uomo di fiducia e migliore amico in assoluto.
Hanna si alzò su col busto, imbarazzata, coprendosi d'istinto il seno e scappando poi a rivestirsi nella propria camera da letto. Heinreich osservò la figlia darsi alla fuga e sorrise divertito dalla scena, poi allungò la mano per afferrare la tazza bianca di ceramica.
Esaminò il latte macchiato al suo interno e lentamente portò il bordo della tazza verso le sue labbra. Di colpo tuttavia si fermò, e tornò con lo sguardo su Hans.
<< Mi auguro fortemente per te che questa volta tu non abbia fatto usare di nuovo il caffè d'orzo. >> disse Heinreich seriamente mentre socchiuse gli occhi, avvicinando nuovamente il bordo della tazza alle proprie labbra.
<< Sa perfettamente, signore, che il caffè espresso non è consigliato visto la notevole quantità di pillole che manda giù ogni giorno. >> rispose con un sospiro di amarezza Hans.
<< Beh, scusami tanto dottore se sono nato schizofrenico, pensi che l'abbia voluto io? >> ribatté subito il suo titolare, quasi infastidito dalle sue continue ramanzine. Hans Schmidt non si scompose, e come da copione iniziò anche quella mattina ad elencare i motivi per cui il suo datore di lavoro doveva pensare di più alla sua salute, e sopratutto abbandonare quelle cattive abitudini in suo possesso, come fumare un pacchetto di sigarette al giorno.
Come da sceneggiatura, la risposta alla predica non richiesta, era quella di buttare giù il suo latte macchiato, guardare Hans con evidente disgusto per la sua insoddisfazione causata dal caffè d'orzo, per poi abbandonare il letto a baldacchino per iniziare a vestirsi.
<< Quali sono i miei impegni giornalieri, Hans? >> domandò Heinreich mentre si abbottonava la camicia azzurrino chiaro che aveva addosso.
<< Dunque.. Secondo la sua agenda personale, oggi sarebbe dovuto andare a correre alle sei del mattino. >> Hans si fermò per alcuni secondi ad osservare il suo titolare. << Guardando però quanto le lenzuola siano bagnate e suoi capelli siano scompigliati , credo che abbia lo stesso fatto sufficiente attività fisica mattutina. >> Hans si trattenne a stento dal ridere della sua stessa battuta, mentre l'altro si trattenne probabilmente dallo strangolarlo.
<< Tornando seri.. ha una consulenza di supporto col signor Werner tra mezz'ora, a seguire la sua presenza è richiesta in sala per pranzare insieme ai suoi illustri pazienti oligarchi. Infine, alle ore 15:00 ha promesso alla signorina Olga di farle la tinta. >> Hans accennò un leggero sorriso. << Anche parrucchiere? C'è qualcosa che quest'uomo non sappia fare? >> domandò con reale curiosità il biondo.
<< Si. Perdonare, Hans. >> rispose quasi suonando come una minaccia Heinreich, per poi indossare il suo camice medico, prendere la cartella clinica e lasciare la propria stanza da letto.
Heinreich a volte aveva la sensazione che quel corridoio non terminasse mai. Sostò davanti all'ingresso del proprio studio, la porta semichiusa lasciava un leggero spazio, che permetteva al medico di vedere che il proprio paziente era già lì ad aspettarlo.
Heinreich oltrepassò la soglia della porta. Il signor Werner era un uomo di corporatura robusta, sui settanta anni. Alla vista del dottore, diventò di colpo quasi pallido.
Heinreich fece finta di non essersi accorto del cambio improvviso d'umore del suo ospite, e si mise immediatamente ad analizzare il quadro clinico del suo paziente. Il dottore indossò un paio di occhiali da vista e attentamente osservò ogni documento presente nella cartella clinica del signor Werner.
<< La situazione è più complicata di quanto pensassi, signor Werner. >> cominciò il discorso Heinreich, con la sua contraddistinta calma e pacatezza.
<< Cosa non va dottore?.. Mi dica. >> rispose l'uomo passandosi una mano fra i capelli bianchi non molto curati.
<< Vedo problemi alle articolazioni, alle spalle.. lei che lavoro ha svolto nella sua vita? Se posso chiedere. >>
Werner raccontò che fino a quando non era andato in pensione, aveva svolto la professione di commerciante in una piccola bottega del paese.
Il medico apparve quasi sorpreso: solitamente nessuno, o quasi nessuno, del borgo ricorreva alle sue cure.
<< Oh, certo. Credo di aver capito di quale bottega mi sta parlando, adesso è gestita da suo figlio, vero? Com'è che si chiama? Sa, sono un suo cliente abituale. >> aggiunse il medico senza scomporsi minimamente.
<< Arthur... Arthur Werner. >> rispose con un po' di esitazione l'uomo. << Davvero? Non lo sapevo, mi fa piacere sapere che è un cliente affezionato del mio caro ragazzo. >> aggiunse subito dopo il signor Werner.
<< Sì, in verità sono un cliente storico, la mia famiglia fa i suoi acquisti di carne e salumi da quando era ancora lei il proprietario. >> ribatté Heinreich, accennando un sorriso.
<< In ogni caso, mi permetta di consigliarle uno dei nostri trattamenti. Credo che dopo una sessione di fisioterapia si sentirà molto meglio. >> aggiunse mentre si alzò dalla sedia e accompagnò il signor Werner all'uscita.
Fuori dallo studio ad attendere c'era Hans, il quale fece sistemare l'uomo sul lettino e lo trasportò fino all'uscita d'emergenza del castello. Arrivati alla porta, Hans iniettò una dose di anestetico all'ospite, che poco dopo perse conoscenza.
Una volta risvegliato, il signor Werner, si guardò attorno, confuso, non riconoscendo il luogo in cui si trovava.
Al posto del soffitto pieno di affreschi di arte sacra e delle finestre decorate da mosaici, c'era soltanto un ambiente sinistro che sembrava abbandonato da tempo, e un soffitto che perdeva calcinacci.
Werner non poteva immaginare di trovarsi nei sotterranei del castello di Reichmerl, come non poteva ideare la causa che lo avesse portato lì.
Werner aprì lentamente gli occhi, la testa gli girava, e probabilmente l'aveva anche sbattuta. Di fronte a sé, vide l'immagine leggermente sfocata di un medico, e si sforzò per mettere a fuoco la figura. Riconobbe poco dopo che quella sagoma apparteneva al signor Schmidt. Il medico si mobilitò per immobilizzare il paziente, legandone braccia e gambe al lettino.
