Io ho l'abitudine di tacere quando ho troppe cose da dire e troppo di cuore.
(Guido Gozzano)
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“ Eravamo nell'atrio, tutto rivestito di capelvenere. Dinnanzi m'era lo scenario che godevo da un mese e che mi sembrava di vedere ogni giorno per la prima volta. Il declivio verde di aranci, costellato di frutti d'oro, poi l'azzurro del mare, l'azzurro del cielo; e su quell'orizzonte a tre smalti diversi, i piú divini modelli che l'arte dorica abbia, col Partenone, tramandato sino a noi. Il Tempio della Concordia, e vicino il Tempio d'Era con la sua fuga di venti colonne erette e di venti colonne abbattute, e, piú oltre, il Tempio d'Ercole, ossario spaventoso della barbarie cartaginese, meraviglia ciclopica tale che la nostra fantasia si domanda non come sia stato costrutto, ma come sia stato abbattuto; e oltre ancora il Tempio di Giove Olimpico, il Tempio di Castore e Polluce: tutte le sacre rúine che Agrigento spiega a sfida tra l'azzurro del cielo e del mare, ecatombe di graniti e di marmi che sembra dover ricoprire tutta la terra di colonne mozze o giacenti, di capitelli, di cubi, di lastre, di frantumi divini.
Ma dinnanzi a noi era quello che Miss Eleanor chiamava «il mio tempio», il tempio di Demetra, eretto ancora sulle sue cinquantaquattro colonne, l'unico intatto fra dieci altri abbattuti, l'unico sopravvissuto, per uno strano privilegio, al furore fenicio e cartaginese, al fanatismo cristiano e saraceno.
— No, amico mio. Dobbiamo ai cristiani e ai saraceni se il tempio è giunto intatto fino a noi.
Fu San Rinaldo, nel IV secolo, che lo scelse fra «i monumenti infernali dell'idolatria» per convertirlo in una chiesa dedicata a San Giovanni Evangelista, chiesa che fu trasformata in moschea al tempo dell'invasione saracena. E l'edificio divino fu salvo, mascherato e protetto come un fossile nella sua custodia di pietra e di cemento. Quale grazia del caso! Pensate allo scempio che fu fatto degli altri! Pubblicherò un manoscritto di mio padre dedicato tutto allo studio di queste distruzioni nefande. Pensate a quel colossale Tempio d'Ercole che forni materiale per tutti i porti nel Medio Evo! Tutto fu abbattuto e spezzato. Abbattute le colonne ciclopiche, ogni scannellatura delle quali poteva contenere un uomo, come in una nicchia, abbattuti i giganti e le sibille alte dodici metri che reggevano l'architrave, meraviglia di mole titanica e di scultura perfetta. Pensate le teste, le braccia, le spalle divine, i capitelli intorno ai quali si gettavano gomene colossali, tese, tirate da schiere di buoi fustigati, mentre le seghe tagliavano, le vanghe scalzavano i capolari alle basi. E le moli precipitavano in frantumi spaventosi, con un rombo che faceva tremare le terra. Ora sulle nudità divine, tra le pieghe dei pepli, nidificano le attinie e i polipi di Porto d'Empedocle.
— Cose da invocare un secondo toro di Falaride per i cristianissimi demolitori.
— Il gregge! Il gregge dell'Abazia! — Miss Eleanor si interruppe ad un tratto, ebbe uno di quei suoi moti fanciulleschi di bimba sopravvissuta, — il gregge dell'Abazia! Guardate che incanto!
Dall'interno del Tempio, sul grigio delle colonne immani, biancheggiarono d'improvviso due, trecento agnelle color di neve. Uscivano dal riposo meridiano, dalla fresca penombra, correvano lungo il pronao, balzavano sui plinti, scendevano con grandi belati e tinnir di campani. Tre pastori s'affaccendavano con i cani per adunare le disperse e le ritardatarie. Alcune, le piccoline, non s'attentavano a balzare dagli alti cubi di granito, correvano disperate lungo il pronao, protendevano il collo invocando soccorso, con un belato lamentevole. I pastori le prendevano tra le braccia, passandole dall'uno all'altro, tra l'abbaiare dei cani. “
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Brano tratto dal racconto di Guido Gozzano Alcina, pubblicato per la prima volta sulla rivista culturale milanese L’illustrazione italiana il 26 dicembre 1913.
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Guido Gozzano
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Guido Gozzano, L'analfabeta, da La via del rifugio, 1907
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"Donna: mistero senza fine... bello!."
(Guido Gozzano)
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Sono disperato.