Il signor Werner era confuso, ma sopratutto terrorizzato, cercava di agitarsi mentre Hans gli tappò la bocca con un vecchio straccio. Successivamente, comparve anche Heinreich con uno strano e sinistro sorriso sul volto pallido.
<< Lo credo che è sbiancato al mio arrivo in studio, signor Werner, mi ha riconosciuto subito, non è vero? >> domandò Heinreich mentre indossava dei guanti bianchi di lattice.
<< Non pensava che avrei ricordato il suo volto a distanza di più di ventidue anni, non ho forse ragione signor Werner? >> dichiarò finendo di indossare i suoi guanti da chirurgo.
Il paziente farfugliò qualcosa, ma lo straccio in bocca non permetteva una chiara comunicazione fra lui e il medico.
<< Come? Mi sta forse dicendo che si era dimenticato di me? Beh, io no, non potrei mai. >> ribattette all'istante il dottore. << Così come non ho dimenticato quello che avete fatto alla mia adorata sorella. >> La mano di Heinreich accarezzava lentamente la guancia del suo degente, che cominciò a tremare
nell'immediato. Il medico dagli occhi di ghiaccio intanto osservava l'uomo immobilizzato, e nella sua mente riaffiorò il ricordo di quella notte maledetta.
Trent'anni prima la sorella di tre anni più piccola, Emma Ingrid, era solita prendersi cura di lui, amorevolmente; e lo era da sempre, come ogni sorella farebbe per il proprio fratello. Un giorno tuttavia Emma confessò all'uomo di non provare per lui un semplice affetto fraterno, ma di esserne profondamente innamorata, ormai da diverso tempo.
Inizialmente Heinreich gli aveva resistito, ripetendo a sé stesso che un fratello non dovrebbe provare assolutamente certe cose per la propria sorella.
Dopo essere stato tradito dalla sua fidanzata italiana Ambra, il barone andò in una profonda crisi di depressione, e la sorella gli restò accanto fino a quando non si riprese totalmente.
Il barone capì allora che l'unica donna degna di sposarlo e dargli un erede era proprio Emma. I due ben presto diventarono amanti, all'oscuro dei genitori e del fratello maggiore Frederik.
Questo fino al giorno in cui Heinreich, stanco di non poter vivere quel rapporto alla luce del sole, dichiarò ai genitori e al fratello la sua relazione con la sorella Emma. Alla notizia il fratello Frederik rinunciò al titolo, ai suoi privilegi e si trasferì negli Stati Uniti, non volendo più sapere nulla di Heinreich e di Emma. Determinati a sposarsi nonostante il disappunto genitoriale, Heinreich ordinò al prete del paese di celebrare le loro nozze, nella cappella presente all'interno del castello di Reichmerl. Il sacerdote condannò categoricamente quell'unione, così il barone lo impiccò nel giardino del maniero, per poi bandire il padre e la madre dalla loro stessa dimora. Per diversi anni tentarono di concepire “qualcosa di puro”, come lo definiva Heinreich, ma dopo sei aborti spontanei, il barone si rese conto che il corpo della sorella rifiutava il feto deforme.
Ma non si fermò lì. Attraverso i suoi studi, scoprì che l'acqua della falda acquifera sotto al castello, tossica per l'uomo, aveva delle proprietà uniche di rigenerazione della vita per le anguille che la abitavano. Essendo da sempre contrario alla sperimentazione sugli animali, fece rapire da Hans diversi contadini che lavoravano nella sua terra, ed iniziò ad eseguire su di loro esperimenti infernali distillando l'acqua e filtrandola attraverso i loro corpi.
Creò in questo modo un’acqua miracolosa in grado di curare l'infertilità della baronessa, che finalmente rimase incinta e riuscì a portare a termine la gravidanza.
Hans Schmidt all'epoca dei fatti viveva e lavorava al castello come giardiniere e uomo tutto fare. In quel periodo, poco prima che la baronessa restasse incinta, al castello di Reichmerl venne assunta anche la signorina Olga Keller. Olga aveva conosciuto il barone quando questo prestava servizio di supporto psicologico presso l'ospedale di Zurigo.
La donna si era rivolta allo sportello gratuito di ascolto, perchè vittima di un compagno violento. L'uomo da tempo abusava di lei fisicamente e psicologicamente, Olga era ormai allo stremo e non sapeva più come vivere con una tale croce.
Anche per lei, come per Hans, l'incontro con Heinreich si rivelò provvidenziale. Il terapista di Olga si era preso qualche giorno di malattia, così era stato sostituito proprio dal barone. Venuto a conoscenza dello stato in cui la donna viveva, le propose la possibilità di iniziare una nuova vita.
Lui le avrebbe dato una casa e un lavoro, dandole finalmente quella esistenza serena che tanto aveva cercato. Olga Keller, in cuor suo, avrebbe anche accettato ad occhi chiusi, ma temeva troppo per la sua vita. Sapeva di non potersi permettere un simile azzardo.
Heinreich Volmer immaginava perfettamente quali fossero le paure della donna. Il compagno avrebbe potuto farle pagare il torto subito, addirittura con la vita.
Il suo eccentrico terapista però la rassicurò che non aveva assolutamente nulla da temere, garantendole protezione. Heinreich non scherzava quando le diceva che l'avrebbe resa una donna libera. Il cadavere dell’ex compago della signorina Keller non venne mai ritrovato. Infatti, poco dopo l'omicidio, il barone aveva dato in pasto il corpo alle sue voraci anguille.
Olga da allora principiò a occuparsi delle pulizie del castello. Quando però la baronessa rimase incinta, si prese cura di lei giorno e notte, come anche del nascituro.
Olga ed Hans erano vicini alla coppia da otto mesi, circa un mese dopo Emma avrebbe finalmente dato alla luce il suo bambino. Paranoico per la salute della sorella e del figlio, il barone l'aveva segregata nella sua stanza per mesi. Gli unici contatti con l'esterno erano le visite di suo fratello e quelle di Hans e Olga.
Heinreich non poteva permettersi che potesse succedere qualcosa a Emma o al loro bambino, questo lei lo sapeva bene. Perciò non si era mai opposta alle cure o ai metodi usati dal fratello.
Ogni sera, nella camera da letto della baronessa, Hans suonava il suo ukulele mentre Olga intonava una ninna nanna tedesca. La soave e materna voce di Olga aveva la capacità di calmare Emma dalle sue crisi di panico. La donna infatti aveva fin dalla più tenera età un disturbo che la rendeva irrequieta, agitata e incapace di stare perfino seduta composta quando era strettamente necessario.
I suoi genitori non si erano mai preoccupati di trattare la sua situazione, secondo loro erano solo sciocchi capricci.
Olga era l'unica persona, oltre ovviamente ad Heinreich, che riusciva a tenere a freno quel suo disturbo.
Così, mentre Olga principiava un canto e Hans pizzicava le corde del suo ukulele, i due futuri genitori si coccolavano nel loro letto matrimoniale. Heinreich era sdraiato di fianco a Emma, la testa era leggermente posata sul grembo della sorella e ogni tanto smetteva di osservare Olga e Hans,
per baciare il ventre di Emma. La donna sorrideva dolcemente alla scena, accarezzando amorevolmente i capelli del fratello.
Heinreich era in un stato di beatitudine, al pensiero che a breve si sarebbe celebrato il matrimonio fra lui e la sua amata sorella.
Infatti, da giorni Hans e Olga, assieme al resto del personale che lavorava al castello di Reichmerl, si stavano occupando dell'organizzazione delle nozze dei due. Tutto scorreva bene, al castello c'era aria di festa e di impazienza per la nascita del futuro erede. Quella felicità però era destinata a durare poco. La notte in cui Hans stava celebrando l'unione fra il barone e la sorella, un gruppo di paesani fece irruzione al maniero, catturando i due novelli sposi, vano ogni tentativo di Hans di aiutare la coppia di amici.
La baronessa incinta di otto mesi venne data alle fiamme assieme al castello, mentre il fratello picchiato a sangue costretto a godersi il macabro spettacolo. Le fiamme misero in fuga anche i vigliacchi paesani, permettendo ad Hans e Olga di portare i due in ospedale, viste le gravi condizioni della donna.
Emma aveva riportato gravi ustioni, il suo corpo era terribilmente sfigurato; e i cuori di Hans e Olga erano colmi di dolore nel vedere la povera donna soffrire in quel modo, mentre si dannava per dare alla luce la sua creatura.
Quella maledetta notte di Aprile avvenne una disgrazia enorme, seguita dal più meraviglioso dei miracoli.
Olga Keller posò sul petto della donna morente quella piccola creatura, mentre lacrime amare scorrevano sul viso di Emma, lacrime di preoccupazioni per la sopravvivenza della sua bambina.
Poco dopo Olga fece entrare Heinreich nella stanza della clinica. Avvicinatosi alla sorella, l'uomo era colmo di rabbia, ma nonostante ciò sorrideva dolcemente alla sua sposa e alla loro creatura.
Emma sapeva che non si sarebbe salvata, che le restavano ormai pochi istanti di vita, per questo con le sue ultime forze strinse la mano del marito.
<< Promettimi che la terrai sempre al sicuro.. >> sospirò la donna chiudendo lentamente gli occhi, mentre una lacrime cadde sulla testolina della sua neonata, che cominciò a piangere.
Il barone sollevò delicatamente la piccola, stringendola al suo petto e baciandole la testa.
Udendo la voce del padre la bambina lentamente si calmò, addormentandosi. L'uomo osservò la neonata e i suoi di ghiaccio si abbandonarono ad un pianto liberatorio.
Quella maledetta notte in cui la baronessa perse la vita, nacque Hanna Chiara Volmer Von Reichmerl, la figlia di Heinreich.
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bicheco · 4 years
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C'è molta tristezza sulla Terra, ma è difficile superare quella che invade una donna quando sente che l'amore per lei se ne sta andando, oh piano piano, non da un giorno all'altro, no, ma inesorabilmente, come sabbia in una clessidra.
Frédéric Beigbeder - "L'amore dura tre anni"
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Allora, la storia è questa...
Capita nella vita che ad un certo punto si cresce, si mette su casa, ci si sposa, si fanno figli, e le amicizie di un tempo, quelle che sembravano eterne e indelebili un po' si perdono nella nebbia degli impegni quotidiani, nel tran tran dei figli da portare a scuola, del lavoro da seguire, della spesa da fare, e dalle serate in cui vorresti tanto uscire, ma poi la bimba dorme e quella serie tv proprio vorresti vederla e allora dai, facciamo che ci si becca un'altra volta in giro.
Ma domenica no, domenica è successa una magia.
Federico, l'amicone di sempre, quello grande e grosso che lavorava nella musica e che ad un certo punto si è perso, e per ritrovarsi è partito, ha avuto una bimba, con una donna splendida che ha saputo rimettere apposto tutto senza togliergli niente.
E allora, dopo quasi due anni, finalmente ci siamo rivisti, tutti assieme, tutti gli amici di una vita intera.
Tutti quelli che ci sono sempre stati, quelli delle serate a birra e musica e fumo, delle nottate in discoteca, delle mille cazzate... quelle che hanno condiviso tutte le lacrime e tutti i sorrisi, tutte le giornate in saletta a suonare e le nottate buttati su un parco a parlare.
Tutti assieme, quelli di sempre, solo... cresciuti. In questa casa che ho costruito mentre tutto attorno a me crollava, In cui mi sono innamorata di mio marito, in cui mia figlia sta crescendo...
Ed è stato come sempre, anzi, ripensandoci, forse anche meglio....
Noi donne a bere spritz sedute nel portico, gli uomini attorno alla brace, birra in mano a girar salsicce e braciole parlando di calcio e di musica.
Una casa piena di luce, di colori, di amore, e di bimbi, rumorosi, urlanti bimbetti che scorrazzavano liberi e felici in giardino. Tre di loro li ho visti nascere, letteralmente, di quattro sono la madrina, di due ne è il padrino Manuel, e la nostra Ginevra che cresce e vuole essere come i cuginetti più grandi e si sbuccia le ginocchia pur di stare al passo, che cade e si rialza cancellando veloce le lacrime dai suoi enormi occhioni blu come quelli del padre, che ci insegna cos'è l'amore, cos'è la vita.
E poi le risate, e gli aneddoti di quando eravamo giovani e senza pensieri e anche un po' cretini (spesso anche molto cretini)
Federico, che non sapeva più che farsene della sua vita, con la sua piccola Eleonora in braccio, cosi minuscola nelle sue manone giganti e callose da chitarrista, che crede di veder sorridere una creatura nata da una settimana. Nicole ed Alex, che non credevano nell'amore e adesso sono insieme, a scherzare e continuare a ripetere che il loro Riccardo sarebbe il fidanzatino ideale di Ginevra..
E poi Alberto, i suoi tre bimbi, la mia splendida e speciale Nicole, cosi grande e matura da essersi autoproclamata la sorella maggiore di tutti.