Vi sono al mondo uomini che muoiono di freddo e di fame, uomini oppressi dalle più tristi sciagure morali, dai più terribili mali fisici; ma sento che nessuno è più infelice di me, nessuno può soffrire più di quello ch'io soffro.
Non è la malinconia sentimentale, sospirata, quasi dolce della mia adolescenza; è il buio, il vuoto di chi precipita in un baratro senza fondo. La città scompare; scompare la luce, l'arte, la scienza, l'altre cose tutte che fanno la vita degna d'essere vissuta. L'anima è disperata, già dannata senza speranza, travolta in eterno dalla bufera senza fine della bolgia infernale.
Ah! non più essere! Ah! se bastasse un semplice atto della volontà per abolirci, per ritornare come si era prima di essere! Una acredine sprezzante contro me stesso contro i miei simili, mi punge il cuore, m'inasprisce il sangue, come quelle lame d'acciaio che illividiscono e corrompono il succo dei frutti più dolci.
Guido Gozzano
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Oh tutto Ella ricorda: le turchine
rose trapunte della bianca veste,
la veste bianca in seta, e la celeste
fascia che le gonfiava il crinoline.
Guido Gozzano, Primavere romantiche
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Signorina Felicita, a quest’ora
scende la sera nel giardino antico
della tua casa. Nel mio cuore amico
scende il ricordo. E ti rivedo ancora,
e Ivrea rivedo e la cerulea Dora
e quel dolce paese che non dico.
tratto dal poemetto " La signorina Felicita" del poeta Guido Gozzano pubblicato il 16 marzo 1909 col sottotitolo Idillio
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[...]
Tacqui. Scorgevo un atropo soletto
e prigioniero. Stavasi in riposo
alla parete: il segno spaventoso
chiuso tra l’ali ripiegate a tetto.
Come lo vellicai sul corsaletto
si librò con un ronzo lamentoso.
«Che ronzo triste!» - «È la Marchesa in pianto....
La Dannata sarà, che porta pena....»
Nulla s’udiva che la sfinge in pena
e dalle vigne, ad ora ad ora, un canto:
O mio carino tu mi piaci tanto,
siccome piace al mar una sirena....
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Guido Gozzano is skyrocketing his way into my favourite poet’s position
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LA DIFERENCIA
Bino y rebino… ¿qué piensa la gansa
que está parpando al borde de la ría?
¡Feliz parece! Ronca y exultante,
tiende el pescuezo al invernal ocaso.
Alea, salta, se zambulle y juega:
desde luego no piensa que es mortal;
desde luego no sueña con la Pascua,
entre rútilos filos de cocina.
Hermana mía, cándida ansarina,
que no existe la Muerte me demuestras:
sólo se muere cuando lo has pensado.
Mas tú no piensas. ¡Y tu suerte es bella!
Pues no es calamidad que te cocinen:
el mal está en saberlo de antemano.
*
LA DIFFERENZA
Penso e ripenso: — Che mai pensa l’oca
gracidante alla riva del canale?
Pare felice! Al vespero invernale
protende il collo, giubilando roca.
Salta starnazza si rituffa gioca:
nè certo sogna d’essere mortale
nè certo sogna il prossimo Natale
nè l’armi corruscanti della cuoca.
— O pàpera, mia candida sorella,
tu insegni che la Morte non esiste:
solo si muore da che s’è pensato.
Ma tu non pensi. La tua sorte è bella!
Chè l’esser cucinato non è triste,
triste è il pensare d’esser cucinato.
Guido Gozzano
di-versión©ochoislas
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Il giovane poeta Guido Gozzano, dopo aver scoperto le liriche di Giovanni Pascoli, si allontanò dalla tipica celebrazione dannunziana per cercare conforto nell'intimo.
“A festoni la grigia parietaria
Come una bimba gracile s’affaccia
Ai muri della casa centenaria. […]”
Leggi la poesia intitolata “Pasqua” cliccando qui:
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look at this picture of Guido Gozzano and a cat. had to be on my blog xx
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Io ho l'abitudine di tacere quando ho troppe cose da dire e troppo di cuore.
(Guido Gozzano)
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Guido Gozzano, "Cocotte" perché "non amo che le rose che non colsi"
Cocotte – Guido Gozzano
NON AMO CHE LE ROSE CHE NON COLSI
IHo rivisto il giardino, il giardinettocontiguo, le palme del viale,la cancellata rozza dalla qualemi protese la mano ed il confetto…
II
«Piccolino, che fai solo soletto?»«Sto giocando al Diluvio Universale.»
Accennai gli stromenti, le bizzarrecose che modellavo nella sabbia,ed ella si chinò come chi abbiafretta d’un bacio e fretta di…
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