E poi, Fede che prende la chitarra, e strimpella note di un passato mai davvero passato, e allora un po' ridiamo e un po' ci vergogniamo, ma alla fine cantiamo stonando le canzoni di sempre, quelle di tutta una vita... perché "la sera a casa di Luca torniamo a cantare, ma la sera a casa di Luca che musica c'è" e poi "come vedi sono qua, monta su, non ci avranno finché questo cuore non creperà, di ruggine di botte o di età, credo che meriti di più, urlando contro il cielo"
perché certe Luci non puoi spegnerle... e poi il cielo è sempre più blu.
Mi sono ritrovata a guardarli, tutti assieme attorno al tavolo e a pensare a quanta strada abbiamo fatto, assieme e poi ognun per se, per poi ritrovarsi di nuovo assieme, adulti.
Mariti, mogli, genitori, persone con mutui da pagare e conti per arrivare a fine mese, con scuole da trovare e pannolini da cambiare.
come è successo, mi chiedo? come ha fatto questo strambo gruppo di individui a tratti spezzati dalla vita, ad arrivare a tanto?
ma in realtà io lo so.
ci siamo arrivati con fatica, sudando lungo ogni centimetro di strada dissestata che abbiamo percorso, arrancando in salita, tirandoci per mano l'un l'altro, appoggiandoci quando serviva.. "noi abbiam capito tutto, è un po' come nel calcio, è la dura legge del gol, loro segneranno però, che spettacolo quando giochiamo noi, non molliamo mai"
Finchè ognuno di noi ha trovato l'incastro perfetto, e la sua serenità.
il mio incastro perfetto è Manuel, che mi guarda ancora come se fossi la cosa più preziosa che ha, che mi guarda come si guardano quei tramonti stupendi che fanno tutto il cielo arancione.
E allora, a voi, amici di sempre e del per sempre, non posso che dire grazie perchè "lo squadrone siamo noi"
_diciamoaddiosenzacrederlo
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gregor-samsung · 2 years
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“ L’errore è di volere una vita immobile. Si vuole che il tempo si fermi, che l’amore sia eterno, che niente muoia mai, per crogiolarsi in una perenne infanzia. Si costruiscono muri per proteggersi e sono quei muri che un giorno diventano una prigione. Ora che vivo con Alice, non costruisco più pareti. Prendo ogni secondo di lei come un regalo. Mi accorgo che si può essere nostalgici del presente. Mi capita di vivere dei momenti così meravigliosi che mi dico: “Ehi! Un giorno tutto questo lo rimpiangerò: non devo mai dimenticarmi di questo istante, per poterci ripensare quando tutto andrà male”. Scopro che per restare innamorati è necessaria una parte inafferrabile in ciascuno. Bisogna rifiutare la piattezza, non nel senso di inventarsi emozioni artificiali e stupide, ma di sapersi stupire di fronte al miracolo di ogni giorno. Essere generosi, e semplici. Si è innamorati il giorno in cui si mette il dentifricio su uno spazzolino che non è il proprio. Soprattutto, ho imparato che per essere felici bisogna essere stati molto infelici. Senza apprendistato del dolore, la felicità non è solida. L’amore che dura tre anni è quello che non si è inerpicato sulle montagne o non ha frequentato i bassifondi, quello che è caduto dal cielo bell’e pronto. L’amore dura soltanto se ne conosciamo il prezzo, e conviene pagare in anticipo, se no si rischia di saldare il conto a posteriori. Non siamo stati preparati alla felicità perché non siamo stati abituati all’infelicità. Siamo cresciuti nella religione della comodità. Bisogna sapere chi si è e chi si ama. Bisogna essere compiuti per vivere una storia incompiuta. Spero che il titolo menzognero di questo libro non vi abbia troppo irritati: certo che l’amore non dura tre anni; sono felice di essermi sbagliato. Non è che questo libro solo perché è pubblicato da Grasset dica necessariamente la verità. Non so cosa il passato mi riserva (come diceva Sagan), ma vado avanti, nel terrore meravigliato, perché non ho altra scelta, vado avanti, meno incurante di un tempo, ma vado avanti comunque, vado avanti nonostante tutto, vado avanti e vi giuro che è bello. Facciamo l’amore nell’acqua traslucida di una cala deserta. Balliamo sotto le verande. Flirtiamo in un vicolo male illuminato bevendo Marqués de Cáceres. Non smettiamo mai di mangiare. È la vita vera, insomma. Quando l’ho chiesta in sposa, Alice ha avuto questa risposta piena di tenerezza, di romanticismo, di finezza, di bellezza, di dolcezza e di poesia: «No». Dopodomani, saranno tre anni che vivo con lei. “
Frédéric Beigbeder, L'amore dura tre anni, traduzione di Annamaria Ferrero, Feltrinelli (collana Economica, n° 8104), 2008; pp. 134-35.
[ Edizione originale: L’amour dure trois ans,  Éditions Grasset & Fasquelle, 1997 ]
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smokingago · 2 months
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"Quando si dorme con tante donne, in realtà è sempre la stessa. Cambia solamente di nome, pelle, altezza e voce. La lunghezza dei suoi capelli, la taglia del suo seno, il colore dei suoi vestiti possono evolversi. Ma le si ripetono sempre le stesse frasi, le si fanno le stesse cose, nello stesso ordine: <<mi piace il tuo profumo... vieni più vicina... ho paura di te... ho troppa voglia delle tue labbra...>>.
Tutte queste parole ripetute tutte le sere a ragazze diverse, con lo sguardo meravigliato di un bambino che apre un pacco regalo.
Il cambiamento induce alla ripetizione.
E' restare con la stessa che permette, paradossalmente, la novità.
I Don Giovanni sono senza immaginazione, li crediamo stacanovisti, mentre in realtà sono pigri.
Perché possiamo anche cambiare donna, ma restiamo lo stesso uomo, sostenitore del minimo sforzo. Restare richiede più talento."
- Frédéric Beigbeder, L'amore dura tre anni.
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breathing-in-sulfur · 4 years
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Ah la vita, che gran rottura.
Mi spaventa più della morte, in cui te ne resti buono all'ombra mentre diventi cibo per vermi.
In vita devi pensare a tutta una serie di cose che non ti interesserebbero nemmeno, se non ti fossero indispensabili per campare decentemente.
Non dico che la morte sia la soluzione, cioè la morte risolve ogni tuo problema ma puoi morire soltanto una volta, non è rinnovabile né tantomeno cedibile, quindi fai un lungo sospiro e con un sconsolato gesto della mano dici a te stesso "fanculo dai, andiamo avanti".
In fondo se sei morto non vali più nulla, ma da vivo devi assicurarti un tetto sopra la testa e magari alzarti ogni mattina per fare un lavoro che non ti piace, se ce l'hai, altrimenti ti svegli con l'ansia e corri su e giù per la città a distribuire curriculum inutili che probabilmente non leggerà nessuno. Devi concederti un giorno libero alla settimana per recuperare le forze e riprenderti dalla monotonia ubriacandoti sul divano e il giorno dopo il tuo capo ti chiede di sorridere ai clienti, ma tu vorresti solo prendergli quei capelli e avvolgerli in un rullo che lo ridurrà in poltiglia e adios boss, ora sì che rido. Devi stare attento a non ferire gli altri, ognuno di noi fa la sua vita di merda a modo suo, è inutile prendersela con chi viaggia nella tua stessa barca forata, ma tanto nessuno ha mai le palle di prendersela con chi davvero vi sta facendo vivere una vita patetica: voi stessi. Siete voi che avete accettato qualsiasi cosa abbia urtato il vostro grugno munito di paraocchi, siete voi la causa della vostra miseria e abbiate la decenza di non lamentarvi quando la vostra stessa merda incomincia a puzzare. Avete deciso di marcire e fare un lavoro che odiate per comprarvi cose che non vi servono, evitate ora di bestemmiare quando sulla vostra televisione costata un mese di lavoro vedete il volto di un politico, poiché loro pisciano nella vostra miseria e voi lì aprite le bocche e dopo aver bevuto vi leccate pure i baffi.
Non siete meglio di quel branco di avvoltoi che vi governano, siete solo invidiosi della vostra impotenza e povertà e se foste al loro posto mi chiedo cosa potreste fare di meglio, con il vostro diploma preso in otto anni e il pensiero di lavorare piuttosto che studiare poiché fanculo lo studio, io voglio soldi, pure se son pochi.
La vita è dura e fa paura, altro che l'istante della morte!
Nella vita sei bambino e coltivi i tuoi sproporzionati sogni, poi sei adolescente e a scuola ti mentono dicendoti che se ti impegni al massimo puoi fare tutto ciò che vuoi, se cercano personale. Finisci scuola e vieni sbattuto da un posto di lavoro a un altro: tre mesi qui, sei mesi là e dopo un anno o due ah, finalmente la macchina. Nel frattempo scopri le droghe o l'alcol o entrambe e ti rimane l'unico svago che ti concedi nel giorno di riposo. Certo mica tutti bevono o si drogano, c'è pure chi scopa ancora, chi legge o scrive, chi dipinge e così via. Cresci, diventi adulto, trovi una donna che era perfetta e ora è incinta. Trova un posto fisso e sbrigati, poi vai con il finanziamento per un mutuo trentennale. Eccoci, tempo indeterminato, cioè stesse cose ogni giorno tutti i giorni fino alla pensione o alla demenza. Finalmente muori, ma che cosa strana questa tomba non sembra affatto salire in paradiso, secondo me rimane lì sottoterra e secondo me dopo un paio di mesi a piangerti i tuoi figli continuano con la loro vita e tu speri che diventi meglio della tua.
Ah la vita, fareste bene a trovare qualcosa che vi piace fare e magari tra un turno di lavoro e l'altro vi ci dedicate se non siete troppo stanchi per essere contenti.
Ah la vita, in essa ci trovi l'amore e la gioia che si dissolvono in un lampo, ma forse la vita è proprio insita in questi attimi fugaci di dimenticanza dalla fetente merda.
Ah la vita, che bella la vita alla fine dai!
Ho qui una birra, qualche sigaretta e poi domani si vedrà.
~ breathing-in-sulfur
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catastrofeanotherme · 5 years
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Probabilmente diventare grandi vuol dire rendersi conto che alcune cose non torneranno più e che altre non cambieranno mai. Che ogni giorno ci tocca fare una scelta e che per ogni conquista che portiamo a casa c'è una perdita da superare. È tutto un gioco malsano di rinunce e di speranze, di desideri e di limiti. Prima pensavo a quelle sere in cui uscivo di casa senza sapere a che ora sarei rientrata, senza sapere dove sarei andata né con chi. Ero libera, ma tremendamente sola. Pensavo a quando mi sono innamorata per la prima volta, alla mia gelosia, alle mie grida, alle sorprese, alla forza che mettevo in tutto quello che facevo e dicevo. Ero folle, forse, ma incredibilmente viva. Pensavo a tutto quello che ho già fatto e che per questioni di tempo e di abitudini non farò più. Pensavo a com'è facile cadere nella trappola. Iniziare a dire a tutti "avrei voluto, ma poi sai...tra una cosa e l'altra!". Sarà vero per davvero che è colpa delle cose o sarà forse soltanto colpa nostra? Si poteva fare diversamente? Probabilmente no. Magari, però, si poteva fare con più cuore. E sarà vero che a volte i sogni diventano realtà? Secondo me è anche possibile il contrario, pensavo. Secondo me anche la realtà può assomigliare parecchio a un sogno, delle volte. Mica sempre però. Mi sa che siamo un po' viziati con questa storia della felicità a tempo indeterminato, con questa storia dell'amore infinito. Che ne vogliamo sapere noi di quanto dura la primavera? Tre mesi, siamo sicuri? E ora che è inverno e ci sono 15 gradi all'ombra allora che è successo?
Accettare che cambia tutto, continuamente, perfino noi. Tranne quelle parti del nostro corpo e del nostro modo di essere che odiamo di più.
Ieri ero sul molo, c'è il mare mossissimo e avevo un po' di paura. Gli schizzi arrivavano ovunque e le onde erano talmente alte che superavano il muretto. Non so nemmeno perché fossi lì. Avrei potuto essere in giro per negozi o in un cinema o a fare l'amore. Invece no. Ero lì tutta imbacuccata e tutta bagnata. Vicino a me c'era un signore che faceva delle foto. Era completamente fradicio e rideva come un matto. Non so nemmeno se esisteva davvero, in realtà. A un certo punto ho iniziato a chiedermi se lo vedessi solo io. Rideva e ogni tanto mi diceva "guarda che il bello l'è questo, l'è fare queste cazzate qui, lo sai vero?".
Io annuivo cercando di risultare credibile. Avrei voluto rispondergli che in realtà qual è il bello, di preciso, ancora non l'ho capito tanto bene. Ma lui era così convinto e convincente che non riuscivo nemmeno a pensare o a ribattere.
"Gliel'ho detto anche al mio amico: portacela la tu' donna qui! Ora io son tutto bagnato, devo tornare a Firenze e mi verrà la polmonite. Alla fine ho sessantaquattro anni, non diciassette! Comunque sai che c'è? M'importa una sega! È troppo ganzo!"
Io, onestamente, non mi sento di aggiungere altro.
- Susanna Casciani
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nochkoroleva · 5 years
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L'amore più forte è quello non corrisposto. Avrei preferito non saperlo mai, ma questa è la verità: non c'è nulla di peggio che amare qualcuno che non vi ama -e allo stesso tempo è la cosa più bella che mi sia mai capitata.- Amare qualcuno che vi ama è narcisismo. Amare qualcuno che non vi ama, questo è amore.
"L'amore dura tre anni"
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gloriabourne · 5 years
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The one where Ermal takes a break
"Sei sicuro di questa decisione?"
Fabrizio gli aveva posto la domanda con tono preoccupato.
Quando Ermal gli aveva comunicato la sua intenzione di prendersi una pausa per poter lavorare con calma al suo prossimo album, Fabrizio lo aveva lasciato parlare senza dire nulla.
Non era la prima volta che Ermal parlava di prendersi una pausa, ma poi finiva sempre per ripensarci.
Aveva parlato per mesi di un anno sabbatico che in realtà sembrava non iniziare mai, quindi quando Ermal disse a Fabrizio che era davvero intenzionato a fare un ultimo concerto e poi prendersi un po' di tempo per sé stesso, Fabrizio non gli aveva creduto.
Ma quando Ermal aveva comunicato la notizia sui social, Fabrizio aveva capito che questa volta la pausa ci sarebbe stata davvero. E così - mentre se ne stava accasciato sul divano di casa sua, a guardare i bambini che aprivano i dolci trovati nelle calze della Befana - aveva preso il telefono, lo aveva chiamato e con tono preoccupato gli aveva chiesto se fosse davvero certo della sua scelta.
"Sì, Bizio. Ho bisogno di riposarmi un po'. Sono esausto e allo stesso tempo non voglio fermarmi, ma se non mi prendo una pausa va a finire che impazzisco" disse Ermal.
"Non sei in grado di stare lontano dal palco per troppo tempo" gli fece notare Fabrizio.
"Lo so" disse Ermal sospirando.
La musica, il palco, i suoi fan erano la sua vita. Sarebbe stato difficile prendersi una pausa, ma doveva farlo.
Si sentiva come se negli ultimi tre anni fosse invecchiato più velocemente che in tutto il resto della sua vita e non poteva continuare così. Doveva fermarsi, riprendere fiato, concentrarsi sulle altre cose importanti della sua vita: la sua famiglia - che ormai vedeva fin troppo di rado -, il nuovo album, e Fabrizio.
Fabrizio era il pensiero che lo assillava maggiormente.
Le cose tra loro avevano iniziato a prendere una piega diversa a Lisbona.
Ermal non ricordava nemmeno bene come fosse successo, semplicemente una sera si erano ritrovati a baciarsi nella sua stanza come due ragazzini ed Ermal si era sentito così bene che aveva capito che Fabrizio era quello giusto.
Era la persona che lo avrebbe sempre accettato, nonostante tutto. Era la persona su cui avrebbe potuto appoggiarsi nei momenti difficili, che lo avrebbe salvato quando ne avrebbe avuto bisogno.
Ma il loro lavoro, il fatto che abitassero in città diverse e soprattutto le paure di entrambi - che non sapevano come affrontare una situazione simile senza creare troppo scalpore - li avevano frenati, spingendoli a godere dei piccoli momenti che riuscivano a ritagliarsi ma senza mai andare troppo oltre.
Non avevano mai detto di stare insieme, anche se facevano tutto ciò che avrebbe fatto una coppia. Non avevano mai detto di amarsi. Non avevano mai fatto progetti che includessero la loro vita privata.
E ad Ermal quella situazione iniziava a stare stretta.
Prendersi una pausa avrebbe significato avere più tempo, avere la possibilità di ritagliarsi più momenti per stare con Fabrizio, riuscire a fare dei progetti e magari riuscire a farsi passare le paure.
Perché - Ermal ne era certo - se avesse passato più tempo con Fabrizio, si sarebbe reso conto di cosa si stava perdendo e le paure sarebbero passate in secondo piano.
Quindi era anche - forse soprattutto - per Fabrizio che Ermal aveva preso quella decisione. E sapeva benissimo che sarebbe stata dura, ma per Fabrizio, per stare anche solo un po' di più insieme a lui, avrebbe fatto qualsiasi cosa.
  La sera del 19 aprile, la casa di Ermal era diventata il luogo di ritrovo della band.
Beh, la band più Fabrizio, che a differenza degli altri ospiti previsti per il concerto del giorno successivo era arrivato a Milano con un giorno di anticipo.
Marco aveva insistito per vedersi quella sera e aspettare la mezzanotte insieme per festeggiare il compleanno di Ermal, visto che il giorno seguente sarebbe stata una giornata pesante per tutti e probabilmente non avrebbero avuto modo nemmeno di bere qualcosa insieme con calma.
Ermal avrebbe preferito di gran lunga passare la serata da solo con Fabrizio, visto che non si vedevano da parecchio tempo, ma nessuno dei suoi amici era a conoscenza di quale fosse davvero la situazione tra loro due quindi non aveva potuto tirarsi indietro.
Così, appena dopo cena - e fortunatamente dopo che Fabrizio aveva avuto l'accortezza di infilarsi qualcosa addosso e di smettere di girare per l'appartamento di Ermal in mutande - i ragazzi della band si erano fiondati lì, carichi di birre.
E anche se all'inizio Ermal aveva immaginato di passare la serata a recuperare il tempo perso con Fabrizio, dovette ammettere che era felice che i suoi amici fossero lì.
Si sentiva leggero e sapeva che non era merito delle birre che aveva bevuto.
Semplicemente era felice di stare con i suoi amici e con Fabrizio, era felice di vedere come Fabrizio si sentisse a suo agio con la sua band e gli sembrò, per la prima volta, di vivere una vita normale in cui per avere una bella serata bastava restare a casa insieme ai suoi amici e al suo fidanzato.
Si voltò verso Fabrizio, seduto alla sua sinistra, e sorrise vedendolo chiacchierare tranquillamente con Andrea.
"Scusa, ma che dovrei vedere? Io non vedo un cazzo!" disse Fabrizio a un certo punto, mentre stava guardando un video sul cellulare di Andrea.
"E certo, sei vecchio! E con la vecchiaia, la vista peggiora" disse Ermal, non perdendo l'occasione di prenderlo un po' in giro.
Fabrizio si voltò verso di lui e disse: "Non sei tanto più giovane di me."
"Giovane quanto basta per non avere problemi di vista. Tu, alla mia età, già li avevi!"
"Hai sempre detto che sono carino con gli occhiali!" rispose Fabrizio fingendosi offeso.
Ermal sorrise. "È vero. È una delle tante cose che mi ha fatto innamorare di te."
Poi, come se non fosse successo niente, come se non avesse appena confessato a tutti di essere innamorato di Fabrizio, si alzò e si diresse verso la cucina per prendere un'altra birra.
Fabrizio rimase immobile a fissare il punto in cui un momento prima era seduto Ermal.
Non gli aveva mai detto di essere innamorato di lui. Non se l'era mai lasciato sfuggire nemmeno mentre facevano l'amore.
Fabrizio non pensava nemmeno che la provasse, una cosa del genere. In fondo, Ermal non aveva mai dato segno di voler ufficializzare la loro relazione - ammesso che il loro rapporto potesse essere definito in quel modo - o di volerne parlare con le persone a lui care.
Sollevò lo sguardo notando lo stesso stupore sulle facce dei ragazzi della band.
"Ci siamo persi qualcosa?" chiese Dino a un certo punto.
Fabrizio non fece in tempo a rispondere che Ermal tornò a sedersi accanto a lui, come se niente fosse.
"Che succede?" chiese Ermal notando tutti gli sguardi dei presenti su di sé.
"C'è qualcosa di cui vuoi parlarci?" chiese Marco.
Poi Andrea aggiunse: "O magari qualcosa di cui non vorresti parlare, ma che ormai sei obbligato a dirci."
Ermal si voltò verso Fabrizio, cercando di capire di cosa stessero parlando, ma lui teneva lo sguardo basso e sembrava voler evitare di guardarlo.
Il fatto era che Fabrizio aveva paura. Anzi, era spaventato a morte!
Ermal non gli aveva mai detto di essere innamorato di lui e non poteva credere che lo avesse fatto per la prima volta nel bel mezzo di una battuta, quindi si era convinto che fosse una di quelle frasi dette così, tanto per scherzare. Temeva che se i ragazzi avessero fatto altre domande, Ermal si sarebbe giustificato dicendo che stava solo scherzando. E temeva che a quel punto la delusione nei suoi occhi sarebbe stata impossibile da nascondere.
Lui era innamorato di Ermal dalla prima volta che si erano baciati - una sera di maggio a Lisbona - e da lì non aveva smesso di amarlo nemmeno per un secondo.
Ma non glielo aveva mai detto perché sapeva che per Ermal era una situazione nuova, che non aveva mai provato attrazione per un uomo prima di lui. All'inizio semplicemente non voleva complicare le cose e poi, quando ormai si frequentavano da un po', avevano raggiunto un equilibrio che Fabrizio non avrebbe voluto rovinare per niente al mondo. Nemmeno per i suoi stessi sentimenti.
"Ma di che state parlando?" chiese Ermal, riportando lo sguardo sui suoi amici.
"Non ti sei accorto di quello che hai detto?" chiese Dino, ovviamente conoscendo già la risposta. Se Ermal si fosse reso conto di ciò che era uscito dalla sua bocca, di certo in quel momento non sarebbe stato così tranquillo.
Ermal continuava a guardarli perplesso. "Ma quando?"
"Ermal, hai detto che sei innamorato di Fabrizio" disse Emiliano.
Ermal spalancò gli occhi, rendendosi conto solo in quel momento di aver detto una cosa simile.
Gli era semplicemente sfuggito. Quel pensiero si era formato nella sua testa ed era uscito dalle sue labbra in maniera così naturale che nemmeno se n'era accorto.
Fabrizio si voltò verso Ermal e, vedendo che tardava a rispondere, ingoiò il nodo che gli si era formato in gola e disse: "Dai, mi pare ovvio che stava scherzando. Allora, facciamo una partita a carte?"
Gli altri, seppur non convinti che quella di Ermal fosse una battuta, annuirono e lasciarono cadere il discorso.
Nessuno parlò di ciò che era successo per il resto della serata, ma quando poco dopo l'una i ragazzi iniziarono a dire che si stava facendo tardi e che sarebbe stato meglio andare a dormire, Ermal capì che non poteva continuare a scappare. Poteva evitare l'argomento con i suoi amici, ma non con Fabrizio.
Appena i ragazzi uscirono dall'appartamento, Ermal sospirò e raggiunse Fabrizio - che stava riordinando la cucina - con l'intenzione di riprendere il discorso di qualche ora prima. Ma Fabrizio continuava a evitarlo, cercando di tenersi impegnato e di non rivolgergli nemmeno uno sguardo.
"Bizio..." lo richiamò Ermal.
"Vai pure a dormire, io finisco di rimettere a posto qui" rispose Fabrizio senza nemmeno sollevare lo sguardo.
Ermal gli tolse dalle mani una bottiglia vuota di birra e la appoggiò sul tavolo, costringendo Fabrizio a prestargli un minimo di attenzione.
"Dobbiamo parlare, Bizio."
Fabrizio scosse la testa. "Non c'è niente da dire. È tutto ok."
Cercò di allontanarsi da lui, di sfuggire da quella conversazione che lo stava mettendo con le spalle al muro, ma Ermal lo trattenne per un polso.
"Ti amo" sussurrò Ermal.
Sentì il battito di Fabrizio accelerare di colpo e vide i suoi occhi spalancarsi sorpresi.
Sorrise e poi ripeté: "Ti amo, Bizio. Non so per quale motivo non te l'ho mai detto. Forse perché avevo paura. Ma questa sera c'è stato un attimo in cui mi sono sentito così bene che i miei sentimenti sono semplicemente usciti, senza che io potessi controllarli. E so che farti sapere che sono innamorato di te dicendolo davanti a tutti non è proprio il massimo, ma è una cosa talmente naturale, amarti è una cosa così semplice, che nemmeno mi sono accorto di averlo detto."
"Quando gli altri hanno chiesto spiegazioni e tu sei rimasto in silenzio, ho pensato davvero che lo avessi detto per scherzo" disse Fabrizio.
Ermal scosse la testa. "No, è solo che non ne abbiamo mai parlato e non sapevo se tu saresti stato d'accordo a dirglielo oppure no. Non sapevo come reagire."
"Sono i tuoi amici. Se vuoi dirgli di noi, per me va bene" disse Fabrizio.
"Allora c'è un noi" disse Ermal sorridendo.
"C'è sempre stato" disse Fabrizio prima di baciarlo. Poi si allontanò per un attimo e disse: "Ah, comunque ti amo anch'io."
  Il giorno seguente, stare vicino ad Ermal era impossibile.
Era un fascio di nervi e ogni cosa sembrava andare storta.
Prima se l'era presa con la sveglia che non aveva suonato, spingendolo ad insultare il suo cellulare come se servisse a fare miracolosamente tornare indietro il tempo.
Poi se l'era presa con Fabrizio, incolpandolo di averlo fatto andare a dormire tardi e proprio per quel motivo le sue occhiaie erano più profonde del solito.
Fabrizio aveva cercato di ironizzare, facendogli notare che erano andati a dormire tardi perché avevano passato la notte a fare l'amore a sussurrarsi che si amavano come due ragazzini. A quel punto, la cosa era peggiorata ulteriormente, Ermal si era innervosito ancora di più e aveva detto: "Ecco, forse sarebbe stato meglio se tu fossi arrivato solo per il concerto."
Fabrizio non aveva replicato - consapevole che Ermal avesse parlato senza riflettere e che in realtà non pensasse davvero quelle cose - ed era rimasto in silenzio per quasi tutto il giorno, proprio per evitare di peggiorare le cose.
Ermal aveva iniziato a calmarsi solo quando erano arrivati al Forum.
Per quanto fosse visibilmente agitato, stare sul quel palco - anche solo per le prove - gli dava un senso di tranquillità e di pace.
Fabrizio lo aveva guardato per tutto il tempo, godendosi la sua espressione felice e il suo sorriso.
Nel frattempo, al Forum erano arrivati gli altri ospiti della serata ed Ermal - grazie alla presenza di tutte quelle persone, che non solo erano suoi colleghi ma soprattutto erano suoi amici - aveva iniziato sentirsi meno teso.
Non vedeva l'ora di salire sul palco, di cantare con loro e di salutare il suo pubblico.
"Visto che è il compleanno di Ermal, io proporrei un brindisi" disse ad un certo punto J-Ax, afferrando una bottiglia di vino e dei bicchieri di plastica.
Elisa lo aiutò a riempire i bicchieri e a distribuirli ai presenti, fino a quando tutti si ritrovarono con un bicchiere pieno tra le mani in attesa che il festeggiato parlasse.
"Credo di non avere niente da dire, se non: grazie. Davvero, grazie a tutti. Non solo perché siete degli ottimi colleghi, ma soprattutto perché siete dei buoni amici" disse Ermal. Poi si voltò verso Fabrizio, che era in piedi accanto a lui, e aggiunse: "Qualcuno è anche più di un amico."
Fabrizio sorrise mentre faceva scivolare una mano in quella di Ermal e intrecciava le dita con le sue.
Tutti notarono lo scambio di sguardi e le loro mani che si univano, ma nessuno disse nulla. Forse perché in fondo tutti avevano sempre saputo che tra Ermal e Fabrizio c'era qualcosa.
Forse alcuni di loro lo sapevano da prima che se ne rendessero conto loro stessi.
"Buon compleanno" disse Elisa alzando il bicchiere, seguita subito dopo da tutti i presenti.
Ermal sorrise e, mentre tutti bevevano e riprendevano a chiacchierare tra loro, si voltò di nuovo verso Fabrizio.
Il più grande non gli aveva tolto gli occhi di dosso nemmeno per un attimo e, anche in quel momento, continuava a guardarlo con il sorriso sulle labbra.
"Buon compleanno" mormorò a un certo punto.
"È il compleanno migliore di sempre" disse Ermal. Poi si avvicinò a Fabrizio e lo baciò, senza preoccuparsi degli sguardi degli altri.
Era il suo compleanno, aveva accanto la persona che amava e stava per festeggiare cantando davanti ai suoi fan. Tutto il resto non aveva importanza.
  "Non sei preoccupato?"
"Per cosa?" chiese Ermal voltandosi curioso verso Marco.
"Per quello che dirà la gente."
"Ma di che parli?"
"Lo so io di che parla" disse J-Ax accasciandosi malamente sul divano di Ermal.
Dopo il concerto, Ermal aveva invitato tutti a casa sua per passare ancora un po' di tempo insieme. L'adrenalina continuava a scorrergli nelle vene e non si sentiva nemmeno lontanamente stanco.
"Cioè?" chiese ancora Ermal, cercando di capire quale fosse il problema.
"Credo che tutti si siano accorti che nel nostro pezzo hai detto lui invece di lei" disse J-Ax.
Ermal sospirò.
Non sapeva nemmeno lui per quale motivo lo avesse fatto.
In parte, forse, era perché ora che i suoi amici sapevano tutto gli sembrava più semplice uscire allo scoperto. In parte, semplicemente aveva cantato con il cuore e il suo cuore ormai era di Fabrizio.
"Lui, lei... non c'è poi molto differenza, cambia solo una vocale. Se qualcuno dirà qualcosa, potrei sempre dire che hanno capito male" rispose Ermal.
"Potresti. Ma la vera domanda è: lo farai?" chiese Andrea.
Ermal si voltò verso Fabrizio, che sembrava totalmente preso da ciò che gli stava dicendo Elisa, e disse: "No, non lo farò."
Fabrizio era uno dei motivi per cui aveva deciso di prendersi una pausa.
Non gli importava di ciò che avrebbe detto la gente, non gli importava se le persone avrebbero capito perché aveva deciso di cambiare il testo e se questa cosa gli avrebbe portato delle conseguenze.
In quel momento non gli importava di nient'altro se non di Fabrizio e della loro storia. E un po' anche del suo nuovo album, che sicuramente sarebbe stato pieno di riferimenti a quell'uomo fantastico che aveva la fortuna di avere al suo fianco.
"Sei ancora sicuro della tua decisione?" gli chiese Fabrizio qualche minuto più tardi, sedendosi accanto a lui e facendogli di nuovo quella domanda che gli aveva posto poco più di tre mesi prima.
Nella mente di Ermal si formarono le immagini di tutto ciò che avrebbe potuto avere in quel periodo di pausa.
Più tempo per stare con la sua famiglia, più tempo per scrivere, più tempo per stare con Fabrizio.
Sorrise e, con una sicurezza che non aveva mai avuto prima quando si parlava di quell'argomento, disse: "Sì, sono sicuro."
